martedì 28 agosto 2012

Siria update

Dopo la pausa estiva torniamo a parlare del conflitto siriano, giunto alle fasi decisive.



L'Occidente al tavolo siriano
di Michele Paris - Altrenotizie - 26 Agosto 2012

Una serie di vertici ad alto livello e di dichiarazioni ufficiali negli ultimi giorni hanno prospettato un prossimo intervento militare esterno da parte degli USA o dei loro alleati in Medio Oriente per rovesciare il regime di Bashar al-Assad e, apparentemente, cercare di risolvere la crisi in Siria. 

I segnali più significativi in questo senso sono giunti nuovamente dalla Turchia, dove, dopo la recente visita di Hillary Clinton, l’amministrazione Obama ha inviato nei giorni scorsi l’assistente al Segretario di Stato per il Vicino Oriente, Beth Jones, e alcuni esponenti dell’intelligence per pianificare i dettagli di un’operazione militare contro Damasco.

La posizione sempre più aggressiva di Washington è stata poi ribadita lunedì dallo stesso presidente Obama, il quale in una conferenza stampa alla Casa Bianca ha affermato per l’ennesima volta che Assad ha perso ogni legittimità a governare il proprio paese e deve quindi andarsene al più presto, poiché ormai non sussistono più le condizioni per una transizione politica concordata con le forze di opposizione.

Per Obama, l’impegno americano per il momento rimarrà di natura “umanitaria”, vale a dire che gli Stati Uniti continueranno a sostenere, finanziare e armare i ribelli anti-Assad. Secondo il presidente democratico, tuttavia, c’è una “linea rossa” che la Siria non deve oltrepassare e, cioè, l’utilizzo contro i civili delle armi chimiche di cui disporrebbe. Quest’ultimo scenario, così come l’eventualità in cui tali armi cadessero nelle mani sbagliate, costringerebbe gli USA a intervenire militarmente.

In sostanza, dal momento che Washington non riuscirà ad ottenere il via libera ad un attacco militare contro la Siria dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU a causa delle resistenze di Russia e Cina, le parole di Obama confermano come si stia studiano una soluzione che permetta di agire anche senza il mandato delle Nazioni Unite. 

L’occasione che permetterebbe tale scorciatoia sembra essere sempre più la necessità di mettere al sicuro il presunto arsenale di armi chimiche del regime di Damasco, oppure di prevenirne l’uso.

I piani di Washington sono stati in parte confermati recentemente da fonti del Dipartimento della Difesa citate dal Los Angeles Times. Il Pentagono avrebbe infatti già redatto un piano d’azione per inviare sul campo in Siria le proprie forze speciali con il compito di rispondere ad “una effettiva minaccia di guerra chimica”. 

L’operazione non verrebbe in ogni caso intrapresa dagli USA unilateralmente, riporta il quotidiano californiano, ma farebbe parte di uno “sforzo internazionale” coordinato con gli alleati europei e mediorientali.

Secondo i servizi di intelligence occidentali, come hanno riportato i media in questi mesi, la Siria disporrebbe di un certo numero di armi chimiche, come quelle al gas nervino (Sarin e VX) o all’iprite, stoccate in cinque depositi, situati anche in località gravemente colpite dagli scontri di questi mesi, come Hama e Homs. Nel sito di Cerin, inoltre, sorgerebbe un centro di ricerca e produzione di armi biologiche.

Il programma siriano per la costruzione di armi chimiche sarebbe iniziato negli anni Ottanta, grazie alla collaborazione con l’Unione Sovietica, per ridurre parzialmente il divario con il potenziale militare di Israele. Le notizie sono però incerte, dal momento che la Siria non è firmataria della Convenzione sulle Armi Chimiche del 1993 e perciò non è tenuta a dichiararne l’eventuale possesso.

La posizione di Damasco è stata finora quella di negare più o meno apertamente il possesso di queste armi, attribuendo le varie indiscrezioni alla propaganda occidentale. Il 23 luglio scorso è arrivata tuttavia una dichiarazione ufficiale che è stata universalmente interpretata come un’ammissione indiretta dell’esistenza di un arsenale chimico in Siria. 

Quel giorno, infatti, il portavoce del ministero degli Esteri, Jihad Makdissi, ha affermato che eventuali armi di distruzione di massa (WMD) della Siria non verrebbero mai usate contro i propri cittadini bensì solo in caso di invasione esterna.

L’accusa da parte di Washington ad un governo sgradito di possedere o voler utilizzare WMD non è d’altra parte nuova e il precedente più importante e rovinoso è ovviamente quello dell’invasione dell’Iraq del 2003 dopo una deliberata campagna di disinformazione orchestrata dall’amministrazione Bush. 

Ironicamente, Barack Obama vinse le elezioni presidenziali del 2008 proponendosi come il candidato che più si era opposto alla guerra contro il regime di Saddam Hussein, mentre ora è ad un passo dallo scatenare un nuovo conflitto in Medio Oriente sulla base di quelle stesse menzogne diffuse più di nove anni fa dal suo predecessore per operare un cambio di regime a Baghdad.

Inoltre, Obama e gli uomini a lui vicini, anche grazie ai media, parlano come se l’opinione pubblica fosse all’oscuro dei fatti che stanno accadendo in Siria. Quando cioè il presidente sostiene di voler evitare che le armi chimiche siriane finiscano nelle mani sbagliate si riferisce ai gruppi estremisti attivi da tempo in Siria. 

Questi stessi gruppi legati ad Al-Qaeda, tuttavia, sono sostenuti direttamente o indirettamente proprio dagli Stati Uniti e dai loto alleati, i quali li ritengono utili in questa fase della crisi per dare una spallata ad Assad che, di fronte alle sole forze ribelli sunnite, in gran parte disorganizzate e indisciplinate, avrebbe garantita una lunga permanenza al potere.

In altre parole, mentre è stata precisamente la politica americana di destabilizzazione nei confronti di Damasco a gettare le basi per l’afflusso in Siria di operativi di Al-Qaeda dai paesi vicini, gli USA affermano ora che il timore che questi stessi estremisti possano entrare in possesso di armi di distruzione di massa potrebbe spingerli ad intervenire militarmente.

Una simile posizione, oltretutto, fornisce credito a quanto ripetuto fin dallo scorso anno da Assad, secondo il quale le sue forze di sicurezza stanno combattendo dei terroristi armati e non civili siriani che si battono per la democrazia. Rigorosamente allineati alla propaganda dei governi occidentali e dei regimi sunniti del Golfo, però, i media “mainstream” si astengono dal sottolineare tale contraddizione.

La retorica di Obama e degli altri leader impegnati sul fronte anti-Assad nasconde a malapena la vera ragione che li spinge ad appoggiare i ribelli siriani, anche se pesantemente infiltrati da membri di Al-Qaeda, e cioè la volontà di rimuovere con la forza il regime di Damasco, tassello fondamentale per l’asse di resistenza mediorientale che comprende anche l’Iran e Hezbollah in Libano. 

Ciò che guida la politica statunitense sono dunque esclusivamente i propri interessi nella regione, da perseguire anche con una nuova guerra, senza alcun riguardo per gli effetti devastanti che avrebbe su una popolazione civile già duramente provata o per la quasi certa esplosione di un conflitto settario le cui avvisaglie si stanno da qualche tempo osservando drammaticamente in Libano.

