martedì 31 maggio 2011

Update italiota

Qualche articolo sulla realtà italiota...


Il delirio demagogico
di Franco Cardini - www.francocardini.net - 23 Maggio 2011

Forse, dopo tutto, ha tragione Giuliano Ferrara. Nel fronte berlusconiano abbondano i moralisti. Ma che i moralisti siano di conseguenza anche ipocriti, questo non è vero.

Ed è davvero troppo comodo, da parte di chi ha – da “ateo devoto” – fatto da dieci anni l’apologia delle Sante Bombe seminate a grappoli sull’Iraq e questa l’Afghanistan a maggior gloria del Dio e della “civiltà cristiana” dell’Occidente, rivestire poi i panni di un’etica dalle maniche larghe per accusar d’ipocrisia chi in fondo è reo soltanto di far appello alla morale cristiana.

Dal che si deduce che, secondo il catechismo del beato Silvio da Arcore, veramente cosa buona e giusta sia tanto l’ammazzare dei disgraziati, quanto l’organizzare dei bunga-bunga. Con Berlusconi, si va davvero in Paradiso in carrozza.

Pazienza. Da moralisti, ci accontenteremo a questo punto di andar in Purgatorio. Ma, proprio in quanto siamo tali, ormai del Berluska e dell’Elefantino non ci stupiamo e nemmeno ci scandalizziamo più.

Diverso è però il discorso quando la corruzione arriva a colpire personaggi che ci si augurava ancora non del tutto compromessi. Specie quando fanno confessione di un cattolicesimo che vogliamo continuar ad augurarci serio: perché, dicevano i latini, corruptio optimi pessima.

E’ il caso che sta emergendo in questo dibattutissimo ballottaggio milanese, che mi vede costretto - e Dio sa se me ne duole – ad augurarmi che la mia vecchia amica Letizia Moratti, della quale sono stato collaboratore in Rai fra ’94 e ’96, esca battuta.

Ma, anche in questo frangente, non riesco più a scandalizzarmi di Berlusconi che impazza in TV a reti unificate (a me sabato 14 maggio la RAI negò una rapida comparsa al Salone del Libro, dove stavo facendo il mio lavoro di professore, in quanto candidato al Consiglio comunale di Latina nella lista Pennacchi: quando si dice la par condicio); né mi meraviglia che, per accalappiare i voti dei peggiori cittadini, ne accarezzi gli istinti più vergognosi promettendo condoni edilizi e cancellazioni delle multe.

L’uomo di Arcore è questo: un corrotto corruttore del quale è ormai chiaro che ci si deve liberare al più presto, come si fa con le zecche e gli scarafaggi. Senza neppur scomodarsi a odiare. Magari, solo con un po’ di schifo.

Ma quando il contagio attacca persone come un altro mio vecchio amico, Roberto Formigoni, con il quale condivisi nell’ormai lontano 1993 un viaggio nell’Iraq minacciato dagli americani, allora il discorso è diverso.

Mi ha offeso e mi ha fatto male la sua requisitoria elettorale contro lo “scandalo” e il “rischio” di una moschea a Milano: e vorrei che non si abbassasse più al livello della peggiore xenofobia leghista pur di ramazzar quattro voti da una teppaglia ignorante.

Ma lo sa, il Presidente Formigoni, che i musulmani nel mondo sono già un miliardo e mezzo, dei quali molti milioni indispensabili alla nostra economia sia come lavoratori, sia come clienti?

Lo sa che a Parigi, oltre a una monumentale moschea, ce nesono ben altre 20, e che a Londra sono 19?

Vogliamo davvero far sapere a tutti che ormai Milano è una città di provincia, nella quale si ragiona piuttosto alla maniera del capoluogo friulano che non della capitale britannica?

Nella Luce del mondo, Benedetto XVI ha ricordato che i musulmani hanno il diritto “naturale” a disporre di luoghi di culto come chiunque altro. Chi esprime riserve in nome del principio di reciprocità – un argomento ambiguo, sul quale torneremo tra breve – deve ben rendersi conto che, presupposto alla reciprocità, deve esserci l’esempio di una buona volontà che attualmente in Italia non si vede.

Chi sostiene che le moschee potrebbero trasformarsi in “centrali di terrorismo”, dovrebbe capire che questa è una ragione di più per favorirne l’apertura: un centro pubblico e aperto è molto meglio controllabile di un sottoscala o di un garage.

Chi si preoccupa dell’igiene, non può non adire ad analoghe conclusioni per motivi ovvii: permetter la preghiera in locali poco agibili o all’aria aperta è improponibile, vietarla tout court è incostituzionale.

Chi ritiene che non sia giusto incoraggiare l’Islam in quanto religione oppressiva e oscurantista, dovrebbe riflettere sul fatto che in tal caso è opportuno che i musulmani, disponendo di un luogo pubblico nel quale liberamente convenire, si espongano piu agevolmente al contatto con i nostri piu liberi quadri mentali e sociali, possano esercitare un confronto e siano per questo indotti a scegliere per il meglio. Non c’è quindi alternativa.

Insomma, forse sono proprio gli antimusulmani quelli che, per primi, dovrebbero convincersi della convenienza dell’apertura di un numero di moschee necessario ai fedeli islamici: giustizia a parte, per ragioni di controllo, di ordine, di pulizia, di libertà.

Tutte ragioni che stanno dalla parte della cultura occidentale. Ovviamente, parliamo di antimusulmani che siano anche onesti e intelligenti. Ammesso che ciò non sia un ossimoro.

E veniamo con ciò a un tema specifico. Fra le ragioni in buona o in mala fede addotte da chi si oppone all’apertura di luoghi di culto per i musulmani nel nostro paese, una di quelle in apparenza più equanimi e decorose riguarda il cosiddetto “principio di reciprocità”. Apriamo pure delle moschee da noi: a patto che anche da loro siano consentiti l’apertura di chiese e il libero esercizio del culto cristiano.

Sembra un ragionamento impeccabile. Ma basta pensarci un po’ su - magari con l’ausilio del metodo dialettico del buon Pietro Abelardo, padre della scolastica (ricordate il suo Sic et Non?) - per rendersi conto che le cose non stanno affatto così.

E allora, udite udite. Il “principio della reciprocità”, invocato nello specifico caso delle moschee, è impraticabile per due ragioni. A livello giuridico, è assurdo. A livello morale, è infame.

Assurdo al livello giuridico. Lasciamo perdere il fatto che di chiese, in molti paesi musulmani – dall’Egitto alla Siria alla Giordania all’Iran; e all’Iraq, dove prima della “liberazione” erano luoghi di culto anche sicuri - ce ne sono eccome (esse mancano semmai nel paese arabo più amico dei governi occidentali, l’Arabia Saudita): e talvolta ospitano perfino culti comuni allo stesso Islam, come accade nel santuario della madonna del Latte a Betlemme o in quello della Vergine Incarnata di Seidenaya in Siria. Ma non è questo il punto.

L’assurdità della richiesta dipende dallo statuto giuridico ordinario della reciprocità, che per esser tale dev’essere il risultato di atti paritetici tra soggetti omogenei: ad esempio, due stati.

Ora, nel nome di che cosa, per esempio, gli italiani potrebbero chiedere l’apertura di una chiesa a un paese musulmano che la vieta?

Ve lo immaginate un diplomatico della laica repubblica italiana che contratta l’apertura di un luogo sacro, salvo non si tratti di qualcosa ad esclusivo uso dei suoi compatrioti?

Oppure potrebbe configurarsi un’azione, ad esempio, delle Nazioni Unite? Ma le Nazioni Unite hanno una veste per rappresentare le comunità cristiane?

E presso chi dovrebbero esse insistere, dal momento che l’Islam non ha una Chiesa, né una disciplina ecclesiale, né un apparato dogmatico-istituzionale?

E lo stesso papa, se volesse negoziare l’apertura di chiese cattoliche, a chi dovrebbe rivolgersi, salvo ai singoli governi uno per uno: e fornendo in cambio quale tipo di garanzie, visto che il suo potere temporale si estende sul solo Vaticano?

E infine, non è ridicolo pensare che un qualunque sindaco potrebbe vietare, che so, a una comunità di musulmani marocchini presenti sul suo territorio comunale di aprire una moschea, adducendo il fatto che il re dell’Arabia Saudita non consente l’apertura di chiese? Come potrebbero aver a che fare, dei marocchini, col sovrano di Riad?

Ma a livello morale la cosa si fa piu chiara e più dura. Noialtri che ci diciamo “occidentali”, abbiamo tra i fondamenti del nostro esser tali qualcosa che riposa sulla morale cristiana, ma anche sulla filosofia di Locke e di Voltaire: la tolleranza.

Voltaire l’ha tradotta in una formula splendida, anche se noialtri l’abbiamo purtroppo tradita: io non condivido in nulla il tuo pensiero, ma sono disposto a farmi ammazzare per difendere il tuo sacrosanto diritto di pensare liberamente quello che vuoi.

Ebbene: come cattolico e come cittadino italiano, fino dall’infanzia sono stato fedele a questo principio, che mi è stato confermato in famiglia, a scuola e in anche in parrocchia.

Io non permetterò mai a nessun beduino fanatico, fosse anche travestito da re-petroliere, d’indurmi a recedere da questo sacrosanto fondamento della mia etica civile provocandomi con la sua intolleranza e tentandomi a seguire, per ritorsione, il suo cattivo esempio.

Non gli permetterò mai di averla vinta. I principii non si barattano. Chi non capisce ciò non è degno della libertà della quale gode e della quale va tanto fiero.




A dieci anni dal G8 di Genova. Un'inchiesta contro l'insabbiamento

di Davide Pelanda - Megachip - 29 Maggio 2011

Nel libro “L'eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova” (Feltrinelli editore) scritto da Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci in vista della triste ricorrenza dei dieci anni dei drammatici fatti del G8 di Genova 2001, compare anche la figura di un uomo d’affari siriano scoperto casualmente grazie a un’intercettazione telefonica «che era nella black list dell’Onu – spiega Agnoletto - e che aveva contatti con pezzi importanti della questura genovese».

Il personaggio in questione è Ahmad Fouzi Hadj, «sotto inchiesta a Montecarlo per riciclaggio – scrivono Agnoletto e Guadagnucci – e sospettato dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, sulla base di un rapporto di esperti dell’Onu, di coinvolgimento nel traffico internazionale di armi».

Nel libro si parla poi di un «bonifico che attraverso una banca lettone (la Multibanka di Riga, inserita dal dipartimento di Stato Usa nella “black list” dopo l’11 settembre 2011) dirotta 53.000 euro sul conto di Oscar Fioriolli, fra il 2001 e il 2007 questore di Genova. Fioriolli ha spiegato che si trattava di un prestito personale – in via di restituzione – ottenuto da un vecchio amico del quale non conosceva le disavventure giudiziarie…».

Tutti argomenti, questi ed altri, contenuti nel libro ma non altrove. Già questo slancio da grande inchiesta, unitamente al coraggio degli autori, fa fare grandi passi alla ricerca della verità sulla scandalosa vicenda di Genova 2001.

«Non c’è ombra di dubbio – spiega Vittorio Agnoletto, che all’epoca dei drammatici fatti era il portavoce del Genoa Social Forum - che la Costituzione e la democrazia, nei giorni di Genova 2001, sono stati completamente cancellati. Quello che noi ci auguriamo è che questo paese possa ritornare nel pieno della democrazia.»

Una delle questioni principali ricordate nel libro riguarda i massimi responsabili di quanto avvenuto a Genova. Nei dieci anni seguenti e durante i processi, sono tutti quanti rimasti al loro posto.

Agnoletto lancia un allarme preoccupato: «Fino a quando la sicurezza dello Stato, la difesa della Costituzione in questo paese viene affidata a delle persone che hanno costruito prove false, firmato verbali falsi, montato false accuse contro dei manifestanti, commettendo anche delle violenze e che per questo sono state condannate per istigazione e falsa testimonianza, noi non possiamo dire che nel nostro Paese siamo nel pieno di un sistema democratico.»

La speranza che cercano di trasmettere gli autori è che si possa tornare al pieno compimento della democrazia. Ma uno dei passaggi assolutamente necessari è «la destituzione delle persone condannate».

In Italia, anche per altri drammatici eventi rimasti misteri insoluti, la Verità con la V maiuscola non viene mai tirata fuori, si hanno sempre mille problemi. Perché anche voi avete avuto tante difficoltà sui fatti di Genova 2001, fino a subire spiacevoli intimidazioni ed episodi inquietanti, descritti, ad esempio, nel paragrafo iniziale dal significativo titolo “A vostro rischio”?

«Perché non è semplice in Italia pubblicare un libro dove una delle persone che viene condannata, e di cui si spiegano tutti i comportamenti, è l’ex capo della Polizia ed attuale dirigente unico di tutti e due i Servizi Segreti italiani.

Non è un caso che lo stesso Pubblico Ministero dell’inchiesta della Diaz e in tutti questi anni che ha celebrato e preparato il processo, abbia ricevuto diversi segnali inquietanti.

Non è un caso che tutte le trasmissioni televisive, anche quelle che tra virgolette diciamo essere di sinistra, hanno rifiutato di presentare questo nostro libro. I segnali sono molto, molto pesanti.

Eppure i regolamenti europei prevedono che, se una persona viene anche solo inquisita come Pubblico Ufficiale per reati commessi durante la propria funzione, deve sospendersi e, se viene condannato, deve essere dimessa. In Italia nulla di tutto ciò avviene né è avvenuto. E qual è quel magistrato che decide di andare fino in fondo contro il capo della Polizia e contro i Servizi Segreti ecc… ?

Non c’è nessun politico che abbia osato dire “si devono dimettere”, non uno nell’arco parlamentare odierno. Fare un libro come questo è dunque molto scomodo. Noi l’abbiamo fatto a nostro rischio e pericolo, continuiamo a parlarne a nostro rischio e pericolo. Perché siamo in pochissimi che abbiamo osato scrivere tutte queste cose».

E’ stato difficile trovare un editore coraggioso per pubblicare il libro?

«Diciamo che alla fine abbiamo trovato Feltrinelli che è stato disponibile»

Ma quanti ne avete girati prima del sì di questo editore?

