venerdì 15 ottobre 2010

News Shake

Ritorna la rubrica News Shake, articoli a caso ma non per caso...


Maggioranza in agonia
di Massimo Giannini - La Repubblica - 15 Ottobre 2010

Il processo di "balcanizzazione" del centrodestra compie un ulteriore salto di qualità. In un solo giorno si moltiplicano gli strappi sul già logoro tessuto politico che dovrebbe tenere insieme il governo per l'intera legislatura. In Parlamento Schifani e Fini rompono sulla legge elettorale.

A Palazzo Chigi i ministri rompono con Tremonti sulla finanza pubblica. Al Senato il Pdl rompe con se stesso sul Mezzogiorno. Tre indizi, stavolta, fanno una prova: questa maggioranza non regge più.

Eppure, proprio mentre agonizza, il "berlusconismo da combattimento" diventa più dannoso. Lo dimostra l'ultimo blitz sulla bugiarda "riforma della giustizia" in arrivo: una norma che prevede l'obbligo per la Consulta di deliberare con una maggioranza dei due terzi in tutti i casi in cui si giudichi l'incostituzionalità su una legge.

Un'altra misura eversiva: limiterebbe drasticamente l'autonomia dei giudici e squilibrerebbe una volta di più il bilanciamento dei poteri.

Un'altra norma ad personam: per il passato, avrebbe impedito la bocciatura del vecchio Lodo Schifani, e per il futuro potrebbe impedire la bocciatura del nuovo Lodo Alfano. C'è solo da sperare che, nella totale entropia della fase, salti anche questa ennesima manomissione dei principi repubblicani.

La rottura sul "Porcellum" è preoccupante. La bega procedurale non riflette più solo un dissenso politico, ma si traduce in un conflitto istituzionale. Il presidente del Senato "avoca" a sé il dibattito sulla nuova legge elettorale, con l'intenzione di frustrare le velleità riformatrici del presidente della Camera.

Fini vorrebbe modificare a Montecitorio la "porcata" di Calderoli, per consentire agli italiani di tornare a votare con una legge elettorale più giusta, che tolga alle segreterie di partito il "potere" di nominare i propri parlamentari e restituisca ai cittadini il "diritto" di scegliere i propri rappresentanti.

Schifani glielo impedisce, ancorando il confronto nelle sabbie mobili di Palazzo Madama, perché in ossequio ai voleri del Cavaliere preferisce che gli italiani votino con questa pessima legge elettorale. Il risultato, oltre alla spaccatura orizzontale tra Pdl e Fli, è una frattura verticale tra la seconda e la terza carica dello Stato.

La rottura sulla Legge di stabilità è devastante. I "tagli lineari" del ministro dell'Economia affondano non tanto sulla pelle sottile degli altri dicasteri, ma nella carne viva della società italiana. Scuola e università pagano il conto più salato della recessione. Ma è l'intero Sistema-Paese che, senza ossigeno, è a un passo dall'asfissia.

Tremonti tiene sotto scacco il governo: in Europa è tornata la tensione sui debiti sovrani, e si teme la "seconda ondata" della tempesta perfetta. L'Italia è ad altissimo rischio: non ha un euro da spendere, e nei prossimi tre anni la Ue esigerà manovre per 9 punti di Pil.

Ma la linea del rigore assoluto, se può premiare a Bruxelles, è ormai insostenibile a Roma. Non si governa dicendo solo "no". Neanche (o soprattutto) in tempi di crisi. Il "genio dei numeri" avrebbe dovuto costruire una exit strategy per lo sviluppo. Non l'ha fatto.

E oggi è troppo tardi. La "speranza" non c'è più. È rimasta solo la "paura". Il governo non è più in grado di costruire consenso intorno a un progetto di crescita dell'economia e della società italiana.

La rottura sui crediti d'imposta al Sud è promettente. In Senato, ancora una volta, si è formato l'embrione di una maggioranza diversa, intorno ad un emendamento presentato dal gruppo "Io Sud", votato da finiani, Pd, Mpa e alcuni senatori del Pdl. Per il Cavaliere è una calamità. Per il Paese può essere un'opportunità.

Fuori dal disperato perimetro berlusconiano, c'è forse una maggioranza alternativa. Per bloccare nuove leggi ad personam ed altri sabotaggi agli organi di garanzia. Per far passare una legge sul conflitto di interessi. Per cambiare la legge elettorale.

E magari per sostenere, nel pieno rispetto della Costituzione, un governo che si dia proprio quell'unica missione, e poi riporti gli italiani alle urne. Non si vede altra via, per uscire da questa livorosa e pericolosa decomposizione del "corpo mistico" berlusconiano.


Disinformazione, dati falsati e dimissioni mancate. L'informazione economica al palo
di Fabio Amato - www.ilfattoquotidiano.it - 14 Ottobre 2010

Intervista a Tito Boeri. Per l'economista, l'Italia è al punto più basso nella qualità delle notizie, tanto da minare il controllo democratico che spetta agli elettori

“L’informazione è vitale in democrazia. E quella economica è scesa a un livello preoccupante”. L’economista Tito Boeri, professore ordinario alla Bocconi e membro del comitato di redazione del sito lavoce.info, è eufemisticamente molto “arrabbiato” perché – dice – lo stato dell’informazione nel nostro paese “sta facendo venir meno il controllo democratico degli elettori”.

Professor Boeri, che cosa sta succedendo?

