domenica 31 agosto 2008

Lo “statista” dalle mani bucate

Era facilmente prevedibile che l’ennesimo governo Berlusconi avrebbe rinvigorito ancor piu’ la sua notoria fama di governo dalle mani e tasche bucate, di esecutivo che spende senza alcun raziocinio le poche risorse disponibili nelle semivuote casse dello Stato.

Ma d’altronde e’ giusto cosi’. Gli italiani che hanno votato ancora una volta per lui dovranno prima o poi rendersi conto - sempre che ci riescano, ne dubito fortemente infatti – che il Paese sta per raggiungere il fondo e che con questo governo la velocita’ di caduta e’ destinata ad aumentare ogni giorno di piu’.

E una volta toccato il fondo, tutti costoro saranno poi ben lieti di cominciare a scavare…

Salame? No, farabutto
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 31 Agosto 2008

Italiani che non riuscite a fare la spesa nemmeno dal discount, contenti? Berlusconi ha regalato 5 miliardi di dollari a Gheddafi, uno che governa un Paese ricchissimo, ma ha messo il suo popolo in miseria, perchè i miliardi di dollari petroliferi se li accaparra lui solo, con la sua cricca. Con la vaga promessa che fermerà le barche di immigrati. Al prossimo arrivo a Lampedusa, vedremo se glieli chiederà indietro, i dollari nostri. Non credo.

Chi ha votato Berlusconi, spesso, ha fatto il seguente ragionamento: è già ultra-ricco, non ruberà come gli altri. Magari non ruba, chissà. Ma, in piena sindrome da euforia bipolare, lo scopatore di ministre, aiutato dalla chimica, spende e spande: i soldi nostri, dei contribuenti. Miliardi di dollari al libico.

Stipendi pagati per sette anni ai fancazzisti più fancazzisti, i settemila di Alitalia. Abbiamo superato anche il problema dell’eccesso di auto-blù. Ora, in eccesso ci sono gli aerei blu. Berlusconi s’è comprato (coi soldi vostri) un Airbus 319 con arredamento VIP (tre jumbo non bastavano), oltre a 29 Piaggio P180 (la Ferrari dei cieli) per scarrozzare ministri e generali, scopatrici, veline e p… di Stato, che si aggiungono ai tre Falcon 900 appena comprati. Ogni Piaggio nuovo ci costa 8 milioni di euro.

Per i nostri soldati feriti in Afghanistan, non ce n’era uno a disposzione, hanno dovuto chiedere un passaggio alla Luftwaffe; ma per lorsignori, sono sempre a disposzione, col pieno di kerosene e il catering all’aragosta già pronto. Frattini ci va in vacanza alle Maldive. E fa quasi diventare un modello di oculatezza Fini il kippà che usa una motovedetta dei Vigili del Fuoco per fare il sub, con la sua nuova donna platinata, nel vietatissimo parco marino di Giannutri.

Questa è una Casta peggiore di quell’altra. Più volgare, più cinica, più sprecona, plutocratica e arrogante. Almeno, quella di prima non fatta votare con la promessa di risanare, tagliare, non mettere le mani delle tasche degli italiani.

La «soluzione» Alitalia è un disastro: alla fine dei giochi se la prenderà Air France («è di nuovo interessata», strillano i giornali-servi, in solluchero), ma senza accollarsi i debiti di mezzo secolo di fancazzisti, come aveva accettato prima. I debiti li pagheremo noi, Berlusconi non bada a spese (nostre).

Ma a Berlusconi, è servita a fare piaceri: così si è conquistato l’amicizia di Passera, di Amato, dei cosiddetti imprenditori che non lo ammettevano nei loro salotti buoni. Ha fuso il catorcio Alitalia con Air One, salvandone il proprietario che non sapeva come liberarsene: un amico in più.

Un altro amico nuovo è Ligresti: con l’entrata nella cordata, s’è aggiudicato il Forlanini.
Quell’aeroporto, l’unico utile a Milano, verrà abolito: uno spazio immenso da edificare, tutta grazia per l’immobiliarista, infaticabile investitore dei soldi che arrivano dai compaesani di Paternò. Gli altezzosi banchieri di sinistra, i Benetton, i Montezemolo, gli Stronzetti e i Provera del capitalismo progressista italiota (la nostra borghesia compradora) guardano al Farabutto con nuovi sentimenti: se li è comprati, coi soldi nostri. Sono amici, anzi amiconi.

Sull’enorme defecazione chiamata Alitalia, a mo’ di ciliegina, ha messo come capo il noto Colaninno, il devastatore di Telecom, il capitano coraggioso di D’Alema.

Ormai non c’è più destra o sinistra, nemmeno per finta; c’è la sola ed unica Casta dei ladri di Stato, dei volatori su aerei-blu, dei Gheddafi mediterranei amiconi dei Gheddafi nostrani.

Aspettiamo anche il «federalismo» del Gheddafi padano: saranno altri spargimenti di miliardi nostri, sprecati nel più immondo pasticcio che possa inventare l’inciviltà giuridica italiana. L’immane debito nostrano salirà, e noi dovremo pagarlo: nuove tasse, nuovi aerei blu, nuovi soldi gettati qua e là, nuovi Colaninno.

Votare per gli altri? Inutile, sono già la stessa pappa-e-ciccia. Saranno sempre più tasse per noi, e sempre più Piaggio 180 VIP per lorsignori, chiunque siano. Stiamo diventando esattamente come i libici, con le pezze al culo benchè abitanti su un Paese ricco, perchè devono mantenere il loro Gheddafi. E lo mantengono da tren’anni, senza riuscire a liberarsene.

Chi ci libererà da questi farabutti, se non noi? Occorre un piazzale Loreto.

sabato 30 agosto 2008

La Thailandia sull’orlo del baratro

In Thailandia e' in corso in questi ultimi giorni la fase decisiva dello scontro iniziato tre mesi fa tra il movimento politico People’s Alliance for Democracy (PAD) e il governo guidato da Samak Sundaravej.

Le proteste hanno avuto una repentina escalation quando martedi scorso migliaia di dimostranti del PAD, alcuni dei quali armati, hanno occupato la sede della televisione di Stato e circondato i principali palazzi governativi della capitale, chiedendo le dimissioni del premier Samak, accusato di governare il Paese per conto dell'ex premier Thaksin Shinawatra, deposto due anni fa da un golpe militare incruento largamente sostenuto dalla popolazione e rifugiatosi di nuovo in Inghilterra dopo aver presenziato alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi a Pechino.
Shinawatra era infatti ritornato in patria nel febbraio scorso, qualche giorno dopo la nascita del governo attuale, e a breve sarebbe iniziato l’ennesimo processo contro di lui per frode fiscale e corruzione.

Ma ora le proteste si stanno estendendo anche al di fuori della capitale Bangkok e ieri gli aeroporti di Phuket, Krabi e Hat Yay sono stati occupati e centinaia di turisti sono ora impossibilitati a partire.

La situazione e’ quindi in uno stallo e non e’ facile intuire quale sbocco prendera’, visto che col passare dei giorni crescono le possibilita’ di pericolose conseguenze nel Paese.
Il PAD e’ infatti fermamente risoluto a proseguire la sua protesta fino a quando il premier non si dimettera’, il premier dal canto suo non ha invece assolutamente intenzione di dimettersi e l’esercito non ha risposto alla chiamata di intervento per supportare la polizia nel disperdere i manifestanti che si sono insediati intorno e dentro il palazzo del governo. Va ricordato che il premier e’ anche ministro della difesa.

I militari infatti hanno finora negato di voler intervenire nuovamente, ritenendo inutile e dannoso per il Paese un altro colpo di stato.
E oggi il capo delle forze armate Gen Anupong Paojinda si e’ rifiutato di obbedire ad un eventuale decreto di proclamazione dello stato di emergenza ma ha suggerito al premier di dimettersi o di sciogliere il Parlamento per smorzare la crescente tensione.

Finora solo la polizia ha cercato di contrastare i manifestanti con qualche carica e un centinaio di arresti, dopo l’occupazione della televisione di stato.

Ma il vero pericolo puo’ derivare da un’eventuale divisione nelle forze di polizia e dell’esercito sul come porre rimedio a questa crisi che sembra non avere finora una via di uscita.

Una soluzione indolore potrebbe essere quella dell’uscita dal governo degli altri partiti di coalizione con le conseguenti dimissioni del premier e la formazione di un governo di unita’ nazionale.
Questa soluzione sembra pero’ non soddisfare nessuno anche se il parlamento terra’ domani una seduta comune di Camera e Senato per cercare una via d’uscita da questa pericolosa crisi politica.
Intanto anche i sostenitori del governo si stanno organizzando a Bangkok e hanno occupato una grosso spazio all’aperto ricalcando cosi’ la stessa ben strutturata organizzazione del PAD.

In attesa anche di un segnale indiretto dal venerato Re Bhumipol, la situazione e’ pericolosamente stagnante. Se il premier non si dimettera’ presto e se non si raggiungera’ un accordo tra tutti i partiti in Parlamento sulla formazione di un nuovo governo che porti poi ad elezioni anticipate, sara’ ancora una volta dovere dell’esercito intervenire.

Ma questa volta per prevenire o sedare una potenziale e terribile guerra civile.

lunedì 25 agosto 2008

Ossezia del Sud, Abkhazia, Transdinistria: i primi tre nuovi Kosovo...

Oggi il presidente russo Medvedev ha dichiarato “Possiamo anche fare a meno di avere relazioni con la Nato” se i Paesi dell'Alleanza atlantica dovessero proseguire a rendere difficili i rapporti.
Medvedev, in un colloquio con l'ambasciatore russo presso la NATO, ha aggiunto però che difficilmente si arriverà a questi estremi, ma ha riconosciuto che "le relazioni sono peggiorate di molto in seguito al conflitto della Georgia in Sud Ossezia" e che la Russia “sta considerando varie opzioni nei rapporti con la Nato. La Nato ha più interesse della Russia alla cooperazione. Se non ha intenzione di cooperare, per noi non ci sarà nulla di terribile”.

Parole chiare, precise e sottoscrivibili in toto.

Intanto sempre oggi entrambe le Camere del Parlamento russo hanno approvato un documento che sostiene il riconoscimento da parte di Mosca delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del sud.
Si sa che Unione Europea e Stati Uniti si sono più volte espressi per il mantenimento dell'integrità territoriale della Georgia, una pura chimera dopo la netta sconfitta georgiana nella guerra lampo con la Russia.

Ma come era prevedibile le conseguenze di questa guerra si stanno gia’ facendo sentire nell’area. Il presidente russo, mentre riceveva il il presidente moldavo Voronin, ha infatti dichiarato che gli avvenimenti in Ossezia del Sud sono “un avvertimento serio per tutte le parti in altri conflitti congelati”.

La Moldova, ex repubblica dell'Urss, ha infatti un “conflitto congelato” in casa, nella regione russofona della Transdnistria, ma sembra intenzionata a risolvere la questione per via negoziale, a differenza di quanto attuato dal presidente georgiano.
Voronin ha infatti detto che il suo Paese è pronto a usare “coraggio e energie per non permettere un aggravarsi della situazione attorno alla regione contesa, e non permettere la ripetizione di quanto è successo in Ossezia del sud”.

Nel frattempo i due presidenti di Ossezia del Sud e Abkhazia sono intervenuti alle riunioni del Parlamento di Mosca. Il leader sudosseto, Eduard Kokoity, ha affermato che “Ossezia del Sud e Abkhazia hanno motivi più forti, sia dal punto di vista giuridico che politico, all'indipendenza di quanti ne abbia avuti il Kosovo”. L'abkhazo Sergei Bagapsh ha affermato che “Abkhazia e Ossezia del sud non vivranno mai più con la Georgia nello stesso Stato”.

E’ bene che UE e NATO si ficchino in testa quest’ultima dichiarazione e si mettano col cuore in pace.
La Russia non e’ la Serbia…

Le ragioni della Russia
di Max Gallo – Il Giornale – 23 Agosto 2008

In Georgia s'è aperto un nuovo periodo pericoloso per i rapporti internazionali. A scanso del peggio, innanzitutto spazziamo via le idee false: qui non c'è un conflitto fra democrazia e totalitarismo, fra il presidente dei Diritti dell'Uomo, il georgiano Saakashvili, e l'incarnazione del Kgb, i nostalgici dello stalinismo Putin e Medvedev. La realtà è più complessa.

In primo luogo, georgiani erano Stalin, Beria e Ordzonikidze, che fece dell'Urss una potenza industriale. La statua di Stalin sulla piazza di Gori è gigantesca... Nel 1923, Stalin e Lenin accordarono l'autonomia alle minoranze della Georgia, specie osseti e abkazi. Dovevano appoggiarsi alle minoranze per spezzare il nazionalismo georgiano, già nemico dell'Impero zarista. Nel 1992, dopo uno scontro armato coi georgiani, osseti e abkazi riebbero di fatto lo statuto autonomo perso dopo il crollo dell'Urss. E i russi hanno tutelato queste minoranze.

S'era trovato un compromesso, come testimonia l'oppositrice democratica del presidente Saakashvili, la franco-georgiana Salomé Zaurabisvili, ministro degli Esteri della Georgia, destituita nel 2005; per lei, il regime di Saakashvili, scaturito da una rivoluzione d'ispirazione democratica, democratico non è più, perché limita la libertà di stampa e si fonda su nazionalismo e autoritarismo. Come il sistema russo costruito da Putin.

Ma la crisi non si limita all'attrito fra due nazionalismi autoritari: quello russo, imperiale; e quello di un piccolo popolo che ha sempre resistito al potente vicino e che, talora, prende, come s'è visto, il controllo dell'Impero. La questione centrale non è neanche quella del petrolio, sebbene sia vero che gasdotti e oleodotti attraverso la Georgia aggirano il territorio russo, per togliere a Mosca il controllo dei rifornimenti all'Europa. Da questo punto di vista, la Georgia è area cruciale.

