venerdì 22 aprile 2011

News Shake

News Shake....notizie a caso, ma non per caso...


La crisi di bilancio, i buoni del Tesoro e il Dollaro Usa: crollo di un sistema

da Global Research - GEAB n° 54 - Megachip - 21 Aprile 2011

Il 15 settembre 2010, la pubblicazione di GEAB N ° 47 è stata intitolata «Primavera 2011: Benvenuti negli Stati Uniti dell'austerità / Verso la gravissima crisi del sistema economico e finanziario».

Eppure, alla fine dell'estate 2010, la maggior parte degli esperti riteneva in primo luogo, che il dibattito sul deficit di bilancio degli Stati Uniti sarebbe rimasto un mero oggetto di discussione teorica all'interno della Beltway (1) e in secondo luogo, che era impensabile immaginare che gli Stati Uniti si sarebbero impegnati in una politica di austerità, perché era sufficiente che la Fed continuasse a stampare dollari. Eppure...

Eppure, come tutti hanno potuto vedere da alcune settimane, la primavera 2011 ha portato davvero l'austerità negli Stati Uniti (2), la prima dopo la seconda guerra mondiale e la creazione di un sistema globale basato sulla capacità del motore Stati Uniti di generare sempre più ricchezza (reale dal 1950 al 1970, sempre più virtuale in seguito).

In questa fase, LEAP/E2020 può confermare che la prossima fase della crisi sarà davvero il "Gravissimo Crollo del sistema economico, finanziario e monetario mondiale" e che questo fallimento storico avverrà nell'autunno 2011 (3). Le conseguenze monetarie, finanziarie, economiche e geopolitiche di questo "Gravissimo Crollo" saranno di proporzioni storiche e mostreranno la crisi dell'autunno 2008 per quello che realmente era: un semplice detonatore.

La crisi in Giappone (4), le decisioni della Cina e la crisi del debito in Europa avranno certamente un ruolo in questo storico crollo. D'altro canto riteniamo che la questione del debito pubblico dei paesi alla periferia di Eurolandia, a questo punto non è più il fattore dominante del rischio in Europa, ma è il Regno Unito che si troverà nella posizione del "malato d'Europa" (5 ). La zona euro ha infatti stabilito e continua a migliorare tutti i sistemi di monitoraggio necessari per affrontare questi problemi (6).

La gestione dei problemi di Grecia, Portogallo e Irlanda dunque avverrà in maniera organizzata. Il fatto che gli investitori privati dovranno adottare un taglio di capelli (come anticipato da LEAP/E2020 prima dell'estate 2010) (7) non appartiene alla categoria dei rischi sistemici, con dispiacere del Financial Times, Wall Street Journal e Wall Street e gli esperti della City, che cercano ogni tre mesi di eseguire di nuovo il "golpe" della crisi della Zona Euro dell'inizio del 2010 (8).

Al contrario, il Regno Unito ha completamente mancato il suo tentativo di "preventiva amputazione chirurgica del bilancio" (9). In realtà, sotto la pressione dei cittadini e in particolare di più di 400.000 britannici che hanno marciato per le strade di Londra il 26/03/2011 (10 ), David Cameron è stato costretto ad abbassare il suo obiettivo di riduzione dei costi sanitari (un punto chiave delle sue riforme) (11).

Allo stesso tempo, l'avventura militare libica lo ha anche costretto a ripensare ai suoi obiettivi per i tagli al bilancio del Ministero della Difesa. Abbiamo già accennato nella pubblicazione dell'ultimo numero di GEAB che il finanziamento del governo britannico deve continuare a crescere, riflettendo l'inefficacia delle misure annunciate, la cui realizzazione si sta rivelando nella realtà molto deludente(12).

L'unico risultato della coppia politica Cameron/Clegg (13) è attualmente la ricaduta in recessione dell'economia britannica (14) e il rischio evidente di implosione della coalizione di governo dopo il prossimo referendum sulla riforma elettorale.

In questo numero, il nostro team descrive i tre fattori chiave che contraddistinguono questo gravissimo Crollo dell'autunno 2011 e le sue conseguenze. Nel frattempo, i nostri ricercatori hanno cominciato ad anticipare la progressione dell'operazione militare franco-anglo-americana in Libia, che a nostro parere è un potente acceleratore dello smembramento geopolitico mondiale che illumina alcuni degli attuali cambiamenti tettonici nei rapporti tra potenze mondiali. Oltre al nostro indice GEAB $, espandiamo le nostre raccomandazioni per affrontare i pericolosi trimestri a venire.

In sostanza, il processo che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi, compresa l'entrata degli Stati Uniti in un'epoca di austerità (15) è una semplice espressione di bilancio, è una continuazione del bilanciamento dei 30.000 miliardi di attività fantasma che avevano invaso l'economica globale e il sistema finanziario a fine 2007 (16).

Mentre circa la metà di questi era scomparso nel 2009, sono stati parzialmente resuscitati per volontà delle grandi banche centrali globali, la Federal Reserve Usa, in particolare, e il suo "Quantitative Easing 1 e 2".

Il nostro team ritiene, pertanto, che i 20 trilioni di queste attività fantasma andranno in fumo all'inizio dell'autunno 2011, e molto brutalmente, sotto l'impatto combinato delle tre mega-crisi degli Stati Uniti in gestazione accelerata:

. . la crisi di bilancio, o come gli Stati Uniti si tuffano volenti o nolenti in questa austerità senza precedenti e coinvolgono interi settori dell'economia e della finanza globale

. . la crisi dei titoli del Tesoro americani, o come la Federal Reserve statunitense raggiunge la "fine della strada" che ha avuto inizio nel 1913 e deve affrontare il fallimento, qualsiasi gioco di prestigio contabile venga scelto

. . la crisi del dollaro USA, o come le scosse nella valuta degli Stati Uniti che caratterizzeranno la fine della QE2 nel secondo trimestre del 2011 saranno l'inizio di una massiccia svalutazione (circa il 30% in poche settimane).

Le banche centrali, il sistema bancario globale, i fondi pensione, le multinazionali, le materie prime, la popolazione degli Stati Uniti, le economie dell'area del dollaro e / o dipendenti dal commercio con gli Stati Uniti (17) ... chiunque dipenda strutturalmente dall'economia americana (di cui il governo, la Fed e il bilancio federale sono diventate componenti centrali), le attività denominate in dollari o transazioni commerciali in dollari, subiranno uno shock di 20 miliardi di dollari in attività fantasma che scompariranno puramente e semplicemente dai loro bilanci, dai loro investimenti, causando un grave declino del loro reddito reale.

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La spedizione di fondi da parte dei lavoratori americani immigrati, nei loro paesi di origine (il primo numero in valuta locale, al tasso di cambio del dollaro fine 2008/il secondo: lo stesso, al cambio di fine 2010) - Fonte: Wall Street Journal, 04/2011

Intorno alla scossa storica dell'autunno 2011 che segnerà la definitiva conferma delle tendenze significative anticipate dal nostro team in precedenti numeri del GEAB, le principali classi di attività sperimenteranno importanti sconvolgimenti che richiederanno una maggiore vigilanza di tutti gli attori interessati sui loro investimenti.

In realtà, questa triplice crisi degli Stati Uniti segnerà la reale uscita dal "mondo dopo il 1945" che ha visto gli Stati Uniti svolgere il ruolo di Atlas e sarà, pertanto, caratterizzato da molti colpi e scosse di assestamento nei trimestri a venire.

Ad esempio, il dollaro può subìre degli effetti a breve termine di rafforzamento del valore, contro le principali valute mondiali (in particolare se i tassi di interesse negli Stati Uniti saliranno molto rapidamente dopo la fine della QE2), anche se, sei mesi dopo, la sua perdita di valore del 30%( rispetto al suo valore corrente) è inevitabile.

Possiamo, quindi, solo ripetere il consiglio che è apparso a capo delle nostre raccomandazioni, fin dall'inizio del nostro lavoro sulla crisi: nel contesto di una crisi globale di proporzioni storiche, come quella che stiamo vivendo, l'unico obiettivo razionale per gli investitori non è quello di fare più soldi, ma cercare di perdere il meno possibile.

Ciò sarà particolarmente vero per i prossimi trimestri in cui l'ambiente speculativo diventa altamente imprevedibile nel breve termine. Questa imprevedibilità a breve termine sarà particolarmente dovuta al fatto che le tre crisi degli Stati Uniti che innescheranno il Gravissimo Crollo mondiale in autunno non sono concomitanti.

Esse sono strettamente correlate, ma non linearmente. E una di esse, la crisi di bilancio, è direttamente dipendente da fattori umani con una grande influenza sul calendario dell'evento, mentre le altre due (qualunque cosa pensino coloro che vedono i funzionari della Fed come dèi o demoni (18)) sono ora, per la gran parte, incluse nelle tendenze significative dove le azioni dei leaders Usa sono diventate marginali (19).

La crisi di bilancio, o come gli Stati Uniti si tuffano volenti o nolenti in questa austerità senza precedenti e coinvolgono interi settori dell'economia e della finanza globale

I numeri possono far girare la testa: "6000 miliardi di tagli di bilancio in più di dieci anni" (20), ha detto il repubblicano Paul Ryan, "4.000 miliardi in dodici anni" ha ribadito il candidato per il 2012 Barack Obama (21), "tutto questo è lontano dall'essere sufficiente", dichiara uno dei referenti del Tea Party, Ron Paul (22). E comunque, sanziona il FMI, "gli Stati Uniti non sono credibili quando parlano di tagliare il deficit "(23).

Questa osservazione insolitamente dura dal FMI, tradizionalmente molto cauto nelle sue critiche agli Stati Uniti, in ogni caso è particolarmente giustificata in termini di uno psicodramma che, per una manciata di decine di miliardi di dollari, ha quasi chiuso lo stato federale, in assenza di accordo tra i due maggiori partiti , uno scenario che, del resto, presto accadrà di nuovo oltre il tetto del debito federale.

Il FMI esprime solo un'opinione ampiamente condivisa da parte dei creditori degli Stati Uniti: se, per qualche decina di miliardi di dollari di riduzione del disavanzo, il sistema politico degli Stati Uniti ha raggiunto quel grado di paralisi, cosa accadrà quando, nei prossimi mesi, saranno necessari tagli di diverse centinaia di miliardi di dollari l'anno? La guerra civile?

Questa è, in ogni caso, l'opinione del nuovo governatore della California Jerry Brown (24) che crede che gli Stati Uniti stanno affrontando una crisi di regime identica a quella che ha portato alla guerra civile (25).

