mercoledì 30 giugno 2010

Sentenza Dell'Utri: un mafioso a tempo determinato

A sole 24 ore dalla sentenza in appello che ha condannato Marcello Dell'Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1992, il presidente della commissione antimafia Beppe Pisanu nella sua relazione su "I grandi delitti e le stragi di mafia '92-'93" ha dichiarato che "È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della borghesia mafiosa".

Aggiungendo inoltre che "Ormai vi sono notizie abbastanza chiare su due trattative: quella tra Mori e Ciancimino che forse fu la deviazione di un'audace attività investigativa e quella tra Bellini-Gioè-Brusca-Riina, dalla quale nacque l'idea di aggredire il patrimonio artistico dello Stato [...] Negli anni delle stragi di mafia di quasi vent’anni fa, tra governo italiano e Cosa nostra qualcosa del genere di una trattativa ci fu e Cosa Nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza [...] La spaventosa sequenza del '92 e del '93 ubbidì a una strategia di stampo mafioso e terroristico, ma produsse effetti divergenti.
Da un lato ci fu il senso di smarrimento politico-istituzionale che fece temere al presidente del Consiglio di allora l'imminenza di un colpo di Stato. Dall'altro determinò un tale innalzamento delle misure repressive che indusse Cosa nostra a rivedere le proprie scelte e prendere la strada dell'inabissamento
.
Nello spazio di questa divergenza si aggroviglia quell'intreccio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato che più volte abbiamo visto riemergere dalle viscere del paese [...] da quegli anni a oggi bloccato il suo braccio militare, Cosa nostra ha certamente curato le sue relazioni, i suoi affari, il suo potere.
Ha forse rinunciato all'idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato ma non ha certo rinunciato alla politica. Al contrario, con l'espandersi del suo potere economico, ha sentito sempre più il bisogno di proteggere i suoi affari e i suoi uomini, specialmente con gli strumenti della politica comunale, regionale, nazionale ed europea
''.

E come dice appunto anche Pisanu, dopo l'ultima serie di attentati nell'estate del 1993 a Milano e Roma, Cosa Nostra ha rinunciato alle bombe ma non alla politica. Infatti da lì a qualche mese sarebbe nata Forza Italia....


L'anello di congiunzione tra i boss e il Cavaliere
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 30 Giugno 2010

Una sentenza ripete per la seconda volta, in appello, una verità tragica: Marcello Dell'Utri, l'uomo che ha accompagnato passo dopo passo, curva dopo curva, tutt'intera l'avventura imprenditoriale di Silvio Berlusconi è stato un amico dei mafiosi, l'anello di un sistema criminale, il facilitatore a Milano degli affari e delle pretese delle "famiglie" di Palermo, prima del 1980. Dei Corleonesi, almeno fino al 1992 quando cadono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Se sarà confermata dal giudizio della Cassazione, è una "verità" tragica perché ricorda quanto le fortune del Cavaliere abbiano incrociato e si siano sovrapposte agli interessi mafiosi e rammenta come - ancora oggi - possa essere vigoroso il potere di ricatto di Cosa Nostra su chi governa, sui soci di Berlusconi, forse sullo stesso capo del governo.

È stupefacente, alla luce di queste osservazioni, il vivamaria che minimizza, ridimensiona, sdrammatizza l'esito della sentenza di Palermo. Come naufraghi al legno, ci si aggrappa - uno per tutti, lo spudorato Minzolini retribuito con pubblico denaro - alla riduzione della pena di due anni. Dai nove del primo grado ai sette anni di oggi, contro gli undici chiesti dall'accusa in appello.

La decisione della corte conclude infatti che "dal 1992 ad oggi, il fatto (il soccorso offerto da Dell'Utri a Cosa Nostra) non sussiste". Prima di affrontare ciò che la sentenza esclude, è un obbligo esaminare ciò che i giudici confermano.

Per farlo, è utile riproporre, liberato dal groviglio di gerundi, il capo di imputazione che la sentenza approva e punisce. Sono parole così chiare e aspre che saranno accantonate per prime dal dibattito pubblico e dai ministri del culto di Arcore.

Dunque, si legge nel capo di imputazione: Marcello dell'Utri ha "concorso nelle attività dell'associazione di tipo mafioso denominata "Cosa Nostra", nonché nel perseguimento degli scopi della stessa.

Mette a disposizione dell'associazione l'influenza e il potere della sua posizione di esponente del mondo finanziario e imprenditoriale, nonché le relazioni intessute nel corso della sua attività.

Partecipa in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all'espansione dell'associazione. Così ad esempio, partecipa personalmente a incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali vengono discusse condotte funzionali agli interessi dell'organizzazione.

Intrattiene rapporti continuativi con l'associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo del sodalizio criminale, tra i quali Stefano Bontate, Girolamo Teresi, Ignazio Pullarà, Giovanbattista Pullarà, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, Giuseppe Di Napoli, Pietro Di Napoli, Raffaele Ganci, Salvatore Riina. Provvede a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione. Pone a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano.

Rafforza la potenzialità criminale dell'organizzazione in quanto, tra l'altro, determina nei capi di Cosa Nostra la consapevolezza della responsabilità di Dell'Utri a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte a influenzare - a vantaggio dell'associazione - individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo di Cosa Nostra), Milano e altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982".

Di questo parliamo. Di un uomo che, a disposizione della mafia, è stato l'"intermediario" fra Cosa Nostra e il gruppo di Silvio Berlusconi. La ricostruzione che la corte approva e condivide è precisa. Marcello Dell'Utri media e risolve, di volta in volta, i conflitti nati tra le ambizioni di Cosa Nostra e la disponibilità di Berlusconi.

Anzi, proprio il suo compito di "artefice delle soluzioni" gli permette di occupare un ruolo decisivo alla destra del Capo. Il ruolo di Dell'Utri va scorto e compreso nella relazione tra le pressioni scaricate dai mafiosi su Berlusconi e le mediazioni e gli incontri organizzati da Dell'Utri.

Il patron di Fininvest, negli anni Settanta, è minacciato di sequestro (si tenta di rapire a mo' di dimostrazione un suo ospite). Gli piazzano una bomba in via Rovani nel 1975 e ancora nel 1986. Negli anni Novanta tocca alla Standa subire in Sicilia, a Catania, un rosario di attentati.

Ora alla sequela di pressioni, minacce, intimidazioni, che la mafia scatena per condizionare il Cavaliere, entrare in contatto con lui, "spremerlo", bisogna sovrapporre il lavorio d'ambasciatore di Dell'Utri se si vuole valutarne il ruolo. Organizza l'incontro tra Berlusconi e i "mammasantissima" Stefano Bontate e Mimmo Teresi per "rassicurarlo" dal pericolo dei sequestri.

Fa assumere Vittorio Mangano ad Arcore, come fattore, per cementare "un accordo di convivenza con Cosa Nostra". Cerca di capire che cosa accade e che cosa si nasconde dietro l'attentato a via Rovani. Incontra, nel 1990, i capimafia catanesi e, soprattutto, Nitto Santapola, della combriccola il più pericoloso, per risolvere i problemi degli attentati alla Standa (dopo quell'incontro, non ci saranno più bombe).

Sono fatti che oggi, dopo la sentenza di Palermo, devono dirsi documentati (il giudizio della Cassazione è soltanto di legittimità). Il quadro probatorio avrebbe potuto essere più dettagliato e significativo se Silvio Berlusconi ("vittima di quelle minacce, di quelle intimidazioni, di quelle pressioni") non si fosse avvalso della facoltà di non rispondere rifiutando il suo contributo di verità per chiarire - per dire - l'assunzione e l'allontanamento di Vittorio Mangano da Arcore; i suoi rapporti con Dell'Utri; gli anomali movimenti di denaro nelle casse della holding del gruppo Fininvest in coincidenza con la volontà delle famiglie di Palermo di investire a Milano.

Questa narrazione ha superato ora il vaglio del giudizio di appello (definitivo per il merito dei fatti) e legittima una prima conclusione: la sentenza di Palermo non dice soltanto di Dell'Utri, racconta anche di Berlusconi perché conferma quella sorta di "assicurazione" con la mafia che il Cavaliere sottoscrive ingaggiando e promuovendo il suo ex-segretario personale e compagno di studi. Non c'è dubbio che, con questo risultato, Berlusconi paga in Italia e nel mondo un prezzo molto imbarazzante al suo passato.

Un onere non giudiziario, ma un costo decisivo, politico e d'immagine. Perché se si assemblano le tessere raccolte in questi anni emerge con sempre maggiore nitidezza, e nonostante l'ostinatissima distruzione della macchina giudiziaria, quali sono il fondo, le leve, le pratiche e i comprimari del successo di Silvio Berlusconi, dove Dell'Utri è soltanto un tassello, una delle concatenazioni oscure della sua fortuna, la più disonorevole forse, ma non la sola. Il puzzle è questo.

Il Cesare di Arcore ha corrotto un testimone (Mills) che lo salva da una condanna, anzi da due (prescritto). Ha comprato un giudice (Metta) e la sentenza che gli hanno portato in dote la Mondadori (prescritto). Ha finanziato illecitamente il Psi di Bettino Craxi che gli ha scritto i televisivi decreti leggi ad personam (prescritto). Ha falsificato per 1500 miliardi i bilanci della Fininvest (prescritto). Ha manipolato i bilanci sui diritti-tv tra il 1988 e il 1992 (prescritto).

Già potrebbe bastare e invece, alla sua sinistra, agisce (ancora oggi) un avvocato (Previti) condannato per la corruzione dei giudici e, alla sua destra, (ancora oggi) c'è un uomo (Dell'Utri) a disposizione degli interessi mafiosi.

Questo è il triste tableau che accompagna Silvio Berlusconi e il malcostume e gli illegalismi che lo circondano - da Scajola a Lunardi, da Bertolaso a Brancher - non ne sono che un ragionato riflesso.

I corifei possono anche strepitare e manipolare i fatti. La scena - tragica per il Paese - non può essere temperata o adulterata dalla riduzione della condanna di Dell'Utri di due anni né dalla conclusione della corte di Palermo di considerare l'insussistenza del concorso in associazione mafiosa "dal 1992 in poi".

Bisognerà attendere le motivazioni per valutare questa decisione che colora di nero la silhouette del "Berlusconi imprenditore" liberando da ogni dubbio e responsabilità (sembra) il "Berlusconi politico".

La contraddizione non può far felice il capo del governo. L'imprenditore passerà alla storia come il boss di una banda di criminali. Il politico dovrà guardarsi da un'incoerenza giudiziaria che stimolerà - più che deprimere - le inchieste sulla trattativa tra Stato e Mafia, avviata con le stragi del 1992 e accompagnata dalle bombe del 1993.


Sette anni, ne dimostra di più
di Marco Travaglio - www.ilfattoquotidiano.it - 29 Giugno 2010

Dunque, anche per la Corte d’appello di Palermo, Marcello Dell’Utri è un mafioso. Dopo cinque giorni di battaglia in camera di consiglio, i giudici più benevoli che lui abbia mai incontrato hanno stabilito quanto segue: fino al 1992, prima in casa Berlusconi, poi nella Fininvest, poi in Publitalia, ha sicuramente lavorato per Cosa Nostra (la vecchia mafia dei Bontate e Teresi, e la nuova mafia dei Riina e Provenzano) e contemporaneamente per il Cavaliere palazzinaro, finanziere, editore, tycoon televisivo.

Dopo il 1992, cioè negli anni delle stragi politico-mafiose e della successiva nascita di Forza Italia (un’idea sua), mancano le prove che abbia seguitato a farlo per il Cavaliere politico. Questo, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, è quanto si può dire a una prima lettura del suo dispositivo.

