venerdì 10 febbraio 2012

Siria - update

Alcuni articoli sugli ultimi sviluppi della guerra civile in Siria.

Intanto anche oggi si sono registrate tre esplosioni ad Aleppo, nei pressi del quartier generale della polizia, con 11 morti finora accertati. Il caos siriano prosegue nella sua escalation...



Siria, bugie e sanzioni
di Michele Paris - Altrenotizie - 10 Febbraio 2012

Dopo il veto congiunto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla questione siriana, Mosca e, in misura minore, Pechino, continuano ad essere oggetto di pesanti critiche e pressioni da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Il governo russo, da parte sua, difende la scelta fatta a favore dell’alleato Assad e, dopo la visita di martedì scorso a Damasco del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, annuncia di voler promuovere un qualche dialogo tra il regime e le opposizioni.

Nonostante il tentativo di risolvere pacificamente la crisi in Siria, è comunque improbabile che a questo punto l’Occidente e le monarchie del Golfo possano accettare una soluzione diversa dalla sostituzione di Assad con un governo meglio disposto verso i loro interessi nella regione.

La bocciatura della risoluzione di condanna del governo siriano al Consiglio di Sicurezza è stata seguita sui media di mezzo mondo da una nuova ondata di rapporti che hanno ampiamente descritto una rinnovata offensiva delle forze di sicurezza del regime in molte località del paese.

Secondo la versione sposata in maniera pressoché uniforme dai giornali occidentali, il doppio veto all’ONU avrebbe rinvigorito Assad che, incassato il sostegno dell’alleato russo, starebbe ora intensificando la repressione.

I resoconti della presunta nuova esplosione di violenze in Siria, attribuite quasi del tutto al regime, provengono tuttavia esclusivamente dalle varie organizzazioni con sede all’estero che sostengono le opposizioni, mentre risulta impossibile qualsiasi conferma da parte di fonti indipendenti.

Il punto di riferimento preferito dai media è in particolare l’Osservatorio per i Diritti Umani in Siria, di stanza a Londra e legato a quei Fratelli Musulmani che fanno parte dell’opposizione armata al regime, nonché, secondo alcuni, finanziato da Qatar e Arabia Saudita.

Da Washington, Londra e Parigi, ma anche dalla Turchia e dalle monarchie del Golfo, sono così partite nuove iniziative per mettere all’angolo Assad e trovare una soluzione alla crisi al di fuori delle Nazioni Unite.

Per cominciare, negli ultimi giorni molti paesi arabi ed europei hanno ritirato i propri rappresentanti diplomatici da Damasco in seguito alla chiusura dell’ambasciata americana in Siria.

Nuove sanzioni vengono poi minacciate quotidianamente, mentre rappresentanti del governo statunitense sostengono ormai apertamente di voler fornire armi e finanziamenti ai ribelli. Già da tempo, peraltro, pare siano operativi voli NATO che trasportano armi verso basi militari turche al confine con la Turchia dove trovano rifugio i disertori siriani, così come i membri dell’Esercito Libero della Siria ricevono addestramento dai servizi segreti occidentali.

Anche se recentemente è stato ipotizzato un possibile prossimo intervento diretto da parte americana o della NATO, questa eventualità appare ancora lontana, quanto meno perché estremamente impopolare sia tra l’opinione pubblica occidentale che tra la maggior parte degli oppositori di Assad.

Più probabile è invece la creazione, verosimilmente da parte delle forze armate turche, di zone cuscinetto entro i confini della Siria, così da permettere ai combattenti dell’opposizione di organizzarsi e, con il sostegno dell’Occidente, dei paesi del Golfo e della stessa Turchia, sferrare attacchi più incisivi contro il regime. Questa ipotesi richiama alla mente la vicenda libica, con i ribelli che avevano stabilito la loro roccaforte a Bengasi.

Il rapido approssimarsi di un simile scenario contrasta fortemente con quanto annunciato dal ministro degli Esteri russo Lavrov dopo aver incontrato il presidente Assad a Damasco.

Per il primo diplomatico russo, il governo siriano avrebbe confermato la disponibilità a lanciare una serie di riforme, tra cui una nuova Costituzione, elezioni multipartitiche e la fine del predominio del partito Baath nel panorama politico del paese.

Qualsiasi promessa di Assad, in ogni caso, non soddisferà né le opposizioni né i loro sponsor in Occidente e nel Golfo, ben decisi ormai ad andare fino in fondo e rimuovere il regime alauita, così da infliggere un colpo mortale all’obiettivo ultimo della loro campagna di aggressione, l’Iran.