E’ pazzesco, davvero il livello della disinformazione è a un punto bassissimo. Da un lato i giornali e i media in genere raccontano i fatti in modo volutamente distorto. Dall’altro le agenzie governative danno ai giornalisti delle informazioni che sono distorte esse stesse.

Di chi parla?

Non dell’Istat, ma l’Inps e l’agenzia delle entrate forniscono dati volutamente “narrati”, in modo da indurre in errore anche chi nell’informazione è animato dalle migliori intenzioni.

Le agenzie governative nascondono o edulcorano i dati reali?

E’ una novità degli ultimi anni. Nella gestione dei dati sulla cassa integrazione, ad esempio, l’Inps ha davvero inviato comunicati con una fortissima connotazione politica, cercando sempre di sminuirne la portata. I dati in realtà sono preoccupanti: in Italia la cassa integrazione continua ad aumentare, nonostante siamo usciti dalla fase più acuta della crisi. In Germania, che ha uno strumento simile al nostro, i livelli di ore sono il 20% di quelli raggiunti nel punto più alto della crisi. Da noi invece continuano a crescere.

Ma non se ne trova traccia nell’informazione?

Ogni comunicato dell’Inps cerca di sminuire questo fatto. Si parla di piccoli incrementi quando sono incrementi da mese a mese del 10%, e non vengono mai riportati i numeri assoluti. Quel che è interessante è che dopo i dati dell’Inps escono i comunicati del ministero del Lavoro che pubblicamente esaltano l’azione del governo. Ad agosto ad esempio era uscito un comunicato del ministro che diceva: “Vedete, anche l’Inps dice che abbiamo fatto molto bene”. E addirittura se la prendevano con i finiani perché in qualche modo avevano ostacolato l’azione del governo. Mi chiedo cosa c’entri l’aumento della cassa integrazione con le lacerazioni interne alla maggioranza. Poi c’è l’agenzia delle entrate.

Di cosa li accusa?

Nonostante sia stato chiesto più volte di farlo, non dà mai i dati e non spiega quali sono i risultati della lotta all’evasione.

Quali dati?

Fondamentalmente, le cose da sapere sono quanti controlli vengono effettuati e qual è l’importo medio per ogni controllo.

Perché?

Perché se aumenta l’importo medio per controllo, questo può essere un indicatore del fatto che l’evasione sta aumentando, non diminuendo. Secondo: bisogna sempre distinguere tra il recupero di evasione che avviene attraverso un accertamento e quello che avviene attraverso procedure di conciliazione. Se c’è conciliazione lo Stato può aumentare le somme riscosse semplicemente perché fa degli accordi al ribasso. Insomma, pur di portare a casa qualcosa abbassa le proprie pretese. Quindi fa lo sconto all’evasore. E su questo non c’è mai comunicazione.

Il presidente dell’Inps, Mastrapasqua, ha detto che ai precari non viene fornita la simulazione della loro pensione su internet perché se lo facessero “si rischierebbe un sommovimento sociale”

E’ pazzesco. Questo dà l’idea di come ragioni l’Inps. Il loro compito sarebbe quello di dare una informazione ai contribuenti di quanto riceverebbero di pensione con le regole attuali e con la attuale situazione del mercato del lavoro, in modo tale che le persone possano per tempo trovare le soluzioni possibili.

Invece?

Invece abbiamo un presidente dell’Inps che dice “non diamo i dati perché altrimenti la gente si arrabbia”. E’ veramente pazzesco. Io credo che se l’affermazione è vera ci siano gli estremi per chiederne le dimissioni immediate. E’ inammissibile che chi ha un ruolo istituzionale di questa portata possa fare queste affermazioni.

Cosa dovrebbe accadere?

L’Inps dovrebbe mandare a casa di tutti i contribuenti un estratto conto previdenziale che li informi di quanto percepiranno quando andranno in pensione. In Svezia ci sono le buste arancioni, che vengono inviate ogni anno e in cui si dice: “Guardate che allo stato attuale e con questi salari andrete in pensione tra tot anni e con tot importo”. L’Inps invece continua a dire che lo farà e non lo fa mai. Adesso capiamo perché non lo fa.

Lavoce.info ha lanciato l’allarme sulla “campagna elettorale, strisciante” che potrebbe durare “tre mesi o tre anni”. Cosa si aspetta?

Io penso che abbiamo toccato il punto più basso, il che mi spinge ad usare toni più duri e ad essere molto preoccupato. Perché quando l’informazione è così distorta, l’esercizio della democrazia è molto limitato. Ogni democrazia funziona quando c’è un patrimonio informativo comune su cui gli elettori possono esercitare un controllo. Se le statistiche vengono prodotte in modo distorto questo controllo viene meno.

Nel vostro studio avete citato i dati Ocse sulla differenza informativa tra chi guarda solo la televisione e chi si affida anche ad altri mezzi. Cosa si aspetta da Internet?

Internet sarà fondamentale. Uno può pensare che le persone che vanno in rete abbiano una cultura e una formazione maggiore. Ma anche depurata di queste differenze, l’informazione sulla rete è molto più pluralista, e questo mi fa guardare avanti con una certa fiducia.

La rete come panacea?

Ovviamente no, su Internet circolano informazioni di buona e cattiva qualità. Ma il potere politico ha meno possibilità di condizionarle.