Qualche sito e qualche cronista (tra cui, sorprendentemente, quello di Sky) si sono subito affannati a concludere che “è stato smentito Spatuzza”: ma questo, finchè non saranno note le motivazioni, non lo può dire nessuno. Molto più probabile che i giudici abbiano stabilito, com’è giusto, che le sue parole – né confermate né smentite – da sole non bastano, senza riscontri.

Riscontri che avrebbe potuto fornire Massimo Ciancimino, se i giudici Dell’Acqua, Barresi e La Commare avessero avuto la compiacenza di ascoltarlo, prima di decidere apoditticamente, senza nemmeno averlo guardato in faccia, che è “inattendibile” e “contraddittorio”.

Riscontri che già esistevano prima che Spatuzza e Ciancimino parlassero: oltre alle dichiarazioni ultra-riscontrate di Nino Giuffrè e altri collaboratori sul patto Provenzano-Dell’Utri, è proprio sul periodo successivo al 1992 che i magistrati hanno raccolto la maggiore quantità di fatti documentati e inoppugnabili: le intercettazioni del mafioso Carmelo Amato, provenzaniano di ferro, che fa votare Dell’Utri alle europee del 1999; le intercettazioni dei mafiosi Guttadauro e Aragona che organizzano la campagna elettorale per le politiche del 2001 e parlano di un patto fra Dell’Utri e il boss Capizzi nel 1999; le agende di Dell’Utri che registrano due incontri a Milano col boss Mangano nel novembre del 1994, mentre nasceva Forza Italia; la raccomandazione del baby calciatore D’Agostino per un provino al Milan, caldeggiato dai Graviano e propiziato da Dell’Utri; e così via. Vedremo dalle motivazioni come i giudici riusciranno a scavalcare questi macigni.

Ora, per Dell’Utri, il carcere si avvicina. Quello di oggi è l’ultimo giudizio di merito sulla sua vicenda: resta quello di legittimità in Cassazione, ma le speranze di farla franca attraverso una delle tante scappatoie previste dall’ordinamento a maglie larghe della giustizia italiana sono ridotte al lumicino.

La prescrizione, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa doppiamente aggravato dall’elemento delle armi e da quello dei soldi, scatta dopo 22 anni e mezzo dalla data ultima di consumazione del reato: quindi dal 1992. Il calcolo è presto fatto: se la Cassazione deciderà che davvero il reato si interrompe nel 1992, la prescrizione scatterà nel 2014-2015, quanto basta alla Suprema Corte per confermare definitivamente la condanna a 7 anni.

Che non potranno essere scontati ai domiciliari secondo la norma prevista dalla ex Cirielli per gli ultrasettantenni (Dell’Utri compirà 70 anni nel 2011), perché non vale per i reati di mafia (altrimenti sarebbero a casa anche Riina e Provenzano).

Se invece la Cassazione cassasse senza rinvio la condanna, Dell’Utri avrebbe risolto i suoi problemi. Ma c’è pure il caso che la Cassazione cassi la sentenza con rinvio, accogliendo il prevedibile ricorso della Procura generale contro l’assoluzione per i fatti post-1992.

Nel qual caso si celebrerebbe un nuovo appello, ma per Dell’Utri sarebbe una magra consolazione: rinvierebbe soltanto di un paio d’anni l’amaro calice del carcere, visto che, allungandosi il periodo del suo reato, si allungherebbe anche il termine di prescrizione. Semprechè, naturalmente, non venga depenalizzato il concorso esterno in associazione mafiosa.

Questa sentenza, per quanto discutibile, compromissoria e anche un po’ furbetta, aiuta a comprendere la differenza che passa tra la verità giudiziaria e quella storica, politica, morale.

Nessuna persona sana di mente potrebbe credere, alla luce del dispositivo, che Cosa Nostra sia un’accozzaglia di squilibrati che si alleva un concorrente esterno, lo infiltra nell’abitazione e nelle aziende di Berlusconi per tutti gli anni 70 e 80 fino al 1992 e poi, proprio quando diventa più utile, cioè quando s’inventa un partito che riempie il vuoto lasciato da quelli che avevano garantito lunga vita alla mafia fino a quel momento, lo scarica o se ne lascia scaricare senza colpo ferire.

Una banda di pazzi che per un anno e mezzo mettono bombe e seminano terrore in tutt’Italia per sollecitare un nuovo soggetto politico che rimpiazzi quelli decimati da Tangentopoli e dalla crisi finanziaria e politica del 1992, e quando questo soggetto politico salta fuori dal cilindro non di uno a caso, ma del vecchio amico Dell’Utri, interrompono le stragi, votano in massa per Forza Italia, ma rompono i rapporti col vecchio amico Dell’Utri, divenuto senatore e rimasto al fianco del nuovo padrone d’Italia.

I giudici più benevoli mai incontrati da Dell’Utri, dopo cinque anni di appello e cinque giorni di camera di consiglio, non hanno potuto evitare di confermare che, almeno fino al 1992, esistono prove insuperabili (perfino per loro) della mafiosità di Dell’Utri.

Cioè dell’uomo che ha affiancato Berlusconi nella sua scalata imprenditoriale, finanziaria, editoriale, televisiva. E che nel 1992-’93 ideò Forza Italia, nel 1995 fu arrestato per frode fiscale e nel 1996 entrò in Parlamento per non uscirne più.

Intervistato qualche mese fa da Beatrice Borromeo per il Fatto quotidiano, Dell’Utri ha candidamente confessato: “A me della politica non frega niente. Io mi sono candidato per non finire in galera”.

Ecco, mentre i giudici di Palermo scrivono le motivazioni, ora la palla passa alla politica. Un’opposizione decente, ma anche una destra decente, semprechè esistano, dovrebbero assumere subito due iniziative.

1) Inchiodare Silvio Berlusconi in Parlamento con le domande a cui, dinanzi al Tribunale di Palermo, oppose la facoltà di non rispondere. Perché negli anni 70 si affidò a Dell’Utri (e a Mangano)? Perché, quando scoprì la mafiosità di almeno uno dei due (Mangano), non cacciò anche l’altro che gliel’aveva messo in casa (Dell’Utri), ma lo promosse presidente di Publitalia e poi artefice di Forza Italia? Da dove arrivavano i famosi capitali in cerca d’autore degli anni 70 e 80? Si potrebbe pure aggiungere un interrogativo fresco fresco: il presidente del Consiglio è forse ricattato o ricattabile anche su queste vicende (ieri il legale di Dell’Utri, Nino Mormino, faceva strane allusioni al prodigarsi del suo assistito fino al 1992 per “salvare dalla mafia Berlusconi e le sue aziende”)?

2) Pretendere le immediate dimissioni di Marcello Dell’Utri dal Parlamento. Quello di oggi non è un avviso di garanzia, una richiesta di rinvio a giudizio, un rinvio a giudizio, una sentenza di primo grado: è la seconda e ultima sentenza di merito. Che aspetta la politica a fare le pulizie in casa? Che i carabinieri irrompano a Palazzo Madama per prelevare il senatore e condurlo all’Ucciardone?



Gatto:"Sentenza a metà e non si parli di Spatuzza inattendibile"
di Monica Centofante - www.antimafiaduemila.com - 29 Giugno 2010

Intervista al procuratore generale di Palermo Antonino Gatto

Dott. Gatto, questa mattina si è detto in parte soddisfatto per la sentenza di condanna emessa dalla Corte presieduta da Claudio Dall'Acqua contro Marcello Dell'Utri e in parte sorpreso per la parte che assolve il senatore del Pdl dai reati commessi dopo il 1992.
Sono rimasto sorpreso perché a me sembrava che la parte relativa alla politica fosse addirittura quella meglio piantata. Non che le altre non lo fossero, ma quella parte, a mio parere, dal punto di vista probatorio era la meglio incardinata, la meglio trattata. La prima cosa a cui ho pensato, dopo aver ascoltato il verdetto è stato il racconto biblico di Re Salomone e del bambino tagliato a metà. Mi riservo ovviamente di leggere le motivazioni della sentenza.

Nel processo di primo grado i contatti tra Marcello Dell'Utri e Cosa Nostra negli anni delle stragi del '92 e del '93 e in quelli successivi della nascita di Forza Italia e dell'ascesa politica dell'imputato, a disposizione della mafia, erano già ampiamente provati. Le prove raccolte nel secondo non hanno fatto altro che confermare l'impianto accusatorio.
L'impianto era già a mio parere abbastanza solido. Le dichiarazioni di Spatuzza, per esempio, non hanno fatto altro che rimpolparlo. Vedremo come motiverà la Corte.

In molti hanno già parlato, in modo affrettato e inappropriato, di inattendibilità di Spatuzza.
Dire questo è prematuro. Bisogna sempre aspettare le motivazioni perché, parlando in astratto, questo verdetto può leggersi nel senso che non sono stati trovati sufficienti riscontri alle dichiarazioni di Spatuzza. Quindi è prematuro dire: la corte ha ritenuto inattendibile Spatuzza. Non si può evincere dal dispositivo, si potrà leggere nella motivazione eventualmente, ma dal dispositivo non è evincibile questo concetto.

Continuando a parlare per astratto, visto che non abbiamo le motivazioni, direi che è piuttosto illogico pensare che la mafia, dopo aver coltivato per due decenni i contatti con l'imputato (fino al 1992), non pensi poi di sfruttare quel canale nel momento in cui Dell'Utri entra in politica, addirittura come fondatore di un partito. E in un periodo in cui Cosa Nostra è alla disperata ricerca di agganci politici.
Questo concetto l'ho inteso quando ho detto che mi ero stupito e che mi era venuto in mente il racconto di Re Salomone e del bambino tagliato a metà. E' in buona sostanza questo il concetto che volevo esprimere.

Questa mattina lei ha ricordato che il dispositivo della sentenza d'appello può solo confermare o riformare il precedente verdetto, senza specificare in base a quali articoli si è presa la decisione di assoluzione o condanna.
Lo confermo. Secondo il codice di procedura penale il giudice d'appello può solo confermare o riformare, senza fare alcun riferimento per esempio all'art. 530 comma II che sarebbe la ex insufficienza di prove. Se poi abbia ritenuto quelle prove insufficienti questo si potrà evincere soltanto dalla motivazione.

I legali di Dell'Utri hanno già parlato di una possibile prescrizione del reato. Ci conferma che potrebbe esserci questa possibilità?
Non me ne sono ancora occupato, ma non mi pare che questo reato sia di imminente prescrizione.



Condanna Dell'Utri. Pg:"Il fatto non sussiste? Attendiamo le motivazioni"
di Monica Centofante - www.antimafiaduemila.com - 29 Giugno 2010

Continua a ostentare serenità il senatore Marcello Dell'Utri, che intorno a mezzogiorno ha terminato l'attesa conferenza stampa seguita alla condanna in appello a 7 anni di reclusione. Inflitta questa mattina dalla Corte presieduta dal giudice Claudio Dall'Acqua dopo 5 giorni di camera di consiglio.

“Non è stata una sentenza politica come aveva preannunciato il pg Antonino Gatto” contrattacca con fare pacato, perché dalle condotte successive al 1992 “sono stato assolto poiché il fatto non sussiste”. “I responsabili del periodo stragista – tiene a sottolineare, (nonostante la “trattativa” non sia mai stata oggetto del processo) - andateli quindi a cercare altrove”, prima di rigirare la frittata, con una nota di vittimismo: “Se non fossi entrato in politica questo processo non ci sarebbe stato”.

Dichiarazioni decisamente affrettate, spiega però il procuratore generale Gatto, soddisfatto della sentenza, ma sorpreso per la decisione della Corte di assolvere l'imputato per i fatti commessi dal 1992 in poi. “La seconda parte dell'impianto accusatorio – dice – era addirittura più granitica rispetto alla prima”.

