venerdì 3 febbraio 2012

Mario Monti e tutto il resto è noia...

Una serie di articoli sull'ultima sparata di Mario Monti fatta qualche giorno fa durante il programma televisivo Matrix.

Che noia...


Monti in TV, che monotonia
di Marco Cedolin - Il Corrosivo - 2 Febbraio 2012

L’usuraio al timone dell'Italia deve considerarsi particolarmente telegenico, a giudicare dalla quantità di comparsate sul piccolo schermo delle quali si rende regolarmente protagonista.

Comparsate che se in Italia esistessero ancora un governo ed un’opposizione (sia pur di facciata) avrebbero provocato un profluvio di polemiche, laddove invece le lezioni in TV del professor Monti vengono accolte con acquiescente bonomia.

Nel corso dell’ultimo show televisivo, in quel di Matrix su Canale 5, il banchiere filosofo ha pensato bene d’iniziare a preparare la strada per lo smantellamento del mondo del lavoro (o meglio di quello che ne resta) prossimo venturo, scagliandosi in una filippica contro il posto fisso, come già avevano fatto in molti (con qualche eccellente eccezione) prima di lui negli anni passati.

“I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E' bello cambiare e accettare delle sfide”. Sono state le parole con le quali ha sintetizzato il concetto che la precarietà dovrebbe essere accettata di buon grado dai giovani (i meno giovani ormai sono caduti in un oblio senza fondo come se a 40 anni l’unica prospettiva praticabile fosse quella del suicidio), in qualità di sfida elettrizzante, dispensatrice di adrenalina e gioia di vivere…..

Si potrebbe filosofeggiare a lungo sul concetto di monotonia, dal momento che la sensazione ha carattere largamente soggettivo, però prendendo per buono lo spunto del professore al servizio dell’usura, non si può evitare di sottolineare come tutte le società che hanno attraversato il corso della storia siano sempre state fondate sui pilastri del posto fisso e della monotonia, così come lo è altrettanto quella neoliberista, di cui egli si manifesta fra i massimi estimatori.

Alla base di una “monotonia” di fondo allignano i bisogni primari dell’essere umano, che suo malgrado possiede una dimensione corporea , che noiosamente lo costringere a mangiare due volte al dì, a trovare un riparo dove proteggersi dalle intemperie, a ricoprirsi di “stracci” per non morire congelato e via discorrendo.

Se nelle società primordiali, basate sull’autoproduzione, la caccia, la pesca e l’agricoltura su scala estremamente ridotta, la “monotonia” imposta dal rincorrersi delle stagioni e dalle leggi della fisica poteva essere talvolta stemperata da un certo grado di autonomia del singolo nell’ambito della comunità, progredendo, l’esistenza dell’essere umano si è fatta man mano più monotona e noiosa, sempre all’insegna della necessità di sopravvivere e rispondere ai bisogni imposti dalla materialità del corpo.

ln completa monotonia il contadino si spaccava la schiena per coltivare la terra prima del nonno e poi del padre, il maniscalco a ferrare i cavalli come imparato dal genitore, e così il fabbro, il commerciante, il tessitore e via discorrendo.

E la situazione peggiorò ulteriormente con la rivoluzione industriale, quando larga parte dei lavoratori persero qualsiasi forma di autonomia, trasformandosi in automi al servizio di una fabbrica, dove noiosamente compiere meccanicamente gesti ripetitivi per 12 ore di fila.

Oggi il “progresso” ha mutato radicalmente il nostro modo di vivere e trascorriamo i nostri giorni sommersi da una quantità inusitata di nuovi bisogni fittizi, ma i bisogni di base sono sempre lì, monotoni e noiosi come non mai, tanto quanto quel posto fisso agognato dai più perché indispensabile per soddisfarli.

Continua ad essere estremamente monotona la necessità d’imbastire il desco due volte al dì e quanta noia nel pagare tutti i mesi la rata del mutuo o l’affitto, regolarmente le bollette per l’elettricità e il riscaldamento, la retta dell’asilo, il pieno dal benzinaio, le spese di condominio, l’assicurazione dell’auto e le altre cento monotone incombenze finanziarie che hanno tutte un comune denominatore: la regolarità.

Non esiste dubbio sul fatto che un lavoro regolare comporti un certo grado di monotonia (il lavoro in sé lo è quando compiuto per necessità e non per piacere), ma si da il caso che nella società neoliberista nella quale viviamo il lavoro regolare rappresenti la prerogativa imprescindibile per la sopravvivenza.

Provate a non pagare il mutuo per qualche mese e verrà Equitalia a portarvi via la casa. Provate a non pagare le bollette e congelerete al freddo e al buio. Provate a fare la spesa nel mese in cui non lavorate e il desco somiglierà ad una natura morta.

Provate a non pagare l’assicurazione dell’auto e ve la sequestreranno. Provate a chiedere un prestito in banca o alla finanziaria e non vi daranno un euro senza che presentiate prova di quel posto fisso monotono e desueto.

Saremmo in molti ad apprezzare una società più effervescente, in sostituzione di quella fondata sulla monotonia, ma se davvero Monti e le banche da lui rappresentate, da filantropi quali sono, hanno a cuore le sorti progressive dell’umanità ed ambiscono a sradicare l’oppressione costituita dalla noia, inizino a dare il buon esempio.

Basta scadenze regolari alle quali dovere far fronte, basta garanzie per ottenere credito, basta gabelle, ticket e prelievi forzosi di ogni genere.

Paghi quando puoi e se non puoi pagherai il prossimo mese o quello dopo, ecco le parole necessarie per spezzare la monotonia del posto fisso. Tutto il resto è solo una monotona lagna, esperita da un noioso banchiere, che usa impropriamente la TV per diffondere il verbo dei suoi padroni.


La monotonia del governo Monti
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 3 Febbraio 2012

Quella dell’abolizione dell’articolo 18 è ormai l’ossessione dei professori. Il tavolo di concertazione (o di solo reciproco ascolto, par di capire) tra il governo e le parti sociali, continua ad avvitarsi sul mantra del ministro Fornero.

