giovedì 17 maggio 2012

Crisi economica update

Torniamo ancora una volta su questa crisi economica di sistema senza via d'uscita.

Ci sarebbe naturalmente, ma chi detiene il Potere se ne guarda bene dall'imboccarla...



La JP Morgan scommette, specula e la fa franca
di William K. Black* - http://edition.cnn.com - 15 Maggio 2012
Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di ERNESTO CELESTINI
 
JPMorgan ha perso più di 2 miliardi di dollari a causa di scommesse speculative.

“E' semplicemente irrazionale consentire che esistano certi istituti finanziari.”
“Né i democratici né i repubblicani hanno il coraggio di riformare le banche”.
“Sono i contribuenti a farne le spese quando le banche, come JPMorgan, possono stravolgere le regole”.


(CNN) – JP Morgan Chase può essere considerata una istituzione sistematicamente pericolosa, il che significa che è "troppo grande per fallire", perché il governo teme che il suo crollo causerebbe una crisi finanziaria globale.

E' semplicemente irrazionale consentire che una tale istituzione esista, particolarmente perché può facilmente incappare in una perdita di gestione ordinaria di due miliardi di dollari.

Le banche sono più efficienti quando sono controllate in modo da non poter più mettere in pericolo l'economia mondiale. Ma visto che le banche JP Morgan e simili sono i maggiori patrocinatori di democratici e repubblicani, nessun partito politico ha il coraggio di ordinare loro di riformarsi.

La Regola Volcker, che ha lo scopo di evitare alle banche assicurate di impelagarsi in scommesse speculative, è stata approvata nell'ambito del Dodd-Frank Act nonostante le obiezioni del Segretario del Tesoro Timothy Geithner e quasi tutta la delegazione repubblicana del Congresso.

Già nel 2008, quando la crisi finanziaria ci ha colpito duramente, sono andate in rovina una serie di grandi istituzioni. AIG, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers, Fannie Mae, Freddie Mac, Washington Mutual e Wachovia hanno subito enormi perdite sui loro derivati tossici, particolarmente le obbligazioni di debito collaterale (CDO) e i credit default swaps (CDS), meglio conosciuti come "green slime- bava verde "


Sarebbe bello pensare che qualcuno abbia imparato una lezione. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, adesso è d'accordo che le banche non dovrebbero investire in “ derivati”. Ma i sussidi governativi sono una spinta per incoraggiare la frode e la speculazione.

JP Morgan, la più grande banca della nazione, riceve una sovvenzione federale esplicita (l'assicurazione sui depositi) e un altro, ben più sostanzioso, sussidio federale implicito. E’ scorretto per una megabanca utilizzare queste sovvenzioni per speculare sui derivati. E tuttavia può farlo quasi senza gravi conseguenze normative.

Le istituzioni finanziarie, come JP Morgan amano comprare i derivati perché non sono trasparenti e creano un reddito fittizio che porta “bonus veri e propri” e quando (…. non se …) le perdite diventano tanto grandi da spingere la banca al fallimento, c’è sempre qualcuno che la salverà.

La “Volcker Rule è stata inserita nel “Dodd-Frank Act” per risolvere il problema.

Tuttavia, JP Morgan ha fatto il tentativo di sventrare la Volcker Rule e le disposizioni che richiedono trasparenza. JP Morgan è il più grande acquirente del mondo di strumenti finanziari derivati dalle proprietà - esattamente quella attività a cui la Volcker Rule ha cercato di porre fine. La banca dichiara di non essere impegnata in compravendite- immobiliari ma che acquista i derivati esclusivamente per la loro copertura.
 

Questa dichiarazione è un esempio di ciò che Stephen Colbert intendeva quando ha inventato il termine: "truthiness". (La qualità di affermare concetti che si vuole o si crede che siano veri, malgrado i fatti reali dimostrino il contrario).

Si definisce “ hedge/siepe” un investimento che compensa le perdite con un altro investimento. Le siepi immaginate da JP Morgan non sono “siepi” basate su delle regole contabili perché hanno dimostrato di non funzionare come copertura.

