giovedì 30 giugno 2011

Una tragedia greca

Ieri il Parlamento greco ha approvato il piano di austerity - tra deputati bloccati all’interno del parlamento, violentissimi scontri al suo esterno e uno sciopero generale che ha paralizzato la Grecia per 48 ore -, cercando così di salvarsi dalla bancarotta e far sbloccare il prestito di Ue e Fondo Monetario Internazionale.

Un voto obbligato da una pistola puntata alla tempia ma che porterà ugualmente alla bancarotta economica e sociale del Paese.


Grecia, il piano di salvataggio del Paese. Tra privatizzazioni a rischio e tagli al lavoro
di Federico Simonelli - Il Fatto Quotidiano - 29 Giugno 2011

L'obiettivo è quello di attuare 150mila tagli entro il 2015, il 20 per cento della forza lavoro statale. Scende la soglia di esenzione fiscale: pagherà anche chi guadagna 600 euro al mese. Incerta la riuscita della vendita di aziende statali altamente indebitate

Ventotto miliardi e altri più di 50 che dovranno arrivare dalle privatizzazioni, il tutto su base quinquennale. Sono queste le risorse che il governo Papandreou conta di recuperare con il durissimo piano fiscale di mediotermine.

Per sapere quali sono le misure nello specifico bisognerà aspettare almeno il voto procedurale di domani, ma il quadro generale al momento è questo.

Innanzitutto arriva un ulteriore taglio degli stipendi pubblici, questa volta soprattutto di quelli dei funzionari di grado più elevato che guadagnano fino a 18 mensilità. Per snellire il sovradimensionato settore statale greco è poi previsto un accorpamento degli enti, cioè una ulteriore riduzione del numero dei dipendenti.

Per farlo, serviranno delle modifiche costituzionali, che renderanno possibile per il Governo licenziare con ammortizzatori sociali i lavoratori in esubero. Che riceveranno il 60 per cento del loro stipendio di base per un periodo di 12 mesi. L’obiettivo è quello di attuare 150mila tagli entro il 2015, il 20 per cento della forza lavoro statale.

La soglia di esenzione fiscale per i greci poi scende da 12mila a 8mila euro, quindi anche i redditi che finora erano esenti, quelli più bassi, intorno ai 600 euro al mese, dovranno pagare.

E’ previsto anche un prelievo di solidarietà una tantum, simile a quello che ci fu in Italia nel 1992: sarà compreso tra l’1 e il 5 per cento e dovrebbe essere applicato ai pensionati e ai lavoratori dipendenti. Non solo. Tra le misure fiscali c’è anche una minimum tax per i lavoratori autonomi.

Fin qui i tagli. Poi ci sono gli aumenti. Cresceranno le tasse sul gasolio da riscaldamento e le accise sulla produzione di benzina, il cui prezzo da poco più di un anno a questa parte è già raddoppiato.

Poi c’è il capitolo delle privatizzazioni: che nella pratica significa altri licenziamenti, visto lo stato disastrato delle casse di molto società pubbliche e semi pubbliche del Paese.

Nel 2011 verranno messi in vendita i pacchetti azionari che il governo detiene in aziende come Dei, la società elettrica statale, nella compagnia delle lotterie e in quella delle corse dei cavalli, nel porto del Pireo, nelle società che gestiscono l’acqua e le fognature ad Atene e Salonicco, nelle ferrovie statali.

Il problema è trovare chi le voglia comprare. Perché, se quelle più appetibili hanno già acquirenti esteri che si sono messi in coda, per le tante altre che versano in condizioni disperate il futuro non promette nulla di buono. Come per le ferrovie di Stato che negli anni hanno accumulato debiti per 10 miliardi di euro.


Pane, istruzione, libertà
di Margherita Dean - Peacereporter - 30 Giugno 2011

Atene. Uno slogan che tocca corde sensibili dei greci, recitato dagli studenti che occuparono il Politecnico nel '73 contro i colonelli. Una saldatura sociale a lungo dimenticata

Mentre il Parlamento greco votava, nel pomeriggio del 29 giugno, a favore della manovra finanziaria di 28 miliardi che, entro il 2015 dovranno tutti essere pagati da dipendenti e pensionati, la manifestazione di Atene annunciava una saldatura sociale a lungo dimenticata.

C'erano tutti a piazza Syntagma, la piazza che, col suo nome, onora la Costituzione ellenica. Eppure, la sera del 29 giugno, la piazza è stata ribattezzata in ‘'piazza della morte della Costituzione'', quando è stato chiaro che la polizia aveva fatto un uso scellerato di gas lacrimogeni e granate assordanti nel corso di tutta la giornata e fino a tarda notte.

L'occasione per lo schieramento di agguerritissimi agenti antisommossa che, al grido ‘'ora vi faremo vedere di cosa è capace la polizia'' hanno occupato piazza Syntagma e decine di strade adiacenti, tutte molto turistiche, è stata la manifestazione di protesta contro la manovra finanziaria che veniva approvata dal Parlamento.

Una manifestazione, dunque, scontri tra manifestanti incappucciati e polizia, vergognoso zelo di quest'ultima, ancora una volta incapace di contenere i disordini: niente di nuovo, sembrerebbe, per la realtà greca che, almeno dal dicembre del 2008, è avvezza alla violenza.

Eppure qualcosa è cambiato e se gli scioperi generali dell'ultimo anno hanno fatto registrare un buon successo di partecipazione, ora si osserva un momento di coesione sociale che la Grecia non conosceva dai tempi della dittatura del 1967-74.

Pensionati e ragazzini, nonni e nipoti, signore che, se non fossero state in piazza avrebbero sfornato i biscotti della settimana, operai e studenti, avvocati e piccoli imprenditori, impiegati di banca e maestre d'asilo.

C'erano tutti: donne e uomini, quelli dallo sguardo cupo di rabbia, quelli dallo sguardo smarrito del novizio alle manifestazioni, quelli i cui occhi mostravano la melanconia del futuro greco, quelli che traspiravano sicurezza e convinzione nella lotta.

Ma non c'erano solo ateniesi a piazza Syntagma: pullman da Salonicco, dal Peloponneso, da Corfù; auto private che hanno attraversato il Paese per unirsi ai manifestanti e agli ‘'aganaktismenoi'', gli indignati greci che, da trentasette giorni, invitano i cortei di ogni piccola o grande manifestazione a terminare in piazza Syntagma, unendosi a loro.

C'erano tutti in piazza: movimenti studenteschi, migranti, movimenti anti razzisti, sindacati di base, le grandi confederazioni sindacali, quella del settore pubblico (Adedy) e quella del settore privato (Ghesee). Problematiche di categorie professionali, sindacali e sociali accomunate da uno slogan su tutti: ‘'pane, istruzione, libertà'', recitato con la passione di quando nacque, trentotto anni fa, durante la dittatura.

Uno slogan che tocca corde sensibili dei greci, recitato dagli studenti che occuparono il Politecnico nel '73 contro i colonelli; tre parole tornate a significare molto nel momento del disastro economico, cui non si accompagna solo l'impoverimento di settori sempre più grandi della società greca ma anche e, soprattutto, l'abbattimento dei diritti.

Quello al lavoro e alla dignità del lavoratore, quello all'istruzione e alla sanità pubbliche e gratuite, quello alla libertà che, nel caso di un debitore cronico come è lo Stato greco, è compromessa.



Grecia, piangere per non morire
di Carlo Musilli - Altrenotizie - 29 Giugno 2011

Per quanto faccia male, una gamba in cancrena va amputata. Altrimenti si muore. Lo hanno capito anche i parlamentari di Atene, rassegnandosi ad approvare il nuovo piano lacrime e sangue che spezzerà la schiena alla Grecia nei prossimi anni, ma le consentirà di sopravvivere.

Con 155 voti favorevoli, 138 contrari e cinque astenuti, è passata la manovra da 28 miliardi: 14 di tagli, altri 14 di nuove tasse da riscuotere nel prossimo quinquennio.

Misure dolorose ma indispensabili per intascare il prestito da 110 miliardi concordato con Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale. Non solo: l'approvazione del piano farà scattare anche il via libera per definire i dettagli di un secondo prestito da 120 miliardi.

Con tutti questi soldi il Paese dovrebbe evitare la bancarotta e ripianare entro il 2014 il suo debito pubblico. Al momento la voragine è da 340 miliardi. Il che vuol dire 30mila euro che pendono sulla testa di ogni greco, neonati compresi.

La manovra e gli aiuti però non bastano. Per allontanare l'incubo del default la Grecia ha bisogno di un'altra iniezione. La vera anima del piano di risanamento annunciato dal primo ministro Geroge Papandreou è un programma di privatizzazioni del valore di 50 miliardi da realizzare entro il 2015.

Ma anche su questo fronte i problemi non mancano. Al momento, il Governo di Atene può contare su 15 partecipazioni in società quotate in Borsa, più altre 70 partecipazioni in aziende non quotate.

Peccato che, secondo i dati forniti dal Privatisation Barometer, una banca dati che contiene informazioni su ogni singola transazione di questo tipo, anche vendendo tutte queste quote la Grecia non riuscirebbe a ricavare più di 13,6 miliardi.

Facendo una rapida sottrazione, il risultato è abbastanza preoccupante: per arrivare alla cifra prefissata mancano poco più di 36 miliardi. Secondo Bernardo Bortolotti, economista e fondatore del Privatisation Barometer, questo significa che l'Esecutivo dovrà iniziare a vendere praticamente qualsiasi cosa: terreni, immobili, concessioni, infrastrutture e altro ancora.

Forse il disastroso quadro generale sfugge a buona parte del popolo greco, giustamente accecato dalla rabbia nei confronti di chi avrebbe dovuto evitare che si arrivasse a tanto. Può essere comprensibile perfino la violenza con cui molti manifestanti hanno cercato di impedire ai politici di entrare in Parlamento per votare la manovra.

La polizia in assetto antisommossa si è scontrata con circa 400 dimostranti che cercavano di sfondare i blocchi per accedere alla piazza Syntagma di Atene, dove ha sede il Governo. Almeno tre persone sono finite in ospedale.

Il rifiuto è una reazione normale quando si è posti di fronte alla certezza di non aver alcun futuro nel proprio Paese. Ma la verità è che in questo caso il Governo doveva prendere una decisione semplice. Se non altro per la totale mancanza di alternative.

Nemmeno il suicidio era un'opzione calcolabile, perché il fallimento della Grecia avrebbe effetti sistemici più o meno in tutto il pianeta. Come se un depresso, sparandosi in testa, uccidesse tutta la città.

Da questo punto di vista, parlare di potenziale effetto domino non vuol dire essere fanatici della catastrofe. L'ipotesi è fondata. Una ricostruzione di quello che potrebbe avvenire in caso di default greco è stata fatta da Business Insider.

Innanzitutto, nelle banche di Francia e Germania sono stipati buoni del tesoro ellenici per un valore di 46 miliardi.

Di qui l'apprensione di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, più che ansiosi di soccorrere i fratelli di Atene. La società di rating Moody's ha già messo in guardia i tre maggiori istituti di credito transalpini (Crédit Agricole, BNP Paribas, e Société Générale) sulla possibilità di un declassamento.

Fin qui i big, ma c'è molto più. Ad essere esposta in modo preoccupante sul debito greco è praticamente tutta l'area euro. Sono sotto pressione soprattutto i sistemi bancari di Austria e Portogallo.

Perfino la finanza privata bulgara e romena in questi giorni non fa che mangiarsi le unghie. Al vertice della piramide c'è naturalmente la Banca Centrale Europea, che è esposta addirittura per 120 miliardi di euro.

Non è totalmente da escludere che un'eventuale insolvenza di Atene porti con sé rischi analoghi anche per la Bce, che in ogni caso uscirebbe dalla vicenda con le ossa rotte. A quel punto, sentendo puzza di morte, gli avvoltoi della speculazione inizierebbero a fare i loro giri in cielo, avventandosi sui Paesi col debito più insostenibile, Italia e Belgio.