Una litanìa, ormai un vero e proprio tormentone dei ministri e di Confindustria, al quale si allinea il codazzo della pubblicistica devota, dice che è che l’articolo 18 “non dev’essere un tabù”. Magari un tabù no, ma una fissazione sì, par di capire.

Eppure i dati che indicano la disoccupazione al suo record storico, con un giovane su tre senza lavoro e le previsioni per l’anno in corso, che parlano di ulteriori 800.000 o un milione di posti di lavoro in meno, letti con puro senso logico e scevri da ogni impostazione ideologica, direbbero che l’emergenza nazionale è la disoccupazione.

Una disoccupazione che ha raggiunto dimensioni spaventose anche in quanto figlia della mancata crescita e delle politiche recessive e che è parente strettissima della giungla contrattuale che ha permesso di concepire un mercato del lavoro a bassissimo tasso di occupazione e di legalità.

I sindacati fanno giustamente rilevare che se l’occupazione e la conseguente crescita interna sono i due pilastri drammaticamente colpiti dalla crisi economica e dalle politiche recessive genialmente studiate per affrontarla (un caso di suicidio assistito, insomma), proprio non c’è nessun bisogno di aiutare ulteriormente le imprese nel favorire l’esodo incontrollato e arbitrario dei lavoratori.

Non occorre essere dei professori, infatti, per capire che non si può invocare maggiore occupazione mentre si eliminano gli strumenti residui per difenderla. Occorre aver studiato da professori per non capire come il progressivo aumento delle disuguaglianze sociali sia nocivo per lo stato dell’economia e di un paese ben più dello spread sui titoli?

L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, giova ricordarlo, non impedisce infatti alle aziende con oltre 15 dipendenti di licenziare, ma impone l’esistenza di una “giusta causa” per farlo. L’elemento fondamentale della norma risiede nella necessità di tutelare i lavoratori dai licenziamenti indiscriminati, arbitrari e vessatori che le aziende italiane - Fiat in primo luogo - hanno storicamente privilegiato per ridurre al silenzio la sindacalizzazione interna.

Per rimanere al caso Fiat, va ricordato che da Valletta a Romiti e ora a Marchionne, infatti, l’organizzazione sindacale interna alla Fiat è stata oggetto di numerosissimi licenziamenti politici come rappresaglia per le battaglie sindacali interne sostenute dai lavoratori.

In Italia si licenzia con estrema facilità e i circa 46 tipi di contrattualizzazione diversa sono lo strumento per disporre a piacimento della giungla contrattualistica e, non da ultimo, la sede di un pezzo significativo dell’evasione fiscale perpetrata a danno del Paese.

Gli argomenti che la ministro Fornero e il codazzo propongono sono sostanzialmente due: che l’esistenza dell’articolo 18 nei fatti crea due diversi regimi di tutela per i lavoratori (aziende con meno o con più di 15 dipendenti) e che, a cascata, l’erogazione degli ammortizzatori sociali produce un’ulteriore disparità.

Infine, si sostiene che l’esistenza dei vincoli sanciti dall’articolo 18 rappresenta un freno alle possibilità di assumere da parte delle aziende e, dunque, contribuisce indirettamente proprio a quella ridotta occupazione che si vuole combattere.

Ebbene, se si vuole davvero la parità delle tutele per tutti, è sufficiente allargare l’applicazione dell’articolo 18 anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Perché non lo si fa? E se si ritiene che chi è fuori dal mercato del lavoro e non usufruisce della cassa integrazione sia penalizzato (e lo è certamente), si può ampliare il sostegno sociale attraverso il reddito di cittadinanza, erogabile insieme alla formazione professionale utile alla ricollocazione futura.

Ma la questione ancora più odiosa, perché volutamente truffaldina, è quella che imputa all’articolo 18 un freno alle assunzioni, perché queste risulterebbero troppo rigide. Ma se così fosse, se cioè fosse il solo articolo 18 a frenare le assunzioni, come mai le aziende con meno di quindici dipendenti (dove quindi la norma non trova applicazione) non assumono? Sarà perché l’articolo 18 niente, assolutamente niente, c’entra con la capacità di produrre lavoro da parte del mercato?

Ma perché dunque questo attacco continuo all’articolo 18? Perché si vuole una sconfitta ed un arretramento dei sindacati e della sinistra di tipo epocale. Il messaggio, soprattutto indirizzato alle nuove generazioni, è che solo rinunciando ai diritti conquistati dai loro padri e dai loro nonni, solo la rinuncia ad essere rappresentati da sindacati e organismi di rappresentanza, potrà aprire il futuro a nuove opportunità di lavoro e progresso.

Il modello che si propone è quello delle “zone franche”, prevale l’ideologia delle maquilladoras più che un’idea di riforma del mercato del lavoro. Ma nessun modello economico e sociale accettabile é mai stato edificato sulle fondamenta della schiavitù e si diventa soggetti di diritti proprio quando si smette di essere oggetto di elemosine.

Sul mercato del lavoro, come sulle liberalizzazioni, il governo Monti mente e sa di farlo: non ha nessuna ricetta che non sia l’ossequio alle banche e alla speculazione finanziaria e non ha nessuna idea di come ricostruire il tessuto sociale ed economico del paese.

Esaurito il capitolo delle liberalizzazioni, con il quale ha tentato di spiegare che acquistare un’aspirina al supermercato e avere qualche taxi in più siano gli snodi dello sviluppo del Paese (ma guardandosi bene dal toccare banche ed assicurazioni, mercato energetico e telecomunicazioni) oggi tenta di convincerci che per lavorare di più bisogna farsi licenziare di più.

Nel disegnare la sua politica, inoltre, il governo ultimamente ha imboccato con decisione la strada dello sberleffo. Dapprima il rampollo inutile che definisce “sfigati” tutti coloro che, diversamente da lui, sono stati costretti a studiare per tentare una professione, non avendo padri e amici del padre in grado di allocarlo a piacere con i soldi pubblici.