JP Morgan ha comprato decine di miliardi di dollari di derivati che hanno aumentato le perdite, piuttosto che ridurle. Queste operazioni si chiamano “Anti-Hedges- Antisiepi" - in altre parole, hanno creato un "hedginess" - un parallelo immaginario del "truthiness"


Allora l'approccio della banca all’"hedginess" è stato fatto per coprire le proprie perdite, quindi vorrebbe acquistare un derivato, se crede che i derivati siano una hedge/siepe o qualcos'altro: quindi se lo crede si “deve trattare di un hedge/siepe”.

Le norme interpretative della Regola Volcker consentono queste false operazioni di copertura solo perché JP Morgan ha fatto pressione per rendere questa regola inutile.
 

JP Morgan asserisce che queste anti-siepi (che sono profondamente dannose e immorali) devono essere considerate vere "siepi", in quanto solo questo termine è contemplato nelle norme del regolamento di attuazione della Volcker Rule.
 

Ma se l’“hedginess” è ammissibile, ”ergo”la regola Volcker è inapplicabile.

Si tratta di un trucco della JP Morgan con cui è stata capace di creare una ulteriore perdita di $ 2 miliardi con investimenti che avrebbero dovuto essere autorizzati solo per ridurre le perdite. Il governo deve rivedere i regolamenti e rifiutare l’assurda interpretazione di JP Morgan sulle anti-siepi di copertura.

Le false siepi sono un abuso generalizzato, pericoloso e sono una forma letale di speculazione. Dal 2003 al 2006, la Commissione Securities and Exchange ha scoperto che i giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac violavano l'hedge accounting per massimizzare i bonus dei loro dirigenti


Le siepi finte di Fannie, come quelle di JP Morgan, hanno aumentato le loro perdite. Il Dipartimento di Giustizia non è riuscito a fare un processo, e i dirigenti se ne sono andati più ricchi di prima. I loro successori hanno fatto scoppiare il “caso Fannie” e il tutto è costato ai contribuenti qualche centinaio di miliardi di dollari.

Quando un amministratore delegato della banca è onesto, ma incompetente, le siepi finte oltre ad aumentare i rischi, creano anche un diffuso compiacimento ingiustificato che la copertura abbia compensato il rischio. E’ così che si possono provocare perdite catastrofiche.

Un amministratore delegato disonesto di una banca usa le false siepi per saccheggiare la banca creando un reddito immaginario e nascondendo le perdite reali. Un reddito falsificato rende ricco il CEO grazie ai suoi compensi massimizzati.

L’ attuale speculazione in derivati della JP Morgan indebolisce ma non uccide la banca. Se questa e altre istituzioni sistematicamente pericolose continueranno ancora a poter giocare con l’ hedginess, sarà solo questione di tempo, ma si ripeterà un’altra crisi finanziaria. E chi la pagherà ? I contribuenti come voi e me, naturalmente.

*William K. Black è professore associato di economia e diritto presso l'Università del Missouri-Kansas City. Ex consulente finanziario per il governo e esperto di criminologia dei colletti bianchi, è autore di "The Best Way to Rob a Bank is to Own One." .


Il ritorno del terrorismo
di Alberto Bagnai - http://goofynomics.blogspot.it - 15 Maggio 2012

Come vedete, l'euro sta creando grandi tensioni sociali e internazionali. Quelle tensioni che la teoria economica, per bocca dei suoi massimi esponenti, aveva puntualmente anticipato.

Mi piace ad esempio ricordare qui il più volte citato articolo di Martin Feldstein (“EMU and international conflict”, Foreign Affairs, vol. 76, n. 6, novembre/dicembre 1997), laddove dice testualmente: "invece di favorire l’armonia intra-Europea e la pace globale, è molto più probabile che il passaggio all’unione monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirà conduca a un aumento dei conflitti all’interno dell’Europa" (p. 61), e aggiunge "un aspetto cruciale dell’Unione Europea in generale e di quella monetaria in particolare è che i paesi membri non hanno un modo legittimo di ritirarsi...

L’esperienza americana, con la secessione del Sud, potrebbe offrire qualche lezione sui pericoli di un trattato o di una costituzione che non offre vie di uscita" (p. 72).

Stiamo parlando di un docente di Harvard, con questa produzione scientifica, che ha diretto il National Bureau of Economic Research (altri dettagli li trovate nel post sulla catastrofe annunciata). Astenersi blogger stralunati, questa è scienza, vi piaccia o no. Se non la capite, rimane tale.

