Dopo l'espulsione di Fini sono accaduti infatti alcuni episodi da cui si evince che il partito è ormai a pezzi, vittima di una lotta interna all'ultimo sangue. In frantumi.
E non gli giova certo l'odierna news su Berlusconi indagato anche a Roma per evasione fiscale e reati tributari nell'ambito di uno stralcio dell'inchiesta milanese sulla compravendita dei diritti tv e cinematografici Mediaset...
Il Big Bang del partito dell'Amore
di Fabrizio d'Esposito - www.ilriformista.it - 14 Ottobre 2010
La balcanizzazione del Pdl. Il litigio furibondo tra Cicchitto e La Russa al de Russie. Il ministro: «Berlusconi parla male di me. Me ne vado: ho 54 parlamentari». Il capogruppo: «Tu non capisci un ca..o, porco D..».
Nel partito dell’amore e della vita è sempre più di moda bestemmiare. «Porco D..». L’epiteto blasfemo con cui il Cavaliere ha concluso qualche tempo fa la sua ennesima barzelletta anti-Bindi, è scappato a Fabrizio Cicchitto all’acme del litigio con Ignazio La Russa nella cena all’hotel de Russie di Roma di martedì sera.
La convulsa scena fotografa alla perfezione la guerra per bande e per colonnelli che sta balcanizzando il Pdl. A tavola la nomenklatura del partito, fra triumviri e capigruppo, e peones in ordine sparso.
La cena tra ex forzisti ed ex An è stata organizzata per arginare lo strapotere dei postmissini, La Russa in particolare. Il ministro della Difesa è assente quando lo raggiunge un messaggino telefonico del deputato Massimo Corsaro suo amico: «Vieni che Gasparri è troppo berlusconiano».
Il triumviro La Russa, sotto processo, si precipita tra i commensali e grida: «Berlusconi mi dica chiaramente che vuole farmi fuori. So che parla male di me in giro. Se così stanno così io me ne vado. Tra Camera e Senato posso contare su 54 parlamentari. Faccio i gruppi autonomi, come Fini». La reazione di Cicchitto è veemente: «Tu non hai capito un ca..o, porco D.., qua non è che abbiamo fatto il Pdl per far comandare solo te».
In ballo ci sono le famigerate quote settanta e trenta, rispettivamente per ex FI ed ex An, ma soprattutto c’è l’asse La Russa-Verdini che ha messo le mani sui coordinamenti regionali e non dà spazio ad altri.
La Russa e Cicchitto litigano con violenza, poi la mediazione dei due Maurizi, il ciellino Lupi e il colonnello Gasparri. La cena si conclude con strette di mano di circostanza. La guerra non è finita. Anzi.
Ma il paradosso è che Berlusconi alla fine non toccherà il triumvirato che regge il Pdl nonostante veleni, dossier, imboscate: La Russa, Verdini e Sandro Bondi, altro ministro.
Troppe divisioni da ricomporre. Alla cena del de Russie si è arrivati dopo un altro convivio serale. Stavolta a casa di Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, che un’autorevole fonte di governo descrive in questo momento come «molto debole».
Motivo? Eccolo: «Fabrizio ha tentato un’altra volta di fare il ministro ma non c’è riuscito. Voleva andare al posto di Romani allo Sviluppo economico». Ecco dunque la cena a casa di Cicchitto, che gli azzurri del Lazio hanno chiamato «il patto del pesto».
Questione all’ordine del giorno: contrastare la dorsale Polverini-Alemanno che nella regione non fa toccare palla agli azzurri. Per gli ex forzisti laziali governatrice e sindaco «fanno tutto da soli ed è arrivato il momento di organizzarsi in una corrente per combatterli».
Bande per regioni, province, comuni. Il Pdl si sta polverizzando in una miriade di feudi personali che chiedono un piccolo posto al sole. A livello nazionale le correnti si moltiplicano anche in base a gelosie e rancori.