«Diciamo che o lo pubblicava Feltrinelli o non lo pubblicava nessuno. La stessa cosa è che o ne parlano i giornali del movimento o non ne parla nessuno Non è un caso che i grandi quotidiani, il giorno che è uscito il nostro libro, hanno preferito dedicare una pagina intera ad un altro libro che su Genova 2001 non aggiunge assolutamente nulla e quindi….»

Vi siete fatti un’idea sul perché, sui fatti di Genova 2001, destra e sinistra hanno condiviso in qualche maniera il dissolversi della democrazia in Italia?

«La questione è un po’ più complicata, non è che destra e sinistra hanno condiviso un’ipotesi sovversiva. Diciamo che la destra ha costruito attorno a Genova 2001 un cinismo fortemente repressivo, con l’idea di stroncare un movimento che, in un anno e mezzo, era cresciuto in maniera estremamente forte: infatti, dal novembre 1999 (Seattle) al luglio 2001, il movimento di diffondeva in tutto il mondo.

Quindi l’unica posizione che esisteva nei disegni della destra era quello di stroncarlo in modo molto duro in una logica assolutamente eversiva.

Il centrosinistra nazionale invece ha due grandi responsabilità. La prima è l’aver contribuito a preparare Genova 2001 in tutte le azioni che si sono susseguite, non però in una logica eversiva. In tali preparativi è possibile individuare i limiti del centrosinistra nazionale e mondiale tutti interni alla globalizzazione: esso individuava nel G8, nelle organizzazioni mondiali del commercio, nella Banca Mondiale e nel Fondo Monetario Internazionale delle istituzioni positive che avevano solo bisogno di modificare un po’ le loro azioni.

Come dire che un’automobile che va bene dipende anche da chi si mette al volante, ma di fondo l’automobile va comunque bene. C’è quindi un Centrosinistra che continua muoversi nella logica della globalizzazione liberista, collocandosi tragicamente dentro il liberismo.

L’altro limite del centrosinistra a Genova 2001 e che di fronte alle violenze commesse dalla Polizia, il cui vertice è stato nominato dallo stesso schieramento politico, preferisce non vedere, non prendere posizione, difendere comunque i vertici della Polizia e insabbiare la commissione d’inchiesta e non volersi costituire parte civile. In questo secondo punto si può iscrivere tranquillamente la decisione dell’ex sindaco Giuseppe Pericu di non costituire il Comune di Genova parte civile contro la Polizia.

In sostanza la gravità di ciò che è successo a Genova 2001 è che c’è stato un tentativo repressivo fortissimo da parte della destra in accordo con vertici della Polizia di nomina del centrosinistra: per salvare le loro carriere, sono state il braccio dirigente e operativo di ciò che è avvenuto. E la conseguenza dell’intervento del centrosinistra è volta a coprire tutto ciò».

Lei ha fatto anche il parlamentare europeo: che cosa si è pensato e si è detto nelle varie sedi europee ed all'estero, che cosa si è percepito dei fatti di Genova 2001?

«Il Parlamento europeo ha preso una posizione molto dura sul G8 di Genova, nel 2002 votò una risoluzione di condanna dell'Italia, mentre le diplomazie dei paesi europei hanno protestato tutte perchè tra le persone pestate e ferite c'erano dei loro concittadini. In Europa il comportamento delle forze dell'ordine venute a Genova è assolutamente inaccettabile.

Infatti noi proponiamo che anche in Italia si realizzino alcune misure proposte dall'Europa a cominciare dalla riconoscibilità dei tutori dell'ordine, che cioè ognuno abbia un codice identificativo ben visibile e che ne risponda. Oppure che nei corsi di formazione ci siano anche delle pratiche nonviolente che possano essere utilizzate per bloccare il contrasto, quando ci sono problemi di piazza. Oppure la legge contro le torture che l'Italia non ha ancora recepito...

Comunque tutte le inchieste fatte su Genova 2001 non avrebbero potuto proseguire se non ci fossero state le intercettazioni e se non ci fosse stata una autonomia dei magistrati rispetto al Governo».

Si può dire che, dopo dieci anni da quei drammatici giorni, in Italia su questo argomento come su altri c’è una “memoria corta”? Una “memoria scomoda”?

«Sì, c’è un tentativo forte di rimozione da parte della politica per le ragioni che ho detto prima. Da parte della politica non c’è nessuna voglia di andare a rievocare questi fatti. Tantomeno da parte della Polizia. C’è stato invece qualche magistrato disponibile che ha contribuito con noi a fare questo libro».

Che aria si respirava nelle varie udienze del processo a Genova?

«Il pubblico ministero Zucca lo spiega molto bene nel libro. Egli dice in sostanza: attenzione, perchè quando si fa un processo contro la Polizia, contro i suoi vertici, si ripetono scene che avvengono quando si svolge un processo per stupro, dove molte volte la colpevole sembra la donna che ha subito la violenza.

C'è un episodio molto semplice che noi raccontiamo: quando c'è il processo per i fatti della scuola Diaz, a dover passare sotto i metaldetector e ad essere perquisiti sono le vittime che devono andare a testimoniare le violenze subite: gli imputati invece entrano nell'aula senza essere perquisiti e senza passare per il metaldetector. Ecco, questa immagine credo sia sufficiente a rispondere alla domanda che mi ha fatto».

Secondo lei esistono ancora delle istituzioni che hanno un’etica? Diciamo un’etica istituzionale?

«Ci sono persone sia nelle Forze dell’Ordine che in Magistratura che continuano a mettere al primo posto l’onestà, la coerenza, che fanno il loro dovere definito dalla Costituzione.

Se invece la domanda è: ci sono istituzioni che, su questa vicenda, hanno sposato la ricerca della verità e della giustizia… Beh di istituzioni come tali non tanto; abbiamo un pezzo della Magistratura che ha cercato di fermare il processo, la politica che ha cercato di difendere gli imputati e i responsabili.

Non parliamo delle forze di polizia i cui vertici si sono comportati come una vera e propria banda….Leggere il libro e scoprire i comportamenti di dieci anni di vicende processuali è incredibile. E se uno non legge che sono poliziotti li può collocare tranquillamente nei processi contro la criminalità organizzata.

Quando a un certo punto un uomo dei vertici della polizia, uno dei più importanti, arriva a dire “non ho mai visto una molotov, io non sapevo neanche che c’erano quelle molotov alla Diaz” e poi viene presentato un filmato dove si vede che lui ha in mano il sacchetto con le molotov e a quel punto dice “usufruisco della possibilità di non rispondere”… Beh, questi sono comportamenti che vediamo nei processi alle mafie. Che questi siano al loro posto è incredibile, che la politica li abbia lasciati al proprio posto è ancora peggio».

Ha paura degli inquietanti episodi descritti nel libro?

«Per tutti questi anni io, assieme a pochi altri quasi isolato, ho sempre sostenuto che è stato giusto individuare chi ha picchiato alla Diaz e chi ha fatto le torture a Bolzaneto… ma bisognava risalire ai vertici, questo è il punto discriminante.

Bisognava risalire a chi ha ordinato di mettere le molotov dentro la Diaz, a chi ha coordinato. Quanto più io ho sostenuto questa cosa, tanto più si sono verificate quelle forme intimidatorie molto pesanti descritte nel libro e che, attraverso l’avvocato Pisapia, abbiamo sempre denunciato in Tribunale. Ma senza che fosse mai svolta alcun tipo di indagine. E l’avviso che ho ricevuto mentre iniziavo a scrivere il libro, e che riporto nelle prime pagine iniziali, credo sia molto chiaro.

D’altra parte noi raccontiamo anche di diversi tentativi di bloccare le indagini con nomi e cognomi: un capitolo, ad esempio, l’abbiamo titolato “La proposta indecente” quando ad un certo punto qualcuno chiede alla Procura di Genova di chiudere tutto e di far finta che le leggi non ci siano, oppure quando l’avvocato difensore di De Gennaro dice che “è inutile andare avanti nel processo perché queste accuse sono istituzionalmente incompatibili con il ruolo svolto dal mio assistito”. Come dire che, siccome è il capo dei Servizi, non può essere accusato di questo. Non è che tutti i giorni si trova un libro che racconta per filo e per segno questa ed alte questioni che riportiamo».


Anno Zero

di Massimo Gramellini - La Stampa - 31 Maggio 2011

Ieri in Italia sono finiti gli Anni Ottanta. Raramente nella storia umana un decennio era durato così a lungo. Gli Anni Ottanta sono stati gli anni della mia giovinezza, perciò nutro nei loro confronti un dissenso venato di nostalgia.

Nacquero come reazione alla violenza politica e ai deliri dell’ideologia comunista. L’individuo prese il posto del collettivo, il privato del pubblico, il giubbotto dell’eskimo, la discoteca dell’assemblea, il divertimento dell’impegno.

La tv commerciale - luccicante, perbenista e trasgressiva, ma soprattutto volgarmente liberatoria - ne divenne il simbolo, Milano la capitale e Silvio Berlusconi l’icona, l’utopia realizzata.

Nel pantheon dei valori supremi l’uguaglianza cedette il passo alla libertà, intesa come diritto di fare i propri comodi al di fuori di ogni regola, perché solo da questo egoismo vitale sarebbe potuto sorgere il benessere.

Purtroppo anche il consumismo si è rivelato un sogno avvelenato. Lasciato ai propri impulsi selvaggi, ha arricchito pochi privilegiati ma sta impoverendo tutti gli altri: e un consumismo senza consumatori è destinato prima o poi a implodere.

Il cuore del mondo ha cominciato a battere altrove, la sobrietà e l’ambientalismo a sussurrare nuove parole d’ordine, eppure in questo lenzuolo d’Europa restavamo aggrappati a un ricordo sbiadito.

La scelta di sfidare il Duemila con un uomo degli Anni Ottanta era un modo inconscio di fermare il tempo. Ma ora è proprio finita. Mi giro un’ultima volta a salutare i miei vent’anni. Da oggi si guarda avanti. Che paura. Che meraviglia.


Il dramma di Emilio Fede
di Gisella Ruccia - Il Fatto Quotidiano - 31 Maggio 2011

Sconsolato e annichilito dal sonoro sganascione rifilato al centrodestra, un cereo Emilio Fede ha offerto ai suoi telespettatori, nel suo tg4 di ieri sera, un notiziario “sui generis”.

Sin dall’anteprima Umilio dedica solo una manciata di secondi alle amministrative e ai risultati di Napoli e Milano, riservando un tempo ben maggiore ai cetrioli spagnoli.

Finzione e comicità, archetipi del tg di Fede, ricorrono costantemente durante i 53 minuti dello show: dapprima un esordio sotto tono, con il quale il direttore scomoda il povero Casini per convincersi che la sconfitta della compagine berlusconiana e leghista “non ha valenza nazionale, ma solo locale”.

Poi, imbeccato dall’inviata Marina Dalcerri, che parla di “qualche bandiera rossa che dalla Galleria va verso il Duomo” mostra le immagini di una piazza Duomo rutilante e festante per la vittoria di Pisapia. Ed è una delle ospiti in studio, la senatrice Roberta Pinotti (Pd) a puntualizzare ironicamente: “Sono arancioni, direttore, le bandiere. Non rosse”.

Ma il clou della sceneggiata si registra con l’intervista a Maurizio Baruffi, portavoce di Pisapia. L’inviata Stella Carraro, dal teatro Elfo Puccini, lagna quasi istericamente di non essere stata considerata dal futuro sindaco Pisapia, che le avrebbe preferito altre testate e tg a cui rilasciare le proprie dichiarazioni. La giornalista, però, riesce a fermare Baruffi, che ha una spassosa diatriba con un Fede sempre più alterato.

Il portavoce di Pisapia spiega che la scaletta programmata non prevedeva un’intervista al Tg4, ma promette che nei giorni a venire il nuovo sindaco milanese avrebbe concesso il suo tempo al nostro Umilio. “Troveremo sicuramente il modo per poter raccontare finalmente anche agli ascoltatori del Tg4 chi è Giuliano Pisapia”, afferma serafico Baruffi.

Fede si sente profondamente oltraggiato per non essere stato sfiorato tangenzialmente dall’attenzione di Pisapia e incalza con le domande: “E allora cosa prevede la scaletta del sindaco?”.

Baruffi non si scompone e rifila il carico da briscola: “Festeggeremo a piazza Duomo e tutti i milanesi potranno finalmente festeggiare una campagna elettorale che è stata condotta col sorriso sulle labbra e con la cifra dell’ironia nei confronti delle menzogne e delle diffamazioni che venivano da più parti. Per fortuna non ha vinto la logica della paura, ha vinto la logica della speranza e del guardare al futuro.”

Fede non ci sta e, autodefinendosi comepiccolissimo , modestissimo, giovanissimo giornalista”, si lancia in un soliloquio comico e delirante. Baruffi replica prontamente, rifilando una nuova stoccata all’informazione al soldo di Berlusconi. Umilio difende eroicamente il suo notiziario e sbotta: “Mamma mia! Io speravo di trovare in lei una persona serena….”.

Baruffi, sempre imperturbabile, tranquillizza il povero Fede: “Assolutamente non da parte sua, direttore, che è stato sempre un esempio di grande correttezza nel mondo dell’informazione.

“Ecco, appunto!”, gongola il devastato direttore. “Questo me lo conceda, perchè quando ci sono state polemiche io mi sono sempre tirato fuori, rispettoso, come sono, dei pareri degli uni e degli altri”. Qualche minuto più tardi, si sconfina davvero nel surreale: “Io sono sempre al di sopra delle parti”.

L’effetto comico, soprattutto della palese presa in giro ad opera di Baruffi, è devastante. D’altro canto, non è la prima volta che una giornalista sguinzagliata dal fido umilio di Silvio viene snobbata spudoratamente da un esponente del centrosinistra.

Già nell’ottobre del 1996, Romano Prodi, in visita a New York, rifiutò con sdegno la richiesta di un’intervista da parte di un’inviata del Tg4. “Il Tg4 no. Ne ho avuto già abbastanza“, furono le sue lapidarie parole.

La polemica prosegue, stavolta tra lo stesso Baruffi e la pidiellina ex missina Viviana Beccalossi (quella del celebre slogan coniato proprio da Silvio: “Forza Viviana! Fagliela vedere”), la quale, sfoderando la musicalità del bresciano eloquio, si cimenta in una critica spietata di “Bella Ciao”.

Che, invece, “non dispiace affatto” al direttore. Outing clamoroso, spiegabile forse con il malefico effetto Pisapia.

lunedì 30 maggio 2011

Elezioni amministrative: il primo sciacquone è stato tirato...