In quanto alla formula “il fatto non sussiste” precisa: “Secondo l'articolo 637 del codice di procedura penale i verdetti di secondo grado si possono soltanto confermare o rivedere, senza esprimersi nel merito. Il che significa che quel 'fatto non sussiste' potrebbe tranquillamente essere identificato in una semplice 'insufficienza di prove'. Per avere una risposta certa occorrerà quindi attendere le motivazioni della sentenza”.

Per il momento la certezza è che il senatore Marcello Dell'Utri ha intrattenuto rapporti con Cosa Nostra, come specificato nella sentenza di primo grado e confermata in secondo, sin dagli anni Sessanta e Settanta. Quando portò negli uffici della Edilnord, a colloquio con l'amico Silvio Berlusconi, il boss Stefano Bontade, insieme ad altri soggetti appartenenti all'associazione mafiosa.

E assumendo sin da quel momento il ruolo di “mediatore” tra la mafia siciliana e l'impero economico dell'amico imprenditore. Ruolo che dopo il 1980, in seguito all'assassinio di Bontade, avrebbe proseguito con la Cosa Nostra di Totò Riina e Bernardo Provenzano fino agli anni delle stragi iniziate nel 1992.

Nel 2004, in primo grado, il senatore del Pdl era stato condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. E il pg Antonino Gatto, nella requisitoria dell'appello, ne aveva chiesti 11.
Prima di esprimersi sulla richiesta di condanna aveva però precisato: "Oggi è il potere a essere giudicato”. “Voi potete contribuire alla costruzione di un gradino, salito il quale forse, e ripeto forse, si potranno percorrere altri scalini che potranno fare accertare le responsabilità che hanno insanguinato il nostro Paese. Oppure questo gradino lo potete distruggere".

Se lo hanno distrutto, come in molti già millantano, è troppo presto per dirlo.
E in ogni caso, ha dichiarato questa mattina il pm Domenico Gozzo – insieme ad Antonio Ingroia pubblica accusa nel processo di primo grado - “non corrisponde assolutamente al vero che con la sentenza d'appello a Dell'Utri è stata messa una pietra trombale sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra, anche perché l'argomento non è mai entrato in dibattimento”.

Gozzo cita, quindi, una frase di Paolo Borsellino che diceva: “C'è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto.No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali».

«Bene - aggiunge Gozzo - mi limito ad annotare che nel caso di specie il politico, il senatore Dell'Utri, non solo non è stato assolto, ma è stato riconosciuto colpevole di avere concorso dall'esterno all'associazione criminale mafiosa per un lungo periodo, che dagli anni '70 va al 1992. Ed il riconoscimento di colpevolezza è stato effettuato da un Tribunale e da una Corte d'Appello, di cui gli avvocati hanno più volte, rispettivamente in primo e secondo grado, riconosciuto la correttezza”.


Il Pdl e la pornografia dell'esultanza
di Peter Gomez - www.ilfattoquotidiano.it - 29 Giugno 2010

C’è qualcosa di molto triste e pornografico nell’esultanza di quasi tutto il Pdl per l’esito del processo Dell’Utri. Decine e decine di uomini e donne, mandati in Parlamento non sull’onda del voto popolare, ma per chiamata diretta del loro leader, festeggiano oggi una condanna a 7 anni per fatti di mafia.

E lo fanno solo perché si dicono convinti che la sentenza abbia escluso rapporti, tra Cosa Nostra e l’ideatore di Forza Italia, nel periodo in cui questi fondava con Silvio Berlusconi il partito. Questa tesi è facile da confutare. E noi, tra qualche riga, lo faremo.

Il punto importante è però un altro. Per fortuna di tutti questo Paese è migliore di chi immeritatamente lo rappresenta in Parlamento. È migliore di quelli che a destra esultano. E di quelli che a sinistra, nelle file del Pd, per ore e ore hanno saputo solo stare in silenzio (Bersani dove sei?).

Questo infatti non è solo il Paese dei Previti, dei Dell’Utri, dei molti furbetti del quartierino che fanno scempio della decenza e dei beni della collettività. Questo è, invece, il Paese che ha dato i natali a Falcone, Borsellino.

È il Paese che ha visto morire Libero Grassi, un imprenditore ucciso perché si rifiutava pizzo proprio mentre, dice il verdetto di oggi, il Cavaliere pagava e taceva.

Questo è il paese della Confindustria siciliana che espelle dalla sua organizzazione non solo i collusi, ma pure chi versa tangenti alla mafia. Industriali che, codice penale alla mano, non commettono reati, ma sono vittime di un reato. Gente però che col proprio comportamento (la mancata denuncia) finisce oggettivamente per rafforzare Cosa Nostra.

Questo è il Paese delle centinaia di migliaia di associazioni di volontariato – laiche e cattoliche – che senza chiedere nulla in cambio, tutti i giorni, danno una mano a chi soffre. Questo è il Paese dei sindacati che mandano i loro iscritti a lavorare nelle terre confiscate. Ed è il Paese di chi si alza ogni mattina alle 6, paga le tasse e cerca d’insegnare qualcosa di buono ai suoi figli.

Questo è il nostro Paese.

E lo è anche se le televisioni ce lo nascondo. Anche se Augusto Minzolini continua ad usare trucchi semantici per non utilizzare nei titoli e nei servizi la parola condanna (“pena ridotta a Dell’Utri, il senatore assolto per la trattativa Stato mafia”). Anche se la nostra classe dirigente, ormai in putrefazione, continua a pensarsi specchio di una realtà che non esiste.

Perché chi esulta oggi è doppiamente truffatore. Verso il proprio elettorato, formato in maggioranza da persone per bene che mai si sognerebbero di avere rapporti continuativi con mafiosi e camorristi. E verso la Storia e la verità.

Chiunque abbia superato gli esami di procedura penale sa infatti benissimo che in appello le sentenze possono essere solo confermate o riformate.

Dire, prima di averne lette le motivazioni, che il verdetto di oggi esclude i rapporti mafia e politica dopo il 1992 è un falso clamoroso.

Nel dispositivo della sentenza (se è il caso) i giudici possono solo scrivere che “il fatto non sussiste”, anche se a queste conclusioni sono arrivati perché non hanno trovato abbastanza riscontri alle parole dei collaboratori di giustizia.

O perché gli elementi raccolti (questi sì indiscutibili) non bastano per dimostrare che Dell’Utri, oltre aver frequentato mafiosi o loro amici anche in anni recenti, abbia loro fatto dei favori. Prima di parlare dunque è necessario aspettare.

Ma gli ipocriti e i bugiardi oggi smascherati hanno fretta. Urlano per nascondere la loro vergogna. E lo fanno forte.

Noi però, anche davanti alla furia di chi sta al Potere, non dobbiamo aver paura. Le cose, anche se a volte ci facciamo prendere dallo sconforto, stanno rapidamente cambiando.

Chi mai, solo qualche anno fa, magari dopo la sentenza Andreotti, avrebbe potuto pensare che un giorno il braccio destro dell’uomo più ricco e potente d’Italia, sarebbe stato condannato in primo grado e in appello?

Chi mai avrebbe potuto pensare che Berlusconi, pur forte di un’amplissima maggioranza elettorale e parlamentare, si sarebbe trovato alla guida di un governo che di settimana in settimana diventa più instabile?

Il futuro insomma è dalla nostra parte.

Noi ora dobbiamo solo immaginarlo e costruirlo.


Il bicchiere mezzo pieno (di mafia)
di Paolo Flores d'Arcais - www.ilfattoquotidiano.it - 29 Giugno 2010

Se a una persona che stimo moltissimo e considero di specchiata moralità dessero sette anni per mafia sarei furibondo per l’ingiustizia, non mi verrebbe neanche in mente di festeggiare perché non gli hanno aggiunto altri quattro anni per mafia successiva.

Nel partito-salamelecco di Berlusconi, invece, per la condanna del senatore Dell’Utri circola grande soddisfazione: solo (!) sette anni, mentre per le stragi successive al ’92, e altre mafiosità dopo quella data, “il fatto non sussiste”.

Ora, se sei contento per una sentenza del genere, l’unica spiegazione è che avevi fondati motivi per aspettarti di peggio.

E se ti aspettavi di peggio, malgrado una corte giudicante che tutti i “rumors” e “gossip” di Sicilia davano come la sorte – diciamo così – meno ostile, allora l’unica spiegazione logica è che sai qualcosa che noi non sappiamo, quel qualcosa che il pubblico ministero ha ricostruito con grande impegno almeno per alcuni episodi, anche se le testimonianze a riscontro non sono state considerate tali dalla corte.

Se poi il telegiornale minzolino biascica in due parole velocissime la notizia della condanna, e concentra tutto il servizio sulla “assoluzione”, hai la conferma che il vertice che ci governa ricorda sempre di più un suo sinonimo: la cupola.

martedì 29 giugno 2010

L'Expo 2015 ha già stancato...

Tra 5 anni in teoria si dovrebbe tenere a Milano il famigerato Expo 2015, ma le recenti dimissioni dell'inutile e incapace Lucio Stanca confermano che il progetto è al limite del fallimento ancor prima del suo effettivo inizio, a un passo da una sua vergognosa rinuncia.

Ma per un ad che se ne va un altro entra in campo, Giuseppe Sala.

Seguirà le orme del suo disastroso predecessore o cambierà completamente il percorso finora intrapreso, attenendosi cioè scrupolosamente alla mission originale dell'Expo e non ai dettami dei soliti palazzinari da pera cotta?


L'Expo del cemento
di Luca Trada - www.beppegrillo.it - 27 Giugno 2010

Nel sito di Expo 2015 è riportata la "mission": "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, abbraccia tutta la sfera dell’alimentazione, dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del mondo a quello dell'educazione alimentare, fino alle tematiche legate agli OGM.".

In realtà, come spiegato nel video, la sua "mission" è un'altra: rendere edificabili zone agricole, costruire palazzi, cementificare. Non sarà il pianeta a essere nutrito, ma palazzinari, immobiliaristi, politici, faccendieri di ogni genere.

Chi li nutrirà? Chi finanzierà la cementificazione di quello che resta della Provincia e del Comune di Milano? Non le banche, non i costruttori e certamente non Mortizia Moratti. Il conto dell'Expo 2015 sarà pagato dai cittadini, a iniziare dai milanesi, che al posto dello sviluppo della mobilità privata (nuove linee metropolitane, la mappatura della città con piste ciclabili) e di nuove aree verdi (la riqualificazione dei Navigli, nuovi parchi urbani) avranno in cambio delle loro tasse, un'immensa colata di cemento.

Che cazzo c'entra la nutrizione del pianeta con la porcata chiamata Expo 2015? Nulla. Per questo Expo 2015 non si ha da fare. I miliardi di euro (nostri) per l'Expo non ci sono. Il Comune di Milano si indebiterà e scaricherà i costi sui cittadini e Tremorti sulle casse vuote dello Stato. Per cosa? Per quattro palazzinari che fanno il bello e il cattivo tempo con il culo degli altri e spadroneggiano nei Comuni?

Una buona notizia. La prima fatwa del blog ha colpito. Il bersaglio era il doppio stipendista Lucio Stanca, deputato e amministratore delegato di Expo 2015. Si è dimesso da amministratore e ora è "solo" monostipendista. Uno di meno. In settimana la prossima fatwa del blog. Si accettano suggerimenti.

Intervista a Luca Trada portavoce di No Expo.it:

Luca Trada: "Mi chiamo Luca, sono uno dei portavoce del Comitato No Expo, questa rete di soggetti vari: associazioni, comitati, centri sociali, singoli abitanti di questi territori che 3 anni fa si è messo in moto per osteggiare prima la candidatura di Milano Expo 2015 e che oggi cerca di portare avanti in questa città questa difficile battaglia di resistenza, di contrasto rispetto a questo grande evento da più parti disegnato come l’occasione salvifica per il futuro di questa città."