La questione delle armi chimiche, possibile casus belli per giustificare un’aggressione contro Assad, è stata discussa intanto anche mercoledì nel corso di un colloquio telefonico tra Obama e il premier britannico, David Cameron. 

La conversazione è stata ben propagandata dai media che stanno contribuendo allo sforzo dei governi occidentali di preparare l’opinione pubblica per un prossimo attacco contro la Siria.

I due leader hanno concordato nell’affermare che l’uso o la minaccia dell’uso di WM da parte di Damasco è “del tutto inaccettabile”, perciò una tale mossa da parte di Assad li “obbligherebbe a rivedere l’approccio mantenuto finora” sulla crisi siriana.

Queste dichiarazioni allarmate si scontrano con quanto riportato invece dal quotidiano russo Kommersant, secondo il quale il Cremlino ritiene che la Siria non abbia alcuna intenzione di usare armi chimiche nel conflitto interno e che il governo è in grado di proteggere adeguatamente il proprio arsenale.

Rassicurazioni in questo senso la Russia le avrebbe ricevute nel corso di “colloqui confidenziali” con le autorità di Damasco. Lo stesso punto lo ha ribadito poi venerdì anche il vice-ministro degli Esteri russo, Gennady Gatilov, in un’intervista alla Associated Press. Quest’ultimo ha affermato che le autorità siriane stanno collaborando con Mosca per mantenere le armi chimiche al sicuro ed esse rimarranno negli attuali siti che le ospitano.

Il pretesto delle armi chimiche ha come previsto provocato l’ulteriore irrigidimento dei governi vicini a Damasco, a cominciare dalla Cina, aumentando le probabilità di un coinvolgimento delle principali potenze del pianeta in un eventuale conflitto. Nella giornata di mercoledì, infatti, l’agenzia di stampa di Pechino, Xinhua, ha pubblicato un duro editoriale che sembra riflettere il pensiero dei vertici del regime.

L’articolo critica apertamente Obama, accusato di aver utilizzato la presunta pianificazione da parte della Siria dell’uso di WMD come giustificazione per intervenire militarmente. Per Xinhua le parole di Obama sono “pericolosamente irresponsabili”, poiché potrebbero causare un aggravamento della situazione in Siria e allontanare ulteriormente le residue possibilità di trovare una soluzione pacifica alla crisi.

Le accuse cinesi all’amministrazione Obama si allargano fino a comprendere l’intera strategia americana in Medio Oriente e altrove, dal momento che gli Stati Uniti, “con il pretesto dell’intervento umanitario, hanno sempre cercato di rovesciare governi considerati come una minaccia ai propri interessi nazionali per rimpiazzarli con altri meglio disposti” nei loro confronti. 

Questo, avverte Pechino, è il copione che Washington sta seguendo anche in Siria, dove l’obiettivo ultimo è il cambio di regime, da ottenere con o senza il via libera della comunità internazionale.


Perché la Siria non cadrà: la schiacciante sconfitta dell”esercito libero siriano”
di Ghaleb Kandil - http://globalresearch.ca - 25 Agosto 2012
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

I recenti sviluppi in Siria hanno rivelato una serie di segni importanti che avranno ripercussioni decisive sulla guerra globale degli Stati Uniti per distruggere questo paese. A differenza delle informazioni e delle impressioni degli strateghi statunitensi e dei loro complici europei e arabi, trasmessi da centinaia di media impegnate nella battaglia, gli squadroni della morte, i mercenari e i gruppi takfiristi provenienti da tutto il mondo, hanno subito una pesante sconfitta in battaglia. 

Tuttavia, gli ufficiali turchi e i loro alleati del Qatar e dell’Arabia Saudita avevano promesso, come hanno già fatto l’anno scorso e durante lo stesso periodo, che il mese di Ramadan vedrà la caduta del regime che resiste in Siria. Queste illusioni sono ancora una volta crollate sul campo di battaglia, in cui le bande armate hanno subito la perdita di migliaia di morti, feriti e prigionieri.
In effetti, l’attacco globale lanciato dagli estremisti contro Damasco si è concluso, anche con il riconoscimento dei media occidentali, con perdite enormi. 

Di conseguenza, la forza che comprendeva mercenari locali e jihadisti di tutto il mondo, è stata completamente annientata dall’esercito siriano, che sta rastrellando i resti, alla periferia della capitale. 

Di conseguenza, tonnellate di armi sono state confiscate e le infrastrutture pesanti dei gruppi armati sono state smantellate e distrutte, ciò richiederà mesi per ricostruire i gruppi armati, se saranno sempre in grado di farlo.
L’esito della battaglia di Aleppo d’altro canto era già noto, mentre gli estremisti cadono a migliaia di fronte ai progressi metodici dell’esercito, che è stato in grado di tagliare completamente le linee di rifornimento dei mercenari, che venivano addestrati campi della CIA in Turchia. 

Di conseguenza, le bande armate non possono più inviare rinforzi, senza dover pagare un prezzo pesante. Per quanto riguarda i convogli di 4×4 dotati di armi pesanti, e che sono stati offerti dai loro sponsor regionali, si muovono sotto il fuoco degli elicotteri dell’esercito e degli aerei, cadendo nelle imboscate tese dalle forze d’elite che si sono infiltrate nelle linee nemiche.
Secondo gli esperti, un terzo dei gruppi estremisti era composto da jihadisti del Maghreb arabo, della Libia, del Golfo, dell’Afghanistan, del Pakistan e della Cecenia. A questo punto, il capo dell’intelligence dell’Unione Europea, il francese Patrice Bergamini, ha riconosciuto in un’intervista con il quotidiano libanese al-Akhbar del 17 agosto, l’importante ruolo svolto dai jihadisti nel conflitto siriano, sottolineando che l’opinione pubblica occidentale era ormai consapevole della minaccia che rappresentavano. E’ chiaro che la pulizia dell’esercito siriano della città di Aleppo e nella sua periferia, sia ora una semplice questione di tempo.
La schiacciante sconfitta subita dalle bande armate in tutta la Siria rivela che l’esercito arabo siriano è stato costruito su solide basi ideologiche, traendo rapidamente le lezioni della guerra e sviluppando strategie di contro-guerriglia urbana e rurale, che gli ha consentito di colpire gli estremisti, nonostante l’aiuto militare massiccio, il materiale, i mezzi finanziari e mediatici che gli sono stati generosamente offerti dalla coalizione di decine di paesi, per non dimenticare le sanzioni adottate contro il popolo siriano e il suo stato, al di fuori del quadro delle Nazioni Unite.
Al fine di comprendere gli sviluppi della situazione, è anche importante analizzare lo stato mentale del popolo siriano. Senza un reale sostegno popolare, naturalmente ignorato dai media occidentali, il presidente Bashar al-Assad e il suo esercito non sarebbero stati in grado di resistere e di scoraggiare questo tipo di attacco. 

