domenica 30 ottobre 2011

Crisi economica - update

Una serie di articoli sull'accordo trovato in sede Ue per aumentare l'EFSF (il Fondo salva Stati...) da 440 miliardi a 1000 miliardi di euro, diventando però in pratica un Fondo salva banche che utilizza soldi pubblici con gli stessi trucchetti finanziari che hanno causato il disastro a cui stiamo assistendo dal 2007.

Inoltre si parla ancora della lettera del governo italiano all'Ue e delle conseguenze dell'applicazione dei provvedimenti che la Bce e le altre istituzioni Ue chiedono all'Italia.

Il "metodo Grecia" è stato ormai fotocopiato e già inviato a Roma...



Più che accordo sul debito, è un accordo di default
di Valerio Lo Monaco - www.ilribelle.com - 27 Ottobre 2011

Premessa. Chiamatelo haircut, ristrutturazione o altro, si tratta semplicemente di una cosa: default. La Grecia, ne hanno preso coscienza tutti, non può ripagare il debito e pertanto glielo hanno tagliato di un bel pezzo.

Ancora: usiamo pure i termini che vogliamo, ma il fondo Salva Stati è diventato ufficialmente un Fondo Salva Banche.

E ora entriamo nei particolari.

Prima notizia: le Banche hanno preteso almeno il 50%. Volevano concedergli il 21%, e invece gli è stato fatto un ulteriore regalo spostando il tutto al 50. Parliamo di quanto avranno, come assicurazione sul default della Grecia, che è dunque (seconda notizia) una realtà: il debito di Atene, che oggi è di 350 miliardi, verrà ridotto a 100.

In merito agli istituti di credito, che era la vera spina nel fianco del vertice europeo di ieri, la situazione è molto più semplice da capire di quanto le varie norme approvate e proposte non possano far sembrare: invece di far fallire le Banche esposte verso la Grecia, come sarebbe stato giusto, il fondo Salva Stati, ormai (e lo vedremo a breve) diventato a tutti gli effetti un Fondo Salva Banche così come avevamo avvertito su queste pagine in tempi non sospetti, è stato dunque, di fatto, varato.

E la prova del nove di quanto scriviamo risiede nelle Borse: l'Euro tiene, e le Borse non crollano definitivamente (per ora) come avrebbero invece fatto se questo pseudo-accordo non fosse stato trovato. Anzi, al momento le Borse sono in piena euforia.

Dunque che succede?

Prima cosa: il Fondo Salva Stati avrà un aumento - cioè sarà quadruplicato - grazie alla soluzione del leverage: i soldi non ci sono ma attraverso questo sistema si agirà come se il fondo avesse una capacità di 1000 miliardi di euro invece dei 440 attuali. E la cosa avrà in ogni caso delle conseguenze che vedremo presto (e spiegheremo a breve).

1000 miliardi significa dunque quadruplicare il tutto, perché dei 440 attuali ne verrano subito "usati" 250 circa per la Grecia (riducendo da 350 a 100 miliardi la sua esposizione) e il restante, appunto, sarà sottoposto all'effetto leva.

Seconda cosa: la ricapitalizzazione delle Banche. Queste dovranno portare al 9% il coefficiente patrimoniale entro il 2012. Al momento devono avere il 4% circa, e secondo Basilea 3 avrebbero dovuto arrivare al 7.

Secondo l'accordo di ieri - arrivato dopo che le Banche stesse hanno tentato di opporsi in tutti i modi a tale norma - invece dovrà arrivare al 9%. Che significa? Esempio: per poter agire, e prestare denaro, per 100 milioni, dovranno averne 9 in tasca (invece di 7, o invece di 4 come adesso).

Grosso sforzo, si direbbe. Eppure le Banche operano da sempre così: raccolgono, esempio, 4 milioni e, per legge, ne "possono prestare" a interesse 100. Ecco, ora per prestarne 100 ne dovranno avere in cassa almeno 9. Non un grosso sforzo dunque, come si vede: la truffa resta.

Eppure è una cosa in grado di mettere in ginocchio parecchie Banche, che fino a ora (e anche da qui in avanti, sia chiaro) potevano operare con pochi spiccioli in tasca ma facendo finta di averne molti di più. Pare serviranno 106 miliardi di euro per ricapitalizzare gli istituti di credito sottoposti agli stress test (di cui 14.7 per quelli italiani). Ma in realtà nessuno lo sa con certezza.

Naturalmente già sappiamo quale sia la accuratezza e l'efficiacia degli stress test: solo il caso Dexia, la Banca franco-belga appena fallita e spacchettatta e messa sulle spalle dei cittadini, lo dimostra. A luglio scorso aveva superato gli stress test e a inizio ottobre è fallita….

Ad ogni modo, il vertice di ieri si è giocato tutto sul tema Banche: dopo ore di trattative la cosa ancora non si sbloccava, e per un motivo preciso. Le Banche non avevano accettato di essere "assicurate" dal default greco per il solo 21% di quanto avevano di esposizione, così come era stato previsto.

Il loro niet ha costretto a quel punto la Merkel e Sarkozy ad incontrare il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, per trovare l'accordo. E dopo soli 45 minuti - segno che veramente ieri il rischio di scoppio di tutto è stato serio - l'accordo è stato trovato: alle Banche, come detto, verrà riconosciuto il 50%.

Ora attenzione: è una cosa sconcertante. Nessun privato investitore, e figuriamoci un semplice cittadino, avrebbe mai potuto "pretendere" di avere indietro il 50% dei propri investimenti sbagliati andati in fumo. E neanche il 21% proposto inizialmente alle Banche: un comune mortale avrebbe semplicemente perso tutto. E sarebbe - giustamente - fallito.

Ma le Banche no: non solo hanno puntato i piedi perché sembrava loro troppo poco avere indietro il 21%, ma hanno addirittura ottenuto il 50%. A spese di chi è facile capirlo: dei cittadini europei, attraverso il Fondo Salva Stati - pardon, Salva Banche - che sempre dalle nostre tasche arriva. E sempre sulle nostre tasche peserà: vedi le misure previste per l'Italia, ad esempio.

Beninteso, a nulla servono alcune norme "imposte" alle Banche per avere indietro questa copertura, come ad esempio il fatto di dover in pratica raddoppiare il proprio capitale minimo (al 9% entro giugno 2012, come detto), dover rinunciare a dividendi e bonus fino a ricapitalizzazione avvenuta: questo è il minimo. Il punto è che sono state salvate con denaro pubblico.

Tutto il resto - che leggeremo e ascolteremo altrove - è fuffa.

L'entità del capitale necessario al rafforzamento per ogni singola Banca dipenderà dalla quantità di debito greco in portafoglio e da quanto questo verrà "svalutato".

E anche se la bozza stabilisce che per rifinanziarsi le Banche dovranno utilizzare in primo luogo capitali propri (per esempio con ristrutturazioni e cartolarizzazioni), quindi chiedere un intervento diretto degli Stati, e solo alla fine chiedere soccorso al Fondo, è evidente che la maggior parte di queste passeranno direttamente al Fondo. O comunque a esso finiranno.

La realtà, come detto, è semplice: dovevano fallire dopo aver speculato su di noi, e invece noi le stiamo salvando con il nostro denaro. Il che ci costerà doppiamente, anzi, in modo triplo.

Ci è costato sino a ora perché siamo stati depredati da esse, ci costerà adesso nel salvarle, e ci costerà dopo perché invece di farle fallire le stiamo mettendo in grado di ricominciare, più di prima, a fare soldi sulla nostra pelle.

Ma a questo punto la vera domanda che dovremmo porci è la seguente: visto che ad Atene hanno "dovuto" tagliare il debito, dai 350 miliardi ai 100, mediante l'utilizzo del Fondo, perché gli altri Stati dovrebbero fare diversamente?

Perché non chiedere tutti, Portogallo, Spagna e Italia, la stessa cosa? E perché non dovrebbe farlo ogni singolo cittadino?

Tanto c'è il Fondo no?

Aggiornamento:

"Il nostro lettore Riccardo ci corregge, giustamente, su alcune cifre date nel pezzo. Ecco quelle giuste, che prontamente segnaliamo: "Il taglio del 50% del debito greco è stato di 100 miliardi portandolo così da 350 a 250. Infatti l'haircut è stato applicato solamente a 200 miliardi di debito, i restanti 150 miliardi detenuti dalla bce e dalla troika non sono stati toccati."

Il che, oltre ovviamente a non cambiare di un millimetro il significato della notizia, semmai ne peggiora ulteriormente la portata, visto che i miliardi detenuti dalla trojka, a differenza degli altri sui quali è stato applicato l'haircut, non sono stati toccati.


Emergono le pieghe del bailout europeo, la Grecia "dice assolutamente no"
di Tyler Durden - Zero Hedge - 27 Ottobre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Quando la scorsa notte abbiamo riportato l’annuncio del salvataggio onnipotente ma senza rispetto per la matematica - di cui nessuno aveva capito quasi niente a parte il fatto che c’era un "trilione" da qualche parte che ha fatto scalpitare i mercati -, avevamo suggerito che ci sarebbero volute 24-48 ore per capirci qualcosa.

Forse le cose sono state più rapide.

Come riporta il Telegraph, "il bail-out da un trilione di euro per salvare la moneta unica dell’UE è in pericolo dopo che la banca centrale tedesca ha avvertito che la misura di salvataggio era troppo dipendente dagli stessi scambi ad alto rischio che hanno causato la crisi economica."

Quindi, cosa ha fatto la Bundesbank per provocare questi sussulti che minacciano di fratturare la fragile nanometrica facciata sotto la quale è nascosta alla vista la più tempestosa tormenta della storia europea?

Bene, intanto sembra che abbia usato una calcolatrice, qualcosa che nessun altro nel Consiglio Europeo pare in grado di fare.

Secondo, ha compreso che aggiungere debito a debito per sistemare un problema è un qualcosa che anche un bimbo di cinque anni definirebbe una pazzia, e che potrebbe non essere il miglior approccio per risolvere la questione.

"Le preoccupazioni sono state manifestate dalla potente banca centrale tedesca, che ha espresso il timore che il progetto per incrementare il fondo di salvataggio dell’eurozona da 440 miliardi a un trilione di euro assomiglia ai metodi della finanza di rischio che hanno causato la crisi nel 2008. Jens Weidmann, il presidente di Bundesbank e membro della Banca Centrale Europea, ha fatto scattare l’allarme sul piano di “leverage” del fondo con un fattore di quattro o cinque senza mettere uno spicciolo nel salvadanaio. Ha avvertito che lo schema potrebbe essere colpito da una turbolenza del mercato e che i contribuenti dovranno pagare il conto per gli investimenti rischiosi nelle obbligazioni italiane e spagnole."

Ciò significa che la "paratia antifuoco corazzata" non è né "corazzata", né può parare dal fuoco? Specialmente se né l’oggetto (Germania) del salvataggio , né il soggetto (Grecia) sembrano aver alcun desiderio di proseguire su questa strada?

Si è appreso che, non tanto le premesse della Merkel secondo cui l’EFSF non verrà mai utilizzato, ma il dire che la semplice minaccia posta alla sua esistenza farebbe collassare ovunque gli spread - una dichiarazione talmente idiota che persino Hank Paulson non ha provato a pronunciare per più di tre volte - è stato in grado di mettere a riposo la mente di Weidmann.

E allora cosa accadrà quando, visto che ci siamo vicini e come abbiamo già fatto presente dal bailout sventurato del 21 luglio, capiranno che molto presto (esatto, le banche francesi sono oggetto di analisi per un downgrade dal 14 settembre e oggi Sarkozy ha appena annunciato che la crescita del PIL francese per il 2012 sarà di un’insignificante 1%, qualcosa che le agenzie di rating saranno state deliziate dal sentir dire) il downgrade francese sarà totalmente meritato?

