martedì 15 maggio 2012

Siria update

Una serie di articoli sui recenti sviluppi della guerra in Siria, a un passo ormai dal diventare una vera e propria guerra civile. 

L'ennesima fomentata dall'estero contro un governo in carica e combattuta per interposta persona attraverso i cosiddetti ribelli, o terroristi a seconda dei punti di vista. 

In attesa dell'ennesimo intervento "umanitario" della NATO con le sue solite migliaia e migliaia di bombe sganciate dal cielo su popolazione civile e infrastrutture...


Siria, le bombe "democratiche"
di Michele Paris - Altrenotizie - 11 Maggio 2012

Il più grave singolo episodio di violenza accaduto giovedì in Siria dall’inizio della crisi oltre un anno fa segna un preoccupante passo verso una rovinosa guerra civile nel travagliato paese mediorientale. 

Le due esplosioni che hanno colpito la capitale, Damasco, sono con ogni probabilità opera di gruppi estremisti provenienti da paesi arabi vicini e vanno ad aggiungersi a numerose altre operazioni condotte recentemente dall’opposizione armata, sostenuta dall’Occidente, per alimentare il caos e giustificare un intervento militare esterno contro il regime di Bashar al-Assad.

I due attacchi suicidi con altrettante autobombe hanno causato la morte di almeno 55 persone e centinaia di feriti, in gran parte civili che si stavano recando al lavoro o a scuola poco prima delle 8 del mattino. 

Gli attentati di giovedì sono solo i più recenti di una ormai lunga lista di violenze e hanno fatto seguito ad un’altra esplosione che il giorno prima aveva colpito un convoglio degli osservatori ONU attualmente in Siria, ferendo una decina di membri delle forze di sicurezza.

A differenza delle vere o presunte operazioni condotte dal regime contro le forze di opposizione, i cui resoconti fatti dalle organizzazioni ad esse vicine con sede all’estero vengono accettate come oro colato da quasi tutti i media occidentali, i commenti sugli attentati come il più recente che ha colpito due edifici dell’intelligence a Damasco fanno in genere un cauto riferimento alle dichiarazioni del governo, il quale punta il dito verso gruppi terroristici appoggiati dall’esterno. 

Da parte degli organi come il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), invece, quasi sempre si afferma che simili azioni sono orchestrate dal regime stesso per giustificare la repressione.

Episodi sanguinosi come quello di giovedì, in ogni caso, consentono agli Stati Uniti e ai loro alleati in Europa e tra i paesi arabi di muoversi verso una nuova fase della crisi siriana. Mentre il piano promosso da Kofi Annan prevede che i circa 70 osservatori ONU nel paese diventino 300 entro la fine di maggio, a Washington sembra già circolare l’ipotesi di far naufragare anticipatamente la missione.

Come ha spiegato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, “se l’intransigenza del regime proseguirà, la comunità internazionale sarà costretta ad ammettere di aver fallito e dovrà lavorare per affrontare la seria minaccia alla pace e alla stabilità perpetrata dal regime di Assad”.

Simili affermazioni rivelano chiaramente come gli USA intendano approfittare del crescente caos in Siria per cercare di aumentare le pressioni su Damasco e giungere ad un qualche intervento esterno. 

Questa strategia è stata espressa in una recente intervista radiofonica dalla ex direttrice dell’ufficio per la Pianificazione Politica del Dipartimento di Stato, Anne-Marie Slaughter, la quale in riferimento agli attentati terroristici in Siria ha affermato che “la presenza di gruppi jihadisti nel paese non dovrebbe dissuadere gli USA e i loro alleati dall’intervenire. Anzi, dovrebbe spingerli a considerare maggiormente il pericolo che potrebbe creare un prolungato conflitto nel paese”.

In altre parole, Washington, così come la Turchia, l’Arabia Saudita o il Qatar, alimentano la guerra civile in Siria appoggiando materialmente le opposizioni armate per poi utilizzare lo stesso conflitto interno per giustificare iniziative più energiche da parte della “comunità internazionale”. 

Il tutto per giungere ad un cambio di regime a Damasco dopo aver dato il proprio appoggio ufficiale ad un piano di pace che dovrebbe essere invece implementato sotto la guida dello stesso presidente Assad.

Nei media mainstream e nei commenti di molti osservatori occidentali, la responsabilità per questa evoluzione della situazione in Siria è attribuita interamente al regime. Per l’organizzazione International Crisis Group, ad esempio, “la condotta del regime ha alimentato gli estremismi da entrambe le parti, facendo scivolare il paese nel caos e lasciando libertà di movimento” agli integralisti islamici.

La stessa amministrazione Obama, come ha scritto ieri il Washington Post, pur non potendo confermare quali siano i responsabili degli attacchi, assegna la colpa interamente al presidente Assad, accusato di aver lasciato che la situazione precipitasse invece di conformarsi alla risoluzione ONU che ha dato il via libera al cessate il fuoco e all’invio degli osservatori.

Ancora, il presidente della commissione Esteri del Senato americano, il democratico John Kerry, ha detto che Assad sta cercando di sfruttare la missione di Annan come una copertura per continuare la repressione contro l’opposizione siriana. 

L’ipocrisia che traspare da queste parole appare del tutto evidente, dal momento che sono gli stessi Stati Uniti e gli altri governi occidentali e del Golfo Persico a nascondersi dietro il piano Annan, accusando Damasco di violarne le disposizione mentre continuano ad assicurare sostegno militare e finanziario all’opposizione armata affinché prosegua la sua campagna contro il regime in violazione del cessate il fuoco.

Una politica a dir poco sconsiderata che, come si è potuto constatare, alimenta il conflitto e destabilizza la Siria, permettendo l’arrivo nel paese di cellule estremiste.

Un intervento militare diretto dall’Occidente appare comunque ancora lontano ed è vincolato a diversi fattori che complicano la situazione siriana. Per cominciare, sui piani di Washington gravano le riserve di Russia e Cina, le quali continuano a respingere qualsiasi risoluzione ONU che possa condurre alla rimozione di Assad, soprattutto alla luce dell’esempio libico dello scorso anno.

Mosca, correttamente, sostiene infatti che i governi arabi e occidentali che appoggiano l’opposizione al regime stiano fomentando la violenza per legittimare un intervento militare. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, lo ha ribadito l’altro giorno da Pechino, quando ha affermato che “alcuni nostri partner stranieri stanno prendendo iniziative per fare in modo che la situazione esploda, sia letteralmente che metaforicamente”.

Un’operazione militare guidata dagli USA o dalla NATO contro Damasco sarebbe inoltre impopolare per l’opinione pubblica occidentale e agli occhi della maggioranza della popolazione siriana. Perciò, in molti in Occidente sembrano preferire per ora l’adozione di nuove sanzioni accompagnate da un aumento dell’impegno volto a finanziare e armare l’opposizione oppure, tutt’al più, la creazione di corridoi “umanitari” in Siria per consentire ai “ribelli” di organizzarsi e stabilire canali di comunicazione con i paesi vicini, a cominciare dalla Turchia.

Per l’amministrazione Obama, tuttavia, ogni opzione rimane percorribile. Come ha confermato un paio di giorni fa il segretario alla Difesa, Leon Panetta, il Pentagono ha preparato piani di intervento per qualsiasi genere di approccio alla crisi siriana verrà scelto dalla Casa Bianca. 

A confermarlo è anche la massiccia esercitazione militare “Eager Lion 2012” che gli Stati Uniti si apprestano ad inaugurare oltre il confine siriano, in Giordania, e alla quale parteciperanno ben 12 mila soldati di paesi che condividono gli stessi obiettivi di Washington circa la sorte del regime di Assad.


Sarà una coincidenza
di Giulietto Chiesa - Megachip - 14 Maggio 2012
 
Sarà una coincidenza, ma è opportuno rilevare che, a partire dal 15 maggio, nei pressi della frontiera tra Giordania e Siria, si svolgerà una delle più grandi esercitazioni militari che siano state effettuate in Medio Oriente.

Vi partecipano, per un mesetto circa, ben 12.000 soldati e ufficiali, provenienti da 17 diversi paesi. Ci sarà anche l’Italia, con un piccolo contingente di 47 unità. Ma non saremo noi i protagonisti. Il comando della task force internazionale è affidato, guarda caso, al generale Ken Tovo dell’US Special Operations Central Command, che verrà affiancato dal generale Mohammed Jeridad, del comando per l’addestramento delle truppe giordane.

L’esercitazione prevede il coinvolgimento di reparti terrestri, di forze aeree di vario tipo e di mezzi della marina militare. Il tutto, naturalmente, non prevede la partecipazione della Siria, sebbene, sempre casualmente, la Siria sia a pochi passi dal luogo dove i 12.000 militari sperimenteranno le loro capacità offensive.

Il tema dell’esercitazione, a quanto è dato sapere, concerne l’addestramento alla “guerra irregolare”, alle “operazioni speciali” e alla “contro-insorgenza”. Espressione quest’ultima che sembra indicare operazioni governative funzionali a liquidare formazioni di combattimento non regolari. Diciamo brutalmente: “stroncare insurrezioni”.

Qualche maligno ha voluto mettere in relazione questa assai tempestiva esercitazione con la guerra civile in corso in Siria da diversi mesi. Ma l’illazione è stata prontamente smentita dalle fonti americane che hanno dato notizia dell’evento prossimo venturo. Il cui scopo sarebbe semplicemente quello di “integrare” le truppe giordane nel dispositivo generale di sicurezza dell’area approntato dagli Stati Uniti con la collaborazione dei comandi Nato del Mediterraneo.  

Che ci stiano a fare gli altri quindici paesi, Italia compresa, non è del tutto chiaro. E non è al momento noto neppure l’elenco dei paesi partecipanti.

L’esercitazione si chiamerà “Eager Lion 2012”. È un cordiale gesto di amicizia che Amman ha sentito il bisogno di fare nei confronti del finanziatore americano, che ha sganciato negli ultimi cinque anni almeno 2,4 miliardi di dollari di “aiuti”, grande parte dei quali è andata in acquisti di armamenti di produzione statunitense.

Alla frontiera turca si ammassano i contingenti delle truppe irregolari della liberissima armata insurrezionale “siriana”, guidata dagli ex membri della cosiddetta Al Qaeda libica. Che sarebbero quelli che stanno facendo esattamente ciò che, sulla frontiera giordana, i militari di USA, Nato, Giordania stanno sperimentando come disinnescare. Solo che, in questo caso specifico, gli uni e gli altri fanno parte della stessa tenaglia, il cui scopo è quello di abbattere il regime siriano.

Ma, sia chiaro, è solo una coincidenza. 


Sulle elezioni in Siria del 7 Maggio 2012
di Paolo Sensini - ComeDonChisciotte - 14 Maggio 2012

Le elezioni del 7 maggio volevano essere un tentativo di pacificazione per la Siria, ma il disinteresse e il silenzio del circo mediatico internazionale ne hanno definito la cornice, cercando in qualsiasi maniera di squalificarne e vanificarne ogni sforzo propositivo. Insomma, un déjà vu al quale si è già assistito molte volte.
 
Eppure nel paese erano presenti da giorni ispettori dell’ONU (al momento delle elezioni ne erano presenti circa settanta, mentre l’attesa è di trecento osservatori complessivi entro la fine di maggio), che avrebbero potuto svolgere un ruolo non marginale a latere delle sedi elettorali.

Avviata il 15 aprile dopo l’approvazione all’unanimità del Consiglio di sicurezza della risoluzione 2042, la missione ONU ha seguito di poco il piano in sei punti di Kofi Annan e della Lega Araba.