Ciò posto, assistiamo in effetti in questi giorni a una escalation di terrorismo. Attenzione però, non voglio parlarvi del terrorismo al quale forse pensate voi. Sì, come ha dimostrato il mio maestro Francesco Carlucci nel suo lavoro "Un discorso statistico sulla violenza politica in Italia", Statistica, 50, N.2, 1990, esiste, come è anche facile immaginare, un legame statistico ben preciso fra la violenza politica, il terrorismo, e le fasi del ciclo economico.

La gente diventa violenta quando sta male, e forse lo diventa ancora di più se capisce di essere anche stata presa in giro. Un fenomeno che esiste, che i dati rivelano, e che condanniamo incondizionatamente.

Ma questo terrorismo lo lasciamo da parte, volevo parlarvi di un altro terrorismo, più insidioso, del quale dobbiamo essere consapevoli, per non soccombere ad esso. Sarebbe triste, perché possiamo combatterlo facilmente e senza violenza. Di quale terrorismo voglio parlarvi? Vi faccio un esempio.

Un prestigioso (valutate voi) quotidiano nazionale oggi titola che " il ritorno alla dracma costerebbe 11000 euro all'anno per ogni europeo". Prima di entrare nel merito, cerchiamo di capire di che cifra stiamo parlando.

Non è semplice, perché non è semplice capire cosa si intenda per Europa: di Europe oggi ce ne sono tante, tutte fasulle (Unione Europea, Eurozona), tranne una, quella che c'è sempre stata (almeno in tempi storici). Ma supponiamo che trattandosi di euro l'autore dell'articolo, Ettore Livini, intenda riferirsi all'eurozona.

Dunque: secondo i World Development Indicators la popolazione dell'eurozona nel 2010 era di 331.675.464 abitanti (diciamo 332 milioni). Se li moltiplichiamo per 11.000 euro, il risultato è 3.648.430.108.771 euro, cioè 3648 miliardi di euro, cioè... cioè, per capirci, una volta e mezzo il Pil della Germania! Per di più "all'anno", senza specificare per quanti anni...

Ehi, amico!? Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Salvare la Grecia ci costerebbe una volta e mezzo il Pil della Germania? Ma la Germania è grande più di 10 volte la Grecia, in termini di Pil! Da dove salta fuori 'sta moltiplicazione per dieci?

Aspetta, te lo dico in un altro modo, per capirci. Se i cittadini dell'eurozona volessero comprarsi l'intera Grecia, questa costerebbe loro un po' più di 800 euro a testa, da pagarsi in un'unica soluzione. Sì, perché sai, tu sei un giornalista, hai studiato altre cose, ma la Grecia rimane pur sempre un 3% o giù di lì del Pil dell'eurozona.

Ma come può venirti in mente che la sua uscita provochi uno sconquasso delle proporzioni che tu dici? Sai, stai parlando di una cosa seria, di una cosa che preoccupa la gente, pensaci, verifica, lo so che vai di fretta (sapessi io), ma ci vorrebbe un po' di responsabilità...

Ma io lo sapevo da dove veniva quel numero. Lo sapevo anche prima di leggere l'articolo, perché, come vi ho più volte detto, sto organizzando un convegno scientifico dal titolo: "The Euro: manage it or leave it! The economics, social and political costs of crisis exit strategies". Sono arrivati tanti lavori, di economisti tedeschi, belgi, irlandesi, spagnoli, portoghesi, greci, italiani, polacchi, cechi, insomma, un po' di tutto, e da organizzatore del convegno devo leggere tutti questi lavori per organizzare le sessioni.

Ora, il lavoro di un collega tedesco molto preparato, Ansgar Belke, si occupa proprio degli scenari di uscita, distinguendo fra uscita di un paese "debole" (come la Grecia) e di un paese "forte" (come la Germania).

E leggendolo sono venuto a conoscenza dello studio dell'UBS che Repubblica prende come base della sua incredibile asserzione. Lo studio è qui e potete leggerlo tutti. Cosa dice questo studio? Dice che


"a seceding country would have to expect a cost of EUR9,500 to EUR11,500 per person when seceding from the Euro area." Cioè:
1) il costo verrebbe sostenuto dal paese che esce (la "seceding country"); e

2) nel primo anno ("when seceding").