...quanto manca ora per quello definitivo?


Grazie Silvio
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 30 Maggio 2011

Nel momento della prova suprema, il nostro pensiero va a Silvio.

A furia di evocare il cadavere del comunismo, ha finalmente portato un comunista a sindaco della sua città.

A furia di chiedere un voto contro i magistrati, è riuscito a far eleggere un magistrato a sindaco di Napoli.

Grazie Silvio, avanti così.

Libia update

Un aggiornamento sulla guerra in Libia.


Adesso Cameron e Sarkozy preparano lo sbarco in Libia
di Manlio Dinucci - www.ilmanifesto.it - 28 Maggio 2011

Al termine del G8, il presidente francese Sarkozy ha annunciato che si recherà a Bengasi insieme al premier britannico Cameron, dato che «abbiamo le stesse idee». Essenzialmente una: «Mediare con Gheddafi non è possibile».

La stessa idea l'ha espressa il presidente Obama: «Non allenteremo finché il popolo libico non sia protetto e l'ombra della tirannia scomparsa». In parole povere, si stanno preparando a occupare la Libia.

E mentre il G8 chiede a Tripoli «l'immediata cessazione dell'uso della forza», la Nato intensifica le incursioni aeree che, in meno di otto settimane, hanno superato le 8.500.

Partono per la maggior parte dalle basi nel meridione d'Italia, rifornite dalle altre. Pisa è di continuo sorvolata da C-130J che, dall'aeroporto militare, trasportano alle basi meridionali bombe e missili della base Usa di Camp Darby (prefigurando cosa avverrà quando entrerà in funzione l'Hub aereo nazionale, da cui transiteranno tutti i militari e i materiali verso teatri operativi).

Che gli attacchi aerei preparino lo sbarco, lo conferma l'entrata in azione di elicotteri francesi Tigre, probabilmente affiancati da Apache britannici.

Ancora più significativo l'arrivo nel Mediterraneo di un imponente gruppo navale da attacco, guidato dalla più moderna e potente portaerei nucleare della classe Nimitz, battezzata George H.W. Bush, in onore del presidente che nel 1991 fece nel Golfo la prima guerra del dopo guerra fredda (oggi siamo alla quinta).

Lunga 333 m e larga 40, ha a bordo 6mila uomini, 56 aerei (che possono decollare a 20 secondi l'uno dall'altro) e 15 elicotteri, ed è dotata dei più sofisticati sistemi di guerra elettronica.

È una grande base militare mobile. E anche una centrale nucleare mobile: ha due reattori ad acqua pressurizzata PWR A4W/A1G, il cui vapore aziona le turbine delle quattro eliche. Una centrale nucleare che, pur avendo a bordo reattori più pericolosi di quelli di Fukushima, entrerà nella baia di Napoli e in altri porti.

La portaerei George H.W. Bush è affiancata da un gruppo di battaglia formato dai cacciatorpediniere lanciamissili Truxtun e Mitscher, dagli incrociatori lanciamissili Gettysburg e Anzio e da otto squadriglie aeree.

Va a rafforzare la Sesta flotta, il cui comando è a Napoli, affiancandosi ad altre unità, tra cui i sottomarini nucleari Providence, Florida e Scranton.

Si è aggiunto alla Sesta flotta anche uno dei più potenti gruppi da attacco anfibio, guidato dalla Uss Bataan, che da sola può sbarcare oltre 2mila marines, dotati di elicotteri e aerei a decollo veriticale, artiglieria e carrarmati.

È affiancata da altre due navi da assalto anfibio, la Mesa Verde e la Whidbey Island, che ha effettuato il 13-18 maggio una visita a Taranto.

Ha quattro enormi mezzi da sbarco a cuscino d'aria che, avendo un raggio d'azione di 300 miglia, possono trasportare velocemente fin sopra la costa 200 uomini alla volta, senza che la nave sia in vista.

Tutto è pronto, dunque, per lo sbarco «umanitario» in Libia. Agli europei l'onore di sbarcare per primi, sotto le ali protettrici della portaerei Bush.


Libia, Berlino non partecipa

di Emanuela Pessina - Altrenotizie - 29 Maggio 2011

La Germania riconosce la necessità di bloccare le ingiustizie del dittatore Muammar Gheddafi, ma non ha nessuna intenzione di partecipare alla guerra armata targata NATO contro il Colonnello. È quanto ha ribadito la Cancelliera Angela Merkel (CDU) durante il G8 di Deauville (Nord- Ovest della Francia), suscitando questa volta un certo imbarazzo tra gli alleati.

E ancora non è chiaro in che modo le forze occidentali schierate contro Tripoli, in particolare Stati Uniti, Francia e Inghilterra, siano pronte ad accettare il compromesso proposto da Berlino: da atteggiamento di estrema cautela quale si era annunciato, quello della Germania sembra ormai diventato una posizione vera e propria.

Perché, in effetti, a Deauville è successo qualcosa di curioso: Angela Merkel non ha partecipato a un incontro informale che prevedeva la discussione dei dettagli dell’attacco aereo in Libia. O meglio: nel momento in cui Barack Obama, Nikolas Sarkozy e David Cameron, insieme ai capi di governo di Italia e Canada, hanno introdotto l’analisi della strategia del conflitto in essere, a quel punto la Cancelliera avrebbe lasciato la riunione per partecipare a una conferenza stampa di importanza minore.

Una sorta di consiglio di guerra a cinque, quindi, che la Merkel stessa ha riconosciuto il giorno seguente come ufficiale ma riguardo cui ha eluso ogni ulteriore domanda. Il Governo tedesco ha giustificato la questione con parole vaghe: seppur invitata, la Cancelliera non ha preso parte al consiglio perché relativo a una guerra con cui la Germania non ha nulla a che spartire.

Risolute ma vaghe, le spiegazioni offerte dal Governo tedesco non hanno fugato i dubbi sulle ragioni dell’assenza della Merkel dal consiglio. E se la Cancelliera non fosse stata convocata al consiglio di guerra?

Fatto sta che le forze occidentali promotrici dell’attacco militare in Libia si sono trovate a margine del G8, in questo mini-vertice a cinque, per discorrere concretamente della strategia d’impiego degli elicotteri da guerra francesi e britannici in Libia.

E forse, per quest’occasione, i premier Cameron e Sarkozy hanno preferito tralasciare la Cancelliera tedesca e la sua idea di inasprimento delle sanzioni e del sostegno pacifico delle rivoluzioni in Nord Africa.

In realtà, Angela Merkel non ha fatto altro che ribadire un’astensione - quella di Berlino dalla guerra al dittatore libico - già annunciata a metà marzo dal suo ministro degli Esteri, Guido Westerwelle (FDP). Due mesi fa la Germania aveva dichiarato di non voler impiegare soldati tedeschi nell’operazione militare in Libia, pur appoggiando pienamente gli alleati contro il rais.

Allora la prudenza del Governo CDU- FDP era stata interpretata come una mossa di pacifismo costruito ad hoc per riguadagnare popolarità in vista degli appuntamenti elettorali che attendevano la Germania: quali siano state le motivazioni, ora ci si rende conto che Berlino è intenzionata a continuare il proprio cammino solitario.

Ma non è tutto. La Merkel ha espresso un parere contrario alla maggioranza degli alleati anche per quel che riguarda il ruolo della Russia nella crisi libica. Durante il G8 di Deauville, la Russia si è detta per la prima volta d’accordo con l’intervento delle forze occidentali contro Tripoli.

Gli Stati Uniti avevano richiesto fin dall’inizio un intervento di Medvedev a mediazione nei rapporti tra Occidente e Gheddafi, e ora il capo del Cremlino ha accettato il ruolo, ammettendo anche la necessità di porre fine alla violenza del regime di Gheddafi. La Merkel, da parte sua, ha badato a ricordare che la Russia non dovrebbe esporsi troppo in questo senso.

Forse il rischio che la Germania si isoli nel panorama delle forze occidentali proprio causa della crisi libica c’è, ma tale probabilità rimane comunque relativamente bassa. L’Europa ha bisogno della Germania per assicurarsi una via d’uscita dalla crisi dell’euro e per i sostegni economici da devolvere al Nord Africa del post- rivoluzione, tra cui ci sono in primis la Tunisia e l’Egitto, così come la Merkel ha bisogno dell’Europa per dare un respiro più ampio alla seppur forte economia del proprio Paese.

L’unica certezza è che una rapida risoluzione della crisi libica toglierebbe parecchio imbarazzo a tutti: contrari o d’accordo con l’intervento militare, probabilmente ciò che tutti si auspicano tutti capi di Stato è una conclusione veloce a una questione spinosa in cui è difficile distinguere giustizia e interessi.



Il bombardamento di Misurata con le bombe cluster è stato compiuto dalle forze navali Usa e non da Gheddafi
di Human Right Investigation - http://globalresearch.ca - 27 Maggio 2011
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

L’indagine in corso dall’HRI sui bombardamenti dell’11 aprile su Misurata con le bombe a grappolo ha trovato prove convincenti del fatto che il bombardamento è stato compiuto dalle forze navali USA.

Il bombardamento di Misurata

Il 15 aprile del 2011, durante il giorno, a Misurata sono state mostrate agli uomini di Human Rights Watch (HRW) e a C.J. Chivers, un giornalista del New York Times, alcune sotto-munizioni di una bomba a grappolo MAT-120.

In quel pomeriggio, durante gli scontri tra i ribelli e le forze lealiste, il personale di Human Rights Watch ha assistito all’atterraggio di un gruppo di 3 o 4 ordigni nelle aree residenziali di Misurata. HRW ha assistito agli effetti di quei bombardamenti.

In questi attacchi sono stati uccisi dei civili e l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha condannato “il ripetuto utilizzo delle bombe a grappolo e degli armamenti pesanti da parte delle forze del governo libico nel loro tentativo di riguadagnare il controllo della città assediata di Misurata.”

Ha anche riportato che una bomba a grappolo potrebbe essere esplosa a un centinaio di metri dall’ospedale di Misurata dove altri due pazienti sembravano essere stati colpiti da proiettili di mortaio o dal fuoco dei cecchini: “Usare armamenti imprecisi come sono le bombe a grappolo, i lanciarazzi multipli, i mortai e altri tipi di armamento pesante nelle aree urbane affollate ha come conseguenza inevitabile il ferimento dei civili.”

La corsa nel giudicare

Sia HRW che C.J. Chivers hanno subito attribuito questi attacchi al regime di Gheddafi e la notizia è andata su tutte le prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi in tutto il mondo.

Ecco la copertura della notizia data da HRW e del New York Times:

Il report di Human Rights Watch del 15 aprile durante il quale le forze di Gheddafi hanno sparato armamenti a grappolo è stato verificato

Il report di CJ Chivers del 15 aprile, ‘Le truppe di Gheddafi sparano le bombe a grappolo nelle zone abitate’

Fred Abrahams sul programma della BBC, Radio 4 Today, del 16 Aprile del 2011

In risposta alla domanda del perché quelle munizioni, che fanno parte dell’arsenale NATO, fossero state sparate dai libici invece che dalle forze NATO, Fred Abrahams ha detto: "Perché il MAT-120 è sparato dal mortaio e la NATO non ha truppe sul terreno."

Quando è stata informata del fatto che le bombe a grappolo erano state rinvenute a Misurata, la reazione di Hillary Clinton è stata: “È una notizia preoccupante. Ed è uno dei motivi per cui la battaglia di Misurata è così impegnativa, perché è uno scontro ravvicinato, si svolge in un’area urbana e ciò crea molti problemi alla NATO e all’opposizione.”



La bomba a grappolo MAT-120 può essere sparata dalle forze navali

L’armamento MAT-120 viene in effetti lanciato da un mortaio, ma è un armamento pesante di un tipo che può essere usato anche in specifici sistemi d’arma che sono montati su una torretta.

Ecco un sistema AMOS su un CB-90 in azione:


Armi scelte per le Operazioni Speciali

La combinazione del munizionamento del MAT-120 col Combat Boat 90H viene considerato ideale per il sostegno del fuoco negli ambienti urbani e l’unico tra i sistemi d’armamento in dotazione alla coalizione che può essere usato in queste operazioni.

Come ha riferito nel giugno del 2007 il capitano Evin H. Thompson, Comandante del Gruppo Speciale Navale da Combattimento Four, in relazione alla specifica domanda sull’utilizzo della marina USA dei sistemi d’armamento CB90-H e AMOS (che sparano il MAT-120), “gli Amos o armamenti simili – installati nelle mie imbarcazioni a segnale ridotto - offrono alle operazioni speciali e alla nostra marina la possibilità di essere clandestinamente in un luogo offrendo la capacità di agire se le circostanze lo permettono.”

La Squadra Speciale di Soldati da Combattimento del Gruppo Speciale della Marina USA è specificamente addestrata alle scorrerie notturne e al supporto ravvicinato per le unità SEALS nelle acque costiere e inoltre possiede una flotta di CB-90.

La NATO ammette il bombardamento di Misurata

Nel periodo in cui questi ordigni sono state utilizzati era in corso un aspro combattimento tra le forze ribelli e quelle lealiste, mentre le forze della coalizione stavano fornendo il fuoco di sostegno e altri servizi speciali ai ribelli per prevenire che i lealisti riprendessero il controllo della città, cosa che veniva considerata come la fine dell’ultimo caposaldo dei ribelli nella Libia occidentale.

Il nostro aggiornamento sul bombardamento di Misurata ci mostra che la NATO ha ammesso di aver bombardato usando “alcuni armamenti” all’interno della città di Misurata.

Le informazioni scorrette della vendita dei MAT-120 alla Libia da parte della Spagna

Abbiamo scoperto che l’informativa secondo cui Instalaza, il produttore spagnolo del MAT-120, avrebbe ammesso di aver venduto queste armi alla Libia era priva di fondamento. Infatti Instalaza ha negato di averle vendute alla Libia.

Le munizioni rinvenute a Misurata erano datate 2007 (lotti 02/07 e 03/07) e il governo spagnolo ha interrotto le concessioni per le esportazioni di armi l’11 giugno del 2008.

I falsi report secondo cui queste munizioni erano state vendute alla Libia sono sbagliati a causa di un errore di lettura dei dati delle esportazioni che sono elencate nel documento emesso dal governo spagnolo, e questo errore è stato riportato dai media fino alla pubblicazione di un articolo apparso su Solidaridad il 15 settembre del 2008. È probabile che gli organizzatori del bombardamento di Misurata conoscessero questi report e hanno così creduto che la Libia possedesse i MAT-120.