Il 21 aprile è stata votata la risoluzione 2043: il Consiglio dell’ONU “stabilisce, per un periodo iniziale di novanta giorni, una missione di supervisione, denominata ‘UNSMIS’, inerente la rapida disposizione di circa trecento osservatori non armati, supportati da componenti civili e sistemi di trasporto aereo, finalizzati a monitorare la riduzione degli scontri a fuoco in tutte le loro forme e da parte di tutte le forze in campo”.

Un totale di 7.195 candidati (di cui 710 donne) per 250 poltrone in Parlamento: questa la posta in gioco per le prime elezioni multipartitiche nella storia recente del paese.

La mattina delle elezioni, per chi si trovava a Damasco come il sottoscritto e ha quindi potuto seguire da vicino lo svolgimento della consultazione, vi era grande fermento intorno ai seggi elettorali. Segno che l’evento era sentito come importante e, per molti versi, foriero di aspettative positive per il futuro del paese. Dovunque si vedevano sciamare sulle strade della capitale giovani muniti di pettorine elettorali che distribuivano febbrilmente prospetti informativi sui candidati dei vari partiti in lizza. 

Lo stesso movimento di folla l’ho potuto riscontrare di persona anche all’interno di un edificio adibito a seggio posto sulla piazza di Bab Thuma, una zona di snodo assai importante per la città, dove un flusso ininterrotto di persone si accalcava per poter apporre la propria croce sul simbolo prescelto. Per scongiurare eventuali brogli elettorali, ad ogni votante veniva inoltre chiesto di lasciare un’impronta dell’indice intriso di inchiostro rosso.

Il risultato, dopo lo spoglio dei voti, è stato il seguente: il Ba‘th, partito al potere da mezzo secolo in Siria, ha vinto le elezioni legislative. In attesa dei risultati ufficiali e dei dati precisi sull’affluenza alle urne, la stampa siriana ha diffuso i parziali dello scrutinio concluso nei principali distretti del Paese. 

Secondo il quotidiano “al Watan”, il Ba‘th, che guida il Fronte dell’Unità nazionale (جبهة الحدة الوطنية), versione elettorale del Fronte nazionale progressista (FNP), ha riportato “una vittoria schiacciante'” non solo a Damasco, ma anche a Daraa e Idlib, roccaforti delle proteste anti-regime.

I partiti di “opposizione”, raggruppati nel Fronte del cambiamento e della liberazione (جبهة التغيير والتحرير), hanno ottenuto l’elezione nel distretto di Damasco solo del loro leader, “l’oppositore” Qadri Jamil, segretario generale del neonato partito della Volontà nazionale (الإدارة الوطنية). 

Nella regione costiera di Tartus, i candidati del B‘ath hanno stravinto accanto a “qualche indipendente”. Analogamente nella regione meridionale di Suwayda, a maggioranza drusa, l’affluenza è stata del 58 per cento e anche qui il B‘ath ha stravinto, con alcuni indipendenti eletti.

Nella regione frontaliera di Qunaytra (quel che rimane del Golan siriano), su cinque seggi quattro sono andati al Fronte dell’Unità nazionale guidato dal B‘ath e uno a un indipendente. Stessi risultati nella regione meridionale di Daraa e in quella nord-occidentale di Idlib. 

Il Syrian National Council (SNC), l’organismo geneticamente modificato guidato dall’estero da Burhan Ghalioun e chiamato spregiativamente dai siriani “Consiglio di Istambul”, ha boicottato le elezioni bollando come “falsa” l’apertura a nuove forze politiche: i nuovi gruppi partitici (nove in totale), affermano dal SNC, “sono costrutti artificiosi del governo, con candidati sconosciuti”.

Anche per l’ONU, cui tuttavia non spetterebbe pronunciarsi sulle scelte politiche e istituzionali interne a un paese, “le elezioni non rientrano nella logica di un dialogo politico globale e inclusivo che permetta un futuro democratico per la Siria”. Questo il clima “preparatorio” che aleggiava sulle consultazioni elettorali siriane.

A urne chiuse, mercoledì 9 maggio, un ordigno è stato fatto esplodere vicino alla città di Daraa, pochi istanti dopo il passaggio del convoglio ONU, ove sedeva anche il capo della missione, il generale norvegese Robert Mood. Ma era solo un piccolo assaggio di quello che sarebbe successo di lì a poche ore. 

Il giorno seguente, infatti, sulla trafficata tangenziale a due corsie che conduce verso l’aeroporto di Damasco, su cui si affaccia il quartiere popolare di Al Qazzaz, zona solitamente affollata in quelle ore da impiegati diretti al lavoro e da studenti, un duplice attentato ha sconvolto la città come mai era successo in precedenza. 

È stato il più devastante atto terroristico compiuto da kamikaze da quando si è aperta la crisi in Siria, che è costato la vita a 60 persone e quasi 400 feriti, di cui molti gravissimi.

I media internazionale, più zelanti che mai, hanno subito insinuato il dubbio che l’attentato, non essendo stato nel frattempo rivendicato da nessuna organizzazione, potesse essere opera dello stesso regime per far ricadere la colpa sugli oppositori interni ed esterni. 

Un’accusa neppure troppo velata al governo e agli apparati di sicurezza siriani di aver organizzato il massacro dei suoi stessi cittadini, accusa naturalmente mai neppure presa in esame nel caso di atti terroristici in altri paesi, pena l’infamante onta di “complottismo”. “Cosa sarebbe successo se invece che a Damasco, in Siria, un attentato del genere si fosse verificato a Tel Aviv o Gerusalemme?”, ha chiesto polemicamente alla comunità internazionale il patriarca greco-cattolico (melchita) Gregorios III Laham.

Domanda più che legittima e sensata, ma che purtroppo non otterrà risposta alcuna. L’unico risultato tangibile di questo efferato gesto terroristico, è quello di aver definitivamente fatto calare un silenzio tombale sui risultati delle elezioni del 7 maggio, concentrando da qui in avanti tutta l’attenzione internazionale sulla “insostenibile situazione nel regime di Bashar al Assad” e sugli atti presenti e futuri della “Comunità internazionale”.

A fine aprile la nave Lutfullah II, registrata in Sierra Leone, è stata fermata nel porto libanese di Salaata, nei pressi di Beirut: trasportava svariati container con armi da fuoco leggere e pesanti destinate ai “ribelli” siriani.

Partita dalla Libia, la Lutfullah II si è fermata ad Alessandria d’Egitto per ripartire alla volta di Tripoli (Libano settentrionale), snodo cruciale per i mercenari al soldo di Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Israele e paesi Nato.

Com’è noto, infatti, le potenze occidentali e i paesi del Golfo hanno offerto supporto economico ai “ribelli”, finanziando con cento milioni di dollari le azioni terroristiche volte a rovesciare il regime siriano. Non ci sarebbe dunque nulla da stupirsi di cargo colmi di armamenti, se non fosse per il “piano Annan” e le risoluzioni ONU che auspicano la “fine degli scontri”.

Ma la Siria non è la Libia, e la partita è ben lungi dall’essersi conclusa così come auspicavano la NATO e suoi vassalli mediorientali. Allah, Suriya, Bashar wa bass! 


Reportage da Damasco
di Marinella Correggia - http://nena-news.globalist.it/ - 5 Maggio 2012

Di seguito, due reportage di Marinella Correggia scritti poco prima della vigilia del controverso appuntamento elettorale siriano.

1 - SIRIA: GRANATE E ORTAGGI A DAMASCO*

Nella capitale blitz notturni e clima pre-elettorale. Invisibili al mercato gli effetti delle sanzioni. Le scelte liberiste del governo hanno fiaccato l'economia. E ora non si vede più un turista. Oggi 15 soldati uccisi ad Aleppo.

Damasco, 02 maggio 2012, Nena News – Era l’una di notte fra domenica e lunedì quando chi ancora camminava nel fresco delle vie centrali di Damasco (qui chiamata Cham) ha sentito prima un colpo sordo come di granata, poi diverse raffiche.

Anche a poche strade di distanza, nessuno si è scomposto. C’è stato anche un attacco con Rpg alla polizia, vicino all’opedale ibn al Nafis. E ieri mattina un funzionario della tivù Addounia è stato testimonedell’attacco mortale a un’auto delle forze dell’ordine sulla strada dell’aeroporto.

Per il resto tutto sembra normale. I mercati e i chioschi sono pieni di legumi, ortaggi, frutta. Damasco non mostra segni di penuria alimentare, mentre nelle province colpite dalla crisi e dal fenomeno degli sfollati, la Mezzaluna Rossa e la Croce rossa internazionale hanno dovuto portare aiuti.

I pulman e pulmini sono molto economici – anche rispetto ai salari siriani – e quelli notturni continuano a viaggiare, con l’eccezione di zone periferiche più problematiche. 

Ma padroni della strada sono le automobili, molte delle quali importate di recente, in seguito alla liberalizzazione dell’import; però il gasolio, il carburante più economico, sovvenzionato, è di cattiva qualità e così l’aria è molto inquinata, spiega Qasem, esperto di “protezione dei consumatori” e giornalista del quotidiano Al Thawra («Rivoluzione», statale come altri due, poi ce n’è uno privato; sono talmente sovvenzionati che il prezzo di acquisto di una copia è vicino allo zero).

In vista delle elezioni legislative del prossimo 7 maggio, il signor Ezzeh Mohamed è l’unico, fra i candidati “indipendenti” dai partiti, a elencare saggiamente sul suo manifesto elettorale un piccolo programma articolato in sei semplici punti. Fra i quali c’è la sempreverde «lotta alla corruzione» ma anche «rilanciare l’economia nazionale». 

Che la grave crisi politica e umana del paese non aiuta di certo. Anche se, dice sempre Qasem, «alle sanzioni internazionali o statunitensi siamo abituati da sempre e possiamo resistere; godiamo di autosufficienza alimentare – con riserve di grano – e abbiamo diverse industrie». L’università continua a costare pochi dollari all’anno.

Certo il settore turistico è in forte crisi. «Non arriva più nessuno» si lamenta il venditore di ceramiche e argenti vicino a una delle porte della città, Bab Tuma. Stava imparando l’italiano al Centro culturale «ma l’hanno chiuso. L’insegnante voleva restare. Ma il mondo tratta tutti i siriani come appestati». 

Cento famiglie egiziane sono tornate a casa per la crisi dei ristoranti nei quali lavoravano. L’unico rimasto è forse Mina, custode copto della chiesa di Anania, la più antica del mondo. «Dal Cairo mia sorella mi telefona inquieta – spiega – , il dominio dei Fratelli musulmani si sente, altro che rivoluzione». 

Ma hanno votato, gli egiziani… «Fiumi di soldi esteri – aggiunge Mina – sono corsi per indirizzare questo voto, sfruttando la povertà e il richiamo alla religione». In tanti tengono a precisare che la Siria è rimasta ormai l’unico stato laico del mondo arabo.

Critici verso le politiche di apertura al mercato, i due partiti comunisti presenti in parlamento. «Gli ultimi sei anni hanno reso la Siria più debole; le politiche neoliberiste, definite “economia sociale di mercato”, hanno creato il terreno per questa che io chiamo controrivoluzione; abbiamo cercato di contrastarle ma siamo pochi in Parlamento» ha detto giorni fa Ammar Baghdash, storico segretario del Partito comunista siriano, secondo il quale è «essenziale in questo processo il ruolo dei reazionari del Golfo. Noi chiediamo che si torni al ruolo dello stato nell’economia, anche per contrastare i monopoli mondiali. Quando le richieste dei lavoratori sono state soddisfatte, la Siria è diventata più forte».