Successivamente è stato lo stesso Monti, ospite in casa Mediaset, a dire che il lavoro fisso è una chimera e per fortuna, dal momento che il lavoro fisso è “monotono”.

Eppure il professor Monti, che detesta la monotonia, si è fatto nominare senatore a vita, non proprio un ruolo a tempo determinato ed una attività adrenalinica. Profumatamente pagato con i soldi nostri, pare ormai voler dismettere gradualmente la supposta sobrietà per calarsi nei panni di un uomo vanitoso e supponente.

Oggi sono le sue parole ad essere monotone. Impari una lezione, professore: la sobrietà non è dimostrata dall’apparenza mesta e grigia e dal tono di voce monocorde, ma dal saper farsi carico con serietà e rispetto dei destini delle persone in carne e ossa. Anche di quelle che non siedono nei consigli d’amministrazione.



La monotonia dei professori
di Michele Carugi - Il Fatto Quotidiano - 3 Febbraio 2012

Una delle cose che più mi infastidiscono di Monti, a parte le modalità della riforma delle pensioni, è il suo modo paternalistico di porsi. Non c’è volta che, nel comunicare o annunciare all’orizzonte i sacrifici e le rinunce alle quali i cittadini verranno sottoposti (alcuni di loro, per la verità) non perda occasione per dirci come quei sacrifici li faremo per il nostro bene e come dovremmo essere grati a chi ce li organizza.

È successo con la riforma delle pensioni che ha il grande pregio di portare alle casse dello Stato i bei soldini freschi dell’avanzo dell’INPS dal fondo dei lavoratori dipendenti ma non che non viene spiegata con questa (ovvia) motivazione, visto che qualcuno potrebbe dire: perché proprio da li?

Ha anche il pregio, come dichiarato dal Ministro Fornero, di essere stata la parte accolta più favorevolmente dall’Europa che chiedeva tangibili sacrifici, ma non viene spiegata neppure con questa motivazione, dato che ammettere che si dia all’Europa (si scrive Europa e si legge Germania) il diritto di ingerire nel come si voglia risanare l’Italia non sarebbe troppo ben digerito.

No, viene soprattutto spiegata con il riequilibrio generazionaleraccontando di come è bello che i padri si preoccupino di figli e nipoti e di quanto cattivi sono quelli che contestano le modalità della riforma; ovviamente è perché non vogliono pensare ai propri figli e nipoti. Che poi questo riequilibrio avvenga appiattendosi sul peggio del peggio, ora e per sempre, è secondario.

Ora, in procinto di addentare la pagnotta (forse un po’ difficile da masticare) del mercato del lavoro (mercato, brutta parola trattandosi di esseri umani, ma così si chiama) il Nonno Monti (copyright: Lisa) ha messo le mani avanti e, nello spiegare che secondo lui il famigerato articolo 18 sarebbe meglio abolirlo, non ha detto che così vorrebbe Confindustria, a patto che non si chiedano indennità di licenziamento troppo alte oppure che l’Europa (si legge Merkel) gradirebbe tanto che in Italia si diventasse più flessibili di quanto non lo siano in Germania o in Francia; no, ha buttato lì con nonchalance che c’è “una terribile apartheid nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi, giovane, fa fatica ad entrare” (sulla qual cosa potrebbe anche avere alcune ragioni) e che “i giovani devono abituarsi all’idea di non avere più il posto fisso a vita: che monotonia. E’ bello cambiare e accettare delle sfide”.

Escluderei che fosse un battuta, perché in tal caso ci sarebbe da dire parecchio sul senso dello spirito, perciò penso che fosse un tentativo di indorare la pillola (molto amara) riuscito male.

Infatti Monti sembra ignorare che solo in pochi casi è dato ai lavoratori di cambiare lavoro per libera scelta, migliorando oppure per togliersi dalla monotona routine; di solito escono dalle aziende prima della pensione perché vengono licenziati oppure usufruendo di ammortizzatori sociali e sarei sicuro che preferirebbero tenersi l’odiata monotonia.

Monti parlava dalle comode poltrone di Matrix; gli proporrei di andare a tenere una “lectio magistralis” sulla bellezza del posto precario che immunizza dalla monotonia a, per esempio, un’assemblea di cassaintegrati ai quali la cassa terminerà il mese seguente e la cui azienda non li riprenderà e di spiegare a loro la sua “teoria della monotonia”.

Direi che Monti forza un po’ troppo la mano con i suoi messaggi tendenti a mimetizzare, se non avessi invece il dubbio fondato che Monti, la Ministra Fornero, e altri nel Governo, semplicemente provengono da una cerchia sociale nella quale è stato perso il contatto con la realtà delle problematiche delle persone; secondo me non si rendono conto di cosa vuol dire per un disoccupato non poter accedere alla pensione o per un nato nel Gennaio 1952 vedersi rimandata la pensione di 4 anni e per uno nato nel 1953, di 6 anni di colpo, o di quale sia il reale rapporto tra i lavoratori delle mansioni più basse e il mondo del lavoro.

Probabilmente provengono da un limbo nel quale la pensione è una materia di studio e non una prospettiva di vita e gli stabilimenti assets da acquisire da parte di una investment bank e non un luogo di lavoro.

E allora mi domando se non sarebbe meglio che a governarci fossero persone innanzitutto delegate a farlo tramite elezioni e secondariamente un po’ più in contatto, per loro estrazione, con la realtà della vita.


L'Apartheid di Mario Monti
di Anna Lami - Megachip - 3 Febbraio 2012

«I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E' bello cambiare e accettare delle sfide». A parlare è il Presidente del Consiglio Mario Monti intervenendo in un dibattito televisivo sui temi del lavoro e dei giovani.

«La riforma sulla quale il ministro Elsa Fornero e tutto il governo adesso è impegnato - ha spiegato- ha la finalità principale di ridurre il terribile apartheid che esiste nel mercato del lavoro tra chi per caso o per età è già dentro e chi giovane fa una terribile fatica ad entrare o entra in condizioni precarie».

In poche battute troviamo condensato tutto il pensiero, figlio delle peggiori teorie liberiste, che ispira Mario Monti.