Nella strategia occidentale vero la Siria, così come accadde per la Libia, la Lega Araba ricopre un ruolo fondamentale per fornire una parvenza di legittimità alle iniziative che si prospettano nel prossimo futuro.

La risoluzione bocciata la settimana scorsa all’ONU, ad esempio, era basata sulle conclusioni del summit della Lega Araba seguito all’esame del rapporto stilato dagli osservatori inviati in Siria a dicembre.

Quello che i governi e la gran parte dei media occidentali hanno mancato di dire, tuttavia, è che questo stesso rapporto è stato praticamente calpestato, in particolare dalle autocrazie del Golfo che sono in prima linea nel puntare il dito contro il regime siriano.

Apparso integralmente di recente sul web in lingua inglese, il rapporto degli osservatori, guidati dal generale sudanese Muhammad Ahmad Mustafa al-Dabi, aveva infatti sottolineato il miglioramento della situazione in Siria dopo l’inizio della missione.

Gli episodi di violenza erano diminuiti e il governo di Damasco stava conformandosi a poco a poco alle richieste della Lega Araba. Soprattutto, per la prima volta dall’inizio della rivolta in Siria, un organo internazionale aveva riconosciuto l’esistenza nel paese di un’opposizione armata, anch’essa responsabile di azioni sanguinose contro le forze di sicurezza del regime.

Per tutta risposta, i due principali alleati degli USA nel mondo arabo - Qatar e Arabia Saudita - avevano comunque deciso di ritirare i propri osservatori impegnati nella missione, definendola inutile e gettando così le basi per la sua definitiva sospensione pochi giorni più tardi.

Nel rapporto così distorto si legge, tra l’altro, che da molte parti sono giunti “rapporti falsi di esplosioni o violenze in varie località. Quando gli osservatori si sono recati in queste località, essi hanno riscontrato che i rapporti erano infondati.

La Missione ha anche notato che i media hanno ingigantito la natura degli incidenti e il numero di persone uccise durante le proteste in alcune città”. Inoltre, le dimostrazioni pacifiche, sia di sostenitori del governo che degli oppositori, in molte località non sono mai state impedite, nonostante qualche scontro trascurabile.

Un altro punto della road map approvata dalla Lega Araba per risolvere la crisi era la liberazione dei detenuti politici. Secondo i gruppi di opposizione attivi al di fuori del paese, gli oppositori fatti prigionieri dall’inizio delle proteste sono tra i 12 e i 16 mila.

Per gli osservatori questi numeri non sono però affidabili, poiché le informazioni al riguardo risultano “inaccurate e spesso i nomi dei detenuti sono ripetuti”. Ancora, il rapporto sostiene chiaramente che tutti “i mezzi militari, i carri armati e le armi pesanti sono stati ritirati dalle città e dalle aree residenziali”.

Contro la missione della Lega Araba, inoltre, è stata quasi subito orchestrata una campagna di discredito che viene descritta dagli stessi osservatori. “Fin dall’inizio del proprio incarico”, si legge nel rapporto, “la Missione è stata presa di mira da una campagna mediatica diffamatoria. Alcuni osservatori sono venuti meno ai loro doveri, hanno preso contatti con esponenti dei loro governi ai quali hanno fornito resoconti ingigantiti degli eventi sul campo. Questi governi hanno di conseguenza dipinto un quadro più cupo e senza fondamento della situazione”.

Grazie soprattutto a questa deliberata falsificazione della realtà siriana, gli Stati Uniti e i loro alleati si stanno ora muovendo per aggirare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e giungere ad un esito a loro favorevole della crisi.

Molto attiva in questo senso è la Turchia che l’altro giorno ha annunciato la volontà di organizzare un summit internazionale per coordinare le prossime mosse.

La proposta fa seguito a quella americana di creare un gruppo di “amici della Siria democratica”, sull’esempio del gruppo di contatto per la Libia che ha portato all’assassinio di Gheddafi e alla spartizione delle ricchezze energetiche del paese nordafricano.

La Turchia, va ricordato, fino a pochi mesi fa vantava una stretta partnership, soprattutto economica, con il vicino meridionale, mentre ora è tra i critici più accesi del regime di Assad. Inoltre, Ankara ospita entro i propri confini i rappresentanti del Libero Esercito della Siria e del Consiglio Nazionale Siriano.