Il sostegno popolare è dovuto a tre fattori. In primo luogo, la maggior parte dei siriani è consapevole del fatto che il loro paese è bersaglio di un complotto che mira a soggiogare la Siria, a includerlo nel campo occidentale imperialista, e di conseguenza rimuoverlo da tutte le equazioni regionali, sapendo che nel corso di questi ultimi quattro decenni la Siria è stata al centro degli equilibri di potere, e che nulla poteva essere fatto in Medio Oriente senza la sua presenza e partecipazione. 

Queste ampie fazioni popolari sono collegate all’autonomia politica del loro paese e sono disposte a lottare per difenderla, il che spiegherebbe perché migliaia di giovani si sono volontariamente uniti ai ranghi dell’esercito.
D’altra parte, gli esperti ritengono che il venti per cento dell’opinione pubblica, che a un certo punto ha simpatizzato con l’opposizione, ha scoperto il vero volto degli estremisti, che moltiplicavano i loro atti di ferocia nelle zone sotto il loro controllo (stupri, esecuzioni, massacri, saccheggi …). 

Alla luce di questa trasformazione che interessa lo stato d’animo popolare, soprattutto nelle zone rurali, dove le persone si sono spaventate e stancate, lo Stato siriano ha avviato una sistema di comunicazione discreto permettendo alla popolazione di informare l’esercito sulla presenza di terroristi, il che spiegherebbe come e perché, in queste ultime settimane, le unità speciali e la forza aerea sono state in grado di portare a termine attacchi ben progettati, contro le basi delle bande armate.
In parallelo a tutti gli sviluppi sul terreno, gli alleati regionali e internazionali di Damasco hanno dimostrato rigore, sviluppando iniziative politiche e diplomatiche per evitare di lasciare campo libero agli occidentali. 

A questo livello, il successo della riunione a Teheran tra trenta paesi, tra cui Cina, India, Russia, nove paesi arabi e latino-americani e dell’Africa australe, ha creato questo nuovo equilibrio di potere. 

La formazione di questo gruppo costituisce un messaggio forte per gli occidentali, mettendo seriamente in pericolo il loro progetto di istituire, al di fuori del quadro delle Nazioni Unite, una no-fly zone nel nord della Siria. 

Gli ultimi mesi del 2012 saranno decisivi, con l’emergere di nuovi equilibri regionali e internazionali, e l’elaborazione di una nuova immagine, partendo da Damasco, grazie alla vittoria dello stato nazionale siriano nella guerra globale condotta contro di esso.

Sviluppi in rapido movimento
Fino alle elezioni presidenziali statunitensi, che si terranno all’inizio di novembre, gli sviluppi interni siriani, regionali e internazionali saranno sempre più veloci. Ovviamente, l’intervento militare straniero, siano esso interno o esterno al Consiglio di sicurezza, è fuori questione, mentre le sanzioni hanno raggiunto i livelli più alti, mentre il capitolo VII è scoraggiato dal diritto di veto. 

Dopo le elezioni presidenziali statunitensi, vedremo la materializzazione degli obiettivi politici statunitensi, e in particolare della NATO, della Turchia e del Golfo, in parallelo alle ripercussioni che interesseranno la macchina militare che operava attraverso il confine e nei territori siriani.
Quindi, ci dovrebbe essere un riconoscimento dell’impossibilità di indurre cambiamenti nella geografia e nel ruolo della Siria, cosa che dovrebbe indurre i preparativi a negoziati seri e a soluzioni politiche, che sono stati respinti dagli statunitensi, che si rifiutano anche di rispondere all’invito rivolto dalla Russia a un incontro; o a sostenere l’alleanza bellica e la mobilitazione delle ostilità da tutte le direzioni, vale a dire dalla conferenza della Mecca alla visita del ministro degli esteri francese negli stati confinanti con la Siria, per assemblare la carta della maggiore pressione possibile.
Non ci saranno zone di sicurezza, e senza embarghi aerei o sforzi per isolare completamente alcune regioni di confine dal controllo dello Stato, al fine di verificare le possibilità di stabilire mini-stati, simili a quelli stabiliti da Saad Haddad e Antoine Lahd sotto la tutela israeliana, nel sud del Libano. 

A questo punto, la scommessa è sulla campagna di Aleppo, al quale tutti coloro che hanno venduto il loro onore tra i dissidenti, saranno introdotti a seguito dei preparativi a Doha, Riyadh e Amman per concedere una forma di legittimità al progetto di frammentazione.
D’altra parte, Lakhdar Brahimi è stato nominato inviato e mediatore per la soluzione politica e la missione di osservatori era volta a preparare il campo a tutte le possibilità. Brahimi passerà del tempo da turista, prima che una decisione venga adottata, mentre la Siria resiste con il suo esercito e il suo popolo tracciando, a partire da Aleppo e dalla sua periferia, il corso del cambiamento imminente.


La realpolitik offusca la "linea rossa" degli Stati Uniti in Siria
di Pepe Escobar - Asia Times - 24 Agosto 2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di REIO 

Le armi di distruzione di massa (WMD) sono tornate, come se non avessimo mai lasciato i giorni di gloria di Dubya (nomignolo di George W. Bush). No, non hanno trovato l' inesistente scorta segreta di Saddam su Ebay, si tratta di quella esistente di Bashar al-Assad. 

E non sono le armi di distruzione di massa il pretesto per una invasione ed una occupazione, sono il pretesto per qualsiasi eufemismo l'amministrazione Obama voglia creare per definire “attività militare cinetica”.

Tutta la faccenda è particolarmente sospetta, considerando che Damasco non userà mai armi chimiche contro i “ribelli”.

Il presidente americano Barack Obama: “Per noi il limite viene superato quando [se] cominciamo a vedere un sacco di armi chimiche che si muovono o vengono utilizzate.” [1]

Così adesso anche pochi contenitori di gas mostarda in un deposito possono costituire un casus belli. Ma è così palese? Obama ha detto che questa è “una” red line – implicando che ce ne possono essere altre non specificate (nascoste).

Obama ha anche fatto pressione sulle “paure” di Washington dicendo che le armi di distruzione di massa siriane possano “cadere nelle mani di persone sbagliate”. Considerando che la Central Intelligence Agency (CIA) – assieme alla Gulf Cooperation Council (Gcc) fedele all' Arabia Saudita e al Qatar – è al lavoro per militarizzare la miriade di gruppi che costituiscono il Non Esattamente Esercito Libero Siriano, che comprende centinaia di jihadisti salafiti, questa è una chiara ammissione che nei fatti sono loro le “persone sbagliate”. Ergo, le “persone giuste” sono quelle del regime di Assad.

Quello era un messaggio in codice da Obama alla Turchia – implicito che se avesse invaso il nord-ovest Siriano, oggi praticamente un' area autonoma curda, lo avrebbe dovuto fare da sola, senza NATO e senza Pentagono? Quello era un messaggio alle “persone sbagliate”, ovvero ai “ribelli”, indicando che a parte le manovre segrete dalla dubbia efficacia della CIA, erano da soli?

Queste due possibilità sono state avanzate dal sito Moon of Alabama. [2]

Eppure l' amministrazione Obama deve essersi finalmente resa conto che un possibile post-Assad, gestito dalla Fratellanza Musulmana siriana – molto più spietata e settaria della controparte egiziana – non sia esattamente una scommessa vincente.

