venerdì 31 ottobre 2008

La solita storia

Anche questa volta si e’ ripetuta la solita storia trita e ritrita.

Gli studenti scendono in piazza e per l’ennesima volta riescono a farsi dividere in “quelli di sinistra” e “quelli di destra”, a farsi infiltrare dai soliti balordi mandati da chi dirige davvero le fila del potere e a farsi cannibalizzare dai soliti opportunisti partiti e sindacati che non aspettavano altro per risuscitare dalle tombe in cui erano sprofondati.

E ancora una volta il fallimento della protesta e’ totale, la prospettiva migliore all’orizzonte e’ un misero e inutile referendum e, come sempre, l’unita’ degli studenti compatti e senza distinzioni tra rossi e neri per raggiungere un comune obbiettivo si rivela impossibile da realizzare.

Un’altra occasione sprecata. Peccato.


Un diritto da venti miseri centimetri?
di Paolo Barnard – paolobarnard.info – 31 Ottobre 2008

E’ l’estate del 2000, sono a Boston per la mia prima intervista a Noam Chomsky. A chi non lo conoscesse rammento che Chomsky è il più noto intellettuale dissidente americano di sempre, definito dal New York Times “probabilmente il più importante pensatore vivente”, ed è il linguista di maggior calibro del XX e XXI secolo. Insegna al prestigioso Massachussets Institute of Technology (MIT), dove è professore ordinario.

Bene, sto per incontrare questo mostro sacro della cultura accademica nel suo ufficio all’MIT e vengo avvisato dal suo segretario che l’intervista non potrà durare più di 60 minuti, poiché “Chomsky ha un importante appuntamento alle 17 precise”. Non nascondo a costui il mio disappunto: rappresento un network televisivo nazionale (RAI), sono venuto da oltreoceano per intervistare il professore, ho preso questo appuntamento 3 mesi fa, e ora ho solo 60 minuti per montare la telecamera, i microfoni, fare le prove audio e video, poi sbrigare un tema come il Debito del Terzo Mondo, Fondo Monetario, Banca Mondiale, sperequazione della ricchezza… Niente da fare, il prof. ha un impegno. Fine della discussione.

L’intervista è piacevole, Chomsky è gentile, tutto fila liscio, ma dopo 59 minuti, accidenti a lui, il segretario bussa lievemente alla porta e si mostra a Chomsky attraverso il riquadro di vetro della stessa. Sessanta secondi dopo è l’intellettuale in persona che con un sorriso mi dice “time’s up, sorry..”, il tempo è finito, spiacente. Un rapido saluto, stretta di mano e fuori dallo studio con tutti i marchingegni del mio mestiere. Chomsky richiude l’uscio alle mie spalle.

Sono nell’anticamera indaffarato ad arrotolare cavi, riporre microfoni, controllare le cassette, ma non manco di guardarmi intorno in attesa dell’arrivo di questo ospite così imprescindibile. Non c’è, non arriva, nessuno ha suonato, non ci sono colleghi di altri network in coda per un’intervista. Il segretario armeggia col suo pc, un paio di tizi (presumibilmente docenti) camminano da un ufficio all’altro senza alcuna intenzione di dirigersi da Chomsky, un ragazzino meno che ventenne se ne sta seduto alla mia destra sfogliando testi e appunti. Per il resto calma piatta. Ma dov’è sto pezzo da novanta per cui mi hanno messo le braci al sedere?

Saranno passati sette minuti, quando Chomsky riapre l’uscio dello studio e con fare cortese invita il ragazzino ad entrare. I due si accomodano e iniziano la conversazione, li vedo attraverso il riquadro in vetro. Ancora la mia mente si rifiuta di arrendersi all’ovvia realizzazione, e in un residuo sforzo di capricciosa incredulità mi spinge a chiedere al segretario “ma è quel giovane l’appuntamento importante?”. “Sì, è uno del primo anno, un ordinario colloquio col prof.”, giunge serafica la risposta del mio interlocutore. Riparto per l’Italia.

Devo fare rewind e proprio spiegarvelo? No, sicuramente non serve. Cari studenti, questa scena affatto isolata nel panorama accademico statunitense appartiene a un ‘film’ che se mai verrà proiettato in Italia sarà forse fra un secolo, o probabilmente di più. Essa ci parla di un essere nell’università che dista da noi italiani come Marte dalla Terra, di una riforma vera, epocale, di un concentrato di democrazia, diritti, intelligenza, umiltà, pedagogia, libertà che nessuno qui da noi neppure si sogna di sognare. Noi, poveracci, siamo arditamente alle prese con la preistoria della riforma del sapere e dell’insegnare. Qualcuno, qui, se lo immagina un grande barone universitario italiano sbarazzarsi velocemente della CBS, di France 2 o della ZDF tedesca per onorare un colloquio con un ‘primino’ di neppure vent’anni?

E allora. Chiedo a tutti e con vero pathos: perché abbiamo rinunciato a immaginare un 'altro mondo'? Perché ci facciamo sempre ingannare da chi ci convince che il cambiamento significa conquistare due metri quadri in più di pollaio puzzolente, e non, come dovrebbe essere, miglia e miglia di prati e colline, valli e montagne dove respirare veramente? Perché ci scanniamo per ottenere due metri quadri in più di finanziamenti o di risicate riformucole da strappare alla Gelmini e non lottiamo invece per un’istruzione nuova a cominciare dalla dignità di ogni singolo studente che deve essere il protagonista importante, il numero uno delle priorità di ogni docente, imprescindibile appuntamento senza se né ma, oggetto-soggetto di un diritto attorno a cui ruota tutto il sistema istruzione, e vi ruota con UMILTA'?

Non capite, studenti, che il gioco più perverso dell’era politica contemporanea è proprio il riformismo? E’ quella cosa che ci ha tutti convinti che lottare per i diritti del nostro futuro significhi ottenere qualche decimetro in più nella catena che ci hanno messo ai piedi. Oggi ci hanno convinti, e lo ripeto, che libertà e rivoluzione, che riforma e miglioramento significhino potersi allungare di altri 20 centimetri dal muro cui siamo incatenati nel pollaio in cui siamo rinchiusi. E ce l’hanno fatta: noi siamo proprio ridotti così, completamente dimentichi della possibilità di avere Diritti Veri e una Vita Inedita, ma del tutto inedita, in questo caso un'istruzione da secolo nuovo. Insomma, un'altra esistenza dirompente nel cambiamento, così come l’umanità ha sempre saputo fare nella sua uscita dalla barbarie verso la civiltà. No, nel XXI secolo del riformismo siamo stati ridotto a sentirci trionfanti se un Walter Veltroni riuscirà col referendum a donarci 20 centimetri di riforma dell’istruzione in più. Ed è così in ogni campo del nostro vivere.

No, no e no! Cosa avrete risolto quando e se la Gelmini avrà fatto marcia indietro? Perché non mettiamo tutta questa energia oggi esplosa nelle piazze per arrivare a una scuola che non ci devasti l’anima, che non ci faccia odiare la cultura, che sia il nostro regno del rispetto nell’età più sensibile di tutta la vita, che non ci insegni le virtù del servilismo e dell'arroganza, dove non ci si senta con le ossa svuotate di fronte alle cattedre o ad aspettare nei corridoi i favori dei baroni? Dove a neppure vent’anni si possa entrare a colloquio dal tuo professore sul tappeto rosso, mentre fuori dallo studio, in corridoio, al resto del mondo tocca di aspettare voi e la piena soddisfazione del vostro diritto.

Immaginare in grande, immaginate in grande.


“Ne’ rossi, ne’ neri, solo liberi pensieri”. Qualche riflessione sulla manifestazione romana contro il decreto Gelmini
di Carlo Gambescia - http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com – 31 Ottobre 2008

Iniziamo con una battuta. Cattiva.
Se Berlusconi nel 2007, avesse organizzato a Roma, nell' arco di una settimana, due manifestazioni "oceaniche" contro il governo Prodi, il centrosinistra si sarebbe rivolto all’Onu, per chiedere un intervento dei caschi blu contro due nuove marce fasciste su Roma.
Ma cerchiamo di essere lucidi e seri.

La manifestazione di ieri è per un verso un successo "di massa", ma per l'altro rappresenta una decisa normalizzazione imposta "dalla élite" del centrosinistra. O per dirla tutta: un azzeramento e sconfitta dell’ ”Onda” e di ogni volontà collettiva di cambiamento "sistemico", o comunque "forte". E non solo nel mondo scolastico e universitario.

Una vera e propria controrivoluzione politica e sindacale, iniziata con l’espulsione violenta da piazza Navona di quegli studenti di destra che invece si proponevano, una tantum e seriamente, di volare oltre la destra e la sinistra. Un progetto che nei giorni precedenti, sembrava aver affascinato e caratterizzato (e non solo in chiave di borghese culto dell' apoliticità) lo stesso movimento degli studenti anti-Gelmini. E invece no: ha avuto la meglio il solito opportunistico collante antifascista. Per fare la gioia dei Fioroni, dei Veltroni, dei Di Pietro, delle Bindi e compagnia cantante. E, dulcis in fundo, di Epifani. A capo di un sindacato ultranormalizzato da un pezzo, la Cgil, che non è stato finora capace di prendere una posizione chiara e netta contro l’introduzione nella legislazione italiana sui contratti di lavoro della cosiddetta flessibilità, così cara alla Confindustria.

Notare un cosa: mentre a piazza del Popolo si cantava l’inno di Mameli; intonato dagli stessi che nei giorni precedenti si erano opposti a celebrare tout court il 4 Novembre, il Ministero della Pubblica Istruzione veniva circondato, "anche" dagli studenti della sinistra più aggressiva. Come dire, nella ricostituita unità del centrosinistra, c’è spazio per tutti dal sindacalista in piedpoul ai lanciatori di (falce e) martello … Sfogatevi un po' ragazzi... Quel che conta è l’esclusione di coloro che, guarda caso, aspirino, una tantum e sul serio, a volare oltre la destra e la sinistra all'insegna di un tonante e azzeccatissimo " Né rossi né neri, solo liberi pensieri".

Quanto al centrosinistra ministeriabile, sul che cosa fare effettivamente - a parte un improbabile referendum - poi si vedrà: ci penseranno, una volta tornati al potere, i ministri mercatisti in doppiopetto, col patentino della sinistra: Bersani, Padoa-Schioppa e qualche new entries, appena pescata, fresca fresca, tra gli economisti de Lavoce.info… Oppure chissà, tutto si risolverà, grazie alla miracolosa Discesa in Terra (d'Italia) del nuovo Messia Americano Barack Obama...

La tragedia di "questo" centrosinistra è che sembra essere d’accordo, al suo interno e con il "popolo" di sinistra, solo quando deve dire no a Berlusconi. Dopo di che sotto gli slogan nulla… Non la proposta di un provvedimento, chiaro e netto, contro il numero chiuso, contro la flessibilità, oppure per contrastare seriamente gli incidenti sul lavoro. Per quale ragione? Perché si dovrebbe mettere in discussione la società capitalista, o quanto meno la sua deriva speculativa e aggressiva nei riguardi dei lavoratori. In breve: la "società del rischio", non liberalmente accettato, ma imposto dall'alto, e solo agli indifesi. E non la si vuole discutere - e ciò, per ogni vero riformista, è una tragedia nella tragedia - neppure nei termini infrasistemici di una socialdemocrazia classica.

