sabato 23 giugno 2012

Premio "Faccia come il Culo": ancora lui...

Ci eravamo abituati ormai alla sua assenza, alla sua scomparsa. Ma soprattutto stavano cominciando ad abituarsi anche i principali esponenti del Pdl, in crollo vertiginoso sia alle recenti elezioni amministrative che in tutti i successivi sondaggi. Quasi in via d'estinzione.

E invece no eccolo sbucare di nuovo per smentire la decisione del suo partito di indire nei prossimi mesi le primarie, con il suo ennesimo disperato autoconvincimento: "Il leader dei moderati sarò ancora io".

Tralasciamo l'altra sparata "Via la Germania dall'euro" o "Via l'Italia dall'euro"...non ha ancora le idee ben chiare su chi deve uscire, nel tentativo ridicolo di scopiazzare Beppe Grillo.

Chi invece deve uscire definitivamente è proprio lui, ha già sgovernato per circa 10 anni e ha quasi 80 anni.

Basta, fuori dai coglioni!!

mercoledì 20 giugno 2012

Elezioni in Grecia: non è successo nulla

Si sono tenute in Grecia queste "benedette" elezioni, nascerà un governo guidato ancora dagli stessi che hanno falsificato più di 10 anni fa i bilanci dello Stato - con il sostanziale supporto di Goldman Sachs - per far entrare la Grecia nell'euro, la Merkel & soci affonderanno sempre più il coltello nelle ferite dei cittadini greci che a loro volta affonderanno sempre più nella merda in cui sono immersi già da alcuni anni.

La Grecia era fallita ieri, è fallita oggi e sarà fallita domani. In pratica, non è successo nulla*.


* Idem per quanto riguarda la speculazione sui debiti sovrani degli Stati e spread annessi. Tutto come prima, più di prima...


La Grecia del giorno dopo
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 18 Giugno 2012

La Grecia ha votato come la Ue voleva, ma se Bruxelles e Berlino applaudono, le Borse non si eccitano più di tanto. La reazione dei mercati al voto greco, infatti, non è stata quella che molti si attendevano e il segno meno sugli indici ha caratterizzato il day-after di Atene.

Sul piano generale le Borse  sembrano comunque intenzionate a non offrire segnali di apertura in attesa delle conclusioni del vertice del G20 a Los Cabos, ma nello specifico dello scenario europeo non traggono particolari elementi di ottimismo dalla vittoria del centrodestra ellenico.

I dubbi degli investitori non sembrano però addebitabili ad incertezze sul piano politico, essendo scontata la formazione di un governo di larghe intese tra Nuova Democrazia e Pasok con Syriza all’opposizione.

Paradossalmente, semmai, alla luce delle performances di Borsa di ieri, si potrebbe dire che proprio il ritorno al governo di Nuova Democrazia non promette niente di buono agli occhi dei mercati.

Perché se dal punto di vista di Bruxelles i vincitori delle elezioni non costituiscono un ostacolo all’osservanza del memorandum con il quale l’Unione europea ha preso per la gola la Grecia, i mercati hanno la memoria lunga e ricordano che fu proprio il governo guidato da Nuova Democrazia a truccare i conti pubblici per ottenere investimenti e aiuti internazionali che si rivelarono successivamente impagabili.

Il Pasok, sotto il cui governo è esplosa la Grecia, fu in realtà corresponsabile solo in parte, giacché nemmeno i suoi esponenti erano a conoscenza dei trucchi contabili effettuati dal precedente governo di destra e rigorosamente avallati dalle agenzie di rating, le stesse che spacciano la loro assoluta indipendenza nella formulazione delle pagelle a stati e banche in giro per il mondo.

Colpe che ha puntualmente ricordato Paul Krugman, Nobel per l’economia, in un articolo sul New York Times, ricordando che “la Grecia non è senza colpe per la situazione nella quale si trova”, ma che gran parte delle responsabilità “sono da attribuire all’arroganza dei dirigenti europei, per lo più dei paesi ricchi, convinti di poter far funzionare una moneta unica senza governo unico”.

Krugman indica in “Bruxelles, Berlino e Francoforte “le origini di questo disastro”, sottolineando come “la soluzione a questa crisi - se mai arriverà - dovrà venire proprio da queste stesse località”.

Peraltro si capisce benissimo che anche senza la vittoria di Syriza il Memorandum dovrà comunque essere rinegoziato, vista l’inesigibilità del debito contratto da Atene. Si pensa già a due anni di proroga per i piani di rientro e, contemporaneamente, ad una forte iniezione di liquidità da parte della BCE, tramite banche private, che compreranno titoli pubblici per far affluire liquidità nelle casse dello Stato ellenico.

D’altra parte rinegoziare è inevitabile: Berlino può anche strepitare sul rigore di bilancio ma tirare la cinghia sembra oggi più problematico, perché i titoli tossici grechi riempiono le casseforti delle banche tedesche e francesi.

Dunque se Berlino vuole evitare una crisi di alcuni istituti di credito e il conseguente declassamento delle sue banche da parte delle agenzie di rating, non ha altra strada che accettare una spalmatura temporale del debito greco.

La contrapposizione tra Euro e Dracma nello scontro tra la sinistra e la destra in Grecia era soprattutto una forzatura ideologica e mediatica voluta da chi riteneva un governo delle sinistre un pericolo ancora maggiore del debito.

Perché con Syriza al governo poteva aprirsi una fase nuova nella relazione tra Ue e singoli stati che avrebbe messo alle corde il rigore monetarista tedesco (ma non solo). Sarebbe stato l’inizio di una nuova discussione sulle finalità dell’unione continentale, che avrebbe coinvolto strumenti, trattati, politiche  e ruoli di tutti gli attori europei. Comprensibile quindi, che la Merkel abbia effettuato ogni tipo d’ingerenza sul voto greco.

Nuova democrazia ha vinto, dunque, ma è tutto da vedere se questo porterà la Grecia fuori dal precipizio. Perché questa crisi ha responsabilità endogene ed esogene, ma la sua soluzione non può essere esclusivamente greca.

Non a caso Krugman, nello stesso articolo sul NYT, afferma che “le elezioni in Grecia non hanno risolto nulla. L’unico modo in cui l’euro potrebbe essere salvato è qualora i tedeschi e la banca Centrale europea comprendessero che sono loro quelli che devono cambiare comportamento, spendere di più e accettare il rischio d’inflazione. Se non lo faranno - ha concluso il premio Nobel per l’economia - la Grecia affonderà nella storia come la vittima dell’arroganza di altre persone”.


L'agonia greca continuerà fino all'asfissia
di Ambrose Evans-Pritchard - http://blogs.telegraph.co.uk - 18 Giugno 2012
Tradotto per www.ComeDonChisciotte.org da ERNESTO CELESTINI

L’establishment europeo è felice per la vittoria di Nuova Democrazia ed è disponibile a tenere ancora in vita un paziente che non riesce più a respirare. Ma, questa sensazione, non potrà andare avanti ancora per molto.

I nuovi leader della Grecia hanno ricevuto un mandato dall'inferno. In un modo o nell'altro quasi il 52% del voto popolare è andato a partiti che si opponevano al salvataggio previsto dal Memorandum. Comunque la nazione non ha accettato le politiche di austerità della troika.

La sinistra dura del partito Syriza di Alexis Tsipras adesso è forse più pericolosa all’opposizione, con un gran numero di seggi in Parlamento, e potrà tartassare il governo senza assumersene la responsabilità, dato che lo Stato sta mandando a casa 150 mila lavoratori del settore pubblico, un quinto del totale.
Fu per questo fatto che lo scorso anno il governo greco fu rovesciato da un Putsch della UE.

Apprendiamo ora dall’ ex-premier George Papandreou che fu "tutta colpa di Sarkozy". Il leader francese si rifiutò di fare indire a Papandreou un referendum sul salvataggio (che quasi certamente sarebbe passato), e il Cancelliere Angela Merkel impose quell’atto meschino da colonialismo della UE.

L'UE, in effetti, minacciò di tagliare tutti i pagamenti della troika. Il governo del PASOK fu sostituito da un tecnico nominato dalla UE.

Si è creato un precedente spaventoso, e per nessun motivo : tutto quello che la UE è riuscita a fare è stato sostituire un torbido parlamento greco con uno completamente inutile.

Per quanto riguarda la Nuova Democrazia, non sarà in grado di soddisfare le condizioni di nessuno dei prossimi pagamenti trimestrali richiesti dalla Troika, nemmeno se otterrà l'appoggio dei socialisti del Pasok, perché i termini sono - politicamente - impossibili da rispettare.

Ci vorranno anni di "svalutazione interna" per portare la disoccupazione a livelli catastrofici prima di far disintegrare il movimento operaio e spianare la strada a tagli drastici sui salari. Si tratta essenzialmente di una politica fascista. Mussolini la tirò fuori nel 1928 nel quadro della politica di una Lira Forte, ma Lui aveva strumenti coercitivi.

