E' ormai cominciata la campagna elettorale e già non se ne può più di ascoltare le solite menzogne con allegate promesse da marinaio/pifferaio (massimo rispetto per marinai e suonatori di piffero).
Che barba che noia, che noia che barba...come avrebbe detto la grande Sandra Mondaini.
Voto, Berlusconi da record: 63 ore in tv, dietro Monti, staccato Bersani
di Mattia Feltri - La Stampa - 18 Gennaio 2013
Svolta dopo Natale: oltre due apparizioni al giorno
Ogni lasciata è persa: l’applicazione alle trasmissioni televisive
di una filosofia di vita è la carta così poco segreta e così redditizia
di Silvio Berlusconi. Non c’è microfono o telecamera trascurabile, in
questa campagna elettorale tambureggiante, non soltanto per le liti di
ringhiera e le zuffe di cortile.
Dalla vigilia di Natale a lunedì
scorso, 14 gennaio, e cioè in ventuno giorni disseminati di festività,
il capo del Pdl ha accettato cinquantaquattro ospitate, in televisione,
alla radio, alle dirette in Rete; una media di oltre due al giorno,
Natale e Capodanno compresi, e pedalare anche alla Befana: tutto fa
brodo.
Una tournée debordante a occhio nudo, con Servizio Pubblico
come tappa scintillante, e tante altre già nella memoria di questa
nostra breve stagione: l’inedito bisticcio con Bruno Vespa a Porta a Porta, la cruciale cartellata in testa a Marco Damilano a Omnibus, l’abbordaggio a Ilaria D’Amico malinconicamente toppato a Lo Spoglio. Se pare un’invasione, figurarsi a guardare col binocolo.
Dal telegiornale di Alto Adige Tv all’approfondimento di Tele Molise fino agli spazi politici di La Nuova Tv,
emittente lucana, Berlusconi ha sfidato le latitudini e si è offerto
agli ascoltatori (ed elettori) dell’ultima contrada e della valle più
remota.
Una performance di straordinaria generosità e di ammirevole
tenuta fisica, da cui gli avversari dovrebbero imparare qualcosa, se non
è troppo tardi. Si è sentito il Grande Arzillo promettere la
mutilazione delle tasse a Teleradiostereo, opporre un ritrovato orgoglio nazionale a Radio Norba, tratteggiare scenari gloriosi a Canale Italia, infuocarsi per il poliziesco redditometro a Bergamo Tv.
È lui che fa il contesto: vengono buoni i dieci minuti dell’agonista a Studio Sport su Italia 1, il quarto d’ora quasi introvabile a Tvrs, rete marchigiana, i venti minuti d’allegria a TeleEspansione Tv, la mezzora a pacche sulla spalle ad AntennaTre Nordest. Un bomber come lui si butta affamato nell’etere di Radio Goal e ha l’aria di attraversare le galassie della propaganda e della sopravvivenza per raggiungere Radio Marte.
Non si è ancora fermato né si fermerà: fuori dal periodo da noi compulsato, si è concesso al direttore di Tv Parma,
Giuliano Molossi, e alla fine non s’è trattenuto dallo sfiorare la
figura lacrimosa del vecchio zio abbandonato: «Tornate a trovarmi prima
delle elezioni, mi raccomando».
E però in questo modo, centesimo dopo
centesimo, il suo forziere paperonesco si sta di nuovo riempiendo. «I
sondaggi lo galvanizzano, ora non lo ferma più nessuno», dicono dalla
sede del partito.
I dati Auditel rielaborati dalla Geca Italia
(società di indagine audiovisiva) sono spettacolari: il condottiero del
centrodestra - dal 24 dicembre al 13 gennaio (un giorno in meno del
periodo analizzato dalla Stampa) - è stato
in tv per ventotto ore, cinquantasei minuti e trentadue secondi; fra gli
avversari nemmeno Mario Monti, uno che ha capito come gira la giostra e
non disprezza il mezzo, sa tenergli il passo: nello stesso periodo si è
fermato a venti ore e tredici minuti.
Il povero Pierluigi Bersani,
forse spiazzato, forse meno cinico, sta addirittura a dodici ore e venti
minuti. Sono numeri che dicono molto, ma non tutto, poiché il conteggio
considera un terreno vastissimo, con le tre reti Rai, le tre Mediaset, La7, i canali satellitari di Rai e Sky, i siti dei maggiori quotidiani, qualche radio nazionale, ma non tiene conto di Vista Tv e Tv Umbria, pure alle quali Berlusconi ha consegnato i piani di guerra.
