lunedì 30 aprile 2012

Update italiota

Un ennesimo aggiornamento sulle malefatte del governo Monti che sta portando il Paese alla bancarotta e alla distruzione del tessuto sociale.


Il più grande imprenditore italiano attacca le banche e ne denuncia la speculazione
di Sergio Di Cori Modigliani - http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it - 29 Aprile 2012


È il nostro fiore all’occhiello. È forse l’unica grande azienda italiana, leader planetario nel suo specifico settore merceologico, ad essere virtuosa, solida, in espansione. 

Presente in 132 nazioni, ha 75.560 dipendenti, di cui 62.000 addetti che producono nel territorio della repubblica italiana. Non ha neppure un cassintegrato e non ne prevede. 

Il suo titolo quotato in borsa, soltanto nel 2012, è schizzato in avanti del 32%: unico titolo in positivo. Il suo fatturato si aggira intorno ai 7 miliardi di euro, superiore di un +13,1% rispetto all’anno precedente. 

L’azienda è nata nel 1961, ad Agordo, in provincia di Belluno, dentro un garage.
La storia di questa fabbrica e del suo ideatore e fondatore è studiata oggi nel corso di management industriale all’università di Harvard come esempio pratico e vincente “del miracolo economico italiano che coniuga impresa, creatività, rischio, con una ricerca accurata del design, del gusto e del dettaglio che nasce dall’applicazione della tradizione artigiana locale”.

L’azienda non ha mai visto uno sciopero, né uno scorporo, né proteste.

Si chiama LUXOTTICA. Produce lenti per occhiali e li vende in tutto il mondo. Tra i suoi clienti più famosi la polizia stradale della California (i celeberrimi CHIPS) l’esercito cinese, tutta la linea occhiali di Christian Dior e Yves Saint Laurent. Produce in Italia e vende in Cina.

Il suo proprietario e fondatore, Leonardo Del Vecchio, nato nel 1935 a Milano, è poco noto alla massa degli italiani. Ma il suo nome è un mito in Usa, Germania, Gran Bretagna, Cina.

La sua frase più recente? “Non investiamo neppure un euro nella finanza, perché noi sappiamo come produrre, come inventare mercato, avendo come fine la ricchezza collettiva della comunità, altrimenti questo lavoro non avrebbe senso”.

Alieno da conventicole, complotti, schieramenti politici di parte, corteggiato da sempre sia dalla destra che dalla sinistra (“no grazie, non mi piacciono i balli a corte” ha risposto all’ultima preghiera-convocazione alle elezioni politiche del 2008 sia al PD che al PDL che alla Lega Nord) è uscito allo scoperto per la prima volta nella sua esistenza, violando il suo codice personale fatto di discrezione, poche chiacchiere e molto lavoro intinto di creatività.

“Basta con i manager mitomani finanzieri” ha detto al giornalista  Daniele Manca in una esplosiva intervista pubblicata sul corriere della sera qualche giorno fa, non a caso, in Italia, volutamente passata sotto silenzio e rimasta priva del dibattito che avrebbe meritato.

Ma non all’estero.

Soprattutto in Usa e in Gran Bretagna dove la situazione italiana è seguita con estrema attenzione, perché Del Vecchio sta spiegando come funziona l’Italia, anzi….come non funziona l’Italia e perché, allertando il business internazionale che conta sulla situazione nel nostro paese. 

Vox clamantis in deserto, la sua opinione è fondamentale, soprattutto in questo momento, e per una ragione ben specifica: perché Del Vecchio è sceso in campo (non ama e non ha bisogno di visibilità) andando all’attacco del cuore della finanza italiana.

Qualche notizia biografica su di lui tanto per capire che tipo sia.

All’età di sette anni rimane orfano, insieme a quattro fratelli. Provenendo da famiglia disagiata, i fratelli vengono dati in affidamento. Lui, invece, finisce nei Martinitt, l’orfanotrofio milanese per poveri.

All’età di 15 anni, con il diploma di scuola media, esce e va a lavorare come garzone di bottega in una fabbrica che stampa marchi di metallo. I proprietari del negozio lo aiutano e lo spingono a iscriversi ai corsi serali all’Accademia di Brera per studiare design e soprattutto incisione.
A ventidue anni si trasferisce nel trentino dove trova lavoro come operaio in una fabbrica di incisioni metalliche e impara il mestiere.

Dopo sei anni, all’età di 27 anni, riesce a ottenere gratis un enorme garage e capannone abbandonato nel comune di Belluno, di proprietà della regione, con la consegna di avviare un’attività per assumere personale proveniente dalle comunità montane più disagiate. E inizia, insieme a due collaboratori, a tirar su l’impresa: fabbricare occhiali all’italiana, con montature originali artigianali d’eccellenza, incise a mano, e lenti molate da lui personalmente.

Vent’anni dopo è una florida azienda e va all’attacco del mercato statunitense che gli mette potenti sbarramenti. Li supera tutti. Stende la concorrenza più competitiva che si arrende. Acquista i tre più importanti marchi Usa e diventa la più potente multinazionale al mondo nel settore della produzione di occhiali. Dal 2002 è leader incontrastato.

Oltre ad essere il maggior azionista di Luxottica è un importantissimo grande azionista di Unicredit e soprattutto le assicurazioni Generali. Data la sua posizione è sempre stato nel consiglio direttivo del colosso assicurativo.

Tre giorni fa (ed ecco perché ne parliamo e lui ha deciso di parlarne al pubblico) si è dimesso, se n’è andato sbattendo via la porta, con un clamoroso atto d’accusa: “la mia è una protesta contro il management imprenditoriale di questo paese, composto da individui superficiali che non sanno nulla del loro lavoro, sono semplici contabili mitòmani. Mi sento davvero a disagio. Il vero problema è che quando da assicuratori si vuole diventare finanzieri comprando le più disparate partecipazioni senza comunicare nulla ai propri azionisti, non si fa un buon servizio né per l’azienda, né per gli azionisti, né per il paese. Mentre questo è un periodo in cui ciascuno dovrebbe fare il proprio dovere, ovverossia: fare ciò che sa fare. E chi crede che lo spread sia domato, si sbaglia di grosso. Basta un nulla per farlo schizzare a 600 e mandare la nazione a picco. È ciò che stanno facendo gli imprenditori italiani e le banche e i colossi assicurativi perché insistono nell’investire nella finanza: il rischio è alto ed estremo”.

La considero una voce fondamentale da ascoltare, quella di Leonardo Del Vecchio. Sulla quale riflettere. Perché l’Italia ha bisogno di un incontro tra imprenditoria efficace, efficiente e virtuosa da una parte e mondo del lavoro dall’altro, uscendo fuori dalle consuete griglie di protesta che finiscono per coagulare dissenso e indignazione uscendo fuori dalla immediata necessità di emergenza di costruire alleanze solide tra le due parti sociali.

Del Vecchio è sceso in campo. Nel modo giusto.

Non scende in campo appoggiando un certo partito, né movimento. Non ama Monti e non lo odia. Non vuole entrare in politica come soggetto. Vuole dare uno scossone al mondo dell’imprenditoria. La sua voce è da diffondere.

Perché il suo curriculum professionale ed esistenziale è il suo biglietto da visita.

“Il problema dell’Italia nasce quando si vuole fare finanza. Quando, le aziende, usando i soldi degli investitori e soprattutto dei risparmiatori, comprano un pezzettino di Telecom, e un pezzetto di una banca russa; si mettono a repentaglio – come nel caso delle assicurazioni Generali – ben due miliardi di euro alleandosi con il finanziere ceko Kellner e ci si impegna con la Citylife in una percentuale che nessun immobiliarista al mondo avrebbe mai accettato, com’è avvenuto nel 2009 quando hanno investito 800 milioni in fondi di investimento greci. Miliardi di euro sono andati in fumo. Erano soldi di imprenditori italiani che avevano investito con l’idea di poter poi spostare i profitti nel mercato del lavoro per tirar su imprese e creare lavoro. I manager responsabili di questi atti perdenti sono stati tutti promossi e saldati con stipendi multi milionari. Non si va da nessuna parte, così”.

È impietoso, Del Vecchio. Picchia duro. E se lo può permettere. E parlando al canale televisivo di Bloomberg, quando un giornalista americano gli ha fatto la domanda da 1 milione di dollari “Lei come si pone rispetto all’articolo 18 che in Italia è il punto dolente nello scontro tra imprenditori e lavoratori?” ne è uscito in maniera impeccabile.

Ha risposto: “Un dibattito inutile, fuorviante. Personalmente, ripeto “personalmente” non mi riguarda. Su 65.000 lavoratori italiani che pago ogni mese, non c’è nessuno, neppure uno che rischia il licenziamento. Che ci sia l’art.18 così com’è, che venga abolito, modificato, cambiato, per me è irrilevante. La mia azienda funziona e ogni imprenditore – parlo di quelli veri – ha come sogno autentico quello di assumere e non di licenziare. Il paese si rialza assumendo non licenziando. E la colpa è delle banche”.

È la prima volta che un grande imprenditore, un grande finanziere, un grande industriale, attacca frontalmente le banche italiane. E qui non si tratta dei bloggers che odiano Goldman Sachs o dei consueti slogan contro la finanza internazionale.

Perché Del Vecchio attacca la gestione inconcludente delle banche, affidata a “personale e personalità poco affidabili”. Racconta la parabola di Alessandro Profumo che lui presenta come una favola con un brutto finale, senza fare pettegolezzi o scandali.

“Finchè Unicredit e le Generali facevano le banche andava bene. Poi si sono buttati nella finanza e hanno perso la testa. Ho visto sotto i miei occhi trasformarsi Profumo. Partecipazioni, fusioni, investimenti a pioggia inutili e perdenti, con l’unico fine di agguantare soldi veloci e facili invece che produrre impresa con l’unico risultato di ottenere perdite colossali e bonus di uscita per diverse decine di milioni di euro. Le banche italiane hanno perso la testa. Ricordo il 1981. La mia azienda, dopo 20 anni, era diventata forte e solida. Avevo capito che la globalizzazione era alle porte e bisognava andare all’attacco del mercato americano. Ma non si cerca di entrare in Usa se non si è solidi finanziariamente. Abbiamo fatto le nostre ricerche e analisi e alla fine abbiamo calcolato che avevamo bisogno di una certa cifra molto alta. Mi rivolsi al Credito Italiano. Andai a parlare con Rondelli che la dirigeva. Gli dissi che volevo iniziare acquistando Avantgarde, un marchio americano che sarebbe stato il cavallo di Troia, ma non avevo i soldi. Presentai il progetto, il business plan, il programma, i rischi. Dieci giorni dopo mi convocò alla banca. Accettò. Mi presentai in Usa che mi ridevano in faccia. Dissero la cifra. Tirai fuori il libretto di assegni e firmai senza neppure chiedere lo sconto di un dollaro. Due ore dopo, l’amministratore delegato di Avantgarde mi confessò al bar penso di aver commesso il più grande errore professionale della mia vita e si ritirò dagli affari. Un anno dopo avevo restituito alla banca tutto il capitale con gli interessi composti, avevo aperto quattro nuovi stabilimenti e assunto 4.500 persone. Questo deve fare una banca. O in Italia lo capiscono e si danno una smossa, oppure si rimane alle chiacchiere e si affonda”.

Del Vecchio spera e auspica che Monti intervenga molto presto nel settore che lui (e Corrado Passera) conoscono molto ma molto bene: banche e finanza italiane. E propone di far applicare un codice ferreo di regolamentazione comportamentale che imponga a tutti gli amministratori delegati di banche, fondazioni e aziende, di riferire come usano i soldi.

“Alle Generali l’amministratore delegato poteva disporre investimenti fino a 300 milioni di euro senza comunicare niente a nessuno. Lo stesso a Unicredit, Intesa SanPaolo, Mps. La verità è che nessuno sa dove vanno a finire quei soldi, dove siano andati a finire i soldi. La mia azienda alla fine dell’anno si ritrova circa 700 milioni di euro da investire. Andrea Guerra che è il mio amministratore ogni volta che deve spendere cifre superiori a 1 milione di euro, informa ogni singolo membro del consiglio e manda copia a ogni importante azionista. Pretende di avere delle risposte e pretende che si discuta del suo investimento perché vuole sapere l’opinione di tutti, compreso il collegio sindacale interno e il rappresentante sindacale dei lavoratori dipendenti. Perché l’azienda è anche loro. Il loro posto dipende dalle scelte di chi dirige. Ogni decisione presa viene valutata collettivamente. Se si rischia, lo sanno tutti, l’hanno accettato. Non esistono mai sorprese. Questa è la strada. Non ne esistono altre. O si fa così, o si chiude tutti quanti, baracca e burattini”.

Perché la classe politica italiana non si fa carico delle gravissime preoccupazioni di imprenditori come Del Vecchio e non interviene in proposito?