Questa vittoria elettorale non è abbastanza determinante per rimettere in moto l’economia e non ci sarà nessuna ripresa degli investimenti e nessuna speranza di ritorno a una vita normale. Persino le grandi aziende non hanno più accesso al credito commerciale corrente. Il coro a favore del Memorandum dice che la Grecia si troverebbe in mezzo al caos, se dovesse uscire dall’euro. Ma che pensano che ci sia ora in Grecia?

L'agonia si trascinerà fino a quando capiterà qualcosa di drammatico.

Sarebbe una cosa differente se la Troika avesse capito quello che stava facendo. Ma non è stato così. Le indicazioni del FMI sono state ignorate dagli ideologi della BCE. La necessaria uscita dall’euro è stata esclusa fin dal primo giorno - ovviamente - così la Troika ha fatto tutti i passi per far andare avanti le cose proprio come adesso vanno avanti.

Le loro prime previsioni avevano massicciamente sottovalutato il livello di contrazione del PIL, perché, a torto, avevano creduto che il settore privato greco avrebbe beneficiato della contrazione del settore pubblico.

Tutto quello che è successo è che lo Stato ha smesso di pagare i conti ai subappaltatori privati, spingendo migliaia di aziende al fallimento. L'economia è entrata in una spirale viziosa di una crudeltà che poteva essere facilmente prevista.

Questa è una dichiarazione sulle politiche della troika rilasciata dal professor Vanis Varoufakis dell’Università di Atene:
"Cercate di capire quello che stanno dicendo al popolo greco: dicono che la Grecia, per rimanere nella zona euro, deve:
A. Continuare a prendere prestiti dal EFSF al 4% (quindi aumentando il debito pubblico) per pagare la BCE (che trarrà un utile del 20% da questi pagamenti, come gentile concessione per aver già acquistato dalla Grecia obbligazioni a un tasso dal 20% al 30%)
B. Ridurre la spesa pubblica di 12 miliardi di euro per "essersi permessa" di prendere dei prestiti per garantire alla BCE i profitti di queste operazioni che hanno portato la Grecia alla bancarotta.
Se il diavolo avesse voluto garantire alla Grecia di essere spinta fuori dalla zona euro, sia lui che le sue ancelle del male non ci sarebbero riusciti in uno scenario tanto satanico, come questo.

Nel frattempo, lo stesso accade in Spagna, dove il governo è costretto a prendere in prestito (a quasi il 7%) soldi che difficilmente potranno risollevare le banche che stanno prestando i soldi della BCE ( presi all’ 1%) al governo spagnolo ( che li paga al 7%) in modo che lo stesso governo possa provvedere al ... loro salvataggio. Nemmeno il più malato di mente potrebbe far funzionare questo marchingegno ! "
Infatti, non ci riuscirebbe nessuno.


Grecia. Vince il partito del debito. La fratellanza bancaria esulta…
di Miro Renzaglia - www.mirorenzaglia.com - 18 Giugno 2012

La fratellanza bancaria di mezzo mondo, e forse più, esulta per l’esito delle elezioni greche che ha visto vincere, ma non trionfare, il partito conservatore di Nea Dimokratia di Antonis Samaras.

Il suo programma era quello di mantenere la nazione greca sotto il cappio usuraio della Bce e consorterie finanziarie globali collegate che, in cambio di un programma politico di rientro del debito, a costo di continuare a strangolare un popolo già ridotto sul lastrico, garantiva nuovi prestiti.

Direte voi: ma come si esce da un debito enorme se l’usuraio te ne fa un altro?  Infatti, non se ne esce. Ma è esattamente questo che l’usuraio vuole: che il debitore non esca mai dalle sue grinfie rapaci.

Se, come sosteneva Ezra Pound, «Uno stato che non vuole indebitarsi fa rabbia agli usurai», pensate quanta gioia procuri, agli usurai medesimi, uno stato che decide di indebitarsi ancora di più.

E, infatti – come si diceva all’inizio – la fratellanza bancaria è tutta un tripudio.

Comincia il portavoce della Cancelliera di Ferro Angela Merkel, George Streiter, che solennemente afferma: «E’ una buona notizia la vittoria di Nea Dimokratia. Adesso si faccia al piu’ presto il governo».

Prosegue il Presidentissimo Barack Obama: «Ci congratuliamo con il popolo greco per le elezioni svolte in questo momento difficile e speriamo che portino alla veloce formazione del governo affinché possa fare progressi veloci sulle sfide economiche» afferma il presidente americano Barack Obama, ribadendo che «è nel nostro interesse che la Grecia rimanga nell’Eurozona rispettando gli impegni presi sulle riforme».

Si allinea e si copre (ma come avrebbe potuto essere altrimenti) l’agente diretto della Goldman Sachs, in missione segreta in Italia come Presidente del Consiglio, Mario Monti: «Mi rallegro per il risultato. Un grande segnale per l’Ue».

Almeno, stando a queste entusiastiche sollevazioni pro Samaras è chiara una cosa: non era la Grecia ad aver paura di essere messa fuori dall’Euro, era l’Europa dei banchieri e dei loro servi a temere che la Grecia ne uscisse.

E fin qui – lo ripeto – c’è poco da stupirsi. Ma se a rallegrarsi per la vittoria di Antonis Samaras è perfino il giornale fondato da Antonio Gramsci, l’Unità, non viene anche a voi un sussulto di meraviglia? In un editoriale on line [LEGGI QUI] l’anonimo articolista chiude così: «La vita politica greca si avvia a un’ennesima, complessa fase. Ma stasera, Atene e l’Europa possono tirare finalmente un sospiro di sollievo».

A questo punto, il quesito posto dal nostro collaboratore, Cristian De Marchis con l’articolo “Ma il Pd è di destra o di sinistra?” [LEGGI QUI] ha una risposta certa: è di destra. Con buona pace per il povero Antonio Gramsci che, come sostiene l’amico Graziano Lanzidei, avrà smesso di rivoltarsi nella tomba per darsi alle acrobazie.

Nel frattempo, però e per giunta rispetto al sospiro di sollievo che l’articolista dell’ Unità dice si possa tirare, le notizie che arrivano dal mercato finanziario sembrerebbero contrastare l’ottimismo della fratellanza bancaria. Dico, e lo sottolineo con forza, sembrerebbero. Infatti tutte le borse europee segnano un indice fortemente negativo.

Copio e incollo dal Corriere della Sera di oggi, 18 giugno: «In picchiata la Borsa di Milano sull’onda delle notizie che arrivano dalla Spagna e mostrano lo spread iberico sui Bund tedeschi a 584 punti. Il Ftse mib perde il 2,64% zavorrato dalle banche: Intesa (-2,3%) e Unicredit (-3,4%) sospese per eccesso di ribasso, Mediobanca (-3,4%), Ubi (-2,7%), Monte dei Paschi (-2,3%). Fanno riflettere i rendimenti dei titoli dei due Paesi: se i bond governativi a dieci anni spagnoli hanno tassi pari al 7,12%, quelli italiano rendono il 6,05%».

Ma non fatevi ingannare dalle apparenze. Gli speculatori stanno vendendo i titoli di stato greci, ora che il loro valore sembra saldo, per riacquistarli a prezzi stracciati quando il nuovo governo (probabilmente una coalizione Nd e socialisti che, scambiandosi reciprocamente posto fra maggioranza e opposizione, negli ultimi decenni hanno ridotto la Grecia allo stato in cui è ridotta) comincerà a inghiottire l’ennesima polpetta avvelenata che gli ha tirato la fratellanza bancaria. Quando, cioè, la Grecia sarà costretta a rialzare il tasso d’interesse dei propri titoli per renderli appetibili agli squali. E voilà: il gioco è fatto…



Grecia. Il «sirtaki» dei partiti
di Argiris Panagopoulos- Il Manifesto - 20 Giugno 2012
 
Vertice dopo vertice i problemi restano intatti: dalle banche al debito, dalla disoccupazione ai tagli, non c’è uno straccio di idea

Evangelos Venizelos, leader del Pasok, annuncia che entro oggi pomeriggio la Grecia avrà un nuovo governo. Ma quale? Le trattative su nomine, obiettivi e composizione tra socialisti, Nea Demokratia (Nd) e Sinistra democratica (Sd) dureranno fino all’ultimo minuto.

Salvo sorprese, a guidare il nuovo esecutivo sarà il vincitore delle elezioni Antonis Samaras mentre in tanti ad Atene, dentro Syriza e non solo, sostengono che il suo governo avrà vita relativamente breve visto che non sarà capace di gestire i nuovi tagli e la svendita del patrimonio pubblico.
 

I segnali arrivati dopo il voto da Berlino e Bruxelles non lasciano dubbi che una volta vinta la battaglia per allontanare Syriza dal governo non ci saranno importanti concessioni alla Grecia.