Il nodo della nuova situazione internazionale è in realtà la Russia nei rapporti con Europa e Stati Uniti, insomma con l'Occidente. Domanda brutale: che fare con la Russia? Il periodo dal 1917 in poi, proseguito con la Guerra fredda fino al 1989, ha segnato la permanenza di questo plurisecolare problema geopolitico.

La Russia è Occidente o Asia? I russi sono soci o rivali? Interesse degli occidentali è respingerli, indebolirli o arrivare a un'intesa?

È evidente che, dalla fine dell'Urss, gli Stati Uniti - trascinando gli europei, più prudenti - vogliono impedire che la Russia torni grande potenza internazionale. Washington ha voluto stravincere la Guerra fredda. Le basi militari americane - oggi anche lo scudo antimissile - circondano da vicino la Russia. Gli Stati Uniti hanno sostenuto, per non dir suscitato, «rivoluzioni» democratiche in Georgia, Ucraina, ecc.

E hanno goduto dell'appoggio dei popoli - georgiani, baltici, ucraini, polacchi - che erano stati colonizzati dai sovietici. Culmine dell'offensiva è stato disgregare la Jugoslavia, coi bombardamenti aerei su Belgrado, per finire con l'indipendenza del Kosovo.

Ogni volta la Russia è stata messa davanti al fatto compiuto, umiliata, cacciata indietro in nome dei «diritti dell'uomo»... ben poco invocati quando, come accade ora, la Turchia bombarda i curdi in Irak e agisce con l'esercito nel «Kurdistan».

Ma oggi la Russia ha potenti risorse - materie prime, gas e petrolio - e non retrocede più. E poi è stato il presidente Saakashvili a intervenire militarmente nell'Ossezia del sud, rompendo il precario compromesso.

Si notino le somiglianze fra vecchia e nuova situazione internazionale. La Guerra fredda è tramontata: poste ideologiche in gioco non ce ne sono più. I russi non vogliono imporre un modello sociale e politico. Vogliono controllare una sfera d'influenza e difendere gli interessi nazionali. Europa e Stati Uniti invocano i diritti dell'uomo, ma anche i loro scopi sono meno ideologici che geopolitici.

Il grosso rischio è che - a margine dei grandi insiemi (Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, ecc.) - qualche potenza minore forzi la mano ai protettori. Nel 1914 fu il ruolo dei serbi, che trascinarono le grandi alleanze nella guerra generale. Sarajevo = Tbilisi?

Chi vuol pensare il XXI secolo, analizzi il XIX, più che il XX. Nella partita a scacchi della politica internazionale, l'ideologia non è più la «regina», ma un pedone qualsiasi. E spesso una pura chimera.

giovedì 21 agosto 2008

Russia e Siria, il contraltare a USraele

Il presidente siriano Bashar Assad e’ in questi giorni a Mosca in visita ufficiale, ottenendo cosi’ un importante successo diplomatico per il suo Paese, isolato fino a un anno fa circa.

Dopo questa visita Damasco sarebbe pronta a discutere l'impiego del sistema missilistico russo di difesa "Iskander", anche se da Mosca non è arrivata nessuna proposta in merito.
Il presidente siriano ha detto che il suo Paese vuole migliorare le relazioni militari con il Cremlino per incrementare la propria sicurezza nazionale.

E la stampa israeliana ha gia’ riportato che la Russia starebbe pensando di istallare il suo Iskander in Siria e nella città extraterritoriale di Kaliningrad, sul Baltico, per rispondere allo "scudo spaziale" USA.

Infatti la marina russa sta per arrivare in Siria, con “buona pace” degli israeliani e degli americani che stanno incassando una sconfitta diplomatica (e militare, leggi Georgia) dietro l’altra.

Siria, dall'isolamento alla ribalta
di Naoki Tomasini – Peacereporter – 20 Agosto 2008

Secondo il sito Debka file, vicino all'intelligence israeliana, dopodomani, 23 agosto, arriverà nel porto siriano di Tartous un imponente contingente navale russo, guidato dalla portaerei Admiral Kuznetsov e dal più importante lanciamissili russo, il Moskva e comprendente almeno quattro sommergibili dotati anch'essi di armamenti nucleari.
Che faranno in Siria? E come si è arivati a questo punto?

Il presidente siriano Bashar Assad, a capo di quello che l'amministrazone Usa definisce da anni uno Stato canaglia, ha iniziato in questi mesi a rompere l'isolamento e a recitare un ruolo chiave in tutte le maggiori crisi regionali, dal Libano all'Iraq, dall'Iran alla Russia, senza escludere Usa, Europa e Israele. Il mese scorso, dopo il suo primo viaggio in Francia su invito di Nikolas Sarkozy, Assad si è recato in Iran per rassicurare Ahmadinejad e, mercoledì 20 agosto, è giunto in Russia, dove incontrerà il presidente Medvedev. Con lui discuterà di scenari politici mediorientali e, soprattutto, di armamenti.

Lo ha ammesso lo stesso Assad prima della partenza: “La cooperazione tecnica e militare è il primo obbiettivo. L'acquisto di armi è molto importante e penso che dovremmo accelerarlo dal momento che l'occidente e Israele continuano a mettere pressione sulla Russia”. Proprio la crisi nel Caucaso sembra sia tra le ragioni principali della visita: in seguito all'attacco di Tbilisi in Ossezia del Sud dell'8 agosto scorso, Mosca ha denunciato a più riprese la fornitura di armi, mezzi militari e formazione, da parte di Israele all'esercito di Mikheil Saakashvili.

Israele replica di non aver sostenuto l'esercito georgiano come nazione, bensì attraverso le sue compagnie private nel campo della sicurezza. Tuttavia quelle stesse vendite private possono avvenire solo con un l'approvazione del ministero della Difesa. Secondo Assad il ruolo che Israele sta ricoprendo nei conflitti mondiali non fa altro che spingere paesi come la Siria (cioè i nemici degli Usa e alleati di Russia e Iran) a stringere i legami con Mosca. Fonti diplomatiche russe, citate dall'agenzia Interfax, confermano che Mosca e Damasco starebbero per firmare diversi accordi per la fornitura di sitemi missilistici anti-aerei e non solo.

Nonostante le pressioni israeliane, che in passato erano riuscite a bloccare queste forniture, oggi Assad e Medvedev sembrano intenzionati a riallacciare quel legame, sia commerciale che politico, che stingeva assieme Damasco e Mosca nel corso della Guerra Fredda. Il sostegno dichiarato da Assad per le operazioni russe nel Caucaso è stato il primo passo, gli accordi che verranno firmati in questi giorni ne saranno la logica conseguenza. “Il sostegno fornito da Israele alla Georgia nel suo conflitto con la Russia è destinato a condizionare, nel prossimo futuro, i rapporti tra Russia e Israele, oltreché quelli tra Mosca e i paesi arabi” ha concluso il siriano.

La rinnovata cooperazione tra Siria e Russia è dunque una questione che oltrepassa i confini del medioriente, e Assad si è dimostrato consapevole del peso specifico dell'accordo, dicharando di essere anche disposto a ospitare in territorio Siriano i sistemi missilistici russi di tipo Iskander, come risposta al progetto Usa di Scudo Spaziale nell'Europa orientale. “Vogliamo collaborare con la Russia in tutto ciò che può consolidare la sua sicurezza” ha dichiarato al quotidiano russo Kommersant, e ha concluso paventando un ipotetico isolamento ai danni di Mosca che “deve pensare a misure di risposta se si troverà accerchiata”. “Bashar Assad è sempre più un pilasto del Medio Oriente” scriveva il cronista dell'Independent, Robert Fisk, all'indomani della sua visita a Teheran.

Secondo Fisk il presidente siriano si trova oggi in posizione di forza “senza aver sparato un colpo”. Sarkozy aveva bisogno di lui per mediare con il presidente iraniano Ahmadinejad sulla questione del Nucleare e della sua influenza in Libano per stabilizzare anche il paese dei Cedri. Lo scorso 16 agosto c'è stata la storica visita del presidente libanese Michel Suleiman a Damasco, storica perché sancisce la nascita di relazioni diplomatiche “normali” tra Beirut e Damasco, dopo che per anni il libano era stato un protettorato siriano. D'altro canto, però, Assad non ha rinunciato a sostenere i sogni nucleari di Teheran e, parlando con Ahmadinejad, ha sostenuto la sua visione di una cospirazione israelo-statunitense.

Un fatto imperdonabile per l'amministrazione Bush, che però a sua volta ha bisogno di lui per non perdere il controllo della situazione in Iraq. Nei mesi scorsi, con la mediazione della Turchia, Assad aveva anche intavolato una trattativa con Israele per la restituzione delle alture del Golan, ma non per questo aveva rinunciato a esprimere il proprio sostegno per Hezbollah e Hamas, la cui leadership politica trova asilo a Damasco.

La Russia si riprende il suo posto al sole

Qui di seguito altri articoli sulle conseguenze della guerra tra Georgia e Russia.

Operazione Saakashvili
di Giulietto Chiesa –Megachip – 21 Agosto 2008

Quei giorni di agosto 2008 resteranno sicuramente nella storia come giorni di una svolta, di un drastico del quadro politico internazionale. La Russia non è più quella che, per 17 anni, l'Occidente aveva immaginato che fosse. E' ben vero che, i primi anni dopo il crollo, l'euforia del trionfo dell'Occidente era stata corroborata da una leadership russa di Quisling, capitanati da un ubriacone rozzo e baro, come lo fu Boris Eltsin. Ma dopo, con la sua dipartita dal potere russo, la musica aveva cominciato a cambiare. I segnali erano tanti. Ma i vincitori erano convinti che Vladimir Putin facesse il muso duro solo per rabbonire i russi umiliati, mentre, in realtà, proprio lui stava - lentamente, ma con chiara progressione - mettendo le basi per un cambiamento. Solo che, come dice un antico proverbio coltivato sotto ogni latitudine, Dio acceca coloro che vuole perdere.

L'illusione sulla disponibilità dei russi a lasciarsi mettere ormai il piede sul collo in ogni occasione avrebbe dovuto assottigliarsi e dare spazio al realismo. Da queste colonne ho scritto più volte - i lettori lo ricorderanno - che la Russia aveva smesso di ritirarsi e che sarebbe venuto il momento in cui tutti avremmo dovuto accorgercene.

Al giovane avvocato americano Saakashvili, e ai suoi consiglieri e amici americani e israeliani, agli europei che continuano a tenere bordone, è toccato di sperimentare che la ritirata della Russia è finita. Resta loro ancora da capire che è finita per sempre. Nel senso che, per un periodo di tempo oggi non prevedibile, l'Occidente, o quello che ne resta, dovrà fare i conti con una Russia tornata protagonista mondiale. E non solo perchè la Russia è oggi molto più forte di quello che era nel 1991, ma perchè l'Occidente - e in primo luogo gli Stati Uniti d'America - è molto più debole di allora. Sotto tutti i profili. Otto anni di George Bush hanno logorato l'America, il suo prestigio. Ma non è solo politica.

La crisi della finanza internazionale è nata dalla "Grande Truffa" dei mutui facili, costruita da Wall Street. La crisi energetica, evidente a tutti salvo a chi non vuole vederla, incombe ormai sull'intera economia mondiale e determinerà contraccolpi drammatici in tutto il mondo, mentre la Russia si trova ad essere l'unica grande potenza che ha tutte le risorse al suo interno e non avrà alcun bisogno di andarsele a prendere, con la forza, fuori dai suoi confini.

Il cambiamento climatico colpirà ogni area del pianeta, ma tra tutte la più avvantaggiata sarà proprio la Russia, mentre Europa e Stati Uniti dovranno difendersene in tempi relativamente rapidi. L'Europa, in primo luogo, avrà un bisogno imperioso, non eliminabile, dell'energia russa per fronteggiare una transizione a una società che non sarà più quella della crescita dei consumi (che verrà resa impossibile dalle nuove condizioni di scarsezza relativa e assoluta di risorse). Queste sono considerazioni di elementare realismo, alle quali molti dirigenti europei e entrambi i candidati alla presidenza americana, sembrano essere impermeabili.

La loro visione del mondo ha continuato, in questi diciassette anni, ad essere quella della guerra fredda, dei vincitori. E hanno assunto come bibbia per i loro pensieri il libretto che Zbignew Brzezisnki aveva scritto parecchio tempo prima della caduta dell'Unione Sovietica: obiettivo prossimo venturo, "dopo la liquidazione del comunismo", dovrà essere la liquidazione della Russia, la sua scomposizione, la sua trasformazione in tre repubbliche (Russia Europea, Siberia Occidentale, Estremo Oriente russo) prima "leggermente federate" e poi indipendenti.

Con la parte europea assorbibile dall'Europa, la Siberia Occidentale in mano americana, e l'estremo oriente russo messo a disposizione di Giappone e Cina, a sua volta omogeneizzata alla globalizzazione americana. Come sappiamo le cose sono andate molto diversamente su tutti i fronti. Ma la pressione sulla Russia è stata mantenuta, continua, asfissiante. Basta guardare oggi alle immagini della manifestazione di Tbilisi, in cui Saakashvili ha cercato di rimettersi in piedi dopo la durissima lezione subita tra il 6 e il 9 agosto, e passare in rassegna i nomi degli "ospiti" alleati morali (l'Ucraina anche alleata materiale) dell'aggressione all'Ossetia del Sud, per avere il quadro dei risultati di quella politica di Washington. Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Ucraina in fila, con i loro presidenti, di fronte alla folla georgiana: vista sulla carta geografica è la rappresentazione dell'accerchiamento, di una nuova, davvero insensata, irrealistica operazione di accerchiamento.

Aggiungendo la Georgia ecco completato il semicerchio con cui tutte le frontiere della Russia diventano bastioni di un'offensiva politico-diplomatico-energetica-psicologica antirussa. Mancavano, tuttavia, la Romania, la Bulgaria, perfino la Repubblica Ceca di quel reazionario con i fiocchi di Vaclav Klaus. Mancavano l'Ungheria la Slovacchia e la Slovenia, forse solo un tantino più prudenti, forse resesi conto che la corda era stata tirata troppo ed è giunto il momento di frenare se non si vogliono maggiori guai. Mancava perfino l'Italia, figurarsi!