Un’altra ascesa di 500 pip tra euro e dollaro sugli short covering? Ne dubitiamo: dopo l’iniziativa di oggi non ci saranno altri shorts lasciati sull’Euro. Ciò significa che la prossima spinta al ribasso, e ogni annuncio Bazooka dovrà essere molto più grande, e per questo ancora meno credibile.

Dal Telegraph:

Bill Gross, il fondatore di Pimco, il fondo obbligazionario più grande al mondo, ha detto che il salvataggio dell’eurozona sarebbe una pezza temporanea per i mercati e che il fondo potrebbe essere un altro rischio per gli investitori.

“Solo un bazooka potrebbe stabilizzare i mercati”, ha messaggiato ieri su Twitter. “State attenti che il piano non sia un SIV (structured investment vehicle) gigante con rischi di indebitamento.”

Il piano per incrementare l’European Financial and Stability Facility fino a un trilioni di euro è stato attaccato dagli economisti, perché non è abbastanza per “allontanare” il peggioramento dei problemi del debito di Italia e Spagna.

In un sondaggio di economisti, 26 su 48 ritengono che il potenziamento non sia sufficiente. Un piano per un fondo da due trilioni è stato accantonato dopo l’opposizione tedesca e francese.

Sono emersi anche dei dubbi sulla mancanza di dettagli sulla proposta che consente alla Grecia di pagare il suo fardello del debito sempre più ingente negoziando un “haircut” volontario che le consentirebbe di depennare circa metà del suo debito.

Ma forse la notizia peggiore del giorno è che la Grecia, la nazione che tutta la combriccola crede che possa fare di meglio, ha rifiutato con violenza tutto il "salvataggio":

I partiti di opposizione greci di destra e di sinistra uniti per condannare l’accordo dell’eurozona nel mezzo del montante conflitto sociale.

Antonis Samaras, il leader dell’opposizione conservatrice, ha detto: “Non siamo più vicini alla soluzione, ma dovremmo affrontare nove anni di collasso e povertà.”

Dimitris Papadimoulis, un parlamentare di sinistra, ha detto che i poteri dell’UE hanno un conflitto di interessi negli accordi per imporre le misure di austerità alla Grecia: “Quelli che ci monitorano non hanno in mente il nostro interesse”, ha detto. “La loro priorità è che noi gli rimborsiamo i prestiti.”

E… ora che si fa? Gli scioperi greci continueranno fino a che il PIL tornerà a crescere? Nel pianeta matematico europeo, folle ondeggiante e gonfiabile, questa è, sfortunatamente, la sola matematica che sembra funzionare.



Finanza tossica, è tutto come prima
di Alessio Mannino - http://alessiomannino.blogspot.com - 29 Ottobre 2011

E' sempre una piacevole sorpresa quando l'informazione mainstream, sia pur tra titoloni entusiasti ed editoriali propagandistici, ogni tanto fa saltar fuori qualche brandello di verità.

Oggi un bell'articolo di Massimo Mucchetti, l'unico leggibile in quella pravda che è il Corriere della Sera, riporta il dato osceno della disuguaglianza economica figlia della globalizzazione. Si guarda bene dallo spingersi oltre, il neo-keynesiano Mucchetti, però è già qualcosa.

Ieri, in un colonnino a pagina 2, sempre il Corrierone, fanaticamente allineato al pensiero unico filo-bancario, ha confessato in cosa consiste il fondo salva-stati europeo (ve lo ricopio qui sotto). In due parole: le devastanti conseguenze della crisi originata dalla finanza tossica sono curate con altra finanza tossica. E per di più con gli stessi identici sistemi.

E noi poi ci tocca ascoltare i signori politici al soldo delle banche che si dicono preoccupati perchè la gente non ha più fiducia in questo modello di sviluppo. Ti credo: ci truffano ancora e sempre rifilandoci altre bolle finanziarie, rimandando in là nel tempo i debiti che sono destinati prima o poi a esplodere.

Voi che continuare a crederci, alla fola del "mercato" e al teatrino destra-sinistra che le fa da copertura, il crac ve lo meritate. Ma noi, pochi anche se in crescita, che la storia dell'orso non ce la beviamo più, perchè dovremmo subirlo?

Ditelo a chiunque: ci stanno fregando di nuovo, e se non cominciamo a dire "no" alla frode dell'euro, a questa Europa in mano ai banchieri e all'economia manipolata dalla speculazione, essere indignati non serve a un tubo. (a.m.)


Emissari ad Atene. I segreti del patto di Bruxelles

Il collasso a Wall Street nel 2008 ebbe due detonatori: i «Cdo» (Collateralized debt obligation), e i Cds (Credit default swap). I primi emettevano bond il cui valore era sostenuto da una massa di mutui immobiliari sottostanti: le famiglie indebitatesi per comprare casa «garantivano» che quei titoli sarebbero stati onorati.

I Cds invece sono assicurazioni che una banca paga in caso di insolvenza su questo o quel bond. Queste sigle erano l' ultima frontiera dell' ingegneria finanziaria. Ora l' Europa le rispolvera per salvare se stessa. Il meccanismo del fondo salvataggi emerso dal vertice, senza evocarne i nomi, ricorda da vicino un Cds a cui si aggiunge un Cdo: tutto per mettere al sicuro l' Italia.

Possibile? Uno strumento che promette di indennizzare il 20-25% delle perdite a un investitore in bond, come fa il fondo europeo Efsf, è in effetti un Cds. C' è poi la seconda parte del meccanismo, quella basata sul «veicolo» nel quale confluiscono anche gli investitori privati, oltre alla Cina o all' Arabia Saudita.

Funziona così: in quel «veicolo» il 20% dei soldi viene messo dal fondo europeo e il restante 80% dai privati e dai fondi sovrani; quindi il «veicolo» compra titoli - diciamo - italiani e spagnoli sul mercato.

Se Roma o Madrid fanno default, le prime perdite le subisce tutte il fondo europeo: il sistema è come un palazzo in cui l' Efsf sta al primo piano e sarebbe dunque il primo ad andare sott' acqua in caso di tsunami.

Dunque gli investitori privati godono ancora una volta di una garanzia. Non solo: proprio come un Cdo, il «veicolo» a sua volta può vendere sul mercato bond sostenuti dal debito pubblico di Italia e Spagna, anche questi assicurabili al 20-25%.

L' Europa antispeculazione e pro-Tobin Tax arriva a un livello di sofisticazione finanziaria da far impallidire Goldman Sachs, con la differenza che non lo spiega (neanche in caratteri minuscoli come si fa di solito in fondo ai documenti a Wall Street).

E in America quando i debitori sottostanti a un Cdo sono affogati e tutto è saltato, lo Stato ha tamponato le perdite. In questo caso invece a tamponare non basterebbe più nessuno Stato: solo la Bce potrebbe farlo, anche se per ora non vi è autorizzata.

Accanto a tanta tecno-finanza, il vertice europeo ha prodotto un' importante novità politica: ha trasformato la Grecia in un protettorato. Il governo di Atene perde le leve del potere. Funzionari di Bruxelles e delle capitali nazionali (anche di Berlino) si installeranno nei ministeri, nelle agenzie pubbliche, nella task force privatizzazioni a «monitorare sul terreno». Come Caschi blu dell' economia in uno Stato fallito.


Federico Fubini
Il Corriere della Sera 28 ottobre 2011


Il debito andrà ridotto di 35 miliardi l'anno
di Federico Fubini - Il Corriere della Sera - 30 Ottobre 2011

Le condizioni di Bruxelles per gli aiuti: il capitolo sull'Italia nel documento che crea il Salva-Stati

Non si è esaurito con la lettera a José Manuel Barroso e a Herman Van Rompuy, i vertici istituzionali di Bruxelles, il percorso pieno di curve dell'Italia negli ultimi giorni. Esistono altre condizioni di fronte alle quali il governo attuale e quelli a venire saranno giudicati, mentre l'Europa crea un fondo salvataggi soprattutto per puntellare il debito di Roma.

Non è niente di segreto. Non si tratta di un documento confidenziale anche se né il premier Silvio Berlusconi, né l'opposizione, né i sindacati, né Confindustria fin qui ne hanno parlato (per dirne bene o male che sia, o solo per annunciare che esiste).

Semplicemente, sono le conclusioni ufficiali del Consiglio europeo: sottoscritte da ciascuno dei 27 capi di Stato e di governo, la più alta istanza politica nel continente, il presidente del Consiglio incluso.

Quel documento uscito alle 4 del mattino di giovedì, al punto 6, indica per l'Italia impegni che vanno aldilà sia della lettera che Berlusconi aveva spedito a Barroso e Van Rompuy poche ore prima, sia della stessa lettera inviata a inizio agosto della Banca centrale europea all'Italia.

Lo fanno in alcuni punti specifici: il ritmo di riduzione del debito pubblico, la liberalizzazione degli ordini professionali e l'accesso al mestiere dei giovani, la revisione del sistema di sussidi di disoccupazione.

Soprattutto, in una sola frase con la firma in calce di Berlusconi e degli altri 26 leader, quel testo crea una cornice stringente di monitoraggio e «pressione dei pari» su quanto l'Italia farà di qui al 2014: dunque dopo le prossime elezioni.

Da ora in poi l'Italia, qualunque sia la sua classe dirigente, dovrà muoversi entro quei paletti. L'alternativa - implicita ma evidente - è la rinuncia alla rete di sostegno europea senza la quale oggi il Paese rischia di non potersi finanziare.

Il punto centrale delle conclusioni del Consiglio europeo riguarda il debito pubblico. Il vertice di Bruxelles prende nota con favore delle misure italiane per il pareggio di bilancio nel 2013 e per un surplus nel 2014.

Poi però cita un obiettivo numerico che nella lettera della Bce di agosto, quella firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, non compariva: «Generare una riduzione del debito pubblico lordo al 113% del Pil nel 2014».

Sul piano tecnico non c'è novità: un obiettivo simile compare nell'aggiornamento al documento di Economia e finanza del Tesoro del 22 settembre. Il problema però è che il Consiglio europeo non è un'istanza tecnica.

È politica ed è lì che c'è una svolta, perché ora l'obiettivo di un debito al 113% nel 2014 non è più (solo) un programma del governo italiano ma una richiesta della più alta istanza istituzionale in Europa.

Poiché il debito italiano a fine anno sarà sopra il 120% del Pil (stima del governo), ciò significa che Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e i loro altri 24 colleghi chiedono che l'Italia riduca il rapporto fra debito del 2,3% del Pil ogni anno fino al 2014.

Sono circa 35 miliardi di euro l'anno, una volta presa in conto la (scarsa) crescita del futuro prevedibile. Nei prossimi tre anni si tratta di una riduzione del debito in tutto di circa cento miliardi di euro.

È soprattutto su questo parametro che i leader europei giudicheranno da ora se l'Italia merita il sostegno finanziario che oggi le serve: è il meccanismo di aiuto condizionato innescato dall'ultimo vertice.

Da giovedì mattina alle 4 l'Italia è appesa a un nuovo metro di giudizio, e non è detto che sia già sulla strada giusta per centrarlo, visto che la crescita appare già deludente rispetto alle ultime stime: dunque il debito in rapporto al Pil rischia di essere più alto.

A conferma dell'attenzione con cui viene seguita, all'Italia il Consiglio europeo riserva anche altri «consigli» che non figurano in questo livello di dettaglio né nella lettera della Bce, né in quella di Berlusconi a Barroso e Van Rompuy.