Non stanno lì in parlamento ad appoggiare un gruppo di professori nel nome delle imprese e della ripresa economica? Se non ascoltano i leader che producono, che senso ha? Dov'è il Senso?

Ho pensato che potesse essere interessante una voce insolita, diversa dai precari, dai disoccupati, dai licenziati, che vivono ogni giorno la propria tragedia esistenziale. Il nemico non sono le imprese. Il vero nemico è la sordità di governanti e politici che non ascoltano chi produce e conosce la verità del mercato.

Quello è il vero nemico.
Quella sordità è l’anti-politica. Che cosa c’entra Beppe Grillo?


Evadere le nuove tasse di Monti è un dovere civico
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 26 Aprile 2012


Primo assunto: il governo di Mario Monti è illegittimo e criminoso, essendo frutto di un Golpe Finanziario che ha sospeso la democrazia parlamentare in Italia. Il prelievo fiscale di un governo golpista è illegittimo di per sé. (*)

Secondo assunto: il prelievo fiscale del governo Monti è uno STRUMENTO CRIMINOSO mirato a distruggere il tessuto economico dell’Italia secondo un piano ordito da elite tecnocratiche Neoclassiche, Neomercantili e Neoliberiste che su di esso profittano, e che fu imposto ai cittadini nel corso della creazione dell’Eurozona, anch’essa strumento di spoliazione illegittima dei popoli europei per il profitto esclusivo di quelle elite. (**)

Terzo assunto: acconsentire e piegarsi a un siffatto strumento criminoso è inaccettabile, significa favoreggiamento.

Quarto assunto: con l’entrata dell’Italia nell’Eurozona e con la ratifica nazionale del Trattato di Lisbona - entrambe le cose avvenute SENZA ALCUNA CONSULTAZIONE del popolo sovrano - lo Stato italiano ha perduto la sua moneta sovrana (Lira).

Gli è quindi negata la possibilità di emettere senza limiti teorici una propria moneta per finanziare la spesa corrente, e ciò lo pone, al pari di tutti i Paesi della zona Euro, nella scandalosa condizione di doversi approvvigionare di moneta Euro indebitandosi coi mercati di capitali privati, che ricevono gli Euro dalla BCE direttamente all’emissione.

Ne deriva che oggi con l’Euro lo Stato italiano TASSA i cittadini e aziende fino all’esasperazione PER RIPAGARE I DEBITI che contrae coi mercati di capitali privati per far fronte alle spese correnti, i quali mercati poi usurano lo Stato con tassi d’interesse impossibili, facendo PROFITTI favolosi.

Questo drenaggio fiscale insostenibile sta distruggendo l’economia e i risparmi degli italiani, ma si ribadisce che esso NON è un accidente di percorso. E’ al contrario parte del piano di profitti criminosi di cui all’assunto 2, e sta causando letteralmente la rovina di almeno un’intera generazione di connazionali destinati a sofferenze inaccettabili nel presente e nel futuro.

Quinto assunto: il prelievo fiscale criminoso di cui sopra è stato criminosamente istituzionalizzato con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione italiana – pareggio di bilancio in Costituzione - ottenuto nel corso del Golpe Finanziario sotto la MINACCIA ESTERNA dei mercati dei capitali che sono in grado di paralizzare l’intera Funzione Pubblica italiana negandogli arbitrariamente la moneta Euro di cui essa ha assoluto bisogno. Il parlamento italiano non ha avuto alcun potere di dissenso, pena appunto la distruzione dall’esterno della nostra economia, ed è di fatto esautorato (Golpe).

Sesto assunto: si ricorda, in quanto cruciale per quanto poi si va a proporre, che l’istituto del prelievo fiscale in REGIME DI SOVRANITA’ MONETARIA (la Lira) non è MAI servito a finanziare la spesa dello Stato. Va compreso che il prelievo fiscale è effettuato su denaro che lo Stato ha emesso PER PRIMO perché solo lo Stato può creare la moneta.

Per cui risulta un contro senso pensare che lo Stato possa spendere solo dopo aver prelevato da cittadini e aziende il denaro che lui stesso emette in origine. Ne consegue che il pagamento delle tasse NON è nato come obbligo di cittadini e aziende per permettere allo Stato di funzionare, ed è assurdo quindi che lo Stato li tassi a sangue con quel pretesto.

Infatti proprio la natura stessa delle tasse, in regime di sovranità monetaria, dovrebbe permettere allo Stato di ARRICCHIRE la cittadinanza perseverando in una spesa statale SUPERIORE alla tassazione, e non di impoverire la cittadinanza. Ne deriva inoltre che lo Stato italiano della Lira era teoricamente nella posizione di poter liberamente alleggerire la pressione fiscale nel caso in cui l’economia del Paese tendesse a una recessione.

Ma a causa del criminoso disegno dell’Eurozona di cui sopra e all’assunto 4, oggi lo Stato deve proprio attingere da cittadini e aziende con ampi e crescenti prelievi fiscali (le Austerità) per far fronte al suo fabbisogno.

Ciò inevitabilmente deprime l’economia in un circolo vizioso micidiale di deflazione dei redditi, quindi crolli aziendali, quindi disoccupazione, quindi ammortizzatori sociali alle stelle, quindi esborsi statali improduttivi e quindi ancor più tasse per farvi fronte, e sofferenze sociali inaccettabili.

 Tutto ciò aggravato da fatto di essere stato voluto a tavolino dalle elite Neoclassiche, Neomercantili e Neoliberiste per il fine di distruggere la sovranità democratica negli Stati del sud Europa imponendovi povertà di massa, su cui essi speculano immense fortune. Un crimine sociale di proporzioni storiche.

Dunque, QUESTA tassazione del governo Monti è non solo distruttiva, ma è anche ILLEGITTIMA IN QUANTO CRIMINOSA, e ci è inflitta da una struttura monetaria e da Trattati europei che CI SONO STATI IMPOSTI CON L’INGANNO E SENZA ALCUNA CONSULTAZIONE DEL POPOLO SOVRANO. Si badi bene:

NON E’ COLPA DELLE FAMIGLIE DI QUESTO PAESE SE I GOVERNI TECNICI DEGLI ANNI ’90, DA AMATO A PRODI A D'ALEMA, E I PRESENTI TECNICI AL GOVERNO, IMPONENDOCI L’EURO CI HANNO MESSO CON L’INGANNO NELLE CONDIZIONI ASSURDE E SOCIALMENTE MICIDIALI DI DOVER NOI CITTADINI FINANZIARE LA SPESA DELLO STATO CON LE TASSE SUL NOSTRO RISPARMIO

Date per assodate, cioè frutto di indagini e di lavoro accademico autorevole (**), le nozioni di cui sopra, risulta che è dovere di cittadini e aziende italiani opporsi con ogni mezzo a questo crimine. Questo Golpe Finanziario, che usa quel prelievo fiscale illegittimo come arma di distruzione economica, viene condotto dal governo illegittimo in carica con la collusione persino della più alta carica dello Stato. Diventa così lecito per i cittadini e aziende organizzarsi in una resistenza civica che preveda disubbidienze a tutto campo, e che si fermi solo di fronte alla scelta della violenza.

Per tutto quanto sopra, con particolare riferimento alla tassazione devastante del governo Monti, invito i cittadini consapevoli dei danni epocali e delle sofferenze per generazioni che questo sistema criminoso ci impone, a DELEGITTIMARE il prelievo fiscale criminoso di questo governo rifiutandosi apertamente di pagare il prelievo fiscale quando esso raggiunge e supera il livello complessivo del 40% del PIL italiano.

Ecco la spiegazione:

Il disegno devastante dell’Eurozona, come già detto, ci impone il pareggio di bilancio, che significa che lo Stato spenderà per noi 50 e ci toglierà 50. A noi rimane zero in tutti i settori, dei servizi essenziali ai mancati aumenti di reddito, impoverendoci in massa con le conseguenze che già sono drammatiche oggi. Noi ci ribelliamo a questa condizione di cui non abbiamo colpa, e che è a favore solo delle speculazioni di elite private. Noi rivendichiamo il diritto di pagare MENO TASSE di quanto il governo spenda per noi.

E poiché il livello di spesa del governo oggi è del 49,8% del PIL, noi rivendichiamo il diritto di pagare in tasse non più del 40% del PIL. Ciò sulla base del fatto che la spesa/tassazione dello Stato deve esistere e ha un senso SOLO SE MIRATA AL BENESSERE E AL PROGRESSO DEI SUOI CITTADINI E AZIENDE, non al loro impoverimento criminoso, QUINDI CI DOVRA’ DI NORMA ESSERE PIU’ SPESA DELLO STATO CHE TASSE.

Come fa quindi il cittadino ad eseguire questa intenzione? Ecco come:

I cittadini e aziende infliggeranno al governo illegittimo e golpista di Mario Monti una autoriduzione del prelievo fiscale a random, con ogni mezzo disponibile non violento, come forma di RESISTENZA PASSIVA CIVICA al piano criminoso di cui sopra, fino a portare il Paese all’impossibilità di ottenere il pareggio di bilancio, il che costringerà finalmente la nazione all’uscita forzata dalla camicia di forza dell’Eurozona (default), che è l’unica strada per recuperare la SOVRANITA’ MONETARIA, che sottrarrà l’Italia al piano criminale delle elite e la salverà dalla catastrofe. La fattibilità e la VIRTUOSITA’ di tale default è supportata da ampia letteratura accademico/scientifica. (**)

Conclusione:

LE TASSE FACENTI PARTE DELLE AUSTERITA’ CHE MARIO MONTI, GIORGIO NAPOLITANO E MARIO DRAGHI CI INFLIGGONO PER FINI CRIMINOSI SONO ILLEGITTIMI STRUMENTI DI SPOLIAZIONE DELLA DEMOCRAZIA E DEL POPOLO SOVRANO, E NON VANNO PAGATE.


(*) Per la criminosità del presente governo si faccia riferimento a http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=361

(**) Per la letteratura accademica e investigativa a prova di quanto affermato si faccia riferimento a Il Più Grande Crimine 2011 e alla bibliografia in esso citata http://www.paolobarnard.info/ e agli atti del Summit Modern Money Theory tenuto da cinque economisti di fama internazionale a Rimini pubblicati qui http://www.democraziammt.info/


"Monti è uno dei nostri"
di Carlo Tecce - Il Fatto Quotidiano - 26 Aprile 2012

Vuol sapere un segreto?”, dice Carlo Secchi con la voce impastata durante un’ora di colloquio a murare domande e tramandare leggende. La Commissione Trilateral, origine americana e desideri di tecnocrazia, dollari e diplomazia, maneggia sapientemente i segreti.

Secchi è il presidente italiano, nonché ex rettore all’Università Bocconi e consigliere d’amministrazione di sei società quotate in Borsa tra cui Italcementi, Mediaset e Pirelli: “Quando il nostro reggente europeo Mario Monti ha ricevuto l’incarico dal Quirinale, e stava per formare il governo, noi eravamo riuniti: curiosa coincidenza, non l’abbiamo scelto noi”. Questo è un tentativo di respingere i complotti che inseguono la Commissione.

Monti premier, promosso o bocciato?

La Trilateral guarda l’Italia con grande interesse. Tutti sono contenti e ammirati per il lavoro di Mario Monti. È inevitabile che ci sia un’ottima considerazione del premier, che è stato un apprezzato presidente del gruppo europeo.

Prima osservava e giudicava, ora è osservato e viene giudicato.

Ovviamente i princìpi di fondo – su economia, finanza, riforme, bilancio, sviluppo – sono ancora condivisi. Mario non li ha rinnegati: c’è continuità fra il Monti in Commissione Trilateral e il Monti a Palazzo Chigi.
È un fatto positivo. Non è l’unico che passa per le nostre stanze: da Jimmy Carter a Bill Clinton, da Romano Prodi fino al greco Lucas Papademos.

Cos’è la Trilateral?

Una storia di quarant’anni, a breve onoreremo l’intuizione del banchiere David Rockefeller e le visioni di Henry Kissinger. Avevamo una struttura tripolare che rispettava i poteri di un secolo fa: americani, canadesi e messicani; l’Europa democratica, cioè occidentale; Giappone e Corea del Sud. Adesso ci spingiamo verso i paesi orientali, quelli più rampanti: India e Cina, Singapore e Indonesia. Siamo una specie di G-20 allargato. La Croazia è l’ultima ammessa.


Che ruolo giocate?

Favorire il dialogo su temi di carattere economico e geopolitico. Vogliamo coniugare l’interesse fra le istituzioni e gli affari.

Bella definizione, teorica però. Chi seleziona i componenti?

Siamo divisi in gruppi continentali e nazionali con un numero limitato. In Europa non possiamo superare i 200 membri, mentre in Italia siamo 18. Posso citare, per fare un esempio, Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Enrico Tomaso Cucchiani (Intesa), John Elkann (Fiat). Io sono entrato come rettore della Bocconi.

Chi si dimette fa un nome per la successione, ma si cercano figure simili. Soltanto un banchiere può sostituire un banchiere.