“Che monotonia il posto fisso”: è vero, deve esser stata di una noia incredibile passare tanti anni nella stessa azienda, crescere professionalmente, man mano aumentare il proprio know how, e sulle basi di questa monotona sicurezza progettare un futuro, una casa, dei viaggi, farsi una famiglia.

Ma Mario Monti ci tiene al divertimento degli italiani, giammai si impigriscano, quindi vuole renderci la vita ancor più avventurosa e flessibile di quanto già lo sia nella superprecaria Italia del 2012, che anche secondo l’Ocse è già il paese più flessibile del mondo, tanto che in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca è molto più difficile licenziare che da noi.

Del resto, che gusto si può trovare nello svegliarsi la mattina per recarsi nella stessa azienda avendo la sera la certezza di poter pagare le bollette, e magari garantire una vita dignitosa ai propri figli?

Molto meglio fare una giornata di volantinaggio pubblicitario fuori dalle Metro, il giorno dopo provare l’inebriante esperienza di lavorare in un call-center, e alla fine del mese con il contratto scaduto e non rinnovato girare per negozi non per fare shopping ma per portare il proprio curriculum vitae nella speranza che qualcuno cerchi una commessa extra almeno per il sabato pomeriggio.

È infatti questa la vita che vivono i “fortunelli” di venti-trent’anni che, magari dopo una laurea ed un paio di master, entrano dalle finestre del mondo del lavoro.

Ci si diverte come pazzi a cambiare occupazione cinque o sei volte l’anno, lo si capisce ascoltando ordinarie conversazioni tra i distributori dei quotidiani gratuiti nei pressi delle stazioni delle grandi città.

Eh si, perché il posto fisso potrebbe anche essere monotono, se l’alternativa fosse che un giorno si fa l’amministratore delegato di una società ed il giorno dopo il marketing manager di un’azienda ben quotata in borsa, non senza essersi fatti mancare una settimana da medico chirurgo. Invece, purtroppo per noi, eccessiva precarizzazione fa rima con lavori dequalificati (e sottopagati).

Hai una laurea in economia e commercio? Non solo è probabilmente inutile, in quanto solo nel 15% dei casi secondo una recente inchiesta di Unioncamere-Excelsior viene richiesta dalle (poche) aziende che assumono, ma può addirittura essere controproducente: tra le critiche - le più gettonate - che vengono rivolte ai neolaureati, c’è quella di “essere troppo pretenziosi”.

Voglio dire, c’è ancora in giro chi crede di aver diritto ad aspirare a qualcosa che rientri nell’ambito dei propri studi. Del resto siamo nella stessa logica di pensiero del premier: così come è noioso il posto fisso, è triste pensare di insegnare quando si è laureati in Storia. Molto più all’altezza dei tempi provare a sentire se la nuova società ferroviaria di Montezemolo si affida a qualche cooperativa che assume ancora.

Monti invita i giovani ad accettare le sfide della flessibilità: è almeno dai tempi della Legge Biagi e del Pacchetto Treu che queste parole vengono spese, e non ci risulta ci siano ragazzi che vergognosamente si sottraggano a tali avvincenti sfide.

In questa categoria infatti non solo si è ulteriormente contratto il flusso di ingresso nell’occupazione, ma è andata scemando la possibilità di transitare verso una condizione di maggiore stabilità lavorativa. Di quanto ci avvisa il premier, quindi, siamo già al corrente.

Era diverso tempo che un esponente istituzionale di primo piano non ripescava lo slogan “precario è bello”. Negli ultimi anni ci eravamo abituati a Tremonti, che populisticamente riconosceva come negativa l’eccessiva precarizzazione, anche se poi continuava ad incentivarla nelle politiche ministeriali.

Ma il tecnico dell’anno non ha un elettorato di riferimento, a lui basta rispondere ai diktat della BCE, quindi può permettersi un’ironia che sconfina nell’insulto.

E l’insulto è rivolto soprattutto ai giovani, quelli a cui il Presidente Napolitano, padre morale dell’esecutivo, spera non “venga lasciato il debito in eredità”: conviene di più farglielo pagare adesso, avranno pensato, questo debito di cui ancora non si conoscono bene i creditori.

Quindi, bisogna ridurre il “terribile apartheid” tra chi è già entrato nel mondo del lavoro con qualche diritto residuo e chi invece non ha più alcun diritto.

Come ridurre l’apartheid? Estendendo a tutti garanzie e tutele sociali? Macchè, troppo banale … meglio offrire a tutti l’avventura della precarizzazione totale. Così si contrastano le odiose discriminazioni socioeconomiche.

Perchè ammettere lavoratori di serie A e lavoratori di serie B? Trasformiamoli tutti in lavoratori di serie C, cosicchè se in una coppia lui aveva il “privilegio” di un contratto da operaio a tempo indeterminato e lei da insegnante ultraprecaria, finalmente non si sentiranno più in competizione e potranno vivere affamati e contenti.

Per fortuna c’è Mario Monti, a salvare noi giovani da una vita monotona.



La noia del posto di lavoro
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 2 Febbraio 2012

"L'idea di un posto fisso per tutta la vita? Che monotonia! I giovani dovranno abituarsi all'idea che non l'avranno". Così parlava ieri Monti. Tranquillo Rigor Montis! I giovani non si annoiano. Si sono portati avanti da tempo. Non solo non credono più al posto fisso, ma neppure a quello variabile.

E a furia di non credere, o forse per non annoiarsi troppo, in questi anni sono fuggiti all'estero. L'Italia è il secondo Paese europeo per emigranti dopo la Romania.

I ragazzi che hanno salutato il Bel Paese per ragioni di forza maggiore, mancanza di lavoro disponibile, né la speranza di averlo, paghe da fame e nessuna sicurezza, sono in prevalenza laureati e diplomati.

Hanno studiato nelle nostre Università con sacrifici spesso inimmaginabili da parte dei loro genitori per diventare emigranti. La maggior parte di loro non tornerà, semplicemente non può tornare, per vivere con lavori a progetto a 600 euro al mese o sulle spalle della famiglia.