Il vertice parla così di «abolire le tariffe minime nei servizi professionali», come se prendesse nota dell'impegno che il premier ha appena preso con la sua missiva. Non è così però, perché la lettera del governo annuncia solo genericamente «altre misure per rafforzare l'apertura degli ordini professionali».

Anzi la reintroduzione delle tariffe minime, nota barriera all'ingresso dei più giovani, era stata un segno distintivo della riforma perseguita da Angelino Alfano quando era Guardasigilli. E anche qui, nemmeno la Bce era entrata in questi dettagli su cosa deve fare l'Italia per riportare l'economia in grado di crescere.

Sulla stessa linea, il Consiglio europeo indica anche di «rivedere entro la fine del 2011 il sistema degli assegni di disoccupazione attualmente frammentato».

Non è una richiesta anodina. Non lo è perché nella sua lettera di poche ore prima il governo non anticipa nulla del genere e soprattutto non lo fa entro queste scadenze pressanti: il documento di Berlusconi parla piuttosto di riforma del mercato del lavoro «entro maggio 2012».

Senza fare riferimento alle incongruenze della cassa integrazione che non copre la gran parte dei lavoratori più giovani, perché precari.

C'è poi la vigilanza, maggiore di quella alla quale Bruxelles ha abituato l'Italia dall'avvio del progetto dell'euro.

«Invitiamo la Commissione europea - scrivono i leader - a fornire una valutazione dettagliata delle misure e a monitorare la loro applicazione e invitiamo le autorità italiane a fornire in modo puntuale tutta l'informazione necessaria per questa valutazione».

Sono le parole che fanno da pendant alla promessa di sostegno finanziario, e non è una promessa da niente: al ritmo tenuto da inizio agosto, la Bce per esempio dovrebbe comprare Btp per 280 miliardi di euro l'anno solo per mantenere questi livelli di acquisti, che pure hanno prodotto tassi elevati. Ora anche il Fondo salvataggi potrà assistere l'Eurotower. Ma non se l'Italia non farà ciò che i leader europei le chiedono.



Stavolta le calende greche arrivano
di Felice Fortunaci - Megachip - 27 Ottobre 2011

Ecco il testo della lettera con gli impegni presi dall'Italia, un Paese in ginocchio, di fronte all'ultimatum europeo. La trovate, tra gli altri, sul Corriere della Sera. Invito a leggerla integralmente.

E' a dir poco agghiacciante: vendita dei beni pubblici a privati, privatizzazione di tutti i servizi pubblici entro 12 mesi, licenziamenti facili, pensioni irraggiungibili, e molto altro...

Cosa da non sottovalutare: il tutto viene condito con la totale distruzione della Costituzione, dei suoi principi di ispirazione sociale, della divisione dei poteri.

Questa è una vera rivoluzione. Un rovesciamento netto e rapido della costituzione materiale, con piena benedizione quirinalizia. Al Colle lo Stato d'eccezione piace, e non poco. Chi si illude del contrario perde tempo, e tempo non ce n'è più.

La devastazione della Costituzione è funzionale alla necessità di prendere decisioni tremende in tempi rapidi e senza "ostacoli" di tipo parlamentare.
Ogni spazio di espressione democratica DEVE essere impedito.

Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, in nome dell'opposizione fa forse le barricate? Sentitelo: "A parte le minacce inaccettabili di entrare a piè pari sul mercato del lavoro, tutto il resto è merce usata. Dico a Berlusconi: forza, venga in parlamento e spieghi e rispetti quel calendario".

Urca, gliele canta chiare, eh? Quello che sa dire è: "rispetti quel calendario". In questo caso le calende greche arrivano, eccome se arrivano. Si fa come ad Atene, ragazzi.

Il diavolo si nasconde nei dettagli, e qui, di diavoli e dettagli, ce n'è a bizzeffe. Prendete l'accordo sulle banche. Anche questo è da leggere integralmente. Le banche devono iscrivere i titoli di stato ai valori di mercato, e devono ricapitalizzare.

Se non ce la fanno, intervengono gli Stati e in seconda battuta l' EFSF con soldi pubblici.
Cioè si istituzionalizza il meccanismo che socializza le perdite e privatizza i profitti.

Gli imbecilli schiavi non parlano di questo, naturalmente. Si concentrano sulle scuse della Merkel.

Nulla - ora sia chiaro - sarà come prima. I decenni della Repubblica precipitano qui. Adesso.



Come leggere la lettera del Governo all'UE
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 29 Ottobre 2011

Cosa significa, a chi è destinata, da chi è stata scritta, cosa cercano gli investitori nel testo, hanno trovato i capitoli che volevano, abbiamo accontentato i padroni veri dell'Italia?

1. COSA SIGNIFICA

Che l’Italia si deve piegare al volere dei mercati. Non abbiamo più alcuna sovranità politica (a causa dei Trattati europei che abbiamo firmato come il Lisbona, che ci impongono regole decise da tecnocrati pro business non eletti) né finanziaria (visto che non abbiamo più una nostra moneta sovrana, ma usiamo l’Euro che è una moneta straniera, dal momento in cui è emesso da entità non italiane e lo dobbiamo prendere in prestito). Cioè: solo ubbidire e applicare le politiche volute da altri.

2. A CHI E’ DESTINATA

Non alla UE, non ai politici UE. E’ scritta per gli investitori internazionali, quelli che oggi prestano ogni singolo Euro che lo Stato italiano spende per i cittadini. Si tratta di gruppi assicurativi, fondi pensione privati, fondi sovrani stranieri, banche d’investimento o singoli grandi investitori.

Cioè i padroni delle finanze di quasi tutti gli Stati del mondo. Per continuare a prestarci i soldi esigono regole che glieli facciano fruttare al massimo. Se quelle regole distruggono le persone non ha per loro nessuna importanza, se distruggono intere economie neppure, anzi, ci guadagnano, come spiegato ne Il Più Grande Crimine.

3. DA CHI E’ STATA SCRITTA

Non da Berlusconi, che non ha potere alcuno in questa storia. E’ scritta dai tecnocrati del governo sotto dettatura dei loro omologhi nella UE, gente come Draghi, Buti o Bini Smaghi.

Il governo non aveva scelta, o rispondere agli ordini oppure all’Italia veniva chiuso il rubinetto delle finanze, e moriva. Dal momento in cui si è tolto allo Stato il potere di creare ricchezza spendendo a deficit per i cittadini, questo potere è passato nelle mani esclusive degli investitori. Quindi ci possiedono al 100%. Punto.

4. COSA CERCANO GLI INVESTITORI NEL TESTO

Lo leggono rapidi saltando tutte le insignificanti rassicurazioni e i dettagli della nostra gestione interna, e vanno a cercare se l’Italia ha incluso nel testo due capitoli e solo quelli:

A) Regole per ulteriormente strangolare la spesa dello Stato per i cittadini.

B) Regole per favorire il loro lucro se investono o speculano qui da noi.

A patto che questi due capitoli sia soddisfacenti per loro, ci presteranno gli Euro per sopravvivere. Altrimenti ci dissangueranno fino alle estreme conseguenze.

5. LI HANNO TROVATI NEL TESTO?

Sì. Capitolo strangolare la spesa dello Stato per i cittadini: in Italia

1) si rendono effettivi con meccanismi sanzionatori la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici sia statali che locali, e li si metterà in Cassa Integrazione con abbassamento complessivo dei salari.

2) riforma costituzionale per rendere illegale la spesa a deficit dello Stato (l’unica che invece crea ricchezza al netto per i cittadini e aziende).

3) innalzamento dell’età pensionabile, e non solo ai 67 anni, ma con l’obiettivo di tenere in considerazione nel futuro anche l’aspettativa di vita del lavoratore come parametro per l’entrata in pensione (come chiesto nel 2010 da 2 lobby finanziarie europee, la ERT e la BE).

4) se le misure non saranno sufficienti, lo Stato tasserà di più i cittadini, quindi il rapporto fra ciò che spende per loro e ciò che gli sottrae si alzerà ancora a favore di meno spesa e più prelievo.

5) i risparmi ottenuti dai tagli della spesa dello Stato NON potranno essere utilizzati per spendere a favore dei cittadini.

Capitolo favorire il loro lucro se investono o speculano qui da noi: in Italia

1) si introducono i prestiti d’onore agli studenti. Cioè incastrare il cittadino fin dalla più giovane età nel sistema finanziario che gli speculatori controllano e da cui guadagnano.

2) ulteriore flessibilità del lavoro, coi contratti di apprendistato, a tempo parziale e di inserimento. Cioè, là dove il lavoratore anziano crollerà morto di produttività sul posto di lavoro, le mega aziende assumeranno a due centesimi giovani sostituti senza tutele e sprovveduti.

3) più facilità nei licenziamenti anche dei lavoratori a tempo indeterminato, che potranno perdere il lavoro anche a causa di un calo di introiti aziendali.

4) privatizzazioni statali in accelerazione. Liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali. Ribadito il settore acqua, poi farmacie comunali, rifiuti, trasporti. Il Comune non potrà affidare un servizio senza aver prima verificato se era possibile aprire una gara fra soggetti privati. Le Regioni dovranno stilare piani urgenti di privatizzazioni locali.

5) la Costituzione sarà riformata per introdurre articoli pro business. Le conseguenze sulle tutele costituzionali del bene pubblico sono imprevedibili (no, prevedibili: le distruggeranno).

6. ABBIAMO ACCONTENTATO I PADRONI VERI DELL’ITALIA?

No. Le misure sono state giudicate insufficienti. Berlusconi, o chi per lui, non ha saputo essere sufficientemente Thatcheriano, Prodiano, Adreattiano o Dalemiano. Non ha saputo cioè usare la falce della distruzione della democrazia e del bene pubblico italiano come in decadi scorse seppero fare i personaggi citati. Risultato: i mercati degli investitori ci hanno di nuovo aumentato i tassi d’interesse sugli Euro che ci prestano a oltre il 6%.

Cioè: i nostri padroni hanno risposto che non solo non ci ridurranno il costo che paghiamo per prendere in prestito gli Euro, ma ce l’hanno aumentato. Ci hanno detto: “No! Volevamo lucrare di più, dovevate falcidiare la gente di più. Ora pagate”. E pagheremo, fino alla fine. Buona serata.



Come si esce dall'economia del debito
di Paolo Cacciari - Il Manifesto - 29 Ottobre 2011

Bisogna uscire da quella economia «che pone gli interessi del capitale sopra a quelli del lavoro e della stessa vita delle persone e dell'ecosistema terrestre». Le vecchie ricette keynesiane non hanno più margini in una crisi strutturale di queste dimensioni e qualità. Deve decrescere la dipendenza dal mercato e dall'ossessione del Pil.

Alzino la mano quanti hanno azioni? Pochissimi, a giudicare dal fatto che non ci dicono mai la loro vera consistenza (numero di persone per il valore delle azioni possedute). Alzino la mano quanti hanno titoli di stato?

Non molti e comunque posseggono meno della metà della metà del valore dei titoli emessi (la metà è all'estero, l'altra metà è nelle casse di imprese e investitori istituzionali vari).

Alzi la mano chi ha denari in banca? Abbastanza, ma si accontentano di interessi che non proteggono nemmeno dall'inflazione.

E allora, chi se ne frega del default ! Falliscano pure banche e stati, non vengano rimborsati i prestiti che hanno avuto, o vengano congelati in attesa di tempi migliori.

Le bancarotte (assieme alle guerre) sono il metodo più sbrigativo per la remissione dei debiti e ricominciare da capo. E' successo molte volte nella storia degli stati e, da ultimo, l'Argentina insegna che ci si può risollevare.