E il giorno dopo Varsavia firmava l'accettazione del nuovo sistema missilistico americano. Primo atto, presentato come "di ritorsione" dai media occidentali, mentre era in preparazione da almeno due anni. E, a proposito dei media occidentali, resta solo da constatare che l'ondata di menzogne da essi prodotte (con rarissime eccezioni) , se ha dato l'impressione momentanea di un isolamento completo della Russia in tutto l'Occidente, ha rappresentato la classica vittoria di Pirro.

Non solo perchè i fatti, gli avvenimenti sul terreno, hanno confermato le versioni che venivano date dalla Russia e dai suoi media, ma perchè la falsificazione è stata così imponente, così sfacciata che negli anni a venire verrà ricordata da milioni di russi (e da miliardi di persone in tutto il mondo non occidentale) come la prova definitiva che il mainstream informativo occidentale è ormai diventato un megafono - attivo e passivo - dei centri imperiali del potere.

Dunque non più affidabile. Sono quelle cose che in politica si pagano, magari non subito, magari dopo anni, ma restano nella memoria dei popoli, nella psicologia collettiva. Questa volta i bugiardi, gli aggressori non sono stati i russi, ma "i nostri". E non hanno mentito, imbarazzati, solo i portavoce. In quelle ore mentivano i numeri uno, sfilando, uno dietro l'altro davanti alle telecamere famose delle maggiori catene disinformative. Bush che annuncia il prossimo assalto a Tbilisi e il rovesciamento del "democratico governo della Georgia", Mc Caine che ripete la giaculatoria, e via tutti gli altri, incluso Obama. Dio ci protegga da questo futuro presidente americano, chiunque sia, nero o bianco, vecchio o giovane, democratico o repubblicano.

"La Russia ha occupato Gori"; "colonne di tank russi si dirigono su Tbilisi". Le vie di Tzkhinvali, devastate dall'assalto di un esercito di migliaia di uomini di centinaia di carri armati, di aerei e elicotteri, mostrate al pubblico come fossero le strade di Gori "selvaggiamente bombardate" dagli aerei russi. Notizie di bombardamenti dell'oleodotto Baku-Ceyhan date per certe, ma inventate, offrono spazio a decine di commenti sul nulla.

Ma il vertice dell'ipocrisia avviene quando i media occidentali, resisi conto che la Russia non punta affatto a conquistare Tbilisi e che si è fermata sulle frontiere dell'Ossetia del Sud e dell'Abkhazia, cominciano a stigmatizzare indignati i bombardamenti che la Russia ha effettuato fuori da quelle frontiere.

Come se tutti si fossero dimenticati che gli aerei della Nato, nel 1999, andarono a bombardare Belgrado e decine di piccoli e medi centri urbani della Jugoslavia. Semplicemente per punire la popolazione, per democratizzarla, distruggendo ponti, infrastrutture, fabbriche, ospedali. E naturalmente uccidendo centinaia, anzi migliaia di civili. Due pesi e due misure, come al solito. Noi siamo i buoni, loro sono i cattivi. Punto e basta.

Punto e basta lo ha detto ora la Russia di Medvedev e Putin. L'Ossetia del Sud e l'Abkhazia saranno riconosciute formalmente come repubbliche indipendenti dalla Russia. Fino ad ora non era avvenuto. L'avventura sanguinosa di Saakashvili e di Washington lo ha reso inevitabile prima ancora che possibile. Medvedev ha detto, senza la minima ambiguità, che la Russia accetterà le decisioni dei due popoli e le trasformerà in atti politici e diplomatici, "uniformando la propria posizione internazionale a quelle decisioni". E non vi è dubbio quali saranno quelle decisioni. E non vi saranno passi indietro rispetto a quello che ossetini e abkhazi hanno già ripetutamente scelto nei referendum per la sovranità che hanno approvato.

L'"integrità territoriale" della Georgia - questa la formula difesa da diverse risoluzioni del Parlamento Europeo che io non ho mai votato - non sarà più possibile. Saakashvili è politicamente finito. Lo terranno in piedi ancora per qualche tempo, poi dovranno spiegargli che e' meglio se torna a fare l'avvocato negli Stati Uniti.

La Georgia nella Nato forse entrerà, se l'Occidente insiste nella sua offensiva antirussa. E forse entrerà anche l'Ucraina. Impossibile prevedere lo sviluppo di questi eventi perchè le variabili sono troppo numerose per essere calcolate tutte. Ma gli occidentali dovrebbero sapere che ogni passo che faranno in questa direzione sarà duramente contrastato dalla Russia che, come è evidente, ha smesso di ritirarsi.

Georgia e Ucraina in Europa sembrano oggi, viste da Bruxelles, più difficili di prima. La crisi georgiana ha mostrato che in Europa vi sono forze ragionevoli che non vogliono portarsi in casa una guerra e non vogliono creare una crisi di enormi proporzioni (con l'Ucraina spaccata in due). L'operazione Saakashvili si è rivelata un vero disastro geopolitico per gli Stati Uniti. Le onde di risucchio andranno lontano. La guerra fredda è ricominciata, e non per colpa della Russia. L'Europa dovrà decidere da che parte stare.


Le colpe di Washington nel dramma della Georgia
di Massimo fini – http://www.massimofini.it/ – 15 Agosto 2008

La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia.

Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese).
La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo. Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti.
Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).
Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato).
Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi.
L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.
E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Come Soros e il Foreign Office crearono l’odierno regime georgiano
http://www.movisol.org/ – 20 Agosto 2008

Dopo aver servito i suoi padroni nelle guerre dei Balcani del 1990-1991, George Soros lavorò ad un ciclo di missioni di addestramento a Belgrado, da cui lanciò più tardi la “Rivoluzione Rosa”, la “Rivoluzione Arancione”, e altri elementi di una serie di insurrezioni pensate per destabilizzare gli stati nazionali prescelti e creare un “anello attorno alla Russia” con cui arrivare al confronto armato tanto desiderato da Londra. Una delle operazioni più importanti di Soros fu il rovesciamento del presidente georgiano Eduard Shevardnadze e la sua sostituzione con Mikheil Saakashvili, educato nell’ambito del progetto “Open Society Institute” da lui animato da alla Columbia University. Proprio per mandare a casa Shevardnadze, dal 1994 al 2004, con i tanti progetti e sottoprogetti di Soros furono spesi più di 40 milioni di dollari.
Nei primi mesi del 2003, Soros cominciò a pieno regime le azioni con cui attivare le “truppe” che avrebbero dovuto iniziare la conquista “democratica” della Georgia. Nel novembre successivo, il quotidiano canadese Globe and Mail fornì una descrizione molto precisa della cosa:"Tbilisi – È in febbraio che il finanziere miliardario George Soros ha posato la prima pietra del progetto di rovesciamento del presidente georgiano Eduard Shevardnadze.""In quel mese, con i soldi provenienti dal suo Open Society Institute un attivista di Tbilisi, il trentunenne Giga Bokeria, fu spedito in Serbia per incontrare i membri del movimento Otpor [resistenza] e imparare da essi come condurre dimostrazioni di piazza simili a quelle che avevano rovesciato il dittatore Slobodan Milosevic.
Nell’estate, poi, la fondazione del Sig. Soros rimborsò il viaggio di ritorno in Georgia ad alcuni attivisti di Otpor, i quali istruirono per tre giorni consecutivi oltre un migliaio di studenti su come allestire una rivoluzione pacifica."“Lo scorso fine settimana, il Liberty Institute, fondato con l’aiuto del Sig. Bokeria, è stato lo strumento con cui organizzare le proteste di piazza che hanno forzato il Sig. Shevardnadze a rassegnare le proprie dimissioni. Il Sig. Bokeria ha detto di aver imparato a Belgrado… come usare le tattiche di pressione popolare che si sono dimostrate così persuasive a Tbilisi, dopo le dubbie elezioni parlamentari di questo mese."La Georgia non è stata l’unica nazione colpita dalle truppe giacobine della rivoluzione “colorata” addestrate da Soros. Il copione è stato ripetuto anche in Ucraina e in altre nazioni un tempo appartenenti al blocco sovietico.
Come attestò il giornalista Mark Almond il 14 novembre 2007, Saakashvili giunse al potere nel 2004 grazie ai tanti milioni di dollari forniti a lui e ad ogni suo uomo (lungo tutta la scala gerarchica) dal miliardario Soros e dall’allora vice segretario generale dell’ONU Mark Malloch Brown (oggi Lord Malloch Brown, segretario generale del Foreign Office britannico). Almond scrisse che, durante le elezioni del 2007, i poliziotti del governo Saakashvili, ben pagati con 1000 dollari al mese (una bella cifra in Georgia), agirono come una milizia in grado di dare man forte alle intimidazioni contro le opposizioni.
Il golpista dell'Impero
Lord Malloch Brown non è soltanto quel collaboratore di Soros che aiutò a rimpinguare le casse degli apparati di ‘guerra allo stato nazionale’ con i soldi delle Nazioni Unite: egli è anche socio in affari con Soros. Nell’aprile 2007, Malloch Brown fu eletto vicepresidente del Quantum Fund, la finanziaria da cui provengono i tanti miliardi dello speculatore Soros. Una settimana dopo era nominato direttore generale del Foreign Office.
Il Financial Times riportava che “Sir Mark [ora Lord Malloch Brown] sarà anche vicepresidente del filantropico miliardario Open Society Institute, che promuove la democrazia e i diritti umani, particolarmente in Europa orientale e nell’ex Unione Sovietica”.
Il quotidiano inglese aggiungeva, il primo maggio dello stesso anno, che “con una lettera agli azionisti dei vari hedge fundsdel Quantum Fund, il Sig. Soros diceva che Sir Mark avrebbe espresso consigli su un ventaglio di questioni a lui e ai suoi due figli, che quotidianamente gestiscono la società. Con i suoi tanti contatti internazionali, Malloch Brown aiuterà a creare occasioni in giro per il mondo per l’amministrazione del fondo di Soros…”Lord Malloch Brown è nel business dei "cambiamenti di regime" da una vita. Nato in Rhodesia da una famiglia di proprietari terrieri dell'Impero, un certo istinto coloniale gli scorre nelle vene.
Nel 1986 abbandonò la carriera di giornalista all'Economist per entrare nella sezione internazionale di un aggressivo studio di consulenza politica americano, Sawyer & Miller, per cui svolse attività di consulenza in favore di Corazon Aquino, allora leader dell'opposizione filippina. Egli si vanta di aver partecipato in maniera decisiva al rovesciamento del presidente Marcos. Nel 1990 Malloch Brown rappresentò il romanziere fascista peruviano Mario Vargas Llosa, che si candidò alle elezioni presidenziali proponendo la legalizzazione della droga e sacrifici per le classi popolari. Naturalmente perse.
Lo studio Sawyer & Miller ha anche promosso campagne a favore del Dalai Lama. Malloch Brown e Soros tramano in combutta contro gli stati nazionali almeno dal 1993, quando il primo aderì a un gruppo organizzato dal finanziere anglo-ungherese, che aveva il compito di stilare suggerimenti su come spendere un fondo di 50 milioni di dollari per "ricostruire" la Bosnia, dopo che questa era stata distrutta dalla guerra orchestrata dai britannici.Durante il suo mandato come vicesegretario dell'ONU, egli e Soros sembravano inseparabili, come Gianni e Pinotto.
Nel 2002 tennero assieme una conferenza stampa a Monterrey, nel Messico, per annunciare piani su come usare i fondi dell'ONU, integrandoli con fondi procurati da Soros, per controllare l'economia e la politica dei paesi del terzo mondo. Soros non agiva come filantropo, ma in veste di presidente del Soros Management Fund, un noto fondo speculativo. Oggi non esisterebbe il governo Saakashvili senza Soros e Malloch Brown.
Nel gennaio 2004, alla riunione del World Economic Forum a Davos, Soros, Malloch Brown e Saakashvili comparvero assieme ad una conferenza stampa per annunciare un fondo di 1,5 milioni di dollari, due terzi dei quali provenienti dall'Open Society Institute e un terzo dal Programma di Sviluppo dell'ONU. I fondi erano destinati ad un "programma di riforma della governance" in Georgia, il cui progetto principale erano bustarelle organizzate: un "Fondo di supplemento salariale".
Il rapporto dell'UNDP – allora diretto da Malloch – confessava che quei finanziamenti avevano spinto "il presidente russo Vladimir Putin [...] a rimproverare il Sig. Saakashvili di essere sul libro paga del Sig. Soros". Nel 2006, i supplementi salariali superavano il milione di dollari al mese, secondo il rapporto UNDP.Questi fondi sono andati ad un vasto contingente di agenti di Soros che sono il governo della Georgia: il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale Alexander Lomaia; il vice ministro degli Esteri Giga Bokeria (uno dei primi ad essere addestrato dagli squadristi serbi di Otpor); il presidente della Commissione per l'Integrazione Europea del parlamento georgiano, David Darchiashvili; e tanti a seguire.Ora Lord Malloch Brown è il segretario generale del Foreign Office. Si sarà preoccupato di dimettersi dal Quantum Fund e dall’Open Society Institute? Lo diciamo a coloro che ancora si indignano per i conflitti d’interesse, senza guardare più in alto.

martedì 19 agosto 2008

Russia-NATO: sale la tensione

Mentre i russi si stanno ritirando dalla Georgia la tensione tra Mosca e Tbilisi resta però alta. La Russia ha infatti parzialmente chiuso il confine con la Georgia per impedire a "terroristi stranieri" di entrare nel suo territorio. La frontiera russa con la Georgia, come con l'Azerbaijan, resterà chiusa per tutti coloro che non sono cittadini della CSI – la Comunita’ degli Stati Indipendenti, il gruppo di Stati ex sovietici guidato dalla Russia - in base a un decreto firmato dal premier Putin e pubblicato oggi.