Un altro dato esibito da Geca dimostra che, in quelle tre settimane scarse, il Cav. è stato seguito al telegiornale (Rai, Mediaset e La7)
da 395 milioni di persone, il che significa che ognuno di noi, neonati e
decrepiti compresi, lo ha visto sei o sette volte. Monti segue con un
distacco di oltre 120 milioni di spettatori, terzo è Pierferdinando
Casini a 184 milioni di totale, solo quarto Bersani, pure lui a 184 e
qualche spiccio in meno.
Soltanto sullo share (la percentuale sui
telespettatori che guarda la tv in quel momento), Berlusconi non rade al
suolo gli avversari. Anzi, Monti ha prestazioni migliori delle sue: a Unomattina il bocconiano batte il brianzolo 24.26 per cento a 23.09; a Otto e Mezzo lo batte 8.68 a 6.48. Anche qui si sono perse le tracce di Bersani, che a Otto e mezzo tira insieme un buon 8.06, ma a Porta a Porta resta
di sette punti dietro a Berlusconi: 16.23 contro 23.10.
Un trionfo, se
si pensa che il leader del centrodestra, da premier, abbatteva i
telespettatori uno a uno, tutti in fuga precipitosa ogni volta che lui
appariva sullo schermo a elencar miracoli. Ma adesso che è battaglia,
che soprattutto è pagliacciata e sarabanda, e cioè è il terreno ideale
per questo raider della politica, parecchio è cambiato.
Il 33 per cento
cumulato la sera di Servizio Pubblico (magari paragonato al 7.19 di Antonio Ingroia a Piazza Pulita,
stessa emittente) ci fa mostra l’inesauribile vecchietto che non ha
paura né vergogna di niente, ed è pronto a ribaltare tutto una volta
ancora.
Se Berlusconi restasse senza platea
di Roberto Saviano -
La Repubblica - 18 Gennaio 2013
La cosa sorprendente di questa campagna elettorale è che l'ex primo
ministro, lo stesso che ha avuto a disposizione decenni di comunicazione
televisiva e giornalistica, oggi torna a pretendere e ottenere un
pulpito. E da esso conquisti anche larga audience.
Accade poi che,
grazie a quel pulpito, sembra guadagnare come decorazioni al merito,
un'immagine nuova, diversa, svecchiata. Quella che doveva apparire come
la più logora e stantia delle proposte politiche, d'improvviso sembra
diventare, per un trucco mediatico, il nuovo che attrae. Lo si segue in
televisione, si cliccano i video delle sue interviste, si resta lì,
incollati allo schermo, ipnotizzati, invece di cambiare canale, per
decenza.
Ci dovrebbe essere un unanime "ancora lui, basta" e
invece no. E ciò che tutti un anno fa credevamo sarebbe stata l'unica
reazione possibile alla incredibile ricomparsa sulla scena politica di
Silvio Berlusconi non si sta verificando. Una certa indignazione -
naturalmente - talvolta una presa di distanza, ma non rifiuto, non
rigetto.
Quando Berlusconi va in tv sa esattamente cosa fare: la
verità è l'ultimo dei suoi problemi, il giudizio sui suoi governi, il
disastro economico, le leggi ad personam, i fatti - insomma -
possono essere tranquillamente aggirati anche grazie
all'inconsapevolezza dei suoi interlocutori. Il Cavaliere mette su
sipari, sceneggiate, battutine.
È smaliziato, non ha paura di dire
fesserie, non ha paura di essere insultato, di cadere in luoghi comuni, di
ripetere storielle false sulle quali è già stato smascherato. Occupa la
scena. E c'è chi cade nel tranello: questo trucco da prim'attore,
incredibilmente, ancora una volta crea una sorta di strana empatia, di
immedesimazione. C'è chi dice: sarà anche un buffone, ma meglio lui dei
sedicenti buoni.
E allora sedie spolverate, segni delle manette,
lavagnette in testa. Torna lui, lui che ci ha ridotti sul lastrico, lui
che ha candidato chiunque, lui che ha detto tutto e il contrario di
tutto ed è stato smentito mille volte.
Eppure quei pulpiti diventano per
lui nuove possibilità di partenza: chi vuole ostacolare questo processo
già visto e già vissuto dovrebbe evitare di fare il suo gioco, di
prestarsi al ruolo di spalla - come al teatro - dovrebbe impedirgli
di montare e smontare sipari.