Scarica il pdf dello studio


In Piemonte la Lega è preoccupata, il riconteggio del Tar vede in vantaggio Bresso
di Stefano Caselli - www.ilfattoquotidiano.it - 15 Ottobre 2010

"Si mette male", ha detto Umberto Bossi. Nella regione guidata da Cota del Carroccio potrebbe prospettarsi la necessità di rifare le regionali

Se Umberto Bossi dice che “in Piemonte si mette male” ha le sue buone ragioni, anche perché il bello, dal punto di vista di chi ha perso le elezioni regionali di Marzo, deve ancora venire. C’è il rischio, per il presidente leghista Roberto Cota, di vedersi scavalcare da Mercedes Bresso. Tutto sarebbe da rifare. Di questo Bossi è preoccupato.

A maggio, il presidente uscente della Regione, con una sparuta compagine di ricorrenti (tra cui l’Udc, ma non il Pd), denuncia al Tar del Piemonte irregolarità nella presentazione di alcune liste a sostegno di Roberto Cota, che a marzo aveva vinto le regionali con uno scarto minimo di poco più di novemila voti.

Da allora si sono susseguite numerose udienze tra il Tar a Torino e il Consiglio di Stato a Roma. Il 15 luglio scorso i giudici amministrativi torinesi hanno comunque accolto due ricorsi della Bresso contro altrettante liste a sostegno del centrodestra.

Si tratta di “Al Centro con Scanderebech” (già ribelle dell’Udc, espulso dal partito, planato a Montecitorio in sostituzione di Michele Vietti eletto vicepresidente del Csm, passato al Pdl ma rientrato proprio da pochi giorni nei ranghi di Casini) e “Consumatori per Cota”.

Queste due liste, secondo la decisione del Tar confermata dal Consiglio di Stato, si sono presentate alle elezioni senza averne titolo, poiché – sfruttando una norma della legge regionale – hanno omesso di raccogliere le firme necessarie dichiarando il collegamento con una lista già esistente in Consiglio regionale.

Peccato che Deodato Scanderebech (autentico “ras” torinese delle preferenze) avesse dichiarato il collegamento con L’Udc (che sosteneva Bresso) dopo esserne stato espulso.

Situazione analoga per la microlista “Consumatori”. In totale fanno 14 mila voti (12 mila e passa per Deodato) di cui il Tar ha ordinato il riconteggio. Bisogna verificare se gli elettori hanno dato la loro preferenza solo alla lista annullata o anche al presidente Cota (nel qual caso il voto è valido).

Dopo un’estenuante estate di discussioni su chi dovesse anticipare le spese del riconteggio, il 27 settembre è finalmente iniziato. Tutte le province hanno completato le operazioni, manca solo il risultato definitivo di Torino (dove si concentra oltre il doppio delle schede da ricontare).

La tendenza è chiara (ed era francamente prevista): solo una piccola parte degli elettori ha votato anche per Roberto Cota e, a quanto pare, Torino non farà eccezione.

Dunque saranno prevedibilmente annullati più di novemila voti e Mercedes Bresso tornerebbe in vantaggio. Il termine (ma è già stata chiesta una proroga dal Tribunale di Torino che sta ricontando) è il 15 ottobre.

Dopodichè il Tar e il Consiglio di Stato in secondo grado dovranno decidere che fare, se riportare il Piemonte al voto o ribaltare l’esito delle elezioni “restaurando” Mercedes Bresso. Insomma, c’è n’è abbastanza per rendere il Carroccio un po’ nervoso.

Ma non è tutto: c’è il “bello”. Su uno dei ricorsi il Tar del Piemonte non ha ancora deliberato. Si tratta della lista “Pensionati per Cota” presentata dal consigliere Regionale, Michele Giovine (professionista delle liste civetta) che ha raccolto oltre 27 mila voti. Giovine comparirà il 15 dicembre di fronte al tribunale di Torino, dove sarà giudicato con rito immediato per falso.

Quasi tutte le firme dei candidati della lista Pensionati (compresa una prozia classe 1919) sono (secondo le indagini della procura di Torino) “palesemente apocrife”, spesso falsificate all’insaputa degli stessi candidati.

Un “vizietto” in cui Giovine era già caduto nel 2005, ma allora ne uscì grazie a una modesta oblazione consentita da una legge (che di fatto depenalizzava il falso in materia elettorale) poi dichiarata incostituzionale.

Insomma una lista in tutto e per tutto inesistente. Sul caso Giovine, dopo una serie di rimpalli tra Torino e Roma, deciderà finalmente il Consiglio di Stato il prossimo 19 ottobre. Difficilmente (ma nulla si può escludere) la sentenza sarà favorevole a Cota.

In più, trattandosi di lista “inesistente” e non “irregolare” non dovrebbe nemmeno esserci bisogno di riconteggio e 27 mila voti (quarto volte tanto lo scarto tra i due candidati) andrebbero in fumo. Ma, c’è da scommettere, la parola “fine” è ancora lontana.


Il movimento di protesta. La frode finanziaria in Islanda
di Rady Ananda - www.globalresearch.ca - 5 Ottobre 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Roberta Papaleo

Mentre si incominciano a prendere provvedimenti contro l’ex premier islandese, Geir Haarde, per la crisi bancaria del 2008, almeno 2000 islandesi si sono riversati nelle strade per due giorni di protesta il week end scorso.

L’Islanda si unisce ad oltre 12 nazioni per protestare contro le misure economiche prese sul pubblico mentre le banche e le grandi compagnie ricevono prestiti. È in atto una guerra di classe e sta diventando globale.

Si sono tenute proteste di massa anche in Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Germania, Italia, Francia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca, Cipro, Serbia, Romania, Polonia e Stati Uniti, secondo quanto riportato da diverse fonti.