Inoltre il capo del Servizio di sicurezza federale russo, Alexander Bortnikov, ha sottolineato che “Ci sono giunte informazioni sulla preparazione di atti terroristici da parte dei servizi segreti georgiani e sull’intenzione di leader miliziani di intensificare la loro attività. Per questo, ho ordinato contro-misure per assicurare protezione a strutture pubbliche, trasporti, industrie, infrastrutture energetiche e aree densamente popolate in primo luogo nei distretti federali meridionali”.

Mentre il gen Anatoli Nogovitsin, vice comandante dello stato maggiore russo, ha dichiarato che entro la fine di agosto navi da guerra Usa, canadesi e polacche entreranno nel Mar Nero, ma Mosca non ha intenzione di dotare di armi nucleari la sua flotta del Baltico, come invece la stampa Britannica aveva riportato al fine di disinformare.

Sempre oggi si e’ tenuto il consiglio straordinario dei ministri degli Esteri dei Paesi Nato e al termine della seduta il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, citando una frase contenuta nel documento finale, ha dichiarato “Con la Russia non può più essere business as usual. Questo meeting straordinario lo dimostra. Le relazioni future con la Russia dipenderanno dalle azioni concrete che Mosca intraprenderà per dare seguito all'attuazione del piano di pace. Non intendiamo chiudere tutte le porte di comunicazione con la Russia”.
La Nato ha infine deciso anche di istituire una speciale commissione per relazioni più strette con la Georgia.

Ma e’ l’accordo firmato pochi giorni fa tra Polonia e USA a porre inquietanti interrogativi sulle future relazioni dell’Occidente con la Russia.
E sembra proprio che una nuova Guerra Fredda sia all’orizzonte.


Difesa missilistica: Washington e la Polonia portano il mondo verso la guerra
di F. William Engdahl - Global Research – 15 Agosto 2008
tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO

La firma il 14 agosto di un accordo tra i governi degli Stati Uniti e della Polonia per lo spiegamento sul suolo polacco di ‘missili intercettori’ Usa è la più pericolosa mossa verso una guerra nucleare che il mondo abbia visto dalla crisi cubana dei missili del 1962. Lungi dall’essere una mossa difensiva per proteggere gli Stati europei della Nato da un attacco nucleare russo, come hanno fatto notare gli strateghi militari i missili Usa in Polonia pongono una minaccia esistenziale totale alla futura esistenza della nazione russa.

Il governo russo ha rilasciato ripetuti avvertimenti su questo fatto a partire dal momento in cui per la prima volta i piani Usa vennero svelati all’inizio del 2007. Oggi, nonostante ripetuti tentativi diplomatici da parte della Russia di raggiungere un accordo con Washington, l’amministrazione Bush, in seguito all’umiliante sconfitta Usa in Georgia, ha esercitato pressioni sul governo polacco perché infine firmasse l’accordo. Le conseguenze potrebbero essere impensabili per l’Europa e per il pianeta.

L’accordo preliminare per posizionare gli elementi dello scudo di difesa missilistica globale Usa è stato firmato dal viceministro degli esteri polacco Andrzej Kremer e dal capo dei negoziatori Usa John Rood il 14 agosto. In base ai suoi termini Washington prevede di posizionare 10 missili intercettori in Polonia accoppiati con il sistema radar della Repubblica ceca che afferma risibilmente essere volto a contrastare attacchi da quelli che definisce “Stati canaglia”, compreso l’Iran. Per raggiungere l’accordo Washington ha acconsentito a rinforzare le difese aeree polacche.

L’accordo deve essere ancora approvato dai governi dei due paesi e dal Parlamento polacco. Il primo ministro polacco Donald Tusk, durante un commento televisivo, ha affermato che “gli eventi nel Caucaso mostrano chiaramente che tali garanzie di sicurezza sono indispensabili”. Le discussioni tra Polonia e Stati Uniti riguardanti i missili si sono trascinate per mesi prima delle recenti ostilità in Georgia. Il portavoce stampa della Casa Bianca di Bush, Dona Perino, ha affermato ufficialmente: “crediamo che la difesa missilistica sia un contributo sostanziale alla sicurezza collettiva della Nato”.

Funzionari affermano che la base di intercettori in Polonia verrà aperta nel 2012. L ’otto luglio la Repubblica ceca aveva firmato un accordo per ospitare un radar Usa. La firma assicura ora un’escalation di tensioni tra la Russia e la Nato e una nuova corsa agli armamenti da guerra fredda in piena potenza. È importante che i lettori comprendano, come descrivo in modo estremamente dettagliato nel mio libro che uscirà in autunno Full Spectrum Dominance: The National Security State and the Spread of Democracy [“Dominio ad ampio spettro: lo stato di sicurezza nazionale e la diffusione della democrazia”], che la capacità da parte di una delle due fazioni opposte di mettere dei missili antimissile entro 90 miglia dal territorio dell’altra, anche solo con una batteria di missili antimissile primitiva di prima generazione, fornisce a tale fazione una virtuale vittoria in un equilibrio nucleare e costringe l’altra parte a prendere in considerazione una resa incondizionata o a reagire preventivamente lanciando un suo attacco nucleare prima del 2012.

Anziani legislatori russi hanno affermato venerdì che l’accordo danneggerebbe la sicurezza in Europa, e hanno ripetuto che la Russia dovrà intraprendere passi per assicurare la sua sicurezza. Andrei Klimov, vice presidente del comitato affari internazionali della Duma russa, ha affermato che l’accordo è pensato per dimostrare “la lealtà di Varsavia agli Usa e ricevere benefici materiali. Per gli americani è un’opportunità per espandere la loro presenza militare nel mondo, anche in vicinanza della Russia. Per la Nato si tratta di un rischio aggiuntivo… Molti paesi Nato non ne sono contenti, tra cui Germania e Francia”.

Klimov ha definito l’accordo un “passo indietro” verso la guerra fredda.

La risposta russa

I piani USA di costruire un radar nella Repubblica ceca e posizionare i 10 missili intercettori nella Polonia settentrionale come parte di uno scudo missilistico a controllo Usa per l’Europa e il Nordamerica sono stati ufficialmente venduti sotto la risibile spiegazione che fossero volti contro possibili attacchi da “Stati canaglia” tra cui l’Iran.

La scorsa primavera, l’allora presidente russo Vladimir Putin, mostrò la superficialità della propaganda Usa offrendo ad uno sconcertato presidente Bush l’uso da parte della Russia di stabilimenti radar russi in Azerbaijan sul confine iraniano per meglio monitorare possibili lanci di missili da parte dell’Iran. L’amministrazione Bush ha semplicemente ignorato l’offerta, mostrando che il vero obiettivo è la Russia e non “stati canaglia come l’Iran”.

La Russia vede giustamente lo schieramento dello scudo missilistico Usa come una minaccia alla sua sicurezza nazionale. Quest’ultimo accordo con la Polonia anticipa una risposta russa. Funzionari russi hanno precedentemente detto che Mosca avrebbe schierato i suoi missili tattici Iskander e i bombardieri strategici in bielorussia e nella più occidentale provincia russa di Kaliningrad se Washington avesse portato a compimento i suoi piani sullo scudo missilistico in Europa.

Mosca ha anche avvertito che potrebbe prendere come obiettivo i missili sul suolo polacco. Secondo un esperto militare russo, la Russia sta anche discutendo la messa in orbita di un sistema di missili balistici di risposta ai piani di difesa missilistica Usa per l’Europa centrale. Il colonnello generale Viktor Yesin, ex capo di stato maggiore delle Forze Missilistiche Strategiche Russe, attualmente vice presidente dell’Accademia per gli Studi sulla Sicurezza, la Difesa e la Giustizia, ha affermato: “potrebbe essere implementato un programma per creare missili balistici in orbita capaci di raggiungere il territorio Usa tramite il polo sud schivando le basi Usa di difesa aerea”.

L’Unione Sovietica aveva abbandonato tali missili seguendo quanto stabilito dal trattato START I, parte di accordi post guerra fredda con gli Usa, accordi che sono stati “significativamente ignorati da Washington, dal momento che ha spinto i confini della Nato sempre più vicino alle porte di Mosca”.

Anche Obama appoggia la difesa missilistica

L’accordo dividerebbe ulteriormente i paesi europei tra quegli Stati che il consigliere per la politica estera di Barack Obama, Zbigniew Brzezinski, definisce apertamente “vassalli” Usa e stati che cercano politiche più indipendenti.

Qualunque illusione che una presidenza democratica di Obama significherebbe un passo indietro su tali provocatorie mosse militari di questi ultimi anni da parte degli Usa e della Nato dovrebbe essere abbandonata dal momento che la squadra di politica estera di Obama comprende altri pericolosi pensatori in aggiunta a Zbigniew Brzezinski, quali il figlio dello stesso Brzezinski, Ian Brzezinski, attuale Vice Assistente Segretario alla Difesa per gli Affari Europei e la Nato. Ian Brzezinski è un devoto sostenitore della politica di difesa missilistica Usa così come dell’indipendenza del Kosovo e dell’espansione della Nato in Ucraina e Georgia.

lunedì 18 agosto 2008

La Georgia isolata dall'UE

Lo Stato maggiore delle forze russe ha annunciato oggi l’inizio del ritiro delle truppe dalle Georgia, in linea con quanto promesso ieri dal presidente Medvedev. Ma secondo l’edizione online del New York Times, i russi stanno schierando nell’Ossezia del Sud basi di lancio per missili a corto raggio SS-21, in grado di raggiungere la maggior parte del territorio georgiano, compresa la capitale Tbilisi.

E sempre oggi Medvedev ha dichiarato che “Chiunque proverà ad aggredirci e a uccidere i nostri cittadini riceverà una risposta schiacciante. La Russia avrà truppe sufficienti per rispondere a qualsiasi aggressione”. Parole che ogni Capo di Stato, responsabile della sicurezza dei propri concittadini, sottoscriverebbe in toto.

Intanto il rappresentante permanente russo presso la NATO Dmitri Rogozin ha definito "inaccettabili" le dichiarazioni del segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, su un uso sproporzionato della forza da parte della Russia in Georgia. Rogozin in un'intervista al quotidiano ufficiale «Rossiskaia Gazeta» ha dichiarato che “Mosca intende rivedere le sue relazioni con la Nato a causa di quelle dichiarazioni poco serie, tanto più da parte di un'organizzazione che ha usato la forza in modo assolutamente sproporzionato contro la popolazione civile, soprattutto nel quadro del conflitto del 1999 in Iugoslavia”.
Un ragionamento che non fa una grinza.

Mentre la televisione russa Vesti-24 ha annunciato che Eduard Kokoity, il leader dell’Ossezia del Sud, ha sciolto il governo e proclamato lo stato d'emergenza nella regione ''Ho firmato tre decreti: uno per le dimissioni del governo, un altro per la proclamazione dello stato d'emergenza in Ossezia del Sud e il terzo per la creazione di un comitato d'emergenza per la gestione delle conseguenze dell'aggressione georgiana''. Kokoity ha poi ribadito che non intende ospitare osservatori straneri nel territorio sudosseto, ma anzi vuole chiedere a Mosca di installare in zona una base militare permanente.

Intanto Saakashvili ha deciso di cambiare linguaggio e toni. In un appello televisivo alla nazione ha affermato che “Dopo il ritiro delle truppe russe dalla Georgia, dovremo pensare seriamente alla ricerca di una forma di rapporto fra i due Paesi, perchè i nostri popoli non si sono voltati le spalle per sempre. Bisogna iniziare a riflettere per evitare un divorzio definitivo con Mosca”.

Finalmente ha capito che deve dialogare con i russi, visto che l’esercito georgiano ha subito una pesante sconfitta e la Georgia non ha ricevuto dall’Occidente il sostegno sperato.


Tbilisi: «Anche Israele ci ha tradito»
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 17 Agosto 2008

Temur Yakobashvili è il cittadino israeliano che in Georgia è diventato ministro per la reintegrazione territoriale, ossia con il compito di riprendere le provincie separatiste filo-russe. E’ quello che il giorno dell’attacco georgiano, parlando alla radio dell’armata israeliana, disse che «Israele deve essere fiero della preparazione che ha dato alle nostre truppe».

Ora che Saakashvili è stato costretto a firmare il cessate-il fuoco dettato da Sarkozy (i media avevano detto che l’aveva firmato per primo, ma non era vero), Yakobashvili ha cambiato registro: «Israele ci ha tradito come gli europei e gli Stati Uniti». Secondo lui, «le truppe NATO dovevano difendere le infrastrutture vitali georgiane»; invece persino Israele «ha fatto come volevano i russi. Ha aiutato i terroristi. Non so cosa abbia ottenuto in cambio, io vedo che Hezbollah continua a ricevere armi russe, e tante» (1).

«Israele deve proteggere gli interessi che ha qui», ha continuato Yakob: «Ci sono molti uomini d’affari israeliani che hanno investito denaro, e un Paese deve proteggere gli investimenti dei suoi cittadini». Ha aggiunto che loro, i georgiani, avevano avvertito Washington che i russi si preparavano a contrattaccare, «ma ci hanno detto che i georgiani stavano di nuovo esagerando».

La tendenza ad esagerare perdura, percjhé Yakobashvili ha proclamato che le truppe di Tbilisi avevano «distrutto la 58ma armata russa» e abbattuto 17 aerei e tre elicotteri. Ma poi la meravigliosa armata georgiana ha dovuto ritirarsi, «perchè la Russia ha dispiegato 30 mila uomini e migliaia di carri armati. Il nostro non è un popolo suicida». Oggi a Gori, ha aggiunto, «è in corso un progrom cosacco contro la popolazione locale (i giornalisti sul posto smentiscono, ndr). Come ebreo, questo mi dà i brividi».