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Indebitamento del settore pubblico e privato (1979 - 2010) (in rosso: pubblico / in blu: privato) - Fonte: Agorafinancial, 04/2011

Il contesto, dunque, non è semplicemente una paralisi ma un reale confronto a tutto campo tra due visioni del futuro del paese. Più si avvicina la data delle prossime elezioni presidenziali (novembre 2012), più il confronto tra le due parti si intensificherà e si svolgerà indipendentemente da qualsiasi regola di buon comportamento, compresa la salvaguardia del bene comune del paese: "Gli dei rendono folle colui che vogliono distruggere", dice un antico proverbio greco. La scena politica di Washington assomiglierà sempre di più ad un ospedale psichiatrico (26), nei prossimi mesi, rendendo sempre più probabilmente "la decisione bizzarra".

Se, al fine di rassicurare se stessi sul dollaro e le obbligazioni del Tesoro, gli esperti occidentali ripetono a loro volta che i cinesi sarebbero folli a sbarazzarsi di questi beni, accelerando solo la loro caduta in valore, è perchè non hanno ancora capito che è Washington e i suoi errori politici a poter decidere di accelerare questa caduta.

E ottobre 2012, con il suo tradizionale voto sul bilancio annuale, sarà il momento ideale per questa tragedia greca che, secondo la nostra squadra, non avrà un lieto fine perché questa non è Hollywood, ma in realtà il resto del mondo che scriverà il seguito dello scenario.

In ogni caso, che accada per scelta politica, o per la chiusura del governo federale o per irresistibili pressioni esterne (27) (tassi di interesse, FMI + Eurolandia + BRIC (28)), sarà proprio nell'autunno 2011 che il bilancio federale degli Stati Uniti subirà una massiccia restrizione per la prima volta.

La continuazione della recessione insieme alla fine del QE2 causerà un aumento dei tassi di interesse e quindi un aumento significativo dei costi di manutenzione del debito federale, in un contesto di calo delle entrate fiscali (29) causato da una ricaduta in una profonda recessione. L'insolvenza federale è ormai dietro l'angolo secondo Richard Fisher, presidente della Federal Reserve Bank di Dallas (30).

Per saperne di più leggi su GEAB:

. . la crisi di bilancio, o come gli Stati Uniti si tuffano volenti o nolenti in questa austerità senza precedenti e coinvolgono interi settori dell'economia e della finanza globale

. . la crisi dei titoli del Tesoro americani, o come la Federal Reserve statunitense raggiunge la "fine della strada" che ha avuto inizio nel 1913 e deve affrontare il fallimento, qualsiasi gioco di prestigio contabile venga scelto

. . la crisi del dollaro USA, o come le scosse nella valuta degli Stati Uniti che caratterizzeranno la fine del QE2 nel secondo trimestre del 2011 saranno l'inizio di una massiccia svalutazione (circa il 30% in poche settimane).

Note:

(1) Un termine americano che indica il centro politico-amministrativo di Washington, situato nel mezzo della tangenziale locale, la Beltway.

(2) Dai severi tagli agli stanziamenti americani destinati agli aiuti esteri, alle riduzioni dei programmi sociali; organizzazioni pubbliche e interi settori della popolazione degli Stati Uniti (i latinos, i poveri, studenti, pensionati, ...) saranno severamente influenzati da ciò che è ancora solo una goccia nel mare degli adeguamenti necessari. Le manifestazioni popolari stanno cominciando con gli studenti in prima linea. Fonti: House of Resentatives, 04/13/2011; Devex, 04/11/2011; HuffingtonPost, 04/13/2011; Foxnews, 04/14/2011; Foxbusiness, 04/12/2011

(3) Il sistema bancario mondiale (Europa compresa), ancora sotto-capitalizzato e soprattutto insolvente è anche uno dei componenti di questo Gravissimo Crollo dell'autunno 2011.

(4) Nella GEAB N ° 55 la nostra squadra darà le sue anticipazioni sulla questione nucleare del mondo, utilizzando il metodo di anticipazione politica come strumento decisionale in materia.

(5) La grandezza della crisi di bilancio del Regno Unito è ben più grave di quanto stanno raccontando gli attuali dirigenti inglesi che, tuttavia, sostengono di aver detto la verità. Ci sono infatti due modi di mentire ad un popolo: negare l'esistenza di un problema (la posizione del Labourista Gordon Brown) o raccontare solo una parte della verità (chiaramente la scelta della coppia Cameron/Clegg). In entrambi i casi, il problema non viene risolto. Fonte: Telegraph, 03/26/2011

(6) E da oggi con l'istituzione definitiva di Eurolandia come principale motore europeo, in occasione del vertice europeo dell'11 marzo scorso, ai quattro paesi che non partecipano al patto di stabiilizzazione finanziaria di "Eurolandia", cioè Regno Unito, Svezia, Ungheria e Repubblica Ceca, sarà chiesto di lasciare la stanza durante le discussioni sul bilancio e le questioni finanziarie relative al patto. L'EU Observer del 29/03/2011 descrive il panico che ha assalito le delegazioni di questi quattro paesi i cui i leaders giocano a fare i teppisti di fronte ai media e nei discorsi destinati alle loro rispettive opinioni pubbliche, ma ben sanno di essere confinati in un ruolo Europeo di secondo livello.

(7) Fonte: Irish Times, 03/22/2011

(8) Molto pertinente e molto divertente da leggere l'articolo di Silvia Wadhwa, corrispondente europeo di CNBC, che prende in giro gli articoli caricaturali anti-Eurolandia e anti-tedeschi dei suoi colleghi di altri media anglo-sassoni, e giustamente fa notare che le differenze di situazioni economiche sono maggiori tra gli Stati Uniti che in Eurolandia e che i problemi del debito della Grecia o del Portogallo sono nulla in confronto a quelli di uno stato come la California. Fonte: CNBC, 04/12/2011

(9) Torneremo al caso britannico con maggiori dettagli nella GEAB N ° 55, appena un anno dopo la vittoria dei Conservatori /LiberalDemocratici.

(10) Questa protesta contro i tagli è la più grande manifestazione a Londra da oltre vent'anni ed è stata accompagnata da gravi atti di violenza contro i "simboli di ricchezza", con attacchi contro HSBC, l'Hotel Ritz e Fortnum & Mason, per esempio. Come abbiamo più volte sottolineato nel GEAB, è abbastanza significativo che questa manifestazione storica in Gran Bretagna è stata a mala pena ripresa dai titoli dei giornali ed è scomparsa 48 ore dopo. Quando alcune migliaia di greci o portoghesi dimostrano ad Atene o Lisbona, d'altra parte, abbiamo diritto ad una valanga di immagini scioccanti e commenti che descrivono tali paesi sull'orlo del caos. Questo "due pesi e due misure" non deve ingannare il lungimirante osservatore. Da un lato, ci sono gravi difficoltà che sono ora gestite all'interno di un gruppo potente, Eurolandia, dall'altro, ci sono grandi problemi che non possono più essere gestiti da un paese completamente isolato. Credi ai media o pensa con la tua testa per immaginare il resto! Fonte: Guardian, 03/26/2011

(11) Fonte: Independent, 04/03/2011

(12) Inoltre i mercati finanziari si rendono conto di questo e non credono più al marziale messaggio di austerità del governo britannico, che di nuovo innescherebbe una spirale al ribasso della sterlina britannica. Fonte: CNBC, 04/12/2011

(13) Nick Clegg è diventato il politico più odiato nel Regno Unito per aver tradito quasi tutte le sue promesse elettorali una per una. Fonte: Independent, 04/10/2011

(14) E per spingere le famiglie inglesi alla perdita di potere d'acquisto appena simile a quello dopo la I Guerra Mondiale nel 1921. Fonte: Telegraph, 04/11/2011

(15) Come gli europei hanno fatto fin dal 2010.

(16) La stima media fatta da LEAP/E2020 nel 2007/2008.

(17) Oltre ai tradizionali scambi con l'estero, il grafico qui sotto mostra l'entità della riduzione dei trasferimenti ai loro paesi di origine dei lavoratori immigrati negli Stati Uniti, a causa del calo del Dollaro USA. Questa riduzione aumenterà ulteriormente a partire dall'autunno 2011.

(18) Negli Stati Uniti oggi, la visione diabolica è la più comune tra l'opinione pubblica, a differenza del 2008, quando i funzionari della Fed sembravano essere l'ultima risorsa. Questo cambiamento psicologico, come abbiamo sottolineato, non è privo di senso e contribuisce in modo significativo a limitare il margine di manovra dei funzionari della Fed. E non è la storica sconfitta legale della Banca Centrale degli Stati Uniti, che l'ha costretta a rivelare i destinatari di centinaia di miliardi di dollari in aiuti distribuiti dopo la crisi di Wall Street del 2008, che permetterà di migliorare questa situazione, anzi. Una piccola storia, rivelata dalla rivista Rollingstone, illustra il peggioramento delle rimostranze degli americani contro i suoi banchieri centrali: i beneficiari di questo aiuto della Fed sono due mogli di figure leader di Wall Street che hanno creato un strumento di misura personalizzato che consente loro di raccogliere 200 milioni di dollari dalla Fed per acquistare titoli non riusciti ... il ricavato va a loro e le perdite alla Fed! Purtroppo, questo è solo un esempio tra i tanti che sono attualmente in circolazione in Rete e stanno ormai mandando definitivamente in frantumi il rispetto delle persone degli Stati Uniti per la sua istituzione monetaria di riferimento, una situazione esplosiva nel contesto della crisi attuale. Fonte: Rollingstone, 04/12/2011

(19) Il destino del dollaro, come dei buoni del Tesoro Usa, è ora in gran parte nelle mani degli operatori di tutto il mondo, che avranno uno sguardo molto "obiettivo" all'uscita dal QE2, imposto dalla Fed durante il secondo trimestre del 2011. Sarà il parere collettivo della Fed (già pesantemente criticato), non il modo in cui è "presentato", che sarà decisivo.