Il nostro disegno è quello di contenere la società italiana: professori universitari, esperti militari, ambasciatori, imprenditori, politici, giornalisti. Ci vediamo due volte all’anno con vari argomenti da approfondire e cerchiamo di trovare una soluzione. Lanciamo idee.

E chi le raccoglie?

Ciascuno di noi ha un collegamento con le istituzioni. Il nostro presidente può chiedere un incontro con i commissari europei.

Noi elaboriamo proposte, non facciamo pressioni. Non votiamo mai per un nostro piano, discutiamo, punto.

Differenze con il Club Bilderberg?

Le nostre porte sono più aperte, c’è un profondo ricambio generazionale. A volte si può assistere ai dibattiti, invitiamo personalità a noi vicine, ma con un divieto assoluto: non è permesso riportare dichiarazioni all’esterno. Questo serve a garantire la nostra libertà.

C’è tanta massoneria fra di voi?

Personalmente non me ne sono accorto, può darsi che qualcuno dei membri maschi sia massone. Non c’è nulla, però, che rimandi a una loggia. Più che i grembiulini, noi indossiamo una rete: è chiaro che, avendo numerosi contatti sparsi ovunque, ci si aiuti a vicenda.

Come influenzate i governi?

Soltanto in maniera indiretta, non abbiamo emissari, non siamo un sindacato né un partito. Non mi piace il verbo influenzare.

Ma non posso negare che le nostre conoscenze siano ampie.

Scommettete contro l’Euro morente?

Non posso portare fuori il pensiero interno alla Trilateral. Posso raccontare spezzoni, elementi messi insieme durante l’ultima assemblea di Tokyo. Quando ragioniamo sull’euro ci rendiamo conto che siamo di fronte a una creatura incompiuta e quindi consigliamo un mercato europeo comune, non soltanto una moneta.

Previsioni?

La Cina è un chiodo fisso, a Tokyo è stata protagonista. Cina vuol dire crescita e integrazione, e il timore che quel mezzo potentissimo possa rallentare. Invece gli americani si sentono tranquilli, ma credono che l’Europa sia un po’ lenta a risolvere i suoi problemi e sono molto insoddisfatti di Bruxelles.

Meglio i tecnici o i politici al governo?

Ci sono tecnici ad Atene e Roma.

Papademos e Monti, due ex illustri esponenti della Trilateral.

Il prossimo modello, forse anche in Italia, sarà una coalizione trasversale come in Germania. Poi cambia poco se i ministri saranno o no dei partiti.

Quali sono i vostri amici nel governo italiano?

Oltre a Monti e al sottosegretario Marta Dassù (Esteri), per motivi professionali, dico i ministri Lorenzo Ornaghi (Cultura) e Corrado Passera (Sviluppo economico).

La Trilateral è potente perché misteriosa?

Siamo semplicemente una rete forte, la migliore al mondo. Non prendiamo direttamente decisioni importanti, ma ci siamo sempre nei momenti più delicati. Jimmy Carter non è diventato presidente perché era il capo americano: una volta alla Casa Bianca, però, sapeva di avere un gruppo di persone con cui consigliarsi.


Monti, IMU, disastro immobiliare
di Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 26 Aprile 2012

Il Censis stima che l’IMU produca una perdita di valore degli immobili italiani tra il 20 e il 50%, cioè tra 800 e 2.000 miliardi di Euro, stimando 4.000 il patrimonio ante IMU. E’ come se una serie di bombardamenti avesse distrutto un edificio e un terreno su tre.

Quindi Monti, ha fatto un danno di circa 1.500 miliardi al patrimonio privato e pubblico del paese, per incassarne 47.

Ha fatto un danno di 2/3 del debito pubblico, senza ridurre il debito pubblico, ma aggravandolo e peggiorando il rapporto tra valore dei risparmi e debito pubblico e privato.

Ha colpito in tal modo l’unico punto forte della situazione finanziaria italiana: il buon rapporto tra debito (pubblico e privato) e patrimonio (pubblico e privato). Davvero un genio dell’economia! Non basta la nomina a Senatore a Vita per alti meriti verso la patria. Merita  un premio Nobel.

 Il danno così cagionato da Monti e da chi lo sostiene non sta solo nella perdita di ricchezza nazionale, perché la svalutazione degli immobili ha ben altri effetti:

 1)rende più difficile e meno fruttuosa la via di ridurre il debito pubblico vendendo il patrimonio immobiliare dello Stato;

 2)taglia il valore delle garanzie immobiliari date da imprese e cittadini alle banche, quindi taglia il credito  e l’attività economica;

 3)deprime il mercato immobiliare, già depresso da circa cinque anni;

 4)fa chiudere i cantieri delle costruzioni in corso, per la ragione al punto 2) e al punto 3);

 5)fa chiudere o fallire molte imprese edili, con ricadute negative (insolvenze, cessazione degli ordinativi) sull’indotto e sull’occupazione, quindi anche sugli ammortizzatori sociali;

 6)moltiplica la recessione e la rende irreversibile, perché le recessioni e le riprese dei sistemi economici sono guidate e sostenute dal settore delle costruzioni, come ultimamente vediamo nel caso del Regno Unito.

Possiamo facilmente immaginare che cosa sarebbe successo, che so, a Sarkozy, se avesse fatto una cosa simile alla Francia. Gli italiani, diversamente dai francesi, sono un popolo-materasso.

Monti ha coalizzato intorno a sé le forze del privilegio e delle rendite – partiti, banchieri, monopolisti, grandi burocrati strapagati – per portare avanti un politica senza investimenti e senza rinnovamento e senza crescita, di sola recessione, tassazione, disoccupazione e pagamento di interessi agli stranieri e di sostegno alla speculazione bancaria.

 Ma a chi può giova questa sua politica anti-italiana? Solo a un ceto bancario che vuole il paese ridotto in miseria e alla disperazione per far incetta delle sue ricchezze reali prezzi stracciati e approfittare del bisogno della gente per imporre tagli di diritti e ulteriore sottomissione al capitale di sfruttamento straniero.

Solo a un disegno di sottomissione dell’Italia e di altri paesi europei al capitalismo soprattutto tedesco, e di loro riduzione a un ruolo servile di subcontinente europeo, di serbatoio di lavoro a basso costo e bassa qualificazione, a un mercato di sfogo per prodotti di basso prezzo e bassa qualità. La riforma Fornero, in diversi sensi, ne è un assaggio concreto.

E se leggete l’ultimo libro di Nino Galloni, Chi ha tradito l’economia italiana?, avrete la storia, ben documentata, di come gli interessi economici stranieri, sin dagli anni ’60, si sono ingeriti nella politica italiana per bloccare la crescita della nostra economia, il risanamento delle nostre finanze, anzi per sabotarle e porre l’Italia in condizioni di dipendenza.

 Monti può essere in buona fede – non conosco il suo animo, non posso condannarlo– ma di fatto agisce come un Nemico a tutti gli effetti. Se si vuole sopravvivergli, bisogna considerarlo per quello che è e fa, assieme alle forze e ai partiti collaborazionisti, che lo sostengono e lo votano per interesse. Il suo governo sta facendo più danni materiali della precedente occupazione tedesca, quella di cui si festeggiava e ieri la ricorrenza della fine; e, suicidio dopo suicidio, rischia di fare anche altrettante vittime di quella, se lo si lascia andare avanti.

Alle elezioni amministrative, non votate per i collaborazionisti.


Cosa propone Grillo?
di Alessio Mannino - www.nuovavicenza.it - 27 Aprile 2012

Analisi del programma a 5 Stelle

Proprio fra ieri e oggi venerdì 27 aprile, Beppe Grillo, mente politica, guida carismatica e megafono del Movimento 5 Stelle, fa tappa nel Vicentino, a Sarego, Rosà e Thiene. Le sue liste civiche corrono in questi Comuni, nonchè a Marano Vicentino, Sandrigo e Villaverla. Era evidentemente a lui che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, si riferiva nel suo discorso del 25 aprile quando ha condannato i «demagoghi» che soffiano sul fuoco della cosiddetta «antipolitica». Grillo, infatti, è contro questa politica per intero, come sistema di partiti e lobby economiche, ed essendo estraneo alla logica destra-sinistra viene attaccato sia da destra sia da sinistra.

L’accusa nei confronti del suo movimento che forse coglie maggiormente nel segno è però un’altra: l’indefinitezza del programma ( Programma Movimento ) . Bisogna dire che risale a tre anni fa ed è un work in progress aperto ai partecipanti, tuttavia è il materiale prodotto finora e su cui ci si può fare un’idea abbastanza precisa. Perciò, senza pregiudizi (che ammorbano spesso troppi affrettati giudizi), una disamina dei punti che lo compongono ci sta tutta. Anche perchè fa da testo ispiratore di ciascuna lista locale.

Anzitutto, spiace per i “grillini” in totale buona fede, ma il programma sarà pure stato elaborato coi loro contributi via web, e tuttavia i temi di fondo li decide Beppe coi suoi post quotidiani sul blog . E il collante emotivo e identificativo è fornito dalla sua persona, dalla sua irruenza, dai suoi slogan (con buona pace della “democrazia interna”: a livello di singolo meetup sì, ma l’agenda e l’ultima parola spettano a lui, c’è poco da girarci intorno). 

Scorrendo i contenuti del programma, sintetico e vivaddio scritto in un italiano comprensibile, le proposte ci sono e la maggior parte di esse sono condivisibili. Ma altre sono francamente ingenue o strampalate. Vediamo le più significative.

Stato e cittadini: via il lodo Alfano, basta Province, fine dei privilegi per la Casta, referendum abrogativi e propositivi senza quorum. Tutto bene. Partecipazione via web dei cittadini ad ogni incontro pubblico: in che senso? Ci si limiterebbe a guardare le sedute dei consigli comunali come già avviene da qualche parte, o i cittadini potranno dire la loro in qualche modo, cosa realisticamente impraticabile? 

E soprattutto: una volta fatto il repulisti da pregiudicati e collezionisti di poltrone, in cosa sarà migliore l’attuale sistema parlamentarista, se non si cambia la forma-Stato, ufficialmente una democrazia rappresentativa su scala nazionale, di fatto una partitocrazia al servizio degli interessi economico-finanziari sovranazionali? 

Energia: bene l’adeguamento degli edifici, a partire dalle case private, a standard di consumo sul modello ecologista della Provincia di Bolzano e della Germania, bene gli impianti di auto-generazione, bene le fonti rinnovabili, bene che venga espressamente citato l’autoconsumo. 

Eppure, senza che questa voglia essere una critica ma semmai uno stimolo, bisognerebbe chiarire una questione fondamentale: si è disposti o no alla rinuncia di certe comodità, di alcuni comfort dati per scontati, pur di ridurre il volume di energia prodotta? Insomma, sì o no ad una decrescita volontaria, per vivere meglio con meno?

Capitolo informazione: ok l’abolizione dell’abominevole legge Gasparri, dell’inutile Ordine dei giornalisti, degli oligopoli editoriali (televisioni e stampa) con lo stop a quote proprietarie superiori del 10% e l’obbligo di azionariato diffuso (public company), tetto del 5% alla raccolta di pubblicità nazionale, divieto di partecipazione in giornali, radio e tv a banche ed enti pubblici. Naturalmente, e come potrebbe essere altrimenti, c’è una forte sensibilità alla promozione dello strumento internet (cittadinanza digitale, accesso mobile generalizzato, tariffe più basse). 

Domanda: visto che l’orizzonte tracciato da Grillo è quello di un mercato puro, seppur mitigato dalla public company, dove a farla da padrone sarebbe il web, come sostenere l’insostituibile valore della carta stampata ultimo baluardo di riflessione nella video-overdose della comunicazione moderna?

Economia. Qui emergono chiari i limiti del grillismo. Perché va benissimo la class action, auspicabile l’eliminazione della legge Biagi, sottoscrivibile l’appoggio a industria agroalimentare e manifatturiera «con un prevalente mercato interno», d’accordissimo sul favorire le produzioni locali. Ma come le si favoriscono? E una volta cancellata la Biagi, come regolare il mercato del lavoro? 

E poi: aboliti i monopoli di fatto (ferrovie, Eni, Enel, Telecom, ecc), che facciamo, diamo in pasto servizi essenziali al solito mercato? Con quali regole? Sussidio di disoccupazione: e sia, ma non viene spesa una parola che sia una sul modo in cui superare l’economia capitalistica globale che abbisogna di una riserva permanente di disoccupati infelici per prosperare e inseguire la mitica “crescita”. 

Sul potere ricattatorio della finanza bancaria su imprese e singoli cittadini, strozzati a vita dalle rate del mutuo e del prestito, non c’è assolutamente nulla. Per non parlare della costruzione a misura di banche che è stata fatta dell’Unione Europea, di cui gli italiani sono sudditi stupidamente europeisti: su questo, nada de nada. 