Se non altro, queste recriminazioni dimostrano che il regime georgiano sta cominciando a sentirsi in difficoltà, e teme di pagare per i suoi errori. «Abbandonato» dal cosiddetto Occidente e «tradito» persino da Israele, Saakashvili teme di non sopravvivere politicamente.

Probabilmente, giorno dopo giorno, anche gli altri Paesi dell’Est che hanno fidato negli Stati Uniti, mettendosi al loro servizio per regolare i loro vecchi conti con Mosca, trarranno le conseguenze di questi «tradimenti».

Se il potente Occidente non è intervenuto a salvare la Georgia, interverrà per salvare Polonia e Ucraina? Un generale russo ha appena comunicato alla Polonia, corsa ad accettare i missili antimissile americani sul suo territorio, che è diventata un bersaglio atomico. Conviene? Gli americani si batteranno nella guerra nucleare per salvare Varsavia, loro che non hanno salvato Tbilisi?

Questi ripensamenti indeboliranno fortemente le ambizioni espansionistiche geopolitiche di Washington nell’ex area di influenza sovietica.Un primo segno di questo indebolimento è già in atto: mentre gli USA si sono ritirati dall’esercitazione navale «Furkus 2008», programmata prima del conflitto georgiano, perchè vi partecipava anche la Russia, la Francia vi sta prendendo parte (l’esercitazione è cominciata il 15 agosto e durerà fino al 23; qui la notizia).
Un’esercitazione russo-francese senza gli USA! Interessante precedente.

Qualche ripensamento su questo nuovo smacco dell’espansionismo di Bush sta avvenendo anche in USA. Patrick Buchanan, il giornalista che è stato candidato presidenziale conservatore, ha giudicato in questo modo l’accusa di Bush, secondo cui la risposta russa è stata «sproporzionata»: «Ma noi non abbiamo autorizzato Israele a bombardare il Libano per 35 giorni in risposta ad una scaramuccia di frontiera in cui erano stati catturati due soldati israeliani? Questo non è stato molto più ‘sproporzionato’? La Russia ha invaso un Paese sovrano, ha lamentato Bush. Ma gli USA non hanno bombardato la Serbia per 78 giorni e non l’hanno invasa per obbligarla a cedere il Kossovo, su cui la Serbia aveva pretese storiche più giustificate di quelle della Georgia sull’Abkhazia e il Sud-Ossezia, popoli etnicamente separati dai georgiani? Non è stupefacente l’ipocrisia dell’Occidente?» (2).

Mosca, scrive Buchanan, «ha ritirato l’Armata Rossa dall’Europa, ha chiuso le sue basi a Cuba, ha disciolto ‘l’impero del male’ e lasciato che l’Unione Sovietica si frazionasse in 15 Stati, ed ha cercato l’alleanza e l’amicizia degli Stati Uniti. E noi, cosa abbiamo fatto? Trafficanti americani in combutta con mascalzoni moscoviti hanno saccheggiato la nazione russa. Rompendo una promessa fatta a Gorbaciov, abbiamo esteso la nostra alleanza militare in Est Europa, fino alla porta della Russia. Sei Paesi del Patto di Varsavia e tre ex-repubbliche dell’URSS sono oggi membri della NATO».

Bush e Cheney spingono per portare nella NATO anche Ucraina e Georgia, rincara Buchanan. Ciò significa che «saremo obbligati ad entrare in guerra con la Russia per difendere la città di nascita di Stalin (Gori) e la sovranità (ucraina) sulla Crimea e Sebastopoli, tradizionale sede della flotta russa del Mar Nero».

Immaginate se fosse accaduto l’inverso, suggerisce ai suoi lettori. Se fosse stata Mosca a inglobare l’Europa occidentale nel Patto di Varsavia. Se, per di più «avesse stabilito basi in Messico e Panama, piazzato missili e radar a Cuba, e si fosse unita alla Cina a costruire oleodotti per trasferire il greggio venezuelano e messicano nel Pacifico per imbarcarlo verso i porti asiatici. Se ci fossero consiglieri russi e cinesi ad addestrare gli eserciti latino-americani, come noi facciamo nelle repubbliche ex-sovietiche: Come avremmo reagito?».

Una lezione di geopolitica molto ragionevole. E le voci critiche contro la politica russo-asiatica di Bush si infittiscono, naturalmernte non sui media italiani, ma su quelli del fidato alleato britannico (3). Mentre le truppe russe restano ancora sul territorio «sovrano» della Georgia (con calma, stanno meticolosamente distruggendo o impadronendosi di tutto l’armamento), le vociferazioni minacciose della Casa Bianca e dei suoi neocon non fanno che antagonizzare Mosca, senza alcuna efficacia nella realtà.

«La Russia sta perdendo la guerra di propaganda», si consola la BBC: ma appunto, tutto ciò che si dice e si dirà nei prosismi giorni (l’UNHCR, che sta soccorrendo solo i profughi georgiani e non ha mandato uno spillo ai sud-osseti, sta già raccogliendo le accuse di «atrocità» russe, come oro colato, dalla bocca dei georgiani fuggiti) non è altro che propaganda.L’espansionismo americano ha subito una battuta d’arresto nel mondo reale. La stessa BBC deve ammettere che «c’è una certa simpatia per la posizione russa in Europa».

Una frattura intra-europea: ecco un altro risultato dell’avventurismo e unilateralismo di Bush. Salvo una catastrofica «october surprise» che mantenga al potere Bush indefinitamente, il prossimo presidente dovrà riparare molti e gravissimi danni, nel mondo reale.

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1) Anshel Pfeffer, «Georgia minister: Israel has sold us out», Haaretz, 15 agosto 2008.
2) Pat Buchanan, «Blowback from bear-baiting». AntiWar.com, 15 agosto 2008.
3) Si veda per esempio Andrew Alexander, il più autorevole columnist del Daily Mail « Nato is pushing Russia into a new Cold War», 14 agosto 2008. Fatto significativo, questo giudizio appare sull’edizione on-line, non su quella stampata del giornale britannico. William Pfaff ha echeggiato le stesse critiche. Si veda anche, sulla stessa linea critica degli USA, Richard Bennet, analista strategico dell’AFI Research britannico (AFI sta per «American and Foreign Intelligence»), su Asia Times: «The bear is back», l’orso russo è tornato, su Asia Times del 16 agosto.

venerdì 15 agosto 2008

Per la Georgia aiuti umanitari o armi made in USA?

Continuano ad arrivare aerei militari cargo USA a Tbilisi, ufficialmente per portare aiuti umanitari. Ma i russi cominciano a dubitare sul reale contenuto di questi “aiuti”.

Il vice capo di Stato maggiore russo, generale Anatoli Nogovitsin, ha reso noto durante una conferenza stampa a Mosca che vicino alla città georgiana di Senaki è stato sequestrato un grande deposito di armi di fabbricazione USA aggiungendo di non avere ancora certezza se gli USA stanno consegnando in queste ore alla Georgia carichi di natura umanitaria o materiale militare.

Infatti oltre all'aiuto umanitario il Pentagono ha dichiarato che "rivaluterà" la situazione delle forze militari georgiane e la loro accresciuta necessità di assistenza, all'indomani delle perdite sofferte a causa della controffensiva russa.

Ma a rendere ulteriormente tesi i rapporti tra USA e Russia e’ stata ieri la decisione del governo polacco di firmare l'accordo con gli USA sullo scudo antimissili. Infatti oggi il presidente russo Medvedev ha dichiarato "Il fine del sistema antimissile Usa in Europa orientale è quello di colpire la Federazione russa".

Questo accordo, in cambio dell'ok di Varsavia all'installazione di dieci missili intercettori sul suo territorio, prevede da parte americana la creazione in territorio polacco di una base permanente di missili anti balistici Patriot e la promessa di cooperazione in caso di minacce militari alla Polonia.

E mentre Condoleeza Rice e’ volata oggi a Tbilisi, Bush ha continuato a ripetere che “La Russia deve ritirarsi. Non abbandoneremo la Georgia”.
La situazione e’ quindi sempre piu’ fluida e tutte le opzioni sono ancora sul tavolo, nessuna esclusa.


Bush prepara un false flag in Georgia?
di Maurizio Blondet - Effedieffe - 15 Agosto 2008

Il presidente Bush ha ordinato alle forze armate USA una «vigorosa missione umanitaria» (1) in Georgia: tanto per cominciare, aerei da carico dell’US Air Force sono già atterrati di Tbilisi con «aiuti». Aver usato aerei dell’aviazione militare USA è una chiara provocazione, e fa pensare alla volontà di provocare un «incidente russo-americano».

Ma non solo: chi sa che tipo di «aiuti» stanno portando quegli aerei militari, coperti da segreto militare? La cosa è tanto più strana in quanto, pochi giorni fa, per portare armi e munizioni in Georgia, gli americani non hanno usato i loro Hercules targati USAF, ma quelli di una compagnia privata, la UTI Worlwide Inc.: una oscura multinazionale con sede alle Isole Vergini britanniche ma molti uffici a Tel aviv; la quale ha usato per la consegna apparecchi sovietici, ed anche questo dà da pensare.

Perchè usare una compagnia civile per aiuti militari a Saakashvili, e i cargo della USAF per «aiuti e soccorsi» ai civili? Ancora una volta: che cosa ci sarà in quegli aerei, oltre alle tende e alle scatolette di carne? E perchè la missione di cui sono incaricati è «vigorosa»?Di fronte a questi sviluppi, assume significato un allarme lanciato sul sito Iraq-war.ru: «Medvedev ha scongiurato in extremis una atrocità nucleare americana falseflag?» (2).

Ai tempi dell’invasione dell’Iraq, il sito Iraq-war.ru, ovviamente russo, aveva precisissime informazioni dal campo, come se esperti militari fossero in grado di vedere e valutare ciò che facevano le forze armate USA; allora trassi la convinzione che erano consiglieri militari russi, o che il sito fosse una emanazione dei servizi militari russi. Oggi, appare come un blog.

Ma sentiamo cosa scrive il bloggista che si firma “Terrahertz”: «Lunedì 11 agosto ore 17.05: un corrispondente del nostro forum sostiene che le truppe georgiane a Kutaisi stanno preparando un’azione ‘false flag’, fingendo di essere truppe russe. Effettivamente, qualcuno che si definisce un turista tedesco di origini russe e che dice di trovarsi nella cittadina di Kutaisi, via SMS, ha mandato quel giorno il seguente messaggio: ‘...Gruppo di combattenti si forma nella città georgiana di Kutaisi. Consiste di mercenari trans-baltici ed ucraini forniti di armi e di uniformi russe. Anche varie persone con foto e telecamere sono sul posto. Forse si prepara una grossa provocazione!’».

Martedì 12 agosto, tardi: aerei da trasporto USAF provenienti dall’Iraq atterrano in Georgia (dove?) portando 800 soldati georgiani (la metà del corpo impiegato in Iraq, ndr). Non c’è modo di dire cos’altro hanno trasportato. Certo gli USA hanno stock di bombe nucleari tattiche e altri armamenti vietati, come gas nervini in Iraq, come precauzione per un attacco iraniano.

Martedì 12 agosto, a Pechino, sera: in una conferenza-stampa a Pechino, l’ambasciatore USA Jim Jeffrey (che è anche membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale) pubblicamente accusa i russi di aver portato in Georgia, venerdì, due missili nucleari tattici SS-21; dice che Bush ne è informato e ne ha discusso con Putin alla cerimonia olimpica.

Terrahertz si stupisce: «Venerdì»? L’8 agosto? In quel giorno, i russi non avevano ancora organizzato la risposta all’attacco georgiano in Sud-Ossezia. I georgiani erano all’avanzata (dalla sera del 7), sorprendendo e massacrando i soldati russi della forza «di pace», e alcune migliaia di civili. Il contrattacco di Mosca comincerà molte ore dopo. Persino la 79 Brigata aerotrasportata dell’Armata russa - apparentemente la più rapida - arriverà il 9 agosto, ossia sabato, e persino Putin sarà in Nord Ossezia il 9.

Come erano riusciti a farsi precedere da due missili nucleari tattici? I tempi non coincidono. Che bisogno ne avevano? Magari per precauzione contro gli USA, dice Terrahertz. Ma «qui abbiamo solo il governo USA ad affermare questo fatto... e il tempo dell’annuncio americano è parimenti sospetto. Perchè non hanno denunciato questo fatto prima?». E’ vero: se gli SS-21 erano in Georgia venerdì 8 come dicono loro, perchè hanno aspettato a dirlo martedì 12, ben quattro giorni dopo?

Fatto è che lo stesso 12 agosto, nel pomeriggio, «le forze georgiane fuggono dalla città di Gori, molto prima dell’arrivo delle truppe russe, senza sparare un colpo. Mah... Forse pensavano che la città stava per diventare molto insalubre, e non solo per via dei tank russi?». Lo stesso 12 agosto, di sera, Bush dichiara che la Russia «sta danneggiando la sua reputazione nel mondo». Secondo Terrahertz, Bush sapeva che i russi stavano per passare come i bastardi della situazione.

12 agosto sera: dopo tutti questi fatti, il presidente Medvedev annuncia di colpo la sospensione delle operazioni militari in Russia. Giusta e cauta decisione, giudica Terrahertz, «per rendere questa inscenata ‘atrocità russa’ meno credibile al mondo». Ma la propaganda occidentale insiste a dire che i russi hanno violato il cessate-il-fuoco (anche i georgiani), e che hanno affondato sei navi da guerra georgiane nel porto di Poti, cosa che Mosca nega (azione militarmente giusta: distruggere più possibile dell’armamento israeliano di Saakashvili); si parla di russi che continuano a tenere sotto il terrore il Paese (ma la BP ha riaperto il gasdotto Baku-Ceyhan); André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy, i due katz-à-penser, proclamano sui giornali, Corriere compreso: «Ora difendiamo Tbilisi, Non sia un’altra Sarajevo» (Vogliono che difendiamo gli investimenti isrealiani...). E Bush continua a mandare «aiuti» su aerei militari, con decine di specialisti americani in uniforme per gestire «l’intervento umanitario», che per di più ha da essere «vigoroso».