A chi serve l'Expo 2015 (espandi | comprimi)

Nonostante Expo sia stato assegnato a Milano crediamo che ci sia la necessità di mobilitarsi per provare a mettere tanti granellini di sabbia nell’ingranaggio della macchina e provare a evitare tante sciagure e tanti disastri in termini economici di territorio per il futuro di Milano, della Provincia e più in generale delle aree che saranno coinvolte in Expo. A chi serve Expo?

Expo da questo punto di vista è una splendida occasione, da un lato per perpetuare quel famoso modello lombardo o modello Milano di cui tanto spesso a vuoto e a vanvera si parla, quel modello che di fatto è fatto da 3 o 4 caratteristiche peculiari, completa finanziarizzazione, messa a profitto di tutto ciò che può essere finanziarizzato e messo a profitto in questa città, quindi dai beni comuni, la gestione ovviamente di servizi e istruzione, sanità, altri servizi alla persona in ambito della macchina comunale e degli enti locali, vuole dire privatizzazione del territorio, vuole dire territorio messo a rendita ovunque ce ne sia la possibilità e lo spazio e quindi cemento ovunque, per case, per strade, per ipermercati e centri commerciali.

L’altra faccia di questo modello lombardo è che tutto questo si basa fondamentalmente su un dumping sociale, su una sorta di corsa a precarizzare tutto ciò che è precarizzabile, diritti, redditi, condizioni di vita, condizioni di salute degli abitanti che abitano questi territori, pensiamo all’aria, all’acqua, ai milioni di metri quadrati di aree agricole, verdi che ogni anno vengono consumate tra Milano, Bergamo, Brescia, la direttrice Malpensa, tutte aree che da quando è scattata l’operazione Expo non hanno visto altro che un’ulteriore corsa al mattone, al progetto, all’edificio, al “facciamo qualcosa in nome di Expo” questo sulla testa delle popolazioni e quindi a chi serve?

Serve fondamentalmente ai signori del mattone, alle banche, alle compagnie di assicurazioni che in questa città controllano i grandi progetti come questo, come CityLife, servono ai soliti nomi: Pirelli, Ligresti, Cabassi, Compagnia delle Opere, Lega delle Cooperative perché il modello Milano poi è il modello che di fatto nel Paese sta andando avanti da anni. Costruire, quindi speculazione immobiliare e rendita fondiaria come unici elementi di traino del Paese e dell’economia.

E per fare questo si svende tutto, si svende la storia della città, il suo tessuto urbano, sociale, si regalano parti di questo sistema di potere, nella fattispecie milanese, alla Compagnia delle Opere, i servizi pubblici o i beni pubblici che gli enti locali devono privatizzare perché le spese di Expo qualcuno le dovrà pagare.

Tutto questo nel corso della più grande crisi che questo sistema ricordi da 80/100 anni a questa parte, quindi nella crisi Expo diventa ancora di più un catalizzatore di risorse, quindi uno strumento per guerre di potere, per spartirsi le spoglie di quel poco che resta di pubblico di questa città..
Il cemento, l’eredità di Expo 2015 (espandi | comprimi)

Se Expo è un alibi di fatto, quello che non è un alibi, che anzi sono conseguenze oggettive purtroppo sono i danni che Expo lascerà nel tempo, in eredità, Expo era l’occasione per rifare la città, era l’occasione per un rilancio dell’immagine di Milano nel mondo e soprattutto per fare tutte quelle cose che servivano alla città ma che altrimenti non si poteva fare.

Grazie a quello che ha fatto l’Amministrazione Comunale il primo atto ufficiale di Expo è stato decidere che quei terreni dopo Expo non saranno più terreni agricoli ma chi li ha di proprietà o chi li gestirà, quindi attualmente la proprietà è Fiera e Cabassi soprattutto, maturerà dei diritti volumetrici su quelle superfici, quindi un’area agricola che sparirà.

Seconda conseguenza di Expo l’abbiamo su tutte quelle opere che grazie a Expo sono diventate indispensabili, opere pensate quando ancora scrivevamo con le lettere A22, quindi i personal computer erano ancora un sogno, parlo di Pedemontana, di Brebemi, di questo gigantismo autostradale e di tangenziali ovunque che nell’epoca del riscaldamento globale, dei problemi climatici, di inquinamento, delle scarsità delle risorse petrolifere sono assolutamente anacronistici e noi nel 2015 ci fregeremo di avere realizzato qualche centinaio di chilometri in più tra bretelle, strade, autostrade, raccordi che consumeranno territorio e che saranno l’eredità delle future generazione, secoli a dimostrare quanto stupida è la razza umana quando pensa con un grande evento di risollevare le sorti di una popolazione, di un territorio.

Poi c’è il lavoro finto perché il lavoro finto di Expo che è il lavoro finto della fiera, che è il lavoro finto su cui questa città si basa sempre di più, sta prendendo il posto del lavoro vero perché ovunque nei comuni dell’hinterland si respira l’odore di soldi che potrebbero arrivare con qualche progetto legato a Expo, ecco che miracolosamente le aziende non diventano più interessanti, chiudono per lasciare spazio alla speculazione, dai casi più noti: l’Alfa di Arese, doveva essere il polo della mobilità sostenibile, probabilmente diventerà un ammasso di alberghi e centri commerciali.

Per arrivare a realtà più piccole, meno conosciute passando per Eutelia, all’Ares di Paderno Duniano, perché la cosa bella di Expo, bella chiaramente in senso ironico, è che non c’è comune che non stia trovando la scusa per fare qualcosa in nome di Expo, ma l’unica cosa che ci sembra che non venga fatta in nome di Expo è pensare seriamente a cosa vuole dire energia per il pianeta e alimentazione e cibo per tutti, questa è l’unica cosa che non verrà lasciata a seguito di Expo.
Chi paga Expo 2015? (espandi | comprimi)

C’è poi la terza bufala di Expo, quello che sarebbe un grande affare,certo è un grande affare per chi farà gli affari con Expo perché quello che ci hanno raccontato è che Expo si sarebbe ripagato da solo, che Expo l’avrebbero pagato i privati, che Expo non sarebbe costato ai cittadini, ma andiamo a vedere un attimo in realtà.

Oggi Expo cosa sta costando e cosa costerà in divenire, oggi Expo sta innanzitutto costando quei 1.400.000 di Euro, stanziati, poi che ci siano veramente è ancora tutto da dimostrare, ma a bilancio dello Stato sono stati messi con la Finanziaria 2009, la famosa legge 133 e che fanno parte di quei tanti miliardi spostati da scuola, università, ricerca scientifica, cultura e spostati dove? Cemento, grandi opere, Tav, autostrade, ponte sullo stretto e Expo, poi Expo chi lo sta pagando?

Lo stanno pagando i cittadini milanesi e i cittadini lombardi, lo stanno pagando perché? Perché comune, provincia e regione devono pagare i debiti della società Expo Spa, debiti per il momento minimi perché non avendo fatto per il momento niente, chiaramente parliamo di normali costi di gestione, ma è già qualche milione di Euro di debiti che gli enti locali dovranno ripianare e quindi giocoforza usando soldi pubblici.

Adesso poi c’è la grande bufala di Formigoni, facciamo gli affari con Expo, compriamoci l’area e per comprare l’area fa un giochino per cui crea una società, crea una società dove di fatto gli uomini al vertice saranno molto probabilmente Mondo e Compagnia delle Opere, lo stesso Mondo che esprime i vertici di ente Fiera, ossia ente Fiera il principale proprietario dell’area sito Expo, Ente Fiera che era nel Comitato promotore di Expo Milano 2015 e che ha scelto, essendo nel Comitato promotore la propria area come sito su cui realizzare l’eventuale esposizione e come poi nei fatti sta avvenendo.

Non so se questo gioco di parole ha reso l’effetto, ma credo che siamo di fronte all’ennesimo gigantesco conflitto di interesse all’italiana, che parte da Fiera e ritorna a Fiera passando per quella banda di potere chiamata Compagnia delle Opere, entourage di Formigoni che governa in questa Regione da 20 anni e che sta facendo con denaro pubblico ogni schifezza possibile, arricchendo i soliti noti e quindi il risultato è che con i soldi pubblici andremo non solo a far guadagnare Fiera ma a fargli un grosso favore perché nel frattempo la vecchia Fiera che non è CityLife ma la Fiera Milano City quella che nel 1996 era l’orgoglio di Albertini che veniva inaugurata come la vetrina con cui Milano si presentava al mondo oggi è obsoleta, non è più economica, non rende più, ecco che quindi c’è un altro regalo a Fiera perché lì sorgeranno di nuovo centro congressi, valorizzazione ennesima e i privati in questo ci stanno mettendo poco o nulla, un po’ perché le banche dei privati non si fidano e essendo gli immobiliaristi tra i più indebitati, non solo in Italia, le banche oggi agli immobiliaristi, alle società di costruzione non prestano nulla se non c’è il pubblico a farsi da garante.

In secondo luogo perché al di là di questi costi ci sono poi quelle opere connesse che dicevamo prima che anche lì sanno partendo solo con soldi pubblici, i famosi project financing, ma qui non se ne vede traccia.

Allora in buona sostanza a pagare saremo sempre noi e i profitti li faranno gli altri e pagheremo non solo soldi, ma pagheremo quelle risorse pubbliche che come dicevo inizialmente dovranno essere privatizzate per fare cassa, pagheremo i beni immobiliari svenduti per fare cassa, pagheremo il territorio consumato che è un bene comune anche quello, che non tornerà più, anche quello svenduto per fare soldi, ma alla città rimarrà ben poco, sicuramente non le metropolitane che avevano promesso e che invece guarda caso sono state tagliate quasi subito!
Expo poco democratica (espandi | comprimi)

Expo è un problema di democrazia sotto vari punti di vista, sicuramente è un problema di democrazia il fatto che tutto il percorso di scelta, di candidatura e oggi di gestione della macchina Expo è un processo che è stato tolto al controllo democratico dei cittadini, al controllo degli organi rappresentatividegli enti locali e appaltato a una società pagata con i soldi pubblici, ma gestita secondo l’aumento di privati e soprattutto su cui i controlli sono pochissimi, tutti strumenti che superano valutazioni a impatto ambientali, e norme urbanistiche diventa non probabile ma certa.

E’ un problema di democrazia perché la gestione di questa macchina è stata affidata a dei personaggi anche qui scelti al di fuori di quelli che erano gli enti locali che poi dopo li hanno foraggiati economicamente, non ultimo il caso di Stanca, catapultato qui al posto di Visenti perché il governo doveva mettere la mano su Expo, l’ennesimo conflitto di interessi di questa vicenda perché Stanca è parlamentare e Stanca nello stesso tempo Presidente di Expo Spa.

E' un problema di democrazia il fatto che in nome di Expo, in questa città si è già dimostrato, si vorrà nascondere sicuramente i problemi di questa città, si vorranno nascondere le voci che dissentono in questa città, basti pensare quello che è stato quando due anni e mezzo fa vennero per la prima volta a Milano gli ispettori del Bie, la prima cosa che si fece fu far sparire senzatetto, poveri cristi che dormivano per strada.

Se la democrazia deve essere anche sostanza e non forma, noi crediamo che Expo stia assolutamente agli antipodi, è per questo che crediamo che al di là di Stanca, Masseroli, Moratti, di tutti questi personaggi di questi nanetti come li abbiamo definiti alla corte di Crudelia Moratti, alla fine l’unica cosa seria che si può fare è evitare, che questi territori che l’interesse collettivo di questi territori perda per sempre perché come dicevamo prima la Milano post-Expo e la Lombardia post-Expo saranno molto differenti da adesso e sicuramente con meno democrazia, con meno diritti e con meno giustizia e eguaglianza sociale.