Chi vive del proprio lavoro, chi non arriva alla quarta settimana, cioè la maggioranza delle famiglie, si libererebbe così finalmente dal peso di dover foraggiare rendite e interessi.

Se è vero che su ogni italiano gravano 30.000 euro di debito pubblico, quanti anni ci vorranno per estinguerli, ammesso che i futuri governi riuscissero a non aggiungerne altri?

I giovani senza futuro, gli indignados che protestano a Wall Street, i disoccupati nelle piazze spagnole e greche gridano: «Non vogliamo pagare noi i vostri debiti». Ed hanno più che ragione.

Ma c'è un ma che rende ancora più grave la situazione e più profonda la svolta economica e politica necessaria per uscire dalla crisi. Non sono solo gli avidi speculatori, gli approfittatori alla Soros, i manager pagati in opzioni alla Marchionne, i ministri della finanza creativa alla Tremonti che ci hanno portato sull'orlo del baratro.

Via loro (e sa iddio quanto sarebbe bello!) non cambierebbe nulla perché anche l'azienda dove andiamo a lavorare, l'amministrazione comunale dove abitiamo, la locale azienda sanitaria, il fondo che gestisce la nostra pensione, la banca del nostro bancomat, l'agenzia di stato che sborsa il sussidio di disoccupazione a nostro figlio... sono da tempo, in un modo o nell'altro,tutti indebitati.

Tutti avevano fatto il conto ("aspettativa" si dice in economia) di riuscire in futuro a guadagnare di più (facendo profitti, riscuotendo tasse, realizzando interessi, vendendo immobili e "cartolarizzando" il Colosseo...) di quanto non avessero ricevuto in prestito. Credevano, cioè, nella chimera di una crescita economica esponenziale e senza fine. Un calcolo tragicamente sbagliato.

Da tempo (dieci, venti, chi dice trent'anni) le economie occidentali sono in crisi di realizzo, il loro tessuto produttivo non è più in grado di riprodurre guadagni tali da riuscire a mantenere gli standard dei consumi privati e pubblici.

Per mascherare questo fallimento e allontanare il declino le hanno tentate tutte: la leva finanziaria, i titoli tossici, il signoraggio del dollaro, oltre, ovviamente, al vecchio trucco di stampare carta moneta. Niente, la "santa crescita", nonostante le continue invocazioni e i lauti sacrifici umani, non arriva. E non arriverà mai più, almeno per chi è da questa parte del mondo.

Doveva essere il secolo americano ed invece è quello del suo declino che si trascina con sé propaggini e imitazioni. Ciò accade un po' perché portare via le materie prime dal terzo mondo è sempre più costoso (militarizzazione crescente, prebende a regimi fantoccio, esaurimento delle risorse naturali), un po' perché i paesi emergenti hanno imparato che "arricchirsi è glorioso" e nemmeno così difficile.

In un contesto di economia neoliberista, fondata sulla competizione selvaggia tra aree geografiche vince semplicemente il più forte: chi ha più capacità produttiva, chi riesce più a spremere i fattori e gli strumenti della produzione: a partire dal lavoro e dalle risorse naturali. Questa volta la Cina è davvero vicina.

Oppure si decide di uscire dal gioco per davvero. Si esce dall'economia del debito (cioè da quella economia che pone gli interessi del capitale sopra a quelli del lavoro e della stessa vita delle persone e dell'ecosistema terrestre) con tutto quello che ne deriva. E' questo il vero recinto di pensiero da cui nemmeno la sinistra-sinistra riesce ad uscire.

Le vecchie ricette keynesiane non hanno realmente più margini di applicazione dentro una crisi strutturale di queste dimensioni e di questa qualità.

Le politiche riformiste, anche quelle più caute sono tagliate fuori sia sul versante del modello economico, sociale ed ecologico, sia su quello della distribuzione della ricchezza.

E' ormai chiaro che le risposte possono venire solo uscendo dalle regole e dai dogmi del mercato.

Dovremmo pensare ad un altro tipo di ricchezza, ad un altro tipo di benessere, ad un altro modo di lavorare, ad un altro modo di relazionarsi tra le persone che non sia quello che passa attraverso il portafogli.

E sarebbe certamente una società più umana, più in armonia con la natura, più capace di futuro, più desiderabile.

Se provassimo a mettere la cura e la fruizione dei beni comuni (l'acqua, la terra, le foreste, il patrimonio naturale, ma anche quello culturale: la conoscenza, i saperi) al centro della nostra idea di società, riusciremmo facilmente e con grande soddisfazione individuale e collettiva a fare a meno dell'ossessione dell'aumento del Pil.

Anzi, essere costretti a pagare per possedere, invece che condividere per accedere ad una fruizione collettiva, sarebbe un indicatore negativo di benessere.

Decrescere la dipendenza dal mercato è l'unico modo per sottrarsi ai suoi diktat.

Non c'è modo di liberarsi dalla tirannia della produttività misurata in budget se non ci si libera dal dispositivo dell'incremento del valore di scambio delle merci.

Ed è esattamente questo, non altro, quello che chiamano, in modo assolutamente bipartisan (da Napolitano a Berlusconi, dalla Camusso a Marchionne, dagli economisti marxisti a quelli liberisti): crescita.

Il guaio non è la «vera e propria crisi del capitalismo» (sono parole di The Observer), ma la mancanza di una alternativa di sistema. Cioè, la mancanza di una soggettività politica che abbia il coraggio civile e intellettuale di prospettare un sistema di valori etici e di regole sociali all'altezza della odierna crisi di civiltà e capace di evitarci di pagare le conseguenze del collasso.

Per esempio: non ci si libera dagli strozzini e dagli usurai se non si stabilisce che la finanza e la moneta devono tornare ad essere strumenti neutri, beni comuni pubblici, di servizio, che nessuno (né grande banchiere, né piccolo azionista) può pensare di usare per arricchirsi.

Non ci si evolve dal lavoro schiavo e precario se non si torna a stabilire che anche il lavoro è un bene comune, non una merce, un modo di realizzare sé stessi e, assieme, contemporaneamente, un modo per offrire agli altri cose utili, sane, durevoli. Non ci si libera dal peso delle crescenti spese militari e per la "sicurezza", se non si capisce che la pace e la sicurezza sono beni indivisibili, universali.

Fastidiose utopie, dirà qualcuno, indispensabili modi di essere per chi pensa che sia possibile praticare forme di economia non monetizzata, sociale e solidale. Ernst Friedrich Shumacher diceva che l'economia è una «scienza derivata», che deve cioè «accettare istruzioni». È urgente che qualcuno impartisca nuove istruzioni.

giovedì 27 ottobre 2011

Update italiota

Un altro aggiornamento sulla penosa e disastrosa situazione economico-politica italiota.



La lettera del Governo all'Ue - 26 Ottobre 2011

L'Italia ha sempre onorato i propri impegni europei e intende continuare a farlo.

Quest'estate il Parlamento italiano ha approvato manovre di stabilizzazione finanziaria con un effetto correttivo sui saldi di bilancio al 2014 pari a 60 miliardi di euro.

Sono state così create le condizioni per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, con un anno di anticipo rispetto a quanto richiesto dalle istituzioni europee. Dal 2012, grazie all'aumentato avanzo primario, il nostro debito scenderà.

Tuttavia, siamo consapevoli della necessità di presentare un piano di riforme globale e coerente.

La situazione italiana va letta tenendo in debita considerazione gli equilibri più generali che coinvolgono l'intera area europea.

Mesi di tensioni sui mercati finanziari e di aggressioni speculative contro i debiti sovrani sono, infatti, il segnale inequivocabile di una debolezza degli assetti istituzionali dell'area euro.

Per quel che riguarda l'Italia, consapevoli di avere un debito pubblico troppo alto e una crescita troppo contenuta, abbiamo seguito sin dall'inizio della crisi una politica attenta e rigorosa.

Dal 2008 ad oggi il nostro debito pubblico è cresciuto, in rapporto al Pil, meno di quello di altri importanti paesi europei. Inoltre, la disciplina da noi adottata ha portato a un bilancio primario in attivo. Situazione non comune ad altri Paesi.

Se problemi antichi, come quello del nostro debito pubblico, danno luogo oggi a ulteriori e gravi pericoli, ciò è soprattutto il segno che la causa va cercata non nella loro sola esistenza, ma nel nuovo contesto nel quale ci si è trovati a governarli.

A. I FONDAMENTALI DELL'ECONOMIA

Il Governo italiano ha risanato i conti pubblici e conseguirà l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Il debito pubblico in rapporto al PIL è stato ricondotto su un sentiero di progressiva riduzione.

Nel 2014 avremo un avanzo di bilancio (corretto per il ciclo) pari allo 0,5% del PIL, un avanzo primario pari al 5,7% del PIL e un debito pubblico al 112,6% del PIL.

Per realizzare questo obiettivo sono state approvate durante l'estate in tempi record due importanti manovre di finanza pubblica che comporteranno una correzione del deficit tendenziale nel quadriennio 2011-2014 pari rispettivamente a 0,2%, 1,7%, 3,3% e 3,5% del PIL.

Nel 2011 si prevede un avanzo primario consistente pari allo 0,9% del PIL. Nonostante l'aumento delle spese per il servizio del debito, questo consentirà la riduzione del rapporto debito/PIL già nel 2012. I dati relativi ai primi otto mesi dell'anno in corso sono coerenti con questi obiettivi.

È doveroso segnalare che la nuova serie dei conti nazionali indica che nel 2010 il Pil italiano è cresciuto dell'1,5% e non dell'1,3% e, nei due anni della crisi, il Pil si è ridotto meno di quanto prima stimato (-1,2% invece di -1,3% nel 2008 e -5,1% invece di -5,2% nel 2009).

Come conseguenza della revisione contabile operata da Eurostat il rapporto deficit/Pil, che è stato confermato a 4,6% per il 2010, è praticamente allineato a quello della Germania, rivisto dal 3,3% al 4,3%.

Si noti, inoltre, che l'Eurostat ha rettificato al rialzo anche i rapporti deficit/Pil della Francia (dal 7% al 7,1%), della Spagna (dal 9,2% al 9,3%), della Grecia (dal 10,5% al 10,6%) e del Portogallo (dal 9,1% al 9,8%).

In conclusione, nel 2010 l'Italia aveva, insieme alla Germania, il comportamento largamente più virtuoso in termini di indebitamento netto in rapporto al Pil.

B. CREARE CONDIZIONI STRUTTURALI FAVOREVOLI ALLA CRESCITA

Siamo ora impegnati nel creare le condizioni strutturali favorevoli alla crescita. Il Governo ritiene necessario intervenire sulla composizione del bilancio pubblico per renderla più favorevole alla crescita.

Con questo obiettivo il Governo intende operare su quattro direttrici nei prossimi 8 mesi:

- Entro 2 mesi, la rimozione di vincoli e restrizioni alla concorrenza e all'attività economica, così da consentire, in particolare nei servizi, livelli produttivi maggiori e costi e prezzi inferiori;

- Entro 4 mesi, la definizione di un contesto istituzionale, amministrativo e regolatorio che favorisca il dinamismo delle imprese;

- Entro 6 mesi, l'adozione di misure che favoriscano l'accumulazione di capitale fisico e di capitale umano e ne accrescano l'efficacia;

- Entro 8 mesi, il completamento delle riforme del mercato del lavoro, per superarne il dualismo e favorire una maggiore partecipazione.

Nei prossimi 4 mesi è, ad ogni modo, prioritario aggredire con decisione il dualismo Nord-Sud che storicamente caratterizza e penalizza l'economia italiana. Tale divario si estrinseca in un livello del Pil del Centro-Nord Italia che eguaglia il livello delle migliori realtà europee, e quello del Mezzogiorno, che è collocato in fondo alla graduatoria europea.