La Casa Bianca e il Dipartimento di Stato sono lividi contro il presidente egiziano Mohammed Morsi per la purga della Corte Suprema delle Forze Armate e per il suo prossimo viaggio diplomatico verso – voglia il cielo – Pechino e al summit di Teheran del Movimento dei Paesi Non Allineati. Se la Fratellanza Musulmana in Egitto riesce a portarlo a termine, immaginate in Siria, che non era sotto la sfera di influenza di Washington.

Allora perchè non lasciare che tutto si trascini in una Libanizzazione – piuttosto che in una Somalizzazione – uno scenario che faccia perno sull' esercito siriano e indebolisca il governo centrale di Damasco, eliminando così la “minaccia” nel caso in cui il duo di guerrafondai Bibi (Netanyahu) e Barak in Israele portino avanti un attacco all' Iran ?

Riempite la vostra democrazia con le bombe


Vediamo com' è la situazione attuale. Le Tre Grazie (Belligeranti) – Hillary Clinton, Susan Rice e Samantha Power – e la loro dottrina R2P (“responsabilità di proteggere”), applicata “con successo” in Libia, ha miseramente fallito in Siria.

Non ci sarà nessuna “no-fly-zone” - di fatto una dichiarazione di guerra. Non ci sarà nessun bombardamento “umanitario”; è stato bloccato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non meno di tre volte dal voto russo e cinese.

Su questo, tutta la vecchia decade di isteria sulla “war on terra” ha dimostrato di essere una truffa intergalattica; la CIA, assieme alla dinastia Saud e Qatar, è di nuovo fianco a fianco con jhadisti salafiti, una varietà di al-Qaeda che allegramente combatte la repubblica laica araba.

La questione chiave siriana dipende dal modo in cui Russia e Cina vedono il limite di Obama.

Ecco la risposta russa. [3] La sostanza è che gli Stati Uniti dovrebbero rispettare le “norme del diritto internazionale”; no alla “democrazia delle bombe”; e solo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha il potere di autorizzare un attacco alla Siria. Ancora una volta, Russia e Cina, per 3 volte, hanno detto no alla guerra.

E qui la risposta cinese. [4] Non attraverso la diplomazia, come ha fatto il Ministro degli Esteri Russo Sergei Lavrov, ma attraverso un editoriale di Xinhua, che nel contesto cinese rappresenta la versione ufficiale di Pechino. Il titolo dice tutto: “Gli avvertimenti di Obama alla 'red line' sono rivolti alla ricerca di un nuovo pretesto per l' intervento in Siria”.

Probabilmente questa è la citazione più importante – una sintesi della politica estera degli Stati Uniti secondo Pechino; “Non è difficile constatare che, sotto la maschera dell' umanitarismo, gli Stati Uniti hanno sempre provato a distruggere i governi considerati una minaccia per i loro cosiddetti interessi nazionali e li hanno inesorabilmente rimpiazzati con qualcuno Washington-friendly.”

Tutti i giocatori chiave – Stati Uniti, Russia e Cina – sanno che Damasco non commetterà mai la follia di usare (o “muovere”) armi chimiche. Quindi non meraviglia il perchè Mosca e Pechino siano estremamente sospettosi, questa mossa della “red line” potrebbe essere un'altra manovra ingannevole di Obama, come per il caso “leading from behind” in Libia (un' assurdità; di fatto l' attacco alla Libia fu iniziato dalla Africom e poi trasferito alla NATO).

Come ha riportato per oltre un anno Asia Times Online, ancora una volta il quadro è chiaro; questa è una battaglia titanica fra NATO-GCC e i membri BRICS Russia e Cina. La posta è niente di meno che il controllo delle leggi internazionali, che vengono costantemente gettate nello scarico da quando su tutto il Vietnam è stato spruzzato l'Agent Orange, passando dall' invasione di Dubya dell' Iraq nel 2003, e con il “bombardamento umanitario” della Libia si è raggiunto un punto abissale. Senza menzionare la minaccia giornaliera di bombardare l' Iran da parte di Israele – come se fosse un giretto al negozio kosher.

Bene, si può sempre sognare di un giorno in cui un mondo multipolare darà il benservito a questi che sbandierano red line. 


Note:

1 Obama Threatens Force Against Syria, New York Times, 20 agosto 2012
2 http://www.moonofalabama.org/2012/08/obama-to-assad-do-whatever-you-need-to-do.html, Moon of Alabama, 21 agosto 2012
3 Russia warns West on Syria after Obama threats, Reuters, 21 agosto 2012
4 Obama's "red line" warnings merely aimed to seek new pretext for Syria intervention, 22 agosto 2012 


Siria: un'altra Libia?
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 23 Agosto 2012
Bombardamenti e combattimenti a Damasco e Aleppo, emergenza profughi e minacce di contagio al vicino Libano, un nuovo inviato dell’Onu, colloqui diplomatici senza sosta e senza frontiere sono i colori con i quali il disegno siriano viene presentato agli occhi dell’opinione pubblica e vengono utilizzati come pretesto per i recenti scatti in avanti di Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna - cui vorrebbe aggiungersi anche l’Italia - e per il rafforzamento dell’intervento militare diretto e indiretto dell’Occidente che ormai non nega più la sua pesante ingerenza nella crisi siriana.

Ieri i responsabili di Stati Uniti e Turchia si sono riuniti ad Ankara per gettare le basi di un "meccanismo operativo" finalizzato a preparare il post Bashar al Assad in Siria. Stando a  quanto indicato da fonti diplomatiche di Ankara, diplomatici, militari e responsabili dei servizi di sicurezza, diretti dal vice segretario di stato Elizabeth Jones, da parte americana, e il sottosegretario di stato aggiunto agli Affari Esteri Halit Cevik, da parte turca, hanno l'obiettivo di coordinare le risposte di fronte alla crisi siriana in materia militare, politica e di intelligence. 

Il principio di un meccanismo simile è stato deciso nel corso di una visita a Istanbul, l'11 agosto, del segretario di stato americano Hillary Clinton: gli Stati Uniti hanno annunciato di voler accelerare la fine del regime di Damasco.

Apparentemente i colloqui verterebbero anche su altri due temi: quello dell’arsenale chimico siriano e l’emergenza profughi che comincia a diventare un problema a carattere regionale. E se per quest’ultimo aspetto turchi e americani devono raggiungere un' intesa sulla previsione e la creazione di una zona cuscinetto alla frontiera turca in caso di consistente afflusso di rifugiati siriani, per quanto riguarda l’arsenale chimico di Assad le cose sono decisamente più complicate.

Il rischio che in qualche modo al-Queda possa metterci le mani sopra non è remoto, dal momento che una buona quota dei rivoltosi appartengono all’organizzazione terroristica e un’altra porzione significativa intrattiene con essa legami di riconoscenza ed affiliazione religiosa. 

Diversamente dalla situazione libica, dove l’intervento di al-Queda è stato in parte ridotto dal peso delle tribù della Cirenaica, in Siria la penetrazione terroristica tra le fila degli insorti può risultare molto più difficile da ridimensionare.