Notare un'altra cosa: il "partito" di Repubblica, da sempre nelle grazie di certo capitalismo italiano con facciata riverniciata a sinistra e portafoglio a destra, si è fatto in quattro per promuovere la ricostituita unità antifascista: da Di Pietro ai piccoli Lenin gonfiabili della birra sociale.

Tuttavia l'opportunismo politico non caratterizza soltanto il centrosinistra. Dall’altra parte - il centrodestra - si risponde in chiave di bieco moderatismo politico… E' di oggi la dichiarazione di Maroni di voler far sgomberare con la forza le scuole occupate. Naturalmente, per solleticare e soddisfare, al tempo stesso, gli istinti peggiori di una destra forcaiola. Che pure esiste. E con i suoi piccoli Mussolini, altrettanto gonfiabili. Chi ci salverà dagli opportunisti di destra e di sinistra? Chissà, forse un rinnovato e coraggioso grido: "Né rossi né neri, solo liberi pensieri"...
Lasciamo perciò che risuoni alto e forte, se non in piazza, almeno nelle nostre coscienze politiche individuali.

giovedì 30 ottobre 2008

Consigli per gli acquisti...

Qualche consiglio per cercare di uscire dalla crisi finanziaria in corso d'opera.

Strategie per uscire dalla crisi
di Peter Morici – Counterpunch – 23 Ottobre 2008
Traduzione di Alcenero per www.comedonchisciotte.org

I prezzi dei beni e delle azioni sui mercati globali continuano a cadere, mentre aleggia la minaccia di una lunga recessione. La paura getta un'ombra cheminaccia la sopravvivenza del capitalismo democratico e minaccia un totale collasso dell'economia verso la depressione.

I mutui convenzionali e i prestiti commerciali rimangono scarsi, 4 milioni di proprietari di casa sono minacciati di pignoramento da qui al 2010, e il crollo della domanda per beni e servizi in tutta l'economia sta distruggendo più di 100.000 posti di lavoro al mese. I lavori nel campo delle costruzioni e nella manifattura stanno scomparendo a un ritmo allarmante.

Gli sforzi di salvataggio delle banche da parte del Tesoro, della Federal Reserve e delle loro controparti straniere stanno fallendo perché affrontano i sintomi e non le malattie sistemiche che hanno causato la crisi del credito. Mentre gli investitori globali e i trader potrebbero non riuscire ad articolare le loro paure in termini tanto esotici, l'incapacità di affrontare i problemi sistemici sta facendo scendere i profitti e le vendite delle aziende e distruggendo il valore delle azioni.

I funzionari nazionali hanno fornito liquidità alle banche, iniettato capitale e garantito i prestiti overnight e a breve termine. Però le banche che sono grandi centri di valuta non sono interessate ad usare i massicci fondi forniti loro per fare solidi prestiti a consumatori e imprese sulla scala necessaria a far andare avanti l'economia. Queste banche raccoglitrici di valuta non sono più interessate a fornire liquidità alle banche regionali raccogliendo i loro prestiti in obbligazioni da vendere a compagnie assicurative, fondi pensione e altri investitori a reddito fisso che siedono su grandi montagne di capitale.

Il sistema dei bonus e le strutture di retribuzione nelle grandi banche permettono ai dirigenti di guadagnare somme di denaro molto maggiori facendo altre cose: con la gestione di fusioni o col commercio di valuta e di derivati o cose simili. Le grandi banche, negli ultimi 25 anni, sono diventate parte di più grandi conglomerati finanziari. Questi sono gestiti da dirigenti che credono di dover riuscire a guadagnare milioni di dollari ogni anno facendo accordi e creando obbligazioni esotiche piuttosto che facendo prestiti e fornendo aiuto a banche più piccole per costruire i fondi a loro necessari.

Le restrizioni sui compensi stabilite dal Tesoro quando ha iniettato capitale nelle maggiori banche si applicano solo a pochi alti funzionari e vengono facilmente aggirate. Semplicemente cambiano poco in ciò che c'è di sbagliato con gli incentivi dirigenziali nelle grandi banche che gestiscono il denaro.

Oltre a ciò la richiesta di beni e servizi negli Stati Uniti e in Europa viene fatta diminuire dalla moneta sottovalutata e dai massicci acquisti di dollari ed euro da parte della Cina, di esportatori di petrolio come l'Arabia Saudita e di altre economie emergenti. I loro grandi surplus commerciali si traducono in deficit commerciali negli Stati Uniti e in Europa e nella necessità di massicci prestiti per mantenere alta la domanda di beni e servizi nelle economie occidentali. Ciò ha causato, in primo luogo, la bolla immobiliare e l'eccessiva quantità di prestiti, e senza una politica per riallineare le valute, in modo da riequilibrare squilibri commerciali, non possiamo superare l'attuale crisi del credito senza rovinosi deficit governativi, prestiti spericolati ai consumatori e senza impegnare la vita dei nostri figli ai creditori stranieri.

Il Congresso sta discutendo un altro pacchetto di stimoli economici ma diminuzioni della tasse darebbero all'economia solo una spinta temporanea. Come abbiamo visto la scorsa primavera ed estate, ciò diede al consumo una spinta che si esaurì dopo pochi mesi. Diede euforia alla crescita del Pil alla fine del secondo trimestre e impedì alla crescita di diminuire troppo nel terzo trimestre. Ora gli esausti settori delle costruzioni e delle vendite al dettaglio stanno portando l'economia negli abissi. Il migliore obiettivo per un altro pacchetto di stimoli sarebbe aiutare l'economia ad attraversare la prima metà del prossimo anno mentre il Tesoro e la Federal Reserve intraprendono iniziative ancora più efficaci per rinforzare le banche e affrontare altri problemi strutturali come il deficit commerciale, lo sviluppo energetico e l'inadeguatezza delle strutture pubbliche.

Una spesa nelle infrastrutture che facesse decollare progetti già in fase di studio darebbe un'eredità più duratura rispetto a facilitare qualche pasto in più al ristorante e qualche gita al centro commerciale. Una tale spesa avrebbe un maggior effetto moltiplicatore sul Pil rispetto alla diminuzione delle tasse dato che comporterebbe un minor numero di importazioni.

In parallelo abbiamo bisogno di programmi aggressivi per rinforzare la gestione delle grandi banche e di iniziative decise per correggere un cattivo allineamento valutario con la Cina e altri paesi con forti surplus commerciali, e di sforzi per ridurre le importazioni petrolifere tramite un ridotto consumo di benzina e investimenti in fonti e metodi di conservazione di energia sia convenzionali che alternativi. Questi includono incentivi a una più rapida costruzione di automobili ibride, maggiori trivellazioni offshore e lo sviluppo del gas naturale all'interno del paese, investimenti in progetti di energia non convenzionale e costruzioni più efficienti da un punto di vista energetico.


Crisi, la soluzione ci sarebbe
di Lino Rossi – Soldi online – 22 Ottobre 2008

Già sperimentata negli anni ’30 in Italia e nel secondo dopoguerra in tutto il mondo. Oggi è possibile fare meglio di allora. Ma la Politica deve fare un passo in avanti

Di opere da fare ce n’è un’infinità, sia devastanti come le centrali nucleari (2) ed il ponte sullo stretto di Messina, sia rispettose dell’ambiente come la generazione distribuita dell’energia elettrica (1), la valorizzazione delle risorse presenti sul territorio (3), i trasporti pubblici, la viabilità, la drastica riduzione del fabbisogno energetico dei fabbricati (4), ecc...

Ce n’è per far lavorare sia le grandi imprese che quelle medie e piccole. Quel che manca è solo la politica monetaria (5).

La prima domanda da porci è la seguente: è possibile che coloro che hanno portato la società a questo punto possano guidare la nuova politica?

Personaggi come Paulson, Trichet, Barroso, Almunia, Padoa-Schioppa, Draghi, ecc., saranno capaci di fare il contrario di ciò che hanno fatto negli ultimi decenni?

Qualche dubbio appare legittimo.

Si tratta di rispolverare il buon Keynes, magari senza interpretarlo malignamente col banale deficit spending, alzando drasticamente la base monetaria ed abbassando nel contempo il moltiplicatore bancario, per contenere M3 e conseguentemente l’inflazione. In questa maniera ci sarebbe un certo superamento temporaneo del parametro del 3% deficit/PIL (6), ma si uscirebbe pressoché istantaneamente dalla recessione che ci attanaglia, a noi italiani, da parecchi anni.

Gli Stati disporrebbero così di una certa liquidità più che sufficiente per ravvivare il malato, anche grazie al moltiplicatore keynesiano. Il fenomeno dello spiazzamento (7) si prenderà in considerazione, assai volentieri, quando sarà sciolta la prognosi riservata; lo Stato dovrà allora ritirarsi ritornando alla politica monetaria più confacente ai momenti “normali”.

1· l’unico punto sensato del programma dell’ultimo governo Prodi.

2· Scajola e la soluzione sovietica

3· Le centrali termoelettriche a biomassa

4· 9 centrali in meno di 5 anni

5· Come dovrebbe funzionare la politica monetaria
Le politiche monetaria e fiscale devono essere coordinate

6· per altro già atteso dalla Commissione Europea (per aiutare le banche)

7· Crowding out

Tremonti, che delusione!
di Lino Rossi – Soldi Online – 24 Ottobre 2008

Le grandi attese determinate dai suoi ultimi due libri e dagli annunci della primavera e dell’estate scorsa sembrano sbiadire. Adesso difende Maastricht, che in un momento come questo bisognerebbe invece superare

Diceva Giulio Tremonti pochi mesi fa (1): “Sappiamo anche che nel tempo presente ed in Europa - non in altri paesi nel mondo - i governi non hanno più il potere necessario per modellare la società o per fare parti importanti dell'economia.”

Questo passaggio significa che la politica monetaria è sottoposta al patto di stabilità e quindi i governi, singolarmente, non hanno la possibilità di manovrarla a piacimento. È corretto.

Nei governi ’01-’06 Giulio Tremonti, per dare un impulso alla nostra economia, ha superato il parametro del 3% come massimo rapporto deficit/PIL, ma non ha sortito grandi effetti, proprio a causa della politica monetaria della BCE (2 e 3).

Questo lasciava intendere che:

- il ministro aveva ben chiaro il funzionamento della Politica Monetaria;

- una volta create le condizioni avrebbe dato il suo contributo positivo alla risoluzione del problema.

Pochi giorni fa ha detto (4): “non ci saranno variazioni nel Patto di stabilità e crescita, … Maastricht c'è e funziona bene”.

Viceversa, per superare la crisi, sarebbe necessario dare un impulso all’economia, un impulso (5) perlomeno europeo, ancora meglio se mondiale. Il patto di stabilità e Maastricht vanno bene quando c’è una crescita sana (6) e sostenuta. In un momento come questo bisognerebbe superarli, anche se per poco tempo, fino alla ripresa.