Su trasporti, salute e istruzione ci sono luci (incentivazioni mercati locali, blocco di grandi opere come il Tav, promozione dei farmaci al di fuori del circuito delle multinazionali, liste di attesa pubbliche e online, obbligo di insegnamento dell’italiano agli stranieri per la cittadinanza) e ombre (il telelavoro che ci relegherebbe auto-internati a casa, l’ambigua integrazione della scuola con le aziende, l’inglese fin da poppanti, internet al posto dei libri – praticamente le “tre I” berlusconiane).

Il valore positivo del “grillismo” non sta tanto nel singolo punto programmatico, quanto in una doppia funzione obbiettivamente utile: informare e demistificare. Nel suo blog, Beppe ha dato voce a idee, istanze e prospettive realmente controcorrente, alternative, fuori dal binario morto del pensiero dominante. Ha fatto quella che di solito si chiama “contro-informazione”, facendo cadere una goccia sulla pietra giorno dopo giorno, anno dopo anno. 

D’altra parte, invitando la gente comune a impegnarsi al di fuori dei recinti istituzionalmente e mediaticamente accettati, e abbattendo uno dopo l’altro totem e tabù coi suoi  “vaffa” (da ultimo, persino l’euro così come lo conosciamo, persino il moloch del debito, che sembra un’entità divina, un destino trascendentale, e invece è una creazione umana che ovviamente fa comodo a chi è in credito), svolge un’opera liberatoria di rottura. Insufficiente, magari. Ma che sia pericolosa, cripto-fascista, semi-terrorista, come gridano impauriti i vecchi arnesi d’establishment, questo proprio no.

mercoledì 25 aprile 2012

Update italiota

Un altro aggiornamento sulle penose vicende italiote...


Pulizia di Stato 
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 24 Aprile 2012

Gentile dottor Antonio Manganelli, come capo della Polizia lei avrà senz’altro visto il bellissimo film Diaz di Daniele Vicari che sta riscuotendo un buon successo di pubblico nelle sale.
L’ho visto anch’io assieme a mio figlio che – posso assicurarle – non è stato educato all’odio contro le forze dell’ordine.

Anzi, personalmente ho sempre pensato e detto che, fino a prova contraria, le forze dell’ordine sono dalla parte del giusto. Eppure, all’uscita dal cinema, mio figlio che ha 17 anni ha commentato: “Mi è venuta una gran voglia di prendermela con i poliziotti”.

Ho cercato di spiegargli che quel che accadde 11 anni fa al G8 di Genova è un unicum, tant’è che ancora se ne parla, al punto da farci un film. Che non tutti i poliziotti sono come quelli ritratti da Vicari. Anzi, la maggior parte prova per quelle scene (purtroppo reali, documentate da testimonianze e filmati e atti processuali) lo stesso orrore che proviamo noi.

E ogni giorno migliaia di agenti rischiano la pelle per un misero stipendio, catturando killer della mafia addirittura con le proprie auto, com’è accaduto ancora l’altro giorno in Calabria, visto che le volanti sono spesso senza benzina o arrugginiscono guaste nei garage per i continui tagli al bilancio dell’ordine pubblico. Ma temo di non averlo convinto.

E lo sa perché? Perché alla fine del film una scritta agghiacciante ricorda che decine di quegli agenti e dirigenti violenti e deviati sono stati condannati in primo e secondo grado per le mattanze alla Diaz e a Bolzaneto (a proposito: si spera che la Cassazione si sbrighi a giudicarli, per evitare che la facciano franca per la solita prescrizione), ma nessuno è stato rimosso dal corpo. Qualcuno anzi ha fatto addirittura carriera.

Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest. O Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana”, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga.

O Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria.

Molti di loro avrebbero subìto sanzioni ancor più pesanti se l’Italia avesse recepito il reato di tortura, cosa che non avvenne per la strenua opposizione del Pdl e della Lega, guardacaso al governo nel 2001 e dunque responsabili politici e morali di quel che accadde.

Nemmeno il dirigente che portò nella Diaz due molotov ritrovate altrove per giustificare ex post l’ignobile pestaggio di gente inerme fu cacciato dalla polizia.

E nemmeno quello che, come si vede nel film, si ferì da solo per simulare un corpo a corpo con i fantomatici “black bloc” che in quella scuola, quella notte, non esistevano. Molti altri, nascosti sotto l’anonimato del casco, non sono stati identificati, dunque neppure processati.

È difficile non pensare che gli agenti che si sono macchiati di violenze gratuite negli ultimi anni, per esempio in Val di Susa contro i No-Tav, possano essere gli stessi che la passarono liscia per i fatti di Genova, o altri loro emuli, incoraggiati dall’impunità generale. Lei, dottor Manganelli, 11 anni fa non era a Genova e non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde.

Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, validata dai due gradi di giudizio di merito (la Cassazione deve pronunciarsi solo sulla legittimità delle sentenze) e finalmente immortalata da un film (era già tutto nel documentario Bella ciao di Giusti, Torelli e Freccero, ma la Rai vergognosamente lo censurò), non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta chi si macchiò di quei crimini orrendi. Ci aiuti a credere ancora nella Polizia di Stato.


Il debito pubblico italiano sono ora solo interessi
di Cobraf - 22 Aprile 2012

Ho finalmente trovato i numeri e uno studio che mostra che nel caso dell'Italia il debito pubblico attuale di circa 1.950 miliardi (2011) è pari alla somma cumulata di tutti gli interessi, cioè il debito è dovuto agli interessi, il problema del debito è solo che da 30 anni ci si pagano sopra interessi reali pazzeschi

(la tabella si ferma al 2007 con un valore del debito pubblico totale di 1.663.353 e un valore totale degli interessi pagati dal 1990 al 2007 di 1.605.543. Le due cifre sono identiche nel 2007 e se aggiorni i dati vedi che pagando circa 50 miliardi l'anno di interessi (ma quest'anno saranno 70 miliardi di euro) il totale del debito pubblico, che è di circa 1.950 miliardi di euro è esattamente pari agli interessi pagati)

Come dice Martin Amstrong nella sua ultima intervista "... l'idea che [il governo] prenda sempre a prestito senza estinguere mai il debito e che sia meno inflazionistico finanziarsi emettendo bonds invece che emettendo moneta... è pura follia... Se in USA avessimo emesso moneta per finanziare i deficit pubblici il nostro debito pubblico sarebbe il 40% di quello attuale.." (cioè sarebbe circa 4mila miliardi invece che 10mila miliardi di dollari)

Ma in Italia se avessimo emesso moneta per finanziare i deficit pubblici il nostro debito pubblico sarebbe probabilmente quasi zero ! Perchè da noi il peso degli interessi nel creare debito è stato molto maggiore, perchè il debito in % del PIL è intorno al 100% da quindici anni per cui gli interessi si applicano ad una massa maggiore e perchè il bilancio dello stato è in avanzo (al netto degli interessi) dal 1993 circa. 

Il calcolo esatto non lo tiri fuori subito dall tabella in fondo, perchè ci sono alcune complicazioni minori, ma intuitivamente invece di circa 2.000 miliardi di euro di debito pubblico ne avremmo circa zero. 

Questo può sembrare strano, ma ci di dimentica che dai primi anni '90 la differenza tra spese dello stato e tasse è positivo o pari, il bilancio è in attivo e il deficit è prodotto solo dal peso degli interessi. In pratica lo stato italiano SE AVESSE EMESSO MONETA INVECE DI EMETTERE TITOLI DI STATO per finanziarsi, avrebbe ripagato dal 1993 in poi tutto il debito!

("...per fare una verifica e approfondire un po’, procuriamoci dei dati più “analitici” dal sito dell’associazione NENS (Nuova Economia Nuova Società), ma sono di origine ISTAT (qui nel sito originale, file xls). ....ui una versione ods rielaborata, con le tabelle qui mostrate (ed altre).I dati vanno questa volta dal 1980 al 2007,... Anche qui si è fatta un po’ di aritmetica, ricavando il debito pubblico dal valore iniziale al 1980 e sommando anno per anno il deficit come risulta dallo sbilancio tra entrate e uscite complessive....Come si vede, il totale dei saldi degli interessi è addirittura superiore al debito pubblico, di 234 miliardi di €.

"Risulta anche che dal 1980 al 2007 lo Stato ha mediamente e complessivamente garantito ai suoi creditori una remunerazione di 4,2 punti percentuali superiore al tasso di inflazione. In realtà, ha fatto peggio: infatti la somma degli interessi sarebbe stata inferiore a quella effettivamente pagata, perché il punto finale è più o meno lo stesso, ma non così il percorso, come si vede dalla figura....Ad un tasso composto di questo valore, comunque, il capitale raddoppia in termini reali (non nominali) in 17 anni. Direi che i signori creditori sono stati trattati per niente male....". 

Questo è allucinante. Lo stato è l'unico che può garantire il rimborso del tuo capitale a 100, le azioni e le obbligazioni corporate non possono perchè vanno falliti e hanno crac per cui lo stato dovrebbe pagare appena più di un conto corrente, diciamo uno 0.5% più di un c/c.

Questi numeri mostrano che dopo aver per 25 anni ingrassato la rendita finanziaria, lo stato italiano deve risolvere il problema del debito semplicemente pagando di interessi, l'1% invece del 5%. Fine della storia. 

Altro che 90 miliardi di euro di stangate fiscali. Per legge lo Stato italiano decide che pagherà l'1% sui titoli di stato, prendere o lasciare, garantendo però allo stesso tempo che varranno sempre 100 alla scadenza perchè dichiara che li accetta per pagare le tasse. Fai così e il problema lo risolvi immediatamente. 

Nessuno infatti venderà più dei BTP facendoli crollare sul mercato, perchè sarebbe un idiota visto che poi aziende, banche e famiglie residenti italiane glieli comprerebbero a prezzi ad esempio di 90 o di 80 per pagare le loro tasse a 100 guadagnadoci. Lo stato italiano per legge NON DEVE PAGARE PIU' DELL'1% e ha i mezzi legali ed economici per farlo

(Questa qui sotto è la prima slide che metto alla presentazione di Rimini all'ITForum in maggio, anzi ne stampo duemila copie e li distribuisco a questa Fiera...)


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Veramente Monti sta fallenfo i suoi obiettivi?
di  Piotr (Пётр) - Megachip - 22 Aprile 2012

Paul Krugman pochi giorni fa su “La Repubblica” ha scritto che l'Europa deve disfarsi dell’euro e tornare alle monete nazionali per puntare ad un tentativo di ripresa neo-keynesiana.

Anche questo autorevole economista, così come molti suoi colleghi italiani antiliberisti, pensa in qualche misura che sia possibile un ritorno al “ventennio d’oro” del dopoguerra.

Ho esposto in varie riprese perché ritengo quest’idea un’illusione, dato il particolarissimo concorso di fattori politici, geopolitici e di disponibilità di risorse che portò a quel poderoso sviluppo materiale e alle forme politiche e sociali che assunse.

Basti pensare che esso seguì un’imponente distruzione di capitali dovuta alla guerra dei “trent’anni” (1914-1945) seguita ad un’altrettanto imponente capacità da parte degli Stati Uniti, vincitori, di egemonizzare, dominare e coordinare i processi di accumulazione mondiali. 

Senza contare la forza dei movimenti comunisti ed operai seguita alla sconfitta del fascismo, la presenza dell’Unione Sovietica e i successi dei movimenti di liberazione nazionale.

Che la finanziarizzazione, il neoliberismo e la cosiddetta “globalizzazione” siano state risposte alla fine di quella fase propulsiva keynesiana in Occidente è un'ipotesi che non viene mai presa in considerazione dagli economisti, critici e non, se si eccettuano pochissime e inascoltate eccezioni (una per tutte: Giovanni Arrighi). 

Si riesumano così le vecchie ricette sperando che funzionino ancora.

Krugman afferma con passione che i dirigenti europei sono dei folli a continuare sulla strada dell'austerità

È un po’ quanto pensa anche la maggioranza della sinistra di opposizione italiana che è convinta che Monti stia andando verso una sconfitta rispetto ai propri obiettivi perché l’austerità è destinata ad avvitare su se stesso il problema del debito, dato che essa sta portando dritta verso una lunga recessione se non ad una depressione.

Che questo sia una sconfitta rispetto agli obiettivi dichiarati è palese. Ma non sono così tanto sicuro che sia una sconfitta rispetto ai piani reali dell’attuale governo e di alcuni potentissimi settori capitalistici. 

È chiaro che sono al lavoro varie tendenze e direttive contrastanti che riflettono strategie e preoccupazioni economico-finanziarie, politiche e geopolitiche differenti.  

Ma in sé le crisi, e specialmente le lunghe crisi strutturali, sono sempre state momenti di grandiose riorganizzazioni del potere capitalistico

Già Marx aveva capito benissimo che durante le crisi la centralizzazione del capitale marcia a ritmi che non le sarebbero consentiti dal processo normale di accumulazione.