Proprio parlando del rischio di utilizzo di armi chimiche come estrema difesa da parte del regime siriano, Obama ha paventato un intervento militare diretto statunitense, attirandosi non solo le critiche del governo di Damasco, ma anche quelle del governo cinese e di quello russo. Damasco ha parlato espressamente dell’allarme sulle armi chimiche come “pretesto per un intervento militare diretto”.

Critiche sono arrivate anche dalla Cina, attraverso l'agenzia Xinhua, che ha fatto propria la posizione del regime, spingendosi a definire le dichiarazioni di Obama "pericolosamente irresponsabili". Un duro monito è arrivato anche dalla Russia, che ha accusato i Paesi occidentali di fomentare la rivolta, aiutando le forze che combattono Assad.

Ovviamente, le dichiarazioni di Obama sono state immediatamente condivise da Cameron, primo attore sin dall'inizio della guerra contro Assad. A lui ha fatto eco il Ministro degli Esteri italiano Terzi, che in una intervista a La Repubblica ha ricordato come l'Italia "sta operando in maniera attiva e sta considerando la dotazione all'opposizione siriana di strumenti di comunicazione utili per prevenire attacchi".

Insomma, la crisi siriana sembra incamminarsi a passi veloci verso il suo epilogo sul modello di quella libica. Ma, diversamente da quanto avvenuto a Tripoli, l’Occidente dovrà intervenire senza lo scudo formale dell’Onu, dal momento che sia Pechino che Mosca non sono disponibili ad approvare risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che aprano la strada all’intervento militare diretto delle forze militari statunitensi, inglesi e francesi.

Per la santa alleanza del disordine mondiale sarà dunque necessario bypassare le istituzioni internazionali e lo sforzo per coinvolgere l’Organizzazione Islamica Internazionale e Lega Araba sarà l’unica possibilità per Obama di trasformare in un’operazione di polizia internazionale quella che, con ogni evidenza, sarà un arma disperata destinata ad invertire i sondaggi per le presidenziali di Novembre. Accettare un’ulteriore presa di distanza dall’elettorato più liberal, può ben essere bilanciato dall’affrontare le urne con le vestigia del “comandante in capo”.


Il conflitto siriano e l'ipocrisia occidentale
di Massimo Ragnedda - http://notizie.tiscali.it - 23 Agosto 2012

Quanta ipocrisia dietro il conflitto siriano. E quanta malafede nella disinformazione. In Siria è in atto una guerra civile, molto delicata e che travalica i confini nazionali. È una guerra tra interessi geostrategici e fazioni opposte, sostenute e foraggiate da grandi potenze per motivi contrapposti.

Quella in Siria è una guerra per ridisegnare il Medio Oriente, per estendere i propri interessi e la propria egemonia, per controllare confini e risorse, per conquistare mercati e alleati.

Basta con tutta questa ipocrisia occidentale dei diritti umani. Parliamoci chiaro senza prenderci in giro: alle potenze occidentali (non dico all’opinione pubblica, ma ai governi piegati agli interessi delle multinazionali) non interessa un fico secco dei diritti umani, così come non interessano alla Cina e alla Russia, ma sono solo un pretesto usato per coprire le reali ragioni che spingono gli stati ad entrare in guerra.

Altrimenti non si capirebbe come si possa condannare la Siria e salvare l’Arabia Saudita (probabilmente una delle peggiori dittature al mondo), salvare la crudele repressione del Baharain, giustificare il Qatar e l’aver tollerato per 30 anni Mubarak. 

Non sto difendendo Assad e suoi crimini, ma sono nauseato dall’ipocrisia di chi parla di violazione dei diritti civili e della necessità di un “intervento umanitario” - vecchio slogan sempre buono nel mondo occidentale per giustificare le peggiori nefandezze - della comunità internazionale, intendo per essa l’Occidente e la Nato.

In Siria è in corso una guerra molto più delicata di quanto molto semplicisticamente ci viene raccontata. La Cina, la Russia e l’Iran sostengono Assad, ognuno per i propri motivi e non certo per questioni etiche e o umanitarie. 

Così come USA, Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita e Turchia sostengono, armano e finanziano i ribelli e non di certo per ragioni umanitarie.

Ma perché prenderci in giro allora e sostenere che noi occidentali buoni siamo là per proteggere i diritti umani? Diritti di chi? Smettiamola di sentirci i detentori dei diritti umani a livello globale e di poter decidere le sorti del mondo, sulla base della nostra idea di mondo

Smettiamola di crederci superiori, perché la restante parte del mondo, ovvero la stragrande maggioranza, non ci crede più. Vogliamo dire che in Vietnam gli Stati Uniti sono intervenuti per motivi etici? E in Kosovo? E in Afganistan? E in Iraq? E in Libia

E perché da decenni oramai salva Israele da tutte le condanne delle Nazioni Unite contro le sue violazioni? E perché allora sostiene l’Arabia Saudita o il Baharain dove oggi vi sono in carcere più di 1400 persone ree di aver protestato contro il regime?

Mi si scusi il tono, ma trovo offensivo per l’intelligenza umana credere che la Turchia (quella che reprime i curdi e che nega loro i più elementari diritti civili e che ha lasciato in carcere per 10 lunghi anni Leyla Zana, una parlamentare curda, solo per aver detto, durante il giuramento in parlamento, queste parole in curdo “faccio questo giuramento in nome della fratellanza tra il popolo curdo e turco”) stia intervenendo per ragioni umanitarie.

Trovo offensivo per l’intelligenza umana credere che l’Arabia Saudita (quella che ha finanziato, sostenuto e sorretto i talebani in Afganistan e che esporta il peggior fondamentalismo religioso in Somalia e nello Yemen, in Nigeria e in buona parte del continente africano) sia in Siria con i suoi mercenari per difendere i diritti civili.

Francesi, americani, inglesi sono operativi sul suolo siriano da altre un anno, aizzando la rivolta, armando e preparando militarmente l’esercito di ribelli ai quali è stato dato il nome di “Esercito Siriano libero”, come nelle migliori strategie di marketing, un brand da vendere tramite le proprie Tv.

In Siria sono operativi molti mercenari fondamentalisti provenienti da diverse parti del mondo che combattono la loro guerra e non lo fanno di certo in nome dei diritti civili. Niente di nuovo sotto il sole se poteri e interessi contrapposti cercano di trarre i loro vantaggi aiutando ora l’uno, ora l’altro attore in guerra.

In nome della Realpolitik tutti gli stati finanziano gruppi ribelli o truppe filogovernative. L’Occidente finanzia i ribelli in Siria e le truppe filo regime in Bahrain, perché esistono rivolte buone e rivolte cattive, rivolte utili e rivolte dannose per i propri interessi. 

Pensiamo a cosa succederebbe se la Cina e la Russia decidessero di fornire armi, soldi e tecnologia paramilitare ai ribelli del Bahrain. La rivolta si estenderebbe e intensificherebbe, vi sarebbero maggiori attacchi terroristici e maggiore repressione. Quello, insomma, che succede oggi in Siria.

Niente di nuovo, dicevamo. E allora smettiamola di prenderci in giro e far finta che vogliamo intervenire militarmente in Siria per i diritti umani: vogliamo intervenire in Siria perché ci conviene. Punto. Così come evitiamo che nel Bahrain la rivolta dilaghi. Evitiamo, perché ci conviene. Un altro punto.  