Ora Tremonti ha raggiunto la meritata autorevolezza internazionale, ma ha ben chiaro cosa si dovrebbe fare? La sua ultima uscita (4) non fa ben sperare (7).

Se ci accingiamo ad andare alla nuova Bretton Woods con l’idea che il patto di stabilità e Maastricht vanno bene, anche in questo momento, … allora possiamo anche stare a casa.

(1) Intervento del Ministro dell'economia e delle finanze

(2) Le politiche monetaria e fiscale devono essere coordinate

La BCE, che controlla la politica monetaria con la priorità di mantenere stabile il tasso d'inflazione, attualmente molto preoccupata dalla crisi internazionale, potrebbe compiere un danno: non supportando gli sforzi degli Stati con un adeguato aumento della base monetaria, con connessa riduzione del moltiplicatore bancario per mantenere costante M3 ed inflazione, condanna l'Europa alla recessione.”

(3) Come dovrebbe funzionare la politica monetaria

(4) Tremonti: la politica non entrerà nelle banche

(5) Crisi, la soluzione ci sarebbe

(6) senza fantasmagoriche diavolerie finanziarie.

(7) Fra Tremonti e Grillo, dalla torre butto giù...

mercoledì 29 ottobre 2008

La festa e’ finita

Alcuni consigli per rimediare allo sfacelo in corso e affrontare il futuro con qualche speranza in piu’. Ma il problema e’ la totale mancanza di volonta’ nel metterli in pratica da parte delle elite che governano il mondo.

Non solo le elite pero' dovranno assumersi le loro responsabilita', perche' anche il singolo cittadino dovra' fare la sua parte, cambiando il proprio stile di vita.

E questo e' forse il piu' grande scoglio da superare.


Fine Corsa
di Giulietto Chiesa – Megachip – 27 Ottobre 2008

Alcune note utili, forse, per affrontare il problema della transizione a un'altra società, che sia compatibile con la sopravvivenza del genere umano. Né più né meno. E non perché, stanti così le cose, come si dirà tra qualche riga, il nostro destino sia quello di essere eliminati dalla faccia del pianeta per manifesta incompatibilità con la natura di cui siamo parte impazzita, in quanto incapace di convivere con la sua entropia.

1) La prima considerazione-constatazione è che l'umanità ha già raggiunto, da oltre 25 anni, la situazione di "insostenibilità". Il termine usato dal Club di Roma, nel suo update del 2002, è "overshooting". Siamo in overshooting da 25 anni. E' una situazione che non si era mai verificata nella vicenda, lunga 5 miliardi di anni, della ecosfera.

Dal 1980 in avanti, circa, i popoli della Terra hanno utilizzato le risorse del pianeta, ogni anno, più di quanto esse siano in condizioni di rigenerarsi.

Cos'è esattamente l'overshooting? E' “andare oltre un limite”, anche senza volerlo. In primo luogo perché non lo si sa. Ciò avviene – dicono gli scienziati del Club di Roma - in condizione di crescita accelerata, oppure quando appare un limite o una barriera, oppure a causa di un errore di valutazione che impedisce di frenare, ovvero quando si vorrebbe frenare ma non ci sono più freni disponibili.

Overshooting contiene anche un altro aspetto: che, a un certo punto, si verifica un “picco”, doppiato il quale non si può più tornare indietro. Dove si trovi questo picco, questo Capo di Buona Speranza, è molto difficile da calcolare, perché siamo dentro problemi di altissima complessità

Siamo esattamente in una situazione in cui tutti e quattro questi aspetti sono in funzione. Inoltre si calcola che ci vorranno oltre dieci anni prima che le conseguenze dell' overshooting diventino chiaramente visibili. E ci vorranno 20 anni prima che l'overshooting diventi un'idea comunemente accettata. Bisognerà agire in questi limiti di tempo.

Ma è già evidente oggi che l'attuale architettura istituzionale della politica e dell'economia mondiale non è in grado di risolvere il problema del freno.

Quanti conoscono questa situazione? Un numero insignificante di specialisti. Pochi governanti di questo pianeta. Ecco perché questa situazione deve trovare posto in una rivista che si occupa di comunicazione e di informazione: perché questa situazione non viene comunicata e, quando lo è, è comunicata male e in forme ingannevoli.

Per esempio perfino l'opinione dei gruppi più avanzati, intellettualmente e culturalmente (per esempio Al Gore e i suoi consiglieri) è che noi "corriamo il rischio" della insostenibilità. Cioè nemmeno i più avveduti sanno che ciò è già accaduto. Di conseguenza si prendono decisioni gravemente errate.

2) Cosa occorrerebbe fare, da subito?

a) Sviluppare a ritmi forzati la ricerca scientifica e tecnologica in direzione del risparmio energetico, della riduzione dell'aumento demografico del mondo povero, dell'aumento del consumo alimentare dei poveri e della crescita delle loro condizioni di vita (perché questo riduce la natalità), dell'aumento della produzione di energie alternative, della riduzione dell'inquinamento ambientale e degli scarti: in poche parole andare verso la riduzione dell'impronta umana sull'ecosistema, sulla biosfera.

b) Pianificare gl'interventi sull'unica scala che conta, cioè su scala planetaria. Cioè dotarsi di un'architettura decisionale mondiale (si spera democratica) in grado di realizzarli. Solo una tale architettura può ampliare l'orizzonte temporale della programmazione degl'interventi e consentire effetti di lunga durata per il governo della crisi.

c) Organizzare il cambiamento di abitudini di miliardi di persone. Ciò richiede un drastico mutamento dei sistemi di informazione e comunicazione, delle istituzioni educative in generale. Mutamento che non può essere spontaneo o casuale, e che va dunque organizzato dai poteri pubblici e democratici. E' evidente che esso influirà sugli assetti proprietari del sistema mediatico, e anche per questa ragione sarà duramente osteggiato.

Vi sono alcuni corollari a queste considerazioni:

Corollario n.1. Tutti questi temi programmatici richiederebbero decenni per essere realizzati. Cioè bisognerà non dimenticare che, anche se cominciassimo oggi stesso a proporre cambiamenti, ci vorrà molto tempo prima che si producano effetti. In altri termini l 'overshooting peggiorerà nel corso del prossimi vent'anni.

Corollario n.2. Non abbiamo altri trent'anni a disposizione. Il sistema economico-sociale in cui viviamo non reggerà, senza grandi cataclismi (sociali, politici, militari) entro questo lasso di tempo.

Corollario n.3. Occorrerà rendere consapevoli grandi masse popolari, in tutti i continenti, ma soprattutto nel mondo occidentale, che i limiti dello sviluppo sono già stati raggiunti. Il fatto che non lo si veda ancora non è che la conferma che il sistema mediatico nasconde la realtà invece di renderla nota e spiegarla.

Corollario n 4. Non stiamo discutendo dell'eventualità che qualcuno, da qualche parte, decida di ridurre la crescita. La crescita, nei termini in cui è avvenuta nel corso dell'ultimo secolo, sarà fermata non da decisioni umane ma dagli eventi che derivano dalla natura dell'ecosfera, cioè dalle leggi della fisica e della chimica.

Corollario n 5. Le resistenze al cambiamento saranno enormi. In primo luogo tra i padroni del nostro tempo, le corporations, e i governi. Agli uni e agli altri sarà richiesto di perdere molto e di sottostare a condizioni e discipline che rifiuteranno di rispettare. Si imporrà una visione del “Bene Comune”, contro la quale verranno scagliate mille risposte corporative, di interessi particolari che non accetteranno di essere messi in forse. Ma non sarà solo il problema di élites egoiste. Anche miliardi di individui non vorranno, non sapranno, rinunciare alle loro abitudini, fino a che gli eventi non ve li costringeranno.

Corollario n. 6. La possibilità che scenari di grande mutamento, improvvisi, non preceduti da adeguata informazione e preparazione, provochino ondate di panico, apre la strada a forti pericoli di instabilità e a formidabili pressioni per soluzioni di guerra.

Un ulteriore aspetto della questione deve essere evidenziato.

Molte risposte fino ad ora formulate a questo tipo di considerazioni affermano che vi sono due meccanismi in azione che potranno risolvere, se non tutte, almeno una parte rilevante delle attuali e future contraddizioni. Si tratterebbe della tecnologia e del mercato. E di una combinazione di entrambi. Entrambi, in effetti, possono esercitare una influenza, ma nessuno dei due, singolarmente e insieme, sarà sufficiente. Per diversi e concomitanti motivi. La tecnologia sostitutiva e integrativa dei processi in corso non è in grado di fare fronte alla rapidità della crisi. Gli aggiustamenti tecnologici necessari per produrre mutamenti nella qualità dello sviluppo (cioè verso la sostenibilità almeno parziale, cioè verso il restringimento dell' overshooting , sicuramente non verso la sua eliminazione) richiedono tempi non inferiori ai 30-50 anni per entrare in funzione. Le tecnologie costano. Le tecnologie richiedono anch'esse ulteriori flussi di energia e di materiali. Cioè, mentre cercheranno di alleviare i problemi, ne creeranno altri. In parole più semplici: crescita della popolazione mondiale, crescita geometrica dello sviluppo dei consumi, crescita della domanda di energia in presenza di costi crescenti di estrazione dell'energia fossile organica e inorganica, saranno tutti fattori che non potranno essere fermati dalla sola crescita tecnologica (neppure nell'ipotesi ottimale che, per essa, si trovino le immense risorse necessarie) .

Per quanto concerne il mercato, esso ha proceduto fino ad ora in direzione della totale insostenibilità. E' il mercato ad avere prodotto questa situazione insostenibile. Il mercato implica una crescita esponenziale (proporzionale a ciò che è già stato accumulato) , che è racchiusa nella logica del prodotto Interno Lordo. Ma una crescita esponenziale non può procedere indefinitamente in un qualsiasi spazio finito con risorse finite .

In altri termini, l'economia capitalistica, esattamente come la popolazione, non sempre cresce, ma entrambe sono strutturate per crescere e, quando crescono, lo fanno in modo esponenziale. Questo modo non è sostenibile. Chiedere al mercato di risolvere questa equazione à una cosa priva di senso. Esiste una grande confusione, e un grande equivoco, su questa questione, nel quale gli economisti cadono sistematicamente perché non riescono a distinguere tra denaro e le cose materiali reali che il denaro rappresenta.

L'economia fisica (le merci, i servizi, e la loro produzione) è una cosa reale.

L'economia del denaro è un'invenzione sociale che non è soggetta alle leggi fisiche della natura.

Dunque, riassumendo, il problema non è se la crescita dell'impronta umana sull'ambiente (effetto della crescita esponenziale) si fermerà: la sola questione è quando e in che modo.

Il Club di Roma trae questa conclusione, che io ritengo assolutamente fondata: “Se noi saremo capaci di anticipare queste tendenze, allora potremo esercitare un certo controllo su di esse, scegliendo tra le varianti disponibili. Se noi le ignoreremo, allora i sistemi naturali sceglieranno la via d'uscita senza riguardo al benessere dell'Uomo”

Un'ultima notazione. Secondo una studio recentissimo dell'Unione Europea, soltanto per fare fronte al riscaldamento climatico in atto, le risorse mondiali necessarie, ogni anno che verrà, oscilleranno tra le due cifre di 230 e 614 miliardi di euro.