Gente di tutto il mondo sta rifiutando le pratiche delle banche corrotte ed i prestiti, mentre ci sono tagli ai servizi sociali e milioni di persone sono stati costretti a restare senza lavoro e senza fissa dimora.

Dori Sigurdsson, un blogger islandese, riporta che quando i parlamentari sono rientrati dalle ferie il primo ottobre, sono stati accolti da una folla arrabbiata e chiassosa che gli lanciava contro uova, pane, latticini e chiavi. La gente ha dormito fuori dal palazzo del Parlamento la notte prima della sua sessione di rientro. Sigurdsson ha postato video e diverse immagini.

Dori nota: “A causa della mancanza di un aiuto del Governo al pubblico, molti stanno perdendo le loro case e le loro macchine”. In una nazione con soli 317.000 abitanti, il 12% (cioè 40.000 persone) hanno perso o stanno per perdere le loro case, afferma. Gli islandesi condannano l’ingiustizia delle grandi compagnie ed i loro presidenti ai quali il governo ha rimesso i debiti, ma non quelli della gente.

Altri tre funzionari sono stati accusati di “cattiva amministrazione verso, durante ed in seguito la crisi bancaria”, riporta Ice News. Il Parlamento ha votato per intentare un’azione per negligenza solo contro Haarde, con una legge vecchia di cent’anni mai usata prima.

Gli islandesi sono anche arrabbiati per il fatto che solo l’ex premier è stato accusato. Un commentatore dell’articolo dell’Ice News ha notato: “Questo non è un tradimento totale nei confronti del popolo?”. E criminale, per chi è ragionevole.

Le uova hanno colpito il premier Jóhanna Sigurðardóttir, salita al potere come leader politico più amato d’Islanda, con un tasso di approvazione del 75%. Si è insediata nel gennaio 2009, dopo una coalizione di socialdemocratici e verdi di sinistra, formata per rimpiazzare il governo guidato dal Partito dell’Indipendenza, capeggiato da Haarde, ormai terminato. Le altre nazioni dovrebbero far finire i loro governi corrotti?

The Guardian evidenzia una protesta diffusa in tutta Europa “tra la furia crescente contro le misure di austerità che vengo imposte… questa rottura in più di dodici paesi nella scorsa settimana include uno sciopero nazionale in Spagna ed una betoniera fatta scontrare contro i cancelli del Parlamento irlandese”. Anche Press TV ha riportato delle proteste organizzate nei diversi paesi nel corso della settimana. (Per vedere il video della betoniera, clicca qui ).

Persino negli Stati Uniti, in migliaia hanno recentemente protestato a Washington per avere posti di lavoro invece che guerre. Brian Becker, della Coalizione ANSWER, ha detto ai giornalisti che gli USA spendono un miliardo di dollari ogni due giorni per le loro invasioni militari.

È molto meno del trilione di dollari all’anno calcolati da Robert Higgs dell’Indipendent Institute. Sappiamo che il Congresso spende il 58% del suo budget discrezionale nel campo militare.

Molti economisti notano che la disoccupazione negli Stati Uniti è da due a tre volte più alta di quanto riportato dal Dipartimento del Lavoro. A luglio, gli economisti hanno fissato il numero al 28%, in confronto al 9.5% riportato dai federali. Per settembre, il Christian Science Monitor ha mostrato che la disoccupazione è al 16.7%, mentre i federali hanno riportato il 9.6%.

Negli Stati Uniti, dove il 95% del pubblico ha rifiutato entrambe i prestiti a Wall Street (sotto Bush e sotto Obama), apprendiamo che i banksters [contrazione di banker e gangster, ndt] si sono poi ricompensati con bonus di milioni di dollari. L’audacia della loro depravazione avrà di sicuro un effetto di rimbalzo. È tempo di porre fine anche a questo governo?

Anche The Guardian ha riportato che “un’agenzia dell’ONU ha messo in guardia sulla crescente agitazione sociale a causa di una lunga ‘recessione del mercato del lavoro’ che potrebbe durare fino al 2015”. 2015!

Grazie al cielo le ipoteche degli squatters (occupatori abusivi) stanno aumentando negli Stati Uniti. Questo persino prima che venisse scoperto che “le fabbriche di pignoramento” producevano documenti per impossessarsi delle case della gente. Alcune di quelle fabbriche non hanno neanche un titolo legale, riporta Ellen Brown.

In Islanda, The Guardian nota: “Birgitta Jónsdóttir, uno dei tre membri del Parlamento che si sono uniti ai manifestanti, ha detto: ‘C’è il sentore che il FMI spazzerà via le nostre classi medie’.” Questo è vero per ogni nazione risucchiata nell’avidità dei banksters, Stati Uniti inclusi.

I manifestanti sono di nuovo all’esterno ora, mi ha detto Dori lunedì sera (6:00 pm all’Est, 10:00pm in Islanda). “la Protesta è ancora accesa ed è pacifica – ma con un rumore tale da farsi sentire all’interno del palazzo del Parlamento”.


Bp e Usa: negligenza e incompetenza
di Michele Paris - Altrenotizie - 14 Ottobre 2010

Qualche giorno fa la commissione presidenziale d’inchiesta sull’esplosione della piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico lo scorso mese di aprile, ha reso note le prime conclusioni della propria indagine.

Secondo gli investigatori nominati dalla stessa amministrazione Obama, il governo americano avrebbe intenzionalmente nascosto all’opinione pubblica la vera entità della fuoriuscita di greggio, ostacolando, di fatto, un’adeguata risposta a quello che sarebbe poi diventato uno dei più seri disastri ecologici degli ultimi decenni.