Quindi non dice, come riporta Repubblica: "Italiani e spagnoli, ha calcolato Ubs un anno fa, pagherebbero tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa all'anno per l'addio all'euro di Atene." No. 

Quello che UBS dice è che italiani e spagnoli pagherebbero (separatamente) questa somma per il loro eventuale addio all'euro, cioè, rispettivamente per il ritorno alla lira o alla peseta, senza che questo evento coinvolga (o almeno non per un ammontare simile) tutti i cittadini dell'eurozona!

E ancora, ci sono parecchi dettagli da aggiungere.

Il primo è che lo studio UBS in effetti fornisce una stima in termini di Pil: secondo lo studio, la perdita sarebbe fra il 40% e il 50% del Pil per il paese che esce. Ci siamo?

Siccome il Pil Italiano è attorno ai 1500 miliardi di euro, e noi siamo circa 60 milioni, a ogni cittadino italiano (non a tutti gli europei), con questa logica, il ritorno alla lira costerebbe fra i 12.500 e i 10.000 euro nel primo anno (con altre "rate" intorno ai 3.000 negli anni immediatamente successivi, ma su questo lo studio non è chiaro).

Con i numeri della Grecia, il costo del ritorno alla dracma sarebbe invece fra i 10.000 e gli 8.000 euro per cittadino greco (non per tutti gli europei). Sono sempre molti, ma non sono 11.000, non sono per tutti i cittadini europei, e sono solo per il primo anno.

La capite, la differenza, no? Quindi chissà perché qualcuno non la capisce...

Poi, c'è un ulteriore dettaglio da aggiungere. Lo studio dichiara che i modelli economici non sono uno strumento utile per effettuare analisi così radicali, e che secondo lui lo scenario più appropriato non sarebbe quello della "rottura" dello SME credibile (la svalutazione del 1992-93, che fu attorno al 20%), ma uno scenario argentino, con svalutazioni attorno al 60%.

Quanto dilettantismo...

Perché, vedete, la logica sottostante alla svalutazione argentina di fine 2001, o a quella italiana di fine 1992, è esattamente identica: cambiano solo i numeri. In entrambi i casi il cambio nominale si svalutò di quanto era necessario per recuperare il differenziale di inflazione cumulato rispetto al paese "core", secondo il modello economico detto della parità relativa del potere d'acquisto, il quale stabilisce appunto che il cambio nominale tende a "recuperare" quello che il differenziale di inflazione ha fatto perdere al paese "satellite" rispetto al paese "nucleo".

Vi faccio un esempio.

Nel 1992 l'Italia aveva mantenuto il cambio sostanzialmente fisso rispetto al marco tedesco per i cinque anni precedenti (il cosiddetto Sme credibile). Nello stesso periodo aveva avuto in media 4 punti di inflazione in più della Germania. Siccome 5x4=20, il cambio nominale dovette svalutarsi del 20% per rendere i prodotti italiani nuovamente competitivi (cioè: la valuta si deprezzò più o meno esattamente di quanto si erano complessivamente "apprezzati" i prodotti italiani rispetto a quelli tedeschi, ovvero di circa il 20%, cioè del 4% all'anno per 5 anni. Ai fini matematici e astrofili dilettanti segnalo che sto facendo un calcolo approssimativo e ne sono consapevole: il 4% all'anno per 5 anni non dà il 20% ma il 21.6%).  
Tutta la storia è raccontata in dettaglio qui, rispondendo a un altro, ben più illustre, terrorista (che, non a caso, è anche uno di quelli che "la moneta si crea col mouse"... Ma dove si compra 'sto mouse?).


Nel 2001 in Argentina la svalutazione fu ben più importante: toccò addirittura il 200%. Ma un motivo c'era, ed è molto semplice: il differenziale di inflazione cumulato rispetto agli Usa nel decennio durante il quale il cambio col dollaro era stato fisso (un peso=un dollaro) era molto più importante. 