In Siria si combatte una guerra civile per tutelare gli interessi di altre grandi potenze, con morti e torture da entrambe le parti che vede contrapposto un gruppo di ribelli armati dall’Occidente e un esercito regolare che difende gli interessi del regime ed entrambi si stanno macchiando di crimini contro l’umanità

Nel bel mezzo la povera gente che, come sempre, paga il prezzo più alto.

giovedì 2 agosto 2012

Il Bastardo

Una settimana fa le parole di Draghi avevano fatto volare le Borse e scendere immediatamente lo spread Btp-Bund.

Oggi invece le sue parole hanno sortito esattamente l'effetto contrario.

L'ennesima presa per il culo quindi o più probabilmente l'avanzamento del piano per mettere definitivamente il cappio intorno al collo di Spagna e Italia, i due Stati più vicini alla condanna a morte?

Una condanna che non verrà mai eseguita, anche se il cappio sarà sempre tenuto ben stretto...


Due note nel dramma
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 2 Agosto 2012

Draghi oggi: “Prima i governi facciano affidamento sui fondi salva Stati, EFSF e MES, e a condizioni molto severe”.

Come volevasi dimostrare. Prima ci becchiamo la Troika dell’economicidio terminale, poi quando siamo ridotti come la Grecia, semmai la BCE apre i rubinetti.

Monti, sei un bugiardo, un criminale e un buffone.

I mercati sono Keynesiani, lo sono da anni, perché da anni reagiscono con la massima violenza a una notizia: il numero di posti di lavoro creati in un dato Paese. Se sono meno delle aspettative – ripeto: MENO DELLE ASPETTATIVE, NON PIU’ DELLE ASPETTATIVE – vanno nel panico e fuggono coi capitali da quel Paese. Cristo, lo capirebbe un tonno che Keynes aveva ragione, e i mercati lo sanno benissimo.

Sono gli stipendi che creano i consumi, che creano produzione, che salva le aziende, le quali assumono e creano altri stipendi e la ruota gira di nuovo. Lo Stato è il primo garante e iniziatore di questa ruota, l’unico possibile.

E’ QUESTO CHE FA ECONOMIA, NON IL CONTRARIO SIGNORA FORNERO, ignorante sicaria della distruzione dell’occupazione italiana.


Il vizietto di Draghi
di Cecchino Antonini - http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it - 31 Luglio 2012

Il comitato di sorveglianza interna dell'Ue ha avviato un'indagine su Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (BCE) per conflitto di interessi

Lo annuncia la Reuters ma su un'altra agenzia, l'Afp, Gundi Gadesmann, la portavoce del mediatore europeo, smentisce e deplora la "drammatizzazione di questo caso" due giorni prima di un'importante riunione del Consiglio direttivo della BCE. "Nessuna indagine è stata aperta", ha assicurato.

L'accusa a Draghi giunge dall'Osservatorio dell'Europa industriale (Corporate Europe Observatory, CEO), una campagna indipendente che monitorizza l'influenza dei poteri forti sulle decisioni di Strasburgo e Bruxelles. 

Draghi, secondo CEO, non sarebbe totalmente indipendente a causa della sua appartenenza al G30, il forum internazionale che riunisce i leader di pubblico e privato del settore finanziario.

"Abbiamo ricevuto una denuncia e abbiamo inviato una lettera alla Bce. Ora stiamo aspettando una risposta", ammette la signora Gadesmann. La BCE ha tempo fino alla fine di ottobre per rispondere. 

A quel punto il mediatore, Nikiforos Diamantoros, formulerà raccomandazioni “che non sono vincolanti", ha detto la sua portavoce. "Non abbiamo il potere di imporre sanzioni, cerchiamo di trovare una soluzione amichevole con cui tutti possono vivere".

"Il G30 ha tutte le caratteristiche di un veicolo di lobbying per le grandi banche private internazionali e il presidente della Banca centrale europea, non dovrebbe essere in grado di essere membro", ribatte l'Osservatorio.

Il 2 agosto, intanto, si riunirà il vertice della BCE per la sua decisione mensile di politica monetaria. Una data più attesa del solito dopo che la scorsa settimana Draghi ha dichiarato di essere "pronto a fare tutto il necessario per proteggere l'euro", provocando un rilassamento significativo nei mercati, in particolare obbligazionari.

Draghi era già stato criticato sulla sua carriera a Goldman Sachs dal 2002 al 2005 quando la banca Usa (in cui ha militato anche Monti) ha “aiutato" la Grecia a fare i suoi conti.

Alla fine del novembre scorso il presidente del CEO ha scritto al neo capo della Bce: «Dear Mr. Draghi si dimetta o lasci il Gruppo dei 30», aveva scritto Kenneth Haar per conto della campagna, citando le norme in materia di indipendenza della Bce. 

L'articolo 130 del trattato Ue recita infatti che "nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri né la Banca centrale europea, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, organi, uffici o agenzie, da qualsiasi governo di uno Stato membro o da qualsiasi altro organismo".

Anche il settore finanziario privato ed i suoi rappresentanti sono tra gli organi che potrebbero esercitare un'influenza indebita sulla banca. Di conseguenza, la Bce e il suo presidente hanno l'obbligo di mantenere una distanza adeguata da qualsiasi veicolo del settore finanziario. Il Gruppo dei Trenta è un gruppo di pressione dei banchieri del settore pubblico e privato. 

Tra i suoi membri spiccano dirigenti e consulenti di Morgan Stanley, JP Morgan Chase International e BNP Paribas. Quando il gruppo si presenta al pubblico, di solito è Jacob Frenkel da JP Morgan Chase International, che agisce come suo portavoce. 

Il Gruppo ha le caratteristiche di un veicolo lobbying per privati interessi finanziari.

Solo un altro banchiere può fingere di non vedere che la mission del gruppo è quella di influenzare il dibattito sulla regolamentazione del settore finanziario in tutto il mondo. 

Il Gruppo dei Trenta, ricorda Kenneth Haar è stato attivissimo in occasione di Basilea II, l'accordo del 2004 sui requisiti minimi di capitale in seguito accusato di molte delle calamità nel crisi finanziaria nel 2008. 

Il Ceo punta l'indice sulla «natura opaca delle attività dei membri. Non abbiamo modo di conoscere i dettagli del tuo coinvolgimento, dato che le riunioni dei soci sono riservate, inaccessubili al pubblico».

Il 27 giugno il CEO ha presentato una denuncia formale presso il Mediatore europeo perché l'appartenenza di Draghi al Gruppo dei Trenta è in contrasto con le regole della BCE in materia di etica. 

Il Gruppo dei Trenta è un forum esclusivo per i banchieri di alto livello, che riunisce i banchieri del settore privato, accanto a figure del governo e del mondo accademico. Il suo obiettivo dichiarato è quello di influenzare il banking pubblico e privato.

LE SUPERLOBBY, IL GOTHA SEGRETO DELL'ALTA FINANZA
Il Gruppo dei Trenta, spesso abbreviato in G30, si definisce un organismo internazionale di finanzieri leader e accademici che mira ad approfondire la comprensione delle questioni economiche e finanziarie e di esaminare le conseguenze delle decisioni prese nei settori pubblici e privati correlati a queste problematiche.  