Più Berlusconi va in tv, più dileggia
chi gli sta di fronte, più piace. Perché sa disinnescare chi lo
intervista. Non ha paura, anzi sembra divertito dalla paura degli altri.
Sente l'odore del sangue dei suoi avversari e attacca. In una
competizione in genere vince chi non ha nulla da perdere e lui,
screditato sul piano nazionale, internazionale, politico e personale;
con processi pendenti che riguardano le sue aziende e le sue abitudini
privatissime; con l'impero economico che cola a picco, è l'unico vero
soggetto che da questa situazione non ha nulla da perdere e tutto da
guadagnare. E se la sta giocando fino in fondo. Appunto, giocando. È
divertito, esaltato.
Berlusconi non può più essere considerato
un interlocutore, chi lo fa gli dà la possibilità di mentire laddove i
fatti lo hanno già condannato. Fatti politici, ancor prima che
giudiziari. Più lo si fa parlare, più lo si aiuta, più si asseconda la
sua pretesa alla presenza perenne, all'onnipresenza televisiva come
fosse un diritto da garantire a un candidato, cosa che non è.
E tutto
come se prima di questo momento non avesse mai avuto la possibilità di
farci conoscere le sue idee e i suoi programmi. Come se non avesse avuto
modo di esprimersi, da primo ministro, sui temi che oggi sta
affrontando spacciandosi da outsider, da nuovo che avanza, da nuovo che
sgomita e lotta per riconquistare lo spazio che gli è dovuto. Ha avuto
una maggioranza che gli avrebbe consentito di poter modificare le leve e
cambiare tutto. E non lo ha fatto.
Ha solo legittimato quel "liberi
tutti" fatto di evasione e deresponsabilizzazione che ha reso il nostro
paese un paese povero. Povero di infrastrutture, povero di risorse,
povero di speranza e invivibile per la maggior parte degli italiani.
Anche per chi Berlusconi lo ha votato, anche per chi in lui si è
riconosciuto.
E allora smettiamola di prenderlo sul serio,
smettiamola di ridere alle sue battute per tremare poi all'idea che
possa riconquistare terreno. Trattiamolo piuttosto per quello che è: un
bambino di settantasei anni. Quando i bambini esagerano con le
parolacce, con i capricci, i genitori li ignorano, fingono di non aver
sentito.
È l'unico modo perché il bambino perda il gusto della
provocazione. La stessa cosa dovremmo fare con lui: farlo parlare, ma
senza prestargli attenzione. Evitiamo i sorrisi alle sue battute
stantie, perché non possa più ostentare sicurezza davanti ai suoi,
perché non possa più spacciare la falsa tesi secondo cui i politici sono
tutti uguali.
Non sarò mai per la censura: Berlusconi ovviamente deve
parlare in tv - certo dovrebbe farlo nelle regole sempre infrante
della par condicio - come tutti i leader delle coalizioni. Siamo noi
che dobbiamo smetterla di giocare con lui. Lasciamolo senza platea.
La rincorsa del cavaliere nero
di Fabrizio Casari -
Altrenotizie - 16 Gennaio 2013
Sembra decisamente ringalluzzito Berlusconi. L’accordo con la Lega
gli ha certamente elevato le possibilità di non finire nel tritacarne
elettorale; senza l’alleanza con i leghisti qualunque ipotesi, pur
straordinariamente ottimista, non avrebbe retto alla logica prima ancora
che alle urne. I cosiddetti padani, d’altra parte, o sottostavano al
patto con il cavaliere o perivano in Lombardia, Veneto e Piemonte.
E,
sia chiaro, non è il coraggio che abbonda in Via Bellerio. Adesso che il
ricatto si è compiuto e i beoti padani hanno abbozzato, l’ex premier si
sente convinto di poter risalire la china; seppure non dovesse
riuscire a vincere, ha detto ad alcuni suoi collaboratori, il suo
risultato sarà sufficiente ad impedire che vinca la sinistra; e nel caso
essa dovesse farcela, sarà costretta a penalizzanti accordi poco
digeribili con Monti e la noiosissima schiera del censo che lo appoggia.
Difficile
dargli torto, giacché passare dal ruolo di uomo da battere a guastatore
sarà anche meno affascinante, ma per certi aspetti è molto più nelle
sue corde; se infatti dal punto di vista della capacità di governo il
fidanzato della Pascale è tutt’altro che un punto di riferimento, in
quello dell’uomo della propaganda (nel senso peggiore del termine) è
veramente abile.