Il partito di Tsipras, che ha perso di misura, si prepara per fare un’opposizione dura al nuovo governo mentre Sinistra Democratica rischia di dividersi nell’immediato futuro, quando dovrà difendere nuovi tagli e tasse. 


Il vero problema politico della Grecia è la risposta alla maggioranza dei cittadini contrari al memorandum. Syriza (e non solo) crede che il nuovo governo avrà enormi problemi e non potrà durare per molto tempo. Per questo Tsipras cercherà di tenere accesa la scintilla della ribellione contro lo tsunami fiscale che arriverà nelle prossime settimane e combatterà ogni rassegnazione tra i suoi elettori per la vittoria mancata.

Il leader di Sd Koubelis ha posto ieri a Pasok e Samaras 7 condizioni per partecipare al governo. In serata, prima della riunione del comitato centrale del partito, il portavoce Andreas Papadopoulos spiega al manifesto che Nd e Pasok hanno già accettato tutti e sette i punti sollevati da Koubelis: la «pulizia» del sistema politico, la «liberazione progressiva» dal Memorandum, la ricostruzione produttiva del paese, lo sviluppo agricolo, una nuova politica per l’immigrazione, la difesa e la estensione dello stato sociale, un cambio nella politica estera. Restano le ambiguità però sul contenuto concreto di questi sette punti.

Secondo Papadopoulos la Sd chiederà garanzie precise dagli altri partner di governo ma Sd cercherà di evitare di parteciparvi con propri ministri di partito e preferisce indicare personalità indipendenti di sinistra. 


Tra le altre condizioni, sembra che abbia posto il veto a ministri provenienti dal Laos (estrema destra) candidati da Nd. Koubelis è sicuro che la Grecia avrà un governo entro pochi giorni. E secondo indiscrezioni punta a essere eletto come prossimo presidente della repubblica alla scadenza del mandato di Papoulias.

Il portavoce di Syriza, Panos Skourtelis, in una conversazione col manifesto, ammette che l’entrata di Sd al governo mette a dura prova le relazioni a sinistra e afferma che per Koubelis è un obiettivo di carattere strategico perché gli apre la strada per nuove alleanze al centro.

Mentre i tre partiti vincitori negoziano su tutto, l’ombra di Syriza incombe sul loro futuro governo. La coalizione di sinistra si prepara a trasformarsi in un partito di massa unitario, mettendosi definitivamente alle spalle l’esperienza delle 12 componenti che la compongono. 


Tsipras ha deciso di aprire il confronto sulla formazione del nuovo partito unitario a settembre, mentre nelle prossime settimane si terranno assemblee di Syriza in tutto il paese. Per il momento la coalizione cerca di organizzare al meglio il suo nuovo gruppo parlamentare, visto che 49 dei suoi 71 deputati sono alla prima esperienza.

Acque molto agitate anche dentro il Pasok, il vero sconfitto di queste elezioni. Venizelos non esclude una sorta di appoggio esterno, dice che non avrà un incarico ministeriale e che vuole tenere fuori dal governo anche i deputati e gli ex ministri. Contemporaneamente, ha chiesto la formazione di un comitato nazionale per la rinegoziazione delle condizioni del Memorandum.
 

Dopo il peggior risultato elettorale nella sua storia, anche il Pasok deve aprire in tutta fretta una fase di ricostruzione del partito. Venizelos ha lasciato aperta perfino la questione del nome. Stamattina una riunione di tutto il gruppo parlamentare farà il punto su questo e anche sul nuovo governo.  
 

Venizelos:"La Grecia ha un governo. Ora rinegoziamo gli aiuti"
di Francesco De Palo - Il Fatto Quotidiano - 20 Giugno 2012 

In serata il leader dei socialisti del Pasok andrà assiene al conservatore Samaras e al democratico Kouvelis dal presidente della Repubblica Papoulias. Al prossimo summit dell'eurogruppo Atene chiederà la revisione del piano di salvataggio

 

“Habemus ghivernis” scandisce il leader dei socialisti Evangelos Venizelos al termine del coordinamento nazionale del Pasok. E annuncia che il nascente governo darà “battaglia” al prossimo summit europeo per ottenere una revisione del Piano di salvataggio negoziato con Ue e Fmi. Questa sera assieme al conservatore Samaras e al democratico Kouvelis saranno ricevuti dal presidente della Repubblica Papoulias (assieme al ministro ad interim dell’economia Zanias che domani parteciperà ad un delicatissimo eurogruppo) per certificare la nascita dell’esecutivo che dovrà impedire la bancarotta della Grecia, dare attuazione al memorandum della troika e tranquillizzare i mercati.

Anche la Deutsche Bank, infatti, ha detto che ormai “ragiona” come se la Grecia fosse già fuori dall’eurozona. Fotis Kouvelis dirige un partito di centrosinistra che ha preso il 6,26% arrivando sesto alle elezioni di domenica. Ed è l’osservato speciale da mezzo mondo. I suoi diciassette seggi nel parlamento greco sono decisivi per dare vita al governo tecnico in Grecia.

Ma la domanda è: quanto durerà questo esecutivo? Ormai i giochi sono quasi fatti e a meno di clamorose sorprese si andrà verso un multicolore composto da conservatori, socialisti e appunto il Dimar di Kouvelis. Con al comando lo stesso leader di Nea Dimokratia Antonis Samaras, che ha detto di avere i numeri per formare un governo a lungo termine, aggiungendo di averlo detto anche al capo dello Stato Papulias.

L’opzione, fino all’ultimo, è stata anche quella di trovare una personalità “imparziale” che guidasse l’esecutivo e così conferisse all’esecutivo quell’aria da emergenza e condivisione che, nei fatti, già si respira da un biennio sotto l’Acropoli. Per una serie di ragioni.

Il governo greco non potrà, come Samaras e Venizelos avevano promesso agli elettori al foto finish della campagna elettorale, rinegoziare il memorandum della troika: ma attuarlo da subito, con tutto ciò che esso comporta.

Ovvero la sollevazione popolare di chi, con mutui a tassi variabili e nuclei familiari in cassa integrazione, passerà da una vita normale alla soglia della semi povertà, come i dati dell’istituto di statistica ellenico dimostrano, con il record europeo di bambini sottopeso ad Atene.

Quindi entro settembre altri 150mila dipendenti pubblici verranno licenziati, le pensioni minime continueranno ad esibire i parametri attuali da terzo mondo, non ci sarà alcun piano Marshall per la ripresa economica e per una minima reindustrializzazione del paese, e i paperoni dell’Acropoli non saranno intaccati da alcuna misura (come la patrimoniale sui redditi superiori a 300mila euro proposta da Tsipras).

Per questo il leader del Pasok Venizelos, già a urne ancora calde, aveva invocato un governissimo con tutti, Syriza compresa, che si “sporcasse” le mani e si prendesse carico di spiegare ai cittadini come muterà la loro quotidianità.

Perché nei fatti il piano di Bce, Ue e Fmi se da un lato conferirà alle casse dello stato la liquidità necessaria per andare avanti, dall’altro potrebbe dare il definitivo colpo di grazia a un paese in ginocchio.

Dai corridoi della sede di Nea Dimokratia infatti, la soddisfazione post-elettorale è solo apparente. Perché la patata bollente che “mister tentenna” Samaras (così come lo chiamano per la sua proverbiale capacità di non decidere) ha in mano potrebbe bruciare tutto il circondario, compromettendone anche le future chanches politiche oltre che la stabilità stessa dell’eurozona: nessuno sa infatti quanto durerà questo governo, se sarà in grado di assicurare almeno un triennio di stabilità senza rischi di scivolate improvvise.

Tsipras dal canto suo ha annunciato che resterà all’opposizione perché contro il memorandum, e perché avrebbe voluto imboccare un’altra strada rispetto all’accettazione coatta dei diktat europei o rispetto all’uscita dall’eurozona: quella rinegoziazione del piano che, così come stanno le cose oggi, ovvero con questo governo pro-troika, non ci potrà essere.

Lo ha anche ribadito il presidente dell’eurogruppo Juncker: “Non si possono apportare modifiche sostanziali al programma di aiuti alla Grecia e non ci possono essere nuove negoziazioni”.

Tornando a Kouvelis ha incontrato Venizelos più volte, gettando le basi per le procedure accelerate. L’accordo “a tre” sarebbe stato chiuso per un governo a lungo termine con durata almeno fino al 2014, anche se Venizelos parlava di 2017.

Le iniziali perplessità del Dimar erano frutto della cosiddetta “sindrome Karatzaferis” dal nome del leader del partito nazionalista del Laos (fuori dal parlamento per aver raccolto solo l’1,58%). Ovvero la disposizione a sostenere il governo, non con i politici, ma con personalità della più vasta area possibile, pare avrebbe fatto i nomi dell’attuale ministro del lavoro Roupakiotis (un tecnico, già a capo dell’Authority per la privacy) o del costituzionalista e attuale ministro dell’interno a interim Manitakis.