Allora secondo noi è importante continuare a battere chiodo, a diffondere, a fare controinformazione, essere presenti sui territori attaccati dall’operazione Expo e essere pronti perché prima o poi quelle che oggi fortunatamente sono solo chiacchiere tra uomini di potere, prima o poi diventeranno anche azioni e quando la macchina Expo partirà, dovremo essere pronti a saperla contrastare da subito, non solo più con le parole, ma ovviamente anche con i fatti, mettendo in gioco la partecipazione, la lotta, tutto quanto servirà per ostacolare lo scempio di questi territori, di denaro e risorse pubbliche.

Per approfondimenti, scaricare materiali, seguire la nostra attività, avere informazioni, contattarci potete fare riferimento al nostro sito noexpo.it o scrivere alla casella di posta info@noexpo.it .


copertina_noexpo.jpg


Lucio Stanca prende i soldi e scappa. Tutto da rifare per Expo 2015

di Gianni Barbacetto - www.ilfattoquotidiano.it - 25 Giugno 2010

L'ex ministro si dimette da ad dell'Esposizione universale. Tornerà alla camera Camera. Non ha risolto nessun nodo. Ha incassato 300mila euro

Dopo due anni, due mesi e 25 giorni dalla vittoria di Milano nella gara internazionale per l’Expo 2015, si torna al punto di partenza: l’amministratore delegato della società di gestione, Lucio Stanca, esce di scena.

Si ricomincia tutto da capo, con l’arrivo dell’attuale direttore generale del Comune di Milano, Giuseppe Sala. Stanca si è dimesso ieri, durante il consiglio d’amministrazione di Expo spa, ma già da tempo era manager dimezzato, sfiduciato e rimbrottato dai politici che contano nella partita (Roberto Formigoni in testa) come uno scolaretto che si applica poco e rende ancor meno. Per ultima era arrivata Diana Bracco, industriale farmaceutica e presidente di Expo, che in una letterina di nove pagine aveva dato il benservito a Stanca.

Bilancio ben scarso, quello dell’amministratore delegato, che in 14 mesi d’attività non è riuscito a sciogliere nessuno dei nodi sul tavolo, ma in compenso ha intascato un appannaggio di 450 mila euro (“Ma ho rinunciato a un terzo, perché ho ben chiaro il senso della crisi che il Paese sta attraversando”).

Ora che l’hanno fatto fuori, si capisce meglio il motivo per cui non ha rinunciato al doppio incarico, mantenendo anche il seggio alla Camera: non credeva neppure lui che ce l’avrebbe fatta a resistere ai vertici di Expo.

Ex manager Ibm, Stanca nel 2001 fu chiamato da Silvio Berlusconi, con grandi squilli di trombe, a reggere il ministero dell’Innovazione. Alle mirabolanti promesse di modernizzare l’Italia sono seguite ben misere realizzazioni, tra cui una carta d’identità elettronica annunciata ma di cui siamo ancora in attesa.

Il suo è stato un ministero così attivo, che nessuno si è accorto della sua soppressione. Ma Berlusconi è ricorso ancora a lui (diventato nel frattempo prima senatore e poi deputato del Pdl) quando ha dovuto riempire la casella dell’Expo rimasta vuota nel 2009, dopo un anno di polemiche e l’addio di Paolo Glisenti, manager di fiducia del sindaco Letizia Moratti.

L’investitura di Arcore non gli è bastata. Chi ha partecipato alle riunioni sull’Expo racconta uno Stanca non particolarmente brillante, che ogni tanto sembra addirittura assopirsi durante le discussioni.

Ma ciò che è mancato è soprattutto il suo contributo strategico. Non è riuscito a gestire i rapporti con il mondo della politica romana. Non è riuscito a convincere gli exposcettici guidati dal ministro Giulio Tremonti, impegnato più a tagliare i fondi che a finanziare l’impresa.

Non ha saputo convincere neppure Letizia Moratti, rimasta l’unica, grande sostenitrice dell’Expo. E mentre la posizione del sindaco andava via via indebolendosi, non ha saputo stringere un rapporto solido con Formigoni, che dal vertice della Regione è diventato l’uomo forte che può salvare l’operazione.

Così Expo ha divorato prima Glisenti, poi Stanca. Ora il terzo manager chiamato a portare l’esposizione 2015 fuori dalle secche è Giuseppe Sala, ex manager Pirelli e attualmente direttore generale del Comune di Milano. Ci riuscirà, o farà la stessa fine dei primi due? Sala ha fama di uomo concreto.

È considerato politicamente vicino al centrosinistra, tanto che nei giorni scorsi era stato fatto il suo nome come quello di un possibile candidato sindaco alle elezioni del 2011, contro Letizia Moratti. Il suo sponsor politico è Enrico Letta, area moderata del Pd. Ma Sala ha un rapporto consolidato anche con il gran consigliere di Silvio Berlusconi Bruno Ermolli, l’uomo a cui piace essere considerato il Gianni Letta di Milano.

È stato Ermolli a portare Sala a Palazzo Marino, 18 mesi fa, facendolo sedere sulla poltrona più importante dell’amministrazione milanese. Eppure tutto ciò non basterà a garantirgli il successo nel suo nuovo ruolo di salvatore di un Expo che, dopo due anni, due mesi e 25 giorni, deve ancora decollare.

Il nodo fondamentale da sciogliere resta quello dei terreni su cui impiantare l’iniziativa, in quell’area sghemba a nord di Milano tra Pero e Baranzate, contigua alla nuova Fiera. L’operazione era stata pensata da Formigoni proprio come l’occasione per sanare i conti in rosso della Fondazione Fiera.

Nella prima ipotesi, le aree (circa 1 milione di metri quadri, 70 per cento della Fiera di Milano, 30 del gruppo Cabassi) dovevano essere date in concessione alla società Expo per sette anni (2010-2017). Al termine, Fiera e Cabassi avrebbero dovuto tornarne in possesso, ma con alcune gradite sorprese: la possibilità di edificare.

La convenzione segreta sottoscritta nel giugno 2007 dal Comune e dai due proprietari stabiliva che nel 2017 l’area sarebbe stata restituita a Fiera e Cabassi con un indice 0,6 (ossia puoi costruire 6 metri quadri ogni 10, per un totale di 600 mila metri quadri). Indice poi addirittura innalzato a 1 dal nuovo piano di governo del territorio (Pgt) in approvazione a Milano (dunque si potrà costruire ben 1 milione di metri quadri).

Questa prima ipotesi è tramontata, perché il progetto di Expo fatto poi passare è stato quello “leggero” che prevede non grandi edificazioni, ma un immenso orto botanico planetario delle biodiversità, dei climi del mondo e delle loro tipicità alimentari. Con le coltivazioni, i prodotti, le eccellenze dei Paesi espositori.

Questa l’idea della consulta internazionale voluta da Letizia Moratti e formata da Stefano Boeri, Richard Burdett (quello che sta progettando le olimpiadi di Londra 2012), Jacques Herzog (quello dello stadio-nido di Pechino), William Mc Donough (collaboratore di Al Gore) e Joan Busquets (olimpiadi di Barcellona).

Con la collaborazione anche di Carlin Petrini, il papà di Slowfood. Ecco il nodo che Sala dovrà sciogliere. Continuare su questa strada, o tornare al progetto delle edificazioni e delle valorizzazioni immobiliari?

Scarica i documenti:

  • Conferenza stampa al termine della riunione del Coordinamento del progetto Expo 2015© Marco Merlini / LaPresse 12-03-2010 Roma Politica Palazzo Chigi, conferenza stampa dopo la riunione del Coordinamento del progetto Expo 2015 Nella foto l'ad di Expo2015, Lucio Stanca© Marco Merlini / LaPresse Rome, 03-12-2010 Politic Chigi Palace, press conference after Expo 2015 Coordination staff's meeting In the photo Expo 2015 managing director, Lucio Stanca

  • Conferenza stampa al termine della riunione del Coordinamento del progetto Expo 2015© Marco Merlini / LaPresse 12-03-2010 Roma Politica Palazzo Chigi, conferenza stampa dopo la riunione del Coordinamento del progetto Expo 2015 Nella foto l'ad di Expo2015, Lucio Stanca© Marco Merlini / LaPresse Rome, 03-12-2010 Politic Chigi Palace, press conference after Expo 2015 Coordination staff's meeting In the photo Expo 2015 managing director, Lucio Stanca

lunedì 28 giugno 2010

Giamaica: vittima della Guerra Fredda anche nel 2010

Un mese fa in Giamaica sono scoppiati i più sanguinosi scontri a fuoco della storia recente del Paese, a causa della richiesta di estradizione da parte degli USA per il boss giamaicano Christopher Coke, detto Dudus, per traffico di droga e armi.

Una richiesta fatta già da un anno ma a cui il premier giamaicano Bruce Golding del Partito Laburista (JLP, Jamaican Labour Party) si era sempre opposto dal momento che Coke era il boss della zona di Tivoli Gardens, nella capitale Kingston, roccaforte storica del JLP, e ben conscio della reazione violenta cui ne sarebbe seguita da parte dei miliziani armati di Coke, un boss adorato come un semidio in quella zona.

Ma la decisione del premier Golding di cedere alla richiesta americana ha appunto scatenato una caccia all'uomo a cui ne è seguita la scontata risposta armata dei miliziani di Coke. Scontri sanguinosi tra polizia, esercito e miliziani con un bilancio finale di oltre 70 morti in 48 ore.

Però solo la settimana scorsa Coke è stato "catturato" ad un posto di blocco della polizia in un'autostrada nei pressi di Kingston mentre era in auto insieme al reverendo Merrick Al Miller che lo stava consegnando direttamente all'ambasciata USA nella capitale.

E nel giro di 24 ore Coke è stato messo su un piccolo aereo e spedito a New York.
Subito dopo l'arresto il boss aveva dichiarato di essersi consegnato per contribuire alla pace nel Paese e alla fine degli scontri armati tra le gang legate ai due principali partiti politici giamaicani, il JLP e il PNP (People's National Party).

Ma i contorni della vicenda rimangono "poco chiari", soprattutto se si pensa ai rapporti storici tra il JLP, di cui è leader l'attuale premier Golding, e la gang di Coke (la Shower Posse) creata da suo padre negli anni '70 e finanziata proprio dagli USA per contrastare l'ascesa al potere del PNP, allora guidato da Michael Manley che, una volta diventato premier, aveva sposato una linea socialista e filo-cubana.

Anni '70 in cui non si contavano i morti nelle strade tra i membri delle gang criminali affiliate ai due partiti e che si sono conclusi poi con la vittoria elettorale nel 1980 del JLP, il cui leader di allora Edward Seaga divenne primo ministro e rimase in carica fino al 1989.

In pratica per tutto il periodo di Ronald Reagan alla Casa Bianca...


Gli Shower Posse giamaicani: come la CIA ha creato la "più famigerata organizzazione criminale"
di Casey Gane-McCalla - http://newsone.com - 3 Giugno 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marilena

Con la recente violenza in Giamaica e la polemica circa il presunto signore della droga, Christopher “Dudus” Coke, molte persone parlano del famigerato Shower Posse giamaicano e del quartiere di Tivoli Gardens, dove esso ha la sua base. Ciò che è stato in larga parte ignorato dai media è il ruolo che il governo americano e la Cia ha nell’addestrare, armare e dare potere agli Shower Posse.