La possibilità di un attentato false flag continua. Medvedev ha chiesto alle truppe di restare in «costante allerta»: di non abbassare la guardia. Tanto più che Saakashvili, che ebbe un momento di paura giorni fa al rombo del Sukhoi (non è un cuor di leone), oggi - con il Paese a suo dire devastato, invaso e ridotto in cenere dai russi - sorride, rilascia interviste, con strana e totale sicurezza di sè. Ha persino voglia di scherzare.

Ad Haaretz ha detto: «Le armi israeliane si sono dimostrate molto efficaci». Alla domanda se le armi israeliane avevano davvero avuto un ruolo nei suoi proclamati successi, ha replicato: «Me lo sta chiedendo come rappresentante della Elbit e delle Israel Aerospace Industries?», ossia le due fabbriche che gli hanno venduto gli armamenti (3).

L’inviato del New York Times scrive che Saakashvili «mercoledì (13 agosto) sembrava un uomo rinvigorito in modo quasi preternaturale (sic), ancora una volta invocando i legami speciali con la democrazia americana... Un attimo dopo che il presidente Bush è apparso al Rose Garden a dire che il Pentagono stava per cominciare una missione umanitaria a sostegno della Georgia, Saakashvili era al telefono con un giornalista occidentale, e diceva: ‘Questo è un punto di svolta’; poi è apparso alla TV nazionale, ben pettinato coi capelli all’indietro e con un abito appena stirato, ad assicurare il suo paese che il peggio era passato» (4). Ciò benchè i russi siano a 30 miglia dalla capitale.Che cos’ha da essere tanto allegro? Prevede - o sa - che qualcosa rovescerà la sua situazione? Sa che c’è in preparazione «il punto di svolta»?

La questione è sempre la prima: quale tipi di aiuto umanitario («vigoroso») ha mandato Bush in quegli aerei targati USAF gestiti da specialisti militari. Bombe al fosforo?

Gli americani le hanno usate a Falluja: producono belle foto di cadaveri gonfi e deformati dalle ustioni chimiche, una «atrocità» che «persone con foto e telecamere sul posto» saranno pronte a documentare e a diffondere al mondo, come dimostrazione della brutalità russa. Gas nervini? Piccoli ordigni nucleari tattici, di cui il Pentagono s’è dotato?

Magari è solo un eccesso di sospetto. Ma con Bush, dopo l’11 settembre, meglio diffondere un allarme di troppo. Proprio questi allarmi, se ampiamente diffusi, possono scongiurare un false flag in preparazione: fanno svanire l’effetto-sorpresa. Occhio al Ferragosto.

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1) Andrew Ward, «Bush sends US forces on Georgia aid mission», Financial Times, 13 agosto 2008.
2) «Did Medvedev narrowly avert a US nuclear false flag atrocity?», http://www.iraq-war.ru/article/171884, 13 agosto 2008.
3) Anshel Pfeffer, «Georgia president denies Israel halted military aid due to war», Haaretz, 14 agosto 2008.
4) C.J. Chivers, «Rejuvenated Georgian President Cites U.S. Ties as ‘Turning Point’ in Conflict», New York Times, 13 agosto 2008. «By Wednesday he seemed an almost preternaturally reinvigorated man, once again raising the temperature in Georgia’s bitter disagreements with Russia, and invoking special ties with American democracy and freedom. Moments after President Bush appeared at the Rose Garden to say that the Pentagon would begin a humanitarian aid mission to support Georgia, Mr. Saakashvili was on the phone with a Western reporter, talking fast.’This is a turning point,’ he said. Soon he appeared on national television, his tousled hair combed back flat and wearing a freshly pressed suit, assuring his country that the worst had passed. (…) ‘We already saw U.S. Air Force landing in Georgia despite Russians controlling the airspace’, he said, after a C-17 had touched down. ‘And we will see U.S. military ships entering Georgian ports despite Russians blocking it. That we will see’. He added, ‘These will be serious military ships’ ».

giovedì 14 agosto 2008

Musharraf: dimissioni, impeachment o caos?

Secondo quanto rivela il quotidiano pakistano Waqt News, il presidente Musharraf avrebbe deciso di dimettersi subito dopo il 14 Agosto, festa dell'indipendenza del Paese, essendogli stata garantita una tranquilla uscita di scena senza conseguenze. Tuttavia permane il dubbio se effettivamente Musharraf decidera’ di lasciare il potere di sua sponte o se sara’ costretto a farlo a causa di un impeachment, che comunque non si rivelera’ in discesa durante il suo iter.

Ieri Musharraf ha fatto appello alla riconciliazione per far fronte ai propri problemi economici e di sicurezza, parlando in nottata alla televisione pakistana in occasione del giorno dell'indipendenza nazionale. Ma non ha fatto alcun riferimento al piano del governo di coalizione, guidato dal partito dell'ex premier Benazir Bhutto, per un impeachement contro di lui, nè ha fatto riferimento alle sempre più frequenti richieste di dimissioni. Cio’ sembrerebbe confermare i forti dubbi circa la sua reale volonta’ di lasciare il potere spontaneamente.

Nel frattempo si e’ aggravato il bilancio dell'attacco contro un commissariato di polizia a Lahore, nella parte orientale del Pakistan. Almeno 7 i morti. Un kamikaze si sarebbe fatto saltare in aria ieri sera in un sobborgo della citta' vicino a un gruppo di agenti che stava controllando i preparativi per la festa dell'indipendenza pakistana.
E almeno dieci militanti islamici sono rimasti uccisi nel distretto tribale pakistano del Waziristan del Sud in un raid aereo degli Stati Uniti. Diversi missili hanno colpito un complesso di edifici utilizzato dai seguaci del comandante filotaleb Mullah Nazir nel villaggio di Baghra, ad una trentina di chilometri dalla città di Wana.

E’ risaputo inoltre che gli USA sono da sempre del tutto contrari a qualsiasi negoziato tra il governo pakistano e i gruppi taleb e qaedisti, con la mediazione delle tribu’ pashtun. Mentre il governo di Gilani e’ di parere totalmente opposto.

Il caos sembra quindi in procinto di prendere il sopravvento nel Pakistan del dopo Musharraf, sempre che lo stesso decida di lasciare il potere senza resistenze.
Altrimenti il caos sara’, se possibile, ancor piu’ grande e pericoloso per tutta l’area.

L'ultima battaglia di Musharraf
di Alessanro Ursic – Peacereporter – 13 Agosto 2008

Gli chiedono di farsi da parte proprio nel giorno della Festa dell'indipendenza, il 14 agosto; molti danno per probabile che lo farà, ma il suo portavoce nega decisamente. Comunque andrà a finire, Pervez Musharraf appare ormai circondato. La coalizione che da febbraio governa il Paese tra mille difficoltà, date le differenze e le diffidenze tra i partiti che la compongono, la scorsa settimana ha messo sul tavolo la questione impeachment per il presidente ed ex generale che prese il potere con un colpo di stato nel 1999. Nell'incertezza che caratterizzerà la procedura e il suo esito finale, una cosa è chiara: il Pakistan, se c'era mai uscito, rischia di ritornare nel caos.

La procedura. Le accuse per cui il presidente verrebbe messo sotto processo includono il licenziamento lo scorso novembre, e il mancato reintegro, di 60 giudici che Musharraf temeva potessero contestare la sua elezione alla massima carica dello stato, mentre all'epoca era contemporaneamente capo delle forze armate. L'altra grande accusa riguarda l'abuso di potere per l'imposizione dello stato di emergenza nello stesso periodo. Tre delle quattro assemblee provinciali pachistane hanno già votato in favore dell'avvio della procedura di impeachment e la quarta, quella del Balucistan, dovrebbe unirsi entro la fine di questa settimana. Dopodiché, la coalizione di governo presenterà il suo dossier di accusa alle due camere del Parlamento. Potrebbero volerci settimane, forse mesi; soprattutto, per arrivare al processo servono i due terzi dei voti in aula. Numeri su cui la coalizione non può contare, ma che spera di raggiungere grazie all'effetto valanga suscitato dalla possibilità di sbarazzarsi davvero di un Musharraf sempre più impopolare in patria.

Diffidenza tra i leader. Un ulteriore ostacolo potrebbe essere la rivalità tra i due leader della coalizione, Asif Zardari del Partito del popolo (Ppp) e Nawaz Sharif della Lega musulmana-Nawaz (Pml-N). Entrambi sono finiti in esilio nei primi anni in carica di Musharraf. Il primo, diventato capo del Ppp dopo la morte della moglie Benazir Bhutto e conosciuto anche come “il signor 10 percento” per gli arrotondamenti che si intascava durante gli anni del Ppp al governo, ha già evocato la questione dell'appropriazione indebita anche per Musharraf: ma da febbraio a oggi ha perso consensi, e un terzo dei parlamentari del Ppp sono in odore di fronda. Sharif, condannato a 14 anni per corruzione e anche lui ritornato in Pakistan solo alla vigilia delle ultime elezioni, è diventato nel frattempo il politico pachistano più popolare. Zardari, che non può candidarsi al governo a causa delle sue condanne, potrebbe essere restio a spianare la strada verso la presidenza a Sharif. O temere che i giudici eventualmente reintegrati possano annullare l'amnistia concessa a lui e alla moglie da Musharraf, prima che la Bhutto venisse uccisa in un attentato lo scorso 27 dicembre.

Rischio di tracollo. A Musharraf viene chiesto di farsi da parte senza neanche iniziare la procedura di impeachment, per evitare al Paese una estenuante battaglia legale. E' una possibilità che non viene esclusa. Ma è proprio per la delicatezza della situazione pachistana che molti osservatori si chiedono se questo sia davvero il momento giusto per esaurire le energie del Pakistan in una lotta di potere. Mentre al confine con l'Afghanistan i militanti islamici conquistano terreno e fungono da retrovia per la guerriglia talebana, il Paese rischia il tracollo economico. A giugno l'inflazione ha toccato il 21,5 percento, il massimo degli ultimi trenta anni. Il deficit di bilancio è salito al 7 percento, gli investitori stranieri fuggono di fronte all'incertezza regnante, la Borsa di Karachi ha perso il 35 percento da aprile, il governo è a corto di liquidità ed è stato costretto a chiedere all'Arabia Saudita di dilazionare i pagamenti per le importazioni di petrolio. Domani ricorre il 61esimo anniversario dell'indipendenza, ma al momento i pachistani non hanno granché da festeggiare.

Il genocidio osseto

Il presidente russo Medvedev oggi ha detto che appoggerà “qualsiasi decisione sullo status di Abkhazia e Ossezia del sud che verranno prese dai popoli di quelle repubbliche in considerazione dello statuto del'Onu, della convenzione internazionale del 1966 e dell'atto di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa”.

E la Commissione investigativa presso la procura federale russa ha aperto un'inchiesta penale per genocidio nei confronti di cittadini russi nell'Ossezia del sud. Secondo un portavoce della Commissione le indagini si baseranno sulle “informazioni relative all'operato delle forze armate georgiane per sterminare i cittadini russi di etnia osseta in Ossezia del sud, attraverso l'uccisione dei medesimi o l'infliggere loro gravi lesioni corporali”.

E mentre McCain chiede di rivedere le relazioni tra USA e Russia e la Rice sta per arrivare in Georgia, si riunisce oggi a Bruxelles il Consiglio straordinario dei Ministri UE ma Frattini invece resta alle Maldive.

L’ennesima figura peracottara del Belpaese.


Genocidio in Ossezia, vergogna del mondo
di Carlo Benedetti – Altrenotizie – 14 Agosto 2008

Casa Bianca Pentagono e Cia utilizzano in queste ore i loro canali per attaccare la Russia e stravolgere la realtà dei fatti. L’obiettivo è di mettere sotto accusa il Cremlino di Putin e Medvedev sostenendo che è stata Mosca ad attaccare in Ossezia e che, quindi, resta “la Russia di sempre”, erede dei metodi sovietici. La posizione americana trova subito utili laudatores anche nella stampa di casa nostra che si affrettano a scrivere che “Mosca ha una voglia matta di “rivedere la pesante eredità della sconfitta patita nella Guerra fredda”.

Non c’è nessun tentativo reale di comprendere il conflitto nelle diverse rappresentazioni geopolitiche e geoeconomiche. Siamo di nuovo al clima maccartista, ai diktat di Foster Dulles. Si spinge volutamente indietro la ruota della storia presentando il leader georgiano come un politico sì dalle chiare inclinazioni autoritarie, che tuttavia gode di una certa popolarità e ha ottenuto buoni risultati nel ristabilire l'ordine e la stabilità nel Paese dopo il periodo di Scevardnadze.

La Georgia viene quindi presentata da vari media occidentali come una democrazia che sotto diversi aspetti si può considerare incompleta, ma pur sempre accettabile. Comunque sia la propaganda non può nascondere la verità. Nell’Ossezia del Sud ci sono oltre 2000 ossetini e russi uccisi e trucidati da un esercito comandato da Michail Saakasvili, il presidente-Quisling filoamericano e filo-Nato.

Ci sono migliaia di abitazioni distrutte, ospedali rasi al suolo, scuole sventrate dai missili georgiani tutti regolarmente “made in Usa” o in Israele. Bush, quindi, può essere contento per gli investimenti fatti nel Caucaso e il miliardario Soros (che a partire dal 1979 ha distribuito 3 milioni di dollari l'anno a movimenti di dissidenti dell’Est utilizzando come copertura il suo Open Society Institute) può promuovere a pieni voti il suo allievo Saakasvili e il nuovo arrivato Giga Bokeria, il 36enne leader del movimento studentesco della Georgia denominato “Kmara!” (Basta!) che è, praticamente, una filiale della Cia americana nell’intero Caucaso.

