L'esercito alla fine non si è schierato con i golpisti e un suo blitz ha liberato il presidente, prigioniero nell'ospedale dove si trovava per farsi curare le ferite del giorno precedente.
Ma sono stati soprattutto i sostenitori di Correa a scendere in piazza in sua difesa e a scontrarsi con i golpisti, poliziotti e civili legati all'ex presidente Lucio Gutierrez.
Il golpe è fallito, ma Correa comunque non avrà di fronte un futuro roseo e sereno.
Quito, il giorno dopo. La testimonianza
di Stella Spinelli - Peacereporter - 1 Ottobre 2010
"Le scuole sono rimastre chiuse a Quito, i trasporti pubblici non funzionano a pieno regime, ma le cose si sono certamente normalizzate". A raccontarci la capitale ecuadoriana il giorno dopo il tentato golpe è Pierpaolo Biagi, responsabile di Terre des Hommes Italia in Ecuador.
"Ancora è presto (quando lo sentiamo sono le 7.40 del mattino ora locale ndr.) e non so se le banche apriranno, ma credo proprio di sì. Stiamo ripartendo piano piano, c'è solo da ricreare quel minimo di sensazione di fiducia. Anche la polizia sta lavorando come se nulla fosse accaduto. Per lo meno in apparenza.
Dato che è già iniziata la caccia alle mele marce, e che metterà agenti contro agenti, fedeli contro infedeli. A mettere in atto il tentatoivo di colpo di Stato è stata comunque una minima parte della polizia. Che ora verrà depurata. Ma i vertici sono rimasti fuori. Sono rimasti con il presidente Correa".
"Dietro a tutto - ha continuato - c'è l'estrema destra, quella recalcitrante, espressa da uomini come Gutierrez. Ma anche l'estrema sinistra non si è ufficialmente dissociata. Sono gli estremi opposti che alla fine convergono. L'estrema sinistra continua da tempo ad alimentare le tensioni. Primo fra tutti attraverso le azioni del partito Mpdl. Ma a volte viene coinvolto anche il movimento indigeno.
Eppure, il presidente Rafael Correa è la cosa migliore che poteva capitare a questo paese in questa fase. E' assolutamente un buon compromesso. Le alternative sono assolutamente pari a zero". Questo quanto emerge dalle prime ore del giorno ecuadoriano. Un paese che ieri si è addormentato ascoltando le parole del loro presidente appena liberato da un blitz militare che ha messo fine a un sequestro di 12 ore.
"E' stato il giorno più duro del mio governo. Non si è trattato di una legittima rivendicazione salariale - ha dichiarato appena libero Correa - come hanno magari detto anche alcuni mass media. Si è trattato di un preciso intento di cospirazione coordinato. Speravano di creare un bagno di sangue per poter far deporre il presidente, sequestrarlo. Mi hanno colpito, mi ha colpito alla testa, ci sono stati gas lacrimogeni, hanno tentato di andare avanti con questa rivendicazione criminale.
C'erano persone infiltrate, c'erano persone in abiti civili che non erano poliziotti e che incitavano all'odio. Perché quello volevano ottenere. Mi hanno addirittura impedito di entrare nel palazzo della polizia gettandomi dei gas lacrimogeni addosso, a pochi centimetri dalla testa. Ringrazio la mia sicurezza eroica che ha fatto di tutto per salvare la vita del presidente. Non ci sarà perdono". Lo stato di emergenza resta prorogato per una settimana.
L'Ecuador che non si arrende
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 1 Ottobre 2010
Il colpo di Stato in Ecuador è fallito. L’esercito, fedele alla Costituzione e al Presidente Correa, è intervenuto con la forza per liberare il presidente dall’ospedale dove era stato preso in ostaggio dai rivoltosi ed ha anche liberato i commissariati dove i poliziotti traditori si erano sollevati e lo stesso aereoporto della capitale.
Il saldo dell’operazione di pulizia è di due morti e diversi feriti, alcuni di questi ultimi tra le fila dell’esercito e della popolazione che è scesa in strada con l’intento di appoggiare il suo Presidente contro i golpisti. La vicenda, gravissima, ha un suo aspetto di cronaca e un altro tutto politico, interno ed internazionale. Partiamo dal primo.
La cronaca riferisce di una ribellione di alcuni reparti della polizia di Quito che rifiutavano il pacchetto legislativo proposto dal Governo e approvato dal Parlamento sulla riforma dei servizi pubblici, presidenza compresa, e che prevede, tra l’altro, la riduzione dei benefici di vario genere dei quali hanno goduto in passato le forze di polizia come altri settori della Pubblica amministrazione.