I documenti del governo spagnolo mostrano le licenze concesse dalla Spagna nel 2007 per l’esportazione in Libia di armi della categoria 4, che comprende bombe e missili, e un’esportazione fu in effetti conclusa per questa categoria nel 2008. L’ammontare del valore delle tre licenze del 2007 era di 3,823,500 euro e le effettive esportazioni hanno riguardato due licenze per 3,839,210 euro nel 2008.

Non ci sono dettagli in questi report su queste spedizioni e da cosa erano composte o su quali fossero le compagnie (anche se i dettagli sono stati forniti separatamente per gli equipaggiamenti bi-uso nel 2008, radar e materiale di laboratorio).

Delle nazioni a cui la Spagna ha venduto munizioni di categoria 4 nel 2007 e nel 2008, solamente tre sono coinvolte nel conflitto libico e non hanno aderito al trattato sulle bombe a grappolo: queste nazioni sono la Libia, il Qatar e gli Stati Uniti. Ma tutti si sono precipitati ad incolpare la Libia in base agli errori di lettura di questo report.

Comunque, l’analisi dei documenti ufficiali del governo spagnolo dimostra che la compagnia spagnola Instalaza non ha esportato armamenti a grappolo in Libia nel 2007/08.

Infatti il MAT-120, essendo un proiettile di un mortaio, è un armamento di categoria 3 (munizione), non una categoria 4 (bomba) e la Spagna non ha esportato armamenti di categoria 3 in Libia nel 2007 o nel 2008.

Quindi le bombe esportate dalla Spagna in Libia nel 2008 non erano i MAT-120 ma qualcos’altro. La Spagna ha invece esportato armamenti di categoria 3 negli Stati Uniti.

Qui sotto abbiamo un estratto da un Documento Ufficiale del Ministero spagnolo sulle esportazioni del 2007 che mostra come siano suddivisi i vari articoli:

DESCRIZIONE DEI 22 ARTICOLI PRESENTI NELLA LISTA DEL MATERIALE PER LA DIFESA (DECRETO REALE 1782/2004 DEL 30 LUGLIO)

2 Armi leggere senza elica in canna con un calibro di 20 mm o superiore:
Armi da fuoco (inclusi pezzi d’artiglieria), fucili,
howitzers, cannoni, mortai, armi anti-carro, lancia proiettili, lanciafiamme, fucili senza rinculo, attrezzature per la riduzione dei segnali, fumo militare, proiettori o generatori di gas o pirotecnici e strumenti per la visibilità.

3 Armamenti, ordigni e componenti
Munizioni per le armi soggette al controllo degli articoli 1, 2 o 12. Congegni per la regolazione delle micce che includono custodie, collegamenti, bandelle, erogatori di potenza dalla forte uscita, sensori, sottomunizioni.

4 Bombe, siluri, razzi, missili
Bombe, siluri, granate, candelotti fumogeni, razzi, mine, missili, bombe anti-sommergibili, cariche per le demolizioni, ordigni “pirotecnici”, cartucce e simulatori, granate fumogene, bombe incendiarie, ugelli per i missili, ogive per i veicoli da rientro.

Queste categorie, usate nello documento ministeriale sono in linea con quelle elencate nell'Elenco Comune delle Attrezzature Militari dell’Unione Europea.

Questo significa che l’affermazione secondo cui il MAT-120, l’armamento sparato dal mortaio, era stato esportato in Libia dalla Spagna si è basata su un errore di lettura del documento. Infatti, seguendo il Report, la Libia non poteva essere fornita di MAT-120.

Dei paesi a cui sono stati effettivamente esportati armamenti di categoria 3 nel 2007 e nel 2008 (dopo la data di produzione delle bombe rinvenute a Misurata e prima che il governo spagnolo non vietasse l’esportazione) solo il seguente paese non ha firmato la Convenzione contro le Bombe a Grappolo ed è coinvolto nel conflitto in Libia: gli Stati Uniti d’America.

Le tracce dei sistemi d’armamento

Un numero limitato di sistemi d’arma può essere utilizzato per sparare il MAT-120 e tra questi c’è il Combat Boat 90H (CB-90), costruito negli USA, con il sistema AMOS a bordo che è prodotto su licenza negli Stati Uniti da AAI Corp.

La leadership degli Stati Uniti approva in pieno gli armamenti a grappolo

Gli USA si sono rifiutati di firmare la Convenzione contro gli Armamenti a Grappolo e queste armi fanno solitamente parte del loro arsenale in cui è presente una dotazione veramente consistente di queste bombe.

Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, ha detto che le bombe a grappolo sono considerate dagli USA “armi legittime con un’evidente utilità militare.”

Infatti, il Segretario Gates ha firmato il 9 luglio del 2008 la specifica secondo cui tutte le bombe a grappolo nell’arsenale USA devono essere del tipo simile alle M-120 entro il 2018.

Mentre Richard Kidd, Direttore dell’Ufficio per la Diminuzione e la Rimozione degli Armamenti del Dipartimento di Stato, ha scritto il 28 aprile del 2008 in “Is There a Strategy for Responsible U.S. Engagement on Cluster Munitions?”:

“Gli armamenti a grappolo sono presenti nell’inventario degli USA per essere a disposizione per l’utilizzo di tutti i velivoli da combattimento, fanno parte integrante di ogni elemento di manovra della Marina o dell’Esercito e in qualche caso costituiscono più del 50 per cento di sostegno al fuoco tattico indiretto.”

E ancora, il presunto crimine di guerra del bombardamento di Misurata è stato anche usato dal Segretario di Stato Hillary Clinton e da altre autorità per giustificare l’escalation del conflitto in Libia.

Le operazioni della coalizione a Misurata

Il 14 aprile, il Segretario Generale della NATO, Rasmussen, ha confermato che l’Ammiraglio Stavridis aveva riferito ai ministri degli esteri che le forze di Gheddafi erano all’interno dei aree abitate e che “per evitare il ferimento dei civili c’era bisogno di equipaggiamento molto sofisticato.”

Il Combat Boat 90 degli Stati Uniti o qualcosa di simile può essere velocemente traslato usando un velivolo da trasporto USA in qualsiasi parte del mondo o nelle regioni vicine usando un nave di supporto.

Le navi principali della Marina USA coinvolte – che ad esempio, il 14 e il 15 aprile nel “supportare l’Operazione Protettore Unificato al largo delle coste libiche” erano attaccate al Gruppo Anfibio Kearsarge, Kearsarge (LHD-3) - erano nel porto della baia di Augusta in Sicilia durante le notti in cui Misurata è stata oggetto di bombardamento con le cluster bomb.

La prima nave è la USS Barry (DG-52), un cacciatorpediniere e con tutta probabilità proprio quello segnalato da CJ Chivers al largo di Misurata.

Qui abbiamo un USS Barry che già prima aveva sparato missili Tomahawk nelle operazioni in Libia:


Da notare che l’ufficiale al comando dell’USS Barry è di solito l’Ammiraglio James G Stavridis, particolarmente incline alla guerra informativa e al controllo di Internet.

L’USS Barry ha partecipato ad un’esercitazione (FLEETEX 2-94) che ha eseguito un’estrazione segreta da parte di una squadra dei SEAL nelle acque poco profonde al largo della costa della Carolina.
L’USS Barry ha la sua base alla Stazione Navale di Norfolk in Virginia, che è anche la base di Eva H. Thompson, il comandante dell’Unità Speciale da Combattimento Four, che abbiamo già citato prima nell’apprezzamento dell’utilità del Combat Boat 90 e del sistema AMOS.

La seconda nave che ci interessa è il USS Ponce (LPD-15), una nave anfibia da trasporto Austin-class. Una nave anfibia da trasporto è un natante di guerra che imbarca, trasporta e sbarca sul terreno elementi delle forze armate per missioni e spedizioni di guerra. Quest’imbarcazione ha a bordo 851 uomini di servizio arruolati e 72 ufficiali.

Poco dopo l’operazione di Misurata, sia lo skipper che l’ufficiale al comando del USS Ponce, il Comandante Etta Jones e il Tenente Comandante Kurt Boenisch, sono stati sollevati dall’incarico.


La terza nave d’interesse è la USS Carter Hall (LSD-50), una
landing ship dock che ha attraversato il canale di Suez il 13 aprile, per unirsi alle altre, il giorno prima del bombardamento di Misurata.

Una landing ship dock è un tipo di imbarcazione anfibia progettata per supportare operazioni di questo tipo. Trasportano e lanciano natanti anfibi e veicoli con i loro equipaggi e il personale imbarcato. Generalmente questo personale è composto da marines e/o da forze speciali.

C’erano alcune unità che erano imbarcate su questi natanti, tra cui il 26th Marine Expeditionary Unit (Special Operations Capable) (26MEU) e il Naval Beach Group Two (NBG2), TACRON 21, Four and Helicopter Sea Combat Squadron TWO TWO (HSC-22).

Il comandante della task force era il Capitano Dan Shaffer, che era anche comandante della Task Force 65 (CTF-65) e del Destroyer Squadron 60 (DESRON60). È sotto il comando dell’Ammiraglio Stavridis.

Operando da un’imbarcazione anfibia per il trasporto, le forze coinvolte nelle operazioni notturne possono avere la sicurezza di non essere scoperte nell’usare queste armi.

Le forze che avrebbero confidato sull’uso di queste armi hanno incolpato il regime di Gheddafi, mentre la ricerca di chi ha organizzato quest’operazione ha dimostrato (in modo sbagliato) che il MAT-120 era un’arma posseduta dalla Libia.

Human Rights Investigations richiede:

1) una piena indagine sul possesso e l’uso di tutti gli armamenti a grappolo di tutte le forze coinvolte nel conflitto libico senza impunità per nessuno;

2) la sospensione del personale militare coinvolto durante le investigazioni e il procedimento per crimini di guerra;

3) una piena indagine delle autorità statunitensi;

4) che vengano svolte indagini anche dalle Nazioni Unite e da tutte le nazioni che partecipano alla coalizione dato che l’uso di queste armi nelle zone residenziali è una chiara violazione della Risoluzione 1973 delle Nazioni Unite e che“le persone che ritenute responsabili o complici degli attacchi contro la popolazione civile, anche con attacchi aerei e navali, dovranno risponderne”;

5) che tutti i membri della coalizione, inclusi gli USA, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti dichiarino l’utilizzo delle munizioni a grappolo e devono firmare la Convenzione sulle Munizioni a Grappolo;

6) la fine della "guerra delle informazioni" e della distorsione militare nel dibattito pubblico;

7) la fine dei continui bombardamenti in Libia che sono contrari allo spirito e agli intenti della Risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che aveva lo scopo di proteggere i civili e non quello di giustificare il bombardamento di aree residenziali, tanto meno quello di giustificare i crimini di guerra e il bombardamento con le bombe a grappolo delle città libiche.


Dalla Libia con amorefurore

di Fulvio Grimaldi - http://fulviogrimaldi.blogspot.com - 28 Maggio 2011

Torno da Tripoli, Libia, con nelle orecchie ancora lo schianto delle bombe che hanno incenerito, secondo la Nato, “otto navi da guerra di Gheddafi che sparavano sui civili di Misurata” che poi, quanto a quelle che ho visto esplodere e incenerirsi nel porto commerciale di Tripoli, erano due motoscafi della Guardia Costiera, fermi lì causa blocco navale Nato fin da quando li vedevo dal vicino albergo a metà aprile, e un cargo da trasporto pieno di rifornimenti per un popolo che si vuole gaza-izzare.

Basta vedere le file chilometriche delle auto ai distributori di benzina, nel paese più ricco di petrolio di tutta l’Africa, per capire che paralisi e agonia tipo Gaza o Iraq è nei piani di chi dall’ONU era stato autorizzato soltanto a inibire voli e uccisione di civili. Le raffinerie erano già poche e ora sono in massima parte sotto controllo dei mercenari Nato di Bengasi.

Si incomincia a non riuscire più a raggiungere la scuola, l’ospedale, il mercato, gli uffici, i parenti, il lavoro. E da fuori la grande armata Nato, che fa affogare i migranti in fuga dalla Libia perché l’aggressione gli ha fatto perdere lavoro, casa, scuola, sanità, dignità, blocca perfino la benzina per i trasporti privati (i mezzi armati corrono su nafta), come anche farmaci e soccorsi di ogni genere. Hanno imparato dall’assedio di Gerusalemme. Poi Goffredo da Buglione è entrato e ha ammazzato i morti di fame e di sete. Tutti.

E pensare che Gheddafi stava realizzando l’Ottava Meraviglia del Mondo, come la chiamavano i tecnici, pescando dal mare fossile sotterraneo di acqua dolce, con seimila chilometri di acquedotti a ragnatela su tutto il territorio, acqua d’irrigazione e potabile per sei milioni di libici e per mille anni.

Già, sei milioni da decimare alla maniera di Graziani che, a forza di veleni nelle acque e iprite in testa, fece fuori un terzo della popolazione libica.

Da decimare oggi quasi tutti, giacchè cinque milioni insistono a riconoscersi nel governo sovrano della Jamahiriya, repubblica popolare socialista delle masse, mentre solo un milione è sotto dominio dei tagliagole monarco-integralisti bengasiani che ogni due per tre, non avanzando di un metro causa deficienza di consenso popolare, invocano più bombe Nato sul proprio popolo.

E di questo milione vai a sapere quanti di cuore e cervello e non per terrore da pogrom sostengono i vendipatria assoldati dai predatori planetari. Se è vero, come nessun organo d’informazione si è peritato di riportare, ma come abbiamo visto alla tv libica (voce da sopprimere), che a Bengasi è in corso una rivolta contro i “giovani rivoluzionari” del “manifesto” e che in tanti quartieri risventolano le bandiere verdi della libertà.

Non è bastato, agli sgherri di Sarkozy e ai fantocci di Obama far fuggire 70mila persone dalla città, eliminare centinaia di famiglie che non condividevano una “rivoluzione” nel nome della Sharìa e di Bill Gates e sgozzare tutti i lavoratori neri incontrati per strada.

Viaggio verso casa e mi circondano gli spettri dei 19 morti ammazzati nel sonno la sera dopo il glorioso assalto alle barchette. “Colpito il compound di Gheddafi” con 15 incursioni in mezz’ora. Sarà.