Alcuni economisti si sono spinti perfino più in là con le previsioni. Se Parigi e Berlino si ritrovassero improvvisamente con l'acqua alla gola, potrebbero mettere in atto una qualche forma di neo-protezionismo.

A sua volta l'implosione dei mercati europei farebbe sentire i suoi effetti sulle esportazioni americane e asiatiche, portando a una progressiva contrazione dei consumi. Nel frattempo la Cina finirebbe schiacciata sotto il peso dell'inflazione, che già oggi rappresenta il primo guaio economico di Pechino.

Di fronte a uno scenario simile, il crollo innescato da Lehman Brothers sembrerebbe poco più di una simpatica merenda. Che paura. Bisogna fare qualcosa per evitare che la prima tesserina del domino perda il suo precario equilibrio.

E allora via libera ai prestiti da centinaia di miliardi alla Grecia. Quello che ancora non è chiaro è come farà un Paese in ginocchio a restituire tutti quei soldi.



Debtocracy
di Katerina Kitidi e Haris Hatzistefanou - www.nazioneindiana.com - 8 Giugno 2011

DEBTOCRACY [ Χρεοκρατία ]
[ Sito Ufficiale EN ]

Per la prima volta in Grecia un documentario prodotto dal pubblico. ⇨ DEBTOCRACY [Wikipedia EN] cerca le cause della crisi provocata dal debito pubblico e propone soluzioni che non vengono prese in considerazione dal governo e dai media dominanti.

χρέος [krèos] debito e κράτος [kràtos] potere
δήμος [dèmos] popolo e κράτος [kràtos]potere
.

Una, forse, lunga visione ma che, assai pregevele nella fattura, tra analogie e differenze ci fa sentire che la Grecia è vicina, più di quanto non si pensi e più di quanto sugli organi di informazione se ne dia notizia.

Il documentario, finanziato attraverso donazioni, si avvale della partecipazione di personalità del mondo socioeconomico e culturale:

  • David Harvey geografo e antropologo
  • Hugo Arias Presidente del comitato per l’analisi del debito dell’Ecuador
  • Samir Amin economista
  • Gerard Dumenil
  • Costas Lapavitsas economista
  • Alain Badiou, filosofo
  • Manolis Glezos membro della Greek Resistance e politico di sinistra
  • Avi Lewis giornalista e regista cinematografico
  • Fernando Solanas regista cinematografico.

Debtocracy International Version di BitsnBytes

[ quando inizia il video click CC in alto a destra per i SOTTOTITOLI IT ]


Il prezzo della crisi

di Guido Viale - Il Manifesto - 29 Giugno 2011

Una crisi finanziaria di dimensioni globali è di nuovo alle porte. E non sarà l'ultima. Il mondo si sta avvitando intorno ai suoi debiti. Con liberismo e globalizzazione («finanzcapitalismo», orribile termine introdotto da Luciano Gallino) gli Stati hanno ceduto il potere di creare il denaro - il diritto di «battere moneta» - al capitale finanziario. Quasi tutti gli Stati dei paesi sviluppati si sono pesantemente indebitati con il sistema finanziario (quelli dell'ex Terzo Mondo lo sono da sempre).

Lo hanno fatto in parte per salvare banche o aziende sull'orlo del crack; in parte per finanziare spese sia essenziali (infrastrutture, «welfare» o stipendi del Pubblico impiego non sostenuti da sufficienti entrate fiscali), sia illegittime (costi della corruzione e dell'evasione fiscale), sia inutili e dannose (armamenti, costi della «politica», di grandi opere o di «grandi eventi»).

Per esempio, gran parte del debito che sta portando la Grecia al fallimento è dovuto, oltre che alla corruzione e dall'evasione fiscale, alle spese sostenute (senza adeguati ritorni) per le Olimpiadi di Atene e per l'acquisto - da Francia e Germania, gli Stati che oggi la stanno strangolando - di armamenti per «difendersi» dalla Turchia: due paesi della Nato che si armano l'un contro l'altro, comprando le stesse armi dagli stessi paesi e addestrandosi a farsi la guerra (c'è di mezzo il petrolio dell'Egeo) nelle scuole militari degli stessi fornitori.

Gli Stati si indebitano perché di nuovo denaro non ne possono creare più di tanto. In parte se lo sono vietato, con leggi nazionali (come negli Usa) o accordi internazionali (come le regole di governo della Bce e il Patto di stabilità dell'Unione Europea).

In parte hanno già una montagna di debiti contratti perché per molto tempo indebitarsi era più facile che imporre nuove tasse o sostenere l'economia con l'emissione di nuova moneta e un'inflazione controllata.

Quello che gli Stati nazionali hanno perseguito indebitandosi (evitare nuove tasse o maggiore inflazione) adesso li strangola; e oggi i paesi europei, anche se potessero tornare alla moneta nazionale e svalutarla, difficilmente otterrebbero un aumento di competitività con cui accrescere le esportazioni e ripagare parte del loro debito, come recita l'ortodossia economia (quella che consiglia alla Grecia di «uscire dall'euro»); si ritroverebbero solo con un debito in valuta estera ancora più pesante.

Se invece, come consiglia, anche in questo caso, l'ortodossia economica, tagliano la spesa pubblica - mettendo alle strette o alla fame una parte crescente dei propri cittadini - e svendono servizi, demanio e beni comuni per ottenere un avanzo primario, soffocano ancora di più l'economia e non saranno mai più in grado di pagare né debito né interessi. È una strada senza uscita.

Se la cosa riguardasse solo la Grecia, che è un piccolo paese, una soluzione forse si troverebbe; ma riguarda anche l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna, l'Italia, il Belgio e in prospettiva la Francia, che adesso fa invece la voce grossa.

E riguarda anche gli Stati Uniti (anche il loro debito rischia un ribasso del rating), gli unici che finora avevano potuto continuare a «creare moneta» perché i loro dollari non li rifiutava nessuno.

Ma crisi, salvataggi e sconti fiscali per i più ricchi (quelli che neanche Obama osa toccare) hanno moltiplicato per due il loro debito, che è quasi tutto in mani altrui; e poiché ora ne devono rinegoziare una quota consistente si trovano anche loro alle strette. La retorica - mai suffragata dai fatti - secondo cui ridurre le tasse «crea sviluppo» ha messo tutti nei guai.

Poi ci sono le rivoluzioni dei paesi arabi, che a breve porranno inderogabili scadenze al sistema finanziario mondiale. Insomma, qualunque cosa venga decisa per la Grecia, si tratterà solo di tamponare una falla per rinviare un crack inevitabile.

Gli Stati non «comandano» più il denaro perché i cordoni della borsa sono ora nelle mani della finanza internazionale: basta la minaccia di un ribasso del rating ed è come se dal bilancio di uno Stato si volatilizzassero di colpo miliardi di euro. E per un paese che va in rovina c'è sempre, da qualche altra parte, qualcuno che guadagna miliardi.

È la finanza internazionale, bellezza! Quella che ha riempito di titoli fasulli banche e risparmiatori rivendendo un numero infinito di volte i propri crediti dopo averli impacchettati in titoli derivati di cui era - ed è, perche sono ancora in circolazione - impossibile conoscere origine e composizione.

A certificare che quei mucchi di carte, ma ormai anche solo di bit, sono moneta sonante ci pensavano e pensano tre agenzia mondiali interamente possedute da alcune delle banche che quei certificati li vendono.

Ora, e sempre con denaro fittizio, la speculazione si è spostata sulle materie prime e sulle derrate alimentari, mettendo alla fame mezzo mondo. E minaccia di far fallire, uno dopo l'altro, un buon numero di Stati. Ma dobbiamo per forza continuare a lasciare in mano a costoro le redini dell'economia?

C'è un altro modo per affrontare la situazione: imporre ai propri governi un cambio di rotta. Il che richiede certo «rigore fiscale», ma non quello che ci vorrebbero imporre Tremonti. Il rigore, cioè i tagli nel bilancio, vanno imposti ai costi della politica, alla corruzione, all'evasione fiscale, alle rendite finanziarie, agli armamenti, alle guerre contro paesi che abbiamo contribuito ad armare fino a ieri, alle grandi opere, ai grandi eventi, alla burocrazia (ma senza segare l'albero del Pubblico impiego; curandolo invece ramo per ramo, coinvolgendo che ci lavora, perché dia frutti migliori).

Ma un cambio di rotta richiede anche una montagna di nuove spese: in ricerca, in istruzione (scolastica e permanente), in manutenzione del territorio, in riconversione delle fabbriche obsolete o senza mercato, in promozione di una conversione energetica che ci liberi gradualmente dalla dipendenza dall'estero e dai combustibili fossili, in un'agricoltura che restituisca fertilità ai suoli e cibo sano ai consumatori.

E soprattutto per garantire a tutti e ciascuno possibilità di non dipendere giorno per giorno dai capricci di un mercato globale fuori controllo e dall'arbitrio di imprese attente solo alle quotazioni del loro capitale.

Sono in gran parte le stesse rivendicazioni (e persino le stesse parole: «non vogliamo pagare la vostra crisi») delle rivolte che infiammano le strade della Grecia e delle manifestazioni che riempiono quelle della Spagna - e ora anche del Belgio - e che hanno un unico sbocco possibile: in prima istanza, l'annullamento del patto di stabilità e della stretta sui bilanci degli Stati membri. Poi la garanzia di un reddito decente per tutti.

Ma fin da subito c'è da adoperarsi per coinvolgere il maggior numero di soggetti, ciascuno con le sue competenze e a partire dai luoghi dove abita, vive e lavora, nella costruzione dal basso di un piano di interventi articolato su cui esigere l'impegno dei governi, quali che siano, sia a livello locale che nazionale.

Oggi programmi del genere non ci sono: troppo pochi ci pensano e quasi nessuno ne parla, perché cambiare radicalmente il paese sembra ancora un sogno. Ma l'Europa di domani, nel pieno di una crisi finanziaria che coinvolgerà l'intero continente e nel mezzo di una crisi ambientale che sta investendo l'intero pianeta, non sarà mai più come quella che abbiamo conosciuto fino a oggi.

Se non vogliamo precipitare nel caos che si sta avvicinando, bisogna cominciare a discutere concretamente, caso per caso, delle cose che vogliamo, senza aver paura della sproporzione delle forze in campo. Il vento sta cambiando. «Prepariamoci» titola il suo ultimo libro Luca Mercalli, parlando delle condizioni in cui dovremo a vivere nella crisi ambientale.

Prepariamoci anche a una nuova crisi finanziaria che cambierà radicalmente i rapporti di forza nelle situazioni in cui ci troveremo a operare.

mercoledì 29 giugno 2011

Libia update

Qualche aggiornamento sulla guerra in Libia.

Oggi si è scoperta l'ennesima acqua calda grazie al quotidiano francese Le Figaro, e cioè che nelle scorse settimane la Francia ha paracadutato armi ai "ribelli" libici nella regione di Djebel Nafusa, a sud di Tripoli. Secondo il giornale, sarebbero stati paracadutati in questa zona a qualche decina di km dalla capitale libica lanciarazzi, fucili d'assalto, mitragliatrici e missili anticarro Milan.

Le Figaro inoltre aggiunge che dalle carte dei servizi di informazione francesi numerose località della regione sono recentemente passate in mano ai ribelli - Nalut, Tiji, al Jawsh, Shakshuk e Yafran.

Oggi poi il ministro della giustizia del cosiddetto Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt), Mohammed al Alaqi, ha annunciato in un'intervista al quotidiano arabo Al Hayat (edito a Londra, ndr) che gli "insorti" stanno preparando "una squadra speciale, un commando, per catturare Gheddafi e consegnarlo alla corte internazionale penale dell'Aja". L'operazione dovrebbe scattare "appena i ribelli entreranno a Tripoli", entro "qualche settimana".


Tripoli bombardata, non cede
di Thierry Meyssan - www.voltairenet.org - 27 Giugno 2011
Traduzione di Alessandro Lattanzio – Aurora03.da.ru

Un gruppo internazionale di ricercatori della Rete Voltaire è attualmente in Libia. Ha potuto visitare i luoghi dei bombardamenti. Con la fiducia delle autorità libiche, ha incontrato alcuni dei leader politici e della sicurezza, nonostante le condizioni di guerra.