Il Presidente Correa, avvertito delle proteste dei poliziotti e su richiesta degli ufficiali di polizia, aveva deciso di recarsi alla sede del Reggimento 1 di Quito per spiegare, personalmente, la necessità delle misure, anche nell’intento di trovare soluzioni di compromesso.
Ma il tentativo di dialogo è stato frustrato dai poliziotti, a dovere sobillati: addosso al Presidente sono piovuti insulti, lanci di oggetti e di gas lacrimogeni; questi ultimi hanno prodotto una lieve intossicazione al presidente che è stato prelevato dalla sua scorta e accompagnato in ospedale.
I poliziotti si sono riversati in strada, bruciando copertoni e lanciando pietre, quindi hanno occupato l’aereoporto di Quito e, in seguito, hanno circondato l’ospedale dove il Presidente era stato soccorso. A poco erano servite le assicurazioni del Ministro di Sicurezza Pubblica, che si era detto certo della breve e non cruenta durata della protesta degli agenti.
Il blocco dell’ospedale, la presa dell’aereoporto, il saccheggio dei supermercati, gli assalti ai negozi, ai distributori di benzina e a quattro sportelli bancari, hanno offerto un quadro golpista difficile da negare.
In aggiunta, a dimostrazione di un piano orchestrato, mentre in altri due centri - Cuenca e Guayaqui - si assisteva ad altre proteste di strada della polizia, nella capitale, come d’incanto, gruppi di studenti di destra cercavano di occupare le strade in appoggio alla polizia ribelle. Stesso copione anche in altre province.
Scatta la reazione popolare a sostegno di Correa, che in un quadro rovesciato rispetto alla consuetudine, vedeva gli studenti e lavoratori leali alla Costituzione scendere in piazza ed ingaggiare scontri con la polizia golpista. I manifestanti si dirigevano all’ospedale per tentare di difendere il presidente, ma venivano accolti da gas lacrimogeni e colpi d’arma da fuoco dalla polizia golpista che circondava il nosocomio.
Nel frattempo, le proteste internazionali rendevano chiaro il ripudio al golpe. Dal Segretario Generale dell’Onu ai governi latinoamericani, si sono susseguite le prese di posizione al fianco di Correa e del legittimo governo ecuadoriano. In primo luogo i membri dell’Unasur (Unione delle nazioni sudamericane).
I presidenti di Cile, Uruguay, Argentina, Bolivia, Colombia, Venezuela e Perù si sono riuniti immediatamente a Buenos Aires per sostenere Correa. Il Ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorim, ha espresso “il totale appoggio e solidarietà al Presidente Correa”.
Il Perù, confinante, ha disposto la chiusura delle frontiere, così come la Colombia, che ha espresso immediata solidarietà al Presidente ostaggio dei golpisti, mentre Hugo Chavez invitava alla mobilitazione contro “le forze oscurantiste, la destra, i servi dell’impero che cercano ogni scusa per tornare al potere”.
Stessi toni dalla Bolivia, dove Evo Morales ha definito la sollevazione poliziesca “una cospirazione vergognosa stimolata da politicanti privi dell’appoggio popolare, destinata a evitare l’avanzata del processo rivoluzionario in Ecuador”.
Ancora più dura la posizione espressa da Nicaragua e Cuba. Ed è qui, nella presa di posizione di Cuba, che gli eventi cessano d’indossare le vesti della cronaca e assumono sostanza politica. “Cuba attende che il comando delle forze armate ecuadoregne obbedisca all’obbligo di rispettare e far rispettare la Costituzione e di garantire l’inviolabilità del Presidente della Repubblica legittimamente eletto e assicurino lo stato di diritto”.
Il comunicato del Ministero degli Esteri cubano afferma poi di “ritenere il Capo delle Forze Armate responsabile dell’integrità fisica e della vita del Presidente Correa” avvertendo che “dev’essere assicurata la sua piena mobilità di movimento e l’esercizio delle sue funzioni”.
L’Avana si spinge poi oltre, al cuore del problema: “Invitiamo il governo statunitense a pronunciarsi contro il golpe. Il suo portavoce ha solo detto che segue da vicino la situazione. Un’omissione in questo senso vi renderebbe complici del colpo di Stato”.