In quel caso hanno massacrato qualcuno delle migliaia di ragazzi, donne, patrioti, che ogni notte stanno lì a cantare e a sfidare nei luoghi-simbolo del loro leader, dove ovviamente non c’è più alcun bunker (quelli stanno tutti a Washington) e che è già stato sbriciolato ripetutamente, alla faccia di quegli impertinenti scudi umani.

Ma, visto che il famoso compound, già bombardato dal pirata Reagan nel 1986, sta in mezzo alla città, magari hanno mirato proprio all’attraente agglomerato di case e di vite civili che lo circondano.

Me lo fa immaginare, e nemmeno tanto a pene di segugio, quel palazzo polverizzato tra le cui macerie e disegni di bambini per terra e sugli alberi, tra le ultime mura sbrecciate ancora perpendicolari, avevo incontrato i resistenti Ali Mohamed Mansur, Nuri Ben Otman e Leila Salah Ashur.

Il primo presidente del’Associazione di Amicizia Libia-Palestina, il secondo segretario dell’Associazione di Amicizia Italia-Libia (!), la terza presidente dell’Associazione delle Donne Libiche (“Con Gheddafi le donne di Libia sono diventate donne vere, da fantasmi che erano, sono diventate la componente di maggior peso della società”).

Già, quell’edificio, a due passi dal mio albergo, sulla passeggiata del lungoporto e in pieno nuovo quartiere residenziale, scaturito dal piano “650mila nuove case popolari” del governo Gheddafi, ora interrotto dalla missione umanitaria “protezione dei civili”, era frequentato da gente così.

Era il palazzo che ospitava alcune delle organizzazioni che da noi si chiamano della “società civile”. Ovvio obiettivo per chi punta a “strutture militari e governative”. Bersaglio da privilegiare per quel gaglioffo britannico, comandante in capo, che annuncia “e ora diamoci dentro contro le infrastrutture di Gheddafi”.

Quali infrastrutture più strategiche che dei bambini, magari orfani, magari down, magari disabili? C’erano quelli della Palestina (e si capisce l’accanimento della Nato, braccio armato anche di Sion), quelli delle amicizie con altri paesi (compresi i paesi che gli stanno infilando pugnalate nella schiena a protezione degli amici in zona che tagliano gole), quelle delle donne, quelli degli orfani, disabili e down da assistere e istruire.

Ho una ripresa che fa la panoramica dall’insegna “Istituto per l’avanzamento dei bambini con sindrome down” al fondo del corridoio nel quale si rovesciano le macerie dei tetti sfondati e dal quale si intravvede il giardino dei giochi, ora frequentato da palme spezzate e ferraglia contorta. Civili da salvare.

Sento dire: “I nostri bambini non sono più qui, si sono dispersi, chissà come faranno ora. Ma noi restiamo qui, tra mobili sfasciati e mura pericolanti, nelle polvere delle macerie. Siamo legati a questo posto, non diamo a nessuno la soddisfazione di lasciarlo, anche se ci scagliano altre bombe in testa. I bambini presto o tardi torneranno”. Così si parla dalla parte di Gheddafi.

Appunto, c’è società civile e società civile. Quella nostrana è melma collaborazionista, quella loro sono 2000 capitribù, in rappresentanza di tutte le tribù libiche, che a Tripoli hanno confermato la loro fedeltà al governo legittimo, smascherato l’ipocrisia dei salvatori di civili, denunciato gli ascari del nuovo colonialismo.

Quella loro sono le migliaia di donne riunite in assemblea per respingere ricatti e divisioni, resistere in difesa del loro paese e delle conquiste realizzate, e che poi sono marciate sul fortino della sparuta stampa internazionale presente (stanno tutti a Bengasi), l’Hotel Rixos, per esigere che la si smetta con le menzogne, le falsità, gli occultamenti.

Rintanati tra i cristalli e gli stucchi del loro dorato e ben protetto rifugio, i peripatetici dell’informazione a la carte colonialista, non hanno scritto un rigo o emesso un fiato.

In testa alla marcia delle donne libiche un’intemerata italiana, Tiziana Gamannossi, unica imprenditrice che non si è fatta coniglio, o traffichina vorace alle porte di Bengasi. Uno straccetto di bandiera italiana da non sfregiare.

Qualcuno è sfuggito all’operazione “Civili da salvare” lanciata dalla risoluzione ONU 1973. Li incontro nel modernissimo ospedale “Al Khadra”, anch’esso in pieno centro: c’è un giovane con le gambe tagliate al ginocchio, la foto di Gheddafi sopra il letto e le dita degli arti residui levati a V; una bambina, Leila, di due anni, intubata e rotta dallo stomaco alla gola, un ragazzo in coma, più bende che pelle, attaccato a una macchina che fa bip-bip lentamente. E proprio allora un altro schianto, vicino, un altro ancora, corriamo sul balcone, filmo a mezzo chilometro, tra case e alberi una gigantesca nuvola di fumo nero.

Altri missili a difesa dei civili. Accanto a me infermiere e pazienti, come sempre, inesorabilmente, sparano al cielo il grido della Libia: “Allah, Muammar, Libya u bas”. Dio, Muammar, Libia e nient’altro. Così è. Così sarà, che al “manifesto” dei “giovani rivoluzionari di Bengasi” piaccia o no.

Torno da Tripoli, dopo aver visitato alcune delle 70mila famiglie fuggite ai mercenari Nato e ora sistemate alla meglio nelle case degli operai stranieri fuggiti dopo la chiusura delle loro imprese. Ne hoincontrato uno, Nasser Ali Sajer Attagag, 29 anni, da Misurata, catturato il 18 marzo della forze lealiste del “Popolo in armi”.

Dead man walking, è un morto che cammina, ce l’ho ancora in pancia con la sua faccia spenta e i suoi racconti dell’orrore, dei soldati libici sgozzati, tagliati a fette, appesi davanti al palazzo di giustizia, chiusi nel congelatore di una macelleria, delle famiglie pro-Gheddafi pestate a morte, delle loro figlie sequestrate, consegnate ai “giovani rivoluzionari”, violentate, i seni tagliati, morte dissanguate nel corso della “festa della rivoluzione.

Ascolterete tutto, vedrete i documenti, nel prossimo documentario “Maledetta primavera – rivoluzioni, controrivoluzioni e guerre Nato nel mondo arabo”. Un omaggio particolare a Rossana Rossanda e affini.

Torno da Tripoli e, non potendo fare a meno di leggere di Fincantieri e oscenità berlusconiane, scivolo sulla pagina-vomito del “manifesto”, redatta tutta da Tommaso de Francesco, a celebrazione della cattura di Radko Mladic, con tanto di box dedicato all’escort di Clinton e parca manidiforbice di Milosevic e della Serbia, Carla del Ponte, magistrato integerrimo del Tribunale Nato dell’Aja. Mladic e ancora l’infame balla di Sebrenica, a dispetto di tutte le prove che la smentiscono, a dispetto delle migliaia di ricomparsi dei presunti 8mila trucidati.

Un soffietto di questo presunto difensore della Serbia a coloro che l’hanno sbranata, un gradino della scala al patibolo (lo faranno morire in carcere come Milosevic, incapaci di provare alcunché) per colui che, a differenza dei fascisti croati e bosniaci, cari alla marmaglia democratica sinistra-destra occidentale, non sterminava per accaparrarsi terre e beni altrui, ma difendeva l’unica vera autodeterminazione dei popoli di tutta la vicenda jugoslava.

Mancano la parole. Se non per dire che tout se tien, le brigate internazionali invocate da Rossanda a sostegno degli sgherri Nato bengasiani, gli orgasmi sulla vendetta colonialista contro i patrioti della Jugoslavia socialista e sovrana, Vendola, il Forum Palestina, l’intera cloaca finto-pacifista e finto-dirittoumanista e le grasse risate della cupola necrocrata sul capolavoro finale del nostro taffazzismo.


La guerra segreta della NATO in Libia
di Mahdi Darius Nazemroaya* - www.eurasia-rivista.org - 26 Maggio 2011

Il testo che segue esamina i piani di guerra e le operazioni di intelligence NATO-USA relativi alla Libia, prima dell’inizio della sollevazione, in Libia orientale, e dell’adozione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Fin dall’inizio, il conflitto in Nord Africa era destinato a risolversi in una vera guerra della NATO. Il Pentagono e la NATO non solo hanno armato il Consiglio di transizione, in violazione del diritto internazionale, ma avevano anche forze sul campo fin dall’inizio.

Forze straniere erano sul terreno in Libia prima di una qualsiasi approvazione dell’ONU

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione 1973 soltanto perché Mosca e Pechino si sono astenute. Questa è stata una mossa tattica destinato a limitare la guerra.

Se la risoluzione fosse stata bloccata dal veto di Russia e Cina, con ogni probabilità, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia (e i membri europeo-occidentali della NATO), avrebbero fatto ricorso ad “altri mezzi“, tra cui un’invasione vera e propria.

Con l’astensione e con le potenze della NATO che vocalmente si auto-investono della risoluzione ONU 1973 e si nascondono dietro di essa, Mosca e Pechino sono riuscite a limitare le scelte del Pentagono e della NATO.

Gli sforzi di Mosca e Pechino, tuttavia, non hanno ostacolato Washington e i suoi alleati della NATO dalla violazione del diritto internazionale o della risoluzione ONU 1973. Washington ha ammesso casualmente che la Central Intelligence Agency (CIA) è sul terreno a sostenere le forze ribelli. Secondo Washington, il coinvolgimento di agenti dei servizi segreti degli Stati Uniti in Libia, è iniziato prima che l’ambasciata USA a Tripoli fosse stata chiusa. [1]

Il 25 febbraio 2011 è la data in cui l’ambasciata USA a Tripoli è stata segnalata essere chiusa. [2] Si tratta di un’ammissione casuale che gli Stati Uniti abbiano violato il diritto internazionale, e che operano sul terreno in Libia da prima di qualsiasi approvazione dell’ONU.

Inoltre, l’Italia aveva aperto le sue basi militari all’utilizzo da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia prima di qualsiasi approvazione dell’ONU, sconfessando il suo patto di non-aggressione con la Libia, il 27 febbraio 2011. [3] In altre parole, la guerra contro la Libia era già iniziata.

Funzionari anonimi degli Stati Uniti hanno anche detto alla Reuters che le operazioni di intelligence degli Stati Uniti erano in corso in Libia da prima che il presidente Obama avesse firmato un ordine segreto, nel marzo 2011, che autorizzava le azioni segrete degli Stati Uniti contro il governo libico. [4]

Gli Stati Uniti non era i soli ad operare in Libia. E’ stato riferito che anche decine di agenti inglesi e commando dell’MI6, e di unità del Special Air Services (SAS) e dello Special Boat Services (SBS), operavano all’interno di Libia. [5]

Queste forze straniere in Libia sono state inviate per preparare la guerra, selezionando gli obiettivi da bombardare. [6] Anche prima che gli attacchi fossero stati lanciati, sia la Gran Bretagna che la Francia avevano anche annunciato, nel novembre 2010, le esercitazioni che prevedevano di attaccare la Libia, sotto il nome in codice di esercitazione “Southland“. [7]

I mezzi militari francesi e inglesi mobilitati per queste esercitazioni sospese, sono stati usati per attaccare la Libia. [8] Nel novembre 2010, secondo il giornalista italiano Franco Bechis di Libero, è successo anche che Parigi, nel frattempo, ha cominciato a pianificare un cambio di regime in Libia.

Anche se i giochi di guerra del novembre 2010 e l’articolo italiano sui piani di cambiamento di regime vengono abbandonati, una guerra con la Libia era decisa fin dall’inizio della crisi. Prima che l’assalto alla Libia iniziasse, il Pentagono e i suoi alleati della NATO avevano mobilitato una quantità eccessiva di mezzi militari che andava ben oltre le esigenze di una qualsiasi operazione di evacuazione in Libia. Nelle parole del ministro britannico della difesa, Liam Fox:

Come abbiamo visto in Libia nelle ultime 96 ore [la Gran Bretagna] ha ancora la capacità militare per proteggere gli interessi britannici. In un momento in cui il settore commerciale non è stato in grado o non voleva andrsene, il Governo [britannico] ga utilizzato una serie di mezzi militari, tra cui le navi da guerra della Royal Navy, ciascuna con un distaccamento di Royal Marines, e dei C-130 Hercules per evacuare centinaia di britannici e cittadini di una dozzina di altri paesi. Infatti, la forze armate inglesi hanno aperto la strada con la HMS Cumberland, la prima unità militare di qualsiasi paese ad entrare e ad evacuare i cittadini dalla città libica di Bengasi.” [9]

Giorni dopo, il Ministero della Difesa britannico ha riconosciuto che le truppe britanniche erano in stand-by, in attesa di entrare nel territorio libico:

Il Black Watch [...] era stato posto in stato di prontezza elevata, pronto a schierarsi in Nord Africa con 24 ore di preavviso.

La unità di 600 fanti, tornata dall’Afghanistan a fine 2009, e con sede a Fort George vicino a Inverness. “Sono pronti, nel caso“, ha detto una fonte. [10] Sotto un pretesto umanitario, Londra ha anche inviato consiglieri militari al Consiglio di transizione.

La stampa britannica ha informato di ciò ai primi di marzo 2011: “si sta anche preparando ad inviare diplomatici e consulenti specializzati nella città di Bengasi della parte orientale, dove sono basate le disparate opposizione libici“. [11] Almeno uno di questi cosiddetti “consiglieri speciali” è stato successivamente fermato nei pressi di Bengasi.

In realtà, Londra ha spudoratamente mentito sull’invio di un diplomatico britannico e del suo gruppo di sicurezza a Bengasi. [12] In questo caso, le guardie di sicurezza erano una chiara copertura dei commando britannici.

Il gruppo britannico è stato arrestato dalle forze ribelli, quando il team di sicurezza aveva mentito dicendo di non essere armato. Le armi ed esplosivi nascosti sono stati trovati su di loro. [13] Perché il cosiddetto diplomatico britannico e il suo team di sicurezza non sono andati direttamente a Bengasi?

La storia britannica era molto dubbia e problematica fin dall’inizio. Ancora più significativo è stato il doppio dubbio linguaggio che la BBC utilizzava per segnalare l’incidente, ritraendolo come un semplice malinteso.