È il caso dell’andirivieni del guardasigilli Angelino Alfano, aspirante alla successione al trono, dalla fondazione Liberamente, alias la guarda pretoriana del Cavaliere. L’hanno messa su, sempre con cene periodiche in un ristorante del centro di Roma, i ministri Frattini e Gelmini. Poi si sono avvicinate Carfagna e Prestigiacomo.
Ma quando quest’ultima ha sentito il nome del suo corregionale Alfano, anche collega di governo, ha posto l’aut aut: «O io o lui». Attualmente il termometro interno del Pdl segna una tregua tra i pretoriani ex forzisti proprio per arginare gli ex An.
In ogni caso, la questione La Russa è solo una parte del problema. L’altra, quella rimanente, si chiama Verdini, il triumviro inquisito per la cricca e per la P3. I due sono molto legati e godono anche del sostegno della nuova zarina berlusconiana Daniela Santanché, a sua volta vicina alla filiera mediatica Feltri-Sallusti e data in pole position per i Tea party all’italiana.
Le manovre per scardinare il triumvirato sinora sono sempre fallite. L’opzione più forte resta quella formata da tre ministri giovani: i già citati Alfano e Gelmini (la ministra avrebbe sponsor in rotta con Santanché) e l’ex an Giorgia Meloni.
Nel frattempo il premier è tornato a consultare Claudio Scajola, il prezioso sherpa della vittoria elettorale nel 2001, e a litigare con Giulio Tremonti, il cui obiettivo secondo un azzurro di rango è ormai «quello di giocare a scassare». E in quest’ottica andrebbe letto l’ultimo scontro tra lui e Gelmini.
In un contesto del genere, Silvio Berlusconi non saprebbe che fare. Periodicamente oscilla tra i falchi e le colombe, quasi fosse un disturbo bipolare, e perdipiù si sente stanco e depresso. Ieri è tornato in Sardegna per la convalescenza dopo l’operazione alla mano sinistra.
Il suo vero dramma, racconta chi ci ha parlato, è dover affrontare in piena solitudine l’eventuale campagna elettorale anticipata del marzo 2011, sul modello di quella del 2006, quando si battè come un leone contro avversari esterni (l’Unione di Prodi) e interni (Fini e Casini). E per poco, da solo, non riuscì a vincere.
E adesso? Con cinque anni in più rispetto ad allora qual è il piano per la sua sesta e probabile campagna elettorale?
Quello che è certo è che il finale di partita è iniziato. La balcanizzazione del Pdl ne è dimostrazione e conferma. La guerra per bande, in fondo, non è che un altro modo per logorarlo. Come se i guai non bastassero.
Il Pdl brucia. E si divide in mille pezzi
di Marco Palombi - www.ilfattoquotidiano.it - 15 Ottobre 2010
Da Roma alla periferia, ogni giorno scoppia un nuovo caso. Anche Ignazio La Russa ha minacciato di formare gruppi autonomi
Il Pdl, il partito nato per rappresentare il centrodestra italiano nei prossimi decenni, all’età di un anno e mezzo è già preda d’una sorta di cupio dissolvi. Dei due fondatori, Gianfranco Fini se n’è andato, mentre Silvio Berlusconi non lo ama più e preferisce flirtare coi Promotori della Libertà di Michela Vittoria Brambilla, nuovi sacerdoti del culto del capo.
A nessuno piace più questo corpaccione impazzito, dentro il quale – al riparo del carisma del leader – si sviluppa e prospera ogni guerra di potere, ogni scontro fratricida, ogni genere d’odio e sospetto reciproco.
Colonnelli, marescialli e caporali litigano sui posti di sottogoverno, la quota di caccia per gli ex An, gli appetiti dei cosiddetti quarantenni provenienti da Forza Italia.
Prendiamo i coordinatori nazionali: gli ex azzurri riuniti nell’associazione Liberamente (Frattini, Fitto, Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo e Valducci) ne vogliono uno solo, meglio se dei loro, La Russa e Gasparri, con i berluscones un po’ più agée (Cicchitto, Bondi), preferirebbero che tutto restasse com’è, Denis Verdini vorrebbero farlo fuori tutti, ma è nel cuore del Cavaliere e non si può.