(20) Fonte: Politico, 04/04/2011

(21) Fonte: Boston Herald, 04/13/2011

(22) Fonte: Huffington Post, 04/11/2011

(23) E tanto più continuano a battere tutti i records del fabbisogno finanziario per il loro deficit, la previsione di deficit per il prossimo decennio di impegni di Obama ammonta a 9,5 trilioni di dollari. Da un lato, egli escogita politiche che aumentano il deficit, dall'altro annuncia gli obiettivi di riduzione ... poco credibile, davvero! Fonti: CNBC, 04/13/2011; Washington Post, 03/18/2011

(24) Brown è un personaggio originale degli Stati Uniti con una grande esperienza politica che in precedenza è stato governatore della California, 1975-1983, ed è stato due volte candidato alla nomination presidenziale democratica. La sua opinione sullo stato rovinoso del sistema politico degli Stati Uniti è, quindi, da non prendere alla leggera. Fonte: CBS, 04/10/2010

(25) Per coloro che trovano le descrizione azzardata, il nostro team ricorda che una delle principali cause della Guerra Civile è stata la visione inconciliabile dello Stato federale e di quello che il suo ruolo dovrebbe essere. Oggi, intorno alle questioni di bilancio, ruolo della Fed, spesa militare e spesa sociale, ancora una volta stiamo assistendo all'emergere di due visioni diametralmente opposte di ciò che lo Stato federale dovrebbe essere e cosa dovrebbe fare, con il suo corteo di crescenti blocchi istituzionali e un clima di odio tra le forze politiche. Molte descrizioni sono state pubblicate in precedenti numeri del GEAB. Fonte: Americanhistory

(26) Come si possono descrivere altrimenti persone che sono appena in grado, e a forza di ripetute crisi, di tagliare qualche decina di miliardi da un bilancio, e che improvvisamente annunciano che domani taglieranno migliaia di miliardi di dollari da questo stesso bilancio? Pazzi o bugiardi? In ogni caso irresponsabili, perché i vincoli che richiedono tali riduzioni del disavanzo, in ogni caso si stanno accumulando.

(27) Il debito pubblico mondiale è al suo punto più alto dal 1945 e, pari al 10,8% del PIL, gli Stati Uniti sono diventati il principale paese leader in termini di disavanzi pubblici. Fonti: Figaro, 04/12/2011; Bloomberg, 04/12/2011

(28) Per quanto riguarda i paesi BRIC (ora BRICS con il Sud Africa), è molto interessante notare che il loro terzo vertice, che ha avuto luogo nell'isola tropicale cinese di Hainan, sta finalmente godendo di una significativa copertura mediatica da parte dei media occidentali. Siamo stati una delle prime e poche pubblicazioni occidentali a parlare del primo vertice (a Ekaterinburg) tre anni fa e a sottolineare l'importanza dell'evento, ma fino ad ora i maggiori quotidiani internazionali persistevano nel considerare BRIC come un semplice acronimo senza grave peso geopolitico. Ovviamente le cose sono cambiate.

Inoltre, dalla Libia al dollaro, il vertice Hainan si è chiaramente posizionato come contrappeso agli Stati Uniti e ai loro sostituti (sempre meno in questo caso, visto quanto sta accadendo in Libia). Per quanto riguarda il dollaro, i BRIC hanno deciso di accelerare il processo che consente loro di utilizzare le proprie valute per il loro commercio: un altro segno che ci stiamo rapidamente avvicinando a un grave shock monetario. Fonte: CNBC, 04/14/2011

(29) Coloro che ancora credono in un miglioramento delle condizioni economiche degli Stati Uniti, al di là dell'effetto "doping" del QE2, dovrebbero soffermarsi sul morale degli SME negli Stati Uniti che hanno cominciato a diminuire in modo significativo e la finzione della ripresa dell'occupazione che subirà una drastica correzione (anche nelle statistiche ufficiali) a partire dall'estate 2011. E ci riferiamo a precedenti numeri del GEAB per quanto riguarda la crisi fiscale degli stati federati. Fonti: MarketWatch, 04/12/2012; New York Post, 04/12/2011

(30) Fonte: CNBC, 03/22/2011



I Paesi BRICS possono mitigare la crisi del dollaro?
di Alexander Salitzki - www.strategic-culture.org - 21 Aprile 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Il 10 aprile, in un’intervista con l’osservatore politico e conduttore della CNN Fareed Zakaria, l’ex Segretario di Stato James Baker, mentre parlava degli odierni cambiamenti globali, ha detto ciò che segue: “La più grande sfida che gli Stati Uniti stanno affrontando non sono le rivolte nel mondo arabo. E’ la bomba del debito.”

Ha anche osservato che senza un dollaro forte saranno destinati a diventare gli Stati Uniti di Grecia. Io credo che potremmo anche continuare con la lista dei problemi che non preoccupano gli Stati Uniti, cominciando dai diritti umani, la libertà e altre cosette ‘fondamentali’. Tutto ciò riguarda in qualche modo anche il terrorismo.

L’abbassamento avvenuto questo giovedì del rating di S&P delle obbligazioni emesse dagli USA era qualcosa di logico, anche se avvenuto con ritardo. L’emissione addizionale di titoli da parte del Tesoro dell’autunno 2010 è stata una misura disperata della Federal Reserve che ha seguito la mancanza di interesse per i titoli del Tesoro tra gli investitori.

Allo stesso tempo, potrebbe essere una buona pubblicità per le agenzie di rating e avrà una certa influenza in futuro, visto che sono inevitabili i cambiamenti del sistema valutativo nel turbinoso mondo finanziario.

Ci sono tre opzioni principali per rafforzare il dollaro.

La prima è la riduzione dei costi e l’incremento delle esportazioni (una raccomandazione tipica del FMI). Dovrà essere aggiunta anche la rilocalizzazione della produzione.

La seconda opzione è l’indebolimento delle divise e delle posizioni economiche dei paesi competitori.

La terza opzione consiste nell’usare le risorse di altri paesi per sostenere il dollaro.

Il lavoro odierno riguarda tutte e tre le opzioni. Per quanto concerne la prima, non ci sono sviluppi possibili. Per quanto riguarda la seconda, notevoli risultati sono stati raggiunti se consideriamo gli attacchi avvenuti nel corso del tempo all’Euro, allo Yen, al Rublo e in parte allo Yuan.

L’esportazione di titoli tossici era la diversione preferita da Wall Street, considerando gli ultimi anni. Se analizziamo un periodo di tempo più lungo, usando un’espressione di Jozeph Stiglitz, potremmo dire che gli Stati Uniti hanno “esportato le crisi”. È stato proprio questo il caso durante gli ultimi trent’anni di deregulation(1).

Negli ultimi sei mesi l’esportazione di «hot money» (N. d. T. ‘hot money’ è un termine che indica i fondi che vengono spostati o allocati con estrema rapidità e per durate anche brevissime, in cerca del massimo profitto) e di inflazione sono stati aggiunti a questa lista. La terza opzione per rafforzare il dollaro riguardava ovviamente il Medio Oriente e adesso anche l’Africa settentrionale e occidentale.

La comunità globale può e deve rimproverare gli Stati Uniti per la soppressione dei competitori, per l’esportazione à la Trotsky delle rivoluzioni, per aver disseminato rivolte senza senso, per aver frenato lo sviluppo sociale e economico e aver violato la sovranità di altri paesi.

Ma allo stesso tempo, considerando la causa principale – il dollaro – del comportamento distruttivo dell’«egemonia perduta» e dovremmo comunque cercare una interazione costruttiva con l’Impero del Bene(N. d. T. da intendersi con la missione salvifica degli USA nella storia) e un sistema per una sua graduale riabilitazione.

I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sono forti non perché sono moralmente integerrimi (come si fa a essere giusti nel mondo dei soldi?), ma perché sono stati in grado di ridurre l’uso della divisa statunitense, in modo graduale e in alcuni casi sostenuto. Sia Wall Street che Washington dovranno considerare con attenzione le proposte di riforma del sistema finanziario internazionale avanzate dai paesi BRICS.

E’ improbabile che avremo un’idea chiara delle correlazioni delle forze nell’economia globale confrontando il PIL dei paesi BRICS con quello dei paesi sviluppati, utilizzando l’odierno sistema delle valute.

Il risultato ottenuto in questo caso, per i primi il 18% del PIL mondiale, lo stesso per gli Stati Uniti, ammonta a un 36%, ma in Cina e in India i prezzi sono rispettivamente due o tre volte più bassi che negli Stati Uniti.

In secondo luogo, sarebbe opportuno sottrarre circa 1/3 dal PIL statunitense; negli USA il 40% di tutti i profitti vanno a arricchire il settore finanziario e una futura contrazione di questa somma è altamente probabile. Il rimanente (circa il 12%) è la quantità media ponderata delle materie prime e dei servizi esportati dagli Stati Uniti. E’ improbabile che possano costare di più.

In base alle più realistiche stime delle potenzialità economiche, il libero fluire delle risorse finanziarie verso i paesi BRICS farà semplicemente esplodere l’odierno sistema delle valute. Ma queste nazioni non ne hanno bisogno. Non hanno nessuna fretta di seppellire le loro economie, che scoppiano di salute, nella melma finanziaria che viene dall’estero.

Inoltre, l’esperienza degli Stati Uniti, che hanno perso competitività nella produzione industriale, è un avvertimento evidente. Qui possiamo vedere il paradosso della globalizzazione finanziaria: attraendo in modo selettivo gli investitori stranieri, si limita la convertibilità della loro moneta.

Come conseguenza, le richieste degli USA si indirizzano principalmente verso la Cina, da quando si vocifera di una «piena» convertibilità dello Yuan. Infatti, il dollaro non è per niente convertibile.

Nell’iniziare la riforma del sistema finanziario globale, il Fondo Monetario Internazionale ha già ammesso la necessità di regolare e limitare il flusso di hot money e un’importante disposizione è stata ratificata questo mese. Non dovremmo escludere che l’introduzione di limitazione alle circolazione di denaro nelle ‘fortezze’ finanziarie sia preferita ai default nazionali.

È ovvio che la svalutazione del dollaro, che si è generata negli anni e solo adesso è venuta alla superficie, non può comportare alcuna mossa avventata. Il settore delle valute è quello dove la pazienza e il conservativismo sono i benvenuti.
Gli Stati Uniti dovrebbero riflettere sulla crisi della propria valuta.

«Il Grande Furto» dei contribuenti americani nel tentativo di salvare Wall Street e la nazionalizzazione dei loro debiti (paragonabile, secondo Stiglitz, alle privatizzazioni di Yeltsin nell’Unione Sovietica) non è l’unica ragione della crisi.

Il crescente scontento in Europa nei riguardi di un’economia sottomessa alla finanza e i risultati ottenuti in Asia da banchieri e regolatori affidabili stanno a poco a poco formando un consenso mondiale sul bisogno di una profonda riforma del sistema finanziario globale. Quando l’interazione dei paesi BRICS nel settore delle valute diventerà più intenso, il peso degli interessi di questi paesi crescerà di conseguenza.