Si è scoperto che il gruppo armato, arrestato il 6 marzo 2011 vicino a Bengasi da parte delle forze ribelli, era in procinto di condurre una missione di intelligence britannico: il diplomatico era un agente segreto dell’MI6 e la squadra di sicurezza composta da sette commandos SAS britannici. [14]

All’incirca nello stesso tempo, anche tre marines olandesi sono stati catturati da parte delle forze libiche che operano all’interno di Sirte. [15] Il governo olandese ha insistito sul fatto che le truppe olandesi stavano semplicemente evacuando due lavoratori olandesi.

Il governo libico, però, non è stato informato o era consapevole dell’operazione olandese. I marines olandesi catturati sono stati successivamente consegnati dai libici ai Paesi Bassi, il 10 marzo 2011. [16] Saif Al-Islam Gheddafi ha colto l’occasione per avvertire la NATO di non intervenire in Libia: “Abbiamo detto loro [cioè agli olandesi], di non tornare ancora una volta senza il nostro permesso. Abbiamo catturato i primi soldati NATO, li stiamo rimandando a casa. Ma ci teniamo il loro elicottero.” [17]

I francesi hanno inoltre inviato aerei carichi di ciò che è stato segnalato essere aiuti medici a Bengasi. [18] A sua volta, le fonti pachistane hanno riportato, a fine febbraio, che Stati Uniti, Gran Bretagna e la Francia avevano inviato consiglieri militari a Bengasi [19].

Ciò che queste relazioni confermano è che c’era una presenza militare e di intelligence stranieri in Libia, prima che un qualsiasi mandato delle Nazioni Unite per una no-fly zone fosse concesso. A questo proposito, i governi coinvolti erano in palese violazione del diritto internazionale.

Un altro caso di doppio standard: i terroristi di ieri sono gli alleati di oggi

L’intervento straniero consisteva nell’incorporamento delle “attività di intelligence” statunitense, britanniche e saudite in Libia. Quest’ultimo consisteva in para-militari islamisti dall’Afghanistan e da altre zone di conflitto, che sono stati spediti in Libia. Tali attività di intelligence sono ciò che gli USA e i loro alleati definirebbero “elementi terroristici.”

Questa è ipocrisia assoluta. Come riconosciuto da numerose relazioni, gli Stati Uniti e i loro alleati vanno a letto con i cosiddetti loro nemici terroristi. Questo non dovrebbe essere una sorpresa. Washington e i suoi alleati hanno creato, controllato, nutrito e scatenato gruppi estremisti e criminali che combattono in Afghanistan, Bosnia-Erzegovina, Caucaso, Iraq, Siria, Iran e Libano.

Il Wall Street Journal riferisce dell’addestramento di ribelli nella città libica di Darnah (Derna/Darna) identificando il ruolo di terroristi supportati dagli USA all’interno della Libia:

Due ex mujahidin afghani e un detenuto a Guantanamo Bay hanno promosso l’intensificazione della campagna militare in questa città, con l’addestramento di nuove reclute per il fronte e per proteggere la città dagli infiltrati fedeli al colonnello Muammar Gheddafi. […] Abdel Hakim al-Hasady, un influente predicatore islamico e insegnante di scuola superiore che ha trascorso cinque anni in un campo di addestramento in Afghanistan orientale, sovrintende all’addestramento, reclutamento e dispiegamento di circa 300 combattenti ribelli provenienti da Darna.

Sulla linea del fronte vi è Salah al-Barrani, un ex combattente del Gruppo combattente islamico libico, o LIFG, che si è stato addestrato negli anni ’90 dai mujahidin libico che tornavano a casa dopo aver aiutato a cacciate i sovietici dall’Afghanistan e che si dedicavano a estromettere dal potere Gheddafi. Sufyan Ben Qumu, un veterano dell’esercito libico che ha lavorato per l’holding di Osama bin Laden in Sudan, e in un secondo momento per le attività caritatevoli legate ad al-Qaida in Afghanistan, addestra molte reclute ribelli della città. Sia Hasady che Ben Qumu sono stati presi dalle autorità pachistane dopo l’invasione USA dell’Afghanistan nel 2001, e hanno consegnato Hasady agli Stati Uniti, che è stato rilasciato alla custodia libica dopo due mesi. Ben Qumu ha trascorso sei anni a Guantanamo Bay prima che fosse consegnato alla custodia libica nel 2007”. [20]

Il Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) è uno dei componenti delle forze del Consiglio di transizione. Secondo uno studio di West Point del Pentagono, la zona intorno a Bengasi e Darnah, nel Barqa, è il luogo noto per aver fornito il secondo gruppo di combattenti stranieri in Iraq; questi combattenti sono legati al LIFG, che attualmente è alleato degli Stati Uniti e della NATO. [21]

La NATO voleva una guerra in Nord Africa dall’inizio

Il New York Times (28 febbraio 2011) ha affermato che il governo francese si oppone alle azioni militari e che la NATO “non” dovrebbe essere usata contro i libici. [22] Questo è stato davvero un atto di politica del rischio calcolato, destinata a preparare la strada verso una più ampia guerra in Nord Africa. Steven Erlanger analizza la fasulla posizione dei francesi come segue:

[Il primo ministro] Fillon, come il signor Sarkozy, ha parlato con cautela dell’intervento militare in Libia, diplomatici occidentali hanno detto che la Francia si è opposta all’interno della NATO e delle Nazioni Unite. Il signor Fillon ha detto che la prospettiva di una zona di non volo sopra la Libia aveva bisogno di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, “oggi che è ben lungi dall’essere ottenuto”, e richiederebbe il coinvolgimento della NATO.” [23]

Tutto il preteso dibattito all’interno della NATO e la mancanza di entusiasmo per il ruolo dell’alleanza in Libia, è stata semplicemente una bravata e un atto teatrale ad uso del pubblico. A poco a poco la NATO si sarebbe presentata implicata solo attraverso un “ruolo tecnico” nella guerra. [24]

E’ a questo punto il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Roberts Gates, ha dichiarato: “Questa non è una missione della NATO. Questa è una missione in cui i mezzi della NATO possono essere utilizzati per il comando e controllo [contro la Libia].” [25] In realtà, il progetto era un piano della NATO fin dall’inizio della mobilitazione delle forze militari che circondano la Libia.

La NATO ha avuto anche il controllo dello spazio aereo libico, prima che la Libia fosse attaccata. [26] Nei franchi termini il segretario generale Anders Fogh Rasmussen, l’Amministrazione Obama, il N°10 di Downing Street e l’UE hanno fuorviato l’opinione pubblica.

E’ interessante notare, inoltre, che Anders Fogh Rasmussen è stato scelto come segretario generale della NATO, come ricompensa per il suo sostegno come primo ministro danese alle guerre in Afghanistan e in Iraq.

Perché l’Operazione Odyssey Dawn è stata consegnata alla NATO?

La NATO è un organismo non democratico e non è responsabile verso alcun collegio elettorale. E’ attraverso la NATO e le organizzazioni internazionali che il voto pubblico viene bypassato. Il comando della guerra contro la Libia ha deliberatamente stato riassegnato dal Pentagono alla NATO come un mezzo ingegnoso per aggirare il controllo e la responsabilità pubblico, da parte del governo degli Stati Uniti e tutti gli altri governi coinvolti in questa guerra.

Anche i cosiddetti reticenti della NATO, la Germania e la Turchia, sono favorevoli alla guerra. Berlino ha inviato più risorse militari nell’Afghanistan presidiato dalla NATO, in modo che le forze militari degli alleati potessero essere liberate per attaccare la Libia.

Inoltre, Ankara non ha impedito alla NATO di assumere formalmente le operazioni militari contro la Libia. Mentre il sentimento del popolo turco è contro la guerra, il governo turco è bordo con l’UE e gli Stati Uniti nella guerra contro la Libia. Vale anche la pena di citare il presidente Obama per quanto riguarda la posizione della Turchia sulla Libia:

In questo sforzo, gli Stati Uniti non hanno agito da solo. Invece, siamo assieme a una coalizione forte e crescente. Questa include i nostri più stretti alleati – nazioni come Regno Unito, Francia, Canada, Danimarca, Norvegia, Italia, Spagna, Grecia e Turchia – i quali hanno combattuto al nostro fianco per decenni.” [27]

Washington sta semplicemente cercando di nascondersi dietro i suoi alleati europei occidentali. [28] Gli Stati Uniti sono i leader delle operazioni della NATO, così come stavano lavorando dietro le quinte con i loro alleati per lanciare la guerra, imponendo una no-fly zone. Gli Stati Uniti hanno solo finto di essere contrari alla no-fly zone.

Il governo degli Stati Uniti, in realtà, ha fortemente sostenuto una no-fly zone, quando fu presentata al Consiglio di sicurezza dell’ONU, e il Pentagono aveva già mobilitato le risorse militari necessarie per attaccare la Libia. [29]

Inoltre, è un ufficiale degli Stati Uniti che ricopre la carica di Comandante supremo alleato in Europa. L’Ammiraglio James G. Stravridis è il comandante supremo delle operazioni militari della NATO. L’Ammiraglio Stravridis non ha bisogno di avere l’approvazione di nessuno della NATO per molte delle decisioni operative che prende.

Come questione pubblica, questo è stato deliberatamente chiarito dal senatore Joseph Lieberman e dall’ammiraglio Stravridis all’udienza del Comitato Forze Armate del Senato degli Stati Unitiin, secondo cui le operazioni militari degli Stati Uniti in Europa e Libia sono state discusse. [30] Va anche notato, che mentre l’ammiraglio Stravridis può operare in modo indipendente dal controllo del resto dei membri della NATO, è totalmente subordinato all’amministrazione Obama e al Pentagono.

Turchia: un cavallo di Troia?

Ankara è stato dipinta come raccordata al regime libico. In realtà, Ankara sostiene il Consiglio di transizione e la guerra della Nato contro la Libia. E’ stato affermato che la Turchia ha consigliato il Colonnello Gheddafi e il suo regime, ma questo è fuorviante. Ankara ha svolto il ruolo di negoziatore e intermediario, ma non in modo imparziale.

La Turchia gestisce l’aeroporto di Bengasi da cui inglesi, francesi, la NATO, il Qatar e gli Stati Uniti, hanno dato assistenza segrete ed illegali in supporto ai combattenti del Consiglio di transizione. [31]

E’ la NATO che ha assegnato ad Ankara il ruolo di autorità aeroportuale attraverso un accordo della NATO con il Consiglio di transizione. [32] Inoltre, una delle sedi operative della NATO per la guerra contro la Libia, si trova in Turchia e le forze navali di Ankara stanno partecipando alle operazioni navali e all’embargo contro la Libia. La Turchia è anche un combattente di fatto, attraverso il suo ruolo di supporto alla guerra.

La NATO funziona su base consensuale e se paesi come la Turchia e la Germania fossero stati davvero contro la guerra, allora avrebbero potuto bloccare la NATO dal farsi coinvolgere in Libia. La NATO nel suo complesso è militarmente impegnata in Libia e, pertanto, tutti i membri della NATO devono essere, per estensione, considerati dei combattenti.

Quando al generale Carter Ham è stato chiesto dal senatore Sessions se la Turchia ha ostacolato o bloccato la campagna militare degli attacchi della NATO, come veniva affermato, ha confermato che la Turchia era favorevole alla guerra. [33]

Il Generale Ham è il comandante di US Africa Command (AFRICOM) e l’ufficiale che ha inizialmente condotto la guerra contro la Libia, fino a quando le operazioni sono state trasferite alla NATO.

Prima della campagna della NATO contro la Libia, Ankara aveva approfondito il suoi legamo con Tripoli e aveva lavorato per stabilire un accordo di libero scambio tra la Turchia e la Libia. Come i suoi legami con la Libia, il governo turco ha anche approfondito i suoi legami con Iran, Siria, Libano, Palestina (Hamas), Russia e diverse ex repubbliche sovietiche. Questo è stato presentato come parte della rinascita politica estera turca, che a volte viene etichettata come neo-ottomanismo.

Questo, tuttavia, sembra essere anche un mezzo per portare questi giocatori nell’orbita di Washington e dell’Unione europea. A tale riguardo la Turchia potrebbe essere visto come un cavallo di Troia che lavora per l’integrazione di questi giocatori nella rete imperiale dell’impero di Washington. Il ruolo della Turchia in Siria, Libano e Gaza, sembra essere parte di uno sforzo coordinato per separarli dall’Iran.

Armare i ribelli: La Coalizione in violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’ATT

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno violato il diritto internazionale e le risoluzioni ONU 1970 e il 1973, con l’invio di armi al Consiglio di transizione. La Risoluzione ONU 1970 afferma specificamente che le armi non devono essere spedite in Libia.

Il primo ministro del Qatar, Al-Thani, ha detto anche che i ribelli saranno armati all’inizio del conflitto. [34] Il primo ministro Al-Thani non ha fatto queste affermazioni isolatamente, ha fatto queste dichiarazioni durante la conferenza di Londra sulla Libia e in collaborazione con i suoi incontri con gli USA, l’UE e la NATO.

Giorni dopo, il generale Abdel Fattah Al-Yunis (Al-Younis), e il Consiglio di transizione, hanno detto al network di proprietà saudita Al-Arabiya che avevano preso in consegna le armi che erano state spedite in Libia dall’estero. [35]

Pochi giorni dopo, l’emiro del Qatar, Sheikh Hamad bin Khalifa Al-Thani, ha detto alla CNN che il Qatar forniva armi al Consiglio di transizione di Bengasi. [36] In seguito, Al Jazeera del Qatar ha continuato l’offensiva per proteggere l’emiro Al-Thani e legittimare le sue azioni.

Mentre intervistava il segretario generale della NATO, Al-Jazeera ha riferito apertamente che il Qatar stava armando il Consiglio di transizione. [37] Questo faceva parte del più ampio sforzo per normalizzare le violazioni della risoluzione 1970 e del diritto internazionale.

