domenica 28 agosto 2011

Libia - update

Ancora un aggiornamento sulla guerra in Libia e sulle continue criminali menzogne propalate dai media mainstream, occidentali e arabi.


"Come in Iraq: è un'invasione" di Fabio Chiusi - l'Espresso - 26 Agosto 2011

«Non c'è stata alcuna insurrezione di popolo: è stato tutto studiato a tavolino in Occidente per modificare gli assetti strategici del Nord Africa e contrapporsi all'avanzata della Cina nel continente. Un dualismo che può portare a un nuovo conflitto mondiale». L'analisi controcorrente di Giulietto Chiesa

Tutto quello che vi dicono sulla guerra in Libia è falso. Parola di Giulietto Chiesa. Ex inviato dell'Unità e della Stampa a Mosca, autore di svariati libri di geopolitica che confutano, tra l'altro, le versioni ufficiali dell'11 settembre e della morte di Osama Bin Laden («ma chi può crederci seriamente?»), Chiesa racconta all'Espresso la sua versione della fine del regime libico. Che è a suo avviso il risultato di un conflitto lungamente premeditato in cui Silvio Berlusconi «non conta niente» e che apre per il Paese un futuro iracheno. E prelude addirittura a un terzo conflitto mondiale.


Chiesa, come finirà in Libia?

«La conclusione è chiara: c'è una tale disparità di forze sul terreno non tra i ribelli e Gheddafi, ma tra la Nato e Gheddafi, che non ci può essere un altro esito che non una demolizione dell'attuale stato libico. Demolizione che però non finirà la guerra. La guerra continuerà in altre forme. E' evidente che Gheddafi ha delle forze. Con la sparizione di Gheddafi, per uccisione o con l'uscita di scena tecnica non finiranno queste forze, che si dimostrano sul terreno straordinariamente vitali».

Che sarà del Paese?
«Una delle varianti possibili è la sua disgregazione e la prosecuzione di una situazione endemica di combattimento che richiederà molti anni e molti morti di cui non si può vedere la fine in nessun modo. La conclusione militare è certa, la conclusione del conflitto no».

C'è un rischio Iraq?

«Sì, prevedo una cosa del genere. Esperti come Angelo Del Boca hanno la stessa idea. Perché la divisione del Paese è stata artificiale, organizzata, stimolata».

Nessun moto spontanea di ribellione della popolazione, nessun anelito democratico negli insorti?

«Su questo sono risoluto: non c'è assolutamente nulla di tutto ciò. Non c'è nessuna vocazione alla democrazia in nessuna di queste rivolte. Le vocazioni democratiche sono risultate assolutamente minoritarie sia un Tunisia, sia in Egitto sia tanto più in Libia. Questa descrizione dell'anelito dei popoli arabi alla democrazia occidentale è una delle falsificazioni più clamorose che siano state inventate nell'epoca moderna».


E cosa li ha spinti allora?
«Nel caso della Libia il problema è diverso, perché la guerra libica è stata programmata con largo anticipo dalle forze occidentali. Ma per quanto riguarda l'anelito alla libertà negli altri paesi è accaduta una cosa che noi europei non vogliamo vedere, perché siamo eurocentrici. In questa parte del mondo è avvenuta una rivoluzione demografica di proporzioni gigantesche.

Negli ultimi 25 anni è nata una nuova generazione di tunisini, algerini, egiziani che vedono la televisione, per esempio. E questo, che i loro padri non potevano fare, consente un confronto tra la loro vita di oggi e la vita, falsificata dagli schermi, dell'Occidente. E' una specie di modello Albania in grande scala. Vedono le tivù dell'Occidente, fanno i confronti, capiscono che i beni ai quali vorrebbero e potrebbero accedere non sono disponibili per loro e si rivoltano».


Ma non capiscono anche che c'è un altro sistema di governo che, invece, lo permette?