I dati, tratti dalle International Financial Statistics, sono qui, così come li presento, nella loro verità, ai miei studenti (mi hanno anche rimproverato questo, alcuni stralunati commentatori: non ci crederete, ma in privato mi hanno scritto che devo stare attento a dire la verità sul blog, perché i miei studenti potrebbero leggerlo!):


Eh sì, l'Argentina era entrata nella dollarizzazione con una signora inflazione (172%), che non si era annullata subito, ma dopo cinque anni (trasformandosi in deflazione prima della crisi: vedete, dal 1999 i prezzi stavano diminuendo dell'1% all'anno, il sogno di ogni banchiere centrale...).

Anche qui, a spanna, l'Argentina aveva cumulato 221 punti di inflazione durante la dollarizzazione, e sottraendo i 31 punti cumulati dagli Usa si arriva a 190 punti. La svalutazione del 2001 fu di quell'ordine di grandezza:


Ecco, vedete? Il cambio, e, passò da 1 peso a 3.32 pesos per dollaro: una svalutazione del 232% che però era esagerata rispetto all'assetto dei fondamentali (che implicavano una svalutazione di circa il 190%), e infatti l'anno successivo (nel 2003) il peso si rivalutò (da 3.32 a 2.91 peso per dollaro), portandosi in linea coi fondamentali. I quali, se si chiamano fondamentali, un motivo ci sarà.

Che ci possa essere un overshooting nell'aggiustamento del tasso di cambio è cosa nota: Dornbusch ci avrebbe preso il Nobel per avercelo spiegato, se non fosse morto prima. Ma alla fine, placata l'isteria dei mercati, i fondamentali regnano, come la letteratura scientifica più recente ci insegna. E questo si verifica anche perché sappiamo che i mercati credono a certi modelli e li usano per le loro previsioni.  

Quindi l'economia va dove i modelli dicono che andrà perché chi ha il potere di mercato per condizionarla ce la porta, dato che crede a quei modelli. E questo i professionisti lo sanno e lo dicono. 

Ripeto: la teoria secondo la quale il cambio nominale tende a "recuperare" il differenziale di inflazione cumulato si chiama teoria della parità relativa dei poteri d'acquisto ed è sostanzialmente verificata dai dati. In ogni caso, è ad essa che fanno riferimento i forecaster ed è su quella formano le loro aspettative, come ci ricordano gli esperti del Fondo Monetario Internazionale.

Già che ci siamo, osservate un'altra cosa. Voi sapete che i nostri amici piddini in questo caso dicono: "ma la svalutazione avrà generato altrettanta inflazione e quindi non ci saranno stati benefici sul commercio e sulla bilancia dei pagamenti". Ma noi sappiamo già che questo non è mai vero, e siccome non lo è mai, non lo è nemmeno nel caso dell'Argentina. 

A fronte di una svalutazione del 230%, l'inflazione fu del 26% (25.87%), poi scemò rapidamente (13% l'anno successivo, 4% l'anno ancora dopo), mentre il cambio si stabilizzava attorno a 3 pesos per dollaro. E quindi, siccome i benefici della svalutazione non furono, come non sono mai, annullati dall'inflazione, il saldo estero (CA) migliorò di dieci punti, dal -1% al +9%.

Cosa succederebbe a noi se uscissimo? Semplice: quello che è sempre successo perché i mercati si aspettano che succeda. Dal 1993 al 2010 abbiamo accumulato un differenziale di inflazione di circa 18 punti rispetto alla Germania. La svalutazione che ci attende sarebbe quindi di circa il 20%.

Certo, all'inizio ci sarebbero fluttuazioni enormi, magari in un certo quarto d'ora di un certo giorno si potrebbe anche arrivare al 100%. Ma i mercati una lira svalutata del 100% se la comprerebbero subito, perché saprebbero che necessariamente si dovrebbe apprezzare, fino a tornare in linea con i fondamentali.

E infatti, se ci fate caso, molti studi, citati via via in questo blog, danno per noi una svalutazione attesa fra il 20% e il 30% in caso di uscita dall'euro.

Sono studi seri, e ora sapete da dove esce quel numero.