Proviamo allora a mettere tra parentesi per un momento la supposta fobia tedesca per l'inflazione o gli amorosi sensi dei dirigenti europei per il monetarismo, per il neo-liberismo e i per i banchieri e proviamo a immaginarci un altro scenario.

Se l’accumulazione capitalistica è, come penso che sia, una forma di lotta per il potere, la tripla recessione (depressione) - finanziarizzazione - centralizzazione potrebbe non essere una strategia così sbagliata per il capitalismo europeo, conscio che con i BRICS c’è poco da entrare in competizione sul piano industriale, se non per i prodotti ad alto valore aggiunto e probabilmente per l’agribusiness (settore strategico), e che un rilancio keynesiano è con tutta probabilità un’utopia

Che poi quella strategia comporti una sorta di medioevo sociale è l’ultima delle preoccupazioni dei decisori, che la ascriveranno alla rubrica “mantenimento dell’ordine”.

Il prossimo grande scontro intercapitalistico potrebbe verosimilmente svolgersi per il controllo geopolitico dei mercati finanziari. Se ciò è vero siamo alla vigilia di un periodo molto buio (la spremitura selvaggia della natura e della società, così come la conquista guerriera di posizioni geostrategiche sono in quest’ottica dei "collaterali di garanzia" per le strategie di alleanza con i grandi centri finanziari).

Se è così riesco a dare un senso ad un’affermazione un po’ criptica (e per altro imprecisa) dell’ultimo Latouche:
"Quello che ci attende, se non cambieremo rotta, è ancora peggiore: un razionamento drastico del denaro, che provocherà conflitti planetari sempre più violenti; una situazione del genere farà da brodo di coltura per movimenti fascisti e xenofobi, di cui già vediamo le avvisaglie e che in un futuro prevedibile si incaricheranno della gestione della penuria con sistemi autoritari." (Serge Latouche, “Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita”. Bollati Boringhieri, 2012, pag. 27)
Se si sostituisce "razionamento drastico del denaro" con "lotta per il controllo dei mercati finanziari" probabilmente guadagniamo in precisione.

Sostituiamo poi "movimenti fascisti e xenofobi" con "reazione di amplissimi strati sociali che saranno progressivamente depauperati" (reazione che ovviamente può essere facilmente intercettata da quel tipo di movimenti in assenza di un progetto progressivo ed emancipativo; è storico) e allora possiamo arrivare alla conclusione che l’autoritarismo richiesto per controllare la situazione non sarà appannaggio di quei movimenti, ma di una "autocrazia tecnico-politica" di cui stiamo vedendo i primi passi.


martedì 17 aprile 2012

La vaselina ormai non serve più...

Ieri, nel silenzio generale dei media mainstream italioti, è stato approvato in via definitiva dal Senato l'inserimento nella Costituzione dell'obbligo del pareggio di bilancio.

Ed essendo stato votato con una maggioranza dei 2/3 si è anche evitato il referendum popolare confermativo.

La sovranità italiana in politica economica è quindi definitivamente perduta e d'ora in poi chiunque governerà il Paese potrà servire al meglio gli interessi del Vero Potere senza neanche essere costretto ad usare la vaselina...



Tra manette e riforme, arriva il nuovo '92 in Italia
di Andrew Spannaus - www.movisol.org - 13 Aprile 2012

Ad un osservatore attento, i numerosi scandali che colpiscono quasi tutti gli schieramenti della politica italiana, visti in controluce alla presenza di un governo tecnico che dichiara di fare finalmente le riforme necessarie a modernizzare il paese, non possono che suggerire un parallelo con un periodo simile di non tanto tempo fa, quello di Tangentopoli e dei governi tecnici dell'inizio degli anni Novanta.

Allora ci fu un attacco speculativo in grande stile, che portò ad una forte svalutazione della Lira.

La finanza internazionale, guidata in quel caso dal famoso "mega-speculatore" George Soros, portò a casa miliardi di dollari inaugurando una stagione sui mercati internazionali che avrebbe rappresentato perfettamente lo spirito della globalizzazione: i governi dovevano piegarsi ai voleri della finanza, permettendo alla "libera concorrenza" di sopraffare la sovranità nazionale.

L'attacco speculativo e la conseguente svalutazione della moneta peggiorarono la crisi della finanza pubblica, per cui il bilancio dello Stato venne considerato insostenibile.

Seguì un lungo periodo di misure lacrime e sangue, iniziato già prima dell'attacco con il prelievo forzoso dai conti correnti nel luglio del '92, e poi lanciato in grande stile con la manovra da 93.000 miliardi di lire, sempre ad opera del Governo Amato. Al contempo, si avviò la grande stagione delle liberalizzazioni e privatizzazioni di grandi fette dell'economia italiana.

Come si sa, tutto ciò è avvenuto nel contesto della decimazione della classe politica italiana, quella della "Prima Repubblica", quella dei partiti politici che avevano retto il paese nel dopoguerra.

Dalla DC ai Socialisti, i principali leader politici furono screditati e estromessi dal potere. Rimasero molti, riciclatisi nei modi più svariati, ma la musica era cambiata; comandavano i tecnici, esperti come Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, che avrebbero ridisegnato l'economia italiana.

Furono riscritte le regole del sistema bancario e finanziario. Si cominciò a smantellare le partecipazioni statali, vendendo - e in molti casi svendendo proprio - i gioielli di stato (vedi "La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioniprivatizzazioni in Italia" di Claudio Giudici); tutto ad uno sconto non indifferente quando si trattava di compratori stranieri, grazie alla svalutazione del settembre '92.

Senza addentrarci in un'analisi completa di Tangentopoli e dei suoi risvolti, ci limiteremo qui a porre qualche domanda:

  • È stata davvero 'scoperta' la corruzione politica in Italia in quel periodo? Oppure si sapeva da tempo come funzionava il finanziamento dei partiti, e in qualche modo si decise di fare saltare il tavolo in quel momento storico?
  • Stiamo meglio oggi? La nuova classe politica è più pulita e in grado di difendere meglio gli interessi della popolazione?

Le risposte non sono difficili, sarebbe auspicabile che si cominciasse a riflettere più a fondo su quel periodo di trasformazione, proprio perché sta avvenendo qualcosa di simile oggi.

Ad onor del vero però, questa volta la potenziale resistenza da parte della classe politica sembra decisamente minore, in quanto quasi tutti si sono allineati subito quando il Presidente Napolitano impose il governo di Mario Monti alla fine del 2011.

L'altro Mario, il signor Draghi, invece di essere messo a capo del Governo italiano fu mandato alla vera cabina di regia europea, la BCE, e così la formula "greca" viene imposta anche in Italia, con il risultato prevedibile di provocare la recessione e renderci tutti più poveri per pagar il pizzo ai mercati che devono riacquisire la "fiducia" nel paese.

Ma l'aspetto più importante delle misure varate dal Governo Monti non sono i soldi trovati per accontentare i contabili; la vera posta in gioco sono le "riforme strutturali", la necessità di cambiare i settori per cui i soldi vengono spesi, e le regole generali dell'economia italiana. E qui sorge il vero paragone con il periodo '92-'93.

Allora iniziò la campagna per entrare nell'Euro. Con il Trattato di Maastricht fu imposta la riduzione del deficit, l'italia dovette allinearsi ai parametri europei. Il passaggio durò diversi anni e fu doloroso.

Tutto per il nostro bene, ci fu spiegato, ma vent'anni dopo stiamo ancora facendo i sacrifici per rispettare le regole europee.

Noi diremmo che la colpa è di quelle stesse politiche; che le riforme liberiste hanno incentivato la finanza speculativa - che poi ha fatto crac - e disincentivato l'economia produttiva, ridottasi costantemente.

Le conseguenze sono inevitabili: la capacità di sostenere lo stato sociale viene meno, e il debito (pubblico e privato) continua a crescere.

Loro invece, quelli che troviamo in televisione, nelle università, e ora anche nei ministeri, dicono che dobbiamo ricominciare da capo. L'Italia è troppo incrostata: ci sono gli interessi, le corporazioni, i privilegiati. I tassisti guadagnano troppo, le farmacie pure, gli artigiani non pagano le tasse, e i dipendenti sono attaccati al posto fisso. Serve più flessibilità, più capacità di adattamento.

Adattarsi a cosa? Alla globalizzazione. Se in Cina e in India si lavora di più per molti meno soldi, gli italiani dovranno accettare la nuova realtà. Le manifatture saranno sempre meno, uno stipendio dignitoso è un privilegio, la colpa è solo vostra se avete vissuto troppo bene.

Così bisogna liberalizzare tutto, privatizzare quello che è rimasto in mano pubblica (per partito preso, non perché migliora il servizio o abbassa le tariffe; in quasi tutti i casi si è dimostrato il contrario in questi anni).

Le pensioni vanno cambiate, le regole sul lavoro pure.

Tutte cose che in astratto sembrano avere un loro perché contabile o competitivo, ma che viste nel contesto della crisi economica nazionale e globale mirano solo a compiacere i mercati e a permettere l'ulteriore smantellamento dell'economia reale.

Oggi gli scandali vengono utilizzati di nuovo per colpire la classe politica italiana. La caduta del Governo Berlusconi fu annunciata con un'interminabile serie di scandali a luci rosse, il cui scopo era evidente a chi pensava in modo strategico.

La stessa arma fu usata contro il Ministro dell'Economia per sostenere la fazione liberista nella battaglia contro chi osava mettere in discussione il dominio del mercatismo.

Alla Regione Lombardia numerosi partiti sono stati colpiti in questi ultimi mesi, sia per casi di basso profilo che con annunci di grande effetto mediatico come quello recente in merito alla Lega Nord di Umberto Bossi.

Ma non si pensi ai soli magistrati "comunisti"; pure i partiti di centro e di sinistra sono colpiti da casi corruzione da qualche tempo, dall'ex Margherita all'Idv, dall'UDC al Pd.

Tutti innocenti? Non è questo il punto. Come nel '92, la domanda è che effetto ha una nuova stagione anti-corruzione proprio ora? Chi vorrebbe manipolare questa situazione per imporre dei cambiamenti fondamentali per il futuro del Paese?

Sembra delinearsi un bel contrasto con i correttissimi professori (e i banchieri) a Palazzo Chigi. I partiti sono corrotti, viva i tecnici! E così sarà ben più difficile opporsi ai massacri liberisti richiesti dalla City di Londra e da Wall Street, passando per Francoforte e Bruxelles.

Se si vuole davvero difendere l'Italia, se si vuole davvero difendere la tradizione europea, è ora di ripristinare la sovranità nazionale.

Serve una classe politica disposta ad opporsi alle operazioni di saccheggio, sta qui la vera corruzione: quanti pensano a salvare se stessi, con soldi o poltrone, piuttosto che agire in difesa del bene comune!?

Oggi non si possono più accettare le riforme strutturali che mirano ad aprire l'economia ai grandi capitali internazionali, alle bolle speculative in cerca di asset da fagocitare e poi rovinare prima di passare alla prossima vittima.

È un film già visto. Le istituzioni sono delegittimate perché i politici pensano a se stessi, ma nel frattempo i nuovi arrivati pensano a consegnare il Paese mani e piedi ai loro padrini dell'oligarchia transnazionale.

Abbiamo il coraggio di opporci, questa volta?



Il fallimento sistemico
di Marcello Frigeri - www.liberacritica.it - 16 Aprile 2012

Ci attende un decennio di trasformazioni nella società e nella politica italiana, e il cambiamento, che dagli anni 2000 ad oggi è già in graduale evoluzione, è dovuto ad un agente esterno, che in una certa misura è anche interno, e ad uno nazionale.

Il fallimento politico della Seconda Repubblica ha condizionato gli ultimi vent’anni dando vita ad un contesto sociale in cui si è radicata la protesta – fino a qualche mese fa di un ramo dell’elettorato di sinistra, oggi più ampio e anche di destra -, e il cui oggetto è stato, ed è tutt’ora, la mediocrità degli uomini politici, e l’incapacità dei partiti di aprire una nuova fase della storia italiana postuma a Tangentopoli.

La crisi economica della società capitalista, che è un fattore esterno alla nazione – ma interno al sistema economico cui siamo soggetti -, ha contribuito a velocizzare la fine, prossima, del modello politico della Seconda Repubblica, accentuando in questi ultimi anni i moti di protesta. A ben guardare la crisi della democrazia dei partiti ha radici più lontane.

Già negli anni ’70, infatti, la società dei consumi mutò il sistema democratico in un modello politico in cui le richieste dei cittadini, ormai diventati consumatori, superavano le possibilità di risposte dei governi.

Dopo la drammatica pagina di Tangentopoli, che svelò la corruzione ai vertici del sistema Italia, i partiti della Seconda Repubblica, sospinti dal vento dell’indignazione e dalla possibilità di cambiamento, ebbero l’opportunità di compiere un passo successivo nella storia italiana, aprendo una nuova fase di riforme tutt’oggi fondamentali, e dando alla Costituzione la condizione, e il contesto, per rinnovarsi dopo 40 anni dalla sua nascita.