Non solo per il fatto di possedere tre reti televisive,
giornali e periodici vari (pure questione di fondo), ma per l’assoluta
disinvoltura con la quale distribuisce menzogne sul passato e sul
presente scekerate con irrealizzabili promesse sul futuro utilizzando
una sapiente tecnica di marketing di vendita, cioè proprio quello che i
progressisti non sanno nemmeno dove sia di casa.
La processione
ad Arcore di quanti nel suo cerchio magico lo avevano mollato e i
sondaggi che lo danno in risalita sono due tra gli elementi che hanno
riportato il buon umore a Palazzo Grazioli. Ma dal momento che ne sa una
più del diavolo, il cavaliere è perfettamente cosciente che tutto ciò
non basta e che una campagna elettorale che alla fine non si concludesse
con una mezza vittoria non gli darebbe soverchie possibilità di
rinegoziare poi una via d’uscita onorevole e conveniente per lui e per
le sue aziende. Perciò s’industria e mette in campo ogni energia, non
lesina sforzi e non sottovaluta il benché minimo dettaglio.
Nelle
ultime 48 ore, dopo aver ricevuto un rifiuto secco da parte di Draghi
all’offerta di una candidatura al Quirinale, ha provato ad alzare un
muro sul processo di Milano, chiedendo di sospenderlo per impegni
elettorali.
Il tribunale, ovviamente, gli ha dato torto, visto che pur
di allearsi con la Lega ha dovuto affermare che non corre per Palazzo
Chigi, evidenziando con ciò di essere, sul piano formale, solo uno tra
tanti delle migliaia di candidati a seggiole varie tra Senato, Camera,
Regioni, Province e Comuni dove si vota. Dunque, nessun legittimo
impedimento: non ce l’aveva da Premier, figurarsi da candidato.
Questione delicatissima questa, perché il processo dove risulta imputato
per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile ricorderà a
tutti, molto più di quanto abbiano fatto Santoro e Travaglio, chi è
davvero l’omino che ha trascinato nel fango l’Italia. Cosa non simpatica
mentre si cercano i voti.
Ma
se l’istanza al tribunale di Milano fa parte della sua strategia di
difesa giudiziaria, la boutade vera è quella di tipo elettorale.
Berlusconi ha sostenuto, con la faccia che ha, di essere stato messo in
guardia da possibili attentati contro di lui e che per questo dovrà
rinunciare ai comizi e limitarsi alla manifestazioni al chiuso!
Sembrava
l’apertura del Tg di Emilio Fede. Ora, come afferma in una nota il
Viminale, non solo nessuno ha mai allertato Berlusconi suggerendogli di
rinunciare ai comizi, ma un paese che ha garantito la sicurezza di tutti
i capi di stato, da soli o in gruppo, non ha nessun problema a
garantirla anche a Berlusconi.
La verità è un’altra: il cavaliere
nero sa che l’umore popolare nei suoi confronti è pessimo: non solo non
riuscirebbe a riempire nessuna grande piazza italiana, ma correrebbe il
rischio di sberleffi e lanci di ortaggi ovunque si presentasse.
Riempire un teatro, invece, è molto più semplice, quasi banale.
E
seppure una campagna senza comizi è difficile da ipotizzare per chi si
dichiara espressione della volontà popolare, inventarsi il rischio
attentato è l’unica giustificazione all’assenza da poter offrire, per
quanto faccia ridere tutti. Meglio, molto meglio, evitare immagini di
contestazioni; e soprattutto meglio, molto meglio, diffondere immagini
di teatri pieni piuttosto che di piazze vuote: il rinculo mediatico
sarebbe devastante.
Ma sarà bene non sottovalutare le doti del
caimano, l’assoluta abilità mediatico-propagandistica e il fiero
disprezzo delle regole della politica; mentre il centrosinistra continua
ad autoflagellarsi alzando muri e limiti a tutto ciò che non ne fa
organicamente parte, in nome di una credibilità di governo,
Berlusconi
non ha problemi a sommare ogni sigla, ogni personaggio, ogni avanzo, pur
di contare numericamente più di quanto è in grado di ottenere da solo.
Piccioli e picciotti, questa la summa della strategia elettorale.
Che il centrosinistra voglia darsi un profilo di credibilità è
certamente positivo, fino a che non sconfina nell’autoreferenzialità.