Se questa emorragia di sangue continua, questa abdicazione al futuro (i giovani sono il futuro!), non è un'emergenza, allora cosa lo è?

La disoccupazione giovanile è alimentata dalle scelte sciagurate di questo governo e di quelli che lo hanno preceduto. Gli altri Stati investono in innovazione, noi in cemento e in cacciabombardieri.

Il tunnel inutile della Tav in Val di Susa costerà 22 miliardi, gli F13 15 miliardi. Con queste cifre colossali si potrebbero creare distretti per l'innovazione, per lo sviluppo tecnologico.

Far ripartire l'Italia, trattenere tecnici, ingegneri, informatici. Olivetti, Telettra, Telespazio, Italtel, l'intera informatica nazionale sono state sostituite dall'industria del cemento.

Ma dove vogliamo andare?

In Europa la disoccupazione giovanile sta aumentando, anche in questo caso a due velocità. Noi siamo, come ovvio, nel gruppone che tira la volata con il 31% (*) ma la classifica non tiene conto dei ragazzi emigrati.

La media dell'eurozona è del 21,3%, dieci punti in meno. Che noia, che monotonia. Un Paese che non riesce a dare un futuro alle nuove generazioni è un Paese in estinzione.

(*) fonte Eurostat



Posto fisso ? Imitare Monti lui se ne intende
di Marcello Foa - http://blog.ilgiornale.it - 3 Febbraio 2012

Ma perchè Monti è così noioso? Forse perché ha sempre avuto il posto fisso? Il nostro presidente del Consiglio, che dà sapienti lezioni ai giovani sulle virtù dell’instabilità occupazionale, non è propriamente un modello di coerenza.

Già perchè se scorri il suo curriculum scopri che di rischi, lui, non ne ha mai corsi. Notevole carriera, la sua. Non proprio trasparente ma bellissima. E soprattutto percorsa sapendo che sotto la passerella su cui camminava c’era sempre una rete di salvataggio; talvolta addirittura due.

Dal suo curriculum scopriamo che dal 1970 al 1985 ha insegnato economia all’Università di Torino. Esperienza traumatizzante e piena di incognite. Nel 1985 è passato alla Bocconi, dove è rimasto per ben 26 anni ricoprendo le cariche di professore, rettore e poi presidente. Nel frattempo (immagino beneficiando dell’aspettativa) anche commissario europeo e consigliere di Coca Cola, Moody’s, Goldman Sachs.

E ha intrapreso attività pericolosissime e trasparenti assumendo la presidenza della Trilaterale, diventando membro del comitato direttivo di Bilderberg, uno dei presidenti del “Business and Economics Advisors Group” dell’Atlantic Council e fondando il think tank Breugel.

Un percorso esemplare, di un uomo che ha sempre saputo affrontare i rischi, soprattutto imprenditoriali, e che ora orgogliosamente può affermare: mi sono fatto da me. Ragazzi, accettate i suoi sermoncini e imitatelo. Se ne intende…



Mr Goldman Sachs: obiettivo distruggere la sicurezza del lavoro
di Federico Dal Cortivo - http://europeanphoenix.com - 3 Febbraio 2012

Mario Monti, meglio conosciuto come Mr Goldman Sachs cameriere dell’alta finanza anglosassone, prosegue nell’incarico affidatogli dai suoi padroni: la distruzione completa di ogni sicurezza sociale e lavorativa in Italia.

Intervistato dalle solite testate embedded come il Tg5 e nella trasmissione Matrix, Mr Monti si è profuso in una serie di teoremi sul posto fisso di lavoro, già cari da qualche tempo a Confindustria e alla sua “pasionaria” Marcegaglia, inneggiando alla mobilità in uscita, che tradotto in parole povere significa licenziamenti più facili e totale deregolamentazione delle attuali normative contenute nell’Art 18 della Legge 300 del 1970.

A Monti non par vero di poter parlare a tutto campo senza mai essere contestato dai sedicenti partiti politici che occupano le poltrone di un Parlamento oramai ridotto a dependance della BCE, nel quale si agitano privilegiati e parvenu d’ogni risma, e così straparla con frasi a effetto: “Sulla terribile noia che è rimanere tutta la vita ancorati al medesimo posto di lavoro”, oppure “di come è bello cambiare e accettare delle sfide…”, e del “terribile apartheid nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi giovane fa fatica a entrare” e via con altre amenità del genere.

La disgustosa salsa Monti è una sola: Giovani e meno giovani scordatevi il posto fisso, io vi porterò tanta precarietà, tanta insicurezza, tanta miseria e vi ridurrò a semplice merce di scambio come una qualsiasi materia prima, pacchi pronti da usare e poi gettare all’occorrenza, secondo i bisogni del padrone e del grande capitale internazionale.

L’obiettivo si era capito da tempo e non solo con questo ultimo governo tecnico impostoci; già i precedenti esecutivi si erano prodigati anno dopo anno a distruggere le sicurezze sul lavoro, a depotenziare gli organi ispettivi, a tagliare la spesa nel campo sociale, a precarizzare le assunzioni con le varie Leggi Treu e Biagi, a bloccare i salari, a stravolgere la valenza dei Contratti Collettivi Nazionali a favore di trattative di secondo livello dove con la complicità dei maggiori sindacati si possono ora introdurre anche norme peggiorative rispetto ai CCNL ecc.

La finezza, se finezza la possiamo chiamare di Mr Monti, sta nel voler creare un conflitto generazionale tra i giovani che devono entrare nel lavoro e chi già vi è da tempo dentro, ingenerando tra i primi il sospetto che siano i secondi già tutelati dalle leggi ancora vigenti e determinati a mantenere le posizioni giustamente acquisite, a impedire quel cambiamento… che favorirebbe un maggiore flessibilità e quindi, sempre secondo i teoremi di Mr Goldman Sachs, facilità di assunzioni.

Sottile manovra da guerra psicologica tesa a mettere gli uni contro gli altri, come se i padri fossero responsabili della disoccupazione dei propri figli.