Ossama Al Maghout dell’Unione giovanile comunista dice che i militanti hanno cercato di avere un ruolo di mediazione rispetto a chi si è unito alla protesta per ragioni economiche, in certe province. 

Sostiene che molti – per esempio fra gli agricoltori, che hanno subito anni di siccità e tagli dei sussidi – hanno cambiato atteggiamento di fronte alle violenze dell’opposizione armata. Quanto al partito, «siamo all’opposizione nella politica interna economica della Siria, mentre la politica estera la condividiamo completamente».

Analoga diagnosi da parte del Partito comunista siriano-Unificato, per il quale non è in atto una rivoluzione ma un attacco violento sostenuto da potenze straniere ben poco progressiste, dal Qatar agli Usa, che sfruttano gli errori commessi dal governo. 

Sulla presunta vicinanza di poveri e contadini all’opposizione, il giovane Salam tira in ballo il fattore religioso: «Quando siamo andati a raccogliere le olive per finanziare il partito, anche noi atei pregavamo perché la pioggia non ci impedisse di lavorare. I contadini sono più dipendenti dal cielo, dall’alto. La religione ha forse più presa su di loro».
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2 - SIRIA: PROFUGHI IRACHENI IN FUGA DALLA FUGA**

Non cessano nel frattempo le violenze. Ieri quattro studenti dell'universita' di Aleppo sono stati uccisi in raid polizia, altri 28 feriti. Il capo degli osservatori Onu Robert Mood esorta regime a far tacere per primo le armi. Le opposizioni boicotteranno le elezioni.

Damasco, 04 maggio 2012, Nena News – «Peggio dei terremoti e delle tempeste è l’odio settario. Per la nostra religione è un peccato gravissimo. Chi uccide una singola persona è come se uccidesse l’umanità intera, dice il Corano. Eppure le potenze esterne hanno fatto in modo di alimentare il settarismo violento anche in Siria». 

Il maestro Ali è un musulmano praticante e sunnita che vive nel paese di Jbab, governatorato di Deraa (considerato roccaforte dell’opposizione al governo), a 40 minuti di pulman da Damasco.

A Damasco, nel quartiere di Jaramana, la sera gli iracheni (uomini) si ritrovano a giocare a scacchi e bere tè sotto una grande tenda arredata, allestita due anni fa da uno di loro. Il numero (fluttuante) di iracheni rifugiati in Siria è di oltre 1.100.000 persone più 300mila prive di status (aggiungiamoci moltissimi palestinesi e libanesi). 

Damasco ha sempre concesso permessi di soggiorno rinnovabili ma questa enormità di rifugiati è certo un peso. Saliti i prezzi degli affitti e delle case, aumentati i fenomeni di delinquenza, disagio, prostituzione. 

A parte i (pochi) aiuti alimentari forniti dall’Unhcr, l’assistenza sanitaria gratuita come la scuola pure gratuita (ma molti bambini iracheni non ci vanno e lavorano), questi rifugiati teoricamente non possono lavorare; comunque l’occupazione al nero è tollerata e onnipresente (magari si ricorre a prestanome siriani). 

Saad (di Baghdad) gestisce una lavanderia: «Siamo scappati in Siria perché qui era più facile essere accolti, la vita costava poco, eravamo vicini al nostro paese e le tradizioni sono simili. Ma adesso vediamo che si danno appoggi ai gruppi di fanatici come quelli che ci hanno fatto partire dall’Iraq. Volete bruciare la Siria con tutti i suoi abitanti? Molti iracheni stanno cercando di andar via. C’è anche una politica per farne andare un po’ in Turchia a gonfiare le cifre sui rifugiati dalla Siria».

Sotto la tenda-bar, il signor Abdel Fatteh spiega che a causa delle sanzioni bancarie è adesso difficile ricevere la pensione dall’Iraq. «Sono venuto qua nel 2006 con mia moglie e tre figli per il pericolo di attentati, le violenze settarie, i rapimenti…Adesso rivedo tutto qui». 

Majid è arrivato nel 2007 con moglie e cinque figli dopo che altri tre gli sono stati uccisi; uno dopo un rapimento, e due gemelle in un’esplosione in città. Lavora come piccolo commerciante ma la crisi della Siria ha danneggiato tutti. Ha fatto l’intervista per trasferirsi…negli Stati Uniti.

Rimarrà invece a Homs e non tornerà nel paese dell’Est europeo che ha lasciato 29 anni fa con il marito siriano la signora M. Attualmente in visita a Damasco, chiede di non precisare né il suo paese d’origine né il quartiere in cui vive perché «credo di essere una delle pochissime straniere ancora lì e rischio». Torna spesso a casa e anche là c’è disinformazione sulla Siria. 

Ecco la sua versione dell’«assedio a Homs»: «Dove vivo ci sono sunniti come è mio marito, alaouiti, cristiani : siamo circondati su tre lati da quartieri che si erano riempiti di gruppi armati, soprattutto Khalidyia. Noi chiedevamo più presenza dell’esercito, perché era rischioso uscire dal quartiere, mia figlia non è più andata all’università, tanti non andavano al lavoro. Per poter viaggiare fuori Homs hanno riattivato la vecchia stazione delle corriere, in una zona tranquilla. C’era un grande rischio per via dei cecchini, mio marito medico in pensione un giorno ha soccorso una donna colpita di striscio in strada». 

Ma dicono che sono tiratori del regime…«Ci sono diversi video in cui i terroristi rivendicano le loro azioni – perfino decapitazioni, impiccagioni – e le mostrano anche». 

Ma a febbraio l’esercito ha bombardato Homs e Khalidya uccidendo civili? «Certo c’è stata battaglia – non si poteva lasciare un’intera area nelle loro mani – e molte case sono danneggiate. Da Baba Amr e Khalidyia i civili se ne erano andati quasi tutti. Ma i terroristi avevano preso ostaggi, scudi umani che una volta liberati hanno raccontato la loro storia».

Gaith («Pioggia») è studente alla facoltà di odontoiatria a Damasco e va a Homs tutti i mesi a trovare la famiglia abitante nel quartiere Al Zahra. Ecco la sua versione. «Il mio quartiere era quasi accerchiato, era pericoloso uscire per andare a lavorare altrove; si rischiavano rapimenti, uccisioni di alaouiti, cristiani, e sunniti che non stavano con i terroristi. Da Khalidya e Bara Amr arrivavano a Zahra e Akrama attacchi come quello che ha ucciso il giornalista francese. Prima di febbraio l’esercito non c’era a Homs, c’era solo la polizia. Il governo aveva mandato in quei quartieri dei religiosi per negoziare ma non hanno voluto; volevano fare un’altra Bengasi. Allora è arrivato l’esercito». 

I media dicono che l’esercito ha ucciso tanti civili a Homs… «Dei civili sono morti fra i due fuochi. Ma in genere gli uccisi non erano civili, erano ben armati». E la strage di Karm Zeitoun, tutti quei morti che abbiamo visto negli orribili video diffusi in marzo? «Sono stati i terroristi. L’hanno detto anche i parenti sopravvissuti». 

* Articolo pubblicato il 1 maggio 2012 dal quotidiano il manifesto.
** Articolo pubblicato il 4 maggio 2012 dal quotidiano il manifesto.


La corsa delle potenze mondiali per spingere la Siria ad una guerra
di Pepe Escobar - Asia Times - 10 Maggio 2012

DAMASCO – Le potenze mondiali sono impegnate in una corsa contro il tempo per gettare la Siria in una guerra civile a tutto campo, il Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-moon, come un "cane da guardia" ha riportato di “migliaia” di uccisioni su YouTube da parte del regime Siriano.

Parlando dopo un incontro chiave al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, diversi funzionari hanno descritto nei dettagli la “brutalità” del presidente Bashar al-Assad ed hanno detto che gli attacchi da parte dei gruppi di opposizione sono “inesistenti”.

Stiamo facendo una corsa contro il tempo per promuovere una vera e propria guerra civile - “potenzialmente ci saranno morti su vasta scala” hanno garantito gli ufficiali. Le Nazioni Unite hanno stimato che ben più di 9000 persone sono morte in 14 mesi di rivolte contro Assad, mentre gruppi per i diritti umani dicono oltre 11000, tutte vittime della violenza del regime.

“Il governo continua ad attaccare il suo stesso popolo” ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite ed ha criticato il governo Siriano per aver indetto le elezioni parlamentari di lunedì. Gli osservatori hanno invece evocato l' esempio della famiglia reale Saudita, quando questa ha nominato una commissione di principi per decidre sulla loro successione. Le potenze occidentali al tempo la applaudirono come il più importante avanzamento della democrazia dalla Rivoluzione Francese del 1789.

L' Iran, fedele alleato del regime di Assad, ha detto che le elezioni sono state un passo avanti verso le riforme – le potenze mondiali le hanno immediatamente respinte come “propaganda del mullah”.

In Siria almeno 100 persone sono state uccise su YouTube dalle forze del regime durante lo svolgimento delle elezioni, ha riportato il Syrian Observatory for Human Right, diretto da una singola persona, con un' unica prospettiva, con sede a Londra e finanziato dai paesi del Golfo.

Le truppe hanno fatto irruzione la notte nel villaggio di al-Tamanaa, nella provincia Idlib, sparando a caso granate e raffiche di mitra. Ad Homs decine di civili sono morti per mano dei cecchini.

Secondo il SOHR le forze del regime hanno anche effettuato raid ed arresti a Duma nella provincia di Damasco, portando molti giovani in località segrete.

La tregua appoggiata dalle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 12 aprile non ha ottenuto i risultati sperati, considerando che era solo una misura temporanea per preparare la guerra civile vera e propria.

Un anonimo funzionario ha detto: “La comunità internazionale sta affrontando enormi difficoltà... Abbiamo provato un cambio di regime per due volte tramite una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma è stata bloccata dai Sovietici e dalla Cina comunista. Ora la nostra unica speranza è che la NATO decida un' azione unilaterale”.

Recep Tayyp Erdogan, Primo Ministro turco, rivolgendosi alle migliaia di persone nel sud della Turchia non si è dichiarato preoccupato dalle “difficoltà”. Ha detto: “il giorno glorioso del cambio di regime è a portata di mano”, e ha aggiunto “non devieremo la nostra politica onnicomprensiva di neo-ottomanismo”.

I media favorevoli al governo Siriano hanno detto che l' affluenza alle urne è stata alta e questo ha segnato le prime elezioni dall' adozione in febbraio della nuova costituzione che permette il pluralismo.

“Milioni di Siriani hanno sfidato il terrorismo e hanno scelto i propri rappresentanti in parlamento”, diceva il quotidiano Al-Watan, che ha stimato l' affluenza attorno al 60%. Eppure le foto di folle fuori dai seggi di Damasco sono state tacciate dalle potenze occidentali come falsi grossolani.

In una valanga di video su YouTube, postati dal Syrian National Council da Deraa, la città dove è cominciata la rivolta nel marzo 2011, si vedono strade vuote con tutti i negozi chiusi per protesta contro le elezioni.

Per l'opposizione il voto è stata una mossa del governo per prendere tempo e distrarre la comunità internazionale dal suo impegno nella guerra civile.

Il nuovo canale in lingua araba Sky News Arabia, una joint venture fra lo sceicco Mansur bin Zayed al-Nahayan, propriatario del Manchester City, e l' emittente Britannica BskyB, dell' hacker telefonico Rupert Murdoch, ha descritto gli eventi in Siria come “un precedente pieno di speranza per un cambio di regime”.