La loro conclusione è diametralmente opposta alle immagini trasmesse dalla stampa occidentale. Thierry Meyssan consegna le loro prime osservazioni.

Al centesimo giorno del bombardamento della Libia, la NATO ha annunciato il suo imminente successo. Tuttavia, gli obiettivi della guerra non sono chiaramente specificati, non è chiaro quale sarebbe il successo.

Contemporaneamente, la Corte penale internazionale ha annunciato l’incriminazione del leader libico Muammar Gheddafi, del figlio Saif al-Islam e del capo dell’intelligence interna, Abdallah al-Sanoussi, per “crimini contro l’umanità“.

Se si fa riferimento alla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza, la Coalizione dei volenterosi dovrebbe stabilire una no-fly zone per evitare che le truppe del tiranno uccidano il suo stesso popolo.

Tuttavia, le informazioni iniziali, in base alle quali l’aeronautica libica avrebbe bombardato le città libiche, che si erano sollevate contro il governo di Tripoli, non sono ancora state confermate, anche se sono ritenute attendibili dalla Corte penale internazionale.

Tuttavia, le azioni della NATO hanno superato di gran lunga la creazione di una no-fly zone per trasformarsi in una sistematica distruzione delle forze armate nazionali, di aria, terra e mare.

Gli obiettivi della NATO sono probabilmente altri. I leader dell’Alleanza hanno citato più volte il rovesciamento del “regime” di Muammar Gheddafi, anche l’eliminazione fisica del “Fratello Leader“.

I media occidentali si riferiscono a “defezioni in massa” dei quadri di Tripoli e al loro allineamento alla causa degli insorti a Bengasi, ma non possono fare nomi, ad eccezione di quelli dei politici da tempo noti per essere favorevole alla riconciliazione con Washington, come l’ex ministro degli esteri Moussa Koussa.

L’opinione pubblica internazionale è massicciamente male informata. Washington ha tagliato le trasmissioni televisive libica sul satellite Arabsat, di cui è ancora azionista la Jamahariya. Il Dipartimento di Stato non dovrebbe tardare a fare lo stesso con Nilesat.

In violazione dei suoi impegni internazionali, Washington ha rifiutato un visto per il nuovo rappresentante libico presso le Nazioni Unite. Non può venire nello Stato di New York a esporre il suo punto di vista, mentre il suo predecessore, unitosi al CNT, continua a occupare il suo posto.
Con la voce di Tripoli smorzata, è possibile diffondere qualsiasi menzogna, senza timore di smentita.

Non c’è da stupirsi visto che a Tripoli, dove è stato scritto questo articolo, i comunicati della NATO e le accuse della Corte penale internazionale sembrano irreali. L’ovest della Libia è pacifico. A volte, le sirene annunciano l’arrivo di bombardieri o missili. Seguiti subito dopo dalle esplosioni che essi provocano. Non c’è bisogno di correre ai ripari, da un lato perché il tempo è troppo breve e, secondo, perché ci sono quasi ripari.

I bombardamenti sono mirati con estrema precisione. Il munizionamento guidato colpisce gli edifici presi di mira, e in questi edifici, le parti puntate. Tuttavia, la NATO perde il controllo in volo di un un missili guidato su dieci. Questo cade alla cieca. In qualsiasi punto della città, causando morte a caso.

Se una parte degli obiettivi della NATO sono “militari“: basi e caserme; la maggior parte sono “strategiche“, vale a dire economiche. Per esempio, l’Alleanza ha bombardato la zecca della Libia, un’amministrazione civile incaricata di stampare i dinari.

Oppure, i suoi commando hanno sabotato fabbriche che erano in competizione con quelle dei membri della Coalizione. Altri obiettivi sono definiti “psicologici“. Si tratta di colpire direttamente i leader politici e militari, massacrando le loro famiglie. I missili vengono poi puntato verso abitazioni private, e in particolare sulle camere da letto dei figli dei dirigenti.

L’atmosfera nella capitale e sulla costa è pesante. Ma la popolazione resta salda. I libici osservano che nessuno dei loro problemi interni giustifica il ricorso alla guerra. Indicano le rivendicazioni sociali e le questioni regionali, come esistono nei paesi europei, ma niente che dovrebbe portare a lacerare le famiglie come si sta facendo imponendo la spartizione del paese.

Di fronte alla NATO, decine di migliaia di cittadini ricchi hanno fatti le valigie e se ne sono andati a cercare rifugio nei paesi vicini, tra cui la Tunisia, lasciando ai poveri la cura per difendere il paese che li ha arricchiti. Molte aziende sono chiuse senza che nessuno sappia se si trovano ad affrontare problemi di approvvigionamento o se i loro proprietari sono fuggiti.

Come in Siria, la maggior parte degli oppositori politici fa blocco col governo per proteggere l’integrità del paese contro l’aggressione straniera. Tuttavia, alcuni libici, anonimi e invisibili, informare la NATO per individuare gli obiettivi. I loro genitori, un tempo ospitavano l’esercito coloniale italiano, ora gridano con i loro omologhi di Bengasi, “1, 2, 3, Sarkozy sta arrivando!“. Ogni nazione ha i suoi traditori e i suoi collaborazionisti.

Le atrocità commesse dai mercenari del principe Bandar in Cirenaica, hanno convinto molti esitanti. La TV mostra opere continuamente le azioni dei leader di al-Qaida in Libia, alcuni dei quali sono stati rilasciati direttamente da Guantanamo, per combattere a fianco degli Stati Uniti.

Le insopportabili immagini di linciaggi e mutilazioni nelle città erette a emirati islamisti, come di moda in Afghanistan e in Iraq, da persone disumanizzate dalle torture subite ed eccitate da potenti droghe. Non è necessario essere un vecchio sostenitore della Rivoluzione di Gheddafi per supportarla oggi, di fronte agli orrori cui i jihadisti si dedicano nelle “zone liberate” dalla Alleanza [1].

Niente, da nessuna parte in Occidente suscita una rivolta o guerra civile. Nessuna barricata, né carri armati nelle strade. Su tutte le strade, le autorità hanno istituito posti di blocco ogni due chilometri. Gli automobilisti in paziente attesa saggiamente, loro stessi sono attenti a scoprire elementi infiltrati dalla NATO.

Il colonnello Gheddafi arma la popolazione. Quasi due milioni di fucili automatici sono stati consegnati ai civili. L’obiettivo è che ogni adulto, maschio o femmina, difenda la sua casa. I libici hanno imparato la lezione dell’Iraq.

Saddam Hussein era seduto sull’autorità del Baath e dell’esercito, escludendo il suo popolo dalla vita politica. Quando il partito fu decapitato e qualche generale disertò, il governo crollò improvvisamente lasciando il paese senza resistenza e nel caos.

La Libia è organizzata secondo un sistema unico di democrazia partecipativa, paragonabile alle assemblee del Vermont. La gente è abituata ad essere consultata e responsabile. Si è dunque mobilitata in massa.

Inaspettatamente, le donne sono più determinate degli uomini nel portare le armi. Ciò riflette l’incremento negli ultimi anni della partecipazione delle donne alle assemblee popolari. Ciò riflette forse, anche la disinvoltura che ha colpito i quadri di questo Stato socialista dallo standard di vita elevato.

Tutti sanno che tutto verrà deciso quando le truppe di terra della Nato sbarcheranno, se oseranno farlo. La strategia di difesa è interamente concepita per scoraggiare uno sbarco, mobilitando la popolazione. Qui i soldati francesi, inglesi e statunitensi non saranno accolti come liberatori, ma come invasori coloniali. Dovranno affrontare infiniti combattimenti urbani.

I libici s’interrogano sulle mosse esatte della NATO. Mi sorprende constatare che spesso leggendo gli articoli di Voltaire, tradotti e ripreso da molti siti web e alcuni giornali, che sono informati sui reali problemi. C’è qui, come dappertutto, una mancanza di informazioni sulle relazioni internazionali.

La gente sa e s’inorgoglisce delle iniziative e dei risultati del governo per l’Unità africana o per lo sviluppo del Terzo Mondo, ma ignorano molti aspetti della politica internazionale e sottovalutano il potere distruttivo dell’impero. La guerra sembra ancora lontano, fino a quando il predatore si vi sceglie come preda.

Che cos’è questo successo che la NATO annuncia imminente? Per ora, il paese è diviso in due. La Cirenaica è stata proclamata repubblica indipendente, anche se si sta preparando a ristabilire la monarchia, ed è stata riconosciuto da diversi stati, a partire dalla Francia.

Questa nuova entità è governata, di fatto, dalla NATO, ma ufficialmente da un misterioso Consiglio di Transizione Nazionale, non eletti, e i cui membri, se esistono, sono segreti per non essere chiamati a rispondere delle loro azioni.

Una parte dei beni libici sono stati congelati ed ora sono gestiti, a loro massimo beneficio, dai governi occidentali. Parte della produzione di petrolio viene venduta a condizioni molto competitive alle società occidentali che ne fanno incetta. E’ forse questo il successo: il saccheggio coloniale.

Emettendo mandati di arresto internazionali contro Muammar Gheddafi, suo figlio e il capo dell’intelligence nazionale, la Corte penale internazionale sta cercando di mettere sotto pressione i diplomatici libici, per costringerli a dimettersi.

Tutti sono a rischio, in caso di caduta della Libia, di essere perseguiti per “complicità in crimini contro l’umanità“. Quelli che si dimettono lasceranno un vuoto dietro di loro, senza alcuna possibilità di essere sostituiti. I mandati di arresto, quindi, emergono da una politica di isolamento del paese.

La Corte fa anche comunicazione di guerra. Ha definito Saif al-Islam “il primo ministro de facto“, cosa che certamente non è vera, ma dà l’impressione di un regime familistico. Vi si ritrova il principio d’inversione dei valori, tipico della propaganda statunitense.

Mentre i ribelli di Bengasi brandiscono la bandiera della monarchia Senussi e il pretendente al trono si spazientisce a Londra, è la democrazia partecipativa che viene presentata come un regime dinastico.

Dopo i primi cento giorni di guerra, la stampa della NATO a malapena nasconde la delusione. I libici non sono insorti contro il “regime“, tranne in Cirenaica. Nessuna soluzione militare è in vista.

L’unica via per l’Alleanza atlantica di uscire a testa alta a buon mercato, è quella di dividere semplicemente il paese. Bengasi diventerebbe l’equivalente di Camp Bondsteel, la mega base militare statunitense in Europa, avendo acquisito lo status di stato indipendente come Kosovo. La Cirenaica sarà la base che mancava ad AFRICOM per controllare il continente.


Note:

[1] Suppongo che queste osservazioni possano sorprendere il lettore. Réseau Voltaire tornerà in dettaglio nei prossimi articoli.


L'Aja, tribunale a senso unico

di Michele Paris - Altrenotizie - 28 Giugno 2011

Il mandato d’arresto emesso contro Muammar Gheddafi due giorni fa dalla Corte Penale Internazionale segna un ulteriore passo avanti nella campagna della NATO per rovesciare il regime di Tripoli.

Oltre al rais, a finire nel mirino della Corte con sede a L’Aia sono stati anche il suo secondo figlio - Seif al-Islam - e il cognato Abdullah Senussi, attualmente a capo dell’intelligence libica.

La decisione del tribunale internazionale è stata presa in seguito alle accuse formulate lo scorso mese di maggio dal procuratore argentino Luis Moreno Ocampo, la cui deferenza verso gli USA è stata messa in luce da un cablo del 2003 recentemente pubblicato da Wikileaks.

Ad annunciare alla stampa il provvedimento è stato invece il giudice del Botswana Sanji Monageng, la quale ha affermato che esistono ragionevoli indizi per ipotizzare i reati di omicidio e persecuzione di centinaia di civili durante le manifestazioni di protesta esplose in Libia a febbraio.