“Sottostimando la quantità di petrolio fuoriuscito inizialmente e, successivamente, alla fine dell’estate, minimizzando la quantità di greggio rimasto nel golfo, il governo federale ha dato l’impressione di non essere pienamente in grado di gestire la perdita o di voler nascondere agli americani le dimensioni del disastro”.

Così si conclude una delle quattro relazioni della commissione insediatasi nel mese di giugno e che dovrà presentare un rapporto finale alla Casa Bianca agli inizi del prossimo anno.

La strategia del governo per coprire le responsabilità della BP nel disastro che ha causato la morte di 11 lavoratori impegnati sulla piattaforma Deepwater Horizon era stata messa in atto già nei giorni successivi al 20 aprile.

Pubblicamente, infatti, la Casa Bianca ha continuato a lungo a sostenere che la fuoriuscita di greggio ammontava appena a cinquemila barili al giorno. A questo scopo venne anche impedito all’agenzia federale che si occupava di monitorare gli effetti del disastro (NOAA) di rendere pubbliche le proprie stime relative alla perdita, ovviamente ben superiori a quelle del governo.

Grazie al lavoro di qualche ricercatore indipendente, nonostante gli ostacoli incontrati per accedere alle informazioni necessarie, la vera entità della fuoriuscita sarebbe stata rivelata molto più tardi e fissata attorno ai 60 mila barili al giorno, per un totale di petrolio versato nelle acque del Golfo del Messico non inferiore ai 5 milioni di barili.

Un quantitativo venti volte superiore al già enorme disastro causato dalla Exxon Valdez in Alaska nel 1989. Il pozzo situato ad una profondità di oltre un miglio sarebbe stato infine chiuso il 15 luglio e definitivamente sigillato alla fine di settembre.

Nel mese di agosto, poi, esponenti dell’amministrazione Obama cercarono nuovamente di manipolare la realtà dei fatti nel golfo, annunciando trionfalmente che i tre quarti del petrolio fuoriuscito si era già dissolto oppure era stato raccolto dalle petroliere. Un’affermazione totalmente inattendibile, nel tentativo di esaltare gli sforzi del governo per combattere il disastro e limitare gli effetti devastanti sull’ecosistema del Golfo del Messico.

Anche in questo caso, sarebbe toccato a biologi e oceanografi svincolati da ogni legame con il governo o con la BP smentire le stime ufficiali.

Circa la metà del greggio fuoriuscito rimarrebbe infatti tuttora sospeso nelle acque del golfo, sepolto in profondità o depositato sulle coste meridionali degli Stati Uniti e, solo, per conoscere il reale impatto del disastro ecologico saranno necessari ancora molti mesi, se non anni.

Se l’amministrazione Obama in seguito all’esplosione della piattaforma della BP emise una moratoria per le trivellazioni dei pozzi situati nelle acque più profonde della propria piattaforma continentale, l’intera risposta al disastro è stata indirizzata praticamente alla salvaguardia dell’immagine della corporation britannica.

A guidare la stessa commissione d’inchiesta sulla fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico ci sono personalità dal curriculum discutibile, come William K. Reilly - ex direttore dell’Agenzia di Protezione Ambientale (EPA) sotto Bush senior e membro del consiglio di amministrazione del gigante petrolifero ConocoPhillips - e l’ex senatore democratico ed ex governatore della Florida Bob Graham, da sempre acceso sostenitore della deregulation.

Per proteggere gli interessi della BP ed evitare un conto troppo salato in fase di risarcimento, il presidente Obama ha infine da qualche tempo chiesto ai vertici della compagnia petrolifera l’accantonamento di 20 miliardi di dollari per coprire i danni provocati.

Una cifra del tutto inadeguata, nonché in gran parte detraibile dalle tasse, che eviterà alla BP di risarcire interamente gli effetti del disastro provocato da una politica aziendale che pone il profitto al di sopra di qualsiasi scrupolo per l’ambiente e la sicurezza dei propri dipendenti.

Dall’esplosione della scorsa primavera, d’altra parte, nessun dirigente della BP è stato arrestato, indagato o licenziato per i fatti accaduti nel Golfo del Messico, nonostante la documentata negligenza della compagnia nella gestione della piattaforma Deepwater Horizon e in numerose altre installazioni petrolifere negli Stati Uniti e altrove.

Ciò è stato possibile solo grazie all’azione tempestiva di un governo che si è adoperato in tutti i modi per difendere la corporation britannica fino a nascondere ai propri cittadini la verità sul disastro ambientale più grave della storia americana.


Golfo del Messico: sospensione anticipata per moratoria sulle trivellazioni
di Alessandra Profilio - www.ilcambiamento.it - 14 Ottobre 2010

La marea nera nel Golfo del Messico è già stata dimenticata, sprofondata nell’oblio insieme alle catastrofiche ripercussioni che essa ha avuto sull’ecosistema acquatico.

Infatti, sebbene sei mesi fa tutto il mondo abbia assistito al disastro della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera della Bp esplosa lo scorso 20 aprile, l’Amministrazione Usa ha già tolto la moratoria alle trivellazioni nel Golfo del Messico.

La sospensione della moratoria, imposta in seguito all’incidente e la cui scadenza era prevista per il 30 novembre, consentirà a diversi pozzi nel Golfo del Messico di riprendere ad operare.