Ma ci sarebbero da tenere d’occhio anche quei ceppi dei tre partiti (possibili futuri franchi tiratori) che non vedono di buon occhio la partecipazione a un governo con così tante responsabilità e con alte probabilità di un fallimento politico ed elettorale, oltre che finanziario.

Non dimentichiamo che, come molti analisti hanno rilevato, l’allarme in Grecia da rosso è diventato, momentaneamente, arancione. E potrebbe presto tornare su quel colore che segna il pericolo, visto il sesto anno di recessione consecutivo e una politica che al di là di denari immessi nelle casse dello stato (fisiologicamente bucate da sprechi e corruzione diffusa) non sta al momento tentando di tappare quei buchi.

Pare che al vertice notturno del Pasok abbia partecipato anche l’ex primo ministro Papandreou assieme a membri dell’esecutivo a top manager (tra cui K. Skandalidis, Loverdos, Anna Diamantopoulou, Gennimata Fofi, P. Efthymiou, M. Androulakis, Mich Chrysochoidis) trasmettendo lo stato d’animo di Samaras: ovvero dare più spazio possibile ai tecnici.

Sia perché più competenti dei politici, sia perché ci metterebbero la faccia proprio al posto della casta ellenica. Quella che ha prodotto la situazione attuale (prossimo bilancio in rosso di 11 miliardi e rotti) e che è la stessa che ora vorrebbe tentare di risolverla. 


La Deutsche Bank e il piano di dismissioni per i governi Ue
di Salvatore Cannavò - Il Fatto Quotidiano - 19 Giugno 2012

Un piano di dismissione gigantesco, proporzionale a quello che coinvolse la ex Germania dell’Est dopo la riunificazione del 1990. E’ questa la richiesta che la Deutsche Bank ha fatto all’Europa, e in particolare al governo tedesco, in suo rapporto di qualche mese fa e che ora abbiamo potuto leggere.

Il documento è del 20 ottobre 2011 e si intitola “Guadagni, concorrenza, crescita” ed è firmato da Dieter Bräuninger, economista della banca tedesca dal 1987 e attualmente Senior Economist al dipartimento Deutsche Bank Researc.

Un testo importante perché aiuta a capire meglio cosa sono “i mercati finanziari”, chi è che ogni giorno boccia o promuove determinate politiche di questo o quel governo.

La richiesta che è rivolta direttamente alla cosiddetta Troika, Commissione europea, Bce e Fmi è quella della privatizzazione massiccia e profonda del sistema di welfare sociale e di servizi pubblici per un valore di centinaia di miliardi di euro per i seguenti paesi: Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda.

Il rapporto stretto con gli “attacchi” dei mercati internazionali si vede a occhio nudo
Gli autori del rapporto hanno come modello di riferimento per questo piano di privatizzazione il vecchio Treuhandanstalt tedesco (l’Istituto di Gestione fiduciaria che, tra il 1990 e il 1994 garanti la dismissione di cira 8000 aziende dell’ex Ddr soprattutto a vantaggio delle imprese dell’Ovest).

Stiamo parlando di un valore patrimoniale di 600 miliardi di marchi tedeschi del 1990 secondo le stime ufficiali, circa 307 miliardi di euro attuali. Nonostante quell’agenzia abbia terminato il suo lavoro con una perdita di 256 miliardi di marchi, lo schema viene riproposto nel documento Deutsche Bank – e a giudicare dalle intenzioni, anche dai progetti governativi: “La situazione difficile sui mercati finanziari non è un ostacolo – scrive il rapporto. Una modalità consisterebbe nel trasferire gli attivi a un’agenzia incaricata esplicitamente di privatizzazione. Questa potrebbe in seguito, a seconda della congiuntura dei mercati, scaglionare la vendita nel tempo”.

Si mette tutto in un fondo comune, dunque, senza fare di questa o quella privatizzazione l’emblema del progetto, in modo da non sapere più cosa e quando viene venduto, aggirando eventuali opposizioni.

Il capitolo che riguarda l’Italia è molto dettagliato, al pari di quelli degli altri stati. Dopo aver fatto una breve disamina della situazione pregressa – dall’Iri alle privatizzazioni di Telecom e delle altre grandi aziende -  il documento ammette che “lo stato nel suo complesso nel corso dell’ultimo decennio si è ritirato in modo significativo” da diversi settori.

Però esistono ancora “potenziali entrate derivanti dalla vendita di partecipazioni in grandi aziende”. Almeno 70-80 miliardi. Ma “particolare attenzione meritano gli edifici pubblici, terreni e fabbricati. Il loro valore è stimato dalla Cassa Depositi e Prestiti per un totale di 421 miliardi”. E, si aggiunge, “la loro vendita potrebbe essere effettuata relativamente con poco sforzo”.

Secondo i dati ufficiali, è di proprietà dello Stato (comprese le regioni, i comuni) un patrimonio complessivo di 571 miliardi, ossia quasi il 37% del Pil”. Quindi, non si tratta di vendere solo qualche quota di Eni o Enel ma interi pezzi del patrimonio pubblicoin particolare l’approvvigionamento di acqua”, misura che appare “utile” soprattutto per via delle “enormi perdite, fino al 30%, dell’acqua distribuita”.

In effetti il testo dedica molto spazio ai servizi pubblici, non solo l’acqua pubblica: “A differenza delle telecomunicazioni, certe parti del settore energetico e dei trasporti (innanzitutto ferroviari) sono ancora suscettibili di privatizzazioni radicali e di una deregolamentazione, da condurre nell’insieme dell’Europa”.

E nel testo non c’è alcun imbarazzo a scrivere che “in principio, la privatizzazione di servizi pubblici di interesse generale presenta dei vantaggi, come ad esempio l’approvvigionamento d’acqua, la gestione delle fognature, l’assistenza sanitaria e le attività non statali dell’amministrazione pubblica”.

Oltre all’Italia, come detto, il rapporto si occupa di altri paesi. La Francia, ad esempio dovrebbe avere circa 88 miliardi di euro di beni capitalizzabili sul mercato, il 4,6% del Pil ma, spiega la Deutsche Bank, “l’intervento statale nell’economia va oltre queste cifre”.

Ci sono le infrastrutture, le centrali idroelettriche a partire dall’Edf che è di proprietà statale e ampi spazi del settore bancario. Per quanto riguarda la Spagna, l’accento è posto sulla vendita di aeroporti, sui servizi di navigazione, i cantieri navali, le Poste, le ferrovie.

Infine, per quanto riguarda la Grecia, si ricorda che gli impegni presi dal paese nei confronti della Troika riguardano il 22% del Pil, circa 50 miliardi di euro di privatizzazioni. Ma, si sottolinea, “lo Stato controlla il 70% del Paese”, quindi c’è ancora molto da fare.


Fuga dai fondi con titoli di Stato Ue (anche tedeschi). In 7 giorni "sparito" un miliardo
di Mauro Del Corno - Il Fatto Quotidiano - 19 Giugno 2012

A rivelarlo è uno studio di Epfr Global. Una migrazione di queste proporzioni, diretta soprattutto a prodotti statunitensi, non si vedeva dallo scorso dicembre. Anche la Germania arranca: “Berlino inizia a risentire anche del rallentamento di economie come quella cinese che potrebbe avere effetti sul suo export”


L’Europa è una cosa sola. Se i suoi membri sembrano avere più di qualche dubbio in merito gli investitori non più. Peccato che questa unione si stia consolidando sui mercati nella cattiva sorte e all’insegna dello slogan “Anywhere but Europe”, ovunque ma non in Europa.

I capitali infatti non scappano più solo dalla Grecia, dalla Spagna o dall’Italia ma cominciano a voltare le spalle anche alla Francia e persino alla Germania.

Tra il 6 e il 13 giugno scorsi i dati sui flussi di capitali elaborati dalla società Epfr global hanno evidenziato un’impressionante accelerazione dei disinvestimenti dall’area euro.

Nei sette giorni che vanno dall’annuncio degli aiuti alle banche spagnole alle elezioni in Grecia, dai fondi che operano in titoli di Stato europei è sparito oltre un miliardo di dollari.

Soldi che sono stati trasferiti in gran parte verso fondi azionari statunitensi e in minor misura verso i paesi emergenti o gli investimenti in oro.

Una migrazione di queste proporzioni non si vedeva dai caldissimi giorni dello scorso dicembre, quando anche l’Italia sembrava sull’orlo della capitolazione e la Bce non aveva ancora riversato sul mercato miliardi e miliardi di euro per fronteggiare l’emergenza.

A differenza di allora però questa volta i deflussi hanno colpito anche i fondi focalizzati sui titoli di Stato tedeschi a testimonianza del fatto che nel tempestoso mare europeo non esistono più porti sicuri ed isole felici.