La quota europea di questa spesa - che, si noti, concerne soltanto le spese per fare fronte alle esigenze di adattamento e di riorganizzazione sociale e industriale - sarà pari, mediamente, ogni anno, a 70 miliardi di euro. Tutto ciò in condizioni normali. Si immagini soltanto cosa potrebbe significare, in una prospettiva di medio termine, lo spostamento di 200 milioni di persone, previsto dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, in caso di mutamenti climatici catastrofici.

E si tenga presente un dato emerso negli ultimi mesi. Dato che ci informa che, se non fossimo folli, potremmo risolvere molti dei problemi qui esposti: la sola guerra irachena è costata (secondo diverse e autorevoli valutazioni) dai tre ai cinque trilioni di dollari.

Abkhazia e Inguscezia: due fronti in costante surriscaldamento














Due articoli su due fronti caldi di cui i mainstream media non parlano praticamente mai.

Georgia, attenti all'Abkhazia
di Enrico Piovesana – Peacereporter – 28 Ottobre 2008

Spentisi i riflettori dei mass media sul conflitto in Ossezia del Sud, la Georgia è ripiombata nel dimenticatoio. Ma questo non significa che tutto sia finito.
Se sul fronte sudosseto la tregua sembra reggere, rischia invece di riesplodere l'altro conflitto separatista, quello riguardante la ben più estesa e strategica regione dell'Abkhazia.

Bagapsh: "Risponderemo alle provocazioni georgiane". Sabato sera, colpi di mortaio sparati dal villaggio georgiano di Ganmukhuri hanno colpito una postazione delle milizie abkhaze nel villaggio di Pichori, nel distretto di Gali. Un militare separatista è rimasto gravemente ferito. E' seguito un violento scontro a fuoco durato cinque minuti. "Oramai capita ogni giorno", ha dichiarato il presidente abkhazo Serei Bagapsh. "Sul confine con la regione di Gali i georgiani hanno lanciato un'operazione terroristica di provocazione su larga scala. Ma vedo che gli osservatori europei non agiscono. Ma d'ora in avanti risponderemo a questi attacchi con tutta la forza a nostra disposizione, carri armati compresi".

Una pericolosa escalation di attacchi e contrattacchi. L'attacco georgiano di sabato è stato probabilmente una rappresaglia per l'attentato che al mattino aveva ucciso il sindaco del villaggio georgiano di Muzhava, nel distretto di Tsalenjikha, a ridosso del confine amministrativo con l'Abkhazia. Nell'esplosione era rimasto ucciso anche un altro civile georgiano.
Un'azione che, a sua volta, potrebbe essere stata ordinata in risposta agli 'omicidi mirati' compiuti in Abkhazia, secondo i separatisti, da unità speciali dell'esercito georgiano. Venerdì un amministratore locale abkhazo era stato ucciso in un agguato nel villaggio di Dikhazurga, nel distretto di Gali. E mercoledì, a Gali città, era stato assassinato il capo dell'intelligence militare abkhaza assieme ad altre due persone.


Inguscezia fuori controllo
di Enrico Piovesana – Peacereporter – 27 Ottobre 2008

"In Inguscezia è ormai in corso una guerra civile". Parola di Alexei Malashenko, analista politico del Carangie Center di Mosca.
Il conflitto tra guerriglia indipendentista islamica e forze di sicurezza federali russe in questa piccola e poverissima repubblica russa - stretta tra la Cecenia, l'Ossezia del Nord e le cime del Caucaso - è sempre più violento. Sparatorie, attentati, imboscate, omicidi e rapimenti fanno ormai parte della vita quotidiana della popolazione ingusceta.

Una repressione controporducente. Il Cremlino si illudeva che la durissima repressione militare seguita al clamoroso attacco dei ribelli contro la capitale Nazran nel giugno 2004 avrebbe piegato i mujaheddin dell'emiro 'Magas', nome di battaglia di Magomed Yevloyev, comandante della Ingush Jamaat. Invece la mano pesante delle truppe russe contro chiunque fosse sospettato di legami con i ribelli (persecuzioni, torture, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni), combinata alla frustrazione di una popolazione locale stremata dalla povertà, dalla disoccupazione (al 75 percento) e dalla spaventosa corruzione del governo locale del presidente Murat Zyazikov, ha spinto molti giovani ad andare nei boschi per unirsi ai ribelli.

Anche l'opposizione nel mirino. L'invio, l'anno scorso, di 2.500 soldati delle forze speciali per contrastare la guerriglia ha solo peggiorato la situazione. Quest'anno il numero degli attacchi contro militari russi, politici locali e strutture governative è aumentato esponenzialmente. Uno stillicidio che, da gennaio a oggi, ha causato almeno 150 vittime (in Inguscezia vive solo mezzo milione di persone). Dopo che il 31 agosto scorso la polizia ha assassinato il principale esponente dell'opposizione locale (che per puro caso si chiama come il leader dei ribelli), l'escalation è stata drammatica.

"Situazione virtualmente fuori controllo". Solo negli ultimi dieci giorni i guerriglieri dell'emiro Magas hanno occupato due villaggi (16 ottobre), hanno ucciso in due imboscate a colpi di lanciarazzi diversi soldati russi, addirittura 50 secondo alcune fonti locali (18 ottobre), e giovedì scorso hanno fatto irruzione in un locale rapendo tre poliziotti e una dozzina di civili: sembra che li abbiano portati in Cecenia per poi usarli per uno scambio di prigionieri.
"La sitauzione qui in Inguscezia - ha dichiarato alla Reuters Timur Akiyev, direttore della sede locale di Memorial - è virtualmente fuori controllo".

martedì 28 ottobre 2008

Il terrorismo USA ora colpisce anche in Siria

Domenica alle 16.45 ora locale quattro elicotteri americani con base in Iraq hanno raggiunto il villaggio di Al-Sukkariya, nella zona agricola di Abu Kamal densa di fattorie. Arrivati nella zona a circa sette km dal confine iracheno, due velivoli hanno fatto sbarcare un commando, mentre gli altri controllavano dall'alto la zona. I militari hanno fatto irruzione in un edificio in costruzione e hanno ucciso 8 persone, tutte civili - alcuni operai al lavoro, il guardiano del cantiere e la moglie, un uomo e i suoi figli.

Questo raid terroristico sta ovviamente creando un polverone internazionale, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane.

Il ministro degli Esteri siriano Walid Mouallem ha subito dichiarato “Non è stato un errore ma un atto criminale, terroristico e deliberato, roba da cowboy. Fino a quando gli Stati Uniti domineranno le Nazioni Unite non ci sarà democrazia nel mondo» e ha invitato i Paesi arabi a “far sentire con forza la loro voce contro l’aggressione americana”. E ha avvertito “Se gli Stati Uniti ripeteranno azioni di questo tipo, difenderemo i nostri territori”. Inoltre Mouallem ha spiegato che le autorità siriane hanno chiesto al governo iracheno di aprire un'inchiesta sul raid.

Il portavoce del ministero degli Esteri russo Andrei Nesterenkoe ha dichiarato “La Russia è molto preoccupata per questo incidente. Noi pensiamo che non ci debbano essere attacchi nel territorio di paesi sovrani con il pretesto della lotta al terrorismo”, mentre il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa ha parlato di “gravi violazioni americane delle frontiere e della sovranità siriana.” Mussa ha inoltre chiesto che “non siano ripetuti questi atti condannabili, che provocano tensione in una regione già tesa”, e ha espresso «profonda preoccupazione per questa aggressione compiuta contro la Siria»

Mentre il portavoce del ministero degli Esteri francese Eric Chevallier ha affermato “Auspichiamo che sia fatta chiarezza sulle circostanze esatte dell'operazione” sottolineando l’importanza “del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati". Chevallier ha inoltre inviato un messaggio di condoglianze alle famiglie delle vittime.

Addirittura anche il primo ministro libanese Fouad Siniora ha parlato di "inaccettabile violazione della sovranità siriana, un’aggressione pericolosa, condannabile e inaccettabile qualunque sia il pretesto per giustificarla", mentre Hezbollah ha definito l’incursione “un crimine terroristico”.

Solo il governo fantoccio iracheno ha espresso invece apprezzamento. Secondo il portavoce governativo Ali Debbagh “il raid ha colpito gruppi terroristici contrari all'Iraq”. Il governo iracheno, ha detto, “è in contatto con le forze Usa in merito alle informazioni sulla vicenda del raid militare in una zona di confine con la Siria. La zona dell'attacco è stata teatro di attività di gruppi terroristici contrari all'Iraq la cui ultima azione è stata l'uccisione di 13 poliziotti in un villaggio di confine”. Debbagh ha aggiunto poi che Bagdad aveva già “chiesto alle autorità siriane di consegnare i membri di questo gruppo che utilizza la Siria come base per attività terroristiche contro l'Iraq”. Veramente pietoso questo governo iracheno di pupazzi.

Naturalmente una fonte governativa Usa, che ha chiesto l'anonimato, ha spiegato che il raid aereo e’ stato ”un successo nella lotta contro Al Qaeda”. Insomma il solito ritornello delirante.

Ma quest’ultimo colpo di coda dell’Amministrazione Bush si sta gia’ rivelando un enorme boomerang.


Uno 'strano' raid Usa in territorio siriano
di Nicola Sessa – Peacereporter – 27 Ottobre 2008

Akram Hameed ha quarant'anni e tutte le domeniche si ferma lungo le rive del fiume Eufrate per pescare. Anche ieri, Akram, era seduto sull'argine del grande fiume con lo sguardo rivolto a est, verso il confine con il vicinissimo Iraq.

Di corsa verso il motorino. Di corsa verso i bambini. Ha visto arrivare, all'improvviso, quattro elicotteri neri, americani. Uno è atterrato in un campo coltivato a non più di venti metri da lui. Cinque, sei, sette uomini sono usciti dalla pancia del grande elicottero nero e hanno cominciato a sparare contro un edificio ancora in costruzione. Akram ha capito che la situazione non era delle migliori per pescare. Ha lasciato la sua canna e i suoi cesti e ha cominciato a correre verso il motorino con il quale aveva raggiunto la sponda del fiume. È stato un attimo, si è girato ed è stato colpito al braccio destro. Tutto sommato, gli è andata bene.

Nell'edificio, quello in costruzione, c'erano delle persone, civili, come ha riferito il governo di Damasco. Tra queste, la moglie del guardiano dell'edificio che adesso si trova in ospedale, intubata. “Due elicotteri sono atterrati e gli altri due sono rimasti a mezz'aria”. Lei li ha visti bene, ha avuto più tempo di Akram. E i soldati, venuti fuori dagli elicotteri, erano otto. “Ho cominciato a correre per raggiungere i miei bambini, per metterli in salvo”, ha detto la donna all'inviato dell'Ap. Perché c'erano anche dei bambini all'interno dell'edificio e alla fine, quando si è fatta la conta delle vittime, tra gli otto corpi rimasti a terra c'erano quelli di quattro bambini.