Ad annunciare la decisione del governo americano è stato il segretario agli interni Ken Salazar il quale nel corso di una conferenza stampa ha spiegato che il termine della moratoria è giustificato dalle nuove regole sulla sicurezza imposte dal governo alle aziende dopo il disastro del pozzo di Bp.

"Abbiamo fatto e continuiamo a fare progressi significativi nel ridurre i rischi associati alle trivellazioni in acque profonde – ha affermato Salazar – Ho deciso che è ora il momento giusto per revocare la sospensione delle trivellazioni in acque profonde per gli operatori che saranno in grado di soddisfare gli standard più elevati che abbiamo stabilito".

Eppure, nonostante le rassicurazioni di Ken Salazar sulle nuove norme di sicurezza, l’adozione di tali misure non è considerata da tutti sufficiente per dissipare le preoccupazioni per il verificarsi di ulteriori incidenti.

Questa la posizione espressa da Sierra Club, la più grande associazione ambientalista Usa. Il direttore esecutivo Michael Brune ha infatti dichiarato: "il disastro Bp è stato un campanello d'allarme, ma i nostri leader continuano a premere lo snooze button. La trivellazione offshore è un business pericoloso. È stato un sollievo vedere che l’Amministrazione annunciava nuove normative di sicurezza, in forte ritardo, prima di abolire il divieto di trivellazione. Ma queste norme ancora non portano il rischio ad un livello accettabile. L’unico modo per assicurarsi che non vedremo un altro disastro della trivellazione è quello di porre fine alla nostra dipendenza dal petrolio".

Dure, inoltre, le affermazioni di Philip Radford, il direttore esecutivo di Greenpeace: "Il presidente Obama ha fatto trottare il segretario agli interni Salazar per fare il suo sporco lavoro: annunciare la decisione del presidente di revocare la moratoria sulle perforazioni offshore nel Golfo del Messico. Questa è pura politica del tipo più cinico. È tutto basato sulla stagione elettorale non su problemi di sicurezza e ambientali".

L’impressione è infatti quella che la decisione del presidente Obama, per il quale si avvicinano le elezioni di mezzo termine, sia legata alle pressioni esercitate dalle lobbies economiche legate ai candidati democratici e dai repubblicani che stavano portando avanti una campagna a favore di Big Oil per chiedere la fine della moratoria.

Intanto, anche dall’altra parte dell’Oceano si discute in materia di trivellazioni. La Commissione europea sta elaborando infatti una legislazione completa sull’attività delle piattaforme petrolifere, che prevede norme di sicurezza più rigorose e più controlli, perché le compagnie petrolifere possano ottenere l’autorizzazione per nuove trivellazioni offshore.

Come ha affermato Günther Oettinger, commissario europeo per l'Energia: "sulla sicurezza non si negozia. Per garantire che nelle acque europee non si possa mai verificare una catastrofe simile a quella che ha colpito il Golfo del Messico proponiamo di conferire alle buone pratiche già in vigore in Europa valore di norma vincolante in tutta l'Unione".


Cattolico violenta cadavere della nipote
di Sherif El Sebaie - http://salamelik.blogspot.com - 12 Ottobre 2010

Pare che lo "zio" accusato di aver strangolato la nipote quindicenne per poi abusare del suo cadavere fosse un fervente cattolico. Per ben tre volte sarebbe addirittura tornato di fronte alla buca dove aveva buttato il corpo per pregare, recitare l'Ave Maria e farsi il segno della Croce.

Che fosse un cristiano praticante lo si poteva intuire già quando il Corriere riferì che il sospettato aveva ceduto, nel corso dell'interrogatorio, sulla leva religiosa, su quel "la vogliamo dare una sepoltura cristiana alla tua nipotina?" rivoltogli dagli inquirenti.

Eppure non vedo titoli allarmistici sull' "emergenza cristiani" e tanto meno riferimenti alla "dissimulazione cristiana" che ben traspare dall'intervista strappalacrime in cui il presunto colpevole raccontava la messinscena del ritrovamento del cellulare della vittima.

Non vedo giornalisti roteare come dervisci e parlamentari contorcersi come danzatrici del ventre cosi come hanno roteato e si sono contorti quando si trattava di illustrare la cattiveria degli "islamici che uccidono figlie e mogli".

E dire che per interi giorni questi stessi giornalisti e parlamentari ci hanno rotto gli zebedei con la storia del pachistano che, nel corso di una lite scatenata dal rifiuto di un matrimonio combinato da parte della figlia, ha ucciso la moglie con un mattone raccolto in giardino. Giù a discutere dell' "emergenza islamici", a farsi domande sulla loro possibile o meno "integrazione".

Hanno tirato in ballo l'Islam, il Corano, Maometto "il pedofilo" e chi più ne ha più ne metta. Si è parlato nientemeno che di "lapidazione" (ma lo sanno cos'è?). Alcuni musulmani, come al solito, sono stati gettati nella fossa televisiva, per essere letteralmente sbranati da quelli che su queste disgrazie campano da anni (senza ottenere risultati, anzi). Hanno rispolverato persino "Cristiano" Allam, manco fossimo a Pasqua.

Ora invece che lo "zio" - accusato di sequestro di persona, omicidio volontario, occultamento e vilipendio di cadavere - ci illustra benevolemente il suo profondo rapporto con la fede, nessuno si interroga e indaga su questo curioso fenomeno che spinge al pentimento religioso dopo aver praticato la necrofilia sul corpo di una minorenne strangolata. Eppure ce ne sarebbero, di domande da fare: non sulla religione, certo.

Lo so anch'io che non c'entra.