L’inversione di rotta del governo Erdogan - che ha gettato alle ortiche la tanto propagandata politica di “zero problemi con i paesi vicini”, appiattendosi invece sulla linea di Washington - si spiega forse proprio con i fatti di Libia dello scorso anno.

La Turchia, infatti, non abbracciò da subito l’aggressione militare contro Gheddafi, rischiando di rimanere emarginata dal nuovo regime libico. Un errore che ora Ankara non vuole ripetere con la Siria, un paese di gran lunga più importante per i propri interessi.

Alle Nazioni Unite, infine, dopo l’intervento del Segretario Generale, Ban Ki-moon, che ha definito “disastroso” il fallimento del Consiglio di Sicurezza sulla risoluzione anti-Assad, si sta valutando la possibilità di inviare una nuova missione congiunta in Siria composta da osservatori ONU e della Lega Araba.

Una missione, quest’ultima, che sarebbe inevitabilmente sottoposta alle stesse pressioni di quella da poco interrotta e che con ogni probabilità servirebbe soltanto a mettere il sigillo delle Nazioni Uniti sulle accuse e gli ultimatum che i nuovi osservatori sarebbero chiamati a lanciare contro Damasco.



La conta dei morti: chi dà le notizie e chi le verifica?
di Marinella Correggia - Il Manifesto - 5 Febbraio 2012

Si susseguono le denunce contro il regime di Assad per le stragi di civili diffuse senza batter ciglio dai media e sempre provenienti dall'opposizione siriana.

Le ultime, quelle del londinese Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), dei Comitati di coordinamento locale, del Cns (Consiglio nazionale siriano) e dei Fratelli musulmani, parlano di un «massacro di civili» a Homs venerdì sera, con oltre 200 morti, vittime dei bombardamenti dell'esercito.

L'agenzia siriana Sana nega i bombardamenti e afferma che i video di corpi sono di gente uccisa dalle squadre armate, le stesse che compiono rapimenti di civili e attentati.

Il fatto certo sono gli scontri fra armati dell'opposizione e l'esercito. Un contesto di guerriglia urbana dove la popolazione è esposta. Ma c'è un aspetto interessante di cui non si parla ed è la lotta intestina nel principale informatore dei media occidentali e arabi in materia di morti in Siria: il già citato Sohr di Londra.

Un'inchiesta pubblicata sulla versione inglese del giornale Al Akhbar rivela l'inattendibilità di quella che è la fonte regina dei media. Il Sohr infatti ha due teste ora apertamente in lotta fra loro e due siti con notizie divergenti.

I due siti sono www.syriahr.org e www. syriahr.net (o anche syriahr.com ). Il primo si definisce «sito ufficiale dell'Osservatorio». Il secondo ... anche, precisando di essere «l'unico sito ufficiale».

Su www.syriahr.org è in bella evidenza dal 17 gennaio una lettera collettiva firmata da siriani dell'opposizione che «sconfessa» Rami Abdul Rahman (alias Osama Ali Suleiman), «direttore» dell'Osservatorio stesso con accuse pesanti.

Scusandosi con i lettori per la «confusione», i firmatari affermano di aver chiesto allo stesso «direttore» di lasciare perché egli scriveva anche di vittime fra le forze di sicurezza nazionali e altre notizie «non verificabili» oltre a non dare i nomi dei morti. Poi hanno aperto un loro sito, il syriahr.org .

Dietro la rottura c'è il fatto che Suleiman è vicino all'opposizione del Ncb ( National Coordination Body for Democratic Change in Syria) di al-Manna che vuole una soluzione interna e negoziata della crisi e condanna la lotta armata, mentre gli altri sono del Cns di Gharioun, filo-occidente, finanziati dai paesi del Golfo e collaboratori del cosiddetto «Esercito libero siriano» che conta parecchi arruolati da altri paesi.

Ovvio che media e governi occidentali e arabi diano più eco al Cns. Suleiman ha denunciato le pressioni da parte dei membri pro-Cns i quali gli hanno intimato di schierarsi per un intervento Nato e di non parlare dei morti fra i soldati siriani.

Le notizie più efficaci propagate dalle due teste del Sohr sono quelle sui «martiri bambini» e sulle famiglie massacrate. Madre Agnès-Mariam de la Croix, superiora palestinese del monastero siriano di San Giacomo, che sta diffondendo dal canto suo liste di vittime delle bande armate, ha fatto ricerche su un caso recente che ha fatto il giro del mondo: la mattanza nel quartiere Nasihine di Homs di 12 membri della famiglia Bahadour fra cui vari bambini.