Il raid oltre confine. Da Damasco la reazione è stata durissima. Reem Haddad, portavoce del ministero dell'Informazione, ha riferito all'emittente panaraba Al-Jazeera che senz'altro ci sarà una reazione da parte della Siria, che non mancherà una risposta alla “grave aggressione” portata sul loro suolo da parte statunitense. Secondo quanto riferito dalla tv di stato, ieri pomeriggio, alle 4 e 45 locali, quattro elicotteri Usa, provenienti dall'Iraq, hanno invaso lo spazio aereo siriano e attaccato un edificio in costruzione nel villaggio di Sukariya, non lontano dalla cittadina di Abukamal, a soli otto chilometri dal confine iracheno e dalla cittadina di Qaim. Solo la settimana scorsa i vertici americani in Iraq avevano accusato Damasco di disinteressarsi del controllo del confine diventato un vero è proprio incrocio per passaggio di armi e di terroristi legati ad Al-Qaeda.

Covo di terroristi? Sebbene dal comando Usa non sia arrivata nessuna comunicazione ufficiale in merito al raid compiuto ieri, una fonte militare, rimasta anonima per ovvi motivi, ha confermato la notizia affermando che l'attacco era mirato a spezzare la rete di al-Qaeda che opera oltre confine. “Abbiamo preso noi la situazione in mano”, ha detto l'ufficiale. Il colonnello Chris Hughes, portavoce delle forze Usa dispiegate nell'Iraq occidentale, ha detto che “le unità impegnate in quella zona non sono responsabili dei fatti di domenica pomeriggio”. Il governo ha convocato gli inviati statunitensi e iracheni a Damasco per avere spiegazioni. Soprattutto, si chiede a Baghdad di prendere una posizione e di opporsi a che il suo territorio diventi base di attacco per la Siria. Oltre che di una grave violazione del diritto internazionale, si tratta di una violazione anche dei principi che ispirano il Patto di Sicurezza (Sofa) in corso di approvazione tra Baghdad e Washington dato che uno dei punti prevede il divieto di attaccare i paesi confinanti. Se è vero che la Siria rappresenta ancora il principale crocevia per l'afflusso della guerriglia dal nord Africa all'Iraq, restano difficili da capire le motivazioni di un attacco lampo a un edificio, che sembrerebbe un edificio qualunque, lontano dal poter essere considerato covo di contrabbandieri o affiliati di al-Qaeda.

lunedì 27 ottobre 2008

Il paradosso thailandese

In Thailandia le tensioni politiche degli ultimi mesi sono giunte ormai a un punto morto. La situazione e’ in completo stallo e non sembra esserci in vista una via d’uscita che risolva alla radice i problemi di un sistema politico giunto al capolinea.
Ma fondamentalmente, agli occhi di un osservatore occidentale, cio’ che sta accadendo a Bangkok negli ultimi mesi si sta rivelando un enorme paradosso che continua a crescere man mano che passano i giorni.

Da oltre due mesi infatti i militanti del PAD (People’s Alliance for Democracy), in gran parte membri dell’elite economica e della classe medio-alta di Bangkok, si sono asserragliati nel palazzo del governo e non hanno assolutamente intenzione di uscire fino a quando anche questo esecutivo, in carica da poco piu’ di un mese, non si dimettera’ come il precedente.

Ma anche in questo caso, la soluzione non e’ affatto dietro l’angolo perche’ il partito di maggioranza relativa – il PPP legato all’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra estromesso dal potere con il golpe militare del settembre 2006 – ripeterebbe cio’ che ha gia’ fatto nel settembre scorso dopo le dimissioni del premier Samak Sundaravej: scegliere un’altra persona all’interno del partito e metterlo alla guida del governo di coalizione.

Si ritornerebbe quindi di nuovo al punto di partenza perche’ il PAD e’, come due anni fa, a favore di un golpe militare che dia il potere nelle mani del Re affinche’ scelga la persona giusta per guidare il Paese.
Ma il PAD propone anche un nuovo sistema elettorale che preveda solo una certa percentuale, minoritaria, di parlamentari eletti direttamente dal popolo mentre la maggior parte deve essere scelta da un commissione di cosiddetti saggi, composta da membri del mondo accademico, imprenditoriale e militare.

Il PAD sostiene infatti che l’attuale modello democratico a suffragio universale non funziona in quanto la maggioranza della popolazione in Thailandia vive nel nord del Paese ed e’ prevalentemente povera e dedita all’agricoltura. Facile quindi da corrompere per comprarne il voto.
E il bacino elettorale di Thaksin Shinawatra e’ proprio nel nord rurale e povero del Paese. Quindi, secondo il PAD, il partito di Thaksin uscira’ sempre vittorioso dalle urne, ed ecco il perche’ di quella proposta di legge elettorale non proprio consona ai canoni democratici occidentali.

Il paradosso dell’attuale situazione politica thailandese risiede poi anche nel fatto che ormai da due mesi il governo e’ costretto a riunirsi nell’ex aeroporto internazionale di Don Muang per via dell’occupazione della Government House da parte del PAD.
Viene da ridere al solo immaginare un’analoga scena in Italia con centinaia di persone che occupano Palazzo Chigi per mesi e Berlusconi che deve presiedere il Consiglio dei Ministri a Ciampino o in Malpensa.

Comunque il 7 Ottobre scorso la polizia ha cercato di disperdere i militanti del PAD che avevano “sigillato” il Parlamento in occasione del primo discorso in aula dell’attuale premier Somchai, cognato di Thaksin Shinawatra.
Somchai e’ riuscito a lasciare il parlamento solo con l’ausilio di un elicottero, mentre per ore i deputati sono rimasti bloccati in aula. Nel frattempo all’esterno si scatenavano violenti scontri tra polizia e PAD con un bilancio finale di due morti tra i militanti del PAD e 400 feriti circa da ambo le parti.
Altro fattore paradossale e’ che i medici di alcuni ospedali della capitale si sono addirittura rifiutati di prestare le cure mediche ai poliziotti feriti, in aperto sostegno politico al PAD.

Le vittime degli scontri sono state una ragazza e un ex poliziotto che si era unito al movimento antigovernativo. E ad assistere alla cerimonia funebre di cremazione delle due vittime c’erano anche la Regina e il Capo delle Forze Armate, il Generale Anupong Paojinda.
Un altro segnale del paradosso thailandese e un evidente messaggio di sostegno alle proteste da parte della Casa Reale e delle Forze Armate che non hanno infatti risparmiato critiche alla polizia per l’uso sconsiderato di gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. Il capo della polizia si e’ dovuto scusare pubblicamente, insieme al premier.

Se si pensa all’Italia e ai fatti di Genova nel 2001 viene solo da ridere. E l’Italia e’ riconosciuta nel mondo come uno stabile Paese democratico, mentre la Thailandia ha una lunga tradizione di colpi di Stato e sanguinose repressioni delle proteste politiche.

Un ulteriore segno della situazione paradossale in cui e’ precipitata la Thailandia si e’ avuto qualche giorno fa quando lo stesso Gen. Anupong Paojinda ha invitato il premier ad assumersi la piena responsabilita’ per gli scontri del 7 Ottobre e a dimettersi, aggiungendo pero’ che non ha alcuna intenzione di attuare un golpe.
Ma il premier Somchai, che e’ anche ministro della Difesa, ha ovviamente ignorato la “richiesta”.

Il quadro e’ inoltre ingarbugliato dal fatto che, a differenza del 2006, ora le Forze Armate non sembrano cosi’ compatte e unite nello schierarsi a fianco delle proteste, cosi’ come la polizia non e’ cosi’ compatta a sostegno del governo.
E col passare dei giorni anche i sostenitori del governo – l’UDD, United Front of Democracy against Dictatorship - si sono organizzati, presidiano una piazza di Bangkok e, come i militanti del PAD, godono del sostegno di membri della polizia e delle Forze Armate.
Entrambi i movimenti hanno infatti i rispettivi servizi d’ordine che ogni giorno si allenano al combattimento corpo a corpo anche con l’uso di bastoni, guidati da ex membri della polizia ed esercito.

Difficile dire che piega prenderanno gli eventi in quanto la situazione si sta sempre piu’ complicando col passare dei giorni, diventando un vero e proprio enigma impossibile da sciogliere.
Ma gli analisti politici, i professori universitari e gli opinionisti dei maggiori quotidiani sembrano concordare sul fatto che e’ ormai solo una questione di tempo prima di vedere per l’ennesima volta i carri armati sfilare nelle strade di Bangkok.

Questa eventualita’ pero’, a differenza del 2006, non sara’ priva di pesanti conseguenze. L’UDD ha gia’ promesso di bersagliare i cingolati con bottiglie molotov. Ma pistole e bombe a mano sono gia’ da tempo nelle mani di entrambi i gruppi.

Quindi un intervento dei militari sblocchera’ di sicuro l’attuale impasse ma puo’ aprire ben altri scenari, imprevedibili e di sicuro sanguinosi.

domenica 26 ottobre 2008

La ‘meglio’ Italia…

La protesta degli studenti, docenti e ricercatori universitari contro la legge 133 del duo Tremonti-Gelmini rappresenta forse uno dei lati migliori dell’ormai ex Belpaese, ridotto ad uno straccio da una progressiva e imperitura crisi economica gia’ quasi ventennale, da una classe politica a 360 gradi a dir poco inetta e incompetente, da una classe imprenditoriale parassita e da un rincoglionimento generale dietro ai grandifratellli, isoledeifamosi, pacchi, provedelcuoco e velinume/Coronario vario.

Ma purtroppo tutto questo lodevole ma velleitario sforzo non servira’ a tirar fuori il Paese dalla merda socio-economico-culturale in cui e’ sprofondato.

Questa e’ un’assoluta mission impossible.


La spontaneita’ fa paura
di Valentina Laviola – Altrenotizie – 26 Ottobre 2008

Dev’essere un timore concreto, palpabile, quello che spinge il premier Berlusconi e altri rappresentanti della maggioranza ai commenti quotidiani sulle proteste del mondo della scuola. Trovarsi di fronte, inaspettatamente (perché, diciamolo, gli italiani non mettono in discussione tanto spesso il potere costituito) ad un movimento di questa portata deve aver sollevato non poche preoccupazioni. Ed ecco, allora, che si cerca ogni mezzo per incasellarlo, circoscriverlo, giustificarlo in qualche modo. La soluzione d’attribuirne la responsabilità all’opposizione sobillatrice e mal informata è fin troppo banale. Ridurre tutto ciò che accade ad una manovra di disturbo ideata da Veltroni di certo aiuta a ridimensionare la situazione, a trattarla come ordinaria amministrazione, ma certo non rende giustizia della realtà.

Come ha acutamente osservato il Rettore dell’Università dell’Aquila, prof. Ferdinando di Orio, in merito alle affermazioni del Presidente del Consiglio, “é davvero incomprensibile, e per certi versi irresponsabile, voler trasformare una civilissima e legittima mobilitazione di tutta l'Università italiana in un problema di ordine pubblico". O piuttosto, qualcuno potrebbe leggervi addirittura della malafede, interpretandolo come un tentativo di spostare l’attenzione pubblica dal problema reale, di confondere le acque: giocare la carta della sicurezza, si sa, ottiene sempre buoni risultati.