Poi bisognerà ricordare come vincere le elezioni è cosa difficile,
mentre perderle è semplicissimo: basta dimenticare la differenza che c’è
tra un convivio di accademici e gli aventi diritto al voto.
E allora
meglio aver presente la profondità della crisi sociale che discettare
sulle formule, meglio aver contezza delle attese popolari che solo di
quelle dei mercati. Dunque conviene esibire certificati di esistenza in
vita ai lavoratori e ai disoccupati, ai pensionati e agli studenti,
oltre che opportune rassicurazioni alla City. E’ bene non vendere la
pelle dell’orso finché è vivo e in grado di mostrare le zanne.
E ora nella Lista Monti scatta l’allarme. L’operazione civica non decolla
di Fabio Martini - La Stampa - 18 Gennaio 2013
Stallo nei sondaggi, il premier pronto a una maggiore equidistanza
Allarmismi non ne trapelano, eppure un filo d’ansia comincia a
serpeggiare nell’entourage di Mario Monti. A 25 giorni dalla «salita in
politica», l’operazione «Scelta civica» fatica a decollare, come
dimostra la sequenza dei sondaggi più credibili: dopo una iniziale
lievitazione delle intenzioni di voto per la Lista Monti, l’istituto
Ipsos di Nando Pagnoncelli ha segnalato nell’ultima rilevazione
(interviste svolte il 14 gennaio) una inversione di tendenza, con una
significativa retrocessione, dal 12 per cento al 10,9, con una flessione
dell’1,1%, che nell’arco di sette giorni è considerata poco
incoraggiante dagli esperti del ramo.
Per non parlare dell’ultimo
sondaggio di Euromedia della signora Ghisleri, che lavora per Berlusconi
e spesso «ci prende»: «Scelta civica» è inchiodata ad un poco
gratificante 6,0%. Con una aggravante dall’angolo visuale di Udc e Fli:
l’ingresso in scena di «Scelta civica» rischia di cannibalizzare gli
alleati, fenomeno anche in questo caso confermato dai sondaggi, che da
qualche giorno stanno arretrando l’Udc verso una quota (il 4%) mai
sfiorata neanche nel periodo della massima «quaresima». Per non parlare
del Fli, la cui «nuova frontiera» sembra esser quella di restare sopra
l’1 per cento.
E proprio il persistente stallo della Lista Monti rende infondate le
illazioni più estensive circa il colloquio che si è svolto due giorni fa
tra il presidente del Consiglio e Pier Luigi Bersani e riferito da due
quotidiani.
La voce secondo la quale tra i due sarebbe stato stipulato
un «patto di non belligeranza» è stata smentita da diversi esponenti del
Pd in una serie di dichiarazioni pubbliche, ma è soprattutto in privato
che Monti e Bersani hanno chiosato senza equivoci il senso della
chiacchierata: nulla di più che una messa a punto, nel tentativo di
smussare alcune asperità.
A Bersani stava a cuore capire se fosse nella
disponibilità di Monti convincere Gabriele Albertini a ritirarsi in
Lombardia, favorendo così il candidato alla Regione del Pd Ambrosoli.
Operazione troppo complessa da realizzare in zona Cesarini. E dunque,
tra Monti e Bersani l’intesa è quella di un confronto elettorale senza
asprezze personali, ma tosto nella sostanza.
In altre parole nessuna «combine» e Mario Monti lo dimostrerà nel suo
primo comizio, quello che domenica terrà a Dalmine, davanti a tutti i
candidati della sua Lista. Si preannuncia una ritrovata equidistanza dai
due poli, se possibile con una riscossa degli argomenti polemici
anti-sinistra, visto che nell’ultima settimana Monti ha indirizzato il
suo fuoco dialettico soprattutto verso Berlusconi.
Un approccio
considerato promettente da uno che l’elettorato di centrodestra nordista
lo conosce bene, come il milanese Giorgio Stracquadanio, già deputato
del Pdl: «Davanti ad un elettorato di centrodestra che oramai vorrebbe
un leader credibile e fa quel che dice, guai se Monti appare come
l’alleato minore di Bersani. Così non prende più un voto e invece per
prenderli a destra deve essere alternativo a Bersani, magari prendendo a
pretesto una posizione vessatoria del Pd e schiacciando a sinistra il
segretario. E non c’è soltanto un problema di posizionamento: una
campagna elettorale si affronta dando una prospettiva, certo non con
slogan come “Per non tornare indietro”. Tradotto: al massimo stiamo
fermi».