Secondo la versione ripresa da Le Monde e Cnn , gli assassini sono «7 uomini in divisa, lealisti del regime». La suora si è messa allora in contatto con la famiglia che le ha dato una versione opposta: «Abdel Ghani Bahader, fratello di una delle vittime, ci ha detto testualmente: "Siamo una famiglia sunnita che lavora per lo stato. Vogliamo essere neutri. Ma gli insorti ci hanno attaccati più volte tanto che mio fratello voleva spostarsi altrove dopo aver rifiutato l'invito a unirsi all'Esercito siriano libero. Ma non ha fatto in tempo"».


Il cinismo attorno alla Siria
di Vijay Prashad - www.counterpunch.org - 3 Febbraio 2012
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE


Nell'ultimo giorno di gennaio l’aria stagnante del Consiglio di Sicurezza dell'ONU è stata riempita da una serie di dichiarazioni già ben rodate. Nabil el-Araby della Lega Araba ha plaudito il Consiglio per aver adottato un abbozzo di risoluzione sulla Siria fornita dalla delegazione marocchina alle Nazioni Unite.

La risoluzione marocchina si basa su un rapporto dalla missione per la difesa dei diritti umani della Lega araba in Siria. Questa bozza chiede la cessazione immediata della violenza e un dialogo nazionale. "Stiamo tentando di evitare un intervento straniero", ha detto el-Araby al Consiglio, “soprattutto un intervento militare".


La missione di monitoraggio dei diritti umani della Lega ha presentato un resoconto, che è stato proposto al Consiglio ma che poi non è stato discusso (un'omissione menzionata ripetutamente dall'ambasciatore siriano Bashar Ja'afari).

La lettura del rapporto della Lega araba è inquietante. Menziona i pesanti attacchi del governo siriano sui manifestanti, ma solleva domande sulle reali intenzioni di questi ultimi.

Il rapporto parla di "bombardamenti di edifici, di treni per il trasporto di combustibile, di veicoli che trasportano il diesel e ordigni diretti contro la polizia" condotti da gruppi affiliati all'Esercito della Siria Libera dei ribelli.

Dice che questa “entità armata" ha attaccato "le forze di sicurezza e i cittadini siriani, facendo sì che il governo rispondesse con una violenza ancora maggiore".

Il rapporto è leggero nelle critiche al governo, un aspetto curioso visto il carattere delle informazioni diffuse ovunque dai media.

Il rapporto della Lega nota che alcuni membri della sua missione (i sauditi e i giordani) "hanno rotto il giuramento preso" e avevano fornito un “racconto esagerato degli eventi" ai funzionari di altri paesi.

Il direttore della missione della Lega araba è il generale Mohamed Ahmad al-Dabi, un accanito sostenitore del presidente sudanese Umar al-Bashir.

Va ancora chiarito il ruolo del generale al-Dabi nella soppressione della rivolta di Dar Massalit nel febbraio del 1999. Perché è stato scelto al-Dabi per guidare la missione?

È noto agli osservatori del Golfo che, mentre al-Dabi era ambasciatore del Sudan a Qatar (1999 -2004), divenne un sodale della famiglia al governo.

I qatarioti si stanno esercitando la propria pressione nella regione e hanno pensato che al-Dabi poteva fare al caso loro. Ha poi consegnato un rapporto a loro non gradito.

I qatarioti hanno tenuto comunque una posizione ostile nella Lega araba. Nel maggio scorso la Lega araba rifiutò Abdelrahman Hamad al-Attiya del Qatar in favore di el-Araby per la direzione.

Si era trattato di un rifiuto espresso da molti paesi per il ruolo tenuto dai qatarioti assieme alla NATO nel Consiglio della Sicurezza dell'ONU per la questione libica.

Il 31 gennaio, nel posto a fianco di el-Araby al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, c’era il ministro degli Affari Esteri del Qatar, Jassim Jabr al-Thani, che era furioso per quella che lui ha considerato la timidezza dimostrata dalla Lega. "Gli sforzi della Lega sono stati inutili", ha detto, suggerendo che fosse già arrivato il tempo per qualche genere di "intervento".