Ma fino ad oggi la politica ha vissuto una lunga fase di stagnazione; destra e sinistra – unite nella mediocrità dei loro uomini – non hanno saputo anteporre ai loro interessi quelli di una Italia che necessita un cambiamento – Università, lavoro, giustizia, economia e politica stessa -.

Se il berlusconismo è stato artefice di una politica fondata sull’individualismo, e sulla logica del potere non già come fonte per la collettività, quanto per la scalata sociale al potere, la sinistra non ha saputo anteporre al berlusconismo un’idea di sistema politico efficace, tanto che instabilità e alternanza sono state le debolezze di questo ventennio.

E proprio perché la democrazia dei partiti è un tipo di regime fondato sul compromesso parlamentare – la Casta è tale proprio perché destra e sinistra, in un emiciclo politico, sono un sistema unico con idee differenti, e il Parlamento è un luogo dove non vi è più deliberazione -, in venti anni non si è riusciti nemmeno a concettualizzare una legge contro il conflitto di interessi, oggi più che mai da costituzionalizzare, e dunque combattuto per mezzo della Costituzione.

La crisi dei partiti italiani della Seconda Repubblica, che si sono divisi il potere democratico senza concludere nessuna battaglia fondamentale, è un effetto collaterale del movimento di protesta.

Mentre un tempo, infatti, votare per un partito significava “appartenenza” ad un determinato contesto sociale (e il partito ne era il simbolo nella stanza dei bottoni), oggi il deflusso dei voti è sinonimo di “non-appartenenza”.

Non sorprende, perciò, che il Movimento 5 Stelle, naturale movimento antipartitico, sia tanto temibile e gradualmente sempre più grande. Chi vota i 5 stelle si caratterizza per una non-appartenenza, non riconoscendosi, appunto, nell’attuale sistema politico. E proprio perché il movimento si concettualizza come estraneo al sistema vigente, non sorprende che la sua idea democratica non sia quella storica della rappresentanza, altresì quella della partecipazione.

Gli anni ’60 del boom economico avevano visto una sinistra comunista e socialista accrescere il proprio elettorato, pur con una Dc sempre al governo; gli anni ’70, vuoi per una crisi energetica che condizionò l’agenda politica, riportò l’Europa sotto la stella della destra; gli anni ’80, soprattutto in Italia, furono quelli del moderatismo e del socialismo; gli anni’90 quelli della Seconda Repubblica.

La seconda parte del primo decennio, e i prossimi dieci anni, sono stati e saranno quelli del cambiamento: destra e sinistra, oggi, sono appartenenze sempre più obsolete e politicamente indistinte, mentre dalla piazza il movimento di protesta, attraverso le elezioni, reagisce e si mobilita per entrare in Parlamento.

Soltanto una risoluzione veloce e decisa della crisi economica scongiurerebbe, o rallenterebbe, l’ascesa di un nuovo modello, chiudendo la fase di questa rivoluzione morale e di sistema, e tramutando il movimento di protesta in una rivoluzione mancata (proprio come avvenne nel ’68, anche se allora il movimento studentesco fu caratterizzato da un altro contesto, e da modalità e ideologie differenti).

Non inganni l’attuale fase dei tecnici: il governo Monti, pur non essendo politico, e non avendo nulla a che vedere con la società reazionaria, rappresenta soltanto la conclusione della parabola degli ultimi vent’anni, il culmine del fallimento repubblicano.

I partiti sono così deboli che, oltreché guardarsi dai reazionari indignati che i sondaggi danno in ascesa, dovranno fare i conti anche con l’eredità che lasceranno i tecnici: il prossimo Presidente del Consiglio, e l’eventuale maggioranza, non potrà non tenere conto di Monti politico e del montismo.

I partiti, in estrema sintesi, saranno sempre più minacciati e, sempre dai sondaggi, isolati, anche perché figure nuove e politicamente forti, all’orizzonte, non se ne vedono.

D’altra parte la società ha un urgente bisogno di cambiamento sociale, morale e politico, e siccome i partiti hanno fallito la strada delle riforme e della Costituzione, e pare che non siano più in grado di risollevarsi, sono due le strade che dovrà percorrere: o si arriva al cambiamento attraverso un processo democratico, e dunque riformulando le questioni in Parlamento, oppure attraverso un processo antidemocratico e storicamente degenerativo, che è quello delle rivolte in piazza.

Entrambe, pur con modalità diverse, sono altrettanto efficaci.



Alle radici della crisi, seguendo i derivati
di Gaetano Colonna - www.clarissa.it - 17 Aprile 2012

Il prolungarsi della crisi economico-finanziaria fa affiorare molte informazioni su cosa è realmente successo a nostra insaputa negli ultimi venti anni di globalizzazione finanziaria.

Siamo quindi molto vicini alla verità ed il fatto positivo è che ci stiamo avvicinando ad essa facendo a meno di quegli "esperti" economisti che, come di recente ha denunciato efficacemente Le Monde Diplomatique, sono molto spesso a libro paga proprio di quei centri della speculazione sui quali vengono loro richiesti pareri obiettivi (1).

Questa verità fattuale è essenziale per il futuro: infatti, chiunque pensasse di poter cambiare le cose senza conoscerle, si troverebbe immediatamente a servire gli stessi master of the universe, i padroni dell'universo, di cui abbiamo spesso parlato.

Come nel caso dei mutui subprime americani, abbiamo pensato di seguire la pista degli ormai famosi "derivati", vale a dire quei titoli finanziari il cui valore si basa e quindi "deriva" da un qualsiasi cosiddetto "sottostante", che può essere qualsiasi cosa abbia un valore: un bene materiale o una materia prima, un titolo finanziario, una valuta o persino un altro derivato.

Con quello che abbiamo trovato, possiamo porre alcune semplici ma fondamentali domande e cercare delle risposte.

Perché i politici non mettono fine alla speculazione dei "mercati" semplicemente vietando o regolamentando severamente i suoi principali strumenti?

L'agenzia di stampa specializzata americana Bloomberg lo scorso gennaio ha diffuso la notizia secondo cui la banca d'affari Morgan Stanley, uno dei "padroni dell'universo", ha deciso di ridurre la propria esposizione in derivati basati su titoli di Stato italiani da 4,9 a 1,5 miliardi di dollari: 3,4 miliardi di dollari di nostri titoli non sono stati quindi collocati, con l'assenso del Tesoro italiano, che ha lasciato scadere questo contratto, pagando intorno ai 2,5 miliardi di euro (2).

Si è poi appreso che lo swap, vale a dire un derivato fuori dal mercato regolamentato, risale al 1994 e lasciava alla banca d'affari americana la facoltà di rescinderlo unilateralmente, una clausola che ovviamente poneva lo Stato italiano in una posizione di debolezza. Altro però non ci è stato detto sulle modalità e finalità di questa operazione.

Giustamente Umberto Cherubini nel suo blog, si interroga sullo scopo di questa operazione: "Coprire il rischio di tasso? Coprire il rischio derivante dai cambi? Allungare le scadenze dei pagamenti di interesse? Vendere assicurazione a Morgan Stanley per fare cassa?" (3).

Non è dato saperlo, e così scopriamo che di queste operazioni sul nostro debito pubblico, vale a dire sul debito di tutti noi cittadini di questa Repubblica, i nostri organi di governo non hanno mai dato informazione ai più diretti interessati.

E non basta, perché solo dopo alcune interrogazioni parlamentari, successive alla notizia dell'agenzia americana, il Tesoro è stato costretto a comunicare che il debito pubblico italiano è per ben 160 miliardi di euro costituito da strumenti "derivati", quindi uguali o assimilabili a quello da cui Morgan Stanley ha voluto sfilarsi nelle scorse settimane.

Tutte le maggiori banche d'affari sono attive in questo tipo di operazioni sull'Italia: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e JP Morgan.

Lavorando sulle informazioni di stampa, troviamo anche che, oltre al livello centrale, ben 664 enti pubblici, tra cui 18 regioni, 42 province, 45 capoluoghi e 559 comuni avrebbero in pancia "derivati" per oltre 35 miliardi di euro, circa 1/3 del debito complessivo accumulato dagli enti locali ai dati 2009.

Le perdite conseguenti all'adozione di questi strumenti finanziari per i soli enti pubblici appena ricordati potrebbero arrivare a superare i 10 miliardi di euro, su di un totale complessivo che, ad ottobre 2011, era stimato per l'Italia in 52,2 miliardi, una cifra equivalente a oltre il 60% del costo delle pesantissime manovre cui gli Italiani sono stati sottoposti nel 2011 (4).

Per la banca d'affari le cose sono andate diversamente: "Morgan Stanley - riferisce sempre Bloomberg, ha guadagnato 600 milioni di dollari nel terzo trimestre [2011] in conseguenza dello scioglimento dei contratti con l'Italia.

Il guadagno è dovuto all'annullamento dei costi sostenuti in precedenza nel corso dell'anno a causa del rischio che il Paese non pagasse l'intero importo del debito, ha dichiarato il 19 gennaio in un'intervista Ruth Porat, direttore finanziario".

Si comprende a questo punto benissimo perché la cosiddetta politica non è in grado di mettere al bando questi strumenti finanziari dall'effetto devastante sull'economia reale: semplicemente perché le classi politiche europee attuali sono "garanti" delle migliaia di contratti di questo tipo che, almeno a partire dagli anni Novanta, sono stati stipulati con i "padroni dell'universo".

Le politiche di rigore nei confronti dei cittadini sono proprio ciò che, dopo avere evitato loro le perdite dovute alle speculazioni sui subprime, consente ancora lauti guadagni alle grandi banche d'affari.

Su cosa si basa il potere dei grandi centri finanziari che permette loro di condizionare le scelte politiche degli Stati?

Continuando ad organizzare le notizie di stampa sui "derivati", arriviamo a comprendere meglio il modus operandi dei "padroni dell'universo", rispetto alle origini più remote della crisi in Europa.

Ci aiuta il caso più eclatante, quello della Grecia: quando nel 2000-2002 quel Paese si preparava ad entrare nell'area euro, doveva anzitutto mettersi in riga con le regole di bilancio stabilite nel 1996 dall'Unione Europea. "Nel febbraio 2002, la Commissione Europea mise in rilievo che le previsioni relative al deficit della Grecia si basavano principalmente sul conseguimento di riduzioni del costo degli interessi", ricostruiva già nel 2003 Nick Dunbar su Risk Magazine (5).

Entra in scena a questo punto un altro dei giganti della finanza mondializzata, Goldman Sachs. Grazie alle strette relazioni con Goldman Sachs del responsabile del debito pubblico ellenico, Christopher Sardelis, ed alla dinamica numero uno dell'ufficio vendite di Goldman Sachs di Londra, Antigone Loudiadis, viene messo in piedi un importante contratto di collocazione di "derivati", del valore di 10 miliardi di dollari, che si dimostrava perfetto per gli scopi di entrambe le controparti: grazie ad uno swap opportunamente organizzato, la Grecia iscrive un nuovo debito in euro, escludendo quindi momentaneamente dal bilancio il vecchio debito in dollari e yen, dando inizio a quel mascheramento delle reali dimensione del proprio deficit di cui i più si sarebbero accorti solo nel 2010.

In tal modo, "Goldman Sachs intasca la sua sostanziosa commissione e alimenta una volta di più la sua reputazione di ottimo amministratore del debito sovrano", commenta Le Monde (6): la società americana cederà più tardi il contratto alla tedesca Deutsche Pfandbriefe Bank (Depfa).

Lo scopo dell'acquisizione degli swap dalle banche d'affari americane da parte del Tesoro italiano negli anni Novanta non era molto diverso da quello della Grecia: sulla base del meccanismo attivato in Grecia, capiamo che doveva servire a dimezzare artificiosamente il nostro disavanzo di spesa per poter rientrare nei parametri comunitari.

Si è quindi creata una fondamentale convergenza di interessi fra gli obiettivi speculativi delle banche d'affari mondializzate e le esigenze di politica economica delle classi dirigenti europee, mediate da una serie di figure tecniche: non a caso Le Monde ha riesumato l'episodio della Grecia lo scorso novembre 2011, per sferrare un attacco al vetriolo contro Monti Draghi e Papademos, uomini che hanno fatto carriera con Goldman Sachs e che, insieme a numerosi altri, rivestono ora posizioni chiave nella politica europea.

Sono in effetti proprio loro gli "onesti sensali" che il rovinoso dilagare della crisi ha richiesto assumessero dirette responsabilità di governo tecnico, vale a dire ruoli nei quali politica ed economia si unificano patologicamente, costituendo nelle democrazie occidentali un nuovo potere, non sottoposto ad alcun effettivo controllo democratico.

È davvero l'euro l'origine di tutti i mali in Europa?

Possiamo contribuire ora a fare chiarezza anche in tema di euro, sul quale le polemiche sono tanto accese quanto in genere male impostate.