La via d’uscita per la crisi del dollaro probabilmente risiede nelle correlazioni tra il settore reale dell’economia e quello dell’economia virtuale negli Stati Uniti.
Sarebbe strano dubitare della capacità dei paesi dotati di grandi risorse materiali, tecnologiche e umane di elaborare una strategia economia adeguata, prendendo in considerazione la situazione dell’intero pianeta.

Il riflusso di denaro dal settore finanziario (prima che venga bruciato del tutto) nell’economia reale è possibile. Adesso potrete leggere un episodio dalla vita frenetica di Hong Kong negli anni della crisi asiatica del 1997-1998. Alcuni broker, che avevano perso quasi tutti i loro fondi, decisero di investire il resto del proprio denaro in un allevamento di maiali e sono riusciti rapidamente a fare buoni profitti, fornendo carne al catering del settore pubblico.

Mi chiedo se quelli che stanno costruendo il centro finanziario a Mosca conoscono questo episodio della storia dell’ex-colonia britannica? E i libri di Stiglitz, li avranno letti?

(1) Joseph P. Stiglitz - Freefall: America, Free Markets, and the Sinking of the World Economy. Mosca, Elmo, 2011



Peggio il rischio Fukushima o il rischio terrorismo? Il consiglio: se cercano di spaventarti, ridi! Ma quando provano a tranquillizzarti… fuggi!
di Roberto Quaglia - www.roberto.info - 21 aprile 2011

A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca.
Giulio Andreotti

Cosa distingue nel ventunesimo secolo una vera catastrofe nucleare da una ipotetica minaccia del terrorismo? Che della prima è vietato preoccuparsi, mentre della seconda è obbligatorio rabbrividire.

Ma insomma, i governanti e i media vogliono spaventarci o tranquillizzarci? Che si decidano una buona volta! Perché usano due pesi e due misure a seconda della classe di pericoli che ci minaccerebbero?

Il disastro nucleare in Giappone ci ha innanzitutto confermato una cosa che sapevamo già: i governi mentono più o meno sempre, e quando per caso non mentono è solo perché hanno deciso che la verità è loro utile oppure perché mentire non è più un’opzione.

Adesso tutto ciò è anche grottescamente ufficiale, poiché il democratico governo giapponese avrebbe dichiarato illegale la diffusione di notizie sul disastro di Fukushima che non siano in linea con la versione ufficiale. La situazione nella centrale nucleare di Fukushima è stata a lungo dipinta come un incidente di scarso impatto e sostanzialmente sotto controllo e ad un mese di distanza viene finalmente ammesso ufficialmente che si tratta invece di un disastro della magnitudo di Chernobyl.

Gli alti venti spargono iodio e cesio radioattivo per tutto l’emisfero boreale e negli Stati Uniti e in Canada già piove volentieri acqua radioattiva, a San Francisco 180 volte i limiti di legge dell’acqua potabile, e radiazioni hanno iniziato a comparire anche già nel latte. Nel mare di fronte a Fukushima la radioattività è già milioni di volte superiore ai livelli normali e l’inquinamento radioattivo è logicamente destinato a propagarsi per la catena alimentare superiore.

La reazione dell’Organizzazione Mondiale di Sanità è ripetere il mantra sedativo: rischi per la salute molto ridotti. Con qualche pennellata di surreale come la dichiarazione “rischi per la salute stabili”, una formulazione escogitata dall’OMS per tranquillizzare, ma che puzza di gran presa per il culo. Anche dentro al sarcofago del reattore di Chernobyl ci sono rischi per la salute stabili. Sono venticinque anni che non aumentano né diminuiscono!

Non mentono però solo i governi; a cascata, mentono tutti coloro che nella piramide del potere hanno interessi da difendere ed obiettivi da perseguire, spesso giornalisti compresi. La gravità della situazione è stata come al solito illustrata con largo anticipo dai media alternativi e da ricercatori indipendenti su Internet, mentre scienziati di regime (sembra anche del prestigioso MIT, sebbene la cosa appaia controversa) e pennivendoli dei grandi media hanno cercato a lungo di minimizzare le cose.

C’è da chiedersi come faccia così tanta gente a continuare imperterrita a lasciarsi sedurre dalle fonti tradizionali di informazioni ormai sistematicamente inattendibili, quando per le verità che contano i nuovi circuiti indipendenti dell’informazione su Internet sono infinitamente migliori.

Quando su Internet i media alternativi già azzeccavano le dimensioni e la gravità della catastrofe (brutti allarmisti! come si permettono!), sui mass media si assisteva ad un coro di messaggi tranquillizzanti che col senno di poi appaiono grotteschi in modo sublime. C’è chi è giunto a definire il caso Fukushima un trionfo per l’industria nucleare (ma non intendeva raccontare barzellette).

In Italia passerà alla storia l’ammasso di fesserie incautamente profferite con saccente sicumera dall’ex presidente dell’Enel Chicco Testa alla giornalista Lili Gruber e che possiamo rivederci su Youtube tutte le volte che vogliamo farci qualche grassa risata.


Fino a qui, nulla di nuovo sotto il sole. La menzogna è da tempo immemore parte integrante del nostro modo di vivere e la vera colpa non è probabilmente neppure di chi mente, bensì di chi delega a fonti più autorevoli di sé la capacità e la responsabilità di giudizio ed è sempre pronto a bersi qualsiasi balla piuttosto che fronteggiare una scomoda realtà delle cose. E che in ragione di ciò continuerà imperterrito a credere agli stessi che egli sa avergli già ripetutamente mentito in passato.

Come le mosche che cercando di uscire da una stanza continuano a battere contro il vetro della finestra senza mai imparare nulla dalla loro esperienza, così il grosso della gente continua a credere imperterrita a chi continua a mentirgli ed ogni volta si stupirà di ogni nuova menzogna, senza tuttavia imparare nulla che serva loro per non cadere nella trappola della menzogna successiva.

Detto questo, qualcuno si è chiesto come mai sulle conseguenze della catastrofe che si sta consumando nelle centrali nucleari giapponesi le autorità cerchino di tranquillizzare le popolazioni, mentre quando si tratta dei pericoli del terrorismo e delle epidemie che ancora non ci sono fanno invece di tutto per spaventare i cittadini?

E’ un atteggiamento completamente contraddittorio. Da un lato si fa di tutto per tenere i cittadini all’oscuro di pericoli reali causati da catastrofi certe, mentre dall’altro si fa di tutto per rendere i cittadini consapevoli di pericoli ipotetici connessi a catastrofi annunciate che però poi non si verificano mai.

La catastrofe nucleare di Chernobyl ha nel tempo causato otto milioni di morti secondo uno studio del 2006 riportato da Greenpeace, un milione di morti secondo un successivo studio pubblicato nel 2010 dalla New York Academy of Sciences.

Ma nel 2011, dopo il disastro nucleare in Giappone la BBC se ne esce con un tranquillizzante articolo in cui uno “scienziato” spiega che non c’è motivo di preoccuparsi delle radiazioni giapponesi, poiché dopotutto a Chernobyl sarebbero morte solo 43 persone.

Sarebbe altamente morale che un tribunale inglese comminasse adesso a questo esimio scienziato una pena che nel rispetto delle sue stesse dichiarazioni egli dovrebbe considerare un premio, e quindi accogliere con grande favore: una vacanza (obbligatoria) di una settimana ad abbronzarsi sulle ridenti spiagge di Fukushima. D’altra parte qualcuno deve pure dare il buon esempio.

Ora che la catastrofe di Fukushima è stata promossa ufficialmente al rango di quella di Chernobyl (catastrofe di livello 7, caratterizzata da dispersioni radioattive nell’ordine di almeno dieci petabecquerel (PBc), 10 milioni di miliardi di decadimenti nucleari al secondo), è logico aspettarsi purtroppo che anche il bilancio dei morti sarà in futuro di analoga magnitudo. Quindi centinaia di migliaia o anche milioni di morti.

E questo, se la catastrofe di Fukishima non si aggraverà. Nonostante i media cerchino di glissare sul tema, a Fukusima ci troviamo al momento ancora nel “best case scenario” – il migliore dei casi – ovvero il disastro è già comparabile con Chernobyl, ma questo è solo perché ci sta andando ancora bene.

Se i noccioli in fusione dovessero sprofondare fino ad una falda acquifera, allora ci cuccheremmo il “worst case scenario” – il peggiore dei casi – ovvero immense esplosioni che diffonderebbero una tale quantità di roba radioattiva nell’aria da fare rimpiangere i bei tempi di Chernobyl in tutto l’emisfero boreale. Ma di questo nessuno si deve preoccupare, neanche quelli che moriranno o si ammaleranno.

Dobbiamo invece continuare a spaventarci della terribile minaccia del terrorismo, che in dieci anni ha ucciso meno persone di quelle che muoiono in un paio di settimane di ordinario traffico stradale. Sembra follia pura, ma è ovvio che invece c’è uno schema in tutto ciò, che lascio indovinare al lettore.

Rammento solo a mo’ di esempio ai deboli di memoria le grottesche procedure di perquisizione alle quali devono sottostare ogni volta che vogliono prendere un aereo, col relativo sequestro di beni personali potenzialmente letali come bottiglie di acqua minerale, shampoo, profumi, creme per la pelle.

Altro che Iodio 131 e Cesio 137! Sono lo shampoo e l’acqua minerale che rischiano di ucciderci! Attendiamo a breve retate anche negli istituti di bellezza.

Se dopo decine di milioni di perquisizioni negli aeroporti in tutti questi anni nessun terrorista è mai stato arrestato nel tentativo di imbarcarsi armato su un aereo, lascio al lettore giudicare se è verosimile che tali terroristi in primo luogo addirittura esistano.

Non vi viene il dubbio che se esistessero, in dieci anni almeno una volta ci avrebbero provato? Ma di questi “terroristi”, che in dieci anni neppure una volta hanno provato ad imbarcarsi su un qualsiasi aereo da qualsiasi parte[1], ci viene costantemente ripetuto che dobbiamo essere terrorizzati.

Sono anni che ci stanno inoltre promettendo una pandemia che certamente farà milioni di morti, provocata da un virus che ufficialmente non esiste ancora. Promettono però anche che la natura inventerà ben presto tale virus. L’OMS ed altre autorità sanitarie garantiscono che non è una questione del “se”, ma del “quando” ciò avverrà.

Viene da chiedersi se lorsignori non abbiano un qualche rapporto privilegiato con la natura, per prevedere con tale confidenza cose del genere. In effetti, per essere certi che la natura produrrà tale letale mutazione, è stato ufficialmente dichiarato che si sta cercando di prevenire la natura anticipando la temuta mutazione in laboratorio[2], allo scopo dichiarato di poterla così combattere meglio.