In una intervista notevolmente teso, la conduttrice Ghida Fakhry ha chiesto al Segretario Generale Rasmussen se i membri della NATO armassero i ribelli o li aiutassero con intelligence, come il Qatar stava apertamente facendo, ma Ramussen ha rifiutato di rispondere alla domanda di Fakhry. [38]

Ciò che cosa Rasmussen ha fatto è stato evitare di toccare l’argomento eludendolo egli stesso ripetendo che la NATO stava semplicemente facendo rispettare la risoluzione ONU 1973. [39] La domanda è stata posta sulla base della risoluzione ONU 1970, ma Ramussen ha mantenuto il riferimento alla risoluzione Onu 1973 e ha ripetuto che la NATO la stava eseguendo. [40] Prima che l’intervista fosse finita, a Rasmussen è stata posta la domanda non meno di quattro volte da Ghida Fakhry. [41]

La logica era che la NATO e i suoi alleati stessero cercando di giustificare l’armamento del Consiglio di transizione, dicendo che inviavano le armi in Libia per la “protezione dei civili.” Le armi, comunque, sono destinate ad essere utilizzate per combattere i militari libici e per un’offensiva verso Tripoli. In questo contesto, le azioni del Qatar non sono isolate dalla più ampia campagna bellica guidata da Washington contro la Libia.

Il Trattato sul commercio delle armi (ATT) vieta anche di armare i ribelli, perché non sono il governo legale della Libia. I governi che armano i ribelli hanno tentato di aggirare questa disposizione legale, riconoscendo il Consiglio di transizione come il governo legale della Libia. [42]

Il Governo degli Stati Uniti ridefinisce il diritto internazionale e la realtà per giustificare i suoi crimini

Il governo statunitense è il partito che ha spianato la strada all’armamento del Consiglio di transizione e ha indiscutibilmente violato la risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza dell’ONU e la ATT. La direttiva per armare il Consiglio di transizione con le armi è stata trasmessa da Hillary Clinton a tutti i funzionari riuniti alla Conferenza di Londra sulla Libia. [43]

Se non fosse stato del tutto un atto, questo avrebbe costituito un cambiamento radicale per un funzionario degli Stati Uniti che, in precedenza, sosteneva che un intervento statunitensi e straniero sarebbe stato controproducente. [44]

Hillary Clinton ha cercato di giustificare l’armamento dei ribelli libici attraverso una interpretazione creativa della risoluzione ONU 1973: “‘E’ nostra interpretazione che (risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) 1973 ha modificato o sovrascritto il divieto assoluto di armare chiunque in Libia, in modo che ci possa essere un trasferimento legittimo di armi, se un paese dovesse decidere di farlo’, ha detto la Clinton.“[45]

La posizione degli Stati Uniti è diventato pubblica, allo stesso tempo della notizia che la CIA stava per armare il Consiglio di transizione. [46] Il Washington Post ha riferito che un anonimo funzionario degli Stati Uniti ha detto, il 30 marzo 2011, che “il Presidente Obama ha rilasciato una constatazione segreta che avrebbe autorizzato la CIA ad effettuare uno sforzo clandestino per fornire armi e altre forme di sostegno, ai gruppi dell’opposizione libica.”[47]

Inoltre, sarebbe diventato pubblico il fatto che Washington inviava armi in Libia attraverso i suoi clienti arabi.

Il ruolo arabo nell’armamento del Consiglio di transizione

Mentre Hillary Clinton stava dicendo alla comunità internazionale che le andava bene violare le risoluzioni dell’ONU, il Pentagono stava coordinando una violazione delle embargo sulle armi libiche, dando il via libera alla giunta militare egiziana nell’armare il Consiglio di transizione. [48] Ci sono stati anche dei rapporti che l’Egitto fornisse armi ai ribelli:

Sappiamo che il Consiglio militare egiziano ci sta aiutando, ma non possono essere così visibili“, ha detto Hani Souflakis, un uomo d’affari libico al Cairo, che ha agito come collegamento dei ribelli con il governo egiziano, da quando è cominciata la rivolta, secondo il giornale.

Le armi vengono spedite“, ha detto Souflakis. “Gli americani hanno dato il via libera agli egiziani per aiutarci. Gli americani non vogliono essere coinvolti a livello diretto, ma gli egiziani non lo farebbero se non avessero ottenuto [dagli USA] via libero“.

Un portavoce del governo ribelle di Bengasi ha detto che le spedizioni di armi aveva cominciato ad arrivare ai ribelli, ma ha rifiutato di specificare [ai giornalisti] da dove provenissero. [49]

In seguito, Mustafa Gheriani, un portavoce del Consiglio di transizione, ha dichiarato alla stampa internazionale riunita a Bengasi, che il Consiglio di transizione ha aperto centri per l’”addestramento professionale” in combattimento.

Il New York Times ha appena citato la risposta di Ghoga a una domanda che chiede se ci sono consiglieri militari e istruttori militari stranieri in queste strutture di combattimento:. Il New York Times ha riferito la risposta di Ghoga come segue “Alla domanda se egli [cioè Gheriani] intende che consiglieri o addestratori stranieri erano presenti, ha rifiutato di rispondere, ma strizzò l’occhio apertamente, due volte. ‘Abbiamo un sacco di persone che si addestrano, l’addestramento professionale vero e proprio, di cui non parliamo al mondo’, ha detto.”[50]

Va notato che tutto questo è accaduto ben prima che Francia e Gran Bretagna pubblicamente riconoscessero di aver inviato unità militari per contribuire all’addestramento del Consiglio di transizione nelle operazioni per combattere contro i militari libici.

Questo è in contrasto con quello che il governo britannico ha dichiarato pubblicamente prima, quando ha annunciato che non aveva intenzione di inviare nessun personale militare per assistere il Consiglio di transizione. [51]

In seguito, gli Stati Uniti e l’Italia, anche a livello bilaterale, hanno tenuto incontri di alto livello a Washington circa l’armamento delle le forze del Consiglio di transizione. [52]

Altri doppi standard: Chi invia mercenari in Libia?

Londra ha presentato un piano alle dittature arabe, in particolare agli Emirati Arabi Uniti e al Qatar, per inviare unità militari e addestratori militari a Bengasi e in Libia. [53] la Giordania, che è stato anch’essa coinvolta nella guerra in Libia e nell’oppressione di Bahrein, sarà con ogni probabilità coinvolta. [54]

Il piano britannico avrebbe visto Qatar e Emirati sbarcare truppe a Bengasi o, in alternativa, l’assunzione di ex membri delle forze armate britanniche come appaltatori militari privati. [55] Questi ultimi non sono solo mercenari, ma sono anche soldati inglesi che sono in congedo straordinario dal servizio militare, per combattere in veste non ufficiale.

Il Daily Telegraph ha avuto questo da dire, in merito al piano di inviare mercenari inglesi:

I capi militari occidentali stanno guardando all’esempio dell’Alleanza del Nord dell’Afghanistan, che nel 2001 avevano aiutato a cacciare i talebani, con il sostegno e la leadership militare di squadre della CIA e delle forze speciali britanniche. Un altro esempio [sono] le guerre balcaniche degli anni ’90, quando una società statunitense di mercenari ha addestrato e guidato l’esercito croato verso vittorie importanti contro le forze serbe, in un intervento tranquillamente sostenuto da Washington.

[...]

Tuttavia, si ritiene che gli ex militari britannici potrebbero essere utilizzati come addestratori e “moltiplicatori di forza”. Ex membri di Special Air Service, Special Boat Servire e altri reggimenti speciali britannici sono spesso impiegati da società private militari e dai regimi del Medio Oriente come “consulenti” per le loro forze armate. Per le operazioni in cui il governo britannico non è ufficialmente coinvolto, il personale delle forze speciali ha spesso il permesso di dimettersi temporaneamente o di mettersi in congedo, al fine di combattere per altri.

Negli anni ’70, gli ex membri del SAS hanno combattuto per il sultano dell’Oman con il tacito appoggio della Gran Bretagna. Molti dei soldati SAS sono stati autorizzati a dimettersi temporaneamente dall’esercito britannico per la campagna Oman, poi sono tornati in servizio. Ufficiali britannici stimano che ci sarebbe voluto circa un mese per addestrare i ribelli, al punto in cui si può montare una offensiva di terra coordinato contro [i militari libici].” [56]

Eppure, prima che il governo britannico presentasse anche un piano del genere ci sono state segnalazioni che Londra, insieme a Qatar, Egitto, Arabia Saudita e Stati Uniti, stava armando i combattenti del Consiglio di transizione contro i militari libici. [57] Questo dovrebbe includere l’addestramento tramite ditte o forze militari straniere.

Fase Due delle operazioni in Libia: Intervento Diretto sul terreno?

Il ruolo della NATO e della coalizione militare contro la Libia non si limita all’aria e al mare. Nel corso di una audizione presso commissione del Senato degli Stati Uniti sulle forze armate, l’ammiraglio Stravridis è stato obbligato dal senatore John McCain a riconoscere che alla fine le forze della NATO si sarebbero mosse verso Tripoli. [58]

Oana Lungescu, la portavoce della NATO, ha negato che la NATO prevede di inviare truppe sul terreno in Libia, ma questo è in aperta contraddizione con le dichiarazioni del comando operativo.

McCain ha anche ripetutamente chiesto che i vicini della Libia finanziassero la guerra della Nato contro la Libia. [59] Assieme al senatore Lieberman, McCain aveva ripetutamente sollecitato l’armamento delle forze di Bengasi dall’inizio del conflitto.

Sia McCain che Lieberman hanno iniziato a fare queste richieste e a chiedere una no-fly zone durante la visita in Israele e la consultazione dei leader israeliani. [60] Entrambi vogliono una invasione della Libia.

Una presenza militare straniera di una qualche forma è sul tavolo. Non sarà come le precedenti occupazioni militari della NATO. Mentre il presidente Obama ha dichiarato che truppe da combattimento degli Usa non atterreranno in Libia, il Comitato sulle Forze Armate degli Stati Uniti e l’ammiraglio Stravridis hanno chiarito che la NATO sta valutando l’invio di soldati in Libia, come parte di un “regime di stabilizzazione.” [61]

In altre parole, una forza internazionale verrà inviata per la cosiddetta missione di “pace” o “stabilizzazione” simile a quelle nella ex Jugoslavia e in Afghanistan. Questa è un’altra forma e un altro nome dell’occupazione. Il Pentagono e la NATO stanno cercando dei metodi per schivare d’informare le Nazioni Unite, al fine di invadere la Libia.

Sia Cairo che Tunisi sono candidati a giocare un ruolo in una invasione di terra sponsorizzata dalla NATO. Ai primi di marzo 2011, Hillary Clinton ha tenuto consultazioni in Tunisia e in Egitto con l’opposizione libica e i governi di Egitto e Tunisia. [62] In realtà stava coordinando la guerra in Libia con la Tunisia e l’Egitto.

I governi di Tunisia ed Egitto sono continuazioni dei vecchi regimi di questi paesi. Nessun autentico processo di democratizzazione ha avuto luogo. I regimi “contro-rivoluzionari” hanno aperto la Tunisia e l’Egitto all’ulteriore controllo economico degli Stati Uniti dell’UE sotto le cosiddette “riforme democratiche” e nuovi “investimenti stranieri.” [63]

Con il lancio della guerra, Tunisi avrebbe apertamente dato il suo appoggio alla guerra, mentre la giunta militare egiziana avrebbe fornito un sostegno segreto. E’ stato rivelato, di conseguenza, a Londra, che vi erano piani per inviare forze di terra britanniche al confine libico con la Tunisia. [64] Il governo britannico ha giustificato ciò con il pretesto di aiutare i rifugiati in fuga dalla Libia. [65]

La presenza di truppe straniere, in particolare sotto l’UE e la NATO, sarebbe orientato alla divisione della Libia in un protettorato o mandato fiduciario. Ciò probabilmente prenderà forma sotto due amministrazioni separate, con sede rispettivamente a Tripoli e a Bengasi.

Se l’occupazione dovesse esserci, verrebbe concordata da parte di almeno uno, o di entrambi, i governi di una Libia divisa, con capitali rispettivamente Tripoli e Bengasi.

La giustificazione della guerra si trasforma: si consolida la missione dell’inganno

Il presidente Obama e i suoi alleati, hanno inizialmente detto che la guerra non era volta a un cambio di regime, ma hanno fatto marcia indietro. Mentre Obama ancora negava che un qualsiasi cambio di regime avrebbe avuto luogo, il senatore McCain lo contraddiceva dicendo: “Cerchiamo di essere onesti con noi stessi e il popolo americano. Il nostro obiettivo in Libia è il cambiamento di regime, se l’Amministrazione [Obama] vuole chiamarlo così o no.”[66] Allo stesso modo in Canada, il primo ministro Stephen Harper e il suo ministro della difesa hanno confermato che il cambio di regime è un obiettivo. [67]

Tutti i marchi di garanzia dell’inganno sono presenti. Gli obiettivi non dichiarati in Libia sono sempre stati gli stessi, ma come in Iraq, gli obiettivi dichiarati pubblicamente sono cambiati. Obama, il presidente Sarkozy, e il primo ministro Cameron hanno ormai ammesso in una lettera congiunta, che la missione in Libia non sarà finita fino a quando Gheddafi sarà rimosso. [68]

Questo significa un cambiamento di regime. Può anche essere parte di una strategia per spingere Gheddafi ad accettare la partizione Libia, per salvare se stesso e il suo regime.

Andando avanti, il senatore John McCain e l’ammiraglio Stravridis hanno affermato che una situazione di stallo strategico tra Gheddafi e il Consiglio di transizione in Libia è inaccettabile per Washington o per gli interessi degli Stati Uniti, mentre ironicamente e senza volerlo, hanno ricordato che le no-fly zone e le sanzioni delle Nazioni Unite “non hanno avuto successo.” [69]

Se le no-fly zone e le sanzioni delle Nazioni Unite non funzionano nella protezione dei civili, perché sono imposte alla Libia, in primo luogo? Le no-fly zone e le sanzioni imposte alla Libia non sono destinate a proteggere i civili o a fermare i combattimenti, ma sono destinati ad indebolire le difese della Libia.

Le no-fly zone coprono l’intera Libia e non esclusivamente le zone controllate dal Consiglio di transizione. Se la logica della zone no-fly è quella di proteggere i civili, le no-fly zone sarebbero stato applicato alla zona intorno a Bengasi e Tripoli e non nella parte occidentale della Libia. Ciò significa che la Casa Bianca e l’Unione europea hanno utilizzato le no-fly zone come pretesto per scatenare una guerra di aggressione militare contro la Libia.