Negli ultimi giorni, i telegiornali nazionali sono affollati dagli esponenti del PdL che si profondono in continue dichiarazioni a sostegno del decreto Gelmini, accompagnate dall’immancabile attribuzione della responsabilità delle proteste alla Sinistra. Insomma, se si fa passare l’idea che si tratta solo di gente indottrinata e chiassosi studenti, si pongono le premesse perché le loro voci possano essere ignorate senza rimorso. Tuttavia, sembra difficile ammettere che anche questa volta possa finire tutto in un fuoco di paglia, poiché le cifre caratterizzanti di questo movimento (che non trova precedenti nella storia recente) sono proprio la sua spontaneità e la sua consapevolezza informata. In un Paese troppo spesso addormentato, o che ancora peggio preferisce non vedere, stupisce, e può intimorire, che improvvisamente non si marci più tutti in fila, ma che si cerchi di aprire una discussione.

Tutto nasce da semplici genitori, di tutte le estrazioni sociali e di diverse opinioni politiche che, allarmati dai cambiamenti che potrebbero compromettere l’educazione dei propri figli, decidono di informarsi, di approfondire l’argomento, di partecipare in qualche modo alle decisioni che il proprio governo prende. Questo dovrebbe essere salutato come un momento di crescita democratica, come un avvicinamento del cittadino alla politica, invece fa paura perché una persona consapevole non è disposta ad essere suddito silenzioso. Forse si tende troppo spesso, ormai, a sottovalutare le capacità cognitive del singolo e l‘impegno che può generare dall’unione di più singoli. La miglior garanzia contro la possibile strumentalizzazione, però, è data proprio dal conoscere e dal comprendere i motivi della protesta; inoltre, la nascita dal basso di quest’ultima contraddice implicitamente ogni attribuzione partitica.

La risposta migliore alle accuse del governo viene proprio dalle piazze italiane di questi giorni: a chiunque le osservi apparirà chiara la fondamentale trasversalità della protesta che si sta esprimendo attraverso canali e forme molteplici, proprio perché diverse sono le persone che la animano. Oggi è possibile vedere genitori seduti simbolicamente nei banchi collocati in piazza a Bologna per difendere la scuola elementare dei propri figli; ricercatori precari chiedere l’elemosina per strada; maestre coinvolgere i propri alunni nella partecipazione. All’interno delle Università italiane, dalla Sicilia al Veneto, non passa giorno senza che si organizzino assemblee, dibattiti e dimostrazioni pubbliche del dissenso, nelle quali chi cerca di mettere di mezzo un colore politico viene fischiato: gli stessi esponenti del PD, infatti, sono stati respinti quando hanno tentato di avvicinare i manifestanti. Gli studenti marcano più che possono la propria autonomia, semplicemente perché sanno che la messa a rischio del loro futuro non è “una questione di sinistra”, se mai una questione di civiltà, di pari opportunità, di tutele. L’argomento non può non riguardare ognuno di noi.

Infatti, i decreti del governo, pur attaccando livelli diversi dell’istruzione italiana, suscitano le rimostranze di tutte le categorie coinvolte. Oggi i docenti protestano accanto agli studenti; questa è già una piccola rivoluzione degna di nota. Una delle iniziative intraprese dai professori di varie università è rappresentata da una lettera indirizzata ai genitori degli universitari, alle loro famiglie, per spiegare che “La nuova L.133 di quest’anno prevede un ulteriore taglio di ben 1500 milioni di euro per i prossimi 5 anni. E’ evidente la volontà di emarginare l’Università pubblica, costringere le Facoltà ad innalzare severamente le tasse di iscrizione e di selezionare gli accessi degli studenti sulla base del loro reddito familiare. Così l’Università è destinata a esistere solo per pochi ragazzi. E d’altra parte, la possibilità che la legge offre ai Rettori di trasformare le Università in fondazioni private conferma questa volontà da parte delle forze di governo”.

Tra le tante iniziative, c’è anche una raccolta di firme all’attenzione del Presidente della Repubblica Napolitano per sensibilizzare le istituzioni. Inoltre, è apparso sul sito Internet dell’Istituto Superiore di Sanità un comunicato del 22 ottobre nel quale si spiega che “il sistema di sorveglianza sull'influenza, 'Influnet', è stato sospeso per protesta contro le norme che colpiranno la ricerca pubblica, portando al ridimensionamento del personale precario e privando così l’Istituto dell'irrinunciabile contributo fornito da colleghi e colleghe che operano con contratti di lavoro a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa”. I ricercatori sottolineano che “la difficile decisione di sospendere l'attività, é voluta da tutto il personale”. Questa presa di posizione mira a dimostrare che, se verranno applicate le nuove regole, molte altre attività di rilevante impatto sulla sanità pubblica rischiano di scomparire.

In conclusione, appare chiaro che il Paese ha capito che non si tratta di una protesta politica in senso stretto, ma che di certo tocca una questione politica: l’importanza dell’istruzione pubblica e della qualità che questa deve assicurare, quale diritto irrinunciabile di tutti. Ciò che i cittadini stanno portando avanti è una dimostrazione di buona politica, di politica vera, concreta, interessata e partecipata; stanno lanciando un messaggio al governo: “Questa volta, non staremo a guardare.”


Cosi’ non va, studenti
di Paolo Barnard – Comedonchisciotte - 23 Ottobre 2008

No, così non va cari studenti, cari insegnanti, cari attivisti. L’opposizione e l’indignazione sono fallate quando sono selettive, quando cioè si animano contro l’uno ma non contro l’altro. Poi: nulla di buono potrà mai scaturire se è solo un’ossessione per l’Odioso Designato (Silvio Berlusconi) che vi ha infiammati fino a questo livello. Infine: la protesta è ancor più vana quando sbaglia clamorosamente il target.

Sarò subito chiaro. Le masse di voi giovani che oggi sconquassano istituti e atenei per protestare contro l’assalto all’istruzione dell’attuale ministro, rimasero inerti quando quell’assalto veniva pianificato dal governo Prodi, con colpi di scure assai più profondi di quelli oggi in gioco. Dov’eravate ragazzi? E i vostri docenti? Eppure, leggete qui di seguito:

“L'incontro di ieri mattina tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e i sindacati della scuola è stato il detonatore che ha fatto esplodere l'inquietudine sotterranea che da settimane attraversava l'intero versante sindacale di fronte all'incognita della Finanziaria (2007, nda). Il confronto si è arroventato di colpo quando Enrico Panini, leader della FlcCgil, ha estratto dalla sua cartellina un foglio contenente le misure che la prossima Finanziaria dedica alla scuola. Sotto accusa tre articoli: 17, 18 e 19. Il primo stabilisce che, dal 2007/08 al 2012/13, sarà innalzato progressivamente fino a 12 il rapporto tra alunni e docente… un giro di vite che alla fine porterebbe alla riduzione di quasi 100mila posti per gli insegnanti. Inoltre, stretta sui posti di sostegno e sul personale Ata… provvedimenti che potrebbero costare la cattedra a circa 10mila docenti. E altrettanti potrebbero essere cancellati dalla paventata abolizione della deroga nella formazione delle classi nelle quali sono presenti alunni con handicap. «Più che una proposta dilegge Finanziaria siamo di fronte a un chiaro esempio di come si può far impallidire anche un concetto come quello di macelleria sociale», ha attaccato Panini.”

Così scriveva il Sole 24 Ore il 27 settembre del 2006. E notate: l’articolo parla di “inquietudine sotterranea che da settimane attraversava l'intero versante sindacale”, dunque il tempo per sollevarsi c'era. Si parlava di ben oltre 100.000 cattedre a rischio, ben più delle odierne 87 mila della Gelmini. Perché in quelle settimane non vi mobilitaste? Perché nessun allarme e nessuna occupazione per oltre un anno? Vero, nell'autunno del 2007 scendeste in piazza, ma le agitazioni di allora furono minuscole rispetto a quanto state facendo oggi, e soprattutto si accesero nella maggioranza di voi quando l'allora ministro Fioroni minacciò i vostri interessi di parte (obbligo dei debiti , maturità ecc.) e non prima quando, ribadisco, in gioco c'erano i medesimi tagli che oggi sembrano così scandalizzarvi. Perché? Vero anche che la minaccia dei colpi di scure del buon Prodi rientrò, ma poi… leggete qui:

“Giungono a maturazione i frutti avvelenati di una Finanziaria (2007 nda) che ci avevano detto avrebbe fatto piangere i ricchi e finalmente rilanciato l'impegno dello Stato a sostegno della scuola. La situazione economica e strutturale della scuola pubblica diviene ogni giorno più drammatica. I tagli alla superiore sono i più evidenti e vistosi, resi ancor più gravi dall'aumento delle iscrizioni a livello nazionale… Il crollo dei finanziamenti sta minacciando il Tempo Pieno e prolungato, sta impedendo di pagare e fare le supplenze quasi ovunque, con decine di migliaia di classi che ogni giorno restano senza insegnanti. Molte scuole non hanno più i soldi neanche per le spese più elementari, gesso o carta igienica… I professionali stanno per essere massacrati, si annunciano riduzioni vistose dell'orario settimanale… Dopo un ridicolo balletto con i sindacati ‘amici’, il governo ha ribadito che nel 2007 non darà un euro per il rinnovo del contratto di docenti ed Ata, deprimendo ancor più una categoria al limite del tracollo… E dire che basterebbe che il governo rinunciasse a costruire gli F35 (i caccia, nda) destinando all'istruzione almeno la metà di quei soldi.”

Così si esprimevano nel maggio del 2007 i Cobas Scuola. E allora.

No, così non va cari ragazzi. Lo slancio civico, la difesa dei diritti, sarebbero in voi una manifestazione straordinaria se non fosse che ancora una volta l’evidenza mi costringe a concludere che ciò che anima questo vostro insolito livello di indignazione è la deleteria febbre contro l’Odioso Designato, e non la sostanza dell'ingiustizie. Ancora una volta. Come ai tempi del desolante spettacolo del ‘pacifismo’ italiano di cinque anni fa. Ricordiamo tutti quell’epocale 15 febbraio del 2003, quando una massa di quasi tre milioni di italiani marciò su Roma per protestare contro l’intervento italiano in Iraq e in Afghanistan. In Iraq l’Italia è rimasta per nove mesi del governo di centrosinistra, in Afghanistan ancora siamo. Ma dei tre milioni di ‘pacifisti’ del 2003, quanti scesero in piazza nei mesi del mandato Prodi dall'aprile del 2006? Lungo cioè la terrificante strage di civili che le cosiddette coalizioni hanno perpetrato in quei due Paesi e che oggi arriva a una stima di oltre un milione e seicentomila morti? Poche centinaia si agitarono nelle piazze, di cui neppure uno dopo l’annuncio lanciato da Luciano Bertozzi su Nigrizia che ci rivelava come il buon Prodi avesse previsto nella finanziaria 2008 qualcosa come… 23 miliardi di euro in spese militari, armando poi Paesi come la Turchia o Israele, vere e proprie bestie nere dei Diritti Umani. Perché allora, col centrosinistra a palazzo Chigi, neppure una frazione dell’indignazione febbrile che oggi vi percuote fece capolino nelle strade? Mi dite perché?