Questa, beninteso, secondo loro sarebbe la notizia tranquillizzante. Il virus dell’influenza spagnola, che nel 1918 uccise decine di milioni di persone, è stato invece riportato in vita già nel 2005.

Dobbiamo quindi spaventarci a morte di fronte alle orribili minacce che la natura avrebbe in serbo per noi, mentre dobbiamo tranquillizzarci perché nei laboratori biologici militari americani si cerca di produrre le mutazioni che la natura starebbe progettando di scatenare contro di noi. Fate un po’ voi.

Governi e mass media da loro controllati fanno quindi di tutto per terrorizzarci riguardo catastrofi che non ci sono (ancora) mentre tentano (maldestramente peraltro) di non farci spaventare di fronte a catastrofi che ci sono veramente.

Qual è la loro finalità? Governi e mass media si sforzano inoltre di terrorizzarci agitando lo spauracchio di terroristi che da soli non riuscirebbero mai ad impensierirci (numeri alla mano, la probabilità di morire di un incidente d’auto o un incidente domestico è infinitamente superiore di quella di morire per mano di “terroristi”).

Quindi di fatto fanno l’esatto gioco dei “terroristi”. Se infatti il terrore è il l’ovvio fine dei “terroristi” (per questo si chiamano così), ma gli unici che all’atto pratico riescono a terrorizzare le popolazioni sono i loro governi e i mass media – chi sono in effetti, concretamente, i terroristi? E quali sono le loro nascoste finalità?

Ai lettori più smaliziati le risposte saranno già ovvie, ma le domande sono in realtà rivolte a tutti quei cittadini che invece ancora nutrono ancora qualche fiducia nelle informazioni che ricevono dalle “fonti autorevoli” – i politici che essi votano, i telegiornali che essi guardano ed i giornali che essi leggono.

A parole tutti conveniamo sul fatto che “i politici mentono” e che “i giornalisti non sempre dicono la verità”, tanto che questi sono ormai luoghi comuni. Ma all’atto pratico, tanto è il bisogno di “credere” che poi quasi tutti ci ricascano. La relazione cittadini-governanti si fonda sul modello comportamentale bambini-genitori. Questo spiega il continuo sconclusionato mugugnare dei bambini-cittadini nei confronti dei genitori-governanti, senza che tuttavia il vincolo di sudditanza venga mai meno.

E così nulla cambia. Se fate parte della categoria dei lettori smaliziati, in effetti quest’articolo vi servirà a ben poco. Potete però suggerirne la lettura ai vostri conoscenti meno smaliziati, arenati nel triste e popolare ruolo di bambini-cittadini. Magari qualcuno di essi apre gli occhi.

A furia di suonare a tutto volume la sveglia, ogni tanto qualcuno che bofonchiando emerge dal proprio sonno dogmatico per fortuna c’è. Sono pochi. Ma buoni. Beh, quasi buoni. Dopo una breve e orgogliosa veglia buona parte di essi tuttavia volentieri si rigira nel letto, riaccende la tivù e riprende a dormire.

Ricapitolando:

Qual è il principio in base al quale governi ed autorità decidono se tu – sì, tu che leggi – ti devi tranquillizzare oppure spaventare? Come puoi fare a capirlo per poterti poi ogni volta comportare nel modo a te più conveniente?

Il sistema migliore sarebbe ovviamente l’uso efficiente e critico del proprio pensiero logico. Ma quando per carenza di dati o altro questo non basta, nel dubbio il criterio da adottare che con tutta probabilità produrrà il minor numero di errori è quello di credere esattamente il contrario di quanto le “fonti autorevoli” ti vogliono far credere.

Ovviamente così si rischia di cadere nell’errore opposto, quello che genera l’oltranzismo “complottista” (che può anche portare a credere di essere stati invasi – o invasati – dagli UFO o cose di analoga inverosimiglianza), ma nell’insieme ritengo che il bilancio sarebbe tutto sommato favorevole. Chi si informa solo con i tradizionali mass media ormai vive in un tale mondo di fantasia, che qualsiasi alternativa è probabilmente più realistica.

Quindi possiamo concludere con un consiglio semplice.

Se cercano di spaventarti evocando lo spettro di Osama (da non confondersi con lo spettro di Obama, che NON A CASO differisce da quello di Osama per una consonante soltanto) – allora ridi! Sei su Scherzi a Parte!

Ma quando provano a tranquillizzarti e ti dicono che non c’è nulla da temere… allora è probabilmente venuto il tempo di fuggire.


P.S. Per evadere completamente dal mondo delle favole mi permetto di insistere a consigliare il mio libro ­­­Il Mito dell’11 Settembre (the Myth of September 11), del quale in molti parlano (a favore o a sfavore) senza neppure averlo letto.

Altre notizie inconsuete su www.Edicola.biz

[1] Ci sono stati in effetti un paio di casi di minorati mentali imbarcatisi su aerei con pseudo-esplosivo nelle scarpe o nelle mutande, i quali sono poi stati arrestati a bordo con grande clamore mediatico. Una semplice analisi ha però evidenziato come si trattasse di grottesche montature, allestite per sostenere il mito del terrorismo sugli aerei. Potete leggere i dettagli nel mio libro “il Mito dell’11Settembre”.

[2] Washington Times, 24 Marzo 2005


Europa 2011. Che fare?
di Franco Cardini - www.francocardini.net - 19 Aprile 2011

Europa, aprile 2011. Le elezioni finlandesi potrebbero essere la pietra tombale sull’Unione Europea. La maggioranza dei finnici non vuol sapere di portare una parte del peso che dovrebbe servir a dar una mano a quei terroni dei portoghesi. Figurarsi che cosa si pensa, nel paese di Aalto e di Sibelius, di quegli altri terroni degli spagnoli, dei greci, degli italiani, anch’essi in difficoltà.

Frattanto irlandesi, islandesi e svedesi danno a loro volta sfogo al loro malumore. I tedeschi, dal canto loro, mandano a dire di non aver alcuna voglia di accollarsi una parte del peso e dei costi per i tunisini che arrivano in Italia: e ricordano, poco generosamente ma molto realisticamente, che quando furono sommersi dai kosovari dovettero cavarsela da soli.

Non si parli dei francesi: Sarkozy fa la voce grossa con l’Italia e arriva a bloccare i treni di Ventimiglia un po’ perché questo è in effetti quel che pensa, un po’ perché è seccato di essersi lasciato scappar l’occasione di gestire da Parigi la crisi dell’ex-colonia tunisina (mentre è riuscito a meraviglia a bloccare la protesta algerina, soffocata difatti senza che nessuno in Europa osi parlarne), un po’ perché è tallonato da vicino e ormai di fatto nelle mani di madame Le Pen, czarina del Front National e molto più in gamba come politica di suo padre. Dire che la Le Pen è un’euroscettica sarebbe un maldestro eufemismo: ormai, siamo ben al di là. Ma anche Sarkozy è euroscettico, e la maggioranza dei francesi lo è.

D’altro canto, la diplomazia italiana che agita inviperita i protocolli di Schengen ha molto meno ragione di come potrebbe sembrare. In effetti, il nostro ministro degli Interni ha disposto di rilasciare ai poveracci che arrivano via mare a Lampedusa, rifugiati o migranti che siano (quale il loro status?), dei “permessi provvisori di soggiorno”: per avviarli poi dove? Per rimpatriarli nei loro paesi d’origine? Su questo, gli accordi assunti con il governo tunisino – del quale non si sa quasi nulla: a cominciare dalla sua effettiva esistenza – non sono per nulla chiari, anzi non esistono.

Ed è evidente che, con quei permessi, i loro titolari non varcheranno le frontiere di alcun altro paese europeo, dal momento che l’Italia non è risucita a farne riconoscere la validità dai suoi partners.

E così, mentre noi continuiamo a baloccarci con i processi di Berlusconi, verrebbe da chiedersi se per caso non sarebbe bene che il ministro degli Interni e quello degli Esteri si scambiassero qualche idea sulla linea politica da seguire: magari tenendo conto che esiste un’Unione Europea.

Ma esiste, se davvero può far finta di non rilevare l’esistenza di un problema come quello costituito dai migranti-rifugiati?

E allora, quel che in tutto questo ridicolo psicodramma emerge con chiarezza è una cosa sola. E va detta chiara. E va detta tutta. L’Europa non c’è. Gli euroscettici, che poi sono degli antieuropeisti, hanno vinto: almeno per ora. Resta da capire se, pessimisticamente, l’Europa non c’e più; oppure se, ottimisticamente, non c’è ancora.

Quella che non c'è più è l’Europa che sembrava nata nel 1958 con il Parlamento Europeo: e che invece era un mostriciattolo combinato mettendo insieme gli obiettivi della NATO (subordinare qualunque forza militare europea agli alti comandi e ai programmi statunitensi, come si vide dai trattati di Parigi del ’54) e quelli della Comunità Economica Europea messa a punto coi trattati di Roma del ’57.

Il risultato, con il Parlamento europeo dell’anno seguente – 143 membri eletti dai parlamenti nazionali – era quello di dirigere l’economia del continente ma di non toccare le cosiddette “sovranità nazionali” di ciascuno stato, che dovevano rimanere intatte in modo da venir meglio sottoposte al divide et impera di Washington.

Solo De Gaulle si accorse sul serio che qualcosa non andava: non stette al gioco e cercò di persuadere anche Adenauer che era necessario un diverso disegno unitario, che il Mercato Comune Europeo così com’era stato prospettato non andava, che la Gran Bretagna andava lasciata fuori dall’Unione.

Le cose andarono diversamente. Non abbiamo fatto l’Europa: con l’euro, abbiamo fatto l’Eurolandia, l’area di circolazione della nuova moneta unica. L’Unione Europea, frattanto, è maturata con i suoi elefantiaci e costosissimi organi comunitari, ma è restata un’unione degli stati e dei governi, non dei popoli. Massima, dirigistica e oppressiva unione economica e finanziaria; debole unione giuridica; illusoria ed eterodiretta unione militare; illusoria unione anche culturale.

Molti Erasmus, ma nulla che incidesse davvero sulla preparazione delle giovani generazioni: la prova più plateale di tutto ciò è che non si e mai sentito il bisogno di una scuola primaria e secondaria dotata di un minimo di tratto comune; che non si sia mai insegnato ai bambini e ai ragazzi europei una storia comune europea.

Ora, qualunque fine facciano le fatiscenti e costosissime infrastrutture burocratiche di Strasburgo e di Bruxelles, una cosa è certa. Quest’Europa costruita a partire dal tetto anziché dalle fondamenta non c’è più. E quella che non c’è ancora?