Ma anche l'Islam non c'entra con l'infibulazione, con i matrimoni combinati, con i delitti d'onore, con la lapidazione delle adultere, checché ne dicano i media e gli "esperti" allamatriciani.

Però io qualche domandina su questa televisione che sparge - volontariamente e consapevolmente - pregiudizi e luoghi comuni, alternando i fatti criminali agli spettacolini e ai concorsi degni del mercato delle schiave dove "basta giudicare l'aspetto fisico e la bellezza, che poi sia trans o altro va bene uguale", me la sarei posta. Ma non mi illudo: non lo farà nessuno.

Aspetteranno fiduciosi il prossimo pachistano che ucciderà la figlia per spiegarci che gli islamici sono abituati a trattare le donne "come oggetti". E se questa verrà seppellita rivolta verso la Mecca, ce lo diranno con dovizia di particolari, spiegando per filo e per segno il perché e il percome. Non sia mai che qualcuno pensi che l'Islam non c'entra.


La Repubblica Ebraica di Israele
di Gideon Levy - Haaretz - 10 Ottobre 2010
Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip

Ricordatevi questo giorno. È il giorno in cui Israele cambia il suo carattere. Coerentemente, potrebbe anche cambiare il nome in Repubblica Ebraica di Israele, come la Repubblica Islamica dell'Iran. Certo, il disegno di legge sul giuramento di fedeltà che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu sta cercando di far approvare presumibilmente interessa solo i nuovi cittadini non ebrei, eppure riguarda il destino di tutti noi.

D'ora in poi, con il bollo delle autorità, vivremo in un nuovo paese: etnocratico, teocratico, nazionalista e razzista.

Chiunque creda che tutto ciò non lo riguardi si sbaglia. C'è una maggioranza silenziosa che sta accettando tutto questo con preoccupante apatia, come a dire: «Non mi importa in che paese vivo». Anche chi pensa che il mondo, dopo questa legge, continuerà a relazionarsi con Israele come con una democrazia non capisce di cosa si tratta. È un altro passo che danneggia gravemente l'immagine di Israele.

Il primo ministro Netanyahu rivelerà oggi che è in realtà il leader di Yisrael Beinteinu, Avigdor Lieberman, e il ministro della giustizia Yaakov Neeman dimostrerà che è davvero un membro leale di Yisrael Beiteinu.

Il partito laburista dimostrerà che non è altro che uno zerbino

E oggi Israele dimostrerà che se ne frega di tutto.

Oggi il disegno di legge del giuramento di lealtà, presto la legge del giuramento di fedeltà.

La diga traboccherà oggi, minacciando di affogare i resti della democrazia fino a che, chissà, non rimarremo magari con una forma di Stato ebraico che nessuno capisce davvero, ma che certamente non sarà una democrazia. Chi chiede questo giuramento di fedeltà sta appropriandosi indebitamente della lealtà verso lo Stato.

Nella sua prossima sessione, la Knesset discuterà circa altri 20 altri disegni di legge antidemocratici. Durante quest'ultimo fine settimana, l'Associazione per i Diritti Civili in Israele ha stilato una "lista nera" dei disegni di legge: la legge di lealtà per i membri della Knesset, la legge di lealtà per le produzioni cinematografiche, la legge di lealtà per le associazioni non-profit (ponendo la catastrofe palestinese e la Nakba fuori dall'ambito della legge), il divieto di appelli al boicottaggio e un disegno di legge per la revoca della cittadinanza.

È una pericolosa danza maccartista da parte di legislatori ignoranti che non hanno nemmeno iniziato a capire in che cosa consista la democrazia. È pericoloso che persino solo una parte dei disegni di legge diventi legge, perché il nostro destino e la nostra essenza cambieranno.

Non è difficile capire il duo Netanyahu-Lieberman. Da nazionalisti dichiarati quali sono, non ci aspettiamo che comprendano che la democrazia non significa solo che la maggioranza detta legge, ma innanzitutto e soprattutto che le minoranze hanno diritti.

È molto più difficile comprendere la compiacenza delle masse. Le piazze delle città oggi avrebbero dovuto riempirsi di cittadini che non vogliono vivere in un paese dove la minoranza è oppressa da leggi draconiane come quella che li costringe a giurare un falso giuramento a uno stato ebraico, ma incredibilmente quasi nessuno sembra dolersene.

Per decenni, abbiamo inutilmente affrontato la questione di chi sia un Ebreo. Ora la questione di ciò che sia ebraico non se ne andrà via. Cos’è lo "Stato della nazione ebraica"?Appartiene più agli ebrei della Diaspora che ai suoi cittadini arabi? Decideranno il suo destino e questa sarà definita una democrazia?

La setta degli ultra-ortodossi Neturei Karta, che si oppone all'esistenza dello stato, insieme a centinaia di migliaia di ebrei che hanno evitato di venire qui, potranno fare ciò che vogliono? Che cosa è ebreo? Le festività ebraiche? Le prescrizioni alimentari Kosher? L'aumentato peso dell'establishment religioso, come se non ce ne fosse già abbastanza da falsare la democrazia?

Prestare giuramento a uno Stato ebraico ne deciderà la sorte. Si rischia di trasformare il paese in una teocrazia come l'Arabia Saudita.

È vero: per il momento si tratta solo di uno slogan vuoto e ridicolo. Non ci sono tre ebrei che possano essere d'accordo su come dovrebbe essere uno stato ebraico, ma la storia ci ha insegnato che anche gli slogan vuoti possono lastricare la strada per l'inferno.