Dice: ma UBS spara che la svalutazione sarà il doppio, che arriverà al 60%! E io vi rispondo, per esperienza diretta, che gli studi che queste grandi banche fanno vedere a voi sono molto diversi da quelli che si tengono per loro. E se non credete a me, credete allo studio del Fondo Monetario che ho citato sopra. Ci possono essere mille e un motivo per i quali una grande banca, in un certo giorno, vuole terrorizzare il mercato. Del resto, forse questo vale anche per i giornalisti, no?

Quindi, riassumendo:

1) 11.000 euro a testa per cittadino europeo una bella fava: in realtà, se la Grecia uscisse lo studio UBS dice che i greci (e non gli europei) pagherebbero fra gli 8000 e i 10.000 euro (e questa la dice lunga su come si fa informazione da noi);


2) che poi forse sarebbero quasi la metà, visto che lo scenario "argentino" del quale favoleggia UBS non è supportato dalla teoria della parità relativa dei poteri d'acquisto, che è quella che i mercati usano per fare le previsioni che usano (che non sono quelle che raccontano a voi).

Perché chi fa informazione si comporta con tanta leggerezza (si può dire leggerezza senza offendere nessuno)? Massimo, hai un'opinione? Vuoi chiederlo all'ex-direttore che tu conosci, al nostro editorialista di riferimento? Vuoi chiedere se gli sembra eticamente corretto agire in questo modo in un momento simile? Poi vieni a dirci cosa ti ha risposto, siamo curiosi di saperlo.

Dal canto mio, per una volta voglio astenermi da giudizi, voglio fare il Ponzio Pilato: "Quem vultis dimittam vobis: Livini an Feldstein, qui dicitur Martin?"

I chiodi li porto io.

Attenzione: non sto dicendo che uscire dall'euro sarà una passeggiata. Sto dicendo che c'è chi fornisce cifre assurde, tra l'altro omettendo regolarmente di scontare da queste cifre il costo della permanenza nell'euro. La gente sta morendo, anzi, peggio: si sta ammazzando.

Chi fornisce certe informazioni forse è in buona fede, ma magari, chissà, a modo suo lo sarà stato anche Curcio. Io, purtroppo, da maestrino quale sono devo giudicare dai risultati, alle intenzioni ci pensa Pesce. In questo momento temo sia lievemente imperdonabile fornire un quadro così drammaticamente distorto. Influenzare le aspettative in questo senso non può che concorrere, come ognuno vede, a rendere inutilmente e drammaticamente più pesante il costo di quello che tanto deve succedere. Perché prendersi una responsabilità simile?

Vedremo una smentita?

IL COSTO DELL’USCITA DALL’EURO DELLA GRECIA PER GERMANIA E FRANCIA SAREBBE DI  € 155 MILIARDI COME ANTIPASTO E MIGLIAIA DI MILIARDI PER UN SECONDO DI CARNE

di AMBROSE EVANS-PRITCHARD* - http:// blogs.telegraph.co.uk - 15 Maggio 2012
Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di ERNESTO CELESTINI 

La squadra di Eric Dor, presso l’IESEG School of Management di Lille ha messo insieme una tabella sui costi diretti per la Germania e la Francia, se la Grecia dovesse essere spinta fuori dall'euro.

Questo nel caso che le relazioni tra Europa e Grecia si rompano con acrimonia, buttando tutto il peso del fallimento tra le passività dell’ euro. Si presuppone una svalutazione della dracma del 50 per cento.

Ecco le perdite potenziali per gli stati, comprese quelle delle banche centrali.




















La conclusione:

Le perdite complessive potrebbero raggiungere €.66.4 miliardi per la Francia e € 89.8 miliardi per la Germania. Questo è il massimo, ma anche nel caso di un default parziale, le perdite sarebbero enormi.

Ipotizzando che la nuova moneta nazionale fosse deprezzata del 50 per cento nei confronti dell'euro, cosa realistica, le perdite per le banche francesi raggiungerebbero € 19.8 miliardi e quelle delle banche tedescheo € 4,5 miliardi.

Il conto suona abbastanza bene.

Dubito che Stati Uniti, Cina e le altre potenze mondiali si risiederanno al tavolo se la UE cercherà di dare " una lezione ai greci", rendendo la loro vita un inferno.

Ci sarebbero forti pressioni globali sull'Europa per gestire l'uscita in un modo costruttivo, con una pausa per dare il tempo alla Grecia di stabilizzarsi. Il FMI sarebbe coinvolto.