Ora, comunque, si cerca di ricondurre la vicenda ossetina (quella di un popolo coinvolto a suo tempo nel turbine nazionalista che investì la Georgia alla fine degli anni Ottanta) nell’ambito di trattative diplomatiche. La Russia accetta, ma nello stesso tempo non molla sulle questioni di principio, etiche e morali. E dice apertamente che non si può trattare con chi ha le mani sporche di sangue. Il riferimento è ben preciso e rafforzato dalle accuse di genocidio perpetrato dalla dirigenza di Tbilisi.

Il plenipotenziario per i diritti umani Vladimir Lukin propone di costituire un tribunale internazionale per la punizione dei responsabili della distruzione di Tskhinvali e dello sterminio della popolazione civile. “Sono convinto - dice Lukin - che molti concorderanno con me, ed io mi appello alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, mi rivolgo al Consiglio d’Europa, al plenipotenziario europeo per i diritti umani perchè tutti s’impegnino per affrontare il problema in un modo molto serio”.

Si apre, quindi, in modo ufficiale la pagina relativa all’accusa di genocidio rivolta alla Georgia. Qui si ritrovano riferimenti a fonti storiche, a documenti ufficiali e ad analisi diplomatiche. Tutto argomentato con vigore per impedire che le vicende attuali vengano appannate dalle tipiche "amnesie occidentali". L’analisi dei fatti attuali - notano a Mosca - porta anche a ricordare che è stato Raphael Lemkin (studioso americano d’origine polacca e docente di diritto internazionale all’università di Yale) a definire con estrema chiarezza il "concetto" di genocidio. "Per genocidio - ha scritto il giurista - intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico (...). In senso generale genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione, se non quando esso è realizzato mediante lo sterminio di tutti i membri di una nazione.

Esso intende piuttosto designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi”. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali, e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui che appartengono a tali gruppi.

Il genocidio è diretto quindi (come ha fatto l’esercito georgiano) contro il gruppo nazionale in quanto entità e le azioni che esso provoca sono condotte contro individui, non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale. Ed è quanto è avvenuto in questi giorni nelle terre del Caucaso con una sorta di purificazione etnica. La Russia, pertanto, fa anche appello alla dottrina internazionale.

E nella “ricerca” che viene portata avanti c’è un circostanziato atto di accusa contro il governo di Tbilisi, per quello che ha compiuto e per quello che nega di aver compiuto. Si torna a ribadire che “genocidio” è l’uccisione in massa di un popolo in base alla sua nazionalità, percezione etnica, o religione, secondo un piano di sterminio premeditato. Non c’è spazio, di conseguenza, per il negazionismo. Vengono documentate nelle denunce russe l’esplosione di violenza selvaggia e apparentemente gratuita, la programmazione della distruzione con strutture sempre più metodiche e pianificate.

Ma se la sequenza si ripete con monotonia (molti i riferimenti storici a quell’oramai lontano conflitto osseto-georgiano nell’Ossezia del Sud che fu il primo di una serie di scontri armati nel Caucaso), i singoli episodi presentano sempre varianti nuove che le immagini televisive documentano con crudeltà. Ed è la vergogna del mondo perché si riaprono alcune delle più sanguinose pagine di storia che credevamo chiuse per sempre.

mercoledì 13 agosto 2008

Georgia-Russia: situazione sempre tesa

Qui di seguito ulteriori aggiornamenti e commenti sul conflitto tra Georgia e Russia.

Tbilisi firma il piano di pace dell'Unione Europea
di Luca Galassi – Peacereporter – 13 Agosto 2008

Dopo Mosca, anche Tbilisi ha accettato il piano di pace in sei punti presentato da Sarkozy, presidente di turno dell'Unione Europea, che in una conferenza stampa ha fatto un annuncio congiunto con il presidente georgiano Michail Saakashvili esponendo le condizioni dell'accordo. Il piano prevede il non ricorso alla forza; la cessazione immediata di tutte le ostilità; il libero accesso agli aiuti umanitari; il ritorno delle forze armate georgiane alle postazioni permanenti (caserme); il ritiro delle forze russe alle posizioni precedenti al conflitto. Le forze di interposizione russe prendono misure supplementari di sicurezza e verrà lanciato un dibattito internazionale sul futuro status di Ossezia del Sud e Abkhazia, e ulteriori strumenti per garantire stabilità e sicurezza. L'Unione Europea si pone come mediatore privilegiato nel contenzioso tra le parti.

Centinaia di migliaia di sfollati. L'annuncio è arrivato dopo cinque giorni di guerra che hanno devastato l'Ossezia del Sud e parte della Georgia. Sul terreno rimangono un numero imprecisato di morti (decine secondo i georgiani, centinaia secondo i russi), centomila sfollati, città in macerie, e soprattuto la fine delle ambizioni georgiane per il reintegro territoriale delle due repubbliche secessioniste. Il presidente georgiano Michail Saakashvili, in un discorso tenuto ieri a Tbilisi di fronte a migliaia di persone, aveva annunciato il ritiro dalla Comunità degli stati indipendenti (la Csi, composta dalle ex repubbliche sovietiche esclusi gli Stati baltici).

"Punizione". Mosca ha impartito una severa e per certi versi sproporzionata lezione al temerario Saakashvili, che venerdì scorso, con l'invasione della capitale sud-osseta Tshkinvali, ha innescato una reazione a catena le cui conseguenze si sono rivelate imprevedibili e nefaste. Dopo l'offensiva georgiana, la Russia ha mobilitato parte delle sue forze penetrando in Ossezia del sud e Abhkazia e bombardando le città georgiane di Sinaki, Gori, Poti e le strutture militari alla periferia di Tbilisi. Tskhinvali è stata riconquistata dai separatisti filo-russi. Le gole di Kodori, unica porzione di territorio abkhazo controllata dai georgiani, sono ora in mano degli abkhazi. La sospensione di ieri delle operazioni militari russe è avvenuta, nelle parole del presidente russo Medvedev 'per costringere Tbilisi alla pace'. "L'aggressore georgiano è stato punito", ha detto il presidente russo, che ha tuttavia ordinato al ministero della Difesa di riprendere le operazioni nel caso la popolazione della repubblica separatista dell'Ossezia meridionale sia nuovamente vittima di violenze. Ieri, un cameraman olandese è rimasto ucciso durante il bombardamento su Gori. Si aggiunge ai due giornalisti, uno georgiano e uno russo, uccisi tre giorni fa a Tshkinvali.

"Aggressione brutale". Durante uno scambio di battute al Consiglio di sicurezza Onu, riunitosi ieri notte per la quinta volta senza esito, Vitaly Churkin, ambasciatore russo alle Nazioni Unite, aveva bocciato la risoluzione elaborata dai Paesi occidentali perchè il testo "presentava gravi lacune", tra le quali l'assenza di un riferimento all'aggressione da parte di Tbilisi. Sono continuate per tutta la giornata di ieri le dichiarazioni di Bush, alleato di Sakaashvili e primo sponsor delle sue ambizioni per l'adesione alla Nato. La controffensiva russa è stata definita dal presidente statunitense "un'aggressione drammatica e brutale inaccettabile nel Ventunesimo secolo". Gli Stati Uniti avevano prestato il proprio supporto logistico per trasferire il contingente di duemila georgiani in Iraq a rinforzo delle unità in patria. Anche il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, precisando che l'iter di adesione della Georgia al Patto Atlantico rimane immutato, ha condannato l'uso "eccessivo e sproporzionato della forza" da parte dei russi, sottolineando di non ritenere conforme al mandato di peacekeeping che i russi hanno nell'Ossezia del Sud il fatto di "bombardare, applicare un blocco navale e fare uso massiccio della forza". Dal canto suo, Mosca ribatte alla accuse occidentali giustificando il blitz militare con la necessità di proteggere i suoi cittadini. La maggioranza dei sud-osseti ha infatti passaporto russo.

Stamani il Segretario di Stato Usa Condoleeza Rice ha dichiarato che è a rischio la presenza russa nelle istituzioni internazionali, riferendosi soprattutto all'Organizzazione mondiale del commercio. "I russi rischiano - ha detto la Rice in una intervista all'Abc -, hanno detto di voler far parte di questa prospera e fiduciosa comunità internazionale, e, francamente, credo che stiano facendo un gran danno alla loro possibilità di integrarvisi. Posso assicurare - ha proseguito - che la reputazione internazionale della Russia e il suo ruolo nella comunità internazionale è in questo momento in gioco".

Come i Balcani? Dopo che le operazioni di soccorso umanitario saranno state portate a termine, e dopo che la conta dei morti fornirà il reale bilancio di una guerra sconsiderata, le fazioni avverse e tutta la comunità internazionale avranno di fronte agli occhi una situazione che avrà sensibili ripercussioni sul panorama geopolitico europeo. Le implicazioni a lungo termine coinvolgeranno, oltre alla Russia e al Caucaso, l'Unione Europea e soprattuto gli Stati Uniti. Nel suo piccolo, lo scenario caucasico rievoca in parte una storia già vista nei Balcani. Come la Serbia, la Georgia potrebbe dover rinunciare alla sua tanto invocata 'integrità territoriale', considerato che il ritorno allo status quo è ormai impensabile dopo lo scellerato attacco a Tskhinvali. L'Abkhazia ha esteso il suo controllo all'intera repubblica, cacciando i georgiani e, alla stregua del Montenegro, ha oggi migliori carte da giocare per un'eventuare rivendicazione di indipendenza, se non di annessione alla Federazione russa. Infine, Mosca, il cui presidente si è ormai eretto a garante - con la forza - della stabilità del Caucaso, ha il pretesto per indicare in Saakashvili un sanguinario criminale (Putin ha parlato di pulizia etnica e genocidio nei confronti della popolazione sud-osseta), fare pressioni affinchè si dimetta, se non addirittura accusarlo di crimini di guerra. E' questo quanto vorrebbero i presidenti di Abkhazia e Ossezia del sud, che hanno già manifestato il loro rifiuto a trattare con 'delinquenti che andrebbero invece portati di fronte alla Corte penale internazionale'.


Cosa vuole Putin
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 13 Agosto 2008

La stampa occidentale vive la disfatta georgiana come propria: oddio, quando si fermeranno i cingolati russi? Mosca vuole annettersi la Georgia? Torna l’impero sovietico? Dove vuole arrivare Putin? L’angoscia servile, a quanto pare, rende sordi. Cosa vuole Mosca, l’ha detto chiaro Sergei Lavrov a Condy Rice: «Saakasvili must go», se ne deve andare. Anche Kouchner se lo dev’essere sentito ripetere.La mediazione francese, se non si limitasse a servire Usrael, potrebbe fare molto. Perchè ha sottomano l’uomo giusto, che vive a Parigi dove ha ottenuto l’asilo politico: Irakli Okruashvili.

E chi è?Okruashvili è stato ministro della Difesa di Saakasvili. Fino al novembre scorso, quando un forte movimento d’opposizione è sceso in piazza a reclamare «Saakashvili must go», e il Gran Kartulo ha risposto imponendo a Tbilisi la legge marziale (tale è la «democrazia» georgiana); Okruashvili, passato all’opposizione, lo ha accusato pubblicamente di corruzione e di assassinii vari, ed ha dovuto scappare all’estero. Saakashvili ne ha chiesto l’estradizione, rifiutata il giugno scorso da un tribunale francese.Come si vede, c’è una potenziale convergenza fra la popolazione georgiana e Mosca: Saakashvili se ne vada, l’avevano già chiesto i georgiani l’autunno passato. La gente lo accusa di aver scandalosamente arricchito se stesso e la sua famiglia, a cominciare da suo zio (fratello di suo madre, il capoclan) Timur Alasaniya, accaparrandosi le concessioni commerciali, petrolifere e portuali del Paese, nonchè grasse tangenti sull’acquisto delle armi da USA e Israele.

Se non fossero russe le bombe che piovono loro sul capo, oggi una maggioranza di georgiani potrebbero sottoscrivere le parole di Vladimir Vasiliyev, presidente della Commissione Sicurezza della Duma di Mosca: «Gli anni della presidenza Saakashvili potevano essere impiegati in tutt’altro modo, rafforzando l’economia, sviluppando infrastrutture, risolvendo i problemi sociali nel Paese e anche in Sud-Ossezia ed Abkhazia. Invece, Saakashvili ha impiegato le risorse del Paese per accrescere la spesa militare da 30 milioni di dollari a un miliardo: tutto per prepararsi all’azione militare». Il lato comico è che il Gran Kartulo, non contento di arricchire lo zio Alasaniya, lo ha piazzato (con il placet di Washington) alla Commissione ONU per... il disarmo.

Se i media occidentali, anzichè piangere sulla «piccola fragile democrazia minacciata» ascoltassero l’opposizione georgiana, vedrebbero che la soluzione del caso georgiano è più semplice di quanto sembra.

Irakli Karabadze, per esempio, che è riuscito a riparare a New York, dopo essere stato messo in galera dalle teste di cuoio di Saakashvili per aver guidato una manifestazione di piazza anti-Kartulo la primavera scorsa: «Quando le bombe taceranno, credo che Saakashvili non sopravviverà alla sua avventura in Ossezia» (1). E’ lo stesso parere di Shalva Natelashvili, che dirige il Partito del Lavoro georgiano, e che tace solo per non farsi accusare, in questo momento, si essere anti-patriottica.

Ovviamente, più a lungo le operazioni russe proseguono, più Saakashvili diventa la vittima e più il suo popolo si compatta per un’ovvia reazione psicologica. Ma oltre a militare in spirito per il «democratico», i giornali europei dovrebbero almeno riportare la posizione russa, che rende difficile un cessate-il-fuoco se prima non avviene in Georgia un cambio di regime (o di fantoccio).