La presa di posizione Usa, infatti, somigliava molto a quella presa in occasione del golpe in Honduras contro il legittimo presidente Zelaya. Con parole moderate e fintamente solidali, si trasmetteva invece una sorta di “via libera” ai golpisti, come venne ampiamente dimostrato nel successivo corso degli eventi. Solo un po’ meno sfacciata di quella di giubilo espressa nel poi fallito golpe in Venezuela.
Subito dopo la pubblicazione della posizione cubana, senza voler con questo stabilire una relazione temporale di causa-effetto, lo scenario è cambiato. Sollecitato dall’estero o internamente, o da ambedue gli scenari, pur con diverse ore di ritardo l’esercito ecuadoregno ha rotto gli indugi ed ha scelto d’intervenire.
Sette camion di soldati si sono recati verso l’ospedale per rompere il blocco organizzato dai rivoltosi e, mentre una sparatoria durata venti minuti tra militari e poliziotti riconduceva alla normalità la situazione, un reparto delle forze speciali dell’esercito liberava il Presidente, assistito dalla sua scorta, mettendo così fine ad un sequestro durato otto ore. Due morti e 88 feriti il bilancio sanguinoso dell’intervento.
Correa, pochi minuti dopo la sua liberazione, si è recato al palazzo di Governo. In un breve discorso, nel quale ha chiesto alla popolazione “unità contro i traditori della patria”, ha assicurato che non ci saranno “né perdono, né dimenticanze”, annunciando misure immediate contro i fagocitatori del tentato golpe, che ha indicato nell’ex Presidente Lucio Gutierrez (cacciato a suo tempo dalla rivolta popolare).
“Non era una rivendicazione salariale. E’ stato un tentativo di colpo di Stato organizzato da Gutierrez - ha proseguito Correa - ma non ho fatto e non farò un passo indietro. “Il mio obiettivo era questo, ha proseguito Correa: o uscire come un Presidente di una nazione degna, o uscire cadavere”. E ancora: “I cospiratori di sempre hanno sequestrato il Presidente e, per liberarlo, sono caduti fratelli ecuadoriani. E’ un giorno di profonda tristezza che non avrei mai creduto di dover vivere”.
Si stringe quindi il cerchio sui mandanti del golpe. Correa, pur essendo uomo di dialogo, per nulla venato da tentazioni militariste, pare deciso a ripulire la scena golpista una volta per tutte.
Quanto avvenuto a Quito, però, riporta alla ribalta non solo i periodici tentativi delle oligarchie nazionali latinoamericane di azzerare i risultati elettorali e, con essi, le politiche d’inclusione sociale e di riassetto politico interno dell’indipendentismo latinoamericano. Sullo sfondo, inutile far finta di nulla, c’è la gestione della terra e delle risorse energetiche continentali, che non sono più a disposizione delle multinazionali statunitensi e delle oligarchie locali a loro alleate.
Hanno rappresentato, storicamente, la fortuna e la croce dei paesi latinoamericani, oggetto delle criminali attenzioni di Washington proprio in ragione del consolidamento del comando militare, del controllo politico e dell’accumulo di ricchezze che ha permesso agli Stati Uniti di calmierare il mercato interno da un lato e di far scorazzare le sue major alimentari ed energetiche nell’immensa praterie dei profitti tramite saccheggio.
Proprio l’inversione di questo quadro ha destabilizzato il quadro del dominio statunitense. Dall’America Latina, o meglio, dal suo saccheggio, è nato l’impero; dalla stessa area ha subìto e subisce il primo livello della sua decrescita.
Le democrazie latinoamericane hanno ripreso il controllo sulle loro risorse, attivato politiche economiche di equità redistributiva tese a ridurre la sperequazione enorme tra masse infinite di diseredati e piccole oligarchie nazionali, e si sono associate tra loro costruendo un mercato interno continentale basato sulle reciproche necessità e possibilità.
E nello schieramento internazionale, l’abbandono del Washington consensus ha ulteriormente stabilito la nuova stagione latinoamericana, che vede e trova nuovi sbocchi internazionali ai suoi prodotti. Un programma che, non a caso, vede le economie locali in crescita robusta, in assoluta controtendenza rispetto al resto della scena globale.
Per questo la calma che è tornata a Quito non significa che tutto sia finito. Gli USA non hanno intenzione di restare a guardare: cospirazione, finanziamenti e campagne mediatiche vengono organizzate con questo fine. Sia perché Venezuela, Brasile, Ecuador e Bolivia, dispongono una quota molto importante delle riserve energetiche mondiali che fanno gola alla Casa Bianca, sia perché l’altra faccia della medaglia è anche militare.