A riguardo, l'esecutivo è intenzionato a utilizzare pienamente i fondi strutturali, impegnandosi in una loro revisione globale, inclusi quelli per lo sviluppo delle infrastrutture, allo scopo di migliorarne l'utilizzo e ridefinirne le priorità in stretta collaborazione con la Commissione Europea.

Tale revisione consentirà un'accelerazione, una riconsiderazione delle priorità dell'uso dei Fondi e una regia rafforzata, dove l'Italia è disposta a chiedere un sostegno tecnico alla commissione europea per la realizzazione di questo ambizioso obiettivo.

Il programma straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno è definito in maniera evocativa "Eurosud" e nasce dalla convinzione che la crescita del Sud è la crescita dell'Italia intera.

Il Governo, quindi, definirà ed attuerà la revisione strategica dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013. Tale revisione risponde alle Raccomandazioni del Consiglio del 12 luglio 2011 sul Programma Nazionale di Riforma dell'Italia.

Esso si basa su una più forte concentrazione dei Programmi sugli investimenti maggiormente in grado di rilanciare la competitività e la crescita del Paese, segnatamente intervenendo sul potenziale non utilizzato nel Sud, e su un più stringente orientamento delle azioni ai risultati (istruzione, banda larga, ferrovie, nuova occupazione). Tale revisione potrà comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari.

Le risorse resesi disponibili a seguito di questa riduzione saranno programmate attraverso un percorso di concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di coesione, il Commissario europeo competente e le regioni interessate basato su una cooperazione rafforzata con la Commissione europea attraverso un apposito gruppo di azione.

Tale piano d'azione sarà definito entro il 15 novembre 2011.

La creazione delle condizioni strutturali per la crescita dell'intero Paese passa inevitabilmente per la revisione delle politiche di:

a. promozione e valorizzazione del capitale umano;

b. efficientamento del mercato del lavoro;

c. apertura dei mercati in chiave concorrenziale;

d. sostegno all'imprenditorialità e all'innovazione;

e. semplificazione normativa e amministrativa;

f. modernizzazione della pubblica amministrazione;

g. efficientamento e snellimento dell'amministrazione della giustizia;

h. accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia;

i. riforma dell'architettura costituzionale dello Stato.

a. Promozione e valorizzazione del capitale umano

L'accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l'anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell'arco d'un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.

Si amplieranno autonomia e competizione tra Università. Si accrescerà la quota di finanziamento legata alle valutazioni avviate dall'ANVUR e si accresceranno i margini di manovra nella fissazione delle rette di iscrizione, con l'obbligo di destinare una parte rilevante dei maggiori fondi a beneficio degli studenti meno abbienti. Si avvierà anche uno schema nazionale di prestiti d'onore.

Da ultimo, tutti i provvedimenti attuativi della riforma universitaria saranno approvati entro il 31 dicembre 2011.

b. Efficientamento del mercato del lavoro

È prevista l'approvazione di misure addizionali concernenti il mercato del lavoro.

1. In particolare, il Governo si impegna ad approvare entro il 2011 interventi rivolti a favorire l'occupazione giovanile e femminile attraverso la promozione: a. di contratti di apprendistato contrastando le forme improprie di lavoro dei giovani; b. di rapporti di lavoro a tempo parziale e di contratti di inserimento delle donne nel mercato del lavoro; c. del credito di imposta in favore delle imprese che assumono nelle aree più svantaggiate.

2. Entro maggio 2012 l'esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro a. funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell'impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato; b. più stringenti condizioni nell'uso dei "contratti para-subordinati" dato che tali contratti sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato.

c. Apertura dei mercati in chiave concorrenziale

Entro il 1° marzo 2012 saranno rafforzati gli strumenti di intervento dell'Autorità per la Concorrenza per prevenire le incoerenze tra promozione della concorrenza e disposizioni di livello regionale o locale. Verrà generalizzata, la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali in accordo con gli enti territoriali.

Le principali disposizioni contenute nella bozza di disegno di legge sulla concorrenza riguardano i settori della distribuzione dei carburanti e dell'assicurazione obbligatoria sui veicoli. Le misure relative al mercato assicurativo sono state definite all'interno di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, che è già stata approvata dalla camera dei deputati ed è attualmente all'esame del senato.

Le misure concernenti i mercati della distribuzione carburanti sono state integralmente inserite nel Decreto Legge n.98/2011 e pertanto sono già in vigore. Si è preferito adottare uno strumento legislativo quale il decreto che garantisce l'immediata efficacia degli interventi.

Nel medesimo decreto legge sono state inserite anche altre disposizioni di apertura dei mercati e liberalizzazioni, tra cui si ricorda in particolare la liberalizzazione in via sperimentale degli orari dei negozi.

Nel frattempo, fra i primi in Europa, l'Italia ha aperto alla concorrenza il mercato della distribuzione del gas: sono stati adottati e saranno a breve pubblicati nella gazzetta ufficiale i regolamenti che disciplinano le gare per l'affidamento della distribuzione del gas in ambiti territoriali più ampi dei comuni.

Già con il Decreto Legge n.138/2011 sono state adottate incisive misure finalizzate alla liberalizzazione delle attività d'impresa e degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali.

In particolare già si prevede che le tariffe costituiscano soltanto un riferimento per la pattuizione del compenso spettante al professionista, derogabile su accordo fra le parti. Il provvedimento sullo sviluppo conterrà recherà altre misure per rafforzare l'apertura degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali.

Sempre in materia di ordini professionali, nella manovra di agosto, in tema di accesso alle professioni regolamentate, è stato previsto che gli ordinamenti professionali debbano garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti.

Inoltre, già in sede di conversione della manovra di luglio (DL n. 98/2011) è stato previsto che il Governo, sentita l'Alta Commissione per la Formulazione di Proposte in materia di Liberalizzazione dei Servizi, elaborerà proposte per la liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche da presentare alle categorie interessate.

Dopo 8 mesi dalla conversione del decreto legge, tali servizi si intenderanno liberalizzati, salvo quanto espressamente regolato.

Verranno rafforzati i presidi a tutela della concorrenza nel campo dei servizi pubblici locali, con l'introduzione a livello nazionale di sistemi di garanzia per la qualità dei servizi nei comparti idrico, dei rifiuti, dei trasporti, locali e nazionali e delle farmacie comunali, seguendo rispettivamente questa sequenza temporale 3 mesi, 6 mesi, 9 mesi e 12 mesi.

Per quanto riguarda la riforma dei servizi pubblici locali che il Governo italiano - riprendendo quanto già previsto dall'articolo 23 bis del DL 112/2008 - ha approvato nella manovra di agosto 2011 escludendo il settore idrico a seguito di un referendum popolare.

Con le disposizioni che si intende varare si rafforza il processo di liberalizzazione e privatizzazione prevedendo che non è possibile attribuire diritti di esclusiva nelle ipotesi in cui l'ente locale affidante non proceda alla previa verifica della realizzabilità di un sistema di concorrenza nel mercato, ossia di un sistema completamente liberalizzato.

Inoltre, viene previsto un ampliamento delle competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché un sistema di benchmarking al fine di assicurare il progressivo miglioramento della qualità di gestione e di effettuare valutazioni comparative delle diverse gestioni.

d. Sostegno all'imprenditorialità e all'innovazione

Entro il 2011, al fine di favorire la crescita delle imprese il Governo prevede di utilizzare la leva fiscale per agevolare la capitalizzazione delle aziende, con meccanismi di deducibilità del rendimento del capitale di rischio. Verranno potenziati gli schemi a partecipazione pubblica di venture capital e private equity, preservando la concorrenza nei relativi comparti.

Il Governo trasformerà le aree di crisi in aree di sviluppo, rendendo più semplice ed efficace la procedura per definire i programmi di rilancio, che potranno essere finanziati anche con risorse comunitarie.

Forte impegno dell'esecutivo verso le PMI, destinando loro il 50% delle risorse non utilizzate ogni anno del Fondo Rotativo per il Sostegno alle imprese e per gli investimenti in ricerca.

Questi interventi - insieme al Contratto di Sviluppo, già operativo - rientrano a pieno titolo nell'ambito del riordino generale degli incentivi contenuto nello Statuto delle Imprese, che diventerà legge nelle prossime settimane.

Per garantire la liquidità delle imprese si prevede un sistema di certificazione di debiti delle Pubbliche Amministrazioni locali nei confronti delle imprese stesse al fine di consentire lo sconto e successivo pagamento da parte delle banche, in conformità alle procedure di calcolo Eurostat e senza impatto addizionale sull'indebitamento della Pubblica Amministrazione.

e. Semplificazione normativa e amministrativa

Il Governo incentiva la costituzione di "zone a burocrazia zero" in tutto il territorio nazionale in via sperimentale per tutto il 2013, anche attraverso la creazione dell'U.L.G. - Ufficio Locale dei Governi quale autorità unica amministrativa che coinvolgerà i livelli locali di governo in passato esclusi.

Il Governo mira a semplificare la costituzione del bilancio delle S.r.l., la digitalizzazione del deposito dell'atto di trasferimento delle quote delle società e lo snellimento in materia di vigilanza delle società di capitali e degli organi di controllo.

I rapporti con la pubblica amministrazione diventeranno più snelli grazie alla completa sostituzione dei certificati con delle autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione resteranno valide solo nei rapporti tra privati.

I controlli sulle imprese si ispireranno a criteri di semplicità e proporzionalità, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni che possano recare intralcio al normale esercizio delle attività imprenditoriali.

Da ultimo, per quanto riguarda la semplificazione amministrativa verrà completata nei prossimi 6 mesi la strategia di revisione della regolamentazione settoriale, elaborando proposte puntuali di semplificazione dei procedimenti e monitorandone gli effetti.

Verrà rafforzata e accelerata l'attuazione del programma di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi di tipo informativo previsti da leggi statali (MOA).

Inoltre, ove la disciplina sia di fonte regionale e locale, verranno rafforzati ed estesi gli incentivi previsti dalla manovra estiva per i procedimenti amministrativi relativi all'avvio e alla svolgimento dell'attività d'impresa. L'obiettivo è quello di migliorare il posizionamento dell'Italia nella graduatoria internazionale relativa al Doing Business, nei prossimi 3 anni.

f. Modernizzazione della pubblica amministrazione

La pubblica amministrazione è un volano fondamentale della crescita. Stiamo creando le condizioni perché la pubblica amministrazione sia pronta ad accompagnare la ripresa, svolgendo una funzione di servizio allo sviluppo e non di zavorra burocratica. Ecco perché la semplificazione, la trasparenza e la meritocrazia sono fondamentali.

Un tassello rilevante è costituito dalla piena attuazione della Riforma Brunetta della pubblica amministrazione, in particolar modo dalle misure che rafforzano il ruolo della Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche (istituita nel dicembre del 2009) e le cui competenze saranno integrate con il disegno di legge in materia di anticorruzione, già approvato dal Senato, e attualmente all'esame della Camera dei Deputati.

Esso rappresenta un passaggio importante per la completa implementazione della riforma della pubblica amministrazione in quanto individua una nuova governance per l'attività di prevenzione e contrasto della corruzione, affidando le funzioni alla Commissione e individuando con estrema puntualità le modalità di accrescimento del livello di trasparenza della pubblica amministrazione.

Per rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione tanto a livello centrale quanto a livello degli enti territoriali (oltre al vigente blocco del turnover del personale) renderemo effettivi con meccanismi cogenti/sanzionatori: a. la mobilità obbligatoria del personale; b. la messa a disposizione (Cassa Integrazione Guadagni) con conseguente riduzione salariale e del personale; c. il superamento delle dotazioni organiche.