Bisogna ripartire da zero. Dalla costruzione delle fondamenta: che sono un patriottismo europeo, un senso identitario europeo. Le basi per far tutto ciò, nel 1945 c’erano. Furono sacrificate alla logica della guerra Fredda. E adesso?


Il nuovo volto di Cuba
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 21 Aprile 2011

Lo si può obiettivamente definire un Congresso straordinario quello che ha appena celebrato il Partito Comunista di Cuba.

Straordinario perché straordinarie sono le misure che ha adottato e straordinario perché ha raccolto una sfida per il futuro che, piaccia o no, lontano dalle letture stereotipate e ignoranti che la stampa italiana propone, prefigura un’evoluzione autentica, profonda, del sistema socialista.

Magari non sarà di moda, non catturerà gli elogi delle major della comunicazione, ma raccoglie e valorizza le istanze popolari del Paese: che, alla fine, è quello che conta.

Il Congresso si è tenuto in concomitanza con il 50esimo anniversario della fallita invasione mercenaria alla Baia dei porci e, forse, non poteva esserci data più simbolica per indicare una nuova fase.

Cinquant’anni fa la resistenza popolare che ricacciò in mare i mercenari aprì la strada al carattere socialista della Rivoluzione e oggi, le misure adottate, sembrano voler ratificare per il futuro la medesima scelta.

L’indicazione che viene da questa terza fase della vita della Rivoluzione cubana è che si negoziano politiche e forme dell’organizzazione sociale, non i princìpi. Il disegno del nuovo corso cubano risiede fondamentalmente nell’adeguamento del progetto economico e sociale della Rivoluzione alle condizioni generali internazionali e interne.

Proiettare il socialismo dalla storia passata e presente a quella futura è la scommessa e cambiare il modello per rafforzare il sistema è il modo di vincerla.

Il preambolo del progetto è, infatti, la sua stessa sostanza: il sistema socialista si evolve per vincere. Si deve cambiare il modello per rivitalizzare il sistema e si deve mantenere il sistema per far vivere Cuba.

Il piano di riassetto economico dell’isola era stato ampiamente esposto dal documento che convocava il Congresso. Ne avevamo già scritto su Altrenotizie al momento della sua diffusione (http://www.altrenotizie.org/esteri/3595-cuba-socialismo-del-terzo-millennio.html).

Averlo sottoposto al giudizio popolare in lungo e largo del Paese per cinque mesi ha prodotto diverse modifiche al testo originario, ma la sostanza dell’operazione politica è stata confermata. E qui, davvero, non si può non cogliere un elemento di merito sul piano della democrazia reale: sarebbe interessante verificare in quali dei paesi che si autocelebrano democratici (e magari accusano Cuba di non esserlo) i piani di riforme economiche sono sottoposti al vincolante vaglio popolare.

Questa è l’essenza delle riforme approvate e, in questo senso, esse aprono la strada al cambiamento compatibile. Compatibile, sì, perché sono riforme che partono non da teorie economiche astratte, ma che si misurano con la situazione concreta del Paese.

Nascono dall’individuazione dei bisogni e anche dei limiti sin qui palesati; si proiettano sull’esigenza di crescita interna in base alle necessità e alle possibilità concrete. Non hanno riferimenti dottrinari, dal deciso sapore teologico, sbertucciati da teorie universitarie; non obbediscono cioè ai modelli predefiniti - imperanti quanto fallimentari - ma, sfida nella sfida, propongono una “via cubana” per l’economia di Cuba.

Un modello adatto all’isola, cucito su misura delle esigenze interne, perché quello vigente è incompatibile con il quadro generale. Si vuole superare un’identità dogmatica - e in ultima analisi inefficace - che persisteva a dispetto delle profonde modificazioni nella realtà nella quale vive. Cuba ha scelto di adeguare e non di cancellare, di riformare e non di abdicare, di evolversi e non di cristallizzarsi.

La riforma del mercato del lavoro è certamente il fatto nuovo, che rompe schemi consolidati e apre scenari diversi da quelli ipotizzati fino a pochi anni orsono e determina comunque la necessità di formare diverse generazioni di cubani a un nuovo modello di sviluppo.

L’intenzione chiara è quella di far funzionare ciò che non funziona, giacché l’inefficienza e la disorganizzazione diventano insopportabili in un’economia già prostrata dal blocco economico statunitense lungo più di cinquant’anni e che ha rappresentato l’impossibilità per Cuba di programmare la sua economia come qualunque altro paese del mondo.

L’economia pianificata e i rigidi piani quinquennali cedono ora progressivamente il posto a un’idea dinamica e d’aggiornamento costante del processo di crescita economica. Agricoltura, edilizia, trasporti, falegnameria, servizi generali alla cittadinanza e al turismo, sono le aree dove maggiormente verranno indirizzati gli sforzi di modernizzazione e trasformazione.

Apertura alle piccole imprese, preferibilmente su base cooperativa ma non solo; cessione di sovranità dall’alto verso il basso nella regolamentazione della legge della domanda e dell’offerta, nell’obiettivo di ridisegnare la mappa dei bisogni della popolazione e del loro soddisfacimento; abolizione sostanziale del valore assistenziale del salario per trasformarlo in elemento di valore concreto rispetto all’opera sostenuta ed al valore sociale che essa rappresenta.

I passi sono diversi e gradualmente verranno effettuati. La restituzione della terra ai privati si prevede che impiegherà 130.000 nuovi contadini e saranno quasi 200.000 le licenze di commercio destinate alle piccole aziende, dove verranno allocati i circa 2 milioni di lavoratori (su un totale di 5) che usciranno dal settore pubblico per entrare in quello privato.

Oltre a ciò, l’emersione legale delle attività fino a ieri svolte illegalmente, eliminerà il mercato parallelo esistente, dove tanto per le prestazioni come per i materiali si trova tutto quello che ufficialmente non c’è e che, alterando in profondità il dato ufficiale, produce ricadute fortemente negative per la pianificazione l’organizzazione del mercato interno.

L’obiettivo finale è ridurre al minimo la distanza tra domanda di beni e servizi alla cittadinanza e la loro offerta.

Dallo sviluppo del settore privato, che si prevede possa portare al 40% del Pil nei prossimi cinque anni, giungeranno sia i risparmi derivanti dalla minore inefficienza, sia le risorse (sotto forma d’imposte) che verranno utilizzate per il mantenimento dello stato sociale, già di per se alleggerito dalla progressiva eliminazione delle forme generalizzate di sussidi che, pure se insufficienti, rappresentano comunque un macigno per l’economia del Paese.

La caratteristica storica principale del sistema cubano è stata, infatti, quella di riuscire a sostenere un livello di welfare state senza uguali al mondo.

Al mantenimento di questo sono state dedicate risorse infinite e per questo sono state affrontate e sostenute difficoltà crescenti, nel convincimento che l’egualitarismo dovesse essere il tratto identitario del modello.

Da oggi, alla luce dell’impossibilità di continuare a sostenere economicamente quel modello, ma nella volontà decisa di mantenere il sistema, si cambia.

La via scelta è quella della trasformazione di un’economia rigidamente ed esclusivamente statale, in un’economia mista (pubblica e privata) che generi il gettito fiscale per la copertura del welfare.

Verrà aperta la strada ai capitali privati dall’estero, fondamentali per finanziare l’aggiornamento tecnologico e delle infrastrutture necessario a recuperare quote di produzione, tanto per l’export come per il consumo interno.

Sarà lecito il profitto e la tassazione dello stesso, che servirà a dotare la fiscalità generale delle risorse finanziarie di cui ha bisogno per la gestione ordinaria e straordinaria del Paese.

Dove si potrà e dove si vorrà, i dipendenti di ieri potranno essere i soci di domani. Uguali opportunità e uguali diritti; valore del lavoro e quindi del salario sono i nuovi parametri di un’organizzazione sociale capace di proiettare il paese verso la stabilità economica. E questa che, insieme alla sovranità politica, garantisce l’indipendenza e lo sviluppo, sinonimi veri dell’uguaglianza tra tutti i cubani.

La riorganizzazione della società cubana è un altro dei passi verso una nuova Cuba. L’elemento “politico” più importante sembra quindi essere quello del ristabilimento dei ruoli nella società cubana.

Si tratta di una trasformazione determinante, anche sotto l’aspetto della battaglia contro l’inefficienza e la corruzione, che sposta l’asse dell’equilibrio della società cubana su parametri diversi, ridisegnando la mappa delle forze sociali che agiscono nel tessuto del Paese.

La nuova articolazione delle forze sociali sull’isola sarà motore e misura del cambiamento. Le diverse componenti sulle quali si articola la società cubana avranno compiti diversi perché diverse sono le ragioni sociali su cui si fondano e avranno ruoli diversi perché diversi saranno i campi nei quali si cimenteranno.

Quando Raul afferma che “bisogna togliere al partito le funzioni che non gli competono”, si capisce che la sovrapposizione e la mescolanza tra Partito e Stato é destinata a essere superata da una divisione chiara per ruoli diversi.

Il partito, infatti, perno centrale della direzione politica, viene sollevato dalla direzione della gestione amministrativa. Pur mantenendo il suo ruolo di collante sociale e politico, di luogo di elaborazione d’idee e proposte che però, sotto il profilo della gestione economica e amministrativa, sarà lo Stato a dover gestire.

In simultanea con la progressiva riduzione del peso del partito nella gestione amministrativa, emerge con evidenza il ruolo delle Forze Armate, che dall’inizio degli anni ’90 sono impegnate seriamente anche nelle attività economiche.

Analisti improvvisati da un tanto al chilo, ritengono che in questo risieda la prova di un riassetto dei poteri funzionale al nuovo gruppo dirigente che ha nei militari il nuovo fulcro.

Ma una simile lettura è come minimo superficiale, legata a un’interpretazione politicista e tutta avvitata sulle suggestioni eurocentriche dell’organizzazione sociopolitica.

E’ invece opinione diffusa, a Cuba, che siano proprio quelle gestite dalle FAR le attività economiche più efficienti. Del resto é questa una caratteristica peculiare di Cuba, che anche qui si rivela Paese assolutamente diverso dagli altri.

E risulta chiaro come la difesa dell’indipendenza, della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale di Cuba passi anche dalla sua capacità di far evolvere la sua economia; l’indipendenza politica non è sufficiente se non c’è quella economica.

Difendere il Paese dalle aggressioni esterne, quindi, deve accompagnarsi anche con la difesa del suo modello sociale ed economico dall’erosione costante, che potrebbe altrimenti generare fenomeni d’implosione interna non meno minacciosi dell’aggressione imperiale a stelle e strisce.