Mentre il presidente Obama ha dichiarato, in un discorso televisivo del 28 marzo 2011, che gli Stati Uniti stanno aiutando il Consiglio di transizione di Bengasi perché è nell’interesse del governo degli Stati Uniti. [70]

Il cambio di regime, piuttosto che proteggere i civili, è l’obiettivo dichiarato della guerra. Gli Stati Uniti e l’Unione europea l’hanno originariamente negato, ma con il tempo hanno dato libero sfogo parlando di cambiamento di regime e contemporaneamente smentito un cambio di regime a Tripoli.

Obama ha anche dichiarato questo obiettivo: “Qui non c’è il dubbio che la Libia – e il mondo – starebbe meglio con Gheddafi fuori dal potere. Io, insieme a molti altri leader mondiali, ho abbracciato tale obiettivo, e la perseguiamo attivamente con mezzi non militari”. [71]

Altri inganni: il mantenimento della pace dell’Unione europea e della NATO

L’Unione europea ha anche fatto i preparativi per schierare una forza militare europea in Libia chiamata EUFOR-Libia. [72] Il governo tedesco è stato il sostenitore principale, ma defilato, di ciò. [73] Questo è presentato sotto le mentite spoglie di una missione di pace in Libia. È essenzialmente la stessa cosa con i peacekeepers della NATO, ma sotto un nome diverso.

La NATO si sta muovendo nel colmare i cosiddetti vuoti “post-conflitto” nei luoghi in cui il Pentagono e le sue coorti portano la guerra. Questo è successo dall’ex Jugoslavia all’Afghanistan e al Libano. Si tratta di una nuova strategia di moderna colonizzazione.

L’uso della NATO può avvenire in modo formale o informale. In Libano, la NATO ha voluto inviare truppe, ma quando i campanelli di allarme hanno cominciato a suonare tra i popoli libanese e arabo, il nome della NATO è stato formalmente rimosso. Invece i membri della NATO hanno inviato le loro truppe in Libano, ma non sotto il nome di NATO. L’operazione è diventata informale.

Il ruolo della NATO in Libano non è stata elaborata nello spirito di pace. In realtà, il generale Alain Pellegrini, l’ex comandante militare delle United Nation Interim Force in Lebanon (UNIFIL), in un’intervista al quotidiano libanese Safir, ha confermato che il Pentagono aveva previsto di lanciare un’invasione NATO del Libano, per aiutare Israele e utilizzare la NATO per occupare il Libano, nel 2006.

Il Pentagono e la NATO prolungano la guerra per approfondire il loro controllo

Più di un mese dopo le sue affermazioni sui tentativi di Gheddafi di usare armi chimiche contro i civili, il generale Abdul Fatah Al-Yunis ha anche detto che la NATO è stata lenta ad agire a sostegno del Consiglio di transizione di Bengasi. La sua precedente dichiarazione sulle armi chimiche era finalizzata a rafforzare il supporto all’intervento militare straniero, era una bugia.

La sua ultima affermazione, tuttavia, potrebbe essere sia uno sforzo coordinato di propaganda che mira a consolidare le sempre maggiori richieste di intervento militare della NATO, o un chiaro segno che la NATO ha volutamente utilizzare le risposte adeguate per fare diventare il Consiglio di transizione più dipendente dal sostegno straniero e per prolungare gli scontri interni in Libia. [74] Può essere entrambe le cose.

Al-Jazeera ha riferito queste dichiarazioni alla sua conferenza stampa:

Purtroppo, e mi dispiace dirlo, la NATO ci ha deluso. I miei collaboratori sono stati in contatto con funzionari della NATO per orientarla verso gli obiettivi che dovrebbero proteggere i civili, ma fino ad ora, la NATO non ci ha dato quello che ci serve”, ha detto. […] I civili muoiono ogni giorno a causa della mancanza di cibo o di latte, anche i bambini stanno morendo. Anche per i bombardamenti. Se la NATO attende un’altra settimana, sarà un crimine che la NATO dovrà sopportare. Cosa sta facendo la NATO? Sta bombardando solo alcune aree definite“, aveva detto.

Quando una grande forza di carri armati e anche di artiglieria, è in rotta per Bengasi, Ajdabiya o Brega, informiamo sempre subito la NATO. Perché noi non abbiamo tali armi. La reazione della NATO è molto lenta. Con il tempo che l’informazione impiega per arrivare da un funzionario all’altro, fino a raggiungere il comandante sul campo, ci vogliono ore. [Sic].

Queste forze aspetteranno ore e ore per essere bombardate? No, andranno in città e la bruceranno. Questo è il motivo per cui voglio che la NATO stia con noi e ci sostenga, in caso contrario chiederò al Consiglio nazionale [dell'opposizione] di affrontare la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.”[75]

Il Generale Al-Yunis ha inoltre affermato: “Se la NATO voleva rimuovere l’assedio di Misurata, l’avrebbe fatto giorni fa [durante i suoi attacchi contro i militari libici]“. [76] A questo proposito, Al-Yunis ha ragione.

Gli Stati Uniti e la NATO stanno deliberatamente prolungando la guerra e, per il momento, stanno cercando di mantenere una situazione di stallo strategico in Libia, nel loro sforzo di controllare l’intero paese.

Questo fa parte dei loro piani per indebolire la Libia sia attraverso la partizione che attraverso una balcanizzazione morbida. sotto un nuovo sistema federale.


*Mahdi Darius Nazemroaya è specialista in Medio Oriente e Asia Centrale. É Ricercatore Associato del Centre for Research on Globalization (CRG).

NOTE

1 Ken Dilanian, “CIA officers in Libya re aiding rebels, US officials say,” Chicago Tribune, 30 Marzo 2011.

2 Howard LaFranchi, “Libya: US closes embassy in Tripoli, sanctions loom,” Christian Science Monitor, 25 Febbraio 2011; Embassy of the United States in Libya, “US Embassy Tripoli Warden Message – US Government Suspension of Operations,” 25 Febbraio 2011:

3 Nicolas Squires, “Libya: Italy repudiates friendship treaty, paving way for future military action,” The Daily Telegraph (UK), 28 Febbraio 2011.

4 Mark Hosenball, “US agents were in Libya before secret Obama order,” Reuters, 31 Marzo 2011.

5 Ibid.

6 Ibid.

7 Michel Chossudovsky, “When War Games Go Live: ‘Staging’ a ‘Humanitarian War’ against ‘SOUTHLAND,’” Global Research, 16 Aprile 2011.

8 Air Defence and Air Operation Command, Southern Mistral 11: Assets Deployed, 15 Febbraio 2011: .

9 Liam Fox, “Liam Fox: Libya crisis shows why we’re right on defence reform,” The Sunday Telegraph (UK), 26 Febbraio 2011

10 James Kirkup e Richard Spencer, “Libya: British Army ready for mission at 24 hours’ notice,” The Daily Telegraph (UK), 4 Marzo 2011.

11 Ibid.

12 Martin Chulov, Polly Curtis and Amy Fallon, “’SAS unit’ captured in Libya.” The Guardian (UK), 6 Marzo 2011.

13 Caroline Gammell, Nick Meo, and James Kirkup, “Libya: SAS mission that began and ended in error,” The Daily Telegraph (UK) 6 Marzo 2011.

14 Ibid .; Dilanian, “CIA officers,” Op.cit.; Il Chicago Tribune ha detto questo riguardo alla missioni di intelligence inglese: “gli agenti della CIA in Libia fanno parte di un contingente operativo occidentale. Il pubblico è tenuto all’oscuro delle attività fino al 6 Marzo, quando un gruppo delle special force inglese, e un membro dell’intelligence service, sono catturati dai ribelli e rilasciati.”

15 Michael Georgy and Maria Golovina, “Libya to hand over captured Dutch marines – Gaddafi son,” Reuters, ed. Philippa Fletcher, 10 Marzo 2011; Associated Press (AP), “Gaddafi’s forces capture Dutch marines on rescue mission,” 3 Marzo 2011.

16 Ibid.

17 Ibid.

18 Steven Erlanger, “French Aid Bolsters Libyan Revolt,” The New York Times, 28 Febbraio 2011.

19 Akhtar Jamal, “US, UK, French forces land in Libya,” Pakistan Observer, 28 Febbraio 2011.

20 Charles Levinson, Ex-Mujahedeen Help Lead Libyan Rebels, The Wall Street Journal (WSJ), 2 Aprile 2011.

21 Joseph Felter e Brian Fishman, Al-Qa’ida’s Foreign Fighters in Iraq: A First Look at the Sinjar Records (West Point, NY: West Point US Military Academy, 2007), pp.7-12.

22 Erlanger, “French Aid Bolsters,” Op. cit.

23 Ibid.

24 David Brunnstrom, “NATO meets to decide alliance in Libya,” Reuters, 23 marzo 2011.

25 David Brunnstrom et al., “NATO to enforce Libya embargo, stuck on no-fly,” Reuters , ed. Paul Taylor, 22 Marzo 2011.

26 Jamey Keaten e Slobodan Lekic, “World Leaders Meet in Paris for Critical Libya Talks,” Associated Press (AP) 19 Marzo 2011.

27 Barack Hussein Obama, Remarks of the President in Address to the Nation on Libya (Address, National Defense University, Washington, DC: 28 Marzo 2011).

28 Terri Judd, “French jets enforce no-fly zone as America plays done its role,” The Independent (UK), 21 Marzo 2011.

29 Omar Karmi, “US deploys naval and air forces near Libya,” The National (UAE), 1 Marzo 2011; Ian Black et al., “Libya crisis: Britain, France and US prepare for air strikes against Gaddafi,” The Guardian (UK), 17 Marzo 2011.

30 United States Senate Armed Services Committee, US European Command and US Strategic Command in review of the Defense Authorization Request for Fiscal Year 2012 and the Future Years Defense Program, 112th Congress, 2011, 1st Session, 29 Marzo 2011.

31 Today’s Zaman, “Turkey will run Benghazi airport,” 29 Marzo 2011.

32 Ibid.

33 US Senate Armed Services Committee, Testimony on US Transportation Command and US Africa Command in review of the Defense Authorization Request for Fiscal Year 2012 and the Future Years Defense Program, 112th Congress, 2011, 1st Session, 7 Aprile 2011.

34 David Stringer, “Top envoys agree Libya’s Moammar Gadhafi must step down but don’t discuss arming rebels,” Associated Press (AP), 29 Marzo 2011.

35 Rod Nordland, “Libyan Rebels Say They’re Being Sent Weapons,” The New York Times, 16 Aprile 2011.

36 Ibid.

37 Anders Fogh Rasmussen, “Battle for Libya,” intervista di Ghida Fakhry, Al Jazeera, 8 Aprile 2011.

38 Ibid.

39 Ibid.

40 Ibid.

41 Ibid.

42 Mahdi Darius Nazemroaya “’Operation Libya’ – Recognizing the Opposition Government Constitutes a Pretext for Military Intervention,” Global Research, 13 Marzo 2011.

43 Nigel Morris and Oliver Wright, “Clinton: UN resolution gives us authority to arm Libyan rebels,” The Independent (UK), 30 Marzo 2011.

44 Julian Borger and Ewen MacAskill, “No-fly zone plan goes nowhere as US, Russia and Nato urge caution,” The Guardian (UK), 1 Marzo 2011.

45 Stringer, “Top envoys agree,” Op. cit .

46 Dilanian, “CIA officers,” Op. cit .

47 Karen DeYoung and Greg Miller, “In Libya, CIA is gathering intelligence on rebels,” The Washington Post, 30 Marzo 2011.

48 Giles Elgood, “Egypt arming Libyan rebels Wall Street Journal reports,” Reuters , ed. Andrew Roche, 18 Marzo 2011.

49 Ibid.

50 Nordland, “Libyan Rebels,” Op. cit.; L’Emiro del Qatar lo conferma dicendo a Wolf Blitzer della CNN, che ci dovrebbe essere un programma per inviare armi al Consiglio di Transizione da fuori della Libia.

51 James Kirkup, “Libya: Arab states urged to train and lead rebels,” The Daily Telegraph (UK), 22 aprile 2011; A questo proposito, James Kirkup scrive: “Il governo britannico ha reso chiaro che non parteciperà pubblicamente a nessuna azione di addestramento in Libia, credendo che ogni livello di intervento di terra deve essere fatto degli stati arabi“.

52 Atul Aneja, “Opposition allies mull ‘political solution’ in Libya,” The Hindu, 8 aprile 2011; citando Bloomberg, Aneja riferisce: “Non sorprende che gli Stati Uniti e l’Italia stanno seriamente pensando di armare le forze di opposizione libica, in seguito ai colloqui a porte chiuse a Washington tra il segretario di Stato Usa Hillary Clinton e il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, ha riferito Bloomberg.”

53 Kirkup, “Libya: Arab states,” op. cit.

54 Jordan Times, “’Jordanian fighters protect aid mission’” 2 aprile 2011.

55 Kirkup, “Libya: Arab states,” Op. cit.

56 Ibid.

57 Scott Peterson, “Italy rejects Qaddafi, recognizes Libyan rebel government,” Christian Science Monitor, 4 Aprile 2011; Elgood, “Egypt arming Libyan,” Op. cit.

58 US Senate Armed Services Committee, US European Command, Op. cit.

59 US Senate Armed Services Committee, US Transportation Command, Op. cit.

60 Jackson Diehl, “McCain: US ‘making up reasons’ to avoid action on Libya,” The Washington Post, 1 marzo 2011.

61 US Senate Armed Services Committee, US European Command, op. cit.; L’ammiraglio Stravridis ha anche detto alla Commissione Forze Armate degli Stati Uniti che dovrebbe rendersi conto che la NATO ha una tradizione di stazionamento delle truppe nella ex Jugoslavia e in Afghanistan, come un precedente per la Libia.

62 Nicole Gaoutte e Viola Ginger, “Clinton will Travel to Egypt, Tunisia, Meet With Libyan Opposition Leaders,” Bloomberg, 10 marzo 2011.

63 Ibid.

64 Nigel Morris, “British troops could be deployed to Tunisia,” The Independent (UK), 28 aprile 2011.

65 Ibid.

66 US Senate Armed Services Committee, US Transportation Command, Op. cit.

67 Mark Kennedy, “Canada joins UN coalition aerial mission on Libya,” Edmonton Journal, 19 marzo 2011; Agence-France Presse (AFP), “Canada wants Kadhafi out but will keep to UN mandate,” 22 marzo 2011.

68 The Daily Mail (UK), “MPs rebel over Libya mission creep as Cameron, Obama and Sarkozy prom