Contestualmente all'entrata in vigore della legge costituzionale recante l'abolizione e la razionalizzazione delle province è prevista l'approvazione di una normativa transitoria per il trasferimento del relativo personale nei ruoli delle regioni e dei comuni.

g. Efficientamento e snellimento dell'amministrazione della giustizia

Proseguendo sulla linea delle misure definite in estate, verranno rafforzati il contrasto della litigiosità e la prevenzione del contenzioso (anche attraverso la costituzione presso il Ministero della Giustizia di un gruppo tecnico che individui situazioni a forte incidenza di litigiosità e proponga specifici interventi di contrasto).

Entro il 30 aprile 2012 verrà completato il progetto in corso presso il Ministero della Giustizia per la creazione di una banca dati centralizzata per le statistiche civili e per quelle fallimentari. Verranno rafforzati i meccanismi incentivanti per gli uffici virtuosi di cui alla Legge n. 111 del 2011. L'obiettivo è quello della riduzione della durata delle controversie civili di almeno il 20 per cento in 3 anni.

h. Accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia

Oltre alla realizzazione degli investimenti già concordati con le società concessionarie, il Governo solleciterà una maggiore partecipazione degli investitori privati, definendo entro il 31 dicembre 2011 standard contrattuali tipo che facilitino il ricorso al project financing, con una più chiara ed efficiente allocazione dei rischi tra le parti e accrescendo le certezze sulla redditività dell'opera e la prevenzione di comportamenti di tipo monopolistico nella determinazione dei pedaggi. Verrà rafforzata la qualità della programmazione finanziaria pubblica, definendo obiettivi pluriennali di spesa e concentrando le risorse su progetti considerati strategici.

Il Governo è impegnato nella definizione nelle prossime 10 settimane di alcune opere immediatamente cantierabili, su proposta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che potranno beneficiare, a titolo di contributo al finanziamento, della defiscalizzazione (IRAP, IRES) a vantaggio dei concessionari dell'opera stessa.

Inoltre sono previste una serie di semplificazioni e velocizzazioni nelle procedure di approvazione dei progetti da parte del CIPE e la suddivisione degli appalti in lotti funzionali per garantire alle PMI un accesso facilitato.

Si prevede lo sblocco degli investimenti privati grazie alla semplificazione delle procedure relative ai contratti di programma dei maggiori aeroporti italiani. Infine, sono previste norme mirate all'ottimizzazione delle gestioni negli impianti portuali e di semplificazione in materia di trasporto eccezionale su gomma.

Da ultimo, è in corso di predisposizione una garanzia "reale" dello Stato (attraverso propri beni immobili, e non solo di natura finanziaria) per i mutui prima casa di giovani coppie, prive di contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questo garantirà un nuovo impulso al mercato immobiliare e alle nuove famiglie.

i. Riforma dell'architettura costituzionale dello Stato

Il Governo italiano è impegnato in un processo di complessiva riforma costituzionale. Essa riguarda tanto l'assetto costituzionale dei poteri, quanto la cornice normativa volta a promuovere le condizioni di sviluppo del mercato e una disciplina più rigorosa delle finanze pubbliche.

Pur nella complessità del processo di revisione costituzionale l'Italia intende giungere all'approvazione della prima lettura di tali disegni di legge costituzionale entro i prossimi 6/12 mesi.

In particolare, quanto alla riforma dello Stato, si tratta dei seguenti provvedimenti:

a. Disegno di legge (già approvato in prima lettura alla Camera) sulla modifica dell'elettorato attivo e passivo per l'elezione al Parlamento nazionale al fine di garantire una maggiore partecipazione giovanile alla vita politica.

b. Due disegni di legge (all'esame del Parlamento) di riforma complessiva dell'organizzazione dei vertici delle istituzioni politiche, con particolare riferimento alla riduzione significativa del numero dei parlamentari, all'abolizione delle province, alla riforma in senso federale dello Stato, alla maggiore efficienza dei meccanismi decisionali e al rafforzamento del ruolo dell'esecutivo e della maggioranza.

Sul secondo versante, relativo alla disciplina del mercato e al rigore della finanza pubblica, si prevede:

a. Un disegno di legge (la cui approvazione è in corso proprio in questi giorni presso la Camera dei deputati) di riforma degli articoli della costituzione relativi alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della concorrenza, nonché alla riforma della pubblica amministrazione in funzione della valorizzazione dell'efficienza e del merito.

b. Un disegno di legge sull'introduzione del vincolo di pareggio di bilancio sul modello già seguito in altri ordinamenti europei.

A tal fine si deve ricordare che l'articolo 138 della Costituzione Italiana impone che le leggi costituzionali ad intervallo non minore di tre mesi. Quindi, anche con la massima celerità possibile, le riforme costituzionali richiedono dei tempi minimi imprescindibili.

Le conseguenti leggi attuative saranno successivamente attuate senza indugio, non essendovi vincoli temporali nell'ambito della Costituzione.

C. UNA FINANZA PUBBLICA SOSTENIBILE

Le pensioni

Nella attuale legislatura la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali choc negativi.

Grazie al meccanismo di aggancio dell'età pensionabile alla speranza di vita introdotto nel 2010 (art. 12 commi 12-bis e 12-ter, DL 78/2010, come modificato con art. 18 comma 4, DL 98/2011), il Governo italiano prevede che il requisito anagrafico per il pensionamento sarà pari ad almeno 67 anni per uomini e donne nel 2026.

Sono già stati rivisti i requisiti necessari per l'accesso al pensionamento di anzianità. Tali requisiti aumenteranno gradualmente fino ad arrivare a regime a partire dal 2013. Questi requisiti sono in ogni caso agganciati in aumento all'evoluzione della speranza di vita.

La delega fiscale e assistenziale previdenziale

Il provvedimento di iniziativa governativa è già all'esame del Parlamento e sarà approvato, entro il 31 gennaio 2012, quindi con tempi compatibili all'emanazione dei provvedimenti delegati entro il 2012.

Comunque, anche al fine di accrescere la fiducia degli investitori, nel rispetto del percorso di risanamento programmato, il Governo ha fornito, con la Legge 148 del 14 settembre 2011, le risorse che saranno reperite con l'esercizio della delega per la riforma dei sistemi fiscale e assistenziale sulla base degli attuali regimi di favore fiscale e delle sovrapposizioni fra agevolazioni e conseguenti inefficienze ad oggi individuate.

Tali risorse ammontano ad almeno 4 miliardi di euro nell'anno 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014. Contestualmente, per dare massima garanzia sul rispetto dei saldi è stata introdotta una clausola di salvaguardia.

La clausola prevede che, in caso di ritardo nell'attuazione della delega oltre il 30 settembre 2012, le agevolazioni fiscali vigenti saranno ridotte del 5% per l'anno 2012 e del 20% a decorrere dal 2013.

In alternativa, anche parziale, si è stabilita la possibilità di disporre con decreto del Presidente del consiglio, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l'accisa.

In breve, qualora la delega non fosse esercitata entro il 30 settembre 2012 o le nuove disposizioni fiscali e assistenziali non siano in grado di garantire un sufficiente effetto positivo sul deficit (almeno 4 miliardi nel 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi a partire dal 2014), si avrà una riduzione automatica delle agevolazioni fiscali che garantirà comunque il raggiungimento degli obiettivi di risparmio.

Viceversa, se la delega verrà esercitata entro il termine e le nuove disposizioni garantiranno effetti di risparmio almeno pari a quelli previsti, non si procederà dunque al taglio automatico delle agevolazioni.

Le dismissioni

Entro il 30 novembre 2011, il Governo definirà un piano di dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico che prevede almeno 5 miliardi di proventi all'anno nel prossimo triennio. Previo accordo con la Conferenza Stato-Regioni, gli enti territoriali dovranno definire con la massima urgenza un programma di privatizzazione delle aziende da essi controllate. I proventi verranno utilizzati per ridurre il debito o realizzare progetti di investimento locali.

La razionalizzazione della spesa pubblica

Il Governo ribadisce l'impegno a definire entro il 31 dicembre 2011 il programma per la riorganizzazione della spesa previsto dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda: l'integrazione operativa delle agenzie fiscali; la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e degli enti della previdenza pubblica in modo da creare sinergie e ottimizzare l'uso delle risorse; il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine; la razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria nel suo complesso in modo da accelerare i tempi della giustizia civile; e la riorganizzazione della rete consolare e diplomatica. Il Governo attuerà i primi interventi dal 1° gennaio 2012 e darà conto dei progressi realizzati con cadenza trimestrale.

Debito pubblico

Entro il 31 dicembre 2011, il governo affiderà l'elaborazione di un piano organico per l'abbattimento del debito attraverso anche le dismissioni ad una commissione ristretta di personalità di prestigio, in collaborazione con gli enti territoriali e con le principali istituzioni economiche e finanziarie nazionali ed internazionali.

Il costo degli apparati istituzionali

Il Governo riconosce la necessità di rafforzare gli interventi volti a ridurre i costi degli apparati istituzionali. In particolare, verrà perseguita entro il 2012, una razionalizzazione e soppressione delle provincie e la riallocazione delle funzioni delle Province alle Regioni o ai Comuni, in modo da assicurare un significativo snellimento dei relativi apparati burocratici e degli organi rappresentativi. Verrà rafforzato il regime di incompatibilità fra le cariche elettive ai diversi livelli di governo.

Il pareggio di bilancio

Il disegno di legge di riforma della Costituzione in materia di pareggio di bilancio è già all'esame della Camera dei Deputati. L'obiettivo è quello di una sua definitiva approvazione entro la metà del 2012.

Con le modifiche introdotte con la Legge n.39/2011 alla "Legge di contabilità e finanza pubblica (L. 196/2009) è stata rivista la normativa relativa alle coperture finanziarie delle leggi a vantaggio del rafforzamento della relativa disciplina fiscale.

In particolare, per la copertura degli oneri correnti della legge di stabilità è stata circoscritta la possibilità di utilizzare il miglioramento del risparmio pubblico, escludendo la possibilità di finanziare con tali risorse nuove o maggiori spese correnti.

Definire le ulteriori misure correttive eventualmente necessarie

Il Governo monitorerà costantemente l'andamento dei conti pubblici. Qualora il deterioramento del ciclo economico dovesse portare a un peggioramento nei saldi il Governo interverrà prontamente.

L'utilizzo del Fondo per esigenze indifferibili sarà vincolato all'accertamento, nel giugno del 2012, di andamenti dei conti pubblici coerenti con l'obiettivo per l'indebitamento netto del prossimo anno.

D. CONCLUSIONI

Siamo sicuri che, con l'impegno di tutti, scaturito dalla consapevolezza che ci troviamo a fronteggiare problemi che riguardano l'intera Unione e la tenuta stessa della moneta comune, dunque problemi non circoscrivibili a questa o quella debolezza o forza nazionali, consegneremo ai giovani un'Europa più forte e più coesa.



Una mossa da Joker (ah, se facessimo default!)
di Felice Capretta - http://informazionescorretta.blogspot.com - 25 Ottobre 2011

L'agenda prevede nelle prossime ore la riunione dei 27 capi di governo dell'Euro e a seguire riunione dei 17 capi di governo dell'eurozona.

All'ordine del giorno: Fondo salva stati EFSF, ricapitalizzazione delle banche, aiuti ai paesi in default. E altro. Cioè, in una parola, rimandare ancora un po' in là la fase esplosiva della Crisi Sistemica a spese dei poveracci. E nel frattempo tirare ancora di più il guinzaglio.