Notiamo infatti, analizzando queste vicende, che l'origine del problema attuale non è certo l'euro, tanto meno l'idea di una unione monetaria. Il problema, oltreché nella concezione della moneta tipica del capitalismo finanziario (una moneta che deve creare debito), sta invece nelle regole definite per l'unificazione monetaria dalla burocrazia comunitaria, che culturalmente si abbevera alle stesse fonti degli esperti delle grandi società finanziarie internazionali.

Da lungo tempo, ad esempio, Gustavo Piga ha denunciato in modo tecnicamente assai accurato le modalità attraverso le quali la stessa Unione Europea ha lasciato aperto il varco alla speculazione finanziaria, dietro un apparente rigore: ad esempio con ESA95, il manuale di ben 243 pagine della Commissione Europea e di Eurostat sui deficit pubblici e sulla contabilizzazione dei debiti pubblici, che ha di fatto permesso, tollerando proprio l'utilizzo massiccio degli strumenti finanziari derivati, di aggirare le teoricamente ferree regole del Patto di Crescita e Stabilità del 1996 (7).

Ora ci rendiamo conto perché l'Ecofin, il gruppo dei ministri finanziari dell'Unione, non sia stato capace nemmeno qualche settimana fa, nonostante se ne parli da anni, di trovare un accordo sull'introduzione della cosiddetta Tobin Tax o, più correttamente, sulla Financial Transaction Tax (FTT), una tassa che, si noti, potrebbe fruttare dai 16 ai 43 miliardi euro annui, una cifra non disprezzabile di questi tempi.

Come funzionerebbe la FTT? "Essa si applica a tutte le transazioni finanziarie, cioè ad acquisti o vendite di obbligazioni o azioni ma anche di opzioni, futures o derivati, quando almeno una delle parti - banca, assicurazione, fondo, società-veicolo - abbia sede nella Ue o nel Paese che adotti la tassa. Non è insomma una tassa che vale solo per le operazioni di borsa; vale anche per i contratti bilaterali come i derivati".(8)

Come si vede, sono in ballo ancora i derivati, questo gigantesco mercato speculativo che a livello mondiale vale almeno 700.000 miliardi di dollari e che costituisce la massa di debito con cui i master of the universe sono in grado di condizionare, con operazioni come quelle che abbiamo visto, la sovranità e l'autonomia di Paesi delle dimensioni e delle capacità produttive dell'Italia.
Il problema non è dunque la moneta unica, ma sono gli uomini e l'ideologia che la guidano. Vogliamo una controprova?

Chi sono oggi gli uomini che più attivamente ed autorevolmente animano il fronte dei cosiddetti euroscettici? Sono ad esempio rappresentanti della City londinese, come quelli raccolti nel gruppo Open Europe, di cui merita analizzare attentamente il sito: è sufficiente dargli uno sguardo per trovare fra gli aderenti i massimi esponenti del mondo finanziario ed imprenditoriale inglese e basta ricordare il loro presidente, Rodney Leach, ora Lord Leach of Fairford, direttore di Jardine Matheson Holdings, ma soprattutto primo non-family partner del gruppo Rothschild (9).

A cosa servono le politiche di rigore che stanno soffocando l'economia reale?

Anche in questo caso, possiamo basarci su di un recentissimo esempio, quello dello Stato della California negli Usa, arrivato al fallimento nel 2009 a causa della crisi dei subprime.

Cosa è accaduto poi? Il deficit pubblico è sceso dai 25 miliardi di dollari all'inizio del 2011 ai 9 di oggi, secondo un recentissimo articolo del Sole 24 Ore, grazie al "pugno di ferro" del governatore Jerry Brown, vale a dire "mediante tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse che non hanno risparmiato la scuola".

Per annullare del tutto il deficit, il governatore si propone ora "un nuovo aumento temporaneo delle tasse sul reddito e sui consumi" ovvero, nel caso che un apposito referendum non dia esito favorevole, "tagli automatici alla spesa pubblica per 5 miliardi di dollari, che non risparmierebbero alcun settore" (10). Nel frattempo, la California torna ad emettere nuovi bond, ovviamente.

Così come negli Usa "le emissioni di titoli ad alto rischio, ma anche ad alto rendimento, sono tornate a livelli pre-crisi ed ora si stanno diffondendo anche al retail, senza troppe distinzioni" (11). Vale a dire, dopo avere spremuto i contribuenti, per rifinanziare le banche e gli Stati prossimi al collasso, le scommesse possono ricominciare, grazie alla creazione di nuovo debito personale su di un'altra generazione. Tra i protagonisti di questa nuova stagione, sono sempre le soite le banche d'affari, come Morgan Stanley e Goldman Sachs.

L'esistenza ed il lavoro degli individui e delle società umane diventano in questo modo, lo strumento che perpetua i guadagni ed il potere dei "padroni dell'universo". Questo è il progetto in corso anche per il nostro Paese.

Cosa è possibile fare?

Chiunque volesse intraprendere un'effettiva rimessa in ordine dell'economia reale, potrebbe partire da alcuni semplici punti:

  1. chiedere ai governi nazionali ed alla Commissione Europea di rendere pubbliche e controllabili tutte le transazioni finanziarie in essere che riguardino il debito pubblico

  2. chiedere ai governi nazionali di introdurre entro 2 mesi la FTT, indipendentemente dalla sua approvazione generalizzata in Europa, trattandosi di una misura urgente per il risanamento economico

  3. chiedere ai governi nazionali di regolamentare gli strumenti finanziari, ponendo fuori legge entro 12 mesi i prodotti finanziari derivati

  4. chiedere ai governi nazionali di operare a livello comunitario affinché il ruolo delle agenzie di rating sia trasferito entro 12 mesi ad un'agenzia internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite

Sappiamo bene infatti che fin dai prossimi giorni assisteremo ad un nuovo attacco a fondo della speculazione ai Paesi mediterranei, Spagna ed Italia in testa. Comincia ad essere necessario farsi trovare ben preparati, i "tecnici" probabilmente non basteranno più questa volta.

Riferimenti:

1) R. Lambert, "Les économistes à gages", Le Monde Diplomatique, n. 696, marzo 2012.
2) N. Dunbar, E. Martinuzzi, "Italy Said to Pay Morgan Stanley $3.4 Billion", www.bloomberg.com
3) U. Cherubini, "Lo strano caso dello swap Tesoro-Morgan Stanley", www.linkiesta.it
4) M. Frisone, L. Serafini, "Swap, in Italia conto da 52 miliardi", Il Sole 24 Ore, 1 maggio 2012.
5) N. Dunbar, "Revealed: Goldman Sachs' mega-deal for Greece", Risk Magazine, 1 luglio 2003.
6) M. Roche, "Goldman Sachs le trait-d'union entre Mario Monti Mario Draghi et Lucas Papademos", Le Monde, 14 novembre 2011.
7) G. Piga, Derivatives and Public Debt Management, ISMA, CFR, Zurigo, 2011.
8) T. Mastrobuoni, "Che cos'è la Tobin Tax?", Il Sole 24 Ore, 14 marzo 2012.
9) www.openeurope.org.uk
10 ) C. Poggi, "La California esce dalla crisi e torna ad emettere bond", Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2012.
11) M. Monti, "I big usa del credito tornano a cercare i clienti subprime", Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2012.

Fonte: http://www.clarissa.it/ultimora_nuovo_int.php?id=157



La storia di uno strano Paese che non vuole restituire il mal tolto
di Marco Ruffolo - La Repubblica - 17 Aprile 2012

Questa è la storia di uno strano paese. Un paese immaginario eppure tanto vicino al nostro. Da quelle parti quando i ladri ti svaligiano casa, non c'è nessuna legge che impone a chi recupera la refurtiva di riconsegnartela.

Non solo, ma nel frattempo le autorità, considerando quella rapina un furto non al proprietario ma all'intera collettività, si precipitano a chiedere soldi al medesimo proprietario e a tutti quelli che come lui sono stati svaligiati, per raddrizzare il bilancio del paese.

Di fronte a questa superbeffa, qualcuno in effetti ha protestato, e si è anche arrivati a un passo dall'introdurre una norma che dice più o meno così: "la refurtiva recuperata va restituita al legittimo proprietario".

Ma poi quella norma, inizialmente prevista, è stata cancellata dalle autorità, con buona pace del popolo dei rapinati. Fine della storia.

Accostare i rapinatori di questa breve e triste parabola ai nostri evasori, e i rapinati ai contribuenti onesti che pagano le tasse fino all'ultimo euro, non è affatto una esagerazione qualunquistica. Chi evade ruba a chi paga le tasse. Ma fin qui sono tutti più o meno d'accordo (con l'eccezione di qualche uscita sgangherata del nostro ex premier).

La coerenza logica si spezza invece quando si passa a discutere su come reagire a questa rapina. Restituire il maltolto significa esattamente prendere tutto quel che si recupera dagli evasori e usarlo per abbassare le tasse ai cittadini onesti, in modo che la pressione fiscale non salga.

Ovviamente, si tratta di un principio: nessuno può restituire nulla se non recupera qualcosa. Ma come si fa a dire che il fondo taglia-tasse inizialmente incluso nella delega del governo avrebbe finito per incoraggiare comportamenti imprudenti? Finché nel fondo non entra qualcosa, come si fa a usarlo?

Il Parlamento, su pressing autorevole dell'Europa e degli immancabili mercati, sta votando una norma che introduce nella Costituzione italiana l'obbligo del pareggio di bilancio. Si tratta, in linea teorica, di un principio di buona amministrazione: si spende solo ciò che entra nelle casse dello Stato, niente debiti.

Si potrebbe obiettare che se i tassi salgono (e di ciò non sono certo responsabili le famiglie italiane) la maggiore spesa per interessi farà sballare i conti, e in quel caso per pareggiare il bilancio saremo costretti a pagare più tasse per qualcosa che non dipende da noi.

Bene, un obbligo del genere, pur con i seri inconvenienti appena ricordati, sta per ricevere niente di meno che la "sacralità" costituzionale, mentre il principio che il rapinatore-evasore deve restituire il maltolto al rapinato-contribuente onesto non merita neppure la menzione in una generica legge delega.

Evidentemente in Italia fare deficit è considerato un reato più grave che rubare.



Il testa coda di Monti sull’Imu
di Paolo Berdini - Il Fatto Quotidiano - 17 Aprile 2012

Continua ancora il testa-coda del governo Monti sul problema della nuova tassa sugli immobili, l’Imu. Ricordiamone i passaggi principali.

Nel decreto “Salva Italia” era stato previsto il pagamento in due rate di una tassa pari a circa il doppio della vecchia Ici. Le aliquote per il calcolo erano infatti più alte e i valori immobiliari erano stati aumentati per legge.

I professori che governano sono dei validi economisti e avevano calcolato le aliquote sulla base delle previsioni delle entrate da ricavare. Dobbiamo raccogliere oltre 20 miliardi ed ecco ricavata la percentuale da applicare.

Da ciechi monetaristi non avevano però calcolato che quell’esborso sarebbe stato il colpo decisivo per milioni di famiglie cui –nel frattempo- avevano diminuito stipendi, pensioni e aumentato tutte le imposte.

Ecco allora la rocambolesca ritirata della scorsa settimana. Con la scusa che i comuni non avevano provveduto a definire le aliquote, si è coperta la preoccupazione che a giugno, di fronte alla necessità di far fronte ad un pagamento che variava da qualche centinaia fino a migliaia di euro per le abitazioni ubicate nelle grandi città, le famiglie italiane avrebbero potuto avere reazioni incontrollate.

Evidentemente qualcuno deve aver avvertito il Presidente del consiglio che stava scherzando con il fuoco.

Prima ritirata (la scorsa settimana). Si pagherà ancora in due rate, ma la prima calcolata con le tariffe della vecchia Ici, e dunque più bassa, a giugno. La seconda più devastante a dicembre: qualche mese di respiro e tempo prezioso per agguantare l’uscita di sicurezza visto che –di fronte al fallimento del governo- si parla sempre più spesso di elezioni anticipate in autunno. Seconda ritirata (ieri).

Meglio pagare in tre rate, perché come per le sostanze velenose, il pagamento diluito sarebbe stato meno impattante. Oggi è uscito dal cappello ancora un altro coniglio. La libertà prima di tutto, hanno tuonato i professori. Che siano i sudditi a decidere se svenarsi in due o tre rate.

Ma mentre era in atto il balletto, i professori hanno assestato un altro colpo micidiale. E’ stata varata la riforma del catasto che fino ad oggi valuta i valori immobiliari sull’astratto parametro del “vano” e che da domani li valuterà sulla più oggettiva base dei metri quadrati. Provvedimento in se equo, perché i vani della case popolari sono come noto molto più piccoli di quelli delle case signorili.

Ma un governo che ha a cuore il futuro della società avrebbe dovuto assicurare solennemente che la riforma non avrebbe comportato un aumento del gettito complessivo ma soltanto una sua redistribuzione.