E’ qui che va collocata la nuova centralità delle FAR nel processo di rilancio dell’economia. Il recupero della capacità produttiva si fonda su una diversa organizzazione del mercato del lavoro e Cuba dovrà tornare a produrre per poter di nuovo esportare.

Ma non potrebbe determinarsi una battaglia vincente contro l’assenza di disciplina lavorativa e per la gestione efficace delle risorse se l’interprete migliore di queste dinamiche fosse confinata nel suo esclusivo ruolo istituzionale.

Sprechi, inefficienze e abusi possono essere fortemente ridotti proprio attraverso politiche premianti e calibrate sulle necessità del consumo interno oltre che da una disciplina maggiore. Le inefficienze e gli abusi, infatti, prosperano nell’illegalità, che dapprima trasforma i diritti in privilegi e poi i privilegi in diritti acquisiti.

L’egualitarismo assoluto, icona ideologica dell’apparenza, può diventare sostanza proprio nello smascheramento della diseguaglianza intrinseca e la denuncia della sua insopportabilità é condizione primaria per affermare l’uguaglianza nei fatti. I diritti sono collettivi, le responsabilità sono (anche) personali. Non più il livellamento salariale al netto di qualunque differenza nella responsabilità sociale dell’impiego; non più la garanzia di uno stipendio a prescindere dallo svolgimento delle mansioni per le quali quello stipendio si riceve.

Le politiche salariali premianti saranno la base concettuale sulla quale restituire efficienza e disciplina lavorativa. Lo Stato dovrà riprogrammare quanto e cosa produrre e, quindi, la forza lavoro necessaria allo scopo. Affidare ai privati la produzione dei servizi destinati al consumo interno è un’utile primo passo verso la modernizzazione del Paese in un contesto di rinnovamento senza abiure.

Per chi quindi si affretta a dipingere la fine del socialismo, nascondendo nelle righe la sua personale aspirazione e per chi (dalla parte talmente opposta che finisce per congiungersi alla precedente) inorridisce di fronte al cambiamento che minerebbe l’essenza socialista dell’isola, si prevedono delusioni a raffica.

L’aspetto più netto della nuova identità socialista di Cuba è quello d’identificare l’esercizio della democrazia con un sistema valoriale che propone uguali diritti, uguali doveri e uguali responsabilità.

Che traccia il cammino collettivo intendendo la società non più come somma numerica d’individui forzatamente uguali e nella sostanza diversi, ma come dimensione armonica delle diverse individualità che nello sforzo comune diventa sostanziale uguaglianza, garantendo ognuno per garantire tutti e non più tutto a tutti a prescindere dal contributo di ognuno verso il bene comune.

Il nuovo obiettivo è raggiungere gli obiettivi. La nuova dottrina è l’abolizione delle dottrine. La riforma del modello sarà la base del rafforzamento del suo sistema. E’ un vento nuovo dal sapore antico quello che soffia sul Malecon. Il socialismo è entrato nel terzo millennio e, stando a ciò che si vede, non ha alcuna intenzione di uscirne.


Cuba, la Rinascita della Rivoluzione
da Peacereporter - 19 Aprile 2011

Nuovo impuso socio-economico per la rivoluzione socialista dei Castro

Se credevamo che la Rivoluzione cubana fosse terminata con la vittoria dei barbudos di Fidel Castro ci siamo sbagliati: lì è partita e per lungo tempo è andata evolvendosi. Così come siamo caduti in errore allorché abbiamo pensato che la malattia che aveva colpito il Lider Maximo nel 2006, potesse dare la spallata finale a Cuba, alla sua politica, alla sua economia e ai sogni di un socialismo realizzabile con il sorriso sulle labbra.

Ma la Rivoluzione continua, cambia, si evolve e diventa più moderna stando più al passo con i tempi. Il IV Congresso del Partito comunista cubano, infatti ha dato il via libera alle riforme economiche e sociali fortemente volute da Raul Castro. Non solo.

Ieri, in via definitiva il Lider Maximo Fidel non ha più alcun incarico di partito. Era stato lo stesso Fidel a chiederlo. "Credo di aver ricevuto abbastanza onori. Non avevo mai pensato di vivere così a lungo, i nemici hanno fatto il possibile per impedirlo, hanno cercato di eliminarmi innumerevoli volte e spesso ho 'collaborato' con loro " ha scritto Fidel nel suo ultimo articolo.

Intanto il partito si è espresso,. "La politica economica seguirà il principio che solo il socialismo può vincere le difficoltà e preservare le conquiste della rivoluzione e che nell'aggiornamento del modello economico predominerà la pianificazione, la quale terrà conto delle tendenze di mercato" si legge nella dichiarazione finale approvata dal Congresso.

Cuba è, e resterà socialista, su questo non ci sono dubbi. L'ha confermato anche Raul che ha detto che "resterà la forma principale nell'economia nazionale" ma per trasformare e sviluppare l'economia nazionale riconoscerà "investimenti stranieri, cooperative, piccoli contadini e lavoratori autonomi".

Confermata dal Congresso la progressiva eliminazione della tessera di razionamento. Soddisfazione per le recenti decisioni è stata espressa dai contadini: oltre 130mila di loro, infatti, hanno ricevuto appezzamenti da coltivare.

Più di 170mila sono state le licenze concesse per l'apertura di piccole imprese e prima di cinque anni, secondo i calcoli e le speranze cubane, oltre 1.8 milioni di cittadini saranno impiegati nel settore privato.

Ed è proprio questa la vera novità della grande riforma di Raul:snellire il settore pubblico appesantito da enormi esuberi di personale.

Infine, ma non per ultima cosa, la decisione di Fidel Castro di abbandonare ufficialmente ogni carica pubblica e dalla sua casa all'Havana si è fatto immortalare mentre votava per i candidati del nuovo comitato centrale del Partito comunista cubano. "Ho letto le biografie dei candidati a membro del comitato che sono stati proposti. Sono persone eccellenti", ha commentato l'ex Comandante in capo.


Referendum: l'imputatto ha paura
di Cinzia Frassi - Altrenotizie - 20 Aprile 2011

La maggioranza al Senato ha approvato l’emendamento che abroga le norme necessarie alla realizzazione di centrali nucleari sul territorio nazionale. “I cittadini sarebbero stati chiamati a scegliere fra poche settimane fra un programma di fatto superato o una rinuncia definitiva sull'onda d'emozione assolutamente legittima ma senza motivi di chiarezza”.

E’ con queste parole che il ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, intervenendo al Senato nella discussione sul decreto omnibus, spiega la decisione di inserire un emendamento, approvato con 133 si, 104 no e 14 astenuti ieri pomeriggio, cui si mette temporaneamente in soffitta la localizzazione e la realizzazione di nuove centrali nucleari.

Quello che solo pochi giorni fa era un’emergenza del paese, nonché sinonimo di sicurezza, innovazione e modernità - il nucleare appunto - oggi è “un programma di fatto superato”. Il ministro sostiene anche che una vittoria degli antinuclearisti poteva tradursi nell’esclusione “dell'Italia dalla possibilità di intervenire con autorevolezza nel dibattito europeo sull'evoluzione della strategia per l'atomo”.

E’quindi il governo a decidere cosa sia chiaro o meno per i cittadini e cosa non è giusto fare sull’onda emotiva post Fukushima. Democratico no? Va da se che il nocciolo della questione non è il nucleare. Cosa poteva fare il caimano per evitare l’unica sfida che poteva vederlo sconfitto alle urne? Perché sarebbe il prossimo appuntamento referendario, a tradursi in una un sconfitta “elettorale”.

I sondaggi parlavano chiaro nei giorni scorsi e delineavano uno scenario vicino al plebiscito contro il capo del Governo grazie all’effetto Fukushima. Le percentuali, infatti, sono pesanti: secondo il recente sondaggio Ipsos i cittadini contrari alla costruzione di centrali arriva al 78%, tra gli elettori del Pd addirittura al 90% mentre si attesta al 66% tra quelli dello stesso Pdl.

Ma questo effetto, che per tutti si traduce in una maggiore propensione al voto referendario per dire “No” al ritorno del nucleare in Italia, per il presidente del Consiglio significa la possibilità che il quesito referendario per l’abrogazione di quel che rimane del legittimo impedimento raggiunga il quorum. E’ la politica del governo tutto: i processi di Berlusconi.

Che fare? Bisogna correre subito ai ripari. Così, dopo la moratoria di un mese fa circa, relativa alla sospensione della localizzazione delle quattro centrali in previsione nella politica energetica del governo, ecco che si pensa ad un colpo gobbo.

Perché la moratoria non basta e se ne sono resi conto. Ci voleva qualcosa di più efficace, come per esempio vanificare il referendum. Non si voleva rischiare. Il trucco di fissare le date dei referendum a giugno spendendo milioni di euro, che si potevano risparmiare votando con le amministrative di maggio, poteva non bastare.

E’ troppo importante quel quesito sul legittimo impedimento. I cittadini avrebbero potuto votare per abrogarlo, nel convincimento che la legge è uguale per tutti, anche per il presidente del Consiglio.

E questo non va bene. L’imputato B. non può permettersi di non incassare sul legittimo impedimento, proprio no. Intanto le associazioni e i comitati promotori insorgono, segnalando come questo sia un modo per il governo di indurre i cittadini a disertare le urne.

A dare manforte alle argomentazioni del ministro Romani, il ministro Tremonti alla commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo ha argomentato contro il nucleare facendo proprie quelle critiche che fino a poche ore fa provenivano proprio dalle opposizioni: "E’ stata fatta davvero una contabilità del nucleare?

Sono stati contabilizzati i costi del decommissioning (lo smantellamento delle centrali)? Esiste il calcolo del rischio radioattivo? La proposta di Tremonti alla Commissione consiste in un Piano europeo per la ricerca di energie da fonti rinnovabili, finanziato anche dagli Eurobond, che tanto gli piacciono.

Il segretario del Pd Bersani invece etichetta il dietro front del governo come “una vittoria nostra” aggiungendo che semmai non basta l’addio al nucleare ma è necessario “aiutare lo sviluppo delle rinnovabili”.

Chi più tuona contro il colpo gobbo del governo è Antonio Di Pietro, che ha dichiarato in proposito: “Il governo tenta con un colpo di mano per truffare gli italiani”. L'emendamento che è stato presentato, secondo Di Pietro, “non abroga l'impostazione nucleare ma posticipa solamente la localizzazione degli impianti".

Anche per il Presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, è chiaro che il governo non ha cambiato idea, “è un trucco per far saltare il quorum ai referendum e poi ripresentare in un secondo momento il decreto per le centrali".