E’ interessante che gli USA stiano accusando Christopher “Dudus” Coke, l’attuale leader degli Shower Posse, di traffico di droga e armi, tenendo conto che la CIA era stata accusata di contrabbando d’armi in Giamaica e facilitava lo smercio di cocaina dalla Giamaica all’America negli anni '70 e '80. In molti modi Dudus stava solo portando avanti una tradizione di corruzione politica, traffico di droga, armi e violenze che è iniziata con l’aiuto della CIA.

Il padre di Christopher “Dudus” Coke era Lester Coke, anche conosciuto come Jim Brown, uno dei fondatori degli Shower Posse e una persona campione e protettore dell’impoverito quartiere di Tivoli Gardens a Kingston. Coke era un sostenitore politico e bodyguard di Edward Seaga, il leader del Partito laburista giamaicano.

L’avversario di Seaga Michael Manley aveva iniziato ad adottare posizioni “socialiste” , aveva cominciato a criticare apertamente le politiche estere americane e aveva incontrato il nemico degli Stati Uniti, Fidel Castro, negli anni '70. Tenendo conto della Guerra Fredda degli Usa con la Russia, la CIA non voleva che la Giamaica fosse amica dei comunisti.

Secondo il libro di Gary Webb, “The Dark Alliance”, Norman Descoteaux, il capo della CIA di stanza in Giamaica iniziò un programma destabilizzante del governo di Manley verso la fine degli anni '70. Parte di questo piano erano assassinii, denaro per il Partito Laburista giamaicano, malcontento dei lavoratori, corruzione e traffico d’armi per il nemico di Manley, Lester “Jim Brown” Coke.

Lo scrittore Daurius Figueira scrive nel suo libro, “Traffico di cocaina ed eroina nei Caraibi”: “di fatto signficava che il traffico illecito di droga collegato al Partito Laburista giamaicano era integrato in un canale di traffico illecito e criminale di armi e droga della CIA”.

L’ex agente della CIA, Philip Agee, disse che “la CIA stava usando il Partito laburista giamaicano come uno strumento nella campagna contro il governo di Michael Manley, direi la maggior parte delle violenze venivano dal partito laburista giamaicano, e dietro di esso c’era la CIA per quanto riguarda il procurare le armi e investire denaro in esso”.

Uno dei colleghi di Lester Coke, Celil Connor, avrebbe dichiarato che egli era stato portato dalla CIA a combattere le guerre politiche per il partito laburista giamaicano attraverso omicidi e spionaggio. Connor avrebbe manipolato le schede elettorali e intimidito i votanti per aiutare il partito laburista giamaicano a vincere le elezioni.

Connor avrebbe continuato ad essere un delinquente politico facendo parte del cartello giamaicano internazionale di cocaina conosciuto come gli Shower Posse. Avrebbe testimoniato contro Lester Coke e il suo seguace Vivian Blake, solo per tornare alla sua nativa St. Kitts per diventare il leader della droga che teneva per la maggior parte il paese in ostaggio.

Il padre di Christopher “Dudus” Coke, Lester Coke, era anche stato accusato di lavorare con la CIA. Timothy White ipotizzava nella sua biografia di Bob Marley, “Catch a Fire”, che Jim Brown facesse parte di una squadra di uomini armati che tentarono di uccidere Bob Marley capeggiati dal sostenitore del partito laburista giamaicano Carl “Byah” Mitchell.

Gli autori Laurie Gunst e Vivien Goldman fecero le stesse affermazioni nei loro libri “Born Fi Dead” e “The Book of Exodus”. Il manager di Marley dichiarò che uno degli assalitori di Marley fu catturato e ammise che la CIA era d’accordo per pagarlo con cocaina e armi a patto che uccidesse Marley.

Lester Coke venne in seguito giustiziato in una cella del carcere giamaicano, mentre aspettava l’estradizione negli Stati Uniti. Molte persone dichiararono che fu ucciso in modo da non poter rivelare i suoi segreti che avevano a che fare con la CIA, il partito laburista giamaicano e le sua attività criminale.

Nei suoi sforzi per destabilizzare il governo giamaicano negli anni '70, la CIA creò un gruppo di spaccio di droga, di armi e di criminali politici. Attraverso il traffico di droga, questi criminali sarebbero diventati alla fine più potenti dei politici a cui erano collegati. Il programma di destabilizzazione della CIA non destabilizzò soltanto la Giamaica degli anni '70, ma anche la Giamaica per i 40 anni che seguirono.

Tenendo conto della segretezza della CIA e della società giamaicana, è incerto esattamente qual era il ruolo della CIA nella creazione degli Shower Posse. Hanno dato loro delle armi? Hanno dato cocaina? Li hanno istruiti su come contrabbandare droghe? La CIA ha usato gli Shower Posse per provare ad uccidere Bob Marley? Queste sono domande a cui la CIA dovrebbe rispondere.

Se ciò che è stato addotto sulla CIA è vero, allora essi sono in parte responsabili del ciclo di traffico di armi, contrabbando di armi e violenze che affliggono la Giamaica oggi. Se gli Stati Uniti possono estradare il figlio di uno dei sostenitori politici della CIA per traffico di droga e cocaina, non dovrebbe la CIA essere indagata per aver insegnato ai Giamaicani come condurre la guerra politica, armarli, dar loro cocaina e aiutarli a spacciarla?

Tenendo conto della rivelazione secondo cui la CIA permise ai commercianti di droga del Nicaragua di vendere droga negli Stati Uniti per finanziare la loro rivoluzione contro il governo comunista, non è così forzato credere che avrebbe armato i Giamaicani e gli avrebbe dato cocaina per combattere i comunisti in Giamaica.

domenica 27 giugno 2010

Facce come il culo

In queste ultime ore la facce come il culo del panorama politico italiota sono aumentate di altre tre unità.

Cominciamo ovviamente con Brancher che, dopo la vergognosa buffonata di essere nominato ministro, avvalersi del legittimo impedimento e - vista l'enorme incazzatura del Quirinale - fare retromarcia decidendo alla fine di presentarsi al processo, ha dichiarato:
"Sono tranquillo e sereno, vado avanti. Non mi aspettavo tanta cattiveria a tutti i livelli. Nella vita ne ho passate di tutti i colori, ma fino a questo punto...".

Eh certo...comunque anche noi ne abbiamo viste di tutti i colori, ma fino a questo punto...

Infine Brancher raggiunge il tragicomico aggiungendo "È indecente, non si è mai visto che l'Italia dopo aver perso i Mondiali se la prende con me". Eh sì, sei proprio uno sfigato. In tutti i sensi.

Ma dopo lo sfigato segue a ruota Bondi..."Anche nel caso del ministro Brancher, che ha dimostrato senso di responsabilità e coscienza degli interessi nazionali, il Pd dimostra di non sapersi affrancare nei momenti decisivi da un furore propagandistico e accusatorio indistinguibile rispetto a quello di Di Pietro. In questo modo, però, il Pd non riuscirà mai a svincolarsi dall'abbraccio soffocante del partito di Di Pietro e delineare un'opposizione che sia politicamente e culturalmente diversa e probabilmente più incisiva".

Veramente fantastico Bondi, soprattutto quando dice che Brancher ha dimostrato senso di responsabilità e coscienza degli interessi nazionali.
Però il mancato poeta finge di rendersi conto che in questa occasione il Pd forse ha fatto la sua migliore figura di sempre come forza d'opposizione, il che è tutto dire...

E ora la ciliegina finale..."La rinuncia di Brancher ad avvalersi del legittimo impedimento e la decisione di presentarsi in udienza, dimostrano la correttezza di un ministro che, grazie al suo lavoro, darà forte impulso alle riforme, uno degli obiettivi primari di questo Governo. Le sue decisioni mettono a tacere quel polverone, del tutto strumentale, sollevato dalla sinistra in questi giorni. Brancher è stato oggetto infatti di attacchi personali inaccettabili e per questo gli esprimo la mia profonda solidarietà".

Così ha pontificato la Gelmini che, oltre ad aggiungersi legittimanente ai primi due nel titolo del post, ha perso un'altra occasione per rimanere in silenzio ma in compenso si è guadagnata un'altra medaglietta dopo quella dell'anno scorso per il titolo di miglior culo seduto su una poltrona di ministro...

Strage di Ustica: il muro di gomma compie 30 anni

Oggi ricorre il trentennale della strage di Ustica, il Dc9 dell'Itavia precipitato in mare con 81 persone.

Ma dopo 30 anni di depistaggi, bugie, insabbiamenti e suicidi sospetti la verità deve ancora emergere.

E, a parte i parenti delle vittime e qualcun altro, i bla bla bla dei politici italioti dimostrano che anche dopo 30 anni nessuno la vuole.


Ustica trent'anni dopo celebrazioni senza pace
da www.repubblica.it - 27 Giugno 2010

Il 27 giugno 1980 il Dc9 Ih 870 dell’Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo, scomparve dai radar. S'inabissò tra le isole di Ustica e Ponza. Ottantuno le vittime. Oggi si celebra il trentesimo anniversario della strage in un clima di accesa polemica politica Lo speciale di Repubblica "La verità negata"

Trent'anni fa il disastro aereo che costò la vita a 81 persone. Oggi a Bologna la giornata del ricordo. La presidente dell’associazione dei parenti delle vittime, Daria Bonfietti, torna a chiedere i nomi dei responsabili, confortata dalle parole del capo dello Stato che, proprio ieri, ha sollecitato "il contributo di tutte le istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera". Ma il valore anche simbolico dell’anniversario, sembra ormai compromesso dalle polemiche.

Le celebrazioni si svolgono nella scia del clamore per le parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, che ha ipotizzato l’esplosione di una bomba all’interno del Dc9 Itavia. Venerdì è andato in scena lo scontro tra Giovanardi e il giudice Rosario Priore, ma le avvisaglie erano arrivate già mercoledì. "Nei prossimi giorni a Bologna tireranno in ballo tutta la mercanzia prodotta in tanti anni aveva detto Giovanardi per toccare l’immaginario collettivo, ma di un ipotetico missile non è stato reperito alcun riscontro". Di fronte a questo ennesimo "sasso nello stagno", le reazioni non si sono fate attendere.

La commemorazione ha inizio alle 11 nella sala del Consiglio di Palazzo D’Accursio, con l’incontro tra il commissario Annamaria Cancellieri e i parenti delle vittime. Sempre quest’oggi piazza VIII Agosto diventa il palcoscenico dell’installazione dell’artista Flavio Favelli, "Itavia Aerolinee".

In serata, alle 21.30, nello spazio antistante il Museo per la Memoria di Ustica, in via Saliceto, avrà inizio il primo dei due concerti di musiche di Karlheinz Stockhausen, "Ora Ventunesima". Il Museo, in cui il relitto del Dc9 è circondato da un’opera di Christian Boltanski, sarà aperto dalle 10 a mezzanotte, con visite guidate gratuite alle 11 e alle 20.

Schifani: "Conoscere le cause, vittoria per tutti". "Sono trascorsi trent'anni dalla strage di Ustica e, nonostante la memoria e il dolore siano immutati nelle coscienze di tutti gli italiani, il significato di un evento così terribile ci offre oggi la possibilità di una riflessione particolare". E' quanto scrive il presidente del Senato, Renato Schifani, nel messaggio inviato a Daria Bonfietti: "Esprimo un forte auspicio che i recenti sviluppi giudiziari possano fare finalmente emergere con completezza e chiarezza la verità su quanto realmente accaduto, nella certezza che conoscere le cause del disastro prima del verdetto della storia sarebbe una vittoria straordinaria per noi tutti: sapere cosa avvenne su quel cielo quella sera ci renderebbe migliori, dando alla nostra Repubblica una speranza in più di crescere sulla strada difficile della condivisione e della trasparenza".