E invece si lasciano le famiglie nella preoccupazione che quanto prima dovranno pagare ancora di più per il fondamentale bene casa.

L’accanimento monetarista sta mostrando la corda e non c’è chi non veda che il governo ha cacciato il paese in un vicolo cieco. Per la prima volta si pagherà l’Imu anche sulle proprietà agricole e molte aziende chiuderanno i battenti.

Gli artigiani e le imprese -che stanno già fallendo con ritmi impressionanti- dovranno pagare somme insostenibili. La parte della società che vive in affitto vedrà aumentare le mensilità a causa dell’Imu.

A questo gravissimo errore di prospettiva, la risposta dei professori è sempre la stessa. Se non troviamo i soldi fallisce l’Italia. Giustissimo. Ammetteranno che c’erano altri modi molto più equi e moralizzatori.

Ogni anno per la sanità spendiamo centinaia di miliari di euro: almeno cento vanno a beneficio delle cliniche private e nei comparti pubblici lavori e forniture sono appannaggio delle imprese legate al potere politico.

Le connessioni tra la mala politica e il controllo di queste imponenti poste di bilancio sono stati certificati dagli scandali della sanità nella Lombarda, nella Puglia, nella Liguria, nel Lazio e così via. Ci chiediamo perché non si è usato il pugno di ferro.

La tragedia sociale che stiamo vivendo è dunque quella che si potevano trovare i soldi laddove spariscono a fiumi e non dalle famiglie che spesso con molti sacrifici hanno acquistato la loro unica abitazione.

Ma la monocultura monetarista del professor Monti non è stata in grado di praticare queste scelte auspicate da tutti. Un paese intero ne paga le conseguenze.


Calcoli ed errori del «governo tecnico» Monti
di Vladimir Nesterov - www.strategic-culture.org - 14 Aprile 2012
Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

Negli ultimi tre anni l’Unione europea ha affrontato la crisi economica più grave della sua storia. Non si tratta tanto di preservare il modello di mercato «socialmente orientato» di cui è stata così fiera degli ultimi trent’anni.

La questione è che la malaccorta estensione dell’UE a spese degli Stati post-socialisti, ha frantumato le fondamenta economico-finanziarie dell’Unione, ad ha bloccato i veterani, che non avevano compreso di non essere immuni dai problemi economici…

La Grecia oggi è di fronte a un default. E’ ancora chiamato tecnico, ma non rende la vita più facile alla maggior parte della popolazione del paese. E ci sono paesi più grandi, che si profilano dietro la Grecia.

Nouriel Roubini, l’economista che aveva previsto la crisi attuale, dice: «Spagna e Italia potrebbero finire nel mirino». Su cosa basa le sue stime, soprattutto per quanto riguarda l’Italia, che non ha alcuna esitazione a mettere nella categoria della «periferia» dell’UE?

Il debito pubblico in Italia ha raggiunto il livello record di 1.935 milioni di euro nel gennaio 2012, come la banca centrale italiana ha annunciato il 15 marzo. E’ aumentato di 37,9 milioni di euro dal dicembre 2011.

Il 2011 ha portato il debito pubblico a oltre il 120,1% del Prodotto nazionale lordo (PNL). Secondo la Banca centrale, il debito cresce insieme con le spese di servizio.

Entro la fine dello scorso anno, i mercati europei hanno praticamente perso ogni fiducia nella capacità della leadership italiana nel risolvere il problema più acuto, adempiere agli obblighi sul debito sovrano, determinando le dimissioni di Silvio Berlusconi.

Lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi è sceso sotto l’importante soglia psicologica di 500 punti, per la prima volta nella storia. I rendimenti dei titoli italiani sono saliti al 6,9%, superiori di tre volte la redditività dei titoli tedeschi.

Nessuno osa prevedere cosa succederà domani. Soprattutto tenendo conto del fatto che le consegne di petrolio dall’Iran all’Italia sono terminate. Le sanzioni dell’Unione europea dovrebbero finire il 1° luglio, ma sapendo che Cina, India e Giappone non vi hanno aderito, l’Iran ha deciso di anticpare le mosse.

Di conseguenza, alcuni paesi, Italia compresa, affrontano momenti difficili. Il petrolio proveniente dall’Iran copriva il 30% delle importazioni italiane. Il risultato è stato l’alto prezzo della benzina, che a marzo è aumentata a € 1,96 al litro, in media, in tutto il paese.

Il prezzo del diesel è cresciuto a oltre € 1,8. Dallo scorso dicembre alla Pasqua, il prezzo della benzina ha superato il livello psicologicamente importante dei 2 euro al litro.

L’aumento dei prezzi dei carburanti avrà conseguenze drammatiche per i trasporti, l’88% di essi avviene sulle strade. Sarà difficile per gli agricoltori, perché i costi di produzione salgono insieme alle spese per il carburante per i trasporti; in media il 19% dall’inizio di quest’anno.

Inoltre, l’aumento del prezzo del carburante è il principale fattore a determinare l’inflazione nel paese. Il costo del paniere minimo del consumatore italiano è cresciuto del 4% a febbraio, rispetto all’indice medio annuo. Ha superato il record degli ultimi cinque anni, insieme al tasso di inflazione generale del 3,3%.

Non sarà una sorpresa se, nelle condizioni attuali i rendimenti obbligazionari italiani saliranno al 7% tra uno o due mesi. Sullo sfondo del debito pubblico in crescita, ciò significherà il collasso finanziario, perché i mercati dei prestiti semplicemente chiuderanno.

Chi avrebbe creduto nella capacità dell’Italia di pagare il servizio dei debiti di tale percentuale, e senza nemmeno parlare di pagarlo? Nel frattempo, secondo le stime degli esperti, l’Italia dovrà prendere in prestito oltre 200 miliardi di euro in più nel 2012. Avrà anche da riscattare 91 miliardi di euro di debiti preferenziali, entro la fine di aprile.

Le misure adottate dal «governo tecnico» di Mario Monti, salito al potere a dicembre al posto del governo di Silvio Berlusconi, non sembrano portare a risultati positivi. Al contrario hanno solo esacerbato la situazione. La recessione continua, l’economia si sta convertendo in una sorta di ristretta «pelle di zigrino».

Il 12 marzo, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) italiano ha riportato che il PIL nazionale si è ridotto, nel IV trimestre del 2011, dello 0,7% rispetto al III trimestre, e dello 0,4% in termini annuali.

La flessione della domanda interna dei consumatori contribuisce alla crisi. La spesa dei consumatori, nel IV trimestre, è scesa dello 0,7% in termini trimestrali, e del 1,2% in termini annuali.

Gli investimenti nell’economia, di conseguenza, sono diminuiti del 2,4% e 3,1%. Le previsioni del 2012 non sono di certo troppo rosee. La Commissione europea prevede che l’economia diminuirà dell’1,3%.

«Manovra finanziaria» contro società

Le misure adottate dal governo di Mario Monti, definite «manovra finanziaria», sono volte a risparmiare 33 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Hanno un evidente orientamento anti-sociale.

I critici della «manovra finanziaria» hanno notato subito che presupponeva un aumento del carico fiscale su tutti i cittadini, e delle misure minime per creare incentivi per la crescita economica.

Le misure includono anche la reintroduzione di una tassa sulla proprietà della prima casa, che era stata abolita nel 2008, che andrà a comporre lo 0,4% sulla prima casa e lo 0,75% sulle seconde case e le altre.

La misura prevede solo la riduzione di 50 euro di sconto per ogni figlio, fino all’età di 26 anni. Inoltre, uno 0,76% fiscale su beni immobili esteri, auto di lusso, yacht e aerei privati deve essere introdotto. Accise sulle sigarette e IVA saliranno di molto.

Una delle decisioni più dure è l’aumento dell’età pensionabile per uomini e donne. Secondo il governo, il piano prevede che l’età pensionabile maschile debba essere di 66 anni, quella femminile 62 anni, a partire dal 2012.

Dal 2018 l’età pensionabile sarà 66 anni anche per le donne. Non ci vorranno meno di 42 anni e un mese per un uomo e 40 anni e un mese per una donna, di lavoro, per avere diritto alla pensione. Coloro il cui importo complessivo annuo delle pensioni supera i 200.000 euro, dovranno pagare il 15% della cosiddetta «tassa di solidarietà».

Oltre a ciò, il governo di Mario Monti ha attaccato l’articolo 18, che è considerato il principale vantaggio sociale dei cittadini degli ultimi quaranta anni. L’articolo limita i diritti dei datori di lavoro nel licenziare i dipendenti che hanno un contratto a tempo indeterminato, garantendo la sicurezza del posto di lavoro.

Monti ed i suoi ministri lo trovano un peso sul mercato del lavoro, che impedisce la rotazione e l’occupazione dei giovani. E’ bello assumere giovani. Ma cosa faranno i lavoratori di 40-60 anni che hanno bisogno di sfamare le loro famiglie? Questo è ciò di cui Mario Monti e i suoi ministri «competenti» non si preoccupano.

La voglia di protesta è in aumento

La «manovra finanziaria» ha dovuto affrontare una dura, anche se scoordinata, resistenza dalla maggior parte della società. Alla fine di gennaio i camionisti di tutta Italia sono scesi in sciopero.

Hanno bloccato alcune strade centrali, paralizzando l’intero paese. Le fabbriche FIAT si sono fermate, Napoli affronta il problema dello smaltimento dei rifiuti ancora una volta, gli alimentari sugli scaffali dei negozi della Sicilia si sono svuotati. L’isola era anche rimasta benzina e la mafia locale ne aveva approfittato.

Poi i tassisti hanno fatto un grande sciopero facendo soffrire i turisti. Poco dopo, anche il personale degli aeroporti romani di Fiumicino e Ciampino, i lavoratori ferroviari e regionali dell’Alitalia-CAI e i dipendenti della compagnia aerea Meridiana, hanno fatto uno sciopero nazionale. Sono stati seguiti dai farmacisti, avvocati, notai e dai lavoratori delle stazioni di servizio.

Un’altra manifestazione NO TAV, il 29 febbraio, è diventata una vera e propria tragedia. L’evento era volto a protestate contro la prevista costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione.

In Piemonte, i manifestanti hanno bloccato le strade e incendiato automobili. E’ finita tra gli scontri con i poliziotti, che hanno dovuto ricorrere al lancio di gas e ai getti d’acqua. Come riportano i media italiani, cinque uomini erano rimasti feriti.

La disoccupazione, divisione tra colpa e colpevole

La situazione sta peggiorando. La disoccupazione è in aumento. Nulla dice che calerà con la recessione. A gennaio la disoccupazione è salita al 9,2%. E’ il tasso più alto degli ultimi 11 anni, secondo i dati ISTAT.

Nel dicembre 2011 la disoccupazione era all’8,9%, nel gennaio dello scorso anno all’8,1%. Il numero dei disoccupati è salito a 2,29 milioni.

La cosa più pericolosa per il paese è il rapido incremento della disoccupazione tra i giovani, fino al 31,1%. Quasi uno giovane italiano su tre è senza lavoro. Ciò vuol dire che è impossibile lasciare i genitori e avere una famiglia propria.

Il numero di queste persone di età inferiore a 35, è 1,1 milioni. Diventa un problema di sicurezza nazionale. È certo difficile pretendere che la pace sociale prevalga in Italia nel prossimo futuro.

E’ interessante notare che la piccola e parte della media borghesia si sono unite alle proteste. Per aumentare le entrate fiscali, il governo esige che ogni imprenditore, anche il più piccolo, debba emettere assegni. A cosa porterà ciò?

Il giornale Legno Storto risponde. Dice: «I media principali, gli infiniti programmi televisivi… servono a distogliere il malcontento pubblico dai veri colpevoli, i politici, i burocrati, i manager, e ad iniziare una guerra tra poveri. Gli alimentari e i panificatori sono i nemici. E ci sono persone che ci credono. Creano siti web e pagine Facebook per denunciare chi non emette assegni (scontrini? NdT). Non hanno alcuna idea del perché i commercianti lo facciano? Pensano che i commercianti debbano pagarsi la loro quarta auto, mentre agiscono per evitare di pagare la tassa al 70% di un altro prestito bancario (che nessuno vuole dargli). E’ una questione di sopravvivenza ad ogni costo, perché non hanno altro che le loro imprese. Parlando di yacht, non è così difficile trovare i loro proprietari. Il lusso è una cosa ovvia. Nessun servizio anticrimine è necessario per vedere ciò di cui non è chiara la provenienza..

Eppure, non importa l’intensità e la scala delle proteste di massa in Italia, esse non rappresentano una minaccia grave per Monti.

Sembra che il destino dell’Italia non sarà deciso a Roma. Dipende principalmente dalla situazione nella zona euro e nell’UE in generale.

Se Berlino continuerà a cercare di salvare l’euro, l’Italia ha il poco invidiabile destino di una periferia europea gravata da nuove tasse, dai prossimi Monti e da proteste separate.