Del resto come ha spiegato il direttore di Epfr Global Cameron Brandt “Berlino non deve più fare i conti soltanto con i problemi dei suoi vicini ma inizia a risentire anche del rallentamento di economie come quella cinese che potrebbe avere effetti significativi sul suo export”.

Gli ultimi dati sembrano in effetti confermare che ormai la festa sta finendo anche in Germania. Lo scorso aprile (ultimi dati disponibili, ndr) l’export è diminuito dell’ 1,7% rispetto all’anno prima ossia il doppio di quanto atteso.

Peggio delle stime è risultato anche l’andamento della produzione industriale calata dello 0,7%. Gli umori degli imprenditori si fanno così sempre più foschi come mostra l’indice Zew che misura le aspettative sull’economia tedesca, crollato questo mese di 27 punti segnando così il ribasso più forte degli ultimi 14 anni.

“Da qualche settimana l’atteggiamento dei mercati verso la Germania è cambiato” spiega Mario Spreafico, direttore degli investimenti di Shroeder’s Italia che aggiunge “La Germania è un vincente di breve termine. Quando finirà l’effetto di questa sorta di appropriazione indebita di capitali avvenuta negli ultimi mesi a scapito delle altre nazioni europee, il paese dovrà comunque fare i conti con il deterioramento della situazione economica del Vecchio Continente“. “In particolare, ricorda Spreafico, un ulteriore peggioramento della situazione italiana avrebbe conseguenze molto pesanti anche per i tedeschi visto che l’Italia rimane il primo partner commerciale europeo di Berlino”

Più in generale secondo Spreafico gli investitori sono stanchi e sfiduciati di fronte ad una crisi europea che si protrae ormai da un anno senza che da Bruxelles arrivino risposte politiche adeguate alla gravità della situazioni. In un primo momento si è assistito ad uno spostamento di capitali all’interno dell’eurozona ma ormai si tende a ragionare più per aree che per singoli paesi.

La Bce può svolgere un ruolo nel breve termine ma senza un’azione politica efficace il rischio di una rottura del sistema euro diventa concreto e i mercati lo sanno. In questo quadro e in modo un po’ paradossale a salvarsi sono solo le obbligazioni societarie.

Nei primi sei mesi del 2012 sono stati venduti 87 miliardi di corporate bond europei vale a dire il 38% in più del 2011. Colossi industriali come possono essere ad esempio Enel, Danone o Vodafone sono infatti ormai considerate più sicure degli Stati che le ospitano.

sabato 16 giugno 2012

Update italiota

Prima di leggere alcuni articoli sulle ultime vicende italiote, una breve sintesi delle migliori "perle" pronunciate oggi da Monti. 
  • "Faccio quello che posso per spiegare alla cancelliera tedesca Angela Merkel e ad altri governanti, che se un Paese ha un alto debito pubblico ed è a favore di maggiori politiche europee per la crescita non necessariamente aspira ai soldi della Germania"    
  • "La Merkel dice che l'Italia ce la fa, ma l'Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel"
  • "Se nelle prossime cruciali due settimane noi riusciremo ad avere qualcosa di concreto e una prospettiva, con delle date, per una politica mirante alla crescita, beh credo che questo cambierà già il piano psicologico. Il governo si sta impegnando moltissimo perché la politica europea si orienti di più alla crescita, certo non a scapito della disciplina di bilancio"
  • "Devo arrivare al consiglio Ue con la riforma del mercato del lavoro che è legge o l'Italia perde punti".
  • ''Ci siamo spostati dall'orlo del precipizio; solo che il cratere del precipizio si sta allargando e siamo di nuovo in una crisi''
Appunto, l'unica frase che conta è quest'ultima (ma anche la penultima...). 
Complimenti Mr. Monti, ce la sta proprio mettendo tutta...


80 miliardi di bugie
di Stefano Feltri - Il Fatto Quotidiano - 16 Giugno 2012

Il meccanismo è collaudato, il risultato certo, l’effetto quello di una propaganda patetica. Funziona così: il governo annuncia qualcosa, un ministro fa una dichiarazione, sceglie un numero qualsiasi, possibilmente con tanti zeri, e può stare sicuro che i giornali titoleranno su quello. 
“Sviluppo, la legge vale 80 miliardi”, apre la prima pagina Repubblica, con la decenza di mettere almeno tra virgolette l’affermazione, così che la responsabilità ricada su chi l’ha fatta, Corrado Passera. Al titolista resta però la colpa, forse maggiore, di limitarsi al copia-incolla delle dichiarazioni, senza spiegare al lettore che di quegli 80 miliardi non se ne vede traccia alcuna. 
Il Corriere della Sera cancella pure le virgolette e asserisce “80 miliardi per la crescita”. La Stampaconcede anche dettagli, per dare maggiore credibilità alla balla, “Tagli e vendite, un piano sviluppo da 80 miliardi”.
Soldi che non ci sono, ovviamente: spendere davvero 80 miliardi per la crescita sarebbe l’equivalente di un piano Marshall, una svolta che dovrebbe sembrare assurda a chiunque abbia seguito la politica degli ultimi mesi. 
Siamo seri, un governo che deve fare una manovra da 60 miliardi per salvare l’Italia, come recitava il nome del decreto, poi ne trova 80 da spendere? Altro che tecnici, sarebbero alchimisti, ciarlatani (ok, su quest’ultimo punto il dibattito è ancora aperto). 
E allora perché giornaloni, tg, siti internet e twitter devono accreditare balle colossali come questa con la stessa sicumera con cui, pochi giorni fa, annunciavano un’altra cifra iperbolica fornita sempre da Passera (100 miliardi per le infrastrutture)? 
Infatti 80 miliardi è una stima, priva di qualunque riscontro verificabile per ora, di tutti i soldi che si muoverebbero dopo il decreto, sommando qualche centinaia di milioni da parte dello Stato con i miliardi che i privati dovrebbero spendere incentivati dalle nuove norme. Capite bene che c’è la sua differenza.
Una spiegazione del successo di queste balle mediatiche è la piaggeria giornalistica, sicuramente, qualcuno sostiene anche l’incompetenza (a questo io non credo, bisogna essere abili a maneggiare le notizie, qualunque sia lo scopo che si persegue, informativo o altro). 
Ma c’è anche qualcosa di più inquietante: la convinzione, da parte di politici (o tecnici) e giornalisti, che gli italiani non vogliano o non possano capire. Bisogna consegnare loro una sintesi, uno slogan da ripetere a tavola, nei blog e con gli amici. Meglio se accompagnato da un numero, l’ideale è se ci sono miliardi, da etichettare con l’insopportabile gergo giornalistico – tipo “intervento monstre” –, nulla di più è dovuto a lettori ed elettori.
Il lettore però ha il potere assoluto, ha un euro e qualche centesimo da destinare altrove. Nessuna sorpresa che lo stia facendo sempre più spesso. E non è solo colpa della crisi.

La patacca della crescita. 80 miliardi di fumo...negli occhi
di Piemme - http://sollevazione.blogspot.it - 16 Giugno 2012

Non conosciamo ancora il testo integrale del "Decreto sviluppo" (61 articoli per 60 pagine) approvato dal Consiglio dei ministri, ma azzardiamo un giudizio: il governo Napolitano-Monti, oramai inviso alla maggioranza degli italiani e alle prese con le fibrillazioni della sua zoppicante maggioranza, si è fatto uno spot pubblicitario, cercando di abbellire la sua immagine funerea.

Passera ha affermato, in conferenza stampa, che «Il provvedimento mobiliterà risorse fino a 80 miliardi». Frase pelosissima che dice tutto e non dice niente. Anzitutto si tratta di una stima, poiché non siamo in presenza di risorse che lo Stato devolve alla cosiddetta "crescita", denaro, cioè che il governo getta nell'agonizzante circuito economico. 

Il Decreto consiste infatti essenzialmente di agevolazioni fiscali e di vari incentivi, ovviamente alle imprese, nella speranza che questi palliativi possano invertire il ciclo recessivo e di disinvestimenti. Alcuni punti dell'articolato si riferiscono al rilancio delle grandi infrastrutture e danno un po' d'ossigeno al settori immobiliare.

Le minori entrare fiscali dice che saranno compensate dalla dismissione del patrimonio pubblico e dal taglio delle spese della pubblica amministrazione (spending review). E' evidente che la cifra degli 80 miliardi è un desiderata, una speranza, quantyo mai ottimistica. 

E comunque occorrerà tempo affinché gli eventuali effetti del Decreto si facciano sentire —quanti anni occorreranno per mettere in vendita (meglio: svendita) e portare all'incasso i beni pubblici? Nel frattempo tutto potrebbe essere accaduto, tra cui  il doppio crack, dei debito pubblico e del sistema bancario.