Sky News Arabia – che vanta un “comitato editoriale” imparziale, tra cui 2 membri del gruppo di Murdoch, News Corp – ha promesso di superare la qatariota Al-Jazeera nel raffigurare il regime di Assad come se fosse “peggio di quello di Hitler”.

Lo sceicco Mansour, raggiunto ad Abu Dabi, ha detto: “La prossima settimana noi [Manchester City] verremo incoronati campioni della Premier League. Poi saremo in grado di vincere anche in Siria. Non dovremmo rinunciare, è in gioco il futuro della democrazia”.


Il terroriso anti-siriano e i suoi collegamenti internazionali
di Bahar Kimyongür* - 7 Maggio 2012
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova. Con nota di Miguel Martinez in coda all'articolo.
 
Fin dall’inizio della “primavera” siriana, il governo di Damasco ha affermato di combattere bande di terroristi. La maggior parte dei media occidentali denunciano questa tesi come propaganda di Stato, che serve per giustificare la repressione contro i movimenti di contestazione.  

Mentre è evidente che questa tesi è sacrosanta per lo Stato baathista, di reputazione poco accogliente verso i movimenti di opposizione che sfuggono al suo controllo, questa supposizione non è nemmeno sbagliata.

Effettivamente, molteplici elementi senza ombra di dubbio accreditano la tesi del governo siriano.

In primo luogo, esiste il fattore della laicità.

La Siria è in questo caso l’ultimo Stato arabo laico.(1) Le minoranze religiose godono dei medesimi diritti della maggioranza musulmana.

Per certe frange religiose sunnite, campioni dell’idea della guerra contro l’ « Altro», chiunque egli sia, la laicità araba e l’uguaglianza inter-religiosa, incompatibili con la sharia (legge islamica), costituiscono una ingiuria contro l’Islam e rendono lo Stato siriano più detestabile di un’Europa « atea» o « cristiana».

Ora, la Siria non ha meno di dieci diverse chiese cristiane, con sunniti che sono Arabi, Curdi, Circassi o Turcomanni, con cristiani non arabi come gli Armeni, gli Assiri o i Levantini, con musulmani sincretisti e quindi non classificabili, come gli Alawiti e i Drusi.

Pertanto, il compito per mantenere in piedi questa struttura etnico-religiosa fragile e complessa si dimostra così difficile, che solo un regime laico, solido e necessariamente autoritario può assolverlo.

Poi, esiste il fattore confessionale.

In ragione dell’origine del presidente Bashar El-Assad, il regime siriano è indebitamente descritto come « alawita». Questa qualifica è totalmente falsa, diffamatoria, settaria, vale a dire razzista. 

Innanzitutto è falsa, perché lo stato maggiore, la polizia politica, i diversi servizi di informazione, i membri del governo sono nella grande maggioranza sunniti, come pure una parte non trascurabile della borghesia.

I nostri media, per fare sensazione, non mancano di sottolineare l’origine sunnita della signora Asma al-Assad, moglie del presidente, con lo scopo di demonizzarla. 

Ma evitano deliberatamente di citare la vice-presidente della Repubblica araba di Siria, la signora Najah Al Attar, la prima ed unica donna araba al mondo ad occupare una carica così elevata. La signora Al Attar non è soltanto di origine sunnita, ma è anche la sorella di uno dei dirigenti in esilio dei Fratelli musulmani, esempio emblematico del paradosso siriano.

In realtà, l’apparato statale baathista è il riflesso quasi perfetto della diversità etnico-religiosa che prevale in Siria. Il mito a proposito della « dittatura alawita» è talmente grottesco, che perfino il Gran Mufti sunnita, lo sceicco Bedreddine Hassoune, ed ancora il comandante della polizia politica Ali Mamlouk, anch’egli di confessione sunnita, sono a volte classificati come alawiti dalla stampa internazionale. (2)

La cosa più strabiliante è che questa stampa medesima porta acqua al mulino di certi mezzi di informazione siriani salafiti (sunniti ultra-ortodossi), che diffondono la menzogna secondo cui il paese sarebbe stato usurpato dagli alawiti, che, secondo loro, sarebbero agenti sciiti.

Questi stessi salafiti accusano gli sciiti di essere negazionisti (Rawafid, Sciiti estremisti eretici, che maledicono i Compagni), perché rifiutano, tra le altre cose, la legittimità del Califfato, vale a dire del governo sunnita delle origini dell’Islam.

Tuttavia, da un lato, vi sono notevoli differenze tra alawiti e sciiti, sia sul piano teologico che nelle pratiche religiose. Nello specifico, la deificazione di Ali (nipote di Maometto), la dottrina trinitaria, la credenza nella metempsicosi, ed inoltre il rifiuto della sharia da parte degli alawiti sono fonti di critiche da parte dei teologi sciiti, che non mancano mai di accusarli di estremismo (ghulat).

D’altro canto, se esiste una religione di stato in Siria, questa è l’Islam sunnita di rito hanafita, rappresentato fra gli altri dallo sceicco Muhammad Saïd Ramadan Al Bouti e dal Gran Mufti della Repubblica, lo sceicco Badreddine Hassoune, i cui saggi discorsi contrastano con gli appelli all’omicidio e all’odio degli sceicchi wahhabiti.

[l'Islam sunnita di rito hanafita fa riferimento alla scuola giuridica che è considerata essere la più "aperta" e meno dogmatica fra le quattro scuole canoniche (madhab) sunnite (le altre tre sono: la shafiita, la malikita e la hanbalita)]

Ma tutto questo non importa, per spiegare l’alleanza contro gli Stati Uniti e contro il sionismo formata dall’asse Damasco – Teheran – Hezbollah, la stampa e i mezzi di informazione agli ordini dei sunniti ultra-conservatori ripetono in coro che la Siria è sotto il dominio degli alawiti, che costituirebbero una « setta sciita».

Visto che la Siria riceve l’appoggio della Cina, della Russia, del Venezuela, di Cuba, del Nicaragua e finanche della Bolivia, logicamente bisognerebbe concludere che Hu Jintao, Putin, Chavez, Castro, Ortega e Morales sono essi stessi degli alawiti, o almeno dei cripto-sciiti!
  
Per terzo, esiste il fattore nazionalista.

Conviene ricordare che per i salafiti la Siria proprio non esiste.
Questo nome sarebbe, come quello dell’Iraq, una fabbricazione degli atei. Nel loro gergo ispirato dal Corano, l’Iraq si chiama Bilad al Rafidaïn (la terra dei due Fiumi) e la Siria, Bilad al-Sham (la terra di Sham).

Colui che adotta l’ideologia nazionalista, e si consacra alla liberazione del suo paese, commette un peccato di associazione (shirk, politeismo, l’associare all’unico vero Dio una pletora più o meno vasta di altre divinità, ad esempio l’idea di nazione, costituisce uno dei più gravi peccati.). Egli viola il principio del tawhid, l’unicità divina, e per questo merita la morte.

Per questi fanatici, la sola lotta approvata da Allah è la jihad, la guerra definita « santa», scatenata nel nome di Allah con l’obiettivo di estendere l’Islam.

In quanto corollario del nazionalismo arabo, il pan-arabismo, questa idea progressista di unità e di solidarietà inter-araba, è a fortioriun sacrilegio, in quanto mina il concetto di «Umma», la madre patria musulmana.

Come ha ricordato di recente il presidente Bachar El-Assad in un’intervista accordata al giornale Sunday Telegraph, la lotta che si sta scatenando attualmente sul suolo siriano vede opposte due correnti inconciliabili fra loro : il pan-arabismo e il pan-islamismo (3).

Questo conflitto originale introduce un fattore storico, su cui si fonda la minaccia terroristica in Siria. Dal 1963, la Siria baathista conduce in realtà una vera e propria guerra contro i movimenti jihadisti. L’esercito governativo e i Fratelli musulmani si sono affrontati in numerosi scontri, che si sono tutti risolti con la vittoria del potere siriano.

Queste vittorie sono state strappate al prezzo di molte vittime, l’esercito non ha esitato a seminare il terrore per raggiungere i suoi scopi. Nel 1982, l’esercito di Hafiz al-Assad ha martellato interi quartieri della città di Hama per superare la resistenza jihadista, massacrando senza distinzione militanti e civili innocenti. 

Ci sono stati almeno 10 mila morti causati dai bombardamenti e negli scontri per le strade. Si sono susseguite delle vere e proprie cacce all’uomo lanciate contro i Fratelli musulmani siriani attraverso tutto il paese, costringendoli all’esilio. 

Comunque, la repressione non è ancora riuscita a sradicare la tradizione guerriera e nemmeno lo spirito di vendetta degli jihadisti siriani.

Ora, analizziamo paese per paese quali sono i movimenti terroristici che le truppe siriane stanno attualmente affrontando.

Il fronte libanese

Nell’aprile 2005, l’Occidente si è rallegrato nel vedere le truppe siriane abbandonare il Libano, dopo 30 anni di presenza ininterrotta.

Questo evento era stato attivato dall’attentato che aveva preso di mira l’ex primo ministro libanese-saudita Rafiq Hariri noto per la sua ostilità verso la Siria, attentato immediatamente imputato dall’Europa e dagli Stati Uniti al regime di Damasco, senza la minima prova e prima dell’inizio di una qualsiasi inchiesta.

Una « rivoluzione dei Cedri», sostenuta dai laboratori « per i diritti dell’uomo» della CIA, aveva costretto le truppe siriane a lasciare il Libano.

Appena i carri armati siriani si erano ritirati, i gruppi salafiti sono riemersi, sguainando le loro spade e la loro predicazione settaria.

Questi movimenti si sono insediati nel nord del Libano, dalle parti di Tripoli di maggioranza sunnita, e poi, via via, nei campi palestinesi del Libano, profittando delle divisioni politiche e della debolezza militare delle organizzazioni palestinesi, così come della politica di non-intervento dell’esercito libanese in questi campi.

Tra il 2005 e il 2010, i gruppi jihadisti hanno condotto la guerra contro tutti i sostenitori veri o presunti del regime di Bashar al-Assad, come le popolazioni sciite, alawite o i militanti di Hezbollah. Alcuni di questi movimenti sono arrivati a varcare il confine siro-libanese per bersagliare le truppe del potere baathista sul loro stesso territorio.

L’attivismo anti-siriano dei gruppi salafiti libanesi armati ha conosciuto una recrudescenza con l’inizio della crisi siriana del 2011.

Comunque, queste formazioni sono state soppiantate da movimenti salafiti non combattenti. Il 4 marzo 2012, circa duemila salafiti guidati da Ahmad Al Assir, un predicatore della città di Saïda (Sidone) divenuto la stella in auge del sunnismo libanese, sfilavano a Beirut per protestare contro il regime di Bashar al-Assad. 

Dietro un imponente cordone di sicurezza composto da poliziotti e militari, alcune centinaia di contro-manifestanti del partito Baath libanese protestavano contro la parata.

Da Aarida a Naqoura, tutto il Libano ha trattenuto il respiro. E il suo cuore si stringe ogni volta che spari risuonano dai quartieri di Tripoli di Bab Tebbaneh e Jebel Mohsen.

Dal momento che in questo paese la linea di frattura politica è prevalentemente confessionale, con una maggioranza sunnita anti-Assad e una maggioranza sciita pro-Assad, ed inoltre con i cristiani divisi che si ritrovano nei due campi, l’assillo della guerra civile è onnipresente. Ma il governo di unità nazionale cerca di calmare le acque e di garantire la neutralità rispetto al conflitto siriano.

Per questo, certi gruppi salafiti non perdono nemmeno un’occasione per seminare il caos in questi due paesi geograficamente inter-dipendenti e complementari.
Ecco una breve descrizione di alcuni di questi movimenti settari attivi in Libano, che minacciano la Siria da molti anni.
  