Mosca ha visto nel massacro di osseti operato dai georgiani una replica della «pulizia etnica» che USA ed UE hanno giudicato crimine contro l’umanità, quando a commetterlo era il loro protetto Slobodan Milosevic. Se hanno trascinato al Tribunale dell’Aja Milosevic, bisogna che processino anche Saakashvili, dicono in Russia.Ovviamente, non ci credono. Sanno che Saakashvili è stato messo lì dagli americani per garantire l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che sottrae il greggio del Caspio alla sfera d’influenza russa per darlo in mano ad Israele (la quale punta, caricando il petrolio ad Eilat su petroliere e inoltrandolo all’estremo oriente asiatico, a neutralizzare completamente l’importanza strategica del Golfo Persico come transito dell’oro nero: che diventa così campo libero per le ulteriori guerre anti-islamiche).

A Mosca hanno tutte le prove che Washington punta a balcanizzare il Caucaso, a farne una ex-Jugoslavia piena di basi americane.Gli USA hanno armato il secessionista ceceno Dudayev; hanno finanziato il terrorismo ceceno nei suoi crimini più atroci (la strage alla scuola di Beslan, qualche giornale la ricorda?); ed ora, da anni, armano Saakashvili e ne addestrano i corpo speciali colpevoli dei massacri in Ossezia. Per di più, gli americani vogliono coprire il loro fantoccio mettendolo sotto il manto della NATO.

Se ciò sia bene per l’America, è una domanda sospesa. Ma almeno l’Europa dovrebbe considerare - con un brivido - che se oggi Saakashvili fosse già membro della NATO come caldamente vogliono e premono i neocon, saremmo già in guerra contro la Russia, nei rifugi a Milano e Berlino sotto il rombo dei Sukhoi, per nessun motivo decente.Per fortuna - non certo per merito europeo - non siamo a questo punto, e Saakashvili deve sorbirsi i Sukhoi per conto proprio. Ma fino a quando?

Secondo una fonte insospettabile, l’israeliano Maariv, USA ed Israele continuano anche in queste ore a rifornire di armi il Gran Kartulo (2). Lo fanno, come sanno bene a Mosca, usando una compagnia privata, la UTI WorldWide Inc., che fa decollare i suoi aerei da trasporto (ironicamente, di origine sovietica) dalla base giordana di Akaba, che il Pentagono usa di solito per inoltrare i rifornimenti in Iraq.

Dunque i russi non possono smettere le operazioni, e la «mediazione» europea non ha possibilità. Berlusconi, dopo una telefonata all’«amico Putin», ha rilasciato una dichiarazione che addossa la responsabilità dei fatti a Saakashvili.

Benino, ma c’è ancora un passo da fare: riconoscere che la NATO è diventata non solo controproducente agli interessi italiani ed europei, ma un pericolo immediato per l’Europa; che dunque, come minimo, occorre opporre un veto assoluto all’ammissione nell’Alleanza di Paesi-satelliti con capetti che hanno conti da regolare con Mosca, o che eseguono gli ordini americani. Poi, premendo sull’«amico Bush» perchè accetti il cambio di fantoccio in Kartulia, che è la sola e vera soluzione al problema.

Pensate che lo farà? Che qualcuno in Europa lo farà? Per togliersi l’illusione, basta vedere come i media italiani ed europei in genere siano schierati tutti sulla posizione americana.Si arriva a questo: che mentre le stesse fonti israeliane, da Debka File a YNET ad Israel Today, ammettono la «Israeli connection» nel conflitto in Sud-Ossezia, i media europei e i giornali italiani - a cominciare da l’Unità - non ne dicono una parola (3).

Eppure, lo so, i nostri colleghi leggono avidamente Debka File, se non altro per sapere cosa ordina il padrone, e quale disinformazione diffondere per far carriera. Come accade a tutti i servi e maggiordomi, siamo più realisti del re David.

Può darsi che in questo servilismo ci sian una parte di vera paura della Russia, e la convinzione che l’America, la NATO, ci difendono. Anche qui, le notizie - se avessero il coraggio di leggerle - dicono un’altra verità.

In Georgia, bloccati dal contrattacco russo che non avevano previsto, ci sono ancora mille soldati americani che hanno partecipato all’esercitazione «Immediate Response» conclusa il 31 luglio. Per la precisione, ci sono gli uomini della Southern European Task Force (Airborne) che normalmente stanno a Vicenza, il 21mo Comando di Teatro partito dalla germanica Kaiserslautern, il 3° Battaglione Marines, e il 25moMarines venuto dall’Ohio (4).

Come si vede, noi europei siamo già coinvolti, se non altro come passivi ospiti delle basi USA, adoperate oggi per le aggressioni in Caucaso ed Asia centrale. Nel servaggio c’è la viltà: forse la convinzione che gli americani sono comunque «i più forti», dunque ci conviene stare con loro. Ma è proprio così?

Il Pentagono comincia ad ammettere di essere stato sopreso dalla «velocità e tempestività» della risposta bellica russa (5). Più precisamente, il Pentagono non ha visto il «build-up», l’ammassamento di truppe e mezzi ai confini che segnalasse l’intenzione di contrattaccare in forze. Tra 10 e 25 mila uomini (la cifra superiore è la valutazione georgiana) e 500 carri russi armati sono comparsi di colpo ed hanno preso la via dell’avanzata, appoggiati dal cielo da SU-25, SU-24, SU-27 e da bombardieri TU-22. Con tanti saluti ai satelliti-spia americani che possono identificare un pallone da football in ogni parte del pianeta e, secondo la «revolution in military affairs», sostituiscono con l’alta tecnologia la vecchia «intelligence» affidata a spie sul terreno.Un bello smacco per la rinomata intelligence elettronica che gli israeliani si son fatti pagare da Saakashvili.

Soprattutto, uno scacco per la convinzione strategica americana, che la guerra si possa vincere dal cielo, guardando giù coi satelliti e bombardando a distanza, senza stivali sul terreno. La convinzione che i computer e le comunicazioni sostituiscano inutile l’intelligenza tattica e la pura e semplice audacia. I russi hanno un’altra scuola, che viene da un’altra storia, da Stalingrado, dalla lezione appresa nel sangue dal nemico tedesco. La loro forza è proprio nella rapidità e nell’audacia tattica sul terreno.

M’è capitato di apprezzarla personalmente - sia consentito un ricordo personale - in Kossovo. Mentre la NATO occupava la ragione secondo le (sue) regole americaniste ossia prevedibili, un corpo russo - qualche Omon, qualche paracadutista, alcuni mezzi corazzati portatruppe - s’impadronì dell’aeroporto di Pristina. I generali inglesi e americani erano verdi di bile, per atterrare e decollare dovevano chiedere il permesso ai russi.

Mosca, specialmente allora, non poteva fare molto per la Serbia; ma con quell’azione avevano dato prova di una fantasia geniale, di una capacità di sfida quasi inaudita, che evidentemente veniva da una perfetta valutazione politico-militare della situazione e da un freddo calcolo del rischio. Tutto ciò che ho visto sempre mancare alla superpotenza USA.

Me li ricordo ancora, quei soldati russi. Sedevano a cavalcioni sui loro carri armati coi loro copricapi da carristi della seconda guerra mondiale, fumavano papiroske e ci guardavano con sfida. Molto sicuri di sè.

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1) John Helmer, «Russia bids to rid Georgia of its folly», Asia Times, 12 agosto 2008.
2) «US sends more arms to Georgia - Israeli media», Russia Today, 11 agosto 2008. «The United States is sending fresh supplies of weapons to Georgia from its base in the Jordanian port of Aqabah. That’s according to the Israeli newspaper - Maariv».
3) John Vandiver, «US troops still in Georgia», Star & Stripes, 12 agosto 2008. Anche 12 mila fra ebrei residenti ed israeliani sono bloccati in Georgia, e gridano perchè vogliono essere salvati; il governo di Olmert sta cercando di portarli via.
4) «Media disinformation: BBC distorts the news from the Georgia region», GlobalResearch, 10 agosto 2008.5) «US military surprised by speed, timing of Russia military action», AFP, 11 agosto 2008. «… the official said there was no obvious buildup of Russian forces along the border that signaled an intention to invade. ‘Once it did happen they were able to get the forces quickly and it was just a matter of taking the roads in. So it’s not as though they were building up forces on the border, waiting’, the official said. ‘What are their future intentions, I don’t know. Obviously they could throw more troops at this if they wanted to’, he said».


La Georgia la Israel connection
Mirumir – 11 Agosto 2008

Impossibile tener fuori gli israeliani da una storia di guerra?Già il primo giorno di guerra è uscita su Debkafile, sito israeliano che viene considerato vicino alle alte sfere militari israeliane, e per questo fonte sia di notizie di prima mano sia di propaganda fuorviante, l'informazione che gli israeliani avrebbero un ruolo nel conflitto tra Georgia e Ossezia del Sud.

Ricordiamo che anche Gerusalemme ha la necessità di difendere i propri interessi petroliferi nell'oleodotto Baku-Ceyhan, costruito in maniera da non passare in territorio russo (tra l'altro, sempre secondo Debka, Israele avrebbe offerto a Mosca di collaborare in un progetto per portare il gas ai porti israeliani di Ashkelon e di Eilat dalla Turchia, ma i russi avrebbero rifiutato). Questa la notizia di Debka:L'anno scorso il presidente georgiano ha assoldato da aziende di sicurezza private israeliane varie centinaia di consulenti militari, circa un migliaio, per addestrare le forze armate georgiane in tattiche di combattimento (commando, aria, mare, mezzi armati e artiglieria). Hanno inoltre offerto al regime centrale istruzioni sull'intelligence militare e la sicurezza.

Tbilisi ha acquistato anche armi, intelligence e sistemi elettronici per la pianificazione dei combattimenti da Israele. Questi consulenti sono di sicuro profondamente coinvolti nella preparazione dell'esercito georgiano alla conquista della capitale osseta di questo venerdì. Ieri (10 agosto) il quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha pubblicato questo articolo, dove esemplifica la questione (di seguito alcuni estratti): Il combattimento che è iniziato nel fine settimana tra Russia e Georgia ha portato alla luce il profondo coinvolgimento di Israele nella regione.

Questo coinvolgimento include la vendita di armi avanzate alla Georgia e l'addestramento di forze di fanteria dell'esercito georgiano. Il ministro della difesa [israeliano] ha tenuto un incontro speciale questa domenica per discutere delle varie vendite di armi israeliane in Georgia, ma finora non è stato annunciato nessun cambiamento di politica. "La questione è tenuta sotto stretto controllo", hanno detto fonti del Ministero della Difesa. "Non operiamo in nessun modo che possa contrastare gli interessi israeliani. Abbiamo declinato molte richieste che implicavano vendite di armi alla Georgia; e quelle che sono state approvate sono state analizzate scrupolosamente. Finora non abbiamo posto limitazioni alla vendita di misure protettive."

E fa un rapido riassunto della storia dei rapporti d'affari bellici tra i due paesi:Israele ha cominciato a vendere armi alla Georgia circa sette anni fa, in seguito all'iniziativa di alcuni cittadini georgiani che sono immigrati in Israele e si sono messi in affari. "Hanno contattato rappresentanti dell'industria della difesa e venditori d'armi e gli hanno detto che la Georgia aveva un budget relativamente alto e poteva essere interessata ad acquistare armi israeliane", dice una fonte coinvolta nelle esportazioni di armi. La cooperazione militare tra i paesi si è sviluppata prepotentemente.

Il fatto che il ministro della Difesa georgiano, Davit Kezerashvili, sia un ex cittadino israeliano che parla benissimo l'ebraico ha contribuito a questa cooperazione. "La sua porta era sempre aperta per gli israeliani che venivano a offrire al paese sistemi d'arma costruiti in Israele", dice la fonte. "Rispetto ad altri paesi dell'Europa dell'Est, i contratti con questo paese sono stati conclusi molto rapidamente, principalmente per via del coinvolgimento personale del ministro della difesa".

Tra gli israeliani che hanno tratto vantaggi da questa oppurtunità e hanno cominciato a fare affari in Georgia ci sono l'ex ministro Roni Milo e suo fratello Shlomo, l'ex direttore generlae delle industrie militare, il Brigadiere-Generale (in congedo) Gal Hirsch e il Generale-Maggiore (in congedo) Yisrael Ziv. Roni Milo ha condotto affari in Georgia per Elbit Systems e le Indutrie Militari, e col suo aiuto le industrie militari israeliane hanno venduto alla Georgia droni, torrette automatiche per veicoli blindati, sistemi antiaerei, sistemi di comunicazione, munizioni e missili.
[...] Gli israeliani che operano in Georgia hanno cercato di convincere le Industrie Aerospaziali Israeliane a vendere vari sistemi alle forze aeree georgiane, ma le offerte sono state declinate.

La ragione del rifiuto è la relazione "speciale" creatasi tra le Indutrie Aerospaziali e la Russia nel miglioramento dei jet da combattimento prodotti nell'ex Unione Sovietica e la paura che vendere armi alla Georgia avrebbe contrariato i russi e li avrebbe potuti spingere a cancellare l'affare.

L'articolo si chiude con i complimenti del ministro georgiano per la Reintegrazione, Temur Yakobashvili, all'esercito: "Gli israeliani devono essere fieri dell'addestramento israeliano e dell'educazione data ai soldati georgiani". Inoltre, secondo Ha'aretz, il ministro avrebbe dichiarato che "Non ci sono stati attacchi all'aeroporto di Tbilisi. Era una fabbrica che produce aerei da combattimento".

Affari, in sostanza, ma sembrerebbe che la Georgia sia decisamente un partner privilegiato nella regione, a quanto ne sappiamo finora. Però, secondo una notizia del 5 agosto tratta dal sito di Yediot Aharonot, che cita la Associated Press:Israele ha deciso di bloccare la vendita di equipaggiamento militare alla Georgia a causa delle obiezioni della Russia, che è alle corde col suo piccolo vicino caucasico, hanno dichiarato ufficiali del ministero della Difesa questo martedì. Gli ufficiali hanno detto che il congelamento aveva lo scopo parziale di dare delle chance ad Israele nei suoi tentativi di persuadere la Russia a non vendere armi all'Iran.