È composto di trenta membri e comprende i capi delle principali banche private e banche centrali, così come i membri del mondo accademico e delle istituzioni internazionali

Tiene due riunioni plenarie ogni anno e organizza anche seminari, convegni, e gruppi di studio. Ha sede a Washington. E' stato fondato nel 1978 da Geoffrey Campana su iniziativa della Fondazione Rockefeller che ha anche fornito un finanziamento iniziale. 

Il suo primo presidente fu Johannes Witteveen, ex direttore di gestione del Fondo monetario internazionale. Oggi lo presiede Jean-Claude Trichet, predecessore di Draghi a Francoforte.

Nomi che ricorrono nelle superlobby internazionali di cui s'è occupato di recente il giornale Liberazione. Sempre il miliardario Rockfeller, cinque anni prima, aveva fondato la Trilateral commission, nome che deriva dalle tre aree a maggior sviluppo capitalistico: Nord America, Europa e Asia-Pacifico. 

Ognuna delle tre aree ha un suo presidente: per l'Europa è stato Mario Monti finché non è diventato presidente del consiglio; lo ha sostituito Jean-Claude Trichet, appunto. Il presidente italiano attualmente è Carlo Secchi (ex rettore della Bocconi).
 
Della Commissione fanno parte circa 400 persone tra banchieri, politici, editori, giornalisti, accademici; vi si entra solo su invito. È considerata una filiazione diretta del Gruppo Bilderberg, di cui condivide membri e ideologia. 

Il nome, stavolta, deriva dall'albergo in cui s'è riunito la prima volta nel '54, l'hotel Bilderberg di Oosterbeek, per iniziativa del principe Bernardo d'Olanda. È la più ristretta, esclusiva e segreta delle società (o sette) "internazionaliste". 

È governato da un comitato esecutivo, di cui fanno parte circa 30 persone (tra le quali Mario Monti e Franco Bernabè per l'Italia) elette per quattro anni rinnovabili. Il Gruppo si riunisce una volta l'anno in località esclusive e hotel di lusso, protetto da guardie armate che non fanno avvicinare nessuno, tanto meno la stampa. Le date e i luoghi sono segreti e chi vi è invitato ha l'obbligo della riservatezza, pena l'esclusione.  

Tra i nomi italiani: Giulio Tremonti, John Elkan, Paolo Scaroni, Tommaso Padoa-Schioppa. L'ultima conferenza nota si è svolta nel giugno 2011.

«Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come "internazionalisti" e di cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica integrate - un nuovo mondo, se volete. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole e sono rogoglioso di esserlo», scriveva nelle sue memorie David Rockfeller.  

Ancora: «I Bilderbergers sono in cerca dell'era del post-nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali. Sarebbe a dire, un'economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderbergers si concentrano su di un "approccio maggiormente tecnico" e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale», scriveva William Shannon del New York Times, ambasciatore in Irlanda per Carter e naturalmente membro del Bilderberg. 

Il loro è uno sforzo costante contro gli «eccessi della democrazia» e il «sovraccarico del sistema decisionale all'origine della crisi economica». Il barone Denis Winstop Healey, due volte ministro britannico tra i 60 e i 70, ne era convinto: «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza». 

«Le idee e la linea politica che vengono fuori dagli incontri annuali del Gruppo Bilderberg - scrive Daniel Estulin, un giornalista spagnolo che ha scritto un libro molto informato ("The true story of the Bilderberg Group", TrineDay) - sono poi usate per creare le notizie di cui si occuperanno le maggiori riviste e i gruppi editoriali del mondo. 

Lo scopo è quello di dare alle opinioni prevalenti dei Bilderbergers una certa attrattiva per poterle poi trasformare in politiche attuabili e di far pressione sui capi di stato mondiali per sottometterli alle "esigenze dei padroni del mondo". La cosiddetta "stampa libera mondiale" è alla completa mercè del gruppo e dissemina propaganda da esso concordata».


Ma l'euro è davvero fallito?
di Sergio Cesaratto - www.ilmanifesto.it - 31 Luglio 2012

I mercati si sono ieri ripresi e gli spread di nuovo calati sotto i 500 punti. Questo in seguito alle foto di Merkel e Hollande – che tanto ci ricordano Merkosy – che giuravano che l’euro sopravvivrà, e le coeve dichiarazioni di Draghi che la Bce farà di tutto per salvare la moneta unica.

In costoro v’è da credere, così come non deve preoccupare l’opposizione della Bundesbank che super-MarioD, si dice, sta cercando di ammorbidire.

Costoro non vogliono infatti far cadere l’euro, ma semplicemente tenere i popoli europei sulla griglia dell’austerità, per cui 450 punti di spread vanno benissimo. Un po’ troppi per Monti, a cui andrebbero bene 200, sufficienti per continuare le politiche di attacco a diritti sociali e lavorativi salvando la faccia.

Una sinistra autorevole pretenderebbe che la Bce ripristinasse i 25 punti pre-crisi. Senza dimenticare che questo costituirebbe solo il primo passaggio verso la risoluzione della crisi, la quale richiede un radicale ridisegno dell’impianto europeo.

L’euforia dei mass media di regime per l’ennesimo evitato crollo dell’euro altro non è che l’ulteriore esempio della disinformazione denunciata dall’appello di martedì scorso su questo giornale. Poiché, inoltre, nulla di concreto è stato deciso, in quanto linea degli annunci appare bastevole a non far scappare di mano la situazione, si ricomincerà presto col balletto degli spread.

Che questo cuocere i popoli europei a fuoco lento, questo continuo stop and go, sia voluto è confermato dalle opinioni che qualche giorno fa The Guardian riportava di uno dei più influenti economisti del dopoguerra, l’ultra-liberista canadese e premio Nobel (conferito dalla Banca di Svezia) Robert Mundell.

Paradossalmente la teoria della «aree valutarie ottimali» di Mundell viene richiamata proprio da coloro che denunciano l’assurdità di una unione monetaria fra paesi troppo disomogenei (un contributo all’e-book di Micromega Oltre l’austerità discute questa tesi).

Avendo forse questo in mente, Draghi ha pochi giorni fa paragonato l’euro a un calabrone che deve ancora imparare a volare. Mundell guarda con sufficienza a tale interpretazione: in verità l’euro sta funzionando benissimo.

Esso non è nato per unificare una Europa solidale in una comune crescita sostenibile, ma per fare piazza pulita dello stato sociale, diritti sindacali, regolazioni dei mercati e della finanza, e tutela artistica e ambientale, tutto quello che, a suo dire, gli ha reso la vita difficile durante i soggiorni nella propria magnifica antica villa in Toscana.

Che dunque l’euro abbia condotto a una crisi epocale va benissimo. Tutto subito non si poteva ottenere. La liberalizzazione dei movimenti di capitale cum moneta unica ha portato a boom fittizi nella periferia europea, ora indebitati verso i paesi forti.