I giordani hanno abbandonato la missione per i diritti umani, e il membro saudita del Consiglio della Shura Saudita, il dottor Ibrahim Suleiman, ha affermato che "non è corretto essere falsi testimoni di quello che sta accadendo in Siria". Gli arabi del Golfo non hanno voluto discutere il rapporto di al-Dabi.

I qatarioti sono ansiosi di insediare al potere della regione i loro alleati della Fratellanza Musulmana. Hanno finanziato largamente la Fratellanza dalla Tunisia all’Egitto. Vorrebbero quindi portare la loro influenza nel Mashriq per indirizzarla contro il loro nemico principale: l’Iran.

Qui gli eventi sono più complessi di quanto possano ammettere. Sono stati tutti d’accordo nell’estromettere Gheddafi, che era odiato allo stesso modo dal G7, dalla Nato e dagli arabi del Golfo. È molto più duro contrastare un paese al confine con Israele.

La Guardia di Confine israeliana

El-Araby della Lega araba non aveva da preoccuparsi per un intervento sanzionatorio del Consiglio di Sicurezza. Non era nei piani. I russi, scottati dall'esempio della risoluzione 1973 per la Libia, non hanno alcuna volontà di dare carta bianca al Consiglio.

Sembrano essere arrivati a comprendere che una qualsiasi concessione data al Consiglio per una sua iniziativa porti necessariamente a un‘azione militare della NATO. Non ci sono poteri che abbiano la capacità militare di opporsi alla forza dimostrata dalla NATO.

L'ambasciatore russo all’ONU Vitaly Churkin ha approvato la missione della Lega araba come meccanismo per mettere pressione al regime al fine di intavolare un dialogo politico con l'opposizione. Nel mezzo di tutta questa violenza, ha sottolineato Churkin, parlare di riforme istituzionali in Siria è una "conversazione teorica".

La Russia si sta frenando dal condannare la Siria al Consiglio della Sicurezza dell'ONU come i media della NATO suggeriscono? Churkin ha riferito ai media moscoviti che la risoluzione marocchina “aveva tralasciato la cosa più importante: una clausola chiara che escluda la possibilità che questa risoluzione possa essere usata per giustificare un intervento militare dall’esterno negli affari siriani".

In assenza di una simile clausola, "non permetteremo che venga approvata". Per questo siamo giunti all’ipotesi di un veto della Russia a un’iniziativa internazionale (principalmente, della NATO) in Siria.

Ma se i russi rimangono fermi su questo principio, perché gli Stati Uniti non sono più aggressivi riguardo la Siria? Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha detto che "la Siria è una situazione unica che richiede un particolare approccio, ritagliato alle specifiche circostanze che avvengono in questo paese. Ed è esattamente ciò che ha proposto la Lega araba, un percorso per una transizione politica che possa preservare l'unità della Siria e le sue istituzioni".

Il 28 febbraio 2011 la Clinton si recò al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU per presentare la posizione degli Stati Uniti riguardo la Libia: "Abbiamo visto le forze di sicurezza del Colonnello Gheddafi aprire il fuoco sui manifestanti pacifici. Hanno usato armamenti pesanti su civili disarmati. Ai mercenari e ai teppisti è stato permesso di attaccare i dimostranti. A causa delle loro azioni, loro hanno perso la legittimità per governare. E ora il popolo libico ha le idee chiare: è tempo che Gheddafi se ne vada, subito, senza ulteriore violenza o ritardo".

Perché la Clinton non sostituisce semplicemente il Colonnello Gheddafi con al-Assad e la Libia con la Siria? La Clinton ritiene che il caso siriano sia molto più complesso. Perché la Siria è più "particolare" della Libia?

A Beirut il mese scorso ho rivolto a Fawwaz Trabulsi (autore nel 2007 di A History of Modern Lebanon) una semplice domanda. Trabulsi, che ha lanciato un nuovo quotidiano, chiamato Bidayat, è stato in contatto con le varie correnti dentro e fuori la Siria. Mi ha detto che il problema per la Siria è la sua ubicazione.

La Primavera Araba ha trasformato gli accordi di sicurezza attentamente costruiti da Israele (con la supervisione degli Stati Uniti). La caduta di Mubarak in Egitto ha messo in dubbio il trattato di pace del 1979, e così ha sollevato la questione dei confini sud-occidentali di Israele.

Una nuova energia nel movimento palestinese minaccia la stabilità della West Bank e, nonostante la iniziative di pacificazione attraverso gli accordi e i muri, è probabile che le frizioni politiche vengano scoperchiate da un momento all’altro.