E' evidente poi che non siamo in presenza (come il Pd cercherà di far credere) di un'inversione di tendenza della politica rigorista e monetarista per cui il "Governo dei tecnici" è stato messo in sella. 

Che poi questi provvedimenti invertano la tendenza recessiva e rilancino il ciclo economico, ne siamo sicuri, non ci credono nemmeno i giornalisti che in queste ore strombazzano alla "svolta" nella politica economica del governo. 

Ma questi, si sa, non possono sputare sul piatto dove mangiano. Siamo pronti a scommettere che una volta analizzato l'articolato del Decreto verranno fuori le magagne e il gioco di prestigio del governo sarà smascherato. Questione di giorni, non di settimane.

Parlando di cose serie la situazione economica continua a peggiorare, con il crollo del 9% della produzione industriale, l'aumento della disoccupazione, il calo inarrestabile dei consumi. Del resto lo spread aumenta inesorabile, portandosi ai livelli dell'ultimo Berlusconi; il Tesoro fa fatica a vendere i titoli di Stato e quando li vende  lo fa a prezzi stracciati e interessi crescenti. 

Il debito pubblico cresce e sta per raggiungere la cifra dei 2mila miliardi. Il declassamento del rating subito dalle banche italiane peggiora la loro crisi già grave (in barba alla chiacchiere) e rafforza la tendenza a non fare credito, né alle aziende né ai cittadini comuni. I capitali fuggono verso lidi più sicuri mentre i grandi gruppi finanziari stranieri, sentendo puzza di default fuggono dall'Italia. 

E' il crepuscolo dell'euro, vittima sia dei suoi guasti congeniti che della schizofrenia dei mercati finanziari, nei quali è ripreso in grande stile il gioco d'azzardo coi derivati per fare quattrini speculando su valute, obbligazioni, titoli e materie prime (protagonisti assoluti i biscazzieri anglosassoni).

In questa situazione solo degli stolti possono pensare che mettere delle toppe (ammesso e non concesso che si riesca effettivamente a metterle) possa, non diciamo essere risolutivo, ma anche solo alleviare gli effetti della crisi sistemica. La madre degli stolti è sempre gravida, dice il proverbio, ma non potrà esserlo all'infinito.


Quest'uomo non sta facendo gli interessi della Nazione
di Sergio Di Cori Modigliani - http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it - 14 Giugno 2012

Quest'uomo non sta facendo gli interessi della nazione. Ci sta svendendo. Ci sta affondando. E lo fa in piena consapevolezza.

Subdolamente, il sole24ore, ieri mattina, titolava “Schnell frau Merkel!”. L’idea di base consisteva nel ricordare ai propri lettori, a nome della Confindustria, che la situazione italiana oggi, sarebbe –secondo loro- com’era nell’ottobre del 2011 quando decisero di eliminare Berlusconi. Ricorderete che, in quei tumultuosi giorni, il quotidiano economico titolò “Fate presto” con anomale lettere cubitali, schiacciando il campanello d’allarme.

Il secondo significato, retrostante questo titolo, consisteva nel fornire un viàtico d’accompagnamento per il ragionier vanesio che stava partendo per Berlino, incitandolo a metter fretta alla Merkel, sapendo che a Berlino, a Wall Street, alla borsa di Londra, ilsole24ore è un giornale che viene letto quotidianamente con la lente d’ingrandimento, con il microscopio e con esperti interpreti di cose italiane, per comprendere che cosa stia accadendo nel nostro paese.
 
La Merkel ha risposto –ed era fin troppo chiaro che la frase era rivolta all’industria italiana- addirittura di persona. In un breve commento rilasciato a un giornalista di Der Spiegel ha detto: “L’Italia è un paese solido che sta facendo molto bene. E’ un momento delicato e ne siamo consapevoli. Non c’è fretta. Non c’è alcuna fretta”. Fine della trasmissione.
 
Poche ore dopo, in conferenza stampa, il nostro premier si è dilungato nella sua consueta melensaggine, imboccando la truppa mediatica asservita perché gli facessero la domanda giusta, che, va da sé, è puntualmente arrivata.
 
“Lei ritiene, signor presidente, che ci troviamo nella situazione in cui sarebbe il caso di prendere in considerazione l’ipotesi di dare il via alle dismissioni del patrimonio pubblico italiano?”.
 
Risposta ufficiale: “Le dirò di più, se è per questo. Posso tranquillamente dire che non soltanto è un ipotesi, ma stiamo studiando il progetto che è in fase avanzata, l’abbiamo già preparato, e sarà mio compito e dovere quello di informare molto presto sia il parlamento che l’opinione pubblica della scelta che il governo farà, in merito alla questione”. Fine della trasmissione.

Travolti dallo spread, rigore, tagli, ecc., la vendita del patrimonio pubblico verrà presentata come necessità, addirittura richiesta a gran voce da tutti, con l’aggravante suicida di un sospiro di sollievo, perché così si evita una manovra suppletiva per evitare che la massa sia costretta perfino a rinunciare all’ombrellone in spiaggia. Il che, in questo paese di bèceri, potrebbe far scatenare tumulti sociali. Per la serie TINA: non c’è alternativa. “O vendiamo o c’è il baratro”. Così stanno organizzando la faccenda.

Ciò che non viene spiegato (approfittando dell’amnesia italiota) sono i precedenti.
Ricorderete il 10 gennaio 2012.
Il governo si era insediato da due mesi, era passato il decreto salva-Italia (???) con l’applicazione dell’Imu, il taglio delle pensioni, l’aumento dell’iva e la manovra suppletiva. Tutti adoravano Mario Monti dove contava, in Italia, su un saldo 75% di gradimento.
 
Il nostro baldo premier, sull’onda del successo, vola a Londra dove rimane tre giorni.
Ritorna più pimpante che mai.
 
Vengono rilasciate diverse dichiarazioni ufficiali nelle quali non si dice nulla di nulla. In teoria non si capisce neppure che cosa sia andato a fare in Gran Bretagna se non a prendere dei gran applausi, onorificenze varie, medaglie, premi e cotillons. Si disse, allora, che era un investimento d’immagine per mettere una pezza con gli inglesi laddove il sultano di Arcore aveva creato uno spaventoso vuoto di credibilità. Tutti d’accordo. Abbasso la fellatio, evviva la sobrietà!

Chiedo scusa ai lettori perché qui devo fare un’autocitazione, ed è davvero imbarazzante.

Questo blog fu l’unico, in Italia, a dare la notizia che Monti, in Inghilterra, si era incontrato con il management finanziario che gestiva fondi d’investimento in Italia presso la Black Rock hedge funds gestito da Goldman Sachs, emiri arabi, gruppi oligarchici della massoneria conservatrice inglese, e aveva chiuso un accordo che ruotava su questi princìpi: dava in garanzia (cioè vendeva) parte delle riserve auree dell’Italia (di cui non è tenuto a dar conto al popolo italiano –sorretto dalla Legge- perché la notifica, il presidente del consiglio la deve dare al ministro dell’economia (che è lui) il quale la deve poi sottoporre per approvazione al ministro del tesoro (che è sempre lui) e poi farla sottoscrivere dal governatore della Banca d’Italia, dal presidente e dal vice-presidente (da lui appena eletti in carica); in cambio otteneva la garanzia che la Royal Bank of Scotland e la Banca d’Inghilterra avrebbero acquistato btp italiani fino a portare il differenziale di spread intorno ai 150 punti entro tre mesi al massimo; si accordò con il potere finanziario oligarchico che da sempre ha come sogno e come ambizione quello di appropriarsi dei gioielli italiani che appartengono allo Stato, quindi al popolo che paga le tasse, vendendoli di lì a sei mesi. 

In tal modo, si andava ad attaccare la spina dorsale della ricchezza della repubblica italiana statale, calcolata intorno ai 2000 miliardi di euro (unica garanzia per evitare di finire come lo Zimbabwe) oltre al fatto dell’importanza geo-strategica nell’avere sotto controllo statale ENI, ENEL, FINMECCANICA, ITALGAS (gestione delle risorse energetiche e militari); si andava ad intaccare la più importante risorsa italiana non finanziaria in assoluto: circa 10.000 opere d’arte e 2.500 edifici storici per un valore riconosciuto intorno a diverse centinaia di miliardi di euro; gran parte delle opere d’arte si trovano nei caveaux sotterranei della Galleria Uffizi, nei sotterranei sotto al Campidoglio, in Umbria, in 150 caveaux sigillati controllati dalla Guardia di Finanza; si consentiva il via libera nel conferimento delle licenze d’esercizio ad uso capione della battigia di tutto il litorale adriatico da Ravenna al Gargano, comprensivo di un piano d’investimento turistico-alberghiero che avrebbe visto la gestione proprietaria in joint venture dei Lloyd’s di Londra e della Allianz di Francoforte che avrebbe, inevitabilmente, finito per strozzare tutto il settore alberghiero gestito come impresa a conduzione familiare, e che dà da mangiare a circa 2 milioni di persone dal Veneto alla Puglia, passando per Romagna, Marche, Abruzzo. 