Questo consente ora di far passare misure di contrazione fiscale e di riduzione dei diritti sociali e sindacali prima inimmaginabili. Questo naturalmente vale anche come ammonimento per i lavoratori dei paesi forti: che in Germania sindacato e sinistra non si azzardino a ridiscutere quanto loro stessi hanno implementato alla fine del secolo scorso.

Allora tutto torna. L’euro, come afferma Mundell, è il Reagan europeo. L’irresolutezza europea, e quella italiana di Monti, è voluta: si impedisce alla situazione di esplodere, mantenendola sul filo dell’abisso per terrorizzare le popolazioni e assestare il colpo definitivo alle conquiste del secolo scorso.

Rimane solo da domandarsi quando la parte maggioritaria della sinistra italiana farà la necessaria autocritica per avere, in buona o cattiva fede, assecondato questi disegni e, soprattutto, cosa dovrà mai accadere perché ritenga la misura colma? Se non ora, quando?


Incompetenti o in mala fede? Il fallimento del governo Monti
di Massimo Ragnedda - www.notizie.tiscali.it - 26 Luglio 2012
Non prendiamoci in giro e parliamoci chiaro: il governo Monti è un disastro totale. E lo dico sulla base dei dati, come si dovrebbe cercare di fare. Solo La 7 di Mentana lo difende a spada tratta, come Fede faceva con Berlusconi, con buona pace dell’obiettività giornalistica. 
Ci sono dati che non si possono nascondere e di questo parlerò. Il resto è mera propaganda e faziosità giornalistica, quel male incurabile che ha tenuto in piedi B. per quasi 20 anni.
Per valutare il governo Monti, dopo quasi 9 mesi di mandato, mi si consenta una metafora: se chiamo un tecnico per ripararmi un tubo che perde acqua e dopo il suo costosissimo intervento il tubo non solo continua a perdere, ma il buco si è trasformato in una voragine, devo prendere atto che il tecnico è un incompetente. ovvero incapace, a causa dell’impreparazione o dell’inesperienza, a svolgere bene la propria attività. 
A meno che, mi si consenta il dubbio malizioso, la voragine non sia stata volutamente creata per spillarmi un altro po’ di quattrini ed allora in questo caso il tecnico è in malafede: valutate voi. Fuor di metafora: a Novembre 2011, il governo tecnico di Mario Monti è stato “chiamato” con un mandato preciso: ridurre lo spread, ridurre il debito pubblico e generare crescita. Ora possiamo tirare le somme.
A Novembre 2011 lo spread era sui 550 punti, ora si aggira sui 520, ma l’obiettivo era farlo scendere sotto i 200 punti. A fine 2011 il debito pubblico era al 120,1% e nel primo trimestre del 2012 ha raggiunto il 123,3%, secondo solo alla Grecia (132,4%). 
Insomma si è passati da 1.897 miliardi di euro nel dicembre 2011, a 1.966 miliardi di euro di debito pubblico di oggi. Infine, il paese non cresce ed è in piena recessione, con un PIL in picchiata libera e che scenderà del 2% nel 2012. 
Insomma il buco si è trasformato in voragine nonostante l’intervento, pagato da tutti noi, sia stato costosissimo. Dunque posso affermare, senza paura di essere smentito, che il governo tecnico ha chiaramente fallito dimostrandosi incompetente. 
Oppure è in malafede: ovvero ha creato appositamente la voragine per imporre un costo ancora più salato, cosa che porterà la svendita dell’Italia alle banche e alle multinazionali, ridurrà ancora di più lo stato sociale, privatizzerà la sanità e l’istruzione e aprirà la via ai licenziamenti di massa. Insomma valutate voi.
Ma vediamolo il costo che sinora abbiamo pagato. È stata reintrodotta l’Ici (pardon l’Imu, più cara ed iniqua che mai); la disoccupazione giovanile è ai massimi storici (mentre quella tedesca è ai minimi storici); le pensioni d’oro (circa 100mila in Italia) non sono state nemmeno sfiorate; i corrotti, malfattori e delinquenti potranno continuare ad essere eletti in parlamento sino al 2018 (e lo chiamano decreto anti-corruzione. 
Non è solo un problema morale, si badi bene, ma la corruzione costa all’Italia, secondo la Corte dei Conti, circa 60 miliardi di euro l’anno); le accise sulla benzina, la più facile ed ingiusta delle tasse, sono aumentate; si va in pensione qualche anno dopo, ritardando così l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e obbligando le aziende a tenersi operai di più 65 anni, stanchi e demotivati.
Ma non solo. È stato modificato lo statuto dei lavoratori, dando così maggiore libertà di licenziare alle aziende, con l’idea che aumentando le possibilità di licenziare si aumenti la possibilità di assumere. Ma ancora. 
Ci si sarebbe aspettato da questo governo di professori un forte piano di investimenti su scuola ed Università pubblica (come hanno fatto la Francia e la Germania), ed invece concorsi bloccati e scippo di 200 milioni di euro che dalla scuola pubblica sono stati dirottati sulla scuola privata. 
Poi c’è il dramma degli esodati: centinaia di migliaia di famiglie senza stipendio e pensione, senza diritti e senza futuro. Un disastro umano e sociale, creato dalla Fornero e da Monti.
Il governo dei tecnici, per ridurre le spese dello Stato, ha varato la spending review, una vera e propria finanziaria: la terza in 9 mesi. In nome dei risparmi quel poco che restava della sanità pubblica sarà smantellato, creando uno Stato ancora più disuguale ed ingiusto che esaspera le differenze sociali ed economiche indebolendo, ancor di più, il diritto alla salute. 
Spariranno quasi 18 mila posti letto e nuove misure per introdurre ticket sono al vaglio. In nome della spending review lo Stato licenzierà decina di migliaia di impiegati e chiuderà migliaia di piccole scuole elementari e medie. 
Si deve risparmiare: va bene, ci sta. Però nel frattempo le spese militari non sono state ridotte, il nuovo direttore generale della Rai (solo per citare il caso più recente) percepirà uno stipendio di quasi 54mila euro al mese (quasi 2000 euro al giorno), il numero dei parlamentari non è diminuito e la tassazione dei grandi patrimoni non è stata manco ipotizzata.
Inoltre gli scudati, ovvero coloro che hanno riportato i soldi in Italia pagando una irrisoria tassa del 5%, non verranno tassati e i grossi capitali esportati in Svizzera per sfuggire al fisco non vengono toccati (diversamente da quanto fatto da altri paesi europei). Vengono però tassati, oltre ai pensionati e agli operai, le piccole imprese e i piccoli commercianti, costretti così a chiudere bottega: sono circa 35 le imprese che ogni giorno chiudono, ovvero mille al mese, per un totale di 6.321 fallimenti da gennaio a giugno di quest’anno. 
In tempi di crisi il governo Monti si ostina a voler fare la TAV, un’opera inutile e dannosa che dirotterà i soldi pubblici (miliardi di euro) nella mani di pochi, i soliti noti. Nessuna tassa sulle speculazioni finanziarie e sugli immensi patrimoni dei super ricchi. 
Questo più o meno il quadro della situazione dopo 9 mesi di mandato: per Mentana è un successo, per me un disastro. Giudicate voi. Ma soprattutto chiediamoci: il governo Monti è incapace o in malafede?