E’ quello che in effetti si desume dallo stesso emendamento che finalizza la temporanea sospensione per “acquisire ulteriori evidenze scientifiche sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea”.

Ora la palla passa all’Ufficio centrale della Cassazione, che deve decidere se l’emendamento assorba totalmente il contenuto del quesito referendario. Il presidente emerito della Consulta, Piero Alberto Capotosti, chiarisce infatti che la Suprema Corte dovrà appunto stabilire se l'abrogazione delle norme sulla realizzazione di nuove centrali sia “sufficiente nel senso richiesto dai promotori del referendum”.

Del resto, come si può facilmente capire dalla sua lettura, il quesito referendario è piuttosto articolato (http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_2011_in_Italia) e saremmo davvero nella periferia del diritto qualora una boutade del governo potesse decidere sull’effettività di una garanzia costituzionale come il referendum.


Cosa c'è dietro lo stop al nucleare. Acqua pubblica ai francesi e legittimo impedimento
di Giovanni Mistero - www.agoravox.it - 20 Aprile 2011

La notizia è giunta in redazione ieri: il Governo aveva deciso di dismettere il programma nucleare. Fonti interne ci hanno chiarito lo scenario e le ragioni di questa scelta che vedono un accordo Parigi Roma che da una parte toglie la costruzione delle centrali ad AREVA e dall'altra affida la gestione dell'acqua pubblica a VEOLIA.

Nucleare in Italia: il Governo decide di soprassedere sul programma nucleare, lo fa inserendo una moratoria nel decreto legge omnibus, all'esame dell'aula del Senato, che prevede l'abrogazione di tutto l'impianto normativo che attiene la realizzazione di impianti nucleari nel Paese.

L'emendamente recita: "Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche mediante il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare".

Ad abbracciare la linea Berlusconi in persona, da sempre scettico nei confronti del programma atomico ma schiacciato dalla lobby nucleare. Sebbene alcune voci leghino questa scelta ad un sondaggio realizzato la scorsa settimana che avrebbe dato al 54% la percentuale di italiani intenzionati a recarsi alle urne il 12 e 13 giugno (quindi oltre il quorum) le ragioni sono più ampie.

Prima di prendere questa decisione il Governo ha intavolato accordi con la Francia per dare una "contropartita" alla perdita economica che ne sarebbe derivata. Raggiunta l'intesa, stamane, AREVA - il colosso mondiale francese del nucleare che si sarebbe dovuto occupare della costruzione delle nostri centrali - ha iniziato la dismissione dei suoi uffici romani.

Il Governo era ben cosciente che il raggiungimento del quorum avrebbe comportato la bocciatura non solo della legge sul Nucleare ma anche quelle sul Legittimo Impedimento e sulla Privatizzazione dell'acqua.

E' stato proprio su quest'ultimo punto che è nata la contropartita da offrire oltralpe, attraverso un patto che sposta gli interessi economici dal nucleare all'acqua e dovrebbe garantire a VEOLIA una consistente presenza nel suo processo di privatizzazione (l'azienda francese è uno dei leader mondiali nel settore della gestione urbana degli acquedotti, dei rifiuti e dei trasporti).

I mediatori italiani hanno dovuto fare una vera e propria corsa contro il tempo per cercare di giungere ad un accordo che soddisfacesse Parigi e che potesse essere ratificato già il 23 Aprile, giorno dell'incontro tra Berlusconi e Sarkozy.

Il Governo ha, così, trovato il modo di liberarsi di un referendum chiave che rappresentava, dopo Fukushima, il vero motore della votazione e l'elemento che avrebbe portato i cittadini alle urne.

In un colpo solo si è disinnescata una possibile bomba elettorale in mano alle opposizioni (il pericolo nucleare), si è portato a casa il Legittimo impedimento e si è continuato il processo di privatizzazione dell'acqua pubblica.

La controversia, poi, lascia ancora margini di manovra a futuri colpi di mano "nucleari" poiché l'emendamento di oggi in Senato elimina l'obbligo della stesura dei decreti legislativi di applicazione sul nucleare.

Ma i decreti approvati finora non decadono, così come la legge numero 133/08 che dà il via alle centrali. E' uno stop, non una abrogazione mentre il referendum avrebbe abrogato la legge.


Verso i piani di adattamento climatico: lezioni da Fukushima
di Pino Cabras - Megachip - 20 Aprile 2011

Dopo il terremoto dell’11 marzo 2011, lo tsunami e le esplosioni alla centrale atomica di Fukushima, siamo nel mezzo di una crisi gravissima e non sappiamo come andrà a finire.

Come dice il negoziatore UE per i cambiamenti climatici “We haven’t seen the end of what is going to happen in Fukushima…So certainly it is something that has an impact on climate negotiations”.

Rappresenterà la fine dell’energia atomica nel mondo o un ripensamento sulle sue caratteristiche di sicurezza?

Segnerà una svolta in un paese cardine dell’ordine economico mondiale? Sarà causa di sconfitta elettorale dei partiti pro-atomici?

O invece qualcuno lo considererà solo un incidente di percorso, che avrà dimostrato la grande efficienza e competenza degli operatori del settore e delle Agenzie per la sicurezza nucleare?

Al momento non possiamo contare sul senno di poi: ci troviamo in mezzo alla corrente. Proprio come di fronte ai cambiamenti climatici. Essi non hanno un “punto terminale” ma saranno una successione ad ondate, come quella che or ora ci sommerge.

I piani che Stati, regioni ed enti locali dovranno approntare per far fronte all’impatto dei cambiamenti climatici e quindi adattare i requisiti costruttivi, le infrastrutture, le dotazioni territoriali, le norme di sicurezza, emergenza ed evacuazione nonché più in generale adattare leggi, tassazione, spesa pubblica e comportamenti dovranno tener conto di molte cose, tra cui, ci sembra, le seguenti cinque lezioni da trarre dall’insieme degli accadimenti giapponesi.

La prima cosa che vorremmo non si dimenticasse di questa tragedia è che un evento estremo è accaduto. A chi pensa solo in termini di medie, a chi modera per principio, a chi si fida della regolarità delle serie storiche disponibili, dobbiamo dire: gli eventi che si situano oltre, per intensità e distruzione, agli accadimenti passati avvengono davvero.

Il terremoto è stato “insolitamente” forte e vicino, producendo uno tsunami “eccezionale” che ha sorpassato in un balzo le barriere che erano state predisposte e le prime stime dei danni.

E questo sarà tanto più vero per i fenomeni ricollegabili ai cambiamenti climatici, poiché vi è una tendenza crescente di fondo che fa sì che il riferimento dato dalle medie passate venga continuamente sorpassato.

E la “sorpresa” che eventi estremi tendono a procurare non dovrebbe più essere tale: lo scenario che va dispiegandosi è quello di eventi estremi che si superano l’un l’altro, a frequenze via via più elevate, in cui la distanza temporale tra uno e l’altro si riduce, mettendo a dura prova la resilienza dei territori, cioè la loro capacità di risorgere.

Chi prevedeva catastrofi non era un catastrofista (cioè un esagerato pessimista) - indicava invece un pericolo ben reale che si è poi manifestato. I piani di adattamento dovranno quindi adottare una prospettiva prudenziale, lavorando su ipotesi anche estreme.

La seconda lezione è che, in un evento estremo, fattori climatici e non-climatici sono inestricabilmente legati: natura, clima e questione energetica contribuiscono di volta in volta in proporzioni diverse alla genesi del disastro ma la sua gestione – in termini di disaster preparedness, response, recovery – non ha eccessivo bisogno di distinguere le percentuali.

Costruire un sistema di allerta, di evacuazione rapida, di immagazzinamento e distribuzione delle scorte, di prestazioni mediche e di protezione degli operatori nella zona devastata, contaminata e soggetta a nuovi shocks si può fare in modo largamente indipendente dalla proporzione delle cause, che vanno contemplate tutte.

Chi spacca il capello in quattro nella contabilità di quanto pesano le diverse componenti può riporre le forbici: produrrebbero solo risultati soggettivi opinabili, destinati a cambiare nel tempo, come accennavo ad Istanbul nel 2010.

La terza lezione è che a produrre un evento estremo è la congiunzione di più fattori forzanti, ciascuno con un proprio profilo temporale, magari con un certo coefficiente di correlazione e con feedbacks.

In parole semplici: ci vuole un po’ di sfortuna. La probabilità è bassa. Ma se il numero di volte con cui si gioca alla roulette russa è alto, che parta un colpo letale è quasi certo.

Di centrali atomiche il Giappone ne ha cinquantacinque, di cui undici nella zona colpita dallo tsunami. Che una di esse vada in stato critico non è poi così strano.

Accanirsi sui dettagli del disastro specifico è inutile. Ed è inutile sperare che le lezioni singole vengano imparate ed evitate in futuro. Nel 1992 Fukushima era già stata teatro di un disastro, fatto di cedimenti, menzogne e promesse di sicurezza, come perfettamente documentato dallo scrupoloso database dei fallimenti tecnologici tenuti dai giapponesi.

Non basta quindi dire: la prossima volta faremo muri più alti, sposteremo le batterie di back-up, ecc. Abbassare la probabilità non basta, se nel frattempo si moltiplicano i casi di esposizione alle intemperie.

Il problema è quindi la pericolosità intrinseca, il trend crescente della violenza della natura nelle sue varie forme, il gran numero di punti vulnerabili.

Per evitare di crepare con la roulette russa, occorre mettere giù la pistola e smettere di premere sul grilletto.

La quarta lezione è che essere pronti aiuta: la legislazione antisismica e la sua scrupolosa attuazione hanno effettivamente alleviato i danni del terremoto. Nelle scosse di assestamento post-scossa principale si sono raggiunti pù volte i 6 gradi Richter, ma i danni sono stati spesso contenuti. L’Aquila era un 5,9 … .

Prepararsi ed adattare le leggi e le pratiche costruttive al cambiamento climatico è quanto mai fondamentale.

La quinta lezione è che però prepararsi, se anche aiuta, non basta. I danni del complesso di terremoto, tsunami e disastro atomico sono stati terribili. L’onda anomala ha superato di un balzo le barriere costruite negli anni con grande dispendio di soldi e con lo scopo precipuo di essere utili in questi casi. Le barriere infrastrutturali si sono rivelate delle linee Maginot, capaci di far guadagnare una manciata di secondi ma non di prevenire le perdite.

Le strategie nazionali e locali di adattamento ai cambiamenti climatici devono seguire un’altra strada e tenere conto di queste prime, parziali, cinque lezioni di giapponese.