Lo stesso giudice ha ammesso che risulta impossibile verificare la vera entità dei crimini attribuiti a Gheddafi e agli altri due imputati, anche perché l’indagine condotta da Moreno Ocampo si basa soprattutto su resoconti dei ribelli di stanza a Bengasi e su rapporti dei servizi occidentali. In particolare, i fatti cui fa riferimento la Corte si riferiscono al periodo che va dal 18 fino ad “almeno” il 28 febbraio, ben prima dell’inizio dell’aggressione delle forze NATO.

Nel dettaglio, le accuse comprendono l’uccisione, il ferimento e l’arresto di centinaia di dimostranti civili, nel quadro della repressione messa in atto dai regimi al potere in Nord Africa e in Medio Oriente e che ha segnato le prime fasi di gran parte delle rivolte in corso nel mondo arabo.

Come è evidente, gli stessi capi di imputazione potrebbero essere contestati, ad esempio, alla famiglia reale al-Khalifa del Bahrain, ai deposti presidenti Ben Ali e Mubarak di Tunisia ed Egitto, oppure al presidente yemenita Ali Abdullah Saleh.

Costoro sono o erano tutti fedeli alleati degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali, circostanza che ha permesso loro di evitare la sorte di Gheddafi.

I regnanti del Bahrain, addirittura, oltre ad essere tuttora al loro posto, sono stati ricevuti recentemente a Washington e vengono elogiati per le “aperture” dimostrate nei confronti delle forze di opposizione.

Il mandato di arresto contro i due Gheddafi e Senussi, in ogni caso, serve perfettamente agli USA e agli altri paesi NATO impegnati nel conflitto in Libia per intensificare le operazioni militari e, allo stesso tempo, ostacolare le già esili trattative di pace in corso.

Il segretario generale del Patto Atlantico, Anders Fogh Rasmussen, ha così dichiarato che l’ordine di arresto “rafforza le ragioni della missione NATO per proteggere i civili libici dalle forze di Gheddafi”.

Allo stesso modo, il Ministro degli Esteri italiano Frattini, pur ribadendo la necessità di “trovare una soluzione politica che senza Gheddafi al potere restituisca alla Libia una prospettiva di sviluppo”, ha sostenuto che la decisione dell’Aia “legittima ulteriormente l’assoluta necessità e l’alto valore della missione umanitaria della NATO in Libia… nel quadro della responsabilità di proteggere che spetta alla comunità internazionale nelle emergenze umanitarie provocate da atti di repressione di dittatori verso il proprio popolo”.

L’intervento della Corte Penale Internazionale è in realtà un altro modo per fare pressioni su Gheddafi dopo che, giunti al 100esimo giorno d’incursioni aeree, i paesi NATO coinvolti nel conflitto non sono riusciti a spianare la strada verso Tripoli alle forze del cosiddetto “Consiglio Nazionale di Transizione” di Bengasi.

Inoltre, il mandato d’arresto è arrivato il giorno successivo ad un summit del comitato ad hoc dell’Unione Africana andato in scena a Pretoria, in Sudafrica, per discutere della possibilità di un cessate il fuoco in Libia.

Come ha scritto il quotidiano on-line sudafricano Independent, l’annuncio del Tribunale ha suscitato le ire del presidente Jacob Zuma, il quale solo poche settimane fa era stato a Tripoli e a Bengasi per promuovere un accordo tra le due parti.

Tramite un portavoce, il presidente sudafricano ha dichiarato che la Corte dell’Aia ha preso una decisione deplorevole proprio mentre i progressi fatti dall’Unione Africana indicavano un possibile impegno per una soluzione pacifica sia da parte di Gheddafi che del governo provvisorio dei ribelli.

Il rinvio di Gheddafi alla Corte Penale era stato reso possibile da un voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a fine febbraio su iniziativa americana. Proprio gli Stati Uniti - che, come la Libia, non riconoscono la giurisdizione del Tribunale, non avendo sottoscritto lo Statuto di Roma che ne ha sancito la nascita nel 1998 - hanno accolto con soddisfazione la notizia del mandato d’arresto.

Washington ha sempre criticato il Tribunale, il cui operato viene giudicato come un ostacolo alla sovranità e al perseguimento degli interessi americani in Medio Oriente e in Asia centrale per mezzo di guerre illegali e operazioni militari che rientrano ampiamente nell’ambito dei crimini contro l’umanità.

Ciononostante, gli Stati Uniti hanno continuato ad influire nell’attività della Corte dell’Aia, non solo per evitare procedimenti contro esponenti americani ma anche per utilizzarla come un utile strumento per conseguire e legittimare i propri obiettivi strategici.

Gli USA avevano infatti ottenuto di limitare la competenza della Corte, per quanto riguarda aggressioni militari, ai paesi che la riconoscono e comunque ai casi approvati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove com’è noto Washington detiene potere di veto.

Ciò contribuisce a spiegare il motivo per cui i massacri di civili compiuti dai bombardamenti americani in Afghanistan, Pakistan o Yemen - per non parlare della stessa invasione dell’Iraq o degli abusi compiuti in nome della guerra al terrore - non sono mai stati oggetto delle attenzioni dell’Aia, così come continuano a sfuggire alla giustizia internazionale le azioni di Israele e di altri paesi alleati di Washington.

Il provvedimento indirizzato contro Gheddafi restringe le opzioni a disposizione di quest’ultimo, il quale non potrà mettere piede in nessuno dei 115 paesi firmatari dello Statuto di Roma senza correre il rischio di venire arrestato.

A prospettare una delle possibilità per attuare la decisione della Corte Penale è stato un inquietante commento del New York Times, che ha ipotizzato l’allargamento del mandato NATO per catturare Gheddafi e gli altri due destinatari del mandato d’arresto.

Un’eventualità questa che implicherebbe il dispiegamento di forze di terra in Libia, scenario peraltro sempre più probabile se i bombardamenti, i tentativi mirati di assassinio contro Gheddafi e i mezzi pseudo-legali della Corte dell’Aia dovessero alla fine fallire nel rimuovere il regime di Tripoli.


I disumani crimini di guerra dei ribelli libici appoggiati da Obama
di Susan Lindauer* - www.rense.com - 23 Giugno 2011
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE


Guardate che cosa il meraviglioso Occidente sta supportando in Libia

La NATO ha scatenato la sua propaganda in Libia per giustificare la sua "guerra umanitaria" contro il governo di Moammar Gheddafi. Fino ad ora, la NATO ci è ben riuscita perché la gente comune in tutto il mondo non ha accesso alle fonti d'intelligence su cui basare le propria opinione.

Da ex agente CIA che si è occupata di Libia presso le Nazioni Unite dal 1995 al 2003 durante le negoziazioni per il processo Lockerbie, mi sento obbligata a rompere i miei legami con questa propaganda per valutare le prove a mia disposizione.

Per rispondere alle numerose domande, riporterò notizie di primaria importanza che ricevo giornalmente dalle mie fonti di Tripoli. La documentazione video dei rifugiati libici è stata raccolta da una commissione d’indagine chiamata "Cittadini Globali per la Pace in Libia".

La squadra investigativa comprende europei, africani, americani e avvocati internazionali a difesa dei diritti umani, che stanno preparando accuse per Crimini di Guerra contro la NATO. Giudicando da questi video, i danni che la NATO dovrebbe risarcire alla Libia sono davvero immensi.

Intanto, è evidente che la NATO ha grossolanamente distorto i fatti alle Nazioni Unite per poter giustificare un'azione militare contro Gheddafi. Gran Bretagna e Francia si sono fidati di una pessima intelligence da fonti inattendibili, cercando di guadagnare forza dal conflitto.

Un’indagine più attenta avrebbe mostrato che sono i ribelli della NATO che sono colpevoli di crimini di guerra e non certo le milizie di Gheddafi. Le sanzioni dovrebbero essere depennate e la NATO dovrebbe schierare le sue forze armate alle spalle di Gheddafi per difendere la gente libica.

Non scherzare mai col fuoco, e neanche con una spia

I video ritraggono atrocità indegne. Ci sono due ragioni importanti del perché i ribelli NATO avrebbero commesso questi atti. Intanto, commettendo crimini di guerra, i ribelli NATO hanno sviluppato una strategia per provocare panico e confusione nella strada, dove possono controllare le persone.

Hanno spaventato la loro opposizione fino a renderla silente e sottomessa. La gente comune libica può vedere con i propri occhi che i ribelli libici sono onnipotenti, protetti dalla NATO e dalle strutture della CIA. I lealisti di Gheddafi devono chiudere la bocca per non dover affrontare terribili conseguenze.

Allo stesso tempo, i ribelli libici hanno trovato il sistema per condizionare la NATO e dare e accendere i motori della "Guerra Umanitaria". Per una qualche ragione, il mondo è arrivato a credere che il governo di Gheddafi, dopo 41 anni di governo in cui non si ha notizia di attacchi contro la sua gente, è diventato improvvisamente colpevole dei delitti più efferati.

Coloro che hanno studiato la Libia da vicino hanno convinzioni del tutto opposte. Storicamente, Gheddafi è stato così tenace e protettivo con la sua gente che ha rifiutato di consegnare due suoi cittadini per il processo Lockerbie a fronte di anni di sanzioni della Nazioni Unite.

Gheddafi sapeva che gli uomini erano innocenti e che non avrebbero avuto un giusto processo. Questo perché la storia del Lockerbie era un’operazione false flag per nascondere lo sporco coinvolgimento della CIA nel traffico d’eroina che usciva dalla Valle della Bekaa in Libano durante la crisi del sequestro di Terry Anderson.

Un team congiunto di investigatori di CIA, FBI e dell’Intelligence della Difesa stavano volando quel giorno sul volo Pan Am 103, diretti a Washington per smascherare il cartello dell’eroina, quando l’aereo è esploso sopra Lockerbie, in Scozia.

La Libia è stata messa in mezzo come capro espiatorio, ma come nell’11 settembre la verità non ha voluto morire. E Gheddafi si è rifiutato di farsi da parte. È rimasto al fianco del suo popolo, malgrado le punizioni internazionali.

Le supposizioni di Gheddafi si sono poi dimostrate corrette. In uno dei più vergognosi episodi di corruzione di sempre che si sono visti nelle Corti Internazionali, gli Stati Uniti si sono comprati due testimoni al processo Lockerbie con un pagamento di 4 milioni di dollari.

Dopo che i due testimoni hanno ammesso e confessato i pagamenti, l’unico libico incarcerato per la bomba del Pan Am 103, Abdelbasset Megrahi, è riuscito a ottenere un "rilascio compassionevole" dalle prigioni scozzesi nell’agosto del 2009, in modo da poter tornare a casa per morire di cancro.

La azioni di Gheddafi rivelano molto del suo carattere. Da vero leader, potrebbe buttare la sua gente in pasto ai lupi? O abbandonarla per convenienza? Sappiamo di no. Ritiene che i cittadini libici siano cosa sua. Li protegge non importa quale sia il costo da sostenere.

Questi video sono rivelatori di realtà. Ironicamente, pretendendo che le forze di Gheddafi fossero state responsabili specificamente degli stupri, la NATO ha fatto un’ammissione plateale che i Crimini di Guerra in Libia sono realmente avvenuti.

I titoli di testa, secondo cui Gheddafi ha distribuito il Viagra per mettere la frenesia in corpo ai suoi soldati per facilitare gli stupri, suonavano davvero bene sulla CNN. Comunque, l’ex Parlamentare Cynthia McKinney ha chiarito che l’unico grande acquirente di Viagra spedito poi in Libia è stato lo stesso governo degli Stati Uniti, che ha consegnato le Pilloline Blu ai soldati ribelli per dargli forza nella battaglia.

Questa strategia si è ritorta contro. La gente comune in Libia sta fuggendo dalle roccaforti dei ribelli per cercare la protezione offerta dall’autorità centrale di Gheddafi.

I Cattivi Ragazzi

Questi video mi sembrano tanto simili a quelli di Al Qaeda. Non prendete le mie parole per oro colato. Guardate voi stessi e fatevene un’idea. (Nota dell’Editore – Immagini Estremamente Crude – Fate Attenzione).