Libano e Israele rimangono in una posizione scomoda, col confine pattugliato da una timida forza delle Nazioni Unite di ONU (la United Nations Interim Force in Libano che, schierata nel 1978, non dovrebbe oramai più avere uno status ad interim).

Questo lascia libera la Siria, dove il regime di Bashar al-Assad ha operato da protettore fedele del confine di Israele. Israele non è disposta a vedere un cambio violento di regime in Siria. Non c'è semplicemente un’alternativa credibile o affidabile ad al-Assad.

Per questo, né Israele né gli Stati Uniti hanno cercato di rimuovere aggressivamente al-Assad dal potere. Quest'energia è riservata per il rullo di tamburi contro l'Iran.

Sul giornale israeliano Haaretz, Zvi Bar'el ha scritto che Washington e Tel Aviv non si augurano una partenza precipitosa di al-Assad: "Lui è considerato una valvola di sicurezza contro un attacco violento di Hezbollah diretto a Israele o contro la presa di controllo israeliana in Libano. Ha anche reso noto il suo disaccordo con l’Iran dopo la visita controversa di Ahmadinejad in Libano [nel 2010]."

Un membro del governo israeliano ha riferito al Washington Post: "Noi conosciamo Assad. Abbiamo conosciuto suo padre. Ovviamente, vorremmo una Siria democratica come nostro vicino di casa. Ma penso che accadrà? No."

Al momento gli Stati Uniti e Israele si stanno nascondendo dietro ai russi (e in una qualche misura dietro ai cinesi) nel Consiglio della Sicurezza dell'ONU. Non hanno alcun interesse per la rimozione di al-Assad dal potere.

Secondo loro, la Siria non dovrebbe avere una soluzione libica, ma una yemenita: la violenza sbollirà lentamente, l'opposizione si stancherà, poi ad al-Assad sarà permesso di crearsi un successore nominale per lasciare intatti i lineamenti del regime, offrendo però un volto nuovo della Siria.

Visto che al "nuovo" Yemen non può essere consentito di costituire una minaccia per l’Arabia Saudita, alla "nuova" Siria non potrà essere permesso di mandare all’aria la costruzione israeliana.



Siria: Ue e USA divisi sulla guerra. Ma Qatar e G. Bretagna già combattono

da www.contropiano.org - 9 Febbraio 2012

Bruxelles e Washington divisi sulla guerra. Ma truppe speciali di Londra - insieme a quelle dell'onnipresente Qatar - starebbero già combattendo ad Homs contro l'esercito siriano.

E’ netta la diversità di vedute su come intervenire sulla crisi siriana con gli Stati Uniti che parlano apertamente di intervento militare diretto mentre le diplomazie europee lo escludono categoricamente.

La novità delle ultime ore viene da Washington dove l’amministrazione Obama ha alla fine gettato la maschera.

A rendere noto ciò che tutti i più attenti analisti sapevano da mesi è stata ieri la Cnn. Scrive NenaNews:

“Gli Stati Uniti avevano parlato di invio di aiuti umanitari alla popolazione siriana e invece fanno sapere di «aver preso in esame» l’ipotesi di un intervento militare contro la Siria escluso sino ad oggi. Lo hanno detto a Barbara Starr, corrispondente della Cnn al Pentagono, due alti funzionari dell’Amministrazione Obama, confermando l’irritazione della Casa Bianca nei confronti del veto opposto dalla Cina e dalla Russia la scorsa settimana alla risoluzione dell’Onu contro Damasco. I due funzionari hanno precisato che l’America è comunque concentrata ad ampliare la pressione diplomatica ed economica pur di isolare la Siria e che al momento si tratta solo di piani operativi, che hanno solo l’obiettivo di essere pronti nel caso in cui la Casa Bianca dovesse chiedere di passare all’azione. (...) Washington in ogni caso non tiene in alcun conto l’esito dell’incontro, ieri a Damasco, tra il ministro degli esteri russo Lavrov e Bashar Assad, al termine del quale il presidente siriano ha affermato che coopererà con qualunque sforzo per risolvere la crisi. Lavrov, accolto a Damasco da decine di migliaia di siriani, ha affermato che è stato recepito «il segnale» mandato da Mosca di «andare avanti in modo più attivo su tutte le linee». Il presidente siriano, ha aggiunto il ministro degli esteri russo, si è impegnato ad aprire un dialogo con tutte le forze politiche in campo e a scrivere in tempi brevi una nuova costituzione da approvare con un referendum popolare, oltre ad accettare un’estensione e un ampliamento della missione della delegazione di osservatori della Lega Araba. Assicurazioni che non scuotono le monarchie del Golfo, storiche avversarie di Damasco che ieri hanno espulso i rappresentanti diplomatici siriani mentre Italia, Francia, Spagna, Olanda e Tunisia hanno richiamato i loro ambasciatori per consultazioni”.