E di quali sfide i giovani dovrebbero farsi carico, parla poi spocchiosamente il capo del governo? Forse quelle di chiedere al ribasso un posto di lavoro mal pagato, insicuro, flessibile negli orari? Sono queste le illuminanti battaglie che i giovani italiani dovrebbero accettare per il futuro?

Poi perché mai ci si dovrebbe abituare all’idea di non avere un posto di lavoro fisso, quindi sicuro e pertanto un valore stabile per la vita propria e famigliare?

Ci dovrebbero dimostrate Monti, la Fornero e mettiamoci pure Napolitano, e tutta la razza padrona filo bancaria che siede indegnamente al governo, che con tanta sicumere si atteggia a salvatrice della Patria, dove questi cambiamenti hanno portato un maggior benessere civile ed economico, se per benessere probabilmente s’intende la ricchezza e i profitti per pochi e la miseria per tanti.

Gli “sciacalli” portino dati alla mano le prove che il liberismo selvaggio da loro invocato nel mondo del lavoro ha avuto benefiche ricadute sulle persone, sugli Stati, sulle famiglie, sulla sicurezza sociale, sulla minor criminalità, sulla salute ecc. Ci dicano dove tutti questi miracoli sono avvenuti e dove il tanto osannato “mercato” ha risolto i problemi dell’uomo proiettandolo in un’epoca di civiltà. Siamo ancora in attesa…

Oppure dietro tutto ciò si nasconde solo il degrado della figura del lavoratore, della sua dignità di uomo, messo in subordine del profitto ad ogni costo, ridotto a semplice ingranaggio di una macchina economica che invece di soddisfare i reali bisogni, deve inventarne di nuovi per poter produrre e consumare in un gioco perverso apparentemente senza fine, perché nulla può crescere all’infinito.

Ma per fare ciò questo meccanismo ha la necessità di tanti schiavi, docili, sottomessi, che accentano di vivere consumando e consumano per vivere, l’“Homo economicus”per dirla alla Julius Evola.

Sul fronte che dovrebbe essere contrapposto, già da tempo sventola bandiera bianca. La risposta che fino ad oggi è arrivata dalle Confederazioni sindacali è stata flebile, balbettante, timorosa, quasi a non voler disturbare il “manovratore” e del resto sono proprio i maggiori sindacati italiani, complici con il nemico, i corresponsabili di questa situazione avendo accettato e sottoscritto negli ultimi anni contratti di lavoro sempre peggiorativi dei precedenti e aderendo a tutte le richieste dei governi liberal che si sono succeduti, sia di centro destra sia di centro sinistra. Gli unici a scendere in piazza e gridare la rabbia di tanti italiani sono stati i Sindacati di Base, debitamente oscurati dai mezzi d’informazione nazionali.

Già “l’uomo di Londra” vorrebbe far ripartire la crescita economica italiana e chiede a gran voce sessanta giorni di tempo per dare “una svolta” al Paese (così lo chiama chi non ha il senso della Nazione), perché lo spread lo impone e lo chiedono i suoi burattinai della City e di Wall Street che hanno fretta di chiudere la partita Italia, dopo aver commissariato la Grecia, per poi passare alla Spagna e così farci pagare a noi i conti della crisi statunitense.

La “banda” che sta portando l’Italia verso il baratro sociale ci chiede di accettare le solite ricette che il FMI e la Banca Mondiale propinano da anni al Terzo Mondo; il Secondo Mondo, leggasi America Latina, si è svegliato da tempo e non accetta più ricatti e imposizioni esterne.

Loro la chiamano “crescita”, in nome della quale sono pronti anche a svendere il patrimonio pubblico nazionale, privatizzare i servizi essenziali, cedere quel poco che ci resto di sovranità economica. Noi la chiamiamo “inciviltà del Lavoro” da contrapporre a quella “Civiltà del Lavoro” che aveva contraddistinto proprio l’Italia a partire dagli anni ‘30, e poi proseguita per un trentennio nel secondo dopoguerra, dove la certezza del posto di lavoro era sinonimo di miglior qualità della vita, di famiglia, di figli, di casa, di tutto ciò che da stabilità a una comunità nazionale e la rende partecipe alla vita e al funzionamento dello Stato, quello stesso Stato che allora controllava i settori strategici dell’economia e che oggi si vorrebbe espellere del tutto per far posto agli speculatori internazionali, ben rappresentati da questo “governo ombra”.




Monti: con la sua riforma del lavoro droga il dato sulla disoccupazione con finti occupati
di Uriel Fanelli - Wolfstep - 3 Febbraio 2012

Leggo una certa polemica circa il fatto che il lavoro a posto fisso sarebbe monotono. Cosi', per prima cosa, e' meglio siate informati di un fatto: in matematica, una funzione e' monotona quando , se A e' maggiore di B, ne deriva che f(A) sia maggiore di f(B).

Cio' non significa nulla , ma come sapete il momento piu' difficile di un post e' l'incipit, e se almeno una donna la puoi invitare a bere qualcosa, Blogger rifiuta di uscire con me, quindi posso rompere il ghiaccio solo cosi'. Comunque, ci sono due cosette che volevo dire a riguardo.

La prima e' che la cosa era ampiamente prevedibile. Come ho scritto qualche mese fa, Monti sta cercando di seguire le stesse ricette dei tecnocrati di Franco, col risultato che ha in mente di stabilizzare i prezzi alla produzione. Non potendo farli scendere per via delle necessita' fiscali, quello che sta facendo e' di renderli facilmente pianificabili. Mi spiego meglio.

Nella pianificazione di un'azienda, si parte dalle spese fisse. Contrariamente a quanto pensano in molti, le spese fisse non sono spese costanti nel tempo, o spese "sicure", ma sono semplicemente le spese che non cambiano se la produzione aumenta o diminuisce.

Il classico esempio e' un affitto del capannone: se un mese producete la meta' della capacita' produttiva o producete al 100%, pagate lo stesso affitto.