Sono su www.FederalJack.com in un sito speciale, www.obamaslibya.com, perché ha una sicurezza notevole e un coraggio a prova di bomba per diffondere queste verità. FederalJack.com non arretrerà di un millimetro e altri video verranno aggiunti nelle prossime settimane.

Il primo video mostra un ribelle che decapita un soldato libico. Se vi sembra di essere in Iraq, perdindirindina… la più alta percentuale di combattenti stranieri in Iraq (e in Cecenia e in Afghanistan) venivano dalla Libia Orientale.

Sfortunamente per la NATO, non si può negare che questo video sia stato girato in Libia: gli uomini parlano un dialetto arabo con il suo accento particolare.

Il secondo video ci mostra un filmato raccapricciante di un ribelle libico che tagliuzza la carne marcita di un soldato morto e la mette nelle mani dei prigionieri di guerra libici messi in riga per obbligarli a mangiarla.

Un altro video mostra un gruppo di ribelli che sodomizzano un civile con una pistola. Un altro ritrae un gruppo di ribelli che impiccano e decapitano un soldato libico.

Un altro ci fa vedere agenti CIA che operano a fianco delle forze ribelli, pattugliando nei camion: la prova che le forze USA sono già in Libia in violazione della promessa fatta dal Presidente Obama al Congresso di non inviare persone sul posto.

Un’altra ripresa ci mostra alcuni soldati libici morti con le gole tagliate, stesi sul retro di un automezzo. Questi omicidi violano la Convenzione di Ginevra, che protegge i soldati nemici dopo la cattura.

Nell’eccitazione, i ribelli NATO hanno spinto uno spettatore terrorizzato a filmare il macello e a dire che ne erano responsabili le forze di Gheddafi. Dopo di che, l’uomo del video ha perso la sua famiglia e si è allontanato dalla roccaforte dei ribelli. Così il video ha raggiunto la squadra d’indagine a Tripoli.

Si trova tutto su www.obamasLibya.com, ospitato dal Federal Jack, che ringraziamo infinitamente per avere le palle di mostrare la verità, cosa che manca totalmente ai corporate media. È una cosa talmente gretta che non si capisce come la NATO possa aver pensato di affidare a questi ribelli una qualsiasi leadership.

Lo stupro come arma di guerra

Peggio di quanto pensaste, vero? Ma a questo punto è ormai divenuto evidente che i ribelli stanno usando lo stupro come una punizione nel periodo di guerra per le famiglie pro-Gheddafi o per quelle "neutrali". Nella cultura islamica, tutta la famiglia si sente stigmatizzata dopo uno stupro, una sorta di punizione collettiva.

Proprio adesso un team di avvocati donne a difesa dei diritti umani stanno intervistando le vittime delle violenze. Qui potrete trovare report di due persone che hanno assistito agli stupri e di altri testimoni oculari. Per le dichiarazioni degli avvocati sugli aspetti più generali, andate su www.obamaslibya.com.

Comunque queste non sono le storie più scioccanti. Il problema è viaggiare per centinaia di chilometri attraverso posti di blocco e bombardamenti. Per chiarire la cosa, il 22 giugno alcuni investigatori non governativi stanno percorrendo 250 chilometri per filmare un ragazzo che è stato castrato e a cui sono stati strappati tutti e due gli occhi dai ribelli NATO come forma di punizione per aver rifiutato di unirsi alla loro unità paramilitare.

Un’altra ripresa che è stata raccolta viene da un padre, che descrive il rapimento della figlia vergine, che fa parte di una famiglia pro-Gheddafi. Dopo averla strappata dalla casa con la pistola puntata e averla portata a uno stupro di gruppo, i ribelli NATO le hanno tagliato i seni con un coltello e lasciata morire di emorragia.

Gli investigatori dei diritti umani stanno intervistando una donna libica di Zawia che è sopravvissuta, dopo un brutale stupro collettivo, al taglio delle mammelle. Miracolosamente, gli scioccati testimoni sono riusciti a salvarle la vita dopo che gli eccitati ribelli se ne erano andati, sparando raffiche al cielo.

È stata ricoverata, ma è troppo compromessa fisicamente e mentalmente per poter reggere un’intervista in questo momento. Gli avvocati internazionali dei diritti umani sono in posizione di stallo.

Siamo urgentemente alla ricerca di uno sponsor americano per far sì che questa donna libica possa essere sottoposta a una chirurgia ricostruttiva negli Stati Uniti o in Europea.

Il 19 giugno i soldati di Gheddafi sono entrati a Misurata per soccorrere un’altra sopravvissuta dalle violenze sessuali. La giovane donna era stata rapita e tenuta in ostaggio per venti giorni. Le forze ribelli l’hanno stuprata in gruppo ogni singolo giorno fino a che le truppe di Gheddafi sono riuscite a romperne le linee e a salvarle la vita.

Davvero una missione umanitaria della NATO. È chiaro che la NATO è stata circuita in modo grossolano e dovrebbe smetterla una volta per tutte di proteggere questi ribelli che si sono dimostrati mostruosamente insolenti verso il popolo libico.

I contribuenti USA stanno addestrando dei nuovi talebani per costringere la ente libica alla sottomissione, mentre l’Occidente mette a rischio la vita della Libia.

Ma la NATO ha fallito nel prendere in dovuta considerazione il carattere della popolazione libica. La Libia ha una storia millenaria e tradizioni di resistenza per difendere la propria sovranità dalle invasioni straniere.

Le famiglie libiche e i leader tribali sono determinati del chiedere i danni da tutti i paesi arabi e della NATO che hanno supportato i ribelli. Fino a che la NATO fornirà addestramento, uniformi, fucili d’assalto, jeep e mezzi di trasporto, consulenti sul posto e forza aerea, sarà costretta a prendersi la responsabilità di questi crimini.

I danni economici della NATO verranno sottratti dai fondi destinati ai propri cittadini per l’educazione, la tutela della salute, le pensioni, le università, strade, ponti, chi più ne ha più ne metta.

Patrick Haseldine, un esperto britannico del conflitto libico con la NATO, ha valutato i danni provocati dal suo paese in 2,8 miliardi di dollari.

Tutto questo per implorare di sapere perché il governo della NATO voglia sostenere questi ribelli? Davvero, tutti noi ci dovremmo fare domande molto importanti.

Il Presidente Obama dovrebbe spendere tutti questi soldi duramente guadagnati dalla classe media per finanziare questa guerra? Perché l’America si deve assumere il ruolo di addestramento della forze di Al Qaeda e agire da sostenitrice di Al Qaeda?

Mentre la nostra grande nazioni piange per i numeri in rosso? E mentre gli americani lottano per trovare lavoro e combattono con i mutui da pagare? Sapendo che i nostri soldati sono esausti dopo altre due guerre combattute con gli stessi ribelli di Al Qaeda in Iraq e in Afghanistan?

E poi per quale preciso motivo l’America dovrebbe sostenere la NATO per permettere a britannici e francesi di rivivere le glorie passate dei giorni degli Imperi? Vale la pena mettere a rischio il nostro di Impero e la nostra prosperità? Veramente?

Questi video ci mostrano una verità totalmente diversa. La CIA andrà fuori di testa per il fatto che io li abbia pubblicati. Ma dei bravi agenti dell’Intelligence dovrebbero sempre essere brutalmente onesti. Non ci deve venir nascosta una verità tanto agghiacciante.

Dovremmo ricevere quelle informazioni di cui i leader e la comunità hanno bisogno per intraprendere le scelte politiche più oculate. E invece siamo di fronte a una pessima, davvero pessima intelligence. Ma sbaglierei se vi dovessi risparmiare tutto questo.

Come ex agente USA, gli Stati Uniti dovrebbero rompere i legami con i ribelli libici e tagliare i finanziamenti all’istante.

Poi ognuno decide per sé.


*Ex agente CIA operativo in Libia


Un milione in marcia per Gheddafi: dov'é la storia?
di Timothy Bancroft-Hinchey - http://english.pravda.ru - 23 Giugno 2011
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Lo scorso venerdì un milione di cittadini libici sono scesi nelle strade di Tripoli per marciare in favore del loro Fratello Leader Muammar Gheddafi e contro il terrorismo dalla precisione criminale scagliato sulla popolazione libica dalla NATO e dai terroristi che stanno proteggendo. Ma dove si può leggere questa storia?

Nella sua intervista con Press TV, la giornalista Lizzie Phelan ha parlato di quello che ha visto nei suoi viaggi in Libia. Quello che ha riferito non è propaganda, sono testimonianze di prima mano della verità nel paese che Muammar Gheddafi ereditò come il più povero in Terra e lo trasformò nel più ricco dell’Africa. Tutti questi nemici sono riusciti a fare qualcosa del genere?

In questa magnifica intervista, Lizzie Phelan ha fornito resoconti di prima mano alle fonti di Pravda.Ru presenti in Libia che venerdì a Tripoli è avvenuta una dimostrazione di massa a favore di Muammar Gheddafi.

Un milione di libici su una popolazione di sei milioni è uscito nelle strade in supporto del loro governo e contro i terroristi contro-rivoluzionari, reazionari e che la NATO sta sostenendo.

Questa sarebbe l’equivalente di una dimostrazione di dieci milioni di persone in Gran Bretagna o di cinquanta negli Stati Uniti. Riuscirebbero Cameron, Sarkozy o Obama a radunare tali folle di sostenitori?

Se ne avessero anche dieci volte meno sparerebbero i fuochi d’artificio. E questo mostra la dimensioni di questi… uomini di fronte al Colonnello Gheddafi.

Lei ha parlato della rivolta e del disgusto sentito dalla gente comune in Libia - qualcosa che ci era già stato riferito dai nostri contatti, in principal modo contro la perfida malvagità di Cameron e Sarkozy – e ha sottolineato la convinzione che in futuro non verrà firmato alcun contratto con le compagnie britanniche o francesi dopo lo scandalo dei terroristi:

"Questa scusa della NATO è davvero una barzelletta. È la prima scusa che ha fatto in tre mesi nonostante i civili muoiano ogni giorno a causa dei bombardamenti della NATO; negli ultimi tre mesi ci sono stati migliaia di bombardamenti sul paese e così hanno deciso di scusarsi ieri di domenica. Ma di nuovo alle 2 di mattina c’è stato un altro attacco sulla città di Sorman, 130 chilometri a est di Tripoli dove altri quindici civili e tre bambini sono stati uccisi."

"Nelle settimane precedenti abbiamo assistito al bombardamento dell’Università di Al-Nasr a Tripoli alla luce del giorno in cui sono stati assassinati civili: questi sono gli obbiettivi militari che abbiamo visto bombardare. Vediamo bombe che cadono sulle università, bombe sulle strade dei mercati del venerdì in quartieri dove non ci sono siti militari. La strada del mercato di venerdì dove ero presente inizia con un ufficio postale e finisce con una scuola elementare e hanno bombardato quattro edifici e hanno ucciso nove civili tra cui un infante di quattro mesi."

Phelan ha anche evidenziato un altro punto, totalmente tralasciato dai media occidentali che hanno raccontato la storia libica con una serie sgradevole di falsità mal riuscite, con poco giornalismo e molta faziosità: le vessazioni, la persecuzione e il massacro dei neri libici da parte dei terroristi di Benghazi e le bugie diffuse da Al Jazeera e da altri media che questi fossero mercenari. Non lo erano.

Ha parlato in modo particolare delle "indicibili atrocità" che ha testimoniato e dell’incredibile supporto per il governo di Gheddafi:

"Per quanto riguarda le tribù libiche, dalle mie fonti ho informazioni che il 90 per cento delle tribù in Libia stanno sostenendo il governo e tra queste ci sono le più numerose." Ha anche evidenziato che Gheddafi "sta facendo passi indietro per sistemare le forze dell’opposizione dentro il governo".