Poiché nell’accordo entrava anche la finanza araba, interessata sia a Eni (così vendono il petrolio a se stessi e il profitto finisce a Riad) sia alle grandi banche italiane (così gestiscono sia il patrimonio immobiliare del nostro paese sia la possibilità di avere gangli importanti per il lavaggio veloce di capitali di dubbia origine) venne garantita, in quell’occasione, che la imminente ricapitalizzazione della più importante banca “made in Italy” (così come richiesto dalla BCE) cioè Unicredit, sarebbe avvenuta in modo tale da far passare il pacchetto di maggioranza di controllo a un pool gestito da dodici emiri della EAU (Emirati Arabi Uniti) nel Golfo Persico, in tal modo liberi di poter intervenire a proprio piacimento nella gestione della finanza italiana.

Dieci giorni dopo, inizia la ricapitalizzazione ufficiale di Unicredit che si conclude con successo intorno all’ 8 febbraio. Il controllo del gruppo passa alla Aqbar Investment che sceglie come delegato a rappresentarli ufficialmente in sede di consiglio di amministrazione Luca di Montezemolo.
Il 10 febbraio 2012 il titolo valeva 4,76 euro.
Oggi, ne vale 2,34.
 
In data 6 giugno 2012, Corrado Passera ha definito Unicredit “una banca solida in piena salute”. A voi sembra possibile che sia in piena salute un’azienda che in tre mesi perde in borsa il 51% del proprio capitale?
 
La Aqbar ha fatto spostare circa 40 miliardi di euro, di cui non deve dar notifica a nessuno, per coprire parte dei quali sono state necessarie delle richieste alla BCE, immediatamente accettate.
La banca è diventata un colabrodo ambulante.
Comunque sia, non è più italiana. La pubblicità televisiva recita un falso di mercato.

Quaranta giorni dopo, il 28 febbraio, il differenziale di spread scende fino a 274 punti. Certamente non lo fu grazie alle manovre economiche del premier, bensì grazie al fatto che i partners privati dell’accordo stavano rispettando la parola data. 

Esaltato dalla propria onnipotenza, Mario Monti annuncia in quel fatidico giorno: “Non vedrete più alcuna impennata di spread, ne potete star certi; stiamo calcolando il grande piano di investimento nazionale per la crescita basandoci sulla certezza che tra breve il differenziale di spread sarà ritornato a un sostenibile 150/200, forse, ma non voglio peccare di eccessivo ottimismo, addirittura sotto i 100 punti. In tal modo gli interessi che l’Italia deve pagare saranno molto ma molto inferiori a quelli precedenti e attuali”.

Tre mesi e mezzo dopo, cioè oggi, è a 480, il 232% in più delle previsioni del governo.

Calcolando (al millesimo) le aspettative del premier fatte in quel momento, e l’esatta ratio del mercato, mancano altri 32 miliardi di euro che devono essere coperti.
A questo punto viene spontanea una reazione: sono degli incapaci, sono somari.
Magari!

Sono bravissimi, invece.
Il punto è che il loro obiettivo non consiste nel fare gli interessi dell’Italia.
Il loro obiettivo non consiste nel salvaguardare il patrimonio nazionale, quello finanziario, industriale, immobiliare, energetico, strategico, paesaggistico, geologico, artistico, culturale.
Il loro obiettivo non consiste nel pianificare una potenziale ripresa per impedire la svendita.
Proprio no.

Il loro obiettivo consiste proprio nel gestire la svendita.

Strozzata dall’accoppiata Berlusconi/Monti, l’Italia è in saldo al peggior offerente.

Sono bravissimi, non vi è dubbio: a fare interessi terzi.
Sono bravissimi, non vi è dubbio: a servire chi ha interessi strategici nel mettere in ginocchio la ricchezza del paese.
 
Sono bravissimi, non vi è dubbio: a garantire l’uscita dell’Italia (fino a pochi anni fa leader planetario nella produzione di merci, beni e servizi) dalle nazioni che contano perché sono ricche di loro.
Sono bravissimi, non vi è dubbio: a far credere al paese, per la seconda volta in otto mesi, che “o è così o il baratro”.

Anche Adolf Hitler propose se stesso, nel 1932, come unica alternativa possibile per recuperare la dignità perduta dal popolo tedesco.
Anche George Bush jr. propose se stesso nel 2000 come unica alternativa possibile per la ripresa economica planetaria e per la diffusione della pace nel mondo. Ecc., ecc.

Quest’uomo non mi piace.

Non fa gli interessi del mio paese.

E io, al mio paese, davvero ci tengo.

Riguarda la destra e riguarda la sinistra, i settentrionali e i meridionali, i giovani e gli anziani.

E sia chiaro che non ha nulla a che fare con il nazionalismo.

Si tratta della inderogabile presa di coscienza collettiva che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità individuali e cominciare a pensare in proprio, senza aspettare che arrivi l’uomo del destino o qualche potenza straniera a salvarci.

Sono otto mesi che l’uomo del destino è arrivato. Sono otto mesi che le potenze straniere si sono schierate a disposizione per darci una mano.

I risultati odierni stanno sotto gli occhi di tutti.

La bagarre tra americani, inglesi, tedeschi e austriaci, su chi attacca oggi l’Italia e chi, invece, la difende, non è altro che una squallida giocata a poker tra squali bulimici e impietosi, seduti al tavolo dove li ha messi a giocare Mario Monti, garantendo tutti che le carte sono truccate, perché lui è il mazziere.

C’è chi strilla perché vuole un ulteriore sconto prima di passare alla cassa.

Tutto qui. Né più né meno.

“It’s just business”.

Sulla pelle di tutti noi.

Contano sul fatto che tanto gli italiani si bevono qualunque cosa.

Personalmente, preferisco fare lo sciopero della sete. 


Lo sanno
di Paolo Barnard - http://www.paolobarnard.info - 16 Giugno 2012
 
Pompare migliaia di miliardi di euro nelle riserve delle banche europee, il programma LTRO di Mario Draghi, non aiuta né aiuterà una singola azienda e una singola famiglia in tutta Europa.

Spiegazione: le banche prestano ad aziende e famiglie se esse appaiono in grado di ripagare i debiti. Non importa quanti trilioni di euro la BCE gli versa nelle riserve. Le banche prestano a clienti con le finanze a posto, se no non prestano.

Per apparire tali, cioè con le finanza a posto, aziende e famiglie devono vivere in un’economia che tira, e questo lo può ottenere solo una politica di Spesa a Deficit Positivo del governo, dove la spesa del Tesoro con moneta sovrana diviene automaticamente beni finanziari al netto per aziende e famiglie, cioè MMT. Oggi questo non esiste da noi, e le banche non prestano (stretta creditizia), le aziende non respirano, gli stipendi calano, l'occupazione crolla ecc ecc.

Allora:

Pompare trilioni nelle banche = politica monetaria.

Spesa a Deficit Positivo del governo = politica economica.

L’Eurozona non ha più una politica economica. Solo una mostruosa politica monetaria.

Questo non aiuta nessuno, né aziende né famiglie.

Draghi lo sa. Monti lo sa. Lo fanno apposta. E’ economicidio.  


Gli aiuti che uccidono
di  Marcello Foa - Il Giornale - 14 Giugno 2012

Sarò all’antica, ma non riesco a capire la logica degli aiuti o forse la capisco fin troppo bene. Li chiamano aiuti, ma in realtà sono un cappio al collo di chi li riceve, secondo un meccanismo che gli economisti senza paraocchi hanno illustrato da tempo. 

Storia vecchia, considerato che il debito rappresenta la formula più efficace di dominazione. Chi si indebita e non è sorretto da ingenti risorse proprie, perde la propria libertà. Vale per i privati, per la aziende e per gli Stati.

I perversi meccanismi europei del cosiddetto Fondo Salva Stati (Esf) hanno però introdotto una variante diabolica: strangolano anche chi aiuta. Quel fondo prevede infatti che tutti gli Stati provvedano al suo sostentamento. 

Giusto, in teoria, ma gli effetti pratici sono paradossali. L’Europa ha iniziato elargendo miliardi a Grecia e Portogallo, i quali sono stati finanziati anche da Spagna e Italia ovvero da due Paesi a rischio. 

Ora tocca alla Spagna, che naturalmente non finanzia; tocca agli altri. Il risultato è stato illustrato da Stefania Tamburello in questo ottimo articolo dal quale risulta che nel 2012 l’Italia avrà pagato in aiuti ben 48 miliardi di euro.

Dunque da un lato Bruxelles e il suo fedele interprete Mario Monti dissanguano il Paese in nome del rigore, dall’altro si aprono nei nostri contri pubblici ulteriori voragini per… salvare chi sta peggio di noi. 