Ci sara' anche Berlusconi, dopo che le forze del suo governo sono apparentemente riuscite a trovare l'accordo sulle misure di austerity.

La situazione è oltremodo pericolosa, per una serie di ragioni:

  • Il nostro paese è troppo grande per fallire ed è contemporaneamente troppo grande per essere salvato.
  • La Grecia è già caduta, ma se cade l'Italia cade l'Eurozona e l'Euro.
  • La BCE e l'unione europea vogliono misure greche per l'Italia, perchè se cade l'Italia cade l'Euro e l'Euro deve resistere più possibile per soddisfare i bisogni delle banche e dei poteri globali.
  • La Lega è l'ultimo baluardo del governo attuale. Se molla la Lega, cade il governo. La Lega non vuole le misure greche per l'Italia, perchè perderebbe immediatamente consensi e addio a tanti cadreghini (chi non sa cos'e' una cadrega è rimandato a settembre in lingue nordiche). O, detto in una parola da bossi stesso, elegante come solo lui sa essere: "la gente ci ammazza".
  • L'inettitudine di Berlusconi e dei suoi tirapiedi e la oggettiva attitudine di ogni politico italiano a fare un gran polverone senza che nulla cambi non puo' più funzionare.
  • Berlusconi.
Tutto cio' premesso, Berlusconi si trova nella classica condizioni del vaso di terracotta in mezzo ai vasi di ferro.

Deve salvare il suo cadreghino e per farlo deve soddisfare le condizioni imposte dalla BCE, ma se soddisfa le condizioni imposte dalla BCE la Lega lo molla e perde il cadreghino.
In pratica comunque vada è nei guai.

Vedremo cosa succederà durante la giornata: siamo molto curiosi di vedere quali saranno le misure proposte su cui si sono accordati in un pomeriggio, dopo che non sono riusciti ad accordarsi sulle prime misure in un mese e mezzo.

Il rischio è che quel guaio di Berlusconi ne faccia le spese e precipiti l'italia in una fase di instabilità, peggiorando ulteriormente le cose. Alla quale seguirà un nuovo governo fatto da inetti, che siano di destra o di sinistra, che ci precipiteranno ancora di più nel dissesto nazionale. Che obbediranno agli ordini della BCE e del duo Sarkozy-Merkel e ci applicheranno il solito trattamento greco.

Per uscirne, ci vorrebbe una mossa geniale, diabolica. Una mossa da joker.
Ci vorrebbe che facessimo default, e vaffa.

Se facessimo default
....
...faremmo saltare le banche francesi, le banche tedesche, l'eurozona, l'euro tutto, disastreremmo il dollaro e goldman sachs, e probabilmente travolgeremmo l'economia nel suo complesso e potremmo domani mattina andarcene a pescar triglie, o, ancora meglio, a coltivare zucchine.

Manderemmo a ramengo l'intero mondo
economico e sociale dall'occidente all'oriente e saremmo costretti a ripartire.
Saremmo finalmente primi in qualcosa, saremmo il detonatore del Grande Crollo finale... forse riusciremmo anche ad anticipare sul tempo quei poteri che vogliono il Grande Crollo ma non fino a quando tutto non è perfettamente preparato, e forse anche scombinarne i piani e mandarli definitivamente a gambe all'aria. Insegneremmo al mondo a preferire la condivisione all'accaparramento e vivere finalmente come un pianeta normale.

Vuoi mettere che soddisfazione?
Così forse tra qualche tempo il mondo intero ci ringrazierebbe e si ricorderebbe di noialtri, disgraziati sgarruppati e sgangherati mangiaspaghetti, ma pur sempre geniali e in grado di trovare una soluzione quando tutti annaspano.

E tutto questo è nelle mani di Berlusconi e di chi lo sostiene.
Nelle mani di Umberto Bossi.
Andrà sicuramente bene.


Attacco globalista all'Italia
di Eugenio Orso - http://pauperclass.myblog.it - 25 Ottobre 2011

Dopo la piccola Grecia e la ormai semidistrutta Libia è arrivato il turno dell’Italia.
Una volta tanto, chi scrive, pur con molte perplessità e non pochi disgusti, è costretto a stare oggettivamente dalla parte di Berlusconi e Bossi, nemici insidiosi ma secondari, contro il Nemico Principale globalista.

La replica di Berlusconi al ghignante duo Merkel e Sarkozy – “Nessuno nell’Unione può autonominarsi commissario e parlare a nome di governi eletti e di popoli europei. Nessuno è in grado di dare lezioni ai partner.”, è un gesto di risentimento e di stizza e nello stesso tempo uno scatto d’orgoglio inaspettato, ma di certo non chiarisce che anche la Merkel e Sarkozy non sono affatto “sovrani”, essendo ridotti al ruolo di comparse e marionette della classe globale che controlla l’Europa, quanto i vari burocrati come Herman Van Rompuy o i Barroso.

Questo è il destino dei moderni valvassini, nobili di basso rango subordinati ai livelli superiori e loro espressione, e nel caso di Merkel e Sarkozy – a riprova che non esiste una vera Europa, in qualche modo unita, con sentimenti di fratellanza fra i popoli che la compongono, i due stanno soltanto cercando di mettere al sicuro i loro piccoli feudi (tali ormai si possono considerare nell’economia globale), buttando a mare e cannibalizzando l’Italia, nell’illusione che questo sacrificio offerto per placare la fame di Mercati e Investitori possa bastare.

Merkel e Sarkozy, per quanto sprezzanti nei confronti di Berlusconi (ma soprattutto nei confronti dell’Italia), non sono in grado ribellarsi alla classe globale dominante, alla BCE e all’euro, né avrebbero il coraggio di farlo (trattandosi di piccole tacche) e allora cercano di trasformare in vittime sacrificali per il nuovo Moloch capitalistico i paesi più deboli dell’Europa dell’Unione (l’Europa monetaria e posticcia), sperando da bravi valvassini che i loro circoscritti territori, Germania e Francia, non subiscano la stessa sorte, inghiottiti con tutta la popolazione nella fornace della Creazione del Valore finanziaria, azionaria e borsistica.
Molto meglio buttare a mare l’Italia, con la piccola Grecia.

Tuttavia Berlusconi, nonostante il piccolo scatto d’orgoglio, assicura che il suo governo farà quanto richiesto (leggasi quanto ordinato dalla Voce del Padrone), e sta cercando disperatamente di convincere Bossi a mettere mano alle pensioni, ben sapendo che la riforma delle pensioni da sola non basterà (non basta mai agli stragisti globali ed europoidi) e che l’Europa, o meglio, il suo doppio maligno interamente nelle mani dei nuovi dominanti, chiede “un pacchetto completo” di controriforme impoverenti ed altra macelleria sociale (vendita del patrimonio pubblico, liberalizzazioni e privatizzazioni, tagli draconiani al welfare), in dosi sovrabbondanti.

A nulla serviranno questa volta altri condoni fiscali, da iscrivere a bilancio ottimisticamente, pur di evitare di toccare l'età pensionabile e di "mettere le mani nelle tasche degli italiani", scontentando così milioni di lavoratori, di contribuenti, e soprattutto di potenziali votanti.

Si “richiedono” all’Italia, con decisione e in fretta e furia, dando 48 ore di tempo come nei classici ultimatum militari, misure adeguate per la crescita (leggasi la folle corsa all’incremento del valore finanziario che tutto travolge), per l’occupazione (è soltanto fumo negl’occhi, perché esclusione e sotto-occupazione caratterizzano questo capitalismo), e la tanto attesa riforma della giustizia (ma non come vorrebbe il Berlusconi pluri-inquisito).

Il Nuovo Capitalismo si sta affermando nel mondo come modo di produzione sociale prevalente, in sostituzione del capitalismo del secondo millennio, e la Global class, con il suo sistema di potere, è sempre più forte ed oggi sembra che possa permettersi di agire incontrastata a varie latitudini, nonché di imporre alla luce del sole, attraverso i suoi proconsoli e valvassini locali, misure economico-finanziarie e politiche da seguire ai governi e agli stati. Altrimenti si finisce come la Grecia, o peggio, come la Libia.

Le nuove contraddizioni capitalistiche, che quando si manifesteranno saranno più laceranti e sanguinose di quelle del capitalismo del secondo millennio (lotta di classe fra borghesia e proletariato, falsa libertà, sfruttamento degli operai), sembra che siano ancora ben lontane dall’esplodere in tutta la loro virulenza.

Perciò si difende con successo e si propaga il peggior liberismo distruttore, profittando dell’assenza di contrasto e dell’inerzia delle popolazioni, quando persino il Vaticano, attraverso l’autorevole Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, è giunto alla conclusione (scontata) che l’attuale crisi è il prodotto della diffusione delle ideologie liberiste.

Dopo aver ricattato e piegato la Grecia, messa sotto ferrea “tutela” e governata direttamente da collaborazionisti locali (Gorge Papandreou e il suo Pasok “socialista”), dopo aver contribuito a semidistruggere la Libia per poter controllare i suoi bacini di materie prime energetiche, usando lo strumento militare Nato e spingendo in prima linea la Francia e l’Inghilterra interventiste, i globalisti dominanti ora se la prendono con l’Italia, boccone grosso in Europa e paese debole, con un grande debito pubblico e una bassa crescita (principali pretesti per l’attacco) ed un presidente del consiglio screditato e un po’ “indisciplinato” (che è un altro pretesto).

I sub-dominati politici tedeschi e francesi, valvassini di un capitalismo che rivela sempre di più inquietanti tratti neofeudali, collaborano nel mettere alle strette l’Italia e continuano a sperare che i loro paesi (piccoli feudi) non finiscano nella fornace di un possibile collasso dell’euro e dei continui downgrade orchestrati dalle agenzie di rating.

Qui non si afferma che si devono difendere a spada tratta Berlusconi e il suo esecutivo come “minore dei mali”, ben sapendo che ciò che verrà dopo sarà totalmente subordinato ai globalisti e ai loro proconsoli continentali europoidi, ma soltanto che Berlusconi non è più il primo problema per l’Italia, e la sua rimozione, consensuale o forzata che sia, non avrà certo il potere – come ci fa credere una parte significativa dell’apparato massmediatico, di rasserenare l’orizzonte.

Del resto, Berlusconi non ha proprio tutto quel potere che fino a poco tempo fa gli si attribuiva (quasi che fosse il neoduce), poiché, come ha scritto in modo molto chiaro Costanzo Preve, “L’Italia è completamente commissionata dal duopolio Draghi-Napolitano. Un banchiere ed un ex-comunista riciclato in rappresentanza degli interessi militari dell’impero americano (glissiamo sull’impero americano, n.d.s.) e (soprattutto, n.d.s.) dei parametri oligarchici dei poteri finanziari.”, ma il Cavaliere continua a starsene incollato su quella poltrona di presidente del consiglio dalla quale i dominanti globali lo vogliono sloggiare.

Il pacchetto completo di riforme ordinato al governo italiano dalla classe globale attraverso i proconsoli europoidi sicuramente, una volta varato e applicato (e probabilmente ciò si verificherà abbastanza presto), seminerà miseria e disperazione nella penisola.

Ci sarà a quel punto una forte reazione della parte sana del paese, con connotati finalmente anti-europei ed anti-euro, rivolta contro il Nemico Principale (la Global class) e i suoi valvassini in Europa?

Questa sarebbe la speranza, ma finora le manifestazioni e le proteste (tranne forse che in Grecia), per quanto nella maggioranza dei casi blande e pacifiche, si sono rivolte sempre contro i governi locali e non contro chi li comanda, li manovra e li tiene in pugno.