Fini: "Intensificare l'impegno per fare chiarezza". Sulla stessa lunghezza d'onda la lettera inviata a Daria Bonfietti dal presidente della Camera Gianfranco Fini: "In questa giornata, resa particolarmente triste dal lungo scorrere di anni non illuminati dalla verità, ritengo sia necessario ribadire e intensificare l'impegno di tutti per giungere a fare chiarezza su di una vicenda che continua a proiettare la sua ombra inquietante anche sul nostro presente".

"Nell'esprimerLe il sincero apprezzamento per l'instancabile attività promossa dalla Sua Associazione per mantenere costantemente viva l'attenzione degli italiani su questa tragica vicenda, rivolgo un commosso pensiero agli uomini, alle donne e ai bambini la cui vita fu spezzata da un destino ancora incomprensibile", conclude Fini.


Ustica, 30 anni di impunità
di Gianni Lannes - www.italiaterranostra.it - 26 Giugno 2010

27 giugno 1980: atto di guerra in tempo di pace nei cieli italiani. A Bologna 81 persone salgono a bordo dell’aereoplano civile diretto a Palermo: 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i dodici e i due anni, due bambini di età inferiore ai ventiquattro mesi e 4 uomini d’equipaggio.
Il velivolo decolla alle 20.08 e sparisce dai tracciati radar alle 20.59, a causa di due missili.

«L’incidente al Dc 9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento. Il Dc 9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro paese, di cui sono stati violati i confini e diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto».

La sera del 31 agosto 1999 il giudice Rosario Priore deposita la sua ordinanza-sentenza, un documento di oltre 3000 pagine con un centinaio di fogli di conclusione.

Secondo il magistrato Priore l’aereo dell’Itavia fu la vittima di un duello aereo fra caccia militari alleati e mig libici.

Daria Bonfietti – che ha perso il fratello Alberto nella sciagura – non ha alcun dubbio: «Ustica colpisce a morte il cuore della democrazia, intacca la sua sostanza. Ustica è il soffocamento sistematico e pervicace della democrazia italiana.

Segnala i poteri occulti dei corpi separati, conferma l’esistenza di forze che riducono la democrazia italiana a una democrazia di facciata». Il giornalista Andrea Purgatori – padre dell’inchiesta sul muro di gomma – bersaglia le responsabilità stragiste.

«Gli Usa hanno individuato i francesi come colpevoli della strage. In tutto questo c’è anche una nostra responsabilità, lo dice la Nato negli atti dell’inchiesta. E’ certo ci sono le prove, che alcuni ufficiali dell’Aeronautica sapevano e trattavano con la Cia all’insaputa dello Stato maggiore».

Oggi sono note cause, dinamica e scenario internazionale di matrice bellica.

Mancano all’appello solo gli autori materiali della strage e i loro mandanti governativi dell’Alleanza atlantica.




Ustica, Ciancimino dichiara:"Mi fu detto subito che era stato un aereo francese"
da Radio Città del Capo - Radio Metropolitana - 26 Giugno 2010

“Doveva essere una serata tranquilla, stavamo andando a giocare a carte ad un torneo di poker in un noto circolo dei potenti siciliani. Arrivati all’ingresso del circolo c’era un’auto blu che aspettava mio padre e Rosario Nicoletti, segretario della Dc siciliana.

Erano stati convocati d’urgenza a casa del ministro della difesa Attilio Ruffini per una riunione”. Sono i ricordi di Massimo Ciancimino rispetto alla sera del 27 giugno 1980, ai nostri microfoni.

Ciancimino ai magistrati palermitani nel 2008 aveva raccontato di aver saputo dal padre Vito, l’ex sindaco di Palermo organico a Cosa Nostra, che ad abbattere il DC9 Itavia sui cieli di Ustica era stato un aereo francese.

I pm romani Erminio Amelio e Maria Monteleone che hanno riaperto l’inchiesta sulla strage di Ustica lo hanno convocato come teste e dovranno cercare riscontri della sua testimonianza. “Ricordo il malessere di mio padre nel non poter dire ad un caro amico quello che era successo.

Era l’ingegnere Roberto Parisi della Icem, l’azienda che aveva in gestione l’illuminazione pubblica a Palermo. Parisi perse la moglie e la figlia Alessandra sull’aereo”. Ciancimino spiega perché il padre venne coinvolto: “Posso dire che mi fu detto subito che era stato un aereo francese.

C’era una volontà di controllo del territorio, in quel momento c’erano grandi obblighi da parte della politica siciliana collusa e controllata da Roma che imponeva le scelte di alcune aree da destinare agli alleati quindi anche per questo la scelta di coinvolgere mio padre, non solo per il suo rapporto con i cosiddetti corleonesi”.

Ascolta Ciancimino:

audiocianc

venerdì 25 giugno 2010

G20: un altro flop all'orizzonte

Domani a Toronto comincia il G20 ma i nodi da sciogliere sono tanti e la prospettiva di un altro fallimento è già all'orizzonte.

Le divergenze, in particolare tra Usa e Ue, sono infatti consistenti. I primi ad esempio chiedono più stimoli all'economia mentre la seconda - con in testa Francia e Germania - punta più sul risanamento dei bilanci e il consolidamento dei conti attraverso politiche di austerity.

Idem dicasi per la tassa sulle banche o le transazioni finanziarie. Gli Usa, ma anche Cina e Brasile, sono contrari e la stessa Ue è divisa in proposito.

Un altro flop sembra scontato, mentre la crisi economica continua ad imperversare, come e più di prima, senza serie misure di contrasto. Anzi...


Arriva il G20 ma è un dialogo tra sordi. Torna la paura della bancarotta greca
di Federico Rampini - La Repubblica - 25 Giugno 2010

Gelo tra Usa ed Europa. Giù le Borse anche per i debiti di Madrid e Lisbona. Mentre gli americani criticano la Merkel per la politica restrittiva

"Ora che hai cominciato a usare Twitter possiamo finalmente sbarazzarci del telefono rosso d'emergenza tra la Casa Bianca e il Cremlino". Barack Obama apre così la conferenza stampa congiunta con il suo omologo russo Dmitry Medvedev. Reduce, quest'ultimo, da una visita nella Silicon Valley californiana a caccia di investimenti nelle tecnologie avanzate.

E' singolare che il presidente americano riservi alla Russia il solo incontro bilaterale che precede la partenza per il G20 per Toronto. Altra anomalìa: l'unico vero regalo a Obama, in una settimana per lui catastrofica (tra Bp e generali indisciplinati), glielo ha offerto il leader cinese Hu Jintao avviando un rafforzamento della sua moneta. E i vecchi amici europei dove sono finiti?

"Qualsiasi parvenza di unità del G20 è già un ricordo". Il bilancio impietoso, alla vigilia del summit mondiale, lo traccia uno sherpa che di vertici ne ha preparati molti, l'americano Dan Price. "Nessun altro G20 - aggiunge Price - è stato preceduto da così tante lettere in cui i leader si accusano reciprocamente e puntano il dito contro gli errori altrui".

Prima ancora di cominciare, il G20 è già finito? Questa formula che ha sostituito il G8 non è più efficiente del predecessore. Le geometrie del potere planetario cambiano troppo velocemente, nessun "guscio" di global governance è riuscito finora ad esprimerle.

Sulla crescita economica, le regole della finanza, l'ambiente, l'energia, la lotta alla proliferazione nucleare e al terrorismo, c'è una geometria variabile di "cerchi". Le potenze che contano, quelle che sono presenti in tutti i cerchi, non sono le stesse del passato. Venti membri sono troppi, soprattutto se gli europei non parlano con una voce sola.

C'è anche una ragione positiva per cui il summit di questo weekend è stato svuotato in anticipo di aspettative. E' la decisione della Cina di avviare un graduale rafforzamento della moneta, il renminbi o yuan. Pechino ha accolto una richiesta americana e ha tolto dall'agenda di Toronto una potenziale controversia. La Repubblica Popolare, guidata da un governo che continua a definirsi comunista, sta dimostrandosi un partner giudizioso per Obama.

Per quanto graduale, l'apprezzamento del renminbi va nella direzione desiderata: aumenta il potere d'acquisto cinese e in prospettiva la domanda di prodotti e servizi occidentali. Il gesto di Hu Jintao fa sentire gli americani ancora più distanti dall'Europa.

Con il vecchio partner atlantico le incomprensioni sono superiori a quelle che dividono Washington da Pechino? Sembra incredibile ma sul terreno economico è vero. Alla vigilia del G20 la "guastafeste" per eccellenza è Angela Merkel. Alla Germania, Obama rivolge una richiesta analoga a quella che ha fatto ai cinesi.

E' una richiesta coerente con le analisi del Fondo monetario internazionale. I macro-squilibri dell'economia mondiale possono riassumersi così: ci sono paesi che hanno vissuto al di sopra dei loro mezzi, creando debiti insostenibili e bolle finanziarie. L'America è il primo fra questi. Ora gli americani hanno iniziato a sanare lo squilibrio: la propensione al risparmio delle famiglie è in netto aumento. Ma perché questo non si traduca in un effetto depressivo, altri paesi devono fare la loro parte.

Le nazioni che hanno vissuto "al di sotto" dei loro mezzi, esportando e risparmiando troppo, devono aumentare i consumi. Si tratta per l'appunto di Cina e Germania. E' impossibile aggiustare gli squilibri di una parte del mondo se l'altra metà non fa altrettanto in senso inverso.

E' assurdo che tutti i paesi simultaneamente vogliano uscire dalla crisi aumentando il loro attivo commerciale, a meno di riuscire a esportare su Marte. Ma la Merkel, facendosi interprete di un sentimento diffuso nell'opinione pubblica tedesca, vede l'economia sotto una prospettiva "etica", con i debiti identificati al "vizio" e il risparmio come la virtù assoluta.

Lo ha ribadito in un'intervista al Wall Street Journal dove respinge al mittente le richieste di Obama, quasi fossero un'eresìa. "Non è interesse di nessuno - ha detto la Merkel - ridurre la competitività tedesca".
Secca la replica della Casa Bianca: "E' nell'interesse della crescita europea e mondiale, che i paesi in attivo aumentino la loro domanda interna".

Berlino e Parigi vogliono la Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, Washington no. Altro che la Bretton Woods 2 per rifondare le regole dei mercati, di cui si favoleggiava ai G20 precedenti.

Oggi si assiste a un dialogo tra sordi tra le due sponde dell'Atlantico. L'incomprensione s'inserisce in un contesto ancora preoccupante. A poche ore dal summit, l'economia globale manda nuovi segnali di pericolo. I mercati tornano a temere una bancarotta della Grecia (dove la Borsa ha chiuso a meno 4,1%), e il costo dei credit default swaps (contratti assicurativi contro l'insolvenza) schizza al rialzo.

Preoccupa anche la nuova impennata dei debiti in Spagna e Portogallo. Le Borse europee, ieri fortemente in ribasso, penalizzano i titoli bancari perché gli istituti di credito sarebbero i primi ad affondare se qualche Stato diventasse insolvente.

In America le vendite di case negli Usa sono crollate del 33% non appena è scaduto il generoso incentivo fiscale: è una conferma di quanto la ripresa sia ancora dipendente dal sostegno pubblico.

Sintomatico è il commento dell'ufficio studi Deutsche Bank: "Così come il mercato immobiliare americano è appeso al sostegno statale, il sistema bancario europeo dipende dagli aiuti della Bce. E' ancora capitalismo questo?"

La domanda accresce il senso d'inadeguatezza del G20. Insieme con la frustrazione di Washington verso l'Europa, si rafforza il peso di modelli alternativi. Il capitalismo di Stato cinese, con una forte capacità di dirigismo pianificatore, ha retto meglio alla crisi. Pechino diventa il perno di nuove alleanze che bypassano le geometrie dei vari G8 e G20.