Basi militari statunitensi restituite ai governi locali, accordi commerciali per acquisto e vendita di materiale bellico con Russia, Cina, Iran, accelerazione verso un modello di difesa continentale, restituzione piena delle proprie Forze Armate alla sovranità nazionale, sono tutti aspetti direttamente intrecciati con il nuovo quadro politico indipendentista latinoamericano. Da qui nascono i golpe sponsorizzati da Washington, da qui la resistenza latinoamericana, un tempo inimmaginabile.
Sconfitto il golpe in Ecuador
di Gennaro Carotenuto - www.gennarocarotenuto.it - 1 Ottobre 2010
Hanno sequestrato per 12 ore la democrazia ecuadoriana ma hanno perso. Ecco gli eventi principali della notte, italiana. In mattinata un commento sul terzo golpe, dopo Venezuela e Honduras, in America latina contro l’ALBA. L’antefatto qui e qui. Qui l’intervista esclusiva a María Alexandra Benalcazar da Quito e qui la testimonianza di Davide Matrone. Infine qui il canale Twitter.
Come Giornalismo partecipativo aveva annunciato fin dall’1.30 ora italiana la strada del blitz per liberare il presidente prendeva campo come l’unica possibile. Intanto era sempre più importanti le testimonianze sulle infiltrazioni nella polizia, su civili in genere riconoscibili come vicini a Lucio Gutiérrez (l’ex presidente fondomonetarista su posizioni apertamente eversive) per esempio nell’assalto a Ecuador TV subito dopo che il canale pubblico era riuscito a far parlare in diretta al paese il presidente ancora sequestrato.
Gli squadristi che hanno assaltato Ecuador TV e spento il segnale per oltre un’ora non erano infatti poliziotti ma civili comandati da Pablo Guerrero, avvocato di Lucio Gutiérrez.
Poco prima delle 4 di mattina, ora italiana, l’esercito che fino a quel momento si era tenuto a distanza arriva nelle immediate vicinanze dell’ospedale della polizia dove è sequestrato il presidente.
Da varie informazioni nell’ospedale sono “trattenute” almeno una trentina di altre persone, in maggioranza giornalisti. Tra loro Gabriela Fajardo che si comunica col nostro contatto a Quito María Alejandra Benalcazar e le descrive il breve conflitto a fuoco al termine del quale il presidente è libero. All’operazione di riscatto hanno preso parte 500 soldati.
Alle 4.39 ora italiana il presidente è nel palazzo di Carondolet e parla all’immensa folla dei democratici ecuadoriani che con la loro azione decisa hanno impedito che il golpe prosperasse. Se infatti a Quito e Guayaquil per ora la città è stata in balia dei golpisti che hanno anche controllato a lungo e chiuso gli aeroporti, nella maggior parte dei centri minori la strada è stata da subito presa dalla popolazione.
Alle 7.00 ora italiana intanto sta cominciando a Buenos Aires la riunione straordinaria di UNASUR.
Correa:"Il golpe è fallito, ma lascerà profonde cicatrici"
da Peacereporter - 1 Ottobre 2010
Ore convulse a Quito, capitale dell'Ecuador, dove un gruppo di militari e poliziotti ha messo in scena un tentativo di colpo di stato.
"Il tentativo di cospirazione è fallito, ma lascerà cicatrici che ci impiegheranno molto tempo per guarire". Queste le parole del presidente Rafael Correa nella tarda serata di ieri, pronunciate in diretta radio e televisione, dopo la fine del sequestro di cui è stato vittima. A bloccarlo per dodici ore nell'ospedale dove si era recato per medicarsi dalle ferite procuratesi da una bomba carta lanciatagli dai rivoltosi, alcuni agenti di polizia.
A liberarlo è arrivato un blitz dell'esercito. "E' stato un tentativo di golpe dietro al quale c'è Lucio Gutierrez", ex presidente e ora capo dell'opposizione. "C'erano degli infiltrati nella polizia - ha agigunto il presidente nella sua lunga ricostruzione dei fatti e per questo procederemo a rinnovare completamente questa fondamentale forza dello Stato". Intanto si registrano due morti fra le fila della polizia e 88 feriti, fra cui anche molti civili scesi in strada per sostenere il presidente.