Infine. Dove state andando a sbattere? Contro chi? Ha senso indignarsi con il pescecane che ha azzannato la rete del pescatore? Mi spiego, è semplice. Le destre politiche di tutto il mondo sono cromosomicamente programmate dai loro padroni per fare una e solo una cosa: distruggere il bene comune e il senso di collettività, per sempre, e imporre il privato individuale ovunque. Sono nate per fare questo. Punto. Esattamente come gli squali sono nati per azzannare. Significa demolire scuola pubblica, sanità pubblica, servizi pubblici. Possiamo certamente inorridire, ma che senso ha indignarsi con chi sta facendo il suo dovere? L’indignazione se la meritano coloro il cui compito era di impedire che la destra facesse il suo dovere: e cioè la sinistra, la miserevole inesistente patetica sinistra. Quella cosa che oggi sta appiattita sotto lo stuoino della destra pur continuando a biascicare retoriche di sinistra. Le leggi dell’Odioso Designato si disfano in poche settimane se c'è il consenso politico (cioè popolare). Il problema è che quel consenso non c'è, o meglio, la sinistra non ha saputo crearlo, non ne è stata capace, anzi: non ha voluto. Questo è il problema. Invece di perdere tempo a odiare Berlusconi e il suo clan, perché non vi chiedete le ragioni per cui le sinistre sono finite a brandelli, svendute alle destre, protettrici del piduista Silvio, privatizzatrici, precarizzatrici, traditrici del nostro bene comune?

Indignatevi con loro ragazzi, strattonatele, prendetele a schiaffi, fate i sit-in e le lezioni in strada di fronte alla CGIL, alle sedi del PD, sotto casa di Romano Prodi. Questo ha senso. La destra fa il suo dovere. E' la sinistra che non l'ha fatto.

sabato 25 ottobre 2008

Un governo coi coglioni. Al suo interno.

Una serie di articoli sul dna di questo governo.

Nulla di nuovo per carita’, avendo gia’ dimostrato dal 2001 al 2006 cosa e’ capace di fare. Ma questa volta sembra veramente deciso a migliorarsi…


Io sono io, e voi non siete un c....(*)
di Marco Ferri – Megachip – 25 Ottobre 2008

Il capo del governo italiano ha detto che se gli studenti continuano a protestare contro i tagli alla scuola, lui gli manda la polizia. Ha anche detto che i giornalisti la devono piantare di creare “ansia” dalle pagine dei giornali, dai microfoni del telegiornali. Giorni fa, il ministro dell'istruzione ha detto che lei quelli che protestano proprio non li capisce. Il ministro delle pari opportunità ha querelato una donna che di mestiere fa satira, perché non gradisce essere presa in giro. Il ministro della funzione pubblica non ammette critiche, per lui gli impiegati pubblici sono “fannulloni”. Va in giro per tutti i talk show a dirlo e ridirlo.

Da quando si è insediato il nuovo governo è diventata una prassi consolidata procedere per decreto legge e poi imporre il voto di fiducia. Così succede che prima non si vuole far discutere il Parlamento, poi non si accettano né critiche, né proteste né che di queste si occupino i giornali.

Questi atteggiamenti sono legittimi e legittimati dal fatto che il capo del governo risulta gradito a oltre il 60% degli intervistati, secondo più di un recente sondaggio d'opinione. E'quanto ha apertamente dichiarato il capo del governo italiano durante un convegno di industriali a Napoli.

Come si spiega questo diffuso atteggiamento di decisionismo burbero?

Secondo Raffaele Simone, linguista di reputazione internazionale, questi atteggiamenti appartengono alla dottrina politica di quella che ha definito “Neodestra” italiana. In “Il mostro mite” (Garzanti, 2008), Raffaele Simone postula questa dottrina, mettendo a confronto il linguaggio dottrinale con quello colloquiale:

a) postulato di superiorità (“io sono il primo, tu non sei nessuno”);

b) postulato di proprietà (“questo è mio e nessuno me lo tocca”);

c) postulato di libertà (“io faccio quel che voglio e come voglio”);

d) postulato di non-intrusione dell'altro (“non ti immischiare negli affari miei”);

e) postulato di superiorità del privato sul pubblico (“delle cose di tutti faccio quello che voglio”).

Se ascoltate con attenzione le parole che vengono organizzate in discorsi dagli esponenti del governo, sia che si tratti di un intervento a un convegno, a una conferenza stampa, piuttosto che davanti ai microfoni di un cronista, vi accorgerete come questi postulati vengono continuamente riproposti, sia in forma “dottrinale” che in quella colloquiale, che in genere è la preferita, perché ben si presta a essere citata su un giornale o al telegiornale. A volte ci si spinge troppo in là, e allora pronta arriva la smentita, che è in realtà il talento di dire due volte esattamente la stessa cosa, una volta affermandola, una volta negando non la cosa in sé, quanto l'interpretazione che ne è stata data. La domanda che spesso ci poniamo è perché sia possibile che questo modo di condurre la politica abbia successo, come dimostrano i sondaggi. “Quella che (i postulati della Neodestra) descrivono è una società aggressiva, egoistica e pericolosa”, scrive Raffaele Simone in “Il mostro mite”.

In effetti, viviamo tempi precari: reduci dalla grande paura del terrorismo islamico, inaugurato con l'Attacco alle Torri Gemelle, coinvolti nella “guerra preventiva” e nel timore di attentati nelle nostre città, siamo attualmente spaventati dalla globalizzazione finanziaria ed economica e dalle grandi migrazioni, siamo molto preoccupati per il tenore e lo stile di vita, allertati dai pericoli di un' imminente e grave recessione economica.

Il decisionismo burbero fa leva sulla semplice constatazione che un “popolo spaventato si governa meglio”? In effetti, temiamo di perdere qualcosa (lo stipendio, il posto di lavoro, la casa, la vacanza, l'auto, l'i-phon) che consideravamo un diritto di proprietà. Ragion per cui, senza mezzi termini diamo credito, apertamente o in modo più defilato a chi si candida a proteggere grandi o piccoli possessi acquisiti, grandi o piccoli privilegi. Poiché meno si ha, più l'eventualità di una perdita è sinonimo di disastro, ecco che il ceto medio ( medio perché ha qualcosa in più delle classi basse, e molto di meno di chi possiede di più), sentendosi molto minacciato tende a premiare col suo consenso governi come quello che abbiamo in Italia in questi mesi e che sembra intenzionato a durare a lungo.

L'attuale governo ha restituito la parte residua dell'Ici, ha fatto sparire “la monnezza” a Napoli, ha reso invisibili le prostitute, ha spinto in periferia i campi nomadi, punisce i “fannulloni” nel pubblico impiego. Fin qui tutto sembrava filare liscio. Quando ha deciso di tagliare i costi alla scuola, qualcosa si è inceppato.

Complice fortuito l'arrivo della bolla speculativa dei mutui, l'operazione di “risparmio” ideata dal ministro Tremonti e vestita da riforma dalla ministro Gelmini non ha avuto successo.

Il mondo della scuola si è ribellato: genitori e scolari, studenti e insegnanti, professori, prèsidi di facoltà e addirittura rettori di atenei hanno detto no. “La crisi non la paghiamo noi” si è letto sugli striscioni di migliaia di manifestanti in tutta Italia. Questa idea, semplice e comprensibile a tutti, ha fatto breccia fino a preoccupare seriamente il governo, come dimostra la minaccia far intervenire la polizia nelle scuole e nelle università: il pericolo avvertito è che scolari, studenti, genitori, insegnanti, prèsidi e rettori, facenti per lo più parte del ceto medio, possano rappresentare il punto critico di rottura del consenso fin qui incassato dalla coalizione di governo.

Bisogna aggiungere che la protesta nelle scuole ha trovato una prima saldatura il 17 ottobre, quando si è svolto lo sciopero generale contro il governo, indetto dai sindacati di base e a Roma sono sfilati in 350 mila. Anche qui l'occasione è stata forse fortuita, fatto sta che contro quella giornata si è scagliato il capo del governo a Napoli, durante il già citato intervento al convegno degli industriali italiani.

Anche l'opposizione parlamentare sta tentando di intercettare il malumore e il dissenso che dal mondo della scuola potrebbe contagiare la disapprovazione nei confronti del governo da parte dei ceti medi.

La manifestazione del 25 ottobre prossimo potrebbe essere un banco di prova, anche se per stessa ammissione dei dirigenti del Pd la protesta nelle scuole ha preso il via al di là e al di fuori delle organizzazioni di partito e anche se la data della manifestazione era stata decisa molto prima la nascita delle protesta (un altro caso fortuito con gli avvenimenti in corso).

Quali chances ha il centrosinistra italiano di tornare, dopo la sconfitta elettorale dello scorso aprile a rappresentare una concreta attrattiva sulla scena politica?

Abbiamo visto i postulati della dottrina della Neodestra, così come ce li ha proposti Raffaele Simone in “Il mostro mite”. Il quale ci propone quelli riferibili alla sinistra (che qui, per brevità propongo in “forma colloquiale”):

a) al “io sono il primo, tu non sei nessuno” si oppone “non siamo tutti uguali, ma dobbiamo diventarlo”;

b) al “questo è mio e nessuno me lo tocca” si oppone “entro certi limiti la mia proprietà può essere ridistribuita ad altri”;

c) al “io faccio quel che voglio e come voglio” si oppone “i diritti dei singoli non possono sminuire il bene pubblico”;

d) al “non ti immischiare negli affari miei” si oppone “gli interessi dei singoli possono essere limitati dall'interesse di tutti”;

e) al “delle cose di tutti faccio quel che voglio” si oppone “sebbene i privati abbiano prerogative e diritti definiti, il pubblico è preminente”.

Anche in questo caso, come si notava poco fa a proposito degli esponenti della Neodestra, se ascoltate con attenzione le parole che vengono organizzate in discorsi dagli esponenti dell'opposizione, sia che si tratti di un intervento ad un convegno, a una conferenza stampa, piuttosto che davanti ai microfoni di un cronista, vi accorgerete come questi postulati vengono continuamente riproposti, sia in forma “dottrinale” che in quella colloquiale.

La domanda è: sono attrattivi, possono essere condivisi dai ceti medi, che come si sa sono la base elettorale che elegge o manda a casa i governi nei paesi occidentali?

Non ci possono essere dubbi: la risposta è no. A meno che la congiuntura economica non spinga fino in fondo le contraddizioni che sta vivendo il ceto medio, che non affiori la netta sensazione di essere stati sfruttati sfacciatamente dalle banche e dalle finanziarie, che il possesso dei risparmi gli sia stato soffiato via dalle tasche, che lo stipendio è troppo basso, le spese troppo alte, le tutele evanescenti, che se una volta anche l'operaio voleva il figlio dottore, oggi anche il dottore ha un figlio precario.

In un certo senso e fatte le debite proporzioni è il senso della sfida alla Casa Bianca da parte di Barak Obama. Tra qualche giorno saremo in grado di vedere i neo-cons, la Neodestra americana può essere battuta.