Anche l'abitudine disastrosa degli imprenditori italiani di usare il bilancio aziendale per le spese personali pesa sulle spese fisse: se un imprenditore prende una multa ed usa il conto aziendale per pagarla, essa diventa una spesa fissa, dal momento che non cresce col crescere della produzione ne' vi contribuisce.

Sono spese variabili quelle che crescono al crescere della produzione, contribuendovi. Ho scritto "contribuendovi" perche' altrimenti si crea un equivoco: se voi da imprenditori pensate di spendere di piu' in troie (1) quando producete di piu', non e' che la vostra decisione di farvi piu' troie se producete di piu' rende la troia una spesa variabile.

Al contrario, se volete fabbricare il doppio delle camicie, allora vi servira' il doppio della stoffa , il doppio dei bottoni, il doppio del filo, e cosi' via. Queste sono un classico esempio.

Allora, adesso torniamo indietro: abbiamo detto che Monti vuole stabilizzare i costi variabili e sterilizzare quelli fissi.

Innanzitutto, dobbiamo chiederci quale sia il posto da dare agli stipendi in tutto il processo. Se assumiamo il personale e lo paghiamo allo stesso modo che si produca o meno, possiamo considerarlo tra i costi fissi.

E' interessante notare, pero', che in un modello simile a quello dei braccianti meridionali, ove io assumo giorno per giorno la gente che mi serve, le cose non stanno cosi': se produco il doppio assumero' il doppio del personale, quando produco la meta' assumo meta' del personale.

Cosi', innanzitutto la flessibilita' ha il vantaggio di spostare una spesa da un capitolo all'altro. Nel momento che assumete il personale solo in ragione di quanto producete, il risultato e' che diventa una spesa variabile.

Questo pero' non migliora cosi' tanto la situazione. E' vero che avendo spese fisse inferiori adesso avete bisogno di fatturare meno per coprirle., ma d'altro canto avete solo mosso la spesa verso le spese variabili.

Vediamo di fare un esempio stupido.

Le mie spese fisse sono a 20 di cui 10 manodopera.
Io produco una unita' di qualcosa spendendo altri 80 per produrre e vendendo a 100.

Con una unita' venduta riesco a coprire i costi fissi.

Secondo esempio:

Le mie spese fisse sono a 10 perche' ho spostato la manodopera.
Io produco una unita' di qualcosa spendendo altri 90 per produrre, e vendendo a 100.

Ancora una volta devo vendere una sola unita' per coprire i costi fissi.

Allora qual'e' il vantaggio, oltre a quello di spostare sul lavoratore il rischio d'impresa? Il vantaggio e' -apparentemente- di poter passare da piena produzione a produzione nulla avendo spese fisse per 10 anziche' per 20.

Insomma, si tratta di un provvedimento che aiuta un'industria asfittica e mal pianificata, a spese dei dipendenti.

State aiutando, cioe', l'imprenditore a superare meglio la sua carenza di pianificazione. Un imprenditore che usi una logica di tipo ERP dovrebbe sapere che ha tot risorse, e conoscendo la capacita' produttiva dovrebbe fare pressioni sul marketing per saturarla, dicendo loro "abbiamo ancora capacita' per un 10% della produzione, ditemi come allargarmi su nuovi mercati".

Al contrario, quello che fanno e' di permettere all'imprenditore di vivere senza pianificazione, alla giornata, semplicemente dicendo "ho il 10% di capacita' libera? Bene. Rinnovate solo il 10% dei dipendenti".

Qual'e' la differenza in termini di impatto? Che l'imprenditore non si pone piu' il problema di vendere abbastanza da pagare l'azienda, ma di pagare l'azienda per quello che -destino cinico e baro permettendo- riesce a vendere.

Nel breve termine questa strategia sembra dare sollievo alle aziende, che possono licenziare o non rinnovare fino a coprire la capacita' produttiva inutilizzata. Ma nel lungo termine, tutto cio' che otterremo con un calo delle vendite non sara' la segnalazione di un problema, bensi' una reazione automatica.

Nessun imprenditore si mettera' ad analizzare le cause del calo delle vendite, perche' sino a quando non fatica a pagare le spese fisse la risposta e' "non rinnovate i contratti ai lavoratori". Solo allora -quando non riusciranno a pagare nemmeno le spese fisse- noteranno il problema, ma sara' troppo tardi.

In ogni caso, torniamo a Monti. Il suo problema e' di sterilizzare i costi fissi (e lo fara', in questo modo, spostando i dipendenti a costi variabili) e di rendere predicibili i costi variabili. A spese dei lavoratori. Questa e' un'operazione che e' molto piu' complessa, ed e' questo il punto debole della strategia.

Non e' una novita: questo genere di logica fu introdotta da Clinton negli USA diverso tempo fa, ed ebbe il piccolo problemino che dopo il primo "boost" nel quale tutti sembravano essere al lavoro, si inizio' a scoprire che il turnover parcellizzava molto il tempo dei lavoratori. Il risultato era che il lavoratore lavorare 8 mesi l'anno, oppure un anno ogni tre, e il risultato era che nel frattempo usava la carta di credito per vivere.

Questo diede il via ad un boom speculativo di indebitamento privato e crescita degli immobili , la quale poi e' sfociata nel Credit Crunch.

Quello che successe agli USA con questa riforma del lavoro fu:

• Apparentemente rientra il dato sulla disoccupazione.
• I redditi si comprimono, compensati dall'indebitamento dei singoli (e in italia c'e' spazio, visto che i debiti per fortuna sono pochi).
• I singoli fanno debiti per vivere, dando in garanzia implicita o meno degli immobili.
• La domanda di immobili cresce. Crescono i prezzi. Crescono le garanzie , e quindi i consumi.
• L'indebitamento dei privati raggiunge il massimo, insieme ai prezzi degli immobili.
• Si satura il mercato immobiliare.
• Si arriva al credit crunch non appena l'aumento dei prezzi delle case cresce meno dell'aumento di costo del denaro.
• Arriva una crisi come quella del 2008.