Leggete questo documento dettagliato sui dati umanitari di Muammar Gheddafi:

http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/16session/A-HRC-16-15.pdf



Libia: il disprezzo e la malafede
di Mohktar Sahkri - www.mondialisation.ca - 15 Giugno 2011
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di Lucio Dallagiacoma

La guerra di Libia non è la guerra di Spagna. E i ribelli, barbuti e armati di fucili mitragliatori, lanciamissili e mortai installati sui pick-up, non sono degli idealisti che aspirano alla Libertà e alla Democrazia.

Questi concetti, evocati davanti alle telecamere, li interessano solo nella misura in cui possono permettere l’instaurazione di uno Stato teocratico basato sulla Shari'a, mentre la risoluzione 1973 è soltanto un’altra ipocrisia occidentale.

Votata con la pretesa di proteggere la popolazione civile, essa è, in effetti, al soldo degli interessi delle ex potenze coloniali, le quali utilizzano la NATO per imporre il loro volere al popolo libico attraverso il terrore degli “attacchi aerei” e per provare a cacciare Gheddafi e sostituirlo con un governo fantoccio al loro servizio.

Il lupo, recita il proverbio, perde il pelo, ma non il vizio. E il colonialismo pure: se sulla carta sembra morto, in realtà è vivo e vegeto. Nicolas Sarkozy, Presidente della Repubblica francese, ce lo ha appena ricordato realizzandone una fiera e gloriosa dimostrazione per mezzo di un intervento armato in Libia, paese il cui sottosuolo è oggetto di insospettate bramosie, in quanto ospita i più importanti giacimenti petroliferi del continente africano.

Fingendo di aver perso il treno della ”Primavera Araba” quando in verità, armando Ben Ali, si preparava a comprometterne la partenza, si è alla fine tuffato negli abissi della storia tornando ai tempi dei vari Raymond Poincaré, Lloyd George e Balfour, all’epoca delle trame dei franco-britannici che portarono all’accordo ”Sikes-Picot”, il quale permise loro di spartirsi i resti dell’impero ottomano o, in altri termini, il mondo arabo, e sottometterne gli abitanti al loro volere e condannarli a vivere in ginocchio o a morire.

E, illuminato da un Bernard Henri Lévy che dal canto suo si è messo a fare il Lawrence d’Arabia al soldo del sionismo e d’Israele, ha subito deciso di ordire insieme al Primo Ministro britannico, David Cameron, un losco progetto per giustificare la guerra in cui avrebbe trascinato la Francia.

E senza esitare un solo istante, visto che lo desiderava sin dai tempi in cui Jacques Chirac aveva rifiutato di allearsi a George Bush e Tony Blair per mandare a morire dei soldati francesi in Iraq per una causa sbagliata.

Certo, il progetto sbandierato sembrerebbe tra i più nobili e lodevoli; in effetti, chi troverebbe da ridire sulla difesa degli oppressi?

Tuttavia, a meno di essere costretti a difendersi, il ricorso alla guerra è sempre la scelta peggiore per porre fine a una controversia; questo da un lato. Dall’altro, è il mezzo meno adatto per tentare di risolvere una questione umanitaria.

E quindi, nel caso specifico, si vergogni chi nasconde sotto il velo di un falso umanesimo i veri motivi che l’hanno spinto.

Perché bisogna proprio dirlo a voce alta: liberare i Libici da Gheddafi è soltanto un pretesto utile a risalire la china verso una rielezione a Presidente della Repubblica irrimediabilmente compromessa, tentando d’illudere i francesi che ci si apprestava a combattere per la libertà al fine di “restituire alla Francia il suo ruolo di grande potenza”.

Inoltre, “portare la democrazia” in Libia facendone sprofondare il popolo nell’apocalisse a colpi di bombe e missili all’uranio impoverito (chirurgici, è il caso di ricordarlo!) non è la più orribile e mostruosa delle ipocrisie?

Il caos infernale in cui è sprofondato l’Iraq, che gli iracheni subiscono orribilmente ogni giorno sulla loro pelle, non è l’esempio più consono per screditare queste buone intenzioni trasportate da un fiume in piena di infami bugie, incessantemente smentite da delle incongruenze lampanti?

Perché dobbiamo dirlo, ripeterlo e urlarlo: per i valorosi paladini della libertà dell’Occidente, che ancora una volta si sono schierati all’unisono con Sarkozy e Cameron, appartenenti alla stessa cricca che aveva seguito Bush e Blair, la pelle dei ribelli di Benghazi vale poco più di quella di un cane morto perché offre loro la possibilità di farsi sentire e consolidare i loro desideri di supremazia e dominio.

Perché non ci si deve sbagliare: in Occidente il razzismo anti-arabo non è né morto né sepolto. E son tanti i paladini della libertà che continuano ad affilare le armi per partire ”a caccia di negri” e che, alla prima occasione, si coalizzano per la crociata.

Basta guardare la televisione per sentire l’astio presente nei loro discorsi, dove l’ignoranza, la superbia e il disprezzo fanno a gara per sfociare nell’infamia e la generalizzazione, facendo trionfare la stigmatizzazione e la disinformazione con l’obiettivo di nascondere le ingiustizie in corso.

Abbiamo forse mai visto questi valorosi paladini della libertà versare una lacrima o dispiacersi almeno un poco per le centinaia di migliaia di iracheni massacrati dai vari Bush e soci, o per le migliaia di palestinesi sterminati da Israele nel silenzio letale e fatalmente complice dell’Occidente?

La strumentalizzazione e la manipolazione sono chiare e lampanti: nessuno di questi valorosi paladini della libertà è andato a guardare un po’ meglio e, in ogni caso senza il prisma della malafede, ciò che accade in Libia.

Certo, anche i libici sono stati trasportati dal vento della contestazione araba che soffiava alle loro frontiere e che ha spazzato via dal trono su cui erano saldamente seduti da più di trent’anni i due tiranni di Tunisi e del Cairo, che mai avevano risposto alle seppur minime aspirazioni di popolazioni colpite da un infame destino.

Tuttavia, il vento che si è alzato in Libia non soffiava misera, perché dagli anni ’70 la Libia è una delle cinquanta nazioni più ricche della terra, i cui PIL e Indice di Sviluppo Umano sono i più alti dell’Africa.

E, bisogna ricordarlo, da quarant’anni i libici hanno lasciato i lavori più pesanti e peggio retribuiti agli immigrati provenienti dagli altri paesi arabi, dall’Africa sub-sahariana o dal Bangladesh.

Inoltre, a differenza di ciò che è accaduto in Tunisia e in Egitto, dopo una rapida protesta con delle origini diverse di quella che ha travolto i due paesi vicini, nelle piazze di Tripoli e di altre città si sono riversate decine di migliaia di libici, uomini e donne di tutte le età, per manifestare il loro sostegno al ”Colonnello”, esprimergli affetto e solidarietà esibendo i ritratti con la sua effigie e sventolando la bandiera verde della Jamahiriya.

È in Cirenaica, e principalmente a Bengasi, che le manifestazioni scatenatesi il 13 febbraio, ovvero sia una settimana prima di Tripoli, si sono trasformate in scontri armati e guerriglia urbana.

Quindi la Libia sembra essersi trovata improvvisamente tagliata a metà da delle bande anomale formate esclusivamente da uomini, molti dei quali barbuti, che davanti alle telecamere urlavano il loro odio per Gheddafi e invocavano Allah brandendo come simbolo della libertà il vessillo dell’era monarchica e delle armi da guerra rubate negli arsenali.

Questi strani rivoluzionari, che sembrano usciti dal nulla, sono in realtà per la maggior parte dei vecchi oppositori del regime che aspettavano il momento propizio per rilanciare la rivolta islamica avviata negli anni ’90 e che Gheddafi aveva soffocato dopo esser scampato a un tentativo d’omicidio.

Si tratta infatti di salafiti che nel frattempo si sono affiliati all’AQIM e che facevano parte di diversi gruppi come i Partigiani di Allah o i Martiri dell’Islam ai quali si erano uniti alcuni militari ribelli.

Molti di loro erano andati a combattere nelle fila dei talebani in Afghanistan o in Iraq. Che dei giovani libici amanti della democrazia e della libertà li abbiano raggiunti è solo un’altra di quelle aberrazioni della storia, una di quelle alleanze contro natura per cui i diversi nemici di uno stesso tiranno si ritrovano a condividere le stesse idee e gli stessi obbiettivi.

È inoltre importante soffermarsi sul fatto che gli imam che arruolano questi ribelli, nei sermoni durante i quali plasmano il loro pensiero, persistono nel ricordar loro che ”ogni compromesso con gli oppositori laici è impossibile” e che ”gli ideali democratici non possono coincidere con la società libica”.

Per ciò che riguarda i veri motivi che abbiano spinto a schierarsi su delle posizioni di dissenso il Ministro della Giustizia, Mustapha Mohamad Abdeljalil, e alcuni funzionari e diplomatici che hanno approfittato di questa rivolta per tentare di costituire un nuovo governo, nessuno fra quelli che in Occidente ha dato loro credito ha ritenuto necessario eseguire un accertamento preventivo, anche se nessun altro paese, aldilà della Francia, si è spinto fin a riconoscere il loro Consiglio Nazionale di Transizione come unico rappresentante del popolo libico, così come ha invece fatto in maniera affrettata e disordinata Nicolas Sarkozy.

Ancor meno è stata provata o accertata la legittimità di questi individui, i quali non hanno tuttavia convinto molti tra i Ministri degli Esteri europei, suscitando i dubbi di alcuni e il rifiuto categorico del capo della diplomazia tedesca, Guido Westerwelle, di dare il sostegno a una rivolta i cui fautori sono, sotto l’aspetto del diritto internazionale, dei fuorilegge, così come ha precisato il suo omologo russo, Sergueï Lavrov.

Giusto qualcuno ha alzato la voce in Italia per dire che ”non sappiamo chi siano questi ribelli che vogliamo aiutare”. Sfortunatamente, i valorosi paladini occidentali della libertà non hanno adottato questa piccola prudenza che avrebbe potuto suggerire un po’ di buon senso.

A tal punto che, in possesso di una risoluzione estorta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per mezzo di una ”strage di vittime innocenti a Bengasi”, così sinistra e inquietante come lo fu la ”tossina botulinica irachena”, da un Alain Juppé così coraggioso, così valoroso e teatrale nelle parole e nei fatti da sembrare un Colin Powell intento a impugnare la fiala del pericolo letale, si sono precipitati in aiuto ai ribelli, le cui grida d’odio lanciate all’indirizzo di Gheddafi son loro bastate per santificarli, cospargerli d’incenso e sancirli eroi della democrazia!

In massa costoro pregano Allah perché indurisca i cuori di Sarkozy, Cameron e Obama e facciano piovere fuoco e fiamme annientando così Gheddafi, il suo esercito e i milioni di libici che lo sostengono. In questo modo si ritroveranno in mano una Libia trasformata in un territorio devastato propizio nella ”strada araba” a una nuova escalation dell’odio anti-Occidente.

Perché le masse arabe non si faranno facilmente imbrogliare: si potrà pure cercare d’ingannarle invitando un gruppetto di arabi di stanza a Londra mostrando le loro facce a garanzia del sostegno più ovvio e concreto della Lega Araba, ma esse vedono riproporsi lo scenario iracheno e capiscono che i valorosi paladini occidentali della libertà vogliono soltanto cacciare la ”Guida" e sostituirla con un fantoccio in modo tale da tenere sotto controllo il suo paese e i suoi immensi giacimenti petroliferi.

E, con il precedente iracheno ben chiaro in testa, esse sono ineluttabilmente portate a credere che il colonialismo, grazie al ”diritto d’ingerenza” e alla ”guerra umanitaria”, abbia trovato una nuova via… senza nulla perdere in perfidia… Anzi.


*Mokhtar Sakhri: Giornalista, scrittore e autore di diversi libri, tra cui “I demoni della fede” (saggio, Kappa 1996); “La mort en récompense” (romanzo, l’Harmattan 2006); “L’injustice et la trahison - Israël, les Arabes et la Palestine” (saggio, Dualpha 2008).