Durante un recente dibattito televisivo, a un vice ministro che lo interrompeva col piglio tipico del politico della Neodestra, Eugenio Scalfari ha detto: “Lei non migliora mai, eh!?”. Ecco: se in un prossimo futuro le parole del fondatore di Repubblica dovessero anche solo venire in mente a milioni di elettori, allora, forse, si aprirà una nuova stagione politica.

La nuova stagione economica e sociale è già qui: la Neodestra non sa bene che pesci prendere, l'opposizione sconta forti ritardi sulla tabella di marcia delle contraddizioni politiche e sociali. A quanto pare, gli unici che al momento hanno le idee chiare sono gli studenti italiani: è contro quel“Non pagheremo noi la crisi”che si minaccia di mandare addosso la polizia. Beh, buona giornata.

(*)I sovrani del mondo vecchio

C'era una volta un Re che dal palazzo
emanò ai popoli quest'editto:
- Io sono io, e voi non siete un cazzo,
signori vassalli imbroglioni, e state zitti.

Io rendo diritto lo storto e storto il diritto:
posso vendervi tutti a un tanto al mazzo:
Io, se vi faccio impiccare, non vi faccio un torto,
perché la vita e la roba Io ve le do in affitto.

Chi abita in questo mondo senza il titolo
o di Papa, o di Re, o d'Imperatore, quello non può avere mai voce in capitolo -.

Con quest'editto andò il boia per corriere,
interrogando tutti sull'argomento;
e, tutti risposero: E' vero, è vero.

(Trilussa)


Il governo delle minacce
di Eugenio Roscini Vitali – Altrenotizie – 24 Ottobre 2008

“Non consentirò occupazioni di scuole e università e invierò le forze dell’ordine contro chiunque impedisca lo svolgimento delle lezioni”. Queste le parole del premier Silvio Berlusconi che, preoccupato soprattutto del boicottaggio dei mezzi di comunicazione che - a suo dire - non danno il giusto eco alle sue affermazioni, ha aggiunto: “Avete quattro anni e mezzo per farci il callo, non retrocederò di un millimetro”. Una conferenza stampa esaustiva, un diktak che ha avuto la risonanza che meritava e di cui hanno parlato tutti, giornali e televisioni; la limpida fotografia della situazione in cui versa il Paese: tolleranza zero e diritto minimo garantito, a patto che non esca dagli schemi.

Il decreto 137 sulla scuola e l’ultimo di una serie di passi che tende a riportare indietro l’Italia di almeno cinquant’anni: il populismo penale in nome della sicurezza, la militarizzazione delle città, la legge delega sul diritto allo sciopero, il nuovo modello contrattuale nel pubblico impiego e le proposte della Confindustria per un ritorno alle gabbie salariali; solo alcuni esempi che ci lasciano immaginare cosa accadrà nei tempi a venire. Berlusconi è uscito dalla discoteca, ha indossato lo scolapasta e dichiarato guerra al dissenso.

Passare alla linea dura ed attaccare ciò che è pubblico con atteggiamenti muscolari è infatti sicuramente sproporzionato e pericoloso e mette in discussione la libertà di espressione e la stessa autonomia universitaria. Di questo ne sono convinti i rettori di tutta Italia che si sono già dichiarati contrari all’intervento delle forze dell’ordine, soprattutto perché sono i primi a ritenere gli studenti italiani capaci di dimostrare pacificamente le loro argomentazioni e il loro dissenso, in modo trasversale ed apolitico. Secondo il premier, invece, non è così: i tagli alla scuola e all’università altro non sono che notizie ingigantite dai media, rei di fare cattiva informazione e di generare ansia e paure immotivate; dietro le “ridottissime” manifestazioni di piazza ci sarebbe poi l’immancabile regia dell’estrema sinistra, questa volta coadiuvata dai centri sociali.

Proteste fuori luogo quindi che il ministro Mariastella Gelmini continua a non capire (non pare l’unica cosa che non riesce a capire, a dire il vero), soprattutto perché a suo dire il decreto non riguarda l’università; un’università che per il centrodestra va comunque svecchiata e di cui vengono sottolineati i cosiddetti sprechi: 170 mila insegnati, 300 sedi distaccate e cinquemilacinquecento corsi di laurea, numeri che il governo considera sproporzionati rispetto alle esigenze dell’università italiana.

Poco importa che l’Italia sia fanalino di coda europeo per gli investimenti sulla formazione e sulla ricerca; se si vuole - come il governo vuole - concepire una selezione darwiniana, di classe, sulle future generazioni, è bene tagliare tutto quello permette l’universalità dei diritti, strumento necessario per un futuro possibile per tutti. Anzi, per confermare a tutti che non capisce, la Gelmini ha definito“terroristiche” le proteste. Quello che più preoccupa è il fatto che il decreto 137 è solo la punta dell’iceberg della ristrutturazione in atto e, se anche fosse ritirato o modificato, rimangono ben altre contestabili proposte.

La prima è senza dubbio l'annuncio del governo sul disegno di legge delega che dovrebbe riformare l’attuale regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici. E’ la fase attuale di un progetto che parte da lontano, dalla seconda metà degli anni settanta, quando gran parte del mondo imprenditoriale iniziò a mettere in discussione quanto sancito dallo Statuto dei lavoratori, ritenendo gli scioperi una delle cause prime della crisi economica di quegli anni. Un disegno criptato che venne allo scoperto e colse la sua prima grande vittoria nel 2003, quando boicottando il referendum sull’articolo 18 i lavoratori non seppero trasformare una battaglia giusta in un grande un motivo di lotta comune.

Oggi il diritto allo sciopero è garantito dall’articolo 40 della Costituzione della Repubblica Italiana ed è esercitabile nell'ambito delle leggi che lo regolano, inclusi lo sciopero per solidarietà, a scacchiera, a singhiozzo; oltre a quello per fini politici legati agli interessi dei lavoratori, autorizzato dal 27 dicembre 1974 dalla Corte costituzionale con sentenza n. 290. Il principio è poi rafforzato dalla legge n. 300 sullo Statuto dei lavoratori, articolo 1, libertà di opinione, che recita: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”. Lo sciopero, regolato dalla legge 146/90 e dalle successiva 83/2000, può quindi essere considerato come astensione dal lavoro messa in atto da una rappresentanza di lavoratori, più o meno vasta, che manifesta per la difesa degli interessi giuridici ed economici, sia di categoria che della collettività.

Le linee guida della legge delega per la riforma degli scioperi prevedono invece che l’astensione dal lavoro venga preceduta da un referendum che premetta di verificare il tasso di adesione e la partecipazione individuale preventiva, questo in modo da dare maggiore certezza sui livelli della protesta. Finalità dichiarata? Tutelare le organizzazioni confederali dalla concorrenza “sleale” delle organizzazioni meno rappresentative; dare una migliori informazione per i servizi di pubblica utilità; sapere quanti lavoratori aderiranno allo sciopero in modo da non recare danno ai diritti della persona e, soprattutto, danni irreversibili alle imprese. Manca solo che siano le imprese stesse a dirigere le rivendicazioni.

Il governo prevede inoltre che il ruolo di arbitro e conciliatore, attualmente affidato alla commissione di garanzia, sia assegnato, con delega di autorità sanzionatoria, ai prefetti. Il ministro del Welfare, MaurizioSacconi, incoraggia poi lo sciopero virtuale non come forma di astensione ma come adesione ad un fondo dove i lavoratori potranno versare la loro retribuzione, restituitagli solo in caso di accordo con il datore di lavoro. Nemmeno Licio Gelli aveva pensato a tanto e con tanta fantasia.

Basta questo per capire a cosa stima andando incontro? In un'intervista al quotidiano il Riformista, il ministro Sacconi ha recentemente delineato un altro aspetto della strategia del governo: ha attaccato gli aiuti di Stato alla Fiat, gli interventi per settori o per singole aziende (tralasciando ovviamente i debiti dell’Alitalia finiti sulle tasche dei contribuenti) e ha rivisto le posizioni del governo in materia di taglio delle tasse per i lavoratori, per anni cavallo di battaglia del Popolo delle Libertà. L’ex socialista Sacconi, che nel giugno scorso aveva definito "demenziale" la legge varata dal governo Prodi che impediva il licenziamento delle donne incinte, ha spiegato che spalmare la riduzione fiscale su tutti i redditi, come chiede la Cgil, sarebbe un provvedimento finanziariamente insostenibile; piuttosto sarebbe preferibile detassare del 10% i soli salari di produttività.

Una dichiarazione d’amore verso la Confindustria e il suo nuovo modello contrattuale, che altro non é che una manifesta volontà di limitare l’autonomia dei sindacati e delle categorie e il pericoloso tentativo di tornare alle gabbie salariali, subordinando la crescita della retribuzione alla produttività del sistema economico di settore. Che però, quando più ha guadagnato, più ha licenziato. La lotta di classe, fatta da loro, è redditizia.


Dalla P2 al “Pacchetto Ambiente”
di Furio Colombo – MicroMega – 24 Ottobre 2008

Il Disegno è semplice e comincia a diventare visibile: 1) Abolire il Parlamento e 2) Staccare l'Italia dall'Europa.Tutto ciò dimostra che il programma P2 in parte è già stato realizzato, in parte è rivisitato per aggiornare e modernizzare. I reduci della P2 stanno dicendo, senza più nascondersi dietro finte istituzioni: si può fare di più, molto di più. Stiamo parlando del Regime impiantato, in modo ormai molto saldo, in Italia, da Silvio Berlusconi. Vediamo prima i fatti compiuti. La Magistratura è sotto schiaffo. Pende su di essa una riforma-muserola. E' circondata da leggi e “Lodi” che impediscono (verso alcune persone) l'azione penale. E ogni dichiarazione di magistrati, per quanto garantista dalla Costituzione, viene denunciata come ribellismo e attacco alla politica.

La Forza Armate hanno un ruolo nuovo, mai avuto nel Paese. Pattugliare l'Italia con armi da guerra in cerca di zingari. Per compensare questa funzione umiliante, alcuni generali parleranno nelle scuole italiane per la gloria del 4 novembre. E' la data di una antica vittoria contro un Paese che fa parte, con noi, della Comunità Europea. Ma tutto serve per cancellare la Resistenza.

I media sono sotto sequestro. Persino i sondaggi favorevoli al candidato presidenziale Obama, considerato per prudenza “non amico” di Berlusconi (perché avversario di Bush) vengono taciuti o sminuiti nei telegiornali italiani. In questi giorni, riferendosi ai media italiani, il “Financial Times” ha detto “consenso bulgaro”.

Una ventata di razzismo ha invaso le polizie locali e le ronde leghiste assecondate da un governo che promuove la segregazione della scuola e la caccia ai bambini Rom. Inoltre, d'ora in poi in Italia, il medico che cura un clandestino lo deve subito denunciare e consegnare alla polizia.

Tutto ciò è già fatto.

Adesso è urgente rendere il Parlamento inerte, umiliato, senza lavoro, inutile, in modo da farne sempre più oggetto di sfiducia e dileggio dei cittadini.

Quanto al distacco dall'Europa, comincia adesso la parte finale, col pretesto del “Pacchetto Ambiente”: isolare l'Italia affinché l'Europa smetta di garantire ciò che resta della libertà di opposizione in questo Paese.