Gruppo di Sir El-Dinniyeh

Questo movimento sunnita, diretto fra il 1995 e il 1999 da Bassam Ahmad Kanj, un veterano delle guerre in Afghanistan e in Bosnia, è apparso in seguito alle lotte fra differenti correnti islamiche tendenti a controllare le moschee di Tripoli.

Nel gennaio 2000, il gruppo di Dinniyeh ha tentato di creare un mini-Stato islamico nel Nord del Libano. I miliziani hanno assunto il controllo dei villaggi del distretto di Dinniyeh, ad est di Tripoli. 13.000 soldati libanesi sono stati inviati per domare questa ribellione jihadista. I sopravvissuti all’attacco si sono trincerati nel campo palestinese di Ayn el Hilwe, nel Libano meridionale.

Dopo il ritiro delle truppe siriane, nell’aprile 2005, i combattenti del gruppo di Dinniyeh sono tornati a Tripoli, dove esistevano ancora delle cellule clandestine.

Lo stesso anno, il Ministro degli Interni libanese ad interim, Ahmed Fatfat, che è appunto originario di Sir El-Dinniyeh e che, per altro, ha la cittadinanza belga, si è battuto per la liberazione dei prigionieri del gruppo di Dinniyeh, e questo con lo scopo di ottenere l’appoggio politico dei gruppi sunniti e salafiti del Nord del Libano.
  
Fatah al Islam

Movimento sunnita radicale del Nord del Libano. Fatah al Islam ha letteralmente occupato la città di Tripoli con la complicità di Saad Hariri e del suo partito, la Corrente del Futuro.

Hariri voleva servirsi di questi sunniti radicali per contrastare gli Hezbollah sciiti libanesi e il governo siriano.

Tra gli alleati di Hariri, il gruppo chiamato « Fatah el Islam», dissidente del movimento nazionale palestinese, ha assunto il controllo del campo di Nahr El Bared. Questo movimento terrorista ha assassinato 137 soldati libanesi in maniera brutale, soprattutto durante riti satanici che si concludevano con decapitazioni.

Il 13 febbraio 2007, Fatah el Islam ha fatto saltare in aria due autobus nel quartiere cristiano di Alaq-Bikfaya.

Dal maggio al settembre 2007, l’esercito libanese poneva l’assedio al campo palestinese di Nahr el Bared, dove i combattenti jihadisti si erano rintanati, e solo dopo intensi combattimenti degni dell’operazione siriana di Baba Amro riusciva a neutralizzarli.

[Contro il quartiere ribelle Baba Amro della cittadina di Homs, l'1 marzo 2012 Damasco avrebbe schierato la quarta divisione armata, formazione di 7 mila uomini di élite guidata dal fratello di Bashar Al Assad, nel tentativo di infliggere un attacco decisivo a penetrare la roccaforte dei rivoltosi.]

Non meno di 30.000 Palestinesi sono fuggiti dai combattimenti. Per quanto riguarda il campo di Nahr el Bared, venne ridotto in macerie.
Pochi mesi dopo, Fatah al Islam veniva coinvolto in un attentato mortale che scuoteva Damasco.

Infatti, il 27 settembre 2008, il santuario sciita di Sayda Zainab a Damasco diventava l’obiettivo di un attacco suicida che uccideva 17 pellegrini.
Fatah Al Islam è spesso citato quando scoppiano combattimenti a Tripoli tra il quartiere sunnita di Bab Tabbaneh e il quartiere alawita di Djébel Mohsen.

Jounoud Al Cham (I soldati del Levante)

Movimento radicale sunnita nel sud del Libano, dalle origini diverse.
Alcuni dei suoi membri sarebbero arrivati dal gruppo di Dinniyeh, mentre altri sarebbero veterani dell’Afghanistan, avendo combattuto sotto il comando di Abou Moussab Al Zarqawi.

La maggior parte dei suoi combattenti sarebbero Palestinesi « takfiri», vale a dire in conflitto contro le altre religioni e i non credenti.
Jounoud Al Cham sarebbe responsabile di un attentato nel 2004 a Beirut, che ha ucciso un dirigente di Hezbollah.

Per diversi anni, il gruppo ha cercato di assumere il controllo del campo palestinese di Ain el Hilwe situato vicino alla città di Sidone.

Nel 2005, il gruppo fa parlare di sé per le sue scaramucce quotidiane con l’esercito siriano. Jounoud al-Sham si trova sulla lista delle organizzazioni terroristiche pubblicata dalla Russia. Tuttavia, non si trova sulla lista delle organizzazioni terroristiche straniere del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. (4)

Ousbat Al Ansar (la Lega dei partigiani)

 Presente sulla lista delle organizzazioni terroristiche, Ousbat al-Ansar si batte per «istituire in Libano uno Stato sunnita radicale».

Noto per le sue spedizioni punitive contro tutti i musulmani « devianti», Ousbat al-Ansar ha fatto assassinare personalità sunnite come lo sceicco Nizar Halabi. Per lo stesso motivo, ha fatto saltare in aria strutture pubbliche giudicate empie: teatri, ristoranti, discoteche…

Nel gennaio 2000, ha attaccato a colpi di razzi l’ambasciata russa a Beirut.
Erede del gruppo di Dinniyeh, questa formazione si infiltra nel campo palestinese di Ain el Hilwe nel Libano meridionale.

Quando, nel settembre 2002, ho visitato i campi palestinesi del Libano, l’inquietudine dei resistenti palestinesi era palpabile. Molti di loro erano stati uccisi durante i tentativi di assunzione del controllo dei campi da parte di questo gruppo, considerato essere vicino ad Al Qaeda.

Nel 2003, quasi 200 membri di Ousbat Al Ansar hanno attaccato le sedi di Fatah, il movimento palestinese di Yasser Arafat, causando la morte di otto persone, di cui sei membri di Fatah.

Il mito dell’Esercito Siriano Libero (ASL)

Bisogna riconoscerlo: i cacciatori di dittatori che popolano le redazioni delle grandi testate giornalistiche sono diventati abilissimi nell’arte del camuffamento, quando si tratta di presentare i « resistenti» che servono gli interessi del loro campo.

Nei panni di veri chirurghi estetici, trasformano l’Esercito Siriano Libero (ASL) in un movimento di resistenza democratica di bravi e simpatici militanti, composto da disertori umanitari disgustati dalle atrocità commesse dall’esercito regolare siriano.

Non c’è dubbio alcuno che l’esercito del regime baathista non va tanto per il sottile, e commette imperdonabili abusi contro i civili, che costoro siano terroristi, manifestanti pacifisti o semplici cittadini presi fra due fuochi.

A questo riguardo, gli importanti mezzi di comunicazione ci colmano fino alla nausea dei crimini imputabili alle truppe siriane, qualche volta a ragione, ma sovente a torto. Perché, in termini di crudeltà, l’ASL non si comporta veramente meglio.

Solo qualche raro giornalista, come l’olandese Jan Eikelboom, osa mostrare il rovescio della medaglia, quello di un ASL sadico e ignominioso.

Anche la corrispondente a Beirut di Spiegel, Ulrike Putz, scalfisce la reputazione dell’ASL. In un’intervista pubblicata sul sito web del settimanale tedesco, Ulrike Putz ha evidenziato l’esistenza di una « brigata di becchini» incaricati dell’esecuzione dei nemici della loro sinistra rivoluzione a Baba Amr, il quartiere di Homs, insorto e poi ripreso dall’esercito siriano. (5)

Un massacratore intervistato da Der Spiegel attribuisce alla sua brigata di beccamorti da 200 a 250 esecuzioni, quasi il 3% del bilancio complessivo delle vittime della guerra civile siriana dello scorso anno.

Per quanto riguarda le agenzie umanitarie, è stato necessario attendere la data fatidica del 20 marzo 2012 perché un’eminente Organizzazione Non Governativa, vale a dire Human Rights Watch, la cui denominazione tradotta significa esattamente « Sentinella dei Diritti Umani», finalmente riconoscesse le torture, le esecuzioni e le mutilazioni commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano. Dopo 11 mesi di terrorismo degli insorti … Alla buon’ora dell’infallibile « sentinella» ! « Sah Al Naum», come si dice in arabo a qualcuno che si risveglia.

Passiamo ad altre informazioni, che vanno ad intaccare ancor di più la reputazione di questo Esercito siriano libero e dei suoi sostenitori atlantisti.

Secondo fonti militari e diplomatiche, l’ASL, questo esercito di cosiddetti « disertori», sarebbe carente di effettivi militari. Per ovviare a questa carenza di combattenti, l’ASL arruolerebbe dei salafiti, senza andare tanto per il sottile. 

Questo è il caso del battaglione dell’ASL « Al Farouq», che si è reso celebre per i suoi rapimenti di ingegneri civili e di pellegrini iraniani, per i suoi metodi di tortura e per le sue esecuzioni sommarie.

La difficoltà di reclutare soldati di leva provenienti dall’esercito regolare è dopo tutto abbastanza logica, dato che un disertore è per definizione un uomo che abbandona il combattimento. Disertare significa abbandonare la guerra. Nel caso siriano, numerosi disertori abbandonano il paese e si costituiscono come rifugiati.

La propaganda di guerra occidentale afferma che se costoro abbandonano l’esercito o non rispondono alla chiamata alle armi, questo avviene perché si rifiutano di uccidere manifestanti pacifici. 

In realtà, queste giovani reclute temono tanto di ammazzare quanto di venire ammazzate. Essi devono affrontare un nemico invisibile, rotto alle tecniche della guerriglia, che spara alla cieca indifferentemente contro i favorevoli o i contrari al regime, e che non esita a liquidare i suoi prigionieri secondo un sordido rituale di decapitazioni e smembramenti.

Il terrore che ispirano questi gruppi armati dissuade legittimamente numerosi giovani dal rischiare la loro vita circolando in uniforme. Ecco che allora fanno la scelta di abbandonare l’esercito regolare e il paese.

Per esempio, i disertori Curdi siriani si rifugiano nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. Soprattutto a Erbil, in un quartiere popolato da Curdi siriani, che per questo è stato soprannominato « la piccola Qamishli». [Qamishli è una città della Siria, a maggioranza curda e assira.]

Altri raggiungono i campi di rifugiati in Iraq, Libano, Turchia o Giordania.
Il termine « disertore», che serve a designare i militari che hanno fatto diserzione per raggiungere il campo avverso e sparare contro i loro vecchi camerati, risulta dunque inappropriato in questo caso. Sarebbe più corretto definire « transfughi» questi rifugiati.

Ecco un’analisi di Maghreb Intelligence, un’agenzia che non può essere sospettata di collusione con il regime di Damasco, e che sostiene la tesi della smobilitazione dei giovani di leva, della debolezza dell’ASL e della presenza di salafiti armati presenti negli scontri:

 « Secondo un rapporto proveniente da una ambasciata europea a Damasco e corroborato da inchieste condotte da centri ricerca francesi alla frontiera turca, l’Armata Libera Siriana – ASL – nel suo complesso non conterebbe più di 3000 combattenti. Costoro sono per la maggior parte armati di fucili da caccia, di Kalachnikov e di mortai di fabbricazione cinese provenienti dall’Iraq e dal Libano. Secondo questo documento, l’ALS non è stata in grado di arruolare la maggioranza dei ventimila militari che avrebbero disertato dall’esercito di Bachar Al Assad. D’altro canto, l’ALS è particolarmente presente nei campi di rifugiati insediatisi sul territorio della Turchia.
 A Hama, Deraa e Idlib, sono soprattutto gruppi armati salafiti che si contrappongono all’esercito siriano. Questi salafiti, particolarmente violenti e determinati, provengono per la maggior parte dai movimenti sunniti radicali attivi in Libano.»(6)

Oltre ad essere spietato, infiltrato da gruppi settari e in carenza di effettivi, l’Esercito Siriano Libero è disorganizzato. Non presenta una direzione centrale ed unificata. (7)

Numerose indicazioni, tra cui importanti sequestri di armi condotti presso diversi posti di frontiera del paese, dimostrano che l’ASL riceve armi dall’estero e questo, sin dall’inizio della rivolta, veniva smentito dall’ASL, prima di arrivare a chiedere apertamente un intervento militare straniero sotto forma di bombardamenti, di supporto logistico, o la creazione di zone cuscinetto.