Il Ministero delle Finanze tedesco sta già preparando questi piani, e in modo piuttosto corretto (purtroppo mettendo alle corde anche il Ministero delle Finanze inglese per condividere le perdite, argomento spinoso).

Inutile dire che il vero pericolo è il contagio per Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia, Belgio, Francia, e gli effetti mortali di un collegamento del debito pubblico e privato di questi paesi che arriva a 15.000 miliardi e del loro indebitamento bancario europeo di € 27.000.miliardi.

Questa è la strada che, qualsiasi altro errore dei leader dell'Unione Europea, si percorrerebbe per portare tutto il mondo in piena depressione.

Questa assurdità può naturalmente essere fermata in dieci minuti se l'UE:

1) annuncia di volersi dotare di una vera e propria Banca Centrale ( che presti soldi direttamente), che si assuma con l’estero tutti i rischi di default sovrani - con convinzione e forza travolgente, senza se e senza ma, e senza imboscate dalla Bundesbank.

2) annuncia, l’ unificazione del debito, l’ unione fiscale, un bilancio europeo e sistema fiscale comune, cioè un governo della UEM che bilanci la BCE.

Sì, questo significa riscrivere la Costituzione tedesca, e in pratica significa l'abolizione della Germania come nazione sovrana funzionante.

Le mie condoglianze al popolo tedesco. Questo è dove vi hanno portato i vostri capi (senza chiedere il permesso). Questa sarebbe dovuta essere la prima conseguenza dell'unione monetaria.

Al Telegraph l’abbiamo urlato forte nei primi anni 1990 che l'UEM avrebbe potuto distruggere gli stati nazionali e le democrazie. Questo hanno fatto i coraggiosi professori tedeschi. Nessuno ci ha voluto ascoltare.

La mia impressione è che i cittadini tedeschi non accetteranno questa soluzione. Se sarà così, siamo tutti fottuti.

*Ambrose Evans-Pritchard ha seguito la politica mondiale e l'economia per 30 anni, in Europa, Stati Uniti e America Latina. Si è unito al Telegraph nel 1991, come corrispondente da Washington e poi corrispondente europeo a Bruxelles. Ora è Editor di International Business a Londra.




La Finanza e la disciplina del Mercato: Parte III e conclusioni
di Piergiorgio Gawroski - Il Fatto Quotidiano - 17 Maggio 2012

Due treni corrono l’uno contro l’altro a tutta velocità. La Grecia non può fermarsi: non c’è nessun pilota a bordo. Il sistema finanziario Europeo ha dei macchinisti che esitano a tirare il freno, per motivi “religiosi”. Quando lo faranno, potrebbe essere tardi.

La BCE si limita a difendere il sistema bancario; ma nonostante spenda somme enormi, non ci riesce. La crisi bancaria dell’Eurozona nasce dal rifiuto della banca centrale di garantire i debiti sovrani, e più in generale di accettare il ruolo di prestatore di ultima istanza. 

Le difficoltà finanziarie degli Stati, infatti, tolgono credibilità alla garanzia sui depositi (in fuga); e riducono il valore dei titoli nel portafoglio delle banche. è anche per questo che storicamente la garanzia del prestatore di ultima istanza ha sempre coperto in primis i titoli pubblici.

C’è poi un altro canale di destabilizzazione delle banche. La BCE non considera la depressione della domanda aggregata un (suo) problema: non vuole fare il prestatore di ultima istanza dell’economia. Ma il panico dei consumatori (=> eccesso di risparmi => crollo di ordinativi, fatturati, e ricavi delle imprese) manda in sofferenza gli impieghi bancari.

L’abdicazione della BCE dalle sue primarie responsabilità nasce dall’adesione alla dottrina della “disciplina del mercato”. Che, al solito, non funziona. Non ha fermato in Grecia il moral hazard; non ha impedito altrove ai macro shock di gonfiare i debiti pubblici; o di trascinare nella crisi Stati poco indebitati; ora impedisce ai debiti pubblici di scendere (<= spread). 