Perché siamo in Libia? Collega i puntini e vedrai il segno del Dollaro

di Russ Baker - http://whowhatwhy.com - 6 Giugno 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Renato Montini e Supervice

La finta primavera araba: È vero che la Primavera Araba è una cosa buona. È vero che Gheddafi è un cattivo elemento. Ma se unite i puntini vedrete che qualcuno gli ha dato una mano. Le prove indicano che c'è un piano per creare una “Primavera Araba” per i Soliti Bravi Ragazzi, CIA, banche, compagnie petrolifere. Leggere per credere.

In un articolo precedente ci siamo posti la seguente domanda: “Perché siamo in Libia?” Abbiamo fornito qualche spunto.

Ora abbiamo altri elementi. Questi elementi hanno i nomi dei nostri giocatori preferiti: aziende petrolifere, banche come Goldman Sachs, e ne risulta un quadro di infiniti intrighi corporativi. Quel genere di intrighi che non viene mai fuori nei media corporativi.

Vediamo quali.

Lo scorso febbraio, parecchi giorni dopo le dimissioni di Hosni Mubarak in Egitto, una protesta civile è iniziata nella confinante Libia. In tutta fretta, il ministro della Giustizia di Gheddafi è passato dalla parte dei ribelli, diventandone un leader. E ha sostenuto che il suo ex capo è stato il responsabile dell’esplosione del volo Pan Am 103:

Il leader libico Mohammar Gheddafi ha ordinato l’attentato nel 1988 al volo Pan Am 103 sul cielo di Lockerbie, Scozia, notizia riportata da un giornale svedese mercoledì scorso e attribuita ad un ex ministro del parlamento libico.

L’ex ministro della Giustizia Mustafà Mohamed Abud Al Jeleil, che pare abbia rassegnato le dimissioni questa settimana per le violenze scatenate dal governo contro i manifestanti, ha detto al tabloid Expressen di essere in possesso delle prove che Gheddafi aveva ordinato l’attentato che uccise 270 persone.

“Ho le prove che Gheddafi ha dato l’ordine per l’attentato di Lockerbie”, Expressen cita Al Jeleil in un’intervista tenuta presso una grande città libica ignota.

Il giornale non ha detto qual era la prova del coinvolgimento di Gheddafi nell’attentato.

Un libico, Abdel Basset al-Megrahi, è stato processato e condannato al carcere in Scozia per l’attentato e Gheddafi, al potere dal 1969, è stato marchiato per anni come un paria.

Nel 2009 il governo scozzese ha liberato al-Megrahi per motivi umanitari dopo che i medici gli hanno diagnosticato un cancro alla prostata, in uno stadio terminale, decisione fortemente criticata dagli Stati Uniti. È tornato in Libia ed è tuttora vivo.

Secondo al Jeleil,“per nascondere (il suo ruolo nell’attentato), ha fatto tutto il possibile per far tornare Megrahi dalla Scozia.”

“Lui (Gheddafi) ha ordinato a Megrahi di farlo.”

Questa è la storia che è comparsa nei maggiori media del mondo, senza che nessuno si sia fermato un attimo per fare domande sul vantaggio propagandistico di questa affermazione o sulla tempistica. Per esempio, il britannico The Telegraph, ha intervistato Jeleil/Jalil:

In un’intervista al Daily Telegraph, Mustafà Abdel Jalil, il capo del provvisorio governo ribelle a Bengasi ed ex ministro della Giustizia, ha detto di avere le prove del coinvolgimento di Gheddafi nell’attentato del 1988 all’aereo Pan Am 103 sui cieli di Lockerbie.

“L’ordine era stato dato da Gheddafi in persona” ha detto a Rob Crilly.

Il signor Abel Jalil ha sostenuto di avere le prove che l’attentatore condannato Abdelbaset Ali Mohmed al-Megrahi lavorava per Gheddafi.

“Le prove le abbiamo nelle nostre mani e abbiamo documenti che provano quel che ho detto, siamo pronti a fornirli ad una corte criminale internazionale” ha aggiunto.

Da allora, non si è mai avuta alcuna indicazione che queste prove siano state fornite a nessuno. Quindi non sappiamo se esistono, o se lui stesse dicendo la verità. Ma i titoli hanno fatto il loro lavoro – chiunque abbia guardato i telegiornali o letto le notizie sarà rimasto convinto che Gheddafi è dietro questo vile atto.

Un paio di giorni dopo, per la prima volta, il presidente Obama chiedeva a Gheddafi di lasciare il suo posto. E poco dopo, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati si stavano preparando per avviare un’azione militare contro Gheddafi, inizialmente indicata come esclusivamente umanitaria, “per proteggere i civili”. (Alla fine, il personaggio più importante dell’esercito britannico ha imprudentemente ammesso che l’inesorabile bombardamento aveva come obiettivo la rimozione del leader libico).

Torneremo alla macchina propagandistica e alla sua efficacia più avanti, ma ora esaminiamo la relazione tra i governi occidentali e Gheddafi. Si è trattato, come presentato ai media, di fare semplicemente la cosa giusta contro un brutale tiranno? Contro uno che è anche accusato di essere dietro l’omicidio di quei passeggeri?

Non è questo il luogo dove riassumere tutte i rapporti tra Gheddafi e l’alleanza. Basti dire che Gheddafi è uno della lunga lista di leader stranieri che ha insistito su un percorso indipendente, includendo un necessario atteggiamento autoritario nella regione, e questo gli ha procurato guai. In particolare, possiamo ricordare alcune schermaglie con la marina americana durante l’amministrazione Reagan-Bush, ma c'è una lunga lista di aggravanti.

E, come nel caso di Hugo Chavez in Venezuela, si deve aggiungere il fatto che Gheddafi si trova su un territorio con enormi riserve petrolifere. In combinazione con la sua brutalità, avarizia e maniere bizzarre, ecco servito un target appetibile e facile da trattare per i dipartimenti propagandistici dei suoi nemici.

Con l’aumento delle ostilità, alla Libia è stata affibbiata, possibilmente con qualche motivo, la patente di forza terrorista e quindi collegata a una serie di offese di enorme portata con le quali potrebbe avere avuto a che fare o forse no.

Una di queste è stata la morte di diversi soldati americani in un night a Berlino nel 1986, un’altra il presunto sostegno a un dirottamento nello stesso anno. Ma quel che ha messo quasi tutto il mondo contro Gheddafi è stato il presunto ruolo della Libia nell’attentato che fece esplodere il volo Pan Am 103.

Molti di noi ricordano, distrattamente, il ruolo della Libia su quel caso come un fatto accertato. Se è così, siamo fuori strada. Iniziamo con questo documento della BBC del 2001, in seguito alla condanna di Megrahi, un agente dell’intelligence libica:

Robert Black, il professore di legge che ha ideato la struttura del processo tenuto in Olanda, ha detto domenica scorsa di essere “assolutamente sbalordito” dal fatto che Al Megrahi sia stato giudicato colpevole.

Il signor Black ha affermato che secondo lui il processo ha avuto “un quadro probatorio estremamente debole” e che è riluttante a credere che i giudici scozzesi abbiano potuto “condannare chiunque, anche un libico” sulla base di tali prove.

Il punto di vista, pubblicato sui quotidiani britannici, riecheggia quello di alcune famiglie di vittime britanniche dell’attentato di Lockerbie, che chiedono un’inchiesta pubblica per trovare “il vero responsabile e quale è stato il movente”.

Le proteste

Il verdetto di mercoledì ha scatenato rabbiose proteste in Libia sabato scorso, mentre Washington e Londra hanno chiesto al governo libico di assumersi la responsabilità di questa atrocità e di indennizzare le famiglie delle vittime.

I manifestanti hanno condannato quello che hanno chiamato un verdetto “dettato dalla CIA” e hanno chiesto di indennizzare le vittime dei raid americani del 1986 su Tripoli e Bengasi.

Per avere altre informazioni sui dubbi circa il ruolo della Libia nell’attentato, consultate l’eccellente sommario di forte testimonianza sul fatto che i libici potrebbero essere stati incastrati, testimonianza non presentata al processo, su Wikipedia. (Se da un lato Wikipedia non può essere considerata una fonte sicura, spesso è un buon sommario di ciò che si può trovare in giro e quindi un buon punto di partenza per ulteriori ricerche).

Gli elementi problematici, che costituiscono una lista davvero lunga, includono una presunta offerta di 4 milioni di dollari per una testimonianza che avrebbe portato a certa incriminazione, la successiva ammissione di un testimone chiave di aver mentito, dettagli di uno strano andazzo nei laboratori della scientifica del FBI, e indicazioni che la bomba potrebbe essere stata introdotta in un aeroporto dove l’imputato non era presente.

Tuttavia, la condanna di Megrahi e la deferente cronaca dei media come di giustizia fatta, ha avuto come conseguenza la continuazione delle sanzioni contro la Libia e Gheddafi, sanzioni che avevano già isolato il paese per un decennio dalla comunità internazionale.

Gheddafi ha cercato di liberarsi da quel marchio, arrivando a consegnare Megrahi per il processo nel 1999. Ma non ha funzionato e la sentenza di condanna del 31 gennaio 2001, arrivata appena 11 giorni dopo l’insediamento di George W. Bush alla presidenza americana, ha minacciato di peggiorare parecchio le cose. A quel punto, Gheddafi ha dovuto anche badare alla propria sopravvivenza.

Nel maggio 2002, dopo che le truppe americane in Afghanistan avevano cacciato i Talebani e 4 mesi dopo che Bush aveva inserito Iran, Nord Corea e Siria nella lista di un certo “asse del male” nella ricerca di “armi di distruzione di massa”, la Libia ha avvertito il pericolo.

Quel mese, essa offrì di fornire pagamenti scaglionati alle famiglie delle vittime di Lockerbie, come parte della negoziazione per la cancellazione delle sanzioni commerciali da parte dell’ONU e degli Stati Uniti, e della rimozione della Libia dalla lista dei paesi che sponsorizzavano il terrorismo redatta dal Dipartimento di Stato americano.

In agosto del 2003, diversi mesi dopo l’invasione dell’Iraq e della rimozione di Saddam Hussein, Gheddafi negoziò un accordo, come riportato dal New York Times:

La Libia e i legali delle famiglie delle vittime dell’attentato del 1988 al volo Pan Am 103 su Lockerbie, Scozia, oggi hanno firmato un accordo per creare un conto di 2.7 miliardi di dollari come indennizzo dovuto, ha detto un avvocato.

“La Libia e i legali che rappresentano le famiglie delle vittime hanno firmato un accordo per creare un deposito presso la Bank for International Settlements” ha detto il legale Saad Djebbar, un algerino che vive a Londra e che ha seguito il caso dal 1992.

Di conseguenza, ha aggiunto che le sanzioni delle Nazioni Unite potrebbero essere revocate.

Con l’accordo, la Libia è tenuta a depositare il denaro nel conto e inviare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una lettera con la quale ammette la responsabilità per l’attentato nel quale morirono 270 persone.

Oggi a Washington, alcuni membri delle famiglie hanno dichiarato che il Dipartimento di Stato ha invitato le famiglie delle vittime a una riunione informativa per venerdì prossimo.

Si è trattato di un accordo complesso, che ha avuto molti tentennamenti. La Libia riferì alle Nazioni Unite che si sarebbe “presa la responsabilità” dei bombardamenti, anche se, va detto, non ammise alcuna colpevolezza.

Infatti, alla fine del 2008, il figlio di Gheddafi, Saif, disse a una squadra di documentaristi della BBC che l’unico motivo per cui la Libia aveva “ammesso le responsabilità” era solo per veder rimosse le sanzioni. Il documentario ha evidenziato che molte famiglie delle vittime avevano rifiutato il risarcimento perché credevano che la Libia non era davvero la responsabile dei bombardamenti.

L’accordo del 2003 era comunque sufficiente per iniziare a dare di nuovo alla Libia la benvenuta nella famiglia delle nazioni. L’amministrazione Bush avviò rapidamente i commerci con la Libia. Nel dicembre del 2003 la Libia acconsenti a porre fine a tutti i programmi esistenti relativi alle armi di distruzioni di massa per rimuovere le sanzioni del Stati Uniti.