Allo scoppio dell’insurrezione, il gruppo dissidente armato, ovviamente, non voleva fornire l’immagine di una quinta colonna che agisce per conto di forze straniere, nemmeno compromettere i suoi generosi mecenati, che comunque si possono indovinare. 

Ci si dovrà ricordare che nel documentario di propaganda anti-Bashar realizzato da Sofia Amara, dal titolo « Siria : Permesso di uccidere», e diffuso dalla catena televisiva franco-tedesca Arte nell’ottobre 2011, un soldato dell’ASL stava per rivelare i suoi rifornitori stranieri, quando un suo superiore gli intimava di tacere.

Il fronte giordano

La fedeltà della monarchia hashemita a Washington e a Tel Aviv è ormai un luogo comune.
Per soddisfare i suoi alleati, la Giordania è stata anche il primo regime arabo ad invitare Bashar el-Assad ad abbandonare il potere.

Il 22 febbraio 2012, il corrispondente de Le Figaro, Georges Malbrunot, rivelava che la Giordania aveva acquistato dalla Germania quattro batterie anti-missili Patriot usamericani « per proteggere Israele contro possibili attacchi aerei condotti dalla Siria.»(8) Questi missili sarebbero stati installati ad Irbid, non lontano dal confine siriano.

Già nel 1981, questa Monarchia, sicura alleata degli Stati Uniti, aveva consentito all’aviazione da guerra di Israele di violare il suo spazio aereo per andare a bombardare il reattore nucleare iracheno di Osirak.

In politica interna, la Giordania non mostra un atteggiamento più progressista. Anzi, per decenni, Amman ha incoraggiato i Fratelli musulmani secondo un calcolo politico motivato dal desiderio di sradicare il nemico principale, vale a dire l’opposizione laica di sinistra (comunista, baathista e nasseriana).

Secondo M. Abdel Latif Arabiyat, ex ministro ed ex portavoce del Parlamento giordano :
« I Fratelli musulmani non rappresentano un’organizzazione rivoluzionaria, ma esaltano la stabilità. Con l’ascesa al potere dei partiti nazionalisti e di sinistra, noi abbiamo stipulato un’alleanza informale con le autorità» (9).

Nel 1970, i Fratelli musulmani si sono schierati con la Monarchia quando il re Hussein ordinava l’annientamento dei Fedayin palestinesi. La Fratellanza musulmana non ha detto una parola di fronte al massacro del « Settembre Nero», in cui furono massacrati circa 20 mila Palestinesi.

Da questa strategia di manipolazione dei Fratelli musulmani in Giordania, in ultima analisi, sono costoro a risultare i vincitori, visto che attualmente costituiscono il principale movimento di opposizione nel paese.

Per il Regno hashemita, i Fratelli musulmani rappresentavano un male minore rispetto sia alla sinistra, ma anche in relazione ai movimenti jihadisti. Questo matrimonio di interesse non è durato per tanto tempo. E alla fine, la Monarchia si è vista costretta a reprimere un movimento diventato troppo potente. Nel frattempo, la Giordania ha subito diversi attentati terroristici.

Nel 2005, sono alcuni alberghi della capitale Amman ad essere presi di mira da gruppi salafiti.
Abou Moussab Al Zarqawi, l’ex capo di Al Qaïda in Iraq, lui stesso è originario di Zarqa, una città giordana situata a nord-est di Amman.

La rivolta contro il regime siriano è scoppiata a Deraa, una città del sud della Siria vicina al confine con la Giordania, ed ha risvegliato gli appetiti di conquista delle fazioni jihadiste di base in Giordania, che si erano ben moderate in seguito alle numerose perdite subite all’interno dei ranghi di Al Qaïda. 

Fra le altre, troviamo la Brigata Tawhid, una piccola formazione armata jihadista formata da parecchie decine di combattenti, in precedenza attivi all’interno di Fatah Al-Islam, che si inflitrano in Siria per attaccare l’esercito governativo. (10)

Il portale giordano di informazioni liberal Al Bawaba rivela che la città di confine di Ramtha accoglie mercenari libici pagati dall’Arabia Saudita e dal Qatar.

D’altronde, essendo situato tra la Siria e l’Arabia Saudita, il Regno hashemita costituisce un passaggio obbligato per tutti gli jihadisti, gli istruttori e i convogli militari inviati da Riyad.

Il fronte saudita

Sull’esempio del Regno hashemita, la lealtà della dinastia Saud allo Zio Sam non è un segreto per nessuno, e questo dal momento del Patto di Quincy firmato sull’incrociatore americano (il Quincy, da cui il nome del Patto) tra Roosevelt e Saud Bin Abdulaziz nel febbraio del 1945.

Questo accordo avrebbe permesso agli Stati Uniti di garantirsi un approvigionamento energetico senza ostacoli in cambio della protezione del suo vassallo nell’affrontare i loro comuni avversari nella regione, in modo particolare il nazionalismo arabo e l’Iran, di cui alcuni territori erano passati sotto l’influenza sovietica.

Allo scoppio della crisi siriana, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita stavano festeggiando le loro « nozze di gelsomino» per i loro 66 anni di vita insieme, sigillando il più grande contratto di armamenti nella storia : 90 miliardi di dollari, che prevedono la modernizzazione della marina e dell’aviazione da guerra saudite.

Come si può immaginare, lo Stato wahhabita non poteva restava immobile di fronte agli eventi che stanno scuotendo la Siria, un paese faro del nazionalismo arabo ed inoltre amico dell’Iran, nemico giurato dei Sauditi.

Riyad alimenta il terrorismo anti-siriano attraverso diverse modalità: diplomatiche, economiche, religiose, logistiche e, ben s’intende, militari.

La Casa di Saud ha sponsorizzato gli jihadisti attivi in Siria, incoraggiandoli attraverso i suoi strumenti di propaganda, e accreditandoli a mettere il paese a ferro e fuoco.

Ad esempio, dopo aver autorizzato la jihad in Libia, e aver invocato l’eliminazione di Mouammar Gheddhafi, lo sceicco Saleh Al Luhaydan, una delle più prestigiose autorità giuridiche e fatalmente religiose del paese, si è dichiarato favorevole allo sterminio di un terzo dei Siriani per salvarne gli altri due terzi.

Sulla emittente televisiva saudita Al-Arabiya TV, il predicatore Aidh Al-Qarni ha dichiarato che « Ammazzare Bashar è più importante dell’ ammazzare Israeliani !» (11)

È sempre da Riyadh, e attraverso la catena relevisiva Wessal TV, che Adnan Al Arour ha lanciato un appello per fare a pezzi gli Alawiti e dare la loro carne ai cani.

Le recenti dichiarazioni cristianofobe dello sceicco Abdul Aziz bin Abdullah, riportate da Arabian Business, sicuramente non giungono a rassicurare i Cristiani di Siria : sulla base di un hadith (narrazione secondo la tradizione orale) che riporta la dichiarazione del profeta Maometto sul letto di morte, « non dovranno esserci due religioni nella penisola arabica», lo sceicco saudita Abdullah, la massima autorità wahhabita al mondo, ne deduce che è necessario distruggere « tutte le chiese presenti nella regione». I Cristiani di Siria, prede dell’odio religioso, trovano in questa affermazione un motivo in più per sostenere Bashar al-Assad.

Molti sono i cittadini siriani ostili al regime di Bashar Assad, che tuttavia si preoccupano del padrinato del loro movimento democratico da parte di una teocrazia, che ancora decapita le donne accusate di stregoneria, che tortura i suoi oppositori politici nelle prigioni, e che non riconosce né un Parlamento né elezioni.
Sotto il sole di Riyadh esiste anche Bandar, che non ha bisogno di presentazioni.

Il suo ruolo torbido negli attentati di Londra, nel finanziamento di gruppi armati salafiti rivendicato dall’interessato, le sue collusioni con il Mossad, il suo odio verso Hezbollah, verso la Siria e l’Iran fanno del principe saudita Bandar bin Sultan, segretario generale del Consiglio Nazionale per la Sicurezza, un elemento fondamentale del piano per distruggere la Siria laica, multiconfessionale, sovrana e non sottomessa.

Non vi è quindi alcun motivo reale per essere sorpresi quando la dittatura saudita si è impegnata ad aiutare il suo vicino e rivale Qatar nel pagare gli stipendi ai mercenari anti-Siriani, in occasione della riunione degli “Amici della Siria” ad Istanbul.

Il fronte del Qatar

Il Qatar è soprattutto una gigantesca base militare degli Stati Uniti, la più grande esistente all’esterno degli Stati Uniti. Ed inoltre, per inciso, è il regno di un piccolo emiro mediocre, falso e avido. Nel suo regno, non c’è Parlamento, nessuna Costituzione, nessun partito, tanto meno le elezioni. Nel 1995, ha organizzato un colpo di Stato contro il suo stesso padre.

Appena arrivata al potere, la petromonarchia golpista si lancia in un vasto programma di partenariato economico con Israele, preconizzando in modo speciale la commercializzazione del gas del Qatar verso lo Stato sionista.

Nel 2003, l’emiro del Qatar autorizza l’amministrazione Bush a servirsi del suo territorio per scatenare l’aggressione contro l’Iraq.

Con il resto della sua famiglia, controlla tutta la vita economica, politica, militare e culturale del paese. La celebre catena televisiva Al Jazeeraè il suo giocattolo personale. In poco tempo, ne ha fatto una potente arma di propaganda anti-siriana.

Grazie alle notizie false, tendenziose e risibili di Al Jazeera, la CIA e il Mossad possono dedicarsi alle loro vacanze !
Il nome di Sua Maestà : Hamad Ben Khalifa al Thani.

La « Primavera araba»? Ne è il principale procacciatore di fondi. Per lui, tutto si compra: lo sport, l’arte, la cultura, la stampa, e perfino la fede. Quindi, potete immaginare, una rivoluzione …!

L’anno scorso, l’emiro Hamad ha inviato 5.000 commandos per sostenere la ribellione jihadista contro la Libia, Stato sovrano.
Ora, il suo nuovo gioco da casinò è la Siria, e i ribelli di questo paese, gettoni da puntare.
Quando questi ultimi hanno subito una battuta d’arresto da parte dell’esercito arabo siriano, l’emiro ha gridato al genocidio.

Hamad e la sua cricca, è l’ospedale che si fa beffe della carità. E parlando della carità, egli ha appena assunto un notorio predatore della pace e della democrazia, lo sceicco Al Qardawi, tanto per islamizzare il messaggio dell’emittente televisiva. Ma, malgrado i suoi dollari e le sue campagne di mobilitazione contro la Siria, Al Jazeeraè un esercito in rotta.

Le colate di disinformazione che si riversano a proposito della Siria dagli studi della catena televisiva hanno determinato le dimissioni dei suoi personaggi più in vista.