In Italia invece tutto si fermera' molto prima. Inizialmente rientrera' il dato sulla disoccupazione, perche' piu' persone lavoreranno meno, ma lavoreranno tutti. Il dato globale verra' drogato. I redditi si comprimeranno, anche se ormai siamo al lumicino e c'e' poco da comprimere.

L'indebitamento sara' l'unica soluzione, ma siamo gia' in un credit crunch, le banche sono gia' a corto di liquidi, c'e' Basilea, il nostro immobiliare e' gia' esausto.

Non si inneschera' la spirale che ha tenuto in piedi gli USA (ma anche Spagna, Inghilterra, Portogallo) per circa 10-15 anni. Il fenomeno finira' tra 3-4 anni, con una forte disoccupazione di persone anziane , donne con figli e personale poco qualificato. Parte si trasferira' sul sistema pensionistico, parte sul welfare.

Monti vi sta vendendo fuffa, aria fritta. Quello che sta facendo con la sua riforma del lavoro non e' altro che drogare il dato sulla disoccupazione con dei finti occupati a breve termine.

Ovviamente, anche Monti si e' scontrato con le sue lobbies. Avrete notato che le nuove regole valgano solo per i nuovi arrivati. Molti di voi sono abituati ad attribuire questo ai sindacati, ma non e' vero: ad opporre resistenza sono le banche.

Supponete che ci siano , in italia, tot mutui casa. Le banche li hanno dati ad un certo prezzo a chiunque avesse un lavoro fisso, per la semplice ragione che il lavoro fisso aveva un tasso di rischio basso. Ora, se qualcuno rendesse precari quei lavoratori, tutti i loro debiti diverrebbero subprime, e le banche si troverebbero letteralmente intossicate da crediti di bassa qualita'.

Cosi', essendo Monti un uomo della finanza italiana (basti notare il blog della finanza italiana, detto anche Corriere della Sera, ovvero l'atteggiamento che ha detto blog verso Monti) , non puo' pestare i piedi ai banchieri, specialmente a quei banchieri che guarda caso sono anche immobiliaristi.

Cosi', quello che Monti fara' sara' di applicare la misura contro l' art. 18 ai nuovi entrati. Se considerate che la carriera lavorativa dura 35 anni , anche permettendo alla gente di andare in pensione si avrebbe un ricambio del 3% annuo.

In piu' non sono tanti i lavoratori che beneficiano dell'articolo 18 oggi, quindi possiamo anche scendere, dal momento che la percentuale di "privilegiati" sul totale e' ancora piu' bassa, molto piu' bassa rispetto agli entranti.

Poiche' coloro che entrano nel mercato del lavoro non possono accendere mutui mentre quelli che ne escono li hanno gia' spenti, il risultato sara' un calo del 3% annuo della massa debitoria dei privati, almeno di quella massa debitoria che viene accordata se c'e' un lavoro fisso.

La sfiga e' molto semplicemente che questo coincidera' con un calo dei consumi relativo a tutte quelle spese normalmente finanziate mediante questo genere di finanziamenti: case, automobili, vacanze, mobili a rate, e cosi' via.

Cosi', tutto quello che otterra' Monti , in sequenza e':

• Un iniziale crollo dell'indice della disoccupazione.
• Una compressione dei redditi ed un aumento di costi del welfare.
• Un calo di domanda di immobili.
• Un calo di credito al consumo.
• Un calo di indebitamento delle famiglie.
• Un calo di consumi.
• Un calo di occupati.
D'altro canto, sul fronte aziendale, otterra':

• Un iniziale miglioramento dello stato patrimoniale.
• Una compressione degli investimenti strutturali.
• Una compressione degli investimenti in R&D
• Una riduzione dei mercati per le aziende italiane.
• Una compressione del mercato interno e degli ordinativi.
• Un'ondata di fallimenti di PMI.
Sul fronte bancario otterra':

• Una lenta decadenza dell'indebitamento delle famiglie.
• Uno spostamento del credito al consumo sulle carte di credito.
• Una lenta diminuzione dell'erogazione di mutui casa.
• Una lenta diminuzione dell'esposizione al rischio per i mutui.


Avrete notato che ho colorato diversamente i diversi risultati. Sul piano politico, la legenda la potrei scrivere cosi':

• In rosso dei risultati "Just for The Show" , che arrivano subito e vanno a gloria di Mario Monti.
• In blu il disastro che pero' arrivera' tra 3-4 anni (e quindi a Mario Frega zero perche' sara' colpa del successore).
• In verde cio' che il "suo" mondo vuole da lui, ovvero le sue reali intenzioni materiali.

Quindi, se me ne fregasse ancora qualcosa dei contratti di lavoro italiani, il mio consiglio sarebbe questo: appoggiate i sindacati se protestano. I sindacati sono quel che sono, ma sono l'unica forza che puo' fermare questa merda.

Monti sta tentando di brillare per un anno a scopo di arricchire, probabilmente, il suo curricula (essendo un accademico la cosa non mi stupisce piu' di tanto: venderebbero la madre per questo) , e di soddisfare i suoi amici banchieri. Cosa che evidentemente sta avvenendo tantevvero che il blog di questi banchieri, detto anche Corriere della Sera ne e' entusiasta.

Ma se continua con la sua opera, dopo l'euforia per i primi risultati vi troverete con un paese letteralmente spolpato.

Cosi', se del vostro paese ve ne frega ancora qualcosa, e' ora di muovere il culo. Perche' forse con Francia o Spagna purche' si magna, ma a quanto vedo con la Germania non si magnera' tanto, tra poco.

Monti vi sta dando uno o due anni di apparente ripresa in cambio di un conto che sara' ancora piu' salato di quello attuale. Lo sta facendo raschiando un barile (il fatto che le famiglie siano poco indebitate) che e' proprio ed esattamente il vostro.

In pratica, stavolta non c'e' in gioco un bene pubblico, sono proprio cazzi vostri. Nel vostro giardino di casa.


(1) Questo presume che lo facciate dal conto aziendale. Se vi assegnate uno stipendio come boss quello diventa una spesa fissa, e come lo spendete sono cavoli vostri.