La Cina ha superato gli Usa come principale partner del Brasile. Quest'ultimo, a sua volta, si afferma come una vera potenza con una politica estera autonoma: sul dossier nucleare iraniano le iniziative del Brasile hanno spiazzato Washington.

Su ambiente, energia, terrorismo, interlocutori come Russia, India, Arabia saudita, pesano più di Italia e Francia. Nei cerchi che illustrano le nuove gerarchie post-G20, l'America vede sempre meno Europa.


Ecco perchè non credere a chi dice che la crisi è finita
di Lorenzo Torrisi - www.ilsussidiario.net - 25 Giugno 2010

Il Centro Studi Confindustria ha diffuso ieri dati che sono rimbalzati sulle agenzie di stampa con toni trionfalistici: “L’Italia è fuori dalla recessione”. Gli economisti di Viale dell’Astronomia prevedono infatti che il Pil nel 2010 crescerà dell’1,2% (contro la precedente stima dell’1,1%) e l’anno prossimo dell’1,6% (contro il precedente 1,3%).

Tutto questo mentre il Governo vara una manovra che avrà un effetto restrittivo sulla crescita, stimato dagli esperti di Confindustria in un -0,4% annuo. A favorire questa crescita l’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro. Ma attenzione, perché oltre a un aumento dell’evasione fiscale, i dati diffusi prevedono anche un incremento della disoccupazione.

Il quadro complessivo sembrerebbe tutto sommato positivo, ma non per Luigi Campiglio, Prorettore dell’Università Cattolica di Milano e docente di Politica economica, che spiega: “In questi dati vedo solo un appello ottimista agli animal spirits imprenditoriali”.

Perché Professore?

Gli ultimi dati sull’Italia dicono che: a) la disoccupazione aumenta; b) i consumi diminuiscono, in particolare quelli alimentari; c) l’inflazione cresce. Tutto questo non è certo positivo. Va bene dare slancio ottimistico, ma non si può parlare di uscita dalla recessione quando la disoccupazione continua ad aumentare. Il più importante segno robusto di crescita, di uscita dalla crisi, è infatti l’aumento dei posti di lavoro. Il resto sono solo buoni auspici.

Ma siamo o non siamo usciti dalla recessione?

Siamo tecnicamente fuori dalla recessione, come anche gli Stati Uniti, perché le variazioni del Pil non sono più negative. Ma parlando con gli americani, anche loro sanno bene che si esce realmente dalla recessione quando tornano ad aumentare i posti di lavoro. Il timore che tutti hanno ora è, non a caso, la jobless recovery.

Di che cosa si tratta?

Della ripresa senza la creazione di nuovi posti di lavoro. Che questo accada per un po’ (due-tre trimestri) è inevitabile, ma ora si ipotizza che possa andare avanti per tutto il 2011 e questo non è certamente un segnale di uscita dalla recessione. Possiamo dire semmai di aver raggiunto forse il fondo del precipizio e che ora possiamo iniziare una risalita (che vogliamo chiamare ripresa), che impiegherà diverso tempo, verso il punto da cui siamo caduti.

È possibile che il Pil cresca oltre le aspettative proprio quando entrerà a regime in Italia una manovra restrittiva?

Se le cose andranno veramente così, si tratterebbe del primo caso dall’inizio degli anni ’90, quando cioè eravamo solo noi italiani a varare manovre restrittive. Non vedo però per quale motivo dovrebbe accadere proprio ora, quando tutti i paesi europei stanno varano misure restrittive. Data questa simultaneità di azione, i risultati potrebbero essere pesanti. È vero che si teorizza che un’azione coordinata per il contenimento dei debiti pubblici sia un bene per l’economia, ma si tratta anche di una situazione obiettivamente e storicamente nuova. Gli esiti che ne deriveranno potrebbero quindi non essere quelli sperati.

Come possiamo allora arrivare alla ripresa dell’occupazione?

La risposta non è per nulla semplice, perché servirebbe ulteriore crescita economica, che, data la nostra dipendenza dall’export, potrebbe essere frenata dalle manovre restrittive europee. Una via d’uscita sarebbe un aumento della domanda interna tedesca, che farebbe comodo ad altri partner europei come noi. Il problema è che la Germania, dal canto suo, aspetta la crescita in Cina, su cui però hanno messo gli occhi anche gli Stati Uniti. Ci ritroviamo in una situazione simile a quella che abbiamo internamente sui tagli orizzontali contenuti nella manovra.

In che senso?

Coordinare i tagli non vuol dire togliere il 5% a tutti, ma una capacità di differenziare le misure in maniera tale che l’economia ne risenta il meno possibile, anzi magari ne possa trarre qualche beneficio. La stessa cosa vale per l’Europa: non è che tutti debbano fare lo stesso sacrificio nello stesso momento, nella stessa misura. Non perché uno stato sia più meritevole dell’altro, ma perché il risultato netto a livello europeo può essere molto differente.

Il problema è quindi di coordinamento delle politiche economiche?

Assolutamente. Muovendosi tutti verso il rigore, in attesa che sia un altro paese quello disposto ad “aprire alle importazioni”, non si creano le condizioni per crescere. Ecco, se la Germania, che ha la vera leadership europea (per dimensione e per opportunità di mercato), non deprimesse la propria domanda interna, allora potrebbe davvero diventare non dico la locomotiva mondiale, ma almeno un motorino europeo.

In alcuni paesi europei si discute dell’opportunità di introdurre una tassa sulle banche. Cosa ne pensa?

Non è ancora ben chiaro dove si voglia incidere, che cosa voglia dire concretamente tassare le banche. Mi pare comunque che la cosa più importante sarebbe introdurre più controlli, più verifiche sul sistema finanziario. L’idea non deve essere “facciamo pagare il conto alle banche”, ma “cerchiamo di trovare il modo perché non si crei una nuova crisi”. Bisogna risolvere il problema alla radice, altrimenti tutto rischia involontariamente di trasformarsi in un modo per mettere fieno in cascina in vista della prossima crisi. Quando forse tutti in realtà vorremmo che non ci fosse un’altra crisi.


La Grecia mette in vendita le sue isole

di Enrico Caporale - La Stampa - 25 Giugno 2010

La crisi che morde, l'Europa che pressa, i cittadini che protestano. Certo, la Grecia sta attraversando uno dei periodi più bui della propria storia. Ma vendere il proprio partimonio più grande, le splendide isole dell'Egeo, culla della civiltà, ai ricchi investitori di Russia e Cina è davvero la scelta giusta?

E' questa infatti l'ultima trovata del governo ellenico per saldare i pesanti debiti. All'asta, secondo quanto racconta il Guardian, circa 600 piccoli paradisi. Tra le offerte, oltre a disabitati atolli nel cuore del Mediteranneo, anche parte delle più famose mete turistiche d'Europa, come Mykonos e Rodi.

Il prezzo? Milioni di milioni di dollari, verrebbe da sperare. Purtroppo no. Chi possiede 15 milioni può acquistare i 1235 acri della splendida Nafsika. I più poveri, però, non si disperino. Con "appena" 2 milioni, il prezzo di un appartamento a Chelsea Town, si possono trovare isole di seconda scelta. Forse un po' fuori mano, sicuramente abitate da pericolosi mostri marini, ma in ogni caso incantevoli.

Con questi prezzi, ovviamente, si sono già fatti avanti i primi investitori. Molti provengono dalle economie emergenti di Russia e Cina. Stanchi del freddo, i magnati cercano un po' di svago sul caldo e assolato Mediterraneo. Tra loro, nonostante le smentite, anche il plurimiliardario Roman Abramovich.

«Sono molto dispiaciuto» - dice Makis Perdikaris, direttore del Greek Island Properties - «Vendere la terra che da sempre appartiene alla popolazione greca dovrebbe essere davvero l'ultima spiaggia. Ma ora è più importante l'economia. Il Paese ha bisogno di soldi».

Nel frattempo il governo sta pensando di cedere agli stranieri anche le aziende produttrici di acqua e la rete ferroviaria. Poche settimane fa è stato inoltre annunciato un accordo con Pechino per esportare in Cina l'olio di oliva.

«Capisco che è una cosa vergognosa» - lamenta Gary Jenkins, analista dello sviluppo del credito. Certo quest'ultima mossa non renderà felice la popolazione, già ampiamente delusa dal piano di austerità dei mesi scorsi «ma quantomeno - conclude lo studioso - dimostra che la Grecia sta facendo il possibile per onorare i propri impegni».


Quei soldi maledetti

di Giovanni Sartori - Il Corriere della Sera - 25 Giugno 2010

L’ultima stima di qualche anno fa che ho sott’occhio contabilizza il Pil, il Prodotto interno lordo, del mondo in 54 trilioni di dollari, mentre gli attivi finanziari globali risultano quattro volte tanto, di addirittura 240 trilioni di dollari.

Oggi, con i derivati e altre furbate del genere, questa sproporzione è ancora cresciuta di chissà quanto. E questa sproporzione non solo è di per sé malsana ma modifica la nozione stessa di sistema economico, di economia.

Semplificando al massimo, da un lato abbiamo una economia produttiva che produce beni, che crea «cose», e i servizi richiesti da questo produrre, e dall’altro lato abbiamo una economia finanziaria essenzialmente cartacea fondata su vorticose compravendite di pezzi di carta.

Questa economia cartacea non è da condannare perché tale, e nessuno nega che debba esistere.
Il problema è la sproporzione; una sproporzione che trasforma l’economia finanziaria in un gigantesco parassita speculativo la cui mira è soltanto di «fare soldi », di arricchirsi presto e molto, a volte nello spazio di un secondo.

Gli economisti «classici » facevano capo all'economia produttiva; oggi i giovani sono passati in massa all’economia finanziaria. È lì, hanno capito, che si fanno i soldi, ed è in quel contesto che l’economia come disciplina che dovrebbe prevedere, e perciò stesso prevenire e bloccare gli errori, si trasforma in una miriade dispersa di economisti «complici» che partecipano anch’essi alla pacchia.

È chiaro che in futuro tutta la materia dell’economia finanziaria dovrà essere rigorosamente regolata e controllata. Ma anche l’economia produttiva si deve riorientare e deve cominciare a includere nei propri conti le cosiddette esternalità.

Per esempio, chi inquina l’aria, l’acqua, il suolo, deve pagare. Vale a dire, tutto il sistema di incentivi va modificato. La dissennata esplosione demografica degli ultimi decenni mette a nudo che la terra è troppo piccola per una popolazione che è troppo grande.

Ma anche su questa sproporzione gli economisti non hanno battuto ciglio. Anzi, per loro stiamo andando di bene in meglio, perché tanti più bambini tanti più consumatori e tanti più soldi. Il loro «far finta di non ricevere», di non vedere, è così clamoroso da indurre Mario Pirani a chiedersi (su Repubblica) se gli economisti abitino sulla terra o sulla luna. Io direi su una luna che è due volte più grande della terra.

Ma qui cedo la parola a Serge Latouche, professore alla Università di Parigi, economista eretico ma anche lungimirante. Latouche ha calcolato che lo spazio «bioproduttivo » (utile, utilizzabile) del pianeta Terra è di 12 miliardi di ettari. Divisa per la popolazione mondiale attuale questa superficie assegna 1,8 ettari a persona. Invece lo spazio bioproduttivo attualmente consumato pro capite è già, in media, di 2,2 ettari.

E questa media nasconde disparità enormi. Se tutti vivessero come i francesi ci vorrebbero tre pianeti; e se tutti vivessero come gli americani ce ne vorrebbero sei. La morale di questa storia è che già da troppo tempo siamo infognati in uno sviluppo non-sostenibile, e che dobbiamo perciò fare marcia indietro.

Latouche la chiama «decrescita serena». Serena o no, il punto è che la crescita continua, infinita, non è obbligatoria. Oramai è soltanto suicida.