Da Wadah Khanfar a Ghassan Ben Jeddo, da Louna Chebel a Eman Ayad, Al Jazeera ha dovuto subire importanti defezioni, che passano inosservate nella stampa occidentale.

Nel marzo 2012, anche Ali Hachem e due suoi colleghi hanno abbandonato il bastimento della pirateria informativa del Qatar. Alcune e-mail di Ali Hashem trapelate hanno riguardato misure di censura assunte da Al Jazeerarispetto ad immagini di combattenti contro Bashar, che si infiltravano in Siria dal Libano, in data aprile 2011.

Dunque, queste immagini fanno risalire la presenza di un’opposizione armata di natura terroristica agli inizi della cosiddetta « Primavera siriana». La loro pubblicazione avrebbe ridotto a brandelli l’impostura secondo la quale il movimento anti-Bashar non si sarebbe radicalizzato che alla fine dell’anno 2011, una tesi fatta propria da tutte le cancellerie occidentali.

Malgrado questi scandali a ripetizione, i « nostri» media continuano a considerare Al Jazeera come una fonte affidabile, e il suo padrone, l’emiro Hamad, come un apostolo della democratzia siriana.

Il fronte iracheno

L’invasione dell’Iraq da parte delle truppe anglo-americane nel marzo 2003 ha svolto un ruolo cruciale nell’aumentare il numero dei jihadisti siriani.

I posti di confine come Bou Kamal sono diventati punti di transito per i jihadisti siriani che vanno a combattere contro le forze di occupazione in Iraq.

Numerosi sono stati i Siriani che sono accorsi ad ingrossare i ranghi dei battaglioni di Abu Musab al-Zarqawi. Dall’estate del 2011, il processo si è visibilmente invertito dato che ormai sono i miliziani iracheni sunniti ad attraversare la frontiera per andare a combattere contro le truppe siriane.

Al Qaeda

Il ramo iracheno di Al Qaeda denominato « Tanzim al-Jihad fi Bilad Qaidat al-Rafidayn» (Organizzazione della base della Jihad nella Terra dei Due Fiumi) conta molti reclutati provenienti dalla Siria. Si dice che il 13% dei volontari arabi presenti in Iraq erano Siriani. (12) Il terrore da loro scatenato era pari alla loro reputazione.

Al Qaeda ha causato tali danni nell’ambito della resistenza sunnita irachena che i resistenti iracheni hanno dovuto rassegnarsi ad aprire un fronte anti-Al Qaeda. 

Nel 2006, vedeva la luce ad Anbar un Consiglio di emergenza che includeva la maggior parte dei clan e delle tribù della provincia ribelle. Il suo obiettivo era di fare pulizia dei terroristi di Al Qaida presenti nella provincia.(13)

A Falloujah e a Qaim, i capi tribali, che inizialmente avevano aperto le braccia alla banda di Zarqawi, sono arrivati al punto da rovesciarle contro le armi. Per aver dichiarato guerra ad Al Qaeda, hanno ricevuto anche il sostegno da parte del governo iracheno.

Il terrore cieco di Al Qaeda ha fortemente neutralizzato la resistenza patriottica irachena. Tutti questi veterani della guerra contro gli Statunitensi, ma anche contro l’Iran, gli sciiti e i patrioti sunniti iracheni hanno trovato una nuova ancora nella guerra contro il regime di Damasco.

Dal dicembre 2011 al marzo 2012, le città di Damasco, Aleppo e Deraa sono state bersaglio di numerosi attacchi suicidi o con autobombe, che hanno lasciato sul terreno decine di morti e feriti. 

Questi attentati sono stati rivendicati da Al Qaeda, o attribuiti all’organizzazione takfirista da parte delle autorità siriane e dagli esperti internazionali in questioni dell’anti-terrorismo, che confermano l’infiltrazione di terroristi provenienti dall’Iraq.
[Al Qaeda, come organizzazione takfirista, accusa tutti gli islamici che non la appoggiano di essere apostati punibili con la morte.]

Jabhat Al-Nusra Li-Ahl al-Sham (Fronte di soccorso della popolazione del Levante)

Il 24 gennaio scorso, questa formazione ha annunciato la sua comparsa in vari forum islamici.

Ma questa denominazione sembra essere una riduzione del titolo per esteso « Jabhat Al Nusra li Ahl Al Sham min Mujahideen al Sham fi Sahat al Jihad», ossia « Fronte di soccorso della popolazione del Levante dei Moudjahidines di Siria nei luoghi della Jihad».

Secondo gli esperti del terrorismo, l’espressione « luoghi della Jihad» suggerisce che i membri di questo gruppo conducono la loro guerra santa su altri fronti come l’Iraq.

Questo è anche ciò che viene rivelato dal leader del gruppo, Abu Mohammed al Julani, in un video pubblicato nella metà del mese di marzo. Al Julani significa Golanese, di provenienza dalle alture del Golan, con riferimento esplicito siriano.
Come tutti i gruppi terroristici, Jabhat Al Nusra dispone di un organo di stampa: Al Manara al Bayda, il faro bianco. (14)

Jabhat Al Nusra riceve l’appoggio di un prestigioso cyber-salafita, denominato Abou Moundhir al Shanqiti. Quest’ultimo ha emesso una fatwa, lanciando un appello a tutti i Musulmani a schierarsi nel campo di coloro che sollevano la bandiera della sharia in Siria.

Il fronte turco

In Turchia, paese membro della NATO da 60 anni, che presto ospiterà le strutture per lo scudo antimissilistico, è l’Esercito Siriano Libero che detiene il primato ed esercita il sopravvento.

Il suo presunto leader, Riyadh Al Assaad, è ospitato nella provincia turca di Hatay, in precedenza siriana, e beneficia della diretta protezione del ministero degli affari esteri.

Come tutti sanno, la Turchia è uno dei più acerrimi nemici del regime di Damasco. Temendo di « passare per imperialiste», le forze della NATO incitano Ankara a guadare il Rubicone, meglio dire l’Oronte nella circostanza, per muovere guerra contro la Siria.

Numerose sono le fonti che danno conto di un asse Tripoli-Ankara nella guerra contro Damasco.

Un trafficante d’armi libico sottolinea l’acquisto di attrezzature militari leggere da parte di Siriani a Misurata (15).

L’ex-ufficiale della CIA e direttore del Consiglio per l’interesse Nazionale degli Stati Uniti Philip Giraldi parla senza mezzi termini di un trasporto aereo di armi dall’arsenale del vecchio esercito libico verso la Siria, via la base militare usamericana di Incirlik situata nel sud della Turchia a meno di 180 km dalla frontiera con la Siria. Egli afferma che la NATO è già clandestinamente impegnata nel conflitto contro la Siria sotto la direzione della Turchia.

Giraldi conferma inoltre le informazioni pubblicate lo scorso novembre dal Canard enchaîné, vale a dire che forze speciali francesi e britanniche assistono i ribelli siriani, mentre la CIA e forze speciali statunitensi forniscono loro dispositivi di comunicazione e spionaggio.

Un altro agente della CIA, Robert Baer, nelle sue memorie(16) che hanno inspirato il film Syriana di Stephen Gaghan, con George Clooney come protagonista principale, ha dichiarato nell’estate 2011 che armi vengono inviate ai ribelli siriani dalla Turchia. (17)

Sibel Edmonds, l’interprete dell’FBI censurata per aver denunciato abusi commessi da parte dei servizi dello spionaggio degli Stati Uniti, puntualizza che la fornitura di armi ai ribelli siriani viene assicurata dagli Stati Uniti fin dal maggio 2011. 

Inoltre, gli Stati Uniti avrebbero installato in Turchia una « sezione per la comunicazione», il cui incarico è quello di convincere i soldati dell’esercito siriano a raggiungere le formazioni ribelli. (18)

Il coinvolgimento di mercenari libici non sarebbe unicamente di natura logistica. Secondo molti testimoni oculari, fra cui un giornalista del quotidiano spagnolo ABC, jihadisti libici e membri del Gruppo Islamico Combattenti Libici (GICL) sono concentrati alle frontiere siro-turche.(19)

Nella regione di Antiochia in Turchia, prevalentemente di lingua araba, che confina con la Siria, la popolazione locale si imbatte in un numero insolitamente elevato di Libici. Occupando gli alberghi più lussuosi della regione, costoro non passano inosservati. 

Alcuni di questi Libici sono autori di molteplici atti di vandalismo in certe zone turistiche, come ad Antalya. Miliziani libici che stazionano in Turchia hanno più di una volta attaccato e occupato la loro ambasciata ad Istanbul reclamando la loro paga.

A questo strano panorama viene ad aggiungersi l’arresto di un Libico di 33 anni all’aeroporto di Istanbul in possesso di 2, 5 milioni di dollari. Il primo di aprile, questo Libico faceva scalo ad Istanbul. La sua destinazione finale: la Giordania, un paese dove viene segnalato un numero significativo di Libici mercenari ammassati sul confine siriano. Bene, bene … (20)

E gli Stati Uniti in tutto questo ?

 Tenuto conto delle affermazioni di alcuni agenti della CIA concernenti il coinvolgimento degli USA nella destabilizzazione della Siria, è ragionevole credere che l’amministrazione Obama sarebbe indifferente, o meglio compiacente, rispetto alla destabilizzazione di un paese che figura ancora nella lista degli « Stati canaglia», dato il suo appoggio alla resistenza palestinese e alla sua alleanza strategica con gli Hezbollah e l’Iran ?

A questo titolo, la Siria è citata tra i sette paesi contro i quali « l’uso dell’arma nucleare è possibile».

A coloro che credono nell’inazione delle forze occidentali in Siria e alla loro buona fede nella loro difesa dei civili siriani, conviene far ricordare che già un anno fa la NATO, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico sotto comando statunitense, giurava per tutti i santi di volere agire sotto la « responsabilità di proteggere» il popolo della Libia, e prometteva di attenersi alla Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di « impedire al dittatore Gheddafi di bombardare la sua popolazione», e che, immediatamente, la protezione dei cittadini libici si è trasformata in impegno militare in una guerra civile, in un colpo di stato, in attentati mirati e in bombardamenti alla cieca.

Ci si ricorderà anche che dopo aver annientato la città libica di Sirte, dove il leader libico si era trincerato, le forze della NATO lo hanno consegnato a bande di criminali che lo hanno torturato a morte. Questo sordido linciaggio è stato facilitato dagli Stati Uniti e dalla NATO, visto che in precedenza avevano dato la caccia e bombardato il suo convoglio.

Tuttavia, Andres Fogg Rasmussen e i suoi compari, che hanno espresso soddisfazione per la morte di Gheddafi, avrebbero ripetuto per mesi che il leader libico non era il loro obiettivo.

La cinica strategia degli USA e della NATO in Libia, che consisteva nel « non dire quello che si fa e non fare quello che si dice» è manifestamente quella che è stata scelta per la Siria.

Effettivamente, e in via ufficiale, la NATO non ha l’intenzione di intervenire in questo paese. Rasmussen ha anche fatto presente che la sua organizzazione non armerà i ribelli.

Tuttavia, alcune e-mail da parte di una agenzia privata statunitense di spionaggio, la Stratfor Intelligence Agency, diffuse da Wikileaks il 27 febbraio scorso, indicano la presenza di forze speciali occidentali in Siria. Il verbale di una riunione, datato 6 dicembre 2011, sottintende che forze speciali sarebbero state presenti sul terreno alla fine del 2011. 

A questo proposito, una e-mail del direttore di analisi della Stratfor, Reva Bhalla, è inequivocabile. (21) Si parla di un incontro fra «quattro giovanotti, grado tenente colonnello, tra cui un rappresentante francese e uno britannico». 