Tutto iniziato nelle prime ore della mattina ecuadoriana, quando poliziotti e militari hanno iniziato a occupare alcune caserme, la prima quella Regimento Quito, non appena è stata approvata la legge che li equiparava a dipendenti statali, prevedendo un riequilibrio dei salari e eliminandone i privilegi. In breve tempo il paese si è trasformato in una polveriera. L'aeroporto è stato occupato e nel Paese è scattata la paura.
Il Presidente ha tentato anche di parlare con i rivoltosi, faccia a faccia, ma questi hanno sparato contro di lui gas lacrimogeni. Durante il parapiglia Correa si è procurato, appunto, l'infortunio alla gamba recentemente operata che l'ha costretto a dirigersi verso l'ospedale della Policia Nacional, dove ha subito il sequestro.
Molti sostenitori del presidente Rafael Correa si sono riversati per le strade della capitale in sua difesa. Alcune centinaia di persone si sono radunate davanti all'ospedale della Policia Nacional dove Correa si trovava bloccato da ore e sono state bersaglio di un fitto lancio di lacrimogeni e da parte di alcuni degli agenti della polizia complici del tentativo di colpo di Stato.
Contro di loro sono stati sparati anche diversi proiettili di gomma. Vani però i tentativi degli agenti di disperdere la folla accorsa a difendere il presidente.
Anche nella piazza Indipendencia, dove si trova il palazzo presidenziale, centinaia di persone si sono ritrovate ad attendere il rientro di Correa.
Nonostante la tensione ancora alta, il presidente Correa ha incontrato una delegazione di poliziotti ammutinati, accompagnati da un avvocato, all'interno dell'ospedale, Voci raccontavano di una stanza al terzo piano dell'edificio. Nessun accordo fra le parti sembrava essere stato raggiunto.
Un portavoce dei poliziotti ribelli, intervistato dalla stampa che si trovava davanti all'ospedale, aveva fatto sapere che la loro insubordinazione non avrebbe avuto lo scopo di destabilizzare il Paese o mettere in pericolo la vita di Correa.
Inoltre, aveva confermato che il gruppo di rivoltosi si sarebbe riunito per decidere il da farsi.
Ferme le posizioni di Correa (e della stragrande maggioranza del Paese) per tutto il tempo delle proteste: nessun dialogo senza la fine della rivolta era stato lo slogan. E la fine del golpe è arrivata grazie all'esercito che, rimasto fedele al presidente, lo ha tratto in salvo, mettendo fine al golpe.
Nel frattempo, si fa il primo bilancio della giornata appena trascorsa. Secondo quanto dichiarato dal ministro per la Sicurezza Interna e Esterna, Miguel Caravajal, negli scontri fra agenti della polizia e manifestanti pro-Correa sarebbe morta una persona. Consistente anche il numero di feriti. Diversi giornalisti dichiarano di essere stati picchiati dagli agenti mentre tentavano di fare il loro lavoro.
Il capo del Comando Conjunto de las Fuerzas Armada Ecuatorianas, Ernesto Gonzales, insieme al alti comandanti militari, ha confermato il rispetto allo stato di diritto e ha invitato gli agenti ribelli a mettere da parte l'idea "belligerante". "Le forze armate, come dice la Costituzione, - ha detto Gonzales - sono un'istituzione per la protezione dei diritti, delle garanzie, della libertà dei cittadini ecuadoriani. Per questo rispettiamo lo stato di diritto. Siamo un'istituzione organizzata, con delle gerarchie, subordinata all'interesse nazionale e all'autorità legittimamente costituita come il Presidente della Repubblica".
Parole che appaiono di circostanza quando Gonzales chiede al Presidente di rivedere la Ley de Servicios Publicos, causa della ribellione degli agenti anche se ammette che alcuni settori politici possano aver influenzato alcuni elementi dell'esercito e della polizia.
Il consiglio permanente dell'Osa (Organizzazione degli Stati Americani) ha espresso "il ripudio a qualsiasi tentativo di alterare l'istituzione democratica" oltre a dare il pieno appoggio al governo di Correa.
Durante una sessione straordinaria il Consiglio ha approvato all'unanimità una risoluzione in cui si fa un "un energico richiamo alla forza pubblica e hai settori politici e sociali per evitare che si produca violenza che condurrebbe a instabilità politica e attenterebbe contro la pace sociale e la sicurezza nazionale.
Poi una buona notizia. Alle 18.20 (01.28 ora italiana) l'aeroporto internazionale della capitale Quito, dove circa 150 militari avevano occupato la pista d'atterraggio è stato riaperto. La notizia è stata confermata dal sindaco della città, Augusto Barrera.