Tutti contro tutti? Mica tanto. Lunedì gli ex forzisti d’ogni età hanno stretto una tregua di qualche settimana, il che ha fatto innervosire assai il ministro della Difesa. La Russa – come ha avuto modo di gridare allo stesso Cicchitto martedì notte in un albergo romano – non ci sta a farsi cannibalizzare da Forza Italia: “Piuttosto facciamo i gruppi autonomi”, ha urlato mentre Maurizio Gasparri lo guardava con faccia più che perplessa.
Riassunto: gli ex An vogliono un Congresso vero per far pesare la loro maggiore perizia con le tessere nell’elezione dei dirigenti locali, Cicchitto e gli altri anziani vogliono le tessere ma sempre con l’ultima parola a Berlusconi, Frattini e i suoi vogliono comandare loro. Berlusconi invece non vuole più il PdL, ma una riedizione italica dei Tea party con la ministra rossa al posto della Palin.
Questo a Roma, sul territorio è anche peggio. I dossier sul tavolo del Cavaliere ormai non si contano più. Il caso più delicato quello siciliano. A Palermo non solo c’è un’altissima percentuale di gente passata con Fini, ma quel che è rimasto nel Pdl è dilaniato nella guerra tra Gianfranco Micciché da una parte, e Renato Schifani e Angelino Alfano dall’altra.
Il primo, com’è noto, adesso ha deciso di uscire dal partito: in regione ha fondato il gruppo “Forza del Sud” e il relativo partito, l’ennesimo scimmiottamento meridionale della Lega, nascerà ufficialmente il 30 ottobre. Anche in Lombardia, altro feudo berlusconiano, è ormai battaglia senza quartiere.
All’ingrosso i contendenti fanno riferimento a tre aree: i ciellini del governatore Formigoni, i berlusconiani (spesso laici e liberali) che s’appoggiano a Mariastella Gelmini e gli ex An egemonizzati da La Russa.
Il partito lombardo è allo sfascio: il presidente del consiglio comunale di Milano, Manfredi Palmeri, è in odore di passaggio a Fli, mentre nella provincia di Como sei consiglieri e tre assessori superberlusconiani se ne sono andati fondando il gruppo “Autonomia comasca” in odio al ras di zona, Alessio Butti, uomo di La Russa. In Toscana ha fatto scalpore la fronda organizzata da cinque parlamentari – la più nota è Deborah Bergamini – contro Denis Verdini: a Lucca il PdL s’è spaccato addirittura in tre gruppi.
Pure al centrosud il partito del predellino traballa assai. Nel Lazio, Cicchitto, Tajani e il sottosegretario Giro stanno costruendo una corrente di ex Fi: sostengono che la destra capitolina (Polverini, Alemanno, Piso, Augello, anch’essi in lotta tra loro) sta facendo carne di porco del partito e dei posti di sottogoverno.
Situazione a cui va aggiunto almeno il bailamme di Latina: l’ex sindaco Zaccheo contro il senatore Fazzone, grande elettore basato a Fondi, che si ritrova contro anche Ciarrapico e i suoi giornali privi di kippah.
In Campania c’è la faida tra Cosentino da una parte – che continua ad attaccare il presidente Caldoro (da ultimo perché favorisce i finiani) – e Carfagna e Nunzia Di Girolamo dall’altra, quest’ultima beatificata alla sua festa di Pietrelcina da una telefonata di Berlusconi.
In Puglia c’è un rancore sordo tra i seguaci di Raffaele Fitto, ritenuto responsabile della vittoria di Vendola, e le poche truppe di Gaetano Quagliariello. In Calabria gli ex forzisti accusano il neogovernatore Scopelliti di averli cancellati dalla mappa del potere.
In Sardegna i reduci della Prima Repubblica come i senatori Pisanu e Massidda (che s’è pure presentato contro il Pdl alle ultime provinciali) flirtano col governo tecnico.
Mentre in Piemonte e Veneto temono tutti di essere fagocitati dalla Lega per colpa dello strapotere di Bossi a Roma. Qualcuno nel Pdl continua a sorridere, è l’allegria dei naufragi.