Durante un colloquio della durata di quasi due ore, avrebbero accennato al fatto che squadre di Forze speciali erano già sul terreno, impegnate in missioni di ricognizione e nell’addestramento delle formazione delle forze di opposizione.

Gli strateghi occidentali riuniti negli Stati Uniti sembrano rifiutare l’ipotesi di un’operazione aerea sul modello Libia, e preferirebbero l’opzione di una guerra di logoramento attraverso attacchi di guerriglia e campagne di assassinio, in modo da « provocare un crollo del regime dall’interno».

Avrebbero giudicato la situazione siriana molto più complessa di quella della Libia, e il sistema di difesa siriano molto più efficace, soprattutto per i suoi missili terra-aria SA-17 dislocati attorno a Damasco e lungo i confini con Israele e la Turchia. In caso di attacco aereo, l’operazione dovrebbe essere condotta dalle basi della NATO a Cipro. Queste le conclusioni dell’agenzia Stratfor.

Se, finora, gli Stati Uniti non hanno mandato i loro bombardieri su Damasco, questo non è perché la conservazione del regime siriano conviene loro, ma perché questo regime non è un boccone facile. Comunque, fornendo il loro supporto ai gruppi armati, gli Stati Uniti si rendono nondimeno complici dei massacri in Siria.

La NATO e gli Stati Uniti arrivano quindi a completare il simpatico quadretto familiare del terrorismo anti-siriano, a fianco delle monarchie del Golfo, dei mercenari libici, dei propagandisti salafiti e di Al Qaeda.

Conclusioni

 Il terrorismo anti-siriano è una realtà che salta subito agli occhi, in senso proprio come in senso figurato. Il suo esordio arriva ben prima della primavera araba.

Durante gli anni ‘70 e ‘80, i Fratelli musulmani siriani ne sono stati i principali attori. Dopo aver messo il paese a ferro e fuoco, furono schiacciati dall’esercito siriano, soprattutto ad Hama nel 1982.

La dittatura baathista puntava sui mezzi militari per sradicare questo flagello, ma come spesso accade, la repressione ha avuto al contrario l’effetto di prorogare o addirittura amplificare la minaccia.

Con il ritiro siriano dal Libano nel 2005, i movimenti jihadisti si sono stabiliti e rafforzati nella regione libanese di Tripoli, quindi nei campi palestinesi del paese dei Cedri.

Hanno ritrovato una nuova giovinezza e l’opportunità di prendersi la loro rivincita sul regime baathista, lanciando attacchi in territorio siriano. Poi hanno conosciuto una terza rinascita con la primavera siriana del marzo 2011.

Composti da tutte le nazionalità che popolano la regione, i movimenti jihadisti anti-siriani ostentano un radicale anti-nazionalismo, che non riconosce alcun limite territoriale. 

Quindi, non possono essere associati in senso stretto ad un solo paese della regione. Nelle loro fila si trovano Sauditi, Maghrebini, Giordani, Libici, ma perfino tanti Palestinesi ultraconservatori, che respingono l’idea di una lotta di liberazione nazionale in Palestina, mentre sono favorevoli ad una strategia di guerra di religione « contro gli Ebrei e i Crociati».

Questi gruppi politico-militari hanno causato danni significativi a molti movimenti di liberazione e a tutti i governi nazionalisti arabi. Ad esempio, in Iraq, i miliziani di Al Qaeda hanno ferocemente combattuto la resistenza sunnita che, comunque, combatteva contro le truppe usamericane.

Attualmente, i governi libanesi e iracheni, alleati oggettivi del regime siriano e vittime di questi stessi gruppi armati, cercano di bloccare il passaggio di jihadisti verso la Siria. 

Ma la conoscenza del terreno da parte di questi ultimi, che dispongono di un appoggio logistico sofisticato da parte della NATO e dei suoi alleati del Golfo, rende le loro frontiere permeabili.

Per esempio, alcune tribù sunnite transfrontaliere, che sono contro gli sciiti ed oggi ostili al regime di Damasco per motivi essenzialmente settari, trasportano armi, equipaggiamenti e combattenti dalla provincia irachena di Anbar verso il distretto siriano di Deir Ez-Zor.

Dunque, la NATO è del tutto coinvolta militarmente in Siria attraverso i suoi alleati arabi, ma anche, e soprattutto, tramite la Turchia che, secondo le dichiarazioni specifiche del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, è un attore di primo piano nella realizzazione del progetto statunitense del Grande Medio Oriente, un piano che mira ad abbattere le ultime sacche di resistenza anti Stati Uniti della regione.

Evitare di raffrontare le scene di distruzione, di massacri e di desolazione che ci pervengono dalla Siria con quelle della guerra civile in Algeria degli anni ’90, diviene sempre più difficile. 

Tanto più che la Siria e l’Algeria, paesi faro del nazionalismo arabo, hanno entrambe governi politico-militari originati da una guerra di liberazione contro la Francia coloniale, ed entrambe si devono confrontare con un terrorismo della stessa natura.

Gli jihadisti algerini erano veterani dell’Afghanistan che avevano combattuto contro le truppe sovietiche, come gli jihadisti oggi attivi in Siria hanno combattuto sui fronti iracheno, afghano o libico.

Nell’Algeria degli anni’90, come nella Siria del 2012, i gruppi terroristici procedono ad una pulizia etnica, ideologica e metodicamente confessionale. Tuttavia, rimane una grande differenza tra i due paesi: pur costituendo una minaccia, il terrorismo algerino, malgrado tutto, è stato neutralizzato grazie a metodi politici basati sul dialogo e sulla riconciliazione. 

Uno degli architetti della pace in Algeria è stato Ahmed Ben Bella, eroe rivoluzionario e primo presidente dell’Algeria indipendente. Ben Bella ci ha lasciato l’11 aprile scorso. Osiamo sperare che la Siria possa trovare il suo Ahmed Ben Bella.


* Bahar Kimyongür, autore di Syriana, la conquête continue, Ed. Couleur Livres et Investig’action, 2011.
 
Nato il 28 aprile 1974 a Berchem-Sainte-Agathe, membro di una famiglia proveniente dalla Turchia, è un attivista politico belga, ed ha militato nel Partito del lavoro del Belgio, una formazione politica marxista-leninista.

Suo padre, un Turco della minoranza alawita araba, era arrivato in Belgio per lavorare come minatore nelle miniere di carbone di La Louvière, sua madre era una lavoratrice stagionale nelle piantagioni di cotone.

Bahar Kimyongür si è diplomato in archeologia e storia dell’arte presso l’Università libera di Bruxelles.

Bahar Kimyongür è stato oggetto dell’interesse dei mezzi di comunicazione a seguito di un procedimento giudiziario che lo ha visto protagonista, per essere uno dei primi imputati perseguiti secondo la legislazione anti-terrorismo. 

In buona sostanza, veniva accusato di terrorismo per avere tradotto dal turco in francese dei comunicati diffusi dal DHKP-C, un’organizzazione rivoluzionaria turca considerata come terrorista dallo Stato turco ed inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Unione europea in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre.

Portato in giudizio sulla base della legislazione anti-terrorismo del Belgio, è stato condannato in primo grado di giudizio nel febbraio 2006 e in appello nel novembre 2006, poi assolto nel 2007 e nel 2009 a seguito delle sentenze di Cassazione che hanno annullato le sentenze precedenti.

È stato fatto oggetto di una richiesta di estradizione da parte della Turchia.
All’affare DHKP-C e al caso Kimyongür è stato dedicato il film “Résister n’est pas un crime – Resistere non è un crimine“, un documentario di Marie-France Collard, F.Bellali e J.Laffont, che ha conseguito il Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film sui Diritti dell’Uomo (FIFDH) 2009 di Parigi.

Bibliografia:

Bahar Kimyongür, “Turquie, terre de diaspora et d’exil. Histoire des migrations politiques de Turquie“, Éditions Couleur livres, 2008, ISBN 978-2-87003-509-2 (tradotto da Bahar Kimyongür), “Le Livre noir de la “démocratie” militariste en Turquie“, Info-Türk, 2010, ISBN 978-2-9601014-0-9

Bahar Kimyongür, “Syriana. La conquête continue“, Éditions Couleur livres (Coédition Investig’Action), 2011, ISBN 978-2-87003-590-0


Fonti

(1) Con un avvertimento: il presidente della Repubblica deve essere obbligatoriamente musulmano. Questo articolo della Costituzione è stato mantenuto nonostante la nuova riforma, per evitare di alienarsi la maggioranza musulmana del paese.
(2) A proposito delle menzogne sull’appartenenza religiosa dello sceicco Hassoune, vedere Envoyé Spécial, 19 gennaio 2012. A proposito di Ali Mamlouk, consultare Le Figaro, 31 luglio 2011.
(3) Sunday Telegraph, 29 ottobre 2011
(4) vedere U.S. Department of State, Foreign Terrorist Organizations, 27 gennaio 2012
(5) Ulrike Putz, The Burial Brigade of Homs in Der Spiegel, 29 marzo 2012
(6) Maghreb Intelligence, 17 febbraio 2012
(7) Nir Rosen, Al Jazeera online, 13 febbraio 2012
(8) Georges Malbrunot, Le Figaro, 22 febbraio 2011
(9) Vicken Cheterian, Le Monde diplomatique, maggio 2010
(10) David Enders, McClatchy Newspapers, 1 aprile 2012
(11) Sabq(giornale saudita on line), 26 febbraio 2012
(12) The Jamestown Foundation, Terrorism Monitor, 2 dicembre 2005
(13) Peter Beaumont, The Guardian, 3 ottobre 2006
(14) Ayfer Erkul, De Morgen, 20 marzo 2012
(15) Ruth Sherlock, The Telegraph, 25 novembre 2011
(16) Robert Baer, La chute de la CIA : les mémoires d’un guerrier de l’ombre sur les fronts de l’islamisme (trad. Daniel Roche de See not evil, Three Rivers Press, New York, 2001) collezione Folio documents, Ed. Gallimard, 2002
 (17) Hürriyet, 8 marzo 2012
(18) Intervista di Sibel Edmonds, Russia Today, 16 dicembre 2011
(19) Daniel Iriarte, Islamistas libios se deplazan a Siria para « ayudar» a la revolucion, 17 dicembre 2011
(20) Milliyet, 2 aprile 2012
(21) Russia Today, 6 marzo 2012.



Riflessioni sulla Siria

Nota di Miguel Martinez, tratta da kelebeklerblog.com


Resistenze è un sito di cui non condivido la tetragona fede comunista, ma è una fonte straordinaria di informazioni non allineate, e consiglio a tutti di iscriversi alla loro mailing list.

Oggi ci trovo la traduzione di un importante saggio di Bahar Kimyongür su ciò che sta succedendo in Siria, apparso in origine sul sito di  Michel Collon.

Chiaramente, non si tratta di tutta la verità su ciò che sta succedendo in Siria: l’ambiente di riferimento dell’autore è quello di una delle minoranze più perseguitate del Medio Oriente, che guarda con comprensibile timore ciò che sta avvenendo; e la sua area politica non ha mai accettato compromessi né con il regime laicista turco, né con quello di Recep Tayyip Erdoğan.

Bahar Kimyongür, come si può vedere dalla nota biografica sopra esposta, è una personalità notevole, con una conoscenza diretta di quelle realtà decisamente maggiore della nostra. La nota biografica non ci dice che è anche un notevole poliglotta e uno straordinario cantante.

Come il traduttore, non ho toccato la grafia chiaramente francese dei nomi.