A che servirà, se sopravvivrà politicamente ancora per un po’, prendersela sempre e soltanto con il valvassino mancato Berlusconi, in calo di consensi e sgradito ai globalisti dominanti, visto ciò che sta per arrivarci addosso?


Gheddafi: piccole ipocrisie italiote
di Umberto Bianchi - www.mirorenzaglia.org - 25 Ottobre 2011

La morte di Mu’mmar Gheddafi, indegnamente assassinato da un gruppo di mercenari libici al servizio dei macellai della NATO, anziché suscitare delle reazioni improntate a prudenza e misura, come la tragica occasione imporrebbe, ha invece qui scatenato un coro di compiaciute esternazioni (visto che pur sempre si tratta dell’assassinio a freddo di un capo di stato!), come se la sopravvivenza del leader libico avrebbe potuto cambiare qualcosa in uno scenario profondamente compromesso.

Dal ministro Frattini al Presidente Napolitano, passando per gli oppositori dei nostri stivali, nessuno si è fatto sfuggire il solito sorrisetto sotto i baffi, magari camuffandolo da auspicio buonista-solidarista.

E pensare che sino a poco, anzi pochissimo tempo fa, quella del malcapitato leader libico era una specie di Mecca per affari d’ogni genere e tipo. Sotto la tenda di Gheddafi quanti begli affari trattati da tutti quelli che oggi urlano, latrano il proprio ipocrita sdegno, ora accompagnato dal codino compiacimento per la fine del cattivaccio di turno.

Petrolio, ma anche tante, tante altre schifezze sono state trattate con il cattivaccio, tra cui succulente forniture di armamenti e via dicendo.

Quegli stessi armamenti e via dicendo, con cui Gheddafi ha (giustamente!) tentato di esportare il proprio modello di rivoluzione in giro per l’Africa (vedi Ciad!) o ha (giustamente!) sovvenzionato i gruppi ed i movimenti rivoluzionari di mezzo mondo o ha (giustamente!) tentato di conferire al proprio paese un maggior peso geopolitico attraverso la costruzione di armamenti non convenzionali, con cui spostare l’equilibrio del terrore a proprio favore.

Tutti i vigliacchetti che oggi gongolano sotto i baffi, di certe storiacce dovrebbero bene avvedersene. La ex-grandeur francese, oggi a regia atlantica, sotto la guida dello pseudo-Bonaparte Sarkozy, dovrebbe illuminarci per esempio su quanto accaduto nel 1980 nei cieli di Ustica dove, per tentare molto democraticamente di uccidere il povero Gheddafi, sarebbe stata provocata una strage di civili italiani a bordo del tristemente famoso DC-9.

E nulla ci impedisce di pensare, a questo punto, che la mai chiarita vicenda sulla strage di Bologna, abbia qualcosa a vedere con la vicenda di Ustica, altro che fascisti!

Di questo i nostri tremebondi politici avrebbero dovuto chiedere lumi alla Francia ed agli “alleati”, anziché buttarsi a capofitto in un’operazione militare controproducente anzitutto dal punto di vista economico, poiché abbiamo spalancato le porte del petrolio libico ai francesi ( quando prima le chiavi del forziere erano in mano al “cattivaccio” che le aveva, nei fatti, spalancate alle imprese nostrane, sic!).

Schifosa dal punto di vista etico, perché qualcuno ha prima baciato le mani al “cattivaccio”, salvo poi bombardarlo a tradimento al primo fischio di comando anglo-francese.

Perdente da un punto di vista prettamente politico, poiché l’Italia ha dimostrato di non possedere nessuna autonomia decisionale e di essere quindi un nulla sullo scenario internazionale, apponendo in tal modo una pesante ipoteca sul proprio futuro.

Più dignitosa la posizione di Germania e Russia, per esempio, ma, si sa, una rondine non fa primavera e questa Europa ha dimostrato tutta la propria evanescente inconsistenza.

La morte di Gheddafi non sancisce solo la fine di un regime, bensì la fine di un progetto, di un’istanza: quella di una prudente ed accorta equidistanza del Sud del Mediterraneo dalle logiche geo economiche anglo americane che, inizialmente perseguita dai Mattei, dai Moro, dagli Andreotti e dai Craxi è andata via via sfaldandosi sotto i colpi di una logica di asservimento che ha visto il ritorno dell’asse anglo-francese, l’allineamento italiota alle politiche filo israeliane di Washington, l’eliminazione del regime baathista del Presidente Saddam Hussein da parte di un’asservita coalizione occidentale a guida USA ed ha trovato, nella cosiddetta “primavera araba”, il proprio coronamento finale.

Una resa dei conti, un cambio di guardia in aria da molto tempo, da quella caduta del Muro che ha sancito il diritto statunitense ad ergersi a potenza “Eletta” a governare e manovrare subdolamente i destini del mondo, animata come non mai da una fervida e farisaica ipocrisia.

Diciamocela tutta. Quella di Gheddafi, è stata una vera e propria operazione di killeraggio nel miglior stile mafioso, demandata a quattro scalzacani che hanno vinto unicamente perché pesantemente supportati.

Un’operazione accompagnata da massacri e violenze d’ogni tipo contro popolazioni inermi e che ci pone, però, dinnanzi all’inquietante realtà dell’ipocrisia delle democrazie occidentali. Dove uccidere un capo di stato ed addirittura i suoi parenti più stretti, non è considerato reato.

Dove si interviene manu militari nelle vicende di altri liberi stati, in barba a tutte le “sacre carte” dell’ONU et similia. Dove lo svolgere una politica contraria agli interessi dei poteri forti o dove l’esprimere opinioni controtendenza sancisce la condanna a morte, da parte della cosiddetta “comunità internazionale”.

Tutto questo non deve però rallegrare i nostri piccoli ipocriti euro-italioti. Ci soccorre in questo caso, l’analisi di Marx che, già a suo tempo, aveva preconizzato la fine del capitalismo, a causa di un meccanismo di auto-distruzione insito nel proprio DNA. E oggi non ci sembra che il capitalismo goda di buona salute. Anzi.

Sembra che le masse stiano prendendo coscienza a livello mondiale sull’impossibilità di convivere con un Moloch la cui sopravvivenza richiede solo tagli, sacrifici, sperequazioni, degrado ambientale, permettendo ad un esiguo gruppo di persone di dominare il mondo intero.

La Storia è delle volte strana. Sinora è toccata ai “ferri vecchi”, ovvero a tutti quei regimi che non facevano più comodo agli interessi del grande capitale. Gli USA sono una potenza da toppo tempo sulla breccia. Una potenza-simbolo di un modello, di cui oggidì essi sono gli “Eletti” rappresentanti e le cui turrite città sono la Gerusalemme in terra.

Chissà che da qui a poco, gli USA ed i loro alleati non vadano sotto processo per i crimini commessi dal grande capitale. Chissà che, di fronte ad una situazione di estremo degrado umano, economico ed ambientale, una chiara e netta presa di coscienza, una “primavera” occidentale, non trascini queste persone davanti al tribunale della Storia?

Tutto è avere pazienza, non lasciarsi ingannare da antiche provocazioni e tranelli di cui, noi tutti conosciamo le finalità. Intanto che sappiano lor signori, il cambiamento in Libia non promette nulla di buono, vista la consistente presenza di integralisti salafiti nella coalizione anti-Gheddafi e, statene pur certo sicuri, che adesso ci sarà da ridere.

E poi le classi politiche europee. Una schiera di nani e ballerine, falsi, presuntuosi ed incoerenti come non mai. Hanno dimostrato di non possedere neanche un quinto del coraggio di chi, tanto tacciato di essere pittoresco e ridicolo, ha invece avuto il coraggio umano e politico di rimanere accanto al suo popolo ed al suo paese, sino all’ultimo, nonostante le mille ed una occasione per fuggir via.

Per questo, rendere onore oggidì al Comandante Mu’ammar Gheddafi, rappresenta un ineludibile obbligo politico e morale. Muammar Gheddafi come Saddam Hussein e tanti altri, uccisi e processati dall’arroganza americana ed occidentale, che non ammettono una Terza Via, nazionale, socialista, democratica e popolare, in cui noi oggi continuiamo a credere, perché unica via d’uscita al dramma della nostra contemporaneità.

E per questo ancora oggi, di fronte allo scherno ed all’irrisione di chi crede di farla sempre franca con la Storia, non possiamo esimerci dall’accomiatarci dalla figura di Gheddafi senza avergli reso il nostro piccolo, modesto omaggio. Comandante Mu’ammar Gheddafi: presente…



Prevenzione dimenticata
di Mario Tozzi - La Stampa - 26 Ottobre 2011

Buoni ultimi in Europa, gli italiani sembrano scoprire, nell’autunno 2011, che il regime delle piogge è cambiato. Non ci sono più le pioggerelline invernali, né le rugiade primaverili.

No, qui deflagrano vere e proprie bombe d’acqua. Bombe d’acqua che scaricano in poche ore la stessa quantità di pioggia che un tempo cadeva in qualche mese.

Quasi 130 mm di pioggia a Roma (con due vittime) in un paio d’ore, una vittima nel Salernitano, 140 mm in una sola ora alle Cinque Terre e ancora dispersi. Peccato che le alluvioni istantanee (flash-flood) siano ormai da tempo diventate la regola nel nostro Paese e investano anche bacini fluviali minori.

Questo non è più il tempo delle grandi piene del Polesine o dell’Arno: nell’Italia del terzo millennio tocca e toccherà sempre più all’Ofanto, piuttosto che al Brachiglione.

Le bombe d’acqua sono figlie del clima che si surriscalda e si estremizza: più energia termica a disposizione dei sistemi atmosferici significa maggiore possibilità di eventi fuori scala rispetto al passato.

Ma tutto peggiora quando, anziché guardare in terra, si continua a osservare il cielo nella speranza che il fato non sia avverso. L’esempio della Liguria è eclatante: le alluvioni in quella sottile striscia di terra sono e saranno la regola a ogni pioggia un po’ più grave del solito.

Per forza: quando si costruisce fino dentro gli impluvi fluviali, il terreno viene reso impermeabile e non assorbe più la pioggia che, invece, si precipita nei corsi d’acqua, ormai non più commisurati a quelle precipitazioni.

Così arrivano le alluvioni, dovute alla nostra scarsa conoscenza della dinamica naturale e al mancato rispetto delle regole: se si leva spazio al fiume, il fiume prima o poi se lo riprende.

E hai voglia a sturare i tombini a Roma o a decretare lo stato di calamità (che non andrebbe assolutamente favorito, perché si deve operare in prevenzione, non in emergenza) a La Spezia: sono solo palliativi che rimandano alla prossima occasione.

Se non si liberano i fiumi dell’aggressione cementizia, se non si rispettano le regole di un territorio così fragile e giovane come quello italiano e se, peggio, si favorisce l’abusivismo anche attraverso sciagurati piani casa e ancor più sciagurati condoni, il problema non si risolverà mai.

Ma proprio questo è il punto: nessun decisore politico si impegna nella manutenzione del territorio attraverso piccole opere diffuse.

Tutti sperano di lucrare consenso con l’ennesimo ponte inutile o l’ennesimo raddoppio di strada.

Così non si opera nell’interesse della popolazione e si degrada il territorio al rango dei Paesi del Terzo mondo, mentre si hanno ambizioni da sesta potenza industriale del pianeta. Le perturbazioni investiranno le solite zone ad alto rischio: l’Alto Lazio, la Campania, la Calabria e Messina.

E ascolteremo le solite litanie e giustificazioni, magari appellandosi all’eccezionalità dell’evento che, però, non è ormai più tale. Non si può vivere a rischio zero, è vero, ma, non avendo fatto nulla, non ci si dovrebbe nemmeno lamentare.