L’epilogo è scontato: tra la recessione in arrivo ed esborsi di questa entità entro breve anche l’Italia arriverà al capolinea, come dimostrano i movimenti dei mercati finanziari di queste ore.

Che gran risultato…. e senza alcuna prospettiva futura. Stanno portando l’Europa alla schiavitù….


Corruzione e governabilità
di Giovanni Gnazzi - Altrenotizie - 14 Giugno 2012
 
Rassicurazioni e fiducia ricevute dall’abc della politica Monti le ha incassate volentieri alla vigilia del viaggio in Germania. Temeva di presentarsi zoppo davanti a Shauble e ha quindi chiesto un pedaggio visibile alla stramba maggioranza che lo sostiene. 

Ma se il sostegno alla politica economica, pur tra molti mugugni, è stato confermato, quello sulle riforme che riguardano direttamente il sistema di potere nel paese non gode dello stesso credito.

Il decreto anticorruzione, che per molti aspetti è fatto di pannicelli caldi, è risultato comunque indigesto per la maggioranza del cavalierato. Eppur si tratta soprattutto di manovre estemporanee più destinate al riposizionamento interno della destra che alla sostanza del provvedimento.

Perché a ben guardare, mano più leggera non la si poteva avere. Via i condannati dal Parlamento, certo. Ma solo dal 2018 in poi. E perché non da subito? Quando si tratta d’intervenire sul mercato del lavoro non ci si preoccupa nemmeno della retroattività dei provvedimenti, ma quando si tocca la corruzione - nella quale la casta dei politici è solo una delle tante coinvolte - allora si aprono ogni sorta di paracadute per consentire un atterraggio il più possibile morbido.

I ritorni sono vari. Ad esempio, spostare di una legislatura (nominalmente, perché in sei anni potrebbero essercene molto di più) è cosa decisamente utile per tutti coloro i quali hanno solo una legislatura alle spalle e dunque abbisognano della seconda per poter poi riscuotere la pensione di parlamentare.

E’ altresì utile per tutti coloro che pensano di utilizzare gli anni che verranno come salvacondotto dai loro guai giudiziari (vedi prescrizione) e, infine, è utile anche per le segreterie dei partiti, che potranno operare una selezione dei gruppi dirigenti anche sulla base dei provvedimenti giudiziari aperti e sui criteri relativi all’ineleggibilità.

Non sarebbe la prima volta che la selezione della classe dirigente fosse basata non sulle competenze quanto sui carichi pendenti. Nel frattempo, per evitare però contraccolpi bruschi che rischino davvero rendano efficace la norma, è stato stabilito che il termine ultimo per stabilire l’ineleggibilità sarà comunque tra un anno, cioè dopo che le elezioni avranno avuto luogo e i corrotti saranno stati rieletti.

Berlusconi, con una franchezza involontaria, ha dichiarato che le norme sulla corruzione in primo luogo danneggiano il PDL. Il che non è soltanto la certificazione di quanto ormai tutti sanno, e cioè che la corruzione sta al PDL come lo statuto ad un partito, ma anche che un provvedimento di per sé punitivo nei confronti della corruzione vede comunque la luce. 

Ad evitare che però il danno per il partito divenisse un danno per le aziende del capo, ci ha pensato il prode Cicchitto, che ha avvertito il governo che se a malincuore il provvedimento é stato votato, non si deve interpretare la buona volontà come una resa alla legalità. 

Dunque, un’eventuale introduzione della norma relativa all’abrogazione del falso in bilancio (la proposta dell’IDV prevede il ripristino delle pene precedenti, cinque anni e non due come modificate dal governo Berlusconi) risulterebbe intollerabile e non sarebbe votata, dunque il governo verrebbe sconfitto in aula.

In fondo, anche le ultime posizioni del PDL sono coerenti con la forma e la sostanza con la quale ha gestito il paese il governo Berlusconi: fate quello che volete al Paese, ma giù le mani dall’impero e dall’imperatore. Insomma: Alfano a palazzo Chigi dice a Monti di andare avanti sereno, Cicchitto a Montecitorio dice alla Severino che se Monti disobbedisce il governo va a casa. 

Se il governo naviga a vista, i trentotto "no" e i 72 assenti del PDL nel voto di ieri hanno le sembianze dell'avviso ai naviganti. Morale? Mantenere la rotta. Come? Obbedendo e vivendo sereno il tempo breve che resta.


Expo 2015, la cambiale lasciata dalla Moratti
di Davide Vecchi - Il Fatto Quotidiano - 16 Giugno 2012
 
Paolo Conte suonava, Vittorio Sgarbi discettava di Gioconda con ambasciatori e consoli africani e indonesiani, l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, orgogliosamente accompagnato daRoberto Formigoni ripeteva “siamo una squadra”, mentre Letizia Brichetto Arnaboldi, sottobraccio al marito Gian Marco Moratti, stringeva mani e cercava di convincere gli ultimi indecisi, garantendo che Milano avrebbe mantenuto tutti gli accordi presi. Era la notte del 25 marzo 2008, la sera prima del voto al Bie per l’assegnazione di Expo 2015
Nella Piramide davanti al Louvre il comitato presieduto dall’allora sindaco Moratti aveva riunito 400 invitati tra cui i vertici diEni e Finmeccanica, ben introdotti nei paesi con diritto di voto (dall’Iran alla Nigeria), oltre ai rappresentanti degli Stati che avrebbero deciso se assegnare l’esposizione internazionale a Smirne o a Milano. 
I regali distribuiti come gadget della serata a presidenti e ministri vari (Rolex e Mont Blanc) erano solo l’ultimo atto di un’attività di lobbying avviata sei mesi prima.
Un tour promozionale costato circa 7,5 milioni di euro, spesi ovunque. Ma in particolare nei Paesi considerati in via di sviluppo, perché al Bie il voto della Francia vale quanto quello del Gabon. Milano vinse su Smirne 86 a 65. 
Da qui comincia il fallimento di Expo che ha portato il sindaco Giuliano Pisapia a decidere di dimettersi da Commissario straordinario, spronando il governo dei tecnici. Il primo cittadino, del resto, si è ritrovato il giugno scorso con i commissari del Bie a verificare cosa avesse fatto la società Expo dal 2008 al 2011. 
E risultò che nulla aveva fatto. Tranne litigare. Il primo anno la Moratti l’ha perso nel tentativo (fallito) di far nominare amministratore unico il fidatissimo (ma privo dei requisiti anche secondo gli altri membri del cda) Paolo Glisenti
Insediato Lucio Stanca (contemporaneamente anche parlamentare) e Diana Bracco (all’epoca presidente di Assolombarda) un altro anno è andato via per una questione apparentemente semplice: scegliere cosa fare delle strutture costruite per l’Expo con soldi pubblici una volta terminata l’esposizione. 
Con il particolare che i terreni sono diventati edificabili per 750.000 metri quadri di nuove abitazioni. Una nuova città. Alla fine si decide di comprare dai proprietari: laFondazione Fiera, che incassa circa 80 milioni, e il gruppo Cabassi ne riceve 40. Quando Pisapia si insedia a Palazzo Marino, dunque , Expo è un progetto che esiste solo sulla carta dei progetti e quella degli impegni assunti con i vari Stati.
Come l’Alleanza per l’Africa, una fondazione con una dote (sulla carta) di 10 milioni di euro di progetti di cooperazione. Al primo ministro di Antigua, Baldwin Spencer, già grande amico di Silvio Berlusconi, Moratti nel marzo 2008 promise fondi per l’illuminazione delle strade; finanziare un progetto di ricerca per la barriera corallina; costruire una scuola di calcio con un impianto sportivo; realizzare corridoi di transito per la navigazione commerciale e un centro di canottaggio. Ma non solo. Anche collegamenti aerei diretti, strade, intensificare gli scambi commerciali e creare delle borse di studio riservate agli universitari. Tutto messo nero su bianco. 
Come l’accordo stretto con la Mongolia di collaborazione nelle energie rinnovabili. Mentre alla Guinea Bissau Moratti si era impegnata a fornire una collaborazione per la raccolta dei rifiuti. 
In Iran l’Università di Pavia dovrebbe andare a tenere dei corsi di prevenzione sismica, stando agli accordi presi da Moratti. Mentre alle Isola Marshall la società ha garantito una “introduzione alle tecniche di solar cooling”. In Gabon l’accordo prevede la formazione delle guardie forestali. Promessi inoltre scuolabus per i bambini delle isole dei Caraibi; una tranvia in Costa d’Avorio e una centrale del latte in Nigeria. 
Ma l’elenco è infinito. La stima della spesa per mantenere solo gli accordi raggiunti per vincere Expo è di circa 60 milioni di euro. Quello che è costato meno è stato il patto con Cuba: gli sono stati inviati degli autubus dismessi da Atm. Se ne saranno accorti, perché l’isola di Castro poi ha votato Smirne e non Milano.