Questo ha dato un abbrivio non solo alla Libia, ma anche alle maggiori compagnie occidentali, che da anni scalpitavano per prendersi un pezzo dei beni libici, tra cui le ingenti riserve petrolifere e le entrate da queste generate.

L’inesorabile macchina del commercio continuò a fare la sua corsa. Nel giro di poche settimane Bush firmò un ordine esecutivo per ripristinare l’immunità della Libia dai processi per terrorismo e per porre fine alle richieste di risarcimento ancora pendenti negli Stati Uniti.

Nel 2007, spinta con decisione dalla compagnia BP, li Regno Unito iniziò a spingere per avanzare una richiesta di estradizione in Libia per Megrahi, che hanno poi portato a una serie di eventi che sono culminati nel 2009 con il suo rilascio per supposti motivi di salute.

(Nuove informazioni sul ruolo della BP sono apparse di recente, quando Hillary Clinton e i più importanti senatori al Congresso espressero sconcerto e dichiararono la loro intenzione di avviare un’indagine. Nessuna menzione da parte dei Democratici sui dubbi di questa incriminazione, ma solo indignazione che un “assassinio” fosse stato liberato.)

Nel 2009, lo stesso anno in cui Megrahi fu rilasciato, Gheddafi, di fronte alle rigide richieste di pagamento per Lockerbie, iniziò a pressare le compagnie petrolifere per fargli pagare somme più alte in modo da aiutarlo a pagare il proprio debito.

Abbiamo appreso delle pressioni sulle compagnie petrolifere durante gli sforzi propagandistici di questi giorni che si sono adoperati per fornire il supporto per l’azione militare contro Gheddafi. In un articolo del New York Times intitolato “Trattative nell’ombra hanno aiutato Gheddafi a costruirsi una fortuna e un regime”, il nodo della questione secondo cui Gheddafi avrebbe agito in modo losco (senza però parlare delle compagnie petrolifere) consiste nella gemma che segue. È stato subito tralasciata e abilmente fraintesa:

Nel 2009 i collaboratori più stretti del colonnello Muammar Gheddafi hanno riunito a sé quindi manager delle compagnie energetiche mondiali che operano nei campi petroliferi libici e gli hanno fatto una richiesta straordinaria, quella di tirare fuori i soldi per il conto da 1,5 miliardi di dollari che la nazione deve pagare per il suo ruolo nell’abbattimento del volo Pan Am Flight 103 e per altri attacchi terroristici.

Nel caso in cui le compagnie non avessero acconsentito, i funzionari libici hanno assicurato il profilarsi di “serie conseguenze” per le loro licenze petrolifere, secondo un resoconto del meeting stilato dal Dipartimento di Stato.

Ma come mai Gheddafi aveva un così disperato bisogno di soldi? L’articolo non lo dice. Ma se collego i punti correttamente, allora suggerisco di leggere un altro documento, e poi collegarli insieme.

Ecco il Wall Street Journal con un’esclusiva del 31 maggio che è enormemente importante ma che è sempre stata messa in disparte, scollegata dalle questioni relative al petrolio summenzionate. Raccomando di leggere l’intero estratto che segue:

All’inizio del 2008 il fondo sovrano libico, controllato dal colonnello Moammar Gheddafi, ha affidato 1,3 miliardi di dollari al gruppo Goldman Sachs per investirlo in valute e in altri complicati strumenti finanziari. Gli investimenti hanno perso il 98% del loro valore, secondo i dati di un documento interno di Goldman.

[…] Nel 2004 il governo degli Stati Uniti elevò un primo pacchetto di sanzioni […] che aprì la strada a decine di banche europee e statunitensi, agli hedge funds e ad altre agenzie di investimenti per addossarsi alla nazione nord-africana.

L’Autorità degli Investimenti Libica inaugurò la sede al 22esimo piano di quello che era l’edificio più alto di Tripoli e partì nel giugno del 2007 con circa 40 miliardi di dollari in asset. La Libia avvicinò 25 istituzioni finanziarie, offrendo a ciascuna la possibilità di gestire almeno 150 milioni di dollari, come ricorda una persona a conoscenza con i progetti del fondo.

Presto iniziò a spargere frazione del capitale nelle aziende di tutto il mondo. Oltre a Goldman, queste istituzioni comprendevano Société Générale SA, HSBC Holdings PLC, Carlyle Group, J.P. Morgan Chase & Co., Och-Ziff Capital Management Group e Lehman Brothers Holdings Inc., secondo una registrazione interna del fondo controllata dal Journal.

“La nazione ha preso la matura decisione di unirsi ai grandi”, ha detto Edwin Truman, un importante membro del Peterson Institute for International Economics ed ex assistente del Segretario al Tesoro. Fino ad allora, le somme del fondo d’investimento erano depositate nella banca centrale libica, ottenendo scarsi ritorni da obbligazioni di alta affidabilità.

Goldman colse al volo l’opportunità. Nel maggio del 2007 alcuni partner di Goldman si incontrarono con i libici nel loro ’ufficio londinese. Mustafa Zarti, l’allora direttore aggiunto del fondo, e Hatem el-Gheriani, il suo capo-ufficio agli investimenti, invitarono i clienti di Goldman di andare a visitare il quartier generale del fondo in Libia. Zarti era un sodale molto stretto del figlio del colonnello Gheddafi Saif al-Islam e un amico di lunga data del comandante libico.

[…] Goldman elaborò presto un nuovo business con i libici con delle opzioni – investimenti che danno ai compratori il diritto di acquistare azioni, divise o altri asset in una data futura a un prezzo prefissato. Tra gennaio e giugno del 2008 il fondo libico pagò 1,3 miliardi di dollari di opzioni scelte tra un paniere di divise e sei azioni: Citigroup Inc., la banca italiana UniCredit SpA, lo spagnolo Banco di Santander, il gigante delle assicurazioni tedesco Allianz, la compagnia energetica francese Électricité de France e quella italiana Eni SpA. Il fondo avrebbe iniziato a ottenere profitti se i prezzi delle sottostanti azioni o divise fosse salito ai livelli contrattati.

Ma quell’inverno la crisi del credito colpì in modo cieco, facendo fallire Lehman Brothers e le banche in tutto il mondo dovettero far fronte a una crisi finanziaria. Il miliardo e trecentomila dollari di opzioni furono colpiti in modo molto pesante. Il valore dei titoli sottostanti crollò e tutti gli scambi persero soldi, secondo i dati di un memo interno di Goldman controllato dal Journal. Il memorandum evidenziava che gli investimenti avevano un valore di circa 25,1 milioni di dollari nel febbraio del 2010, una perdita del 98%.

I funzionari del fondo sovrano accusarono Goldman di aver mascherato la modalità dell’investimento e di aver concluso la trattativa senza una propria autorizzazione, secondo le parole di persone a conoscenza dei fatti. Nel luglio del 2008, Zarti, il direttore aggiunto del fondo, convocò Kabbaj, il direttore di Goldman per il Nord Africa, a una riunione con il legale del fondo e il personale addetto, secondo le email dell’Autorità degli Investimenti Libica controllate dal Journal.

Una persona che ha assistito alla riunione ha detto che Zarti era “come un toro scatenato”, offendendo e minacciando Kabbaj e un altro impiegato di Goldman. Goldman ingaggiò agenti per la security per proteggere i dipendenti fino al momento della partenza dalla Libia del giorno successivo, secondo persone a conoscenza dei fatti.

[…]Dopo questa resa dei conti, il fondo ha richiesto la restituzione e ha fatto vaghe minacce per un’azione legale.

Il Journal prosegue nel descrivere la risposta di Goldman, la cui “audacia” non inizia nemmeno a descrivere. Goldman ha offerto di sistemare la questione vendendo alla Libia una enorme compartecipazione… di Goldman stessa. L’articolo del Journal deve essere letto, come questo saggio da Rolling Stone, ma tutto questo non significa davvero che le compagnie occidentali, alla cosa, vogliano che andarci davvero a fondo.

Il punto, almeno per me, è che la Libia ha seguito il consiglio di un’azienda americana e ha investito, e perso, un’enorme somma dei fondi che si pensava dovessero generare profitti da usare per governare la Libia. Come ad esempio fornire il tipo di servizi che all’inizio hanno tenuto i libici vicini a Gheddafi.

È davvero una sorpresa che, dopo questo disastro bancario, Gheddafi nel 2009 si rivolse disperatamente alle compagnie petrolifere occidentali, che stavano facendo davvero bene in Libia, chiedendo loro di pagare diritti più alti per finanziare gli accordi relativi all’affare Lockerbie? Accordi che forse non avrebbe nemmeno dovuto pagare?

***

Nel dicembre del 2010, quando un tunisino si è dato fuoco, la Primavera Araba prese avvio, in Egitto, in Bahrein e ovunque. Molto velocemente, fu chiaro che le potenze occidentali era a rischio di perdere cruciali forniture petrolifere, oltre a basi militari di vitale importanza.

È fu certamente positivo che, proprio in quel momento, la Libia mostrasse l’intenzione di muoversi nella direzione opposta, dalla parte degli Stati Uniti. Leggete il nostro articolo sui legami della CIA con le rivolte libiche.

Poi considerate, nel febbraio, la tempistica delle dichiarazioni avventate degli ufficiali disertori libici secondo cui era Gheddafi stesso che aveva ordinato il bombardamento del Lockerbie.

Ma siccome tutto questo, per il dipartimento della propaganda, non era sufficiente per sollecitare una maggiore collaborazione dell’opinione pubblica, è così apparsa la storia degli stupri. La persona comune non ha il tempo o la voglia di seguire questa ridda di complicate manovre che tanto ci affascinano, ma viene comprensibilmente scossa dai bombardamenti sui civili e dagli stupri.

Abbiamo scritto qualcosa sulla storia degli stupri. Il nostro punto di vista, che è ancora ben saldo, è che si tratta di una cosa molto inusuale che le vittime degli stupri e le loro famiglie si facciano avanti pubblicamente. È una cosa praticamente sconosciuta nei paesi arabi, dove le conseguenze possono essere davvero gravi. (Aggiornamento: la donna e la sua famiglia sono state trasferite in Occidente e lei ha detto che ha piacere di venire in America.)

Abbiamo compreso la tempistica della storia, l’alacrità con cui la stampa occidentale l’ha fatta propria e l’ha diffusa, e il semplice fatto che non ci sono prove che legano in alcun modo Gheddafi a questi atti. Persino la stessa donna non lo dice. Ma ha infuriato milioni e milioni di persone che hanno riempito di post la rete, e tutto questo ha mosso l’opinione pubblica nelle colonne a supporto dell’azione militare per rimuovere il leader libico.

Il fatto che i media mainstream non possano, o non vogliano, vedere quello che è successo ci dice quanto poco ci siamo allontanati dalla Risoluzione del Golfo di Tonchino.

Comunque ci riesce bene capire cosa potrà accadere se stiamo con le antenne ben alzate. Ad esempio, l’altro giorno il sito web Politico si è brevemente interessato a una riunione informale tra Hillary Clinton e i manager esecutivi sulle opportunità di business in Iraq.

FIRST LOOK: WALL STREET IN IRAQ? – Il Segretario di Stato Hillary Clinton e il Segretario Aggiunto Tom Nides (in precedenza funzionario-capo amministrativo a Morgan Stanley) hanno ospitato un gruppo di manager esecutivi questa mattina come parte dell’Iraq Business Roundtable. I manager delle trenta maggiori multinazionali degli Stati Uniti – che comprendono aziende della finanza come Citigroup, JPMorganChase e Goldman Sachs – si uniranno ai funzionari statunitensi e iracheni per discutere delle opportunità economiche nel nuovo Iraq. Questa la lista completa dei partecipanti: http://politi.co/kOpyKA

Diamogli un paio di anni e faranno un’altra festicciola per celebrare un nuovo regime bendisposto in Libia.