Oggi il governo tedesco ha deciso l’espulsione di altri 4 diplomatici siriani mentre le cancellerie dell’Unione Europea continuano a ribadire che nessun tipo di intervento militare contro la Siria è in discussione, neanche sotto forma di una ‘No Fly Zone’.

La Siria non è la Libia, è il refrain ripetuto in queste ore. La Libia era isolata quando Francia e Gran Bretagna decisero di attaccare bruciando gli USA sul tempo.

Inoltre l’Unione Europea non ha nulla da guadagnare nella destabilizzazione violenta e incontrollata di una regione che potrebbe deflagrare se le pressioni militari indirette finora adottate dall’occidente – e dalle petromonarchie arabe – dovessero trasformarsi in guerra aperta.

Inoltre, dopo il veto di Russia e Cina all’Onu e l’impegno diretto del governo di Mosca nel tentativo di mediazione tra Assad e le opposizioni, un sostegno europeo alla guerra potrebbe incrinare assai rapporti economici e commerciali vitali.

Ma le notizie su un intervento sul campo di truppe straniere si moltiplicano e rafforzano. Scrive il Sole 24 ore sul suo sito questa mattina, con una sincerità invidiabile:

“Secondo Debka File, il sito web israeliano di intelligence, unità delle forze speciali di Gran Bretagna e Qatar si sono infiltrate a Homs e pur non partecipando direttamente ai combattimenti stanno fornendo assistenza tecnica e militare ai ribelli.

La notizia è accreditata da altri servizi occidentali, anche se in casi come questi è arduo individuare il confine tra informazione e disinformazione.

La credibilità di queste affermazioni, se non la fondatezza, è però avvalorata dal contesto: la Turchia ospita ai suoi confini il Free Syrian Army (l’Esercito Siriano Libero) e a Iskenderum, nella provincia di Hatay, si è insediato da diversi mesi un comando multinazionale ristretto composto da ufficiali americani, inglesi, francesi, canadesi e arabi degli Emirati, del Qatar e dell'Arabia Saudita.

C'erano già dunque le premesse per operazioni coperte in territorio siriano con il coinvolgimento della Turchia che punterebbe in futuro a creare delle zone cuscinetto ai confini con la Siria, in particolare nell'area curda ritenuta da Ankara assai sensibile”.

La provincia di Hatay - Antiochia - nel sud della Turchia ospita una consistente comunità di origine siriana, eredità dei tempi dell'Impero Ottomano, e costituisce il retroterra migliore per un possibile intervento contro Damasco.

Intanto i leader politici turchi cercano di evitare che la crisi precipiti in una guerra aperta, nel qual caso le possibilità per Ankara di mettere le mani sul paese confinante diventerebbero assai remote.

Ieri Erdogan ha lanciato intanto l'idea di una conferenza internazionale sulla Siria per cercare di far valere la propria crescente influenza sulla regione e per intercettare il tentativo di mediazione russo piegandolo ai suoi interessi egemonici all’interno di uno scenario che comunque vedrebbe l’uscita di scena di Bashar Assad ma non necessariamente del suo partito e dei suoi più stretti collaboratori.



Notizie dalla Siria
di Piotr - Megachip - 9 Febbraio 2012

Leggo sul giornale filoamericano e supporter della democrazia sospesa, «La Repubblica», un titolo a quattro colonne: “Quattrocento bambini uccisi in Siria. La denuncia dell’Unicef. La Cnn rivela: gli Usa valutano l’opzione militare”.

Leggo ogni riga, per capire la drammatica situazione. L’Unicef è un organismo potente. Dovrebbe avere buoni mezzi per scavare nelle informazioni. Quali sono questi potenti mezzi? Non si sa, non si dice.

Però ad un certo punto si riporta che l’Unicef afferma di avere “notizie” di “minorenni arrestati arbitrariamente, torturati, abusati sessualmente”.