Questa dottrina riporta l’Europa all’instabilità del sec. XIX, rinnega 150 anni di Storia del Central Banking e di civiltà monetaria, e rappresenta una rottura radicale con il resto del mondo. L’alternativa? I tre pilastri …! Quanto al moral hazard, non si risolve con la finanza impazzita, ma con la regolamentazione, la trasparenza, e la vigilanza sui conti pubblici; come si fa con le banche.

Il problema europeo è giuridico o culturale? I Trattati Europei – in partic. art. 123-126 e clausola di no bail out – legano davvero le mani alla BCE? Non proprio. Le singole norme vanno interpretate nel quadro giuridico europeo. Avendo poco spazio, basti dire che (a) l’ufficio legale della BCE si è espresso nel senso dell’indeterminatezza dei Trattati: perciò tutto dipende dall’interpretazione e dalle scelte politiche; (b) la BCE è già intervenuta a sostegno del debito pubblico dei paesi in crisi; (c) i governi Europei si sono già fatti carico del debito pubblico di diversi paesi in crisi. 

Ma se il problema fossero i Trattati, la BCE potrebbe chiederne la modifica: invece se ne guarda bene. L’ortodossia nasconde con le regole la sua regressione culturale.

Nel maggio 2011 scrissi che se la BCE voleva provocare una crisi finanziaria non poteva fare meglio. Oggi, i tassi a breve fra i più alti del mondo sviluppato – mentre il PIL è fermo; l’inflazione a ben vedere è da anni sotto l’1%; le aspettative d’inflazione a 5 anni sono ben sotto il 2% - illustrano il problema dell’Eurozona. Una teoria sostiene che i banchieri centrali debbano essere conservatori perché più credibili

Ma altrove l’indipendenza della banca centrale (sano antidoto al peronismo) trova un limite naturale nel Parlamento. You know check and balances? La mera latente minaccia di cambiare il governatore o ridurne l’indipendenza ope legem obbliga i banchieri centrali a tenere un minimo in conto le preferenze della gente. Nell’Eurozona invece la BCE non risponde a nessuno, e detta l’agenda ai Parlamenti.

La Moneta si circonda di un’aura di sacralità. I suoi sacerdoti minacciano apocalissi, lanciano scomuniche, conoscono i misteri … la Moneta e la sua Chiesa non si discutono! Da qui tutto il girare in tondo dei governi, fra Fondi Salva Stati e altre futilità. 

Lo stesso accadeva negli anni “30: perciò Roosevelt dovette obbligare la FED a risolvere la crisi. Il problema è semmai fino a quando spingere sull’acceleratore. Nel “37 ad es. Roosevelt pensò di aver fatto abbastanza, e si sbagliò di grosso; anche Obama nel 2009 sbagliò per difetto.

Cosa spiega la regressione culturale delle destre e la crisi di governance dell’Euro? Una risposta (v anche: Gallino) è l’odio verso tutto ciò che è pubblico (è tutto marcio, per definizione); e verso il New Deal, che dell’intervento pubblico rappresentò il momento più alto. 

Un’altra spiegazione è l’assenza di pietas, dell’angoscia che Roosevelt provava per i disoccupati, di coraggio nello sperimentare, di buon senso. Per i nostri liberisti, le recessioni sono danni collaterali di un Grand Plan per cambiare e moralizzare il mondo. Tipico dei radicali, estremisti e rivoluzionari di ogni tempo. E poi dicono Beppe Grillo…

Nel 1933 Roosevelt risolse la crisi finanziaria in dieci giorni; in novanta rilanciò l’economia. Anche oggi, è possibile. A condizione di capire la natura della crisi. Che non ha nulla di “strutturale”: le strutture produttive sono ancora in piedi. Questa è una crisi squisitamente monetaria; dove le aspettative sono cruciali. (A proposito: i liberisti sostengono che le aspettative sono razionali. Ammettiamo. 

Il panico che dilaga in Europa dimostra dunque che le politiche strutturali e di austerità, in questa situazione, sono irrazionali). Ne usciremo solo con la modifica (o piena applicazione) dei Trattati e dello Statuto della BCE, o la rottura dell’Euro. 

Ho insegnato Teoria e Politica Monetaria per anni, non credo di aver bisogno che mi si rammentino i rischi dell’eccesso di moneta. Ma persino gli antichi romani conoscevano l’importanza del prestatore di ultima istanza.