Nel frattempo, la nuova normativa proposta non farà che aumentare l'alienazione degli arabi israeliani e alla fine sboccare in una alienazione di segmenti molto più ampi di popolazione.

Questo è ciò che succede quando il fuoco è ancora fumante sotto il tappeto, il fuoco della fondamentale mancanza di fiducia nella giustizia del nostro percorso. Solo una tale mancanza di fiducia è in grado di produrre una normativa così distorta come quella che sarà approvata oggi, e chiaramente l'approvazione sarà imminente.

Il Canada non ha bisogno che i suoi cittadini prestino giuramento allo Stato canadese, né in altri paesi si richiedono atti simili. Solo in Israele. E ciò è stato fatto in modo da provocare ulteriormente la minoranza araba e da spingerla verso una maggiore mancanza di lealtà, così un giorno arriverà il momento in cui finalmente ci si potrà liberare di loro, oppure è stato concepito per far naufragare la prospettiva di un accordo di pace con i palestinesi.

In un modo o nell'altro, come a Basilea, al Primo Congresso Sionista del 1897, fu fondato lo Stato ebraico, come disse Theodor Herzl, oggi sarà fondata la non illuminata Repubblica Ebraica di Israele.


Gli ultrà che hanno nostalgia di Milosevic
di Stefano Citati - www.ilfattoquotidiano.it - 13 Ottobre 2010

Sono vestiti di nero come i black-bloc che Genova ricorda, ma il loro credo è il nazionalismo e i loro gesti sono di guerra. Gli ultrà serbi fanno dell’orgoglio patrio la loro bandiera e di ogni occasione una sfida.

In questi giorni in cui si commemora l’anniversario della caduta di Milosevic – il 5 ottobre – gli estremisti sono in lutto per la fine della Grande Serbia e ricordano il tradimento della comunità internazionale che intervenne per salvare il Kosovo bombardando le terre sacre al nazionalismo di Belgrado.

Ora che il paese inizia la faticosa procedura per entrare nell’Unione europea gli ultrà si concentrano sul passato, sulla tradizione e sui capisaldi dei valori nazionali.

Domenica bande di estremisti religiosi ortodossi hanno aggredito a Belgrado i partecipanti al Gay Pride, avendo come alleati anziane donne armate di crocefisso. Alla fine oltre centocinquanta feriti, 71 arresti e un’inchiesta su Mladen Obradovic, il leader del movimento di destra Obraz (Onore).

Di formazioni paranazionaliste (e paramilitari) ve ne sono molte in Serbia, legate spesso a frange del tifo calcistico, che pescano nella nostalgia per un paese sconfitto e normalizzato. In un recente sondaggio i serbi hanno detto all’80% che il periodo migliore della loro storia è stato sotto il regime comunista di Tito (ma il 6% ha scelto l’ultimo dittatore Milosevic, morto nel 2006 mentre era sotto processo al tribunale internazionale dell’Aja).

Ieri gli ultrà che hanno interrotto la partita a Marassi inneggiavano alla passata potenza militare, alzando le tre dita della mano sinistra in segno di vittoria e innalzando lo striscione “il Kosovo è Serbia”; le tre dita (pollice, indice e medio) simboleggiano la croce ortodossa e lo slogan Forza Grande Serbia, rappresentando le radici cristiane del nazionalismo, e ricordando anche le milizie cetniche che nella Seconda guerra mondiale si schierarono con le truppe di Hitler che avevano invaso i Balcani.

Lo stesso saluto parafascista che le Tigri di Arkan – il leader delle truppe paramilitari degli anni ’90 che si faceva immortalare con un tigrotto, e un mitra, tra le braccia: e la cui moglie era la regina del turbo-folk, la musica tradizional-techno serba – facevano durante la guerra civile.

La tigre Arkan e i cetnici

Zeljko
Raznatovic (Arkan) era un capo tifoso della Stella Rossa Belgrado e svolgeva attività spionistiche e criminali (la mafia balcanica ha sempre avuto forti interessi nel calcio serbo); con la guerra si ricicla come capo di truppe paramilitari.

La commistione tra sport, nazionalismo e attività militari è una miscela che la fine della guerra e i governi democratici che si sono susseguiti a Belgrado non hanno spezzato; il rimpianto per i territori persi con l’intervento internazionale e l’ultima sconfitta in Kosovo hanno solo alimentato l’orgoglio nazionalista degli ultrà delle curve degli stadi serbi e di un popolo che non riconosce il ridimensionamento del ruolo del paese.

I primi a portare la bandiera di questo orgoglio patrio sono gli sportivi: le dichiarazioni feroci e le posizioni politiche estremiste hanno più volte creato imbarazzo anche in Italia, con le affermazioni di giocatori come Mihailovic (ora allenatore della Fiorentina) che non hanno mai rinunciato a dimostrare il loro attaccamento al paese.

Domenica la Serbia aveva battuto a Roma l’Italia per vincere il bronzo nei Mondiali di pallavolo; ieri per i tifosi estremisti al seguito della nazionale di calcio era l’occasione per ribadire la supremazia sportiva, inneggiare alla Grande patria che fu la Serbia, rovinare la serata agli italiani che parteciparono alla missione militare che difese l’etnia albanese del Kosovo dall’esercito di Belgrado.

E forse tra loro c’era anche chi ha voluto affossare definitivamente la propria nazionale che, in crisi da tempo (anche perché sembra divisa in clan), ha ormai poche speranze di qualificarsi per gli Europei.