Notizie? Questi sono i mezzi di intelligence dell’ONU? E notizie da parte di chi? Ovviamente da parte della “resistenza”. «La Repubblica» non lo dice, così come sembra non dirlo l’Unicef. Ma qui e là salta fuori.

Notizie. Talmente poco che anche l’articolista deve ammettere «In queste cifre c’è necessariamente un elemento di congettura. Come in ogni guerra la manipolazione dei dati è evidente».

Ovviamente per i redattori di «Repubblica» le congetture comode sono verità assolute. E così si spara il titolo.

Notizie. Quella contro la Siria sarà quindi l’ennesima guerra basata su notizie non verificate.

La memoria corre subito ai soldati di Gheddafi «rimpinzati di Viagra» (perché mai rimpinzare di Viagra giovani maschi abili al servizio militare?) per poter violentare donne e bambini.

E allora si torna indietro alla «esecuzione di Bin Laden»: anche nel suo cosiddetto rifugio si ritrovarono pillole di Viagra sul comodino, assieme a film pornografici. Però non si trovò nessuno strumento per la dialisi di cui aveva assoluto bisogno per sopravvivere. Potenza del sesso!

Ma poi la memoria ritorna in Libia, alla psichiatra di Bengasi Siham Sergewa che aveva affermato di aver distribuito per posta (sotto i bombardamenti) 70mila dossier ad altrettante donne e di avere ricevuto 60mila risposte (sempre sotto le bombe) da cui si evinceva che 259 donne, con cui era rimasta in contatto, avevano subito violenza sessuale da parte dei soldati governativi.

Peccato che quando Diana Eltahawy, inviata della filoccidentale Amnesty International, le avesse chiesto di poter incontrare alcune di quelle donne, la Sergewa le avesse risposto che non era più in contatto con nessuna di esse.

E peccato che quando le fu chiesto di vedere i famosi 60mila questionari compilati, la Sergewa avesse detto che non li trovava più.

Non contenta di essere stata sbugiardata anche da agenzie amiche, qualche mese dopo tornò alla carica con la storia delle “amazzoni” di Gheddafi stuprate da padre e figli. Un’altra storia strombazzata con grandi titoli dai nostri media, più sputtanati ancora dalla psichiatra libica mendace.

Così bombarderemo la Siria sulla base di notizie e di congetture che vantano una lunga tradizione di falsità.

Ben inteso, quando dico “noi” intendo proprio “noi”, la nostra coscienza che fu già piallata in modo discontinuo dalle bugie su Saddam, collaudata con la “rivoluzione verde” in Iran, rettificata con precisione dalle falsità sulla Libia ed ora è un ponte di lancio senza un difetto per bombardieri.

Gli aggressori, invece, sanno benissimo perché bombarderanno la Siria, grazie alla nostra ignavia o complicità.

Basta leggere per bene la conclusione dell’articolo in oggetto, che in realtà ha come target militare il tentativo di mediazione del Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov: «Se l’Occidente promuove la democrazia, il Cremlino vede una questione di geopolitica».

Ci sarebbe da ridere per non piangere. La tabella di marcia ricevuta su un appunto al Pentagono dal generale Wesley Clark era tutto tranne che una strategia per difendere la democrazia (termine che negli studi degli strateghi USA non compare mai se non come occasionale arma propagandistica di guerra).

Una tabella che diceva “Afghanistan, Iraq, Libia, Libano, Siria, Somalia, Yemen e Iran”. Una tabella di marcia stilata nel 2001. Ben prima della “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, ben prima dei “brogli elettorali” di Ahmadinejad, ben prima degli “stupri al Viagra” dei soldati di Gheddafi, ben prima dei “quattrocento bambini ammazzati da Assad”. Ben prima di tutto.

E gli Stati Uniti, per Giove, sono di parola.

E hanno fretta. In maggio sono programmate in Siria elezioni democratiche pluripartitiche, sotto lo scrutinio di osservatori internazionali. Magari tra gli osservatori ci sarà anche quel rompiballe di Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, che osò affermare che le elezioni vinte da Hamas erano state le più democratiche di tutto il Medio Oriente.

Non sia mai!

Gli USA sanno benissimo che le elezioni saranno inevitabilmente e ignominiosamente perse dagli “oppositori” da loro foraggiati con armi e soldi tramite Arabia Saudita e Qatar e con gli uffici a Londra.

Gli esportatori di democrazia devono quindi fermare a tutti i costi quelle elezioni. Perché, come si sa, le elezioni sono democratiche solo quando vince chi vuole il padrone.