«Forse possono confusamente pensare che qualcosa del genere possono averlo anche loro. Ma non possono anelare a una cosa che non conoscono. I dati egiziani ci dicono che le spinte democratiche sono largamente superate da quelle a una società islamica, autoctona, molto legata ai loro valori tradizionali».

Perché dice che il conflitto libico è stato programmato con largo anticipo?

«Io ho una teoria, che merita di essere verificata. Su
Megachip.info, il mio sito, ho pubblicato la notizia che francesi e inglesi si stavano da tempo esercitando militarmente in vista di un attacco da organizzare contro un paese che minacciava i loro interessi. Nessuno l'ha smentita.

Secondo: si sapeva benissimo che in Cirenaica c'erano già gruppi armati paracadutati dai servizi segreti americani e britannici.

Terzo: si sapeva benissimo che esisteva un governo provvisorio rappresentante la Cirenaica a Londra. Composto di persone i cui legami con i servizi americani e le fondazioni americani sono ben noti e accertati. A un certo punto si è deciso evidentemente che bisognava modificare gli equilibri all'interno del Nord Africa. Perché adesso?».


Già, perché?

«Perché l'Africa sta diventando il grande terreno del confronto, per ora non militare ma economico, con la Cina. La Cina sta conquistando l'Africa con forme economiche e finanziarie di grande portata. L'Africa è il terreno su cui la Cina dovrà costruire una parte rilevante del suo sviluppo e del sostentamento del suo sviluppo, alimentare ed energetico».


Lei a questo proposito ha parlato di Terza guerra mondiale...

«Certamente, questo è l'avvio di uno scontro inevitabile. Da qui a 5-10 anni al massimo non ci sarà più spazio per noi, l'Occidente, e per loro, cioè la Cina, su questo pianeta. E allora si porrà il problema: se come dichiararono sia Reagan, che Clinton e Bush figlio e padre, il tenore di vita del popolo americano non è negoziabile, allora è la guerra. Oppure ci si rivolgerà in un'altra forma di cooperazione internazionale, ma di cui non vedo il minimo segno, ci si metterà d'accordo per una gestione unitaria delle risorse disponibili che non sono infinite ma finite».


Una forma di decrescita.

«Sostanzialmente sì, è evidente. La crescita non è più possibile. I prossimi 10 anni saranno di recessione dell'Occidente e di crescita di Cina, India, Brasile».

E chi dichiarerà guerra in questo ipotetico conflitto mondiale?

«Gli Stati Uniti, sicuramente. La Cina non ha l'egemonia né culturale né artistica degli Usa. La Cina potrà dominare attraverso la sua presenza economica, ma non sarà sufficiente né per trascinare, né per convincere, né per diventare particolarmente attraente o seduttiva. Solo chi è il più armato di tutti può decidere le sorti di questo conflitto imminente. Cioè gli Stati Uniti».


Però in Libia gli Stati Uniti sono rimasti nelle retrovie rispetto a Francia e Inghilterra.
«Sì, è così che è avvenuto. Hanno agito nelle retrovie e sono stati molto intelligenti. Perché hanno usato alcuni dei problemi dell'Europa. In questo momento l'attacco è contro l'Europa. Se c'è qualcuno che doveva sputtanarsi erano gli europei. Così come stanno cercando di demolire l'Europa e l'euro per metterlo al servizio del dollaro, avevano bisogno anche di compromettere l'Europa in una operazione di più vasto respiro».

Di chi parla?
«Dei circoli che contano e hanno il potere negli Usa, e cioè i banchieri che si riuniscono a Wall Street una volta al mese per decidere i destini dell'occidente. Non certo il povero Obama. Non c'è nessuna democrazia in Occidente, non esiste più. Esiste un simulacro di democrazia attraverso il quale noi pensiamo di incidere sui destini del pianeta.

In realtà la gente né in Europa né negli Usa conta nulla, contano loro decidono loro. La crisi europea in questo momento è stata decisa da loro, da questo gruppo. Una oligarchia ristrettissima di uomini possenti i cui limiti intellettuali sono evidenti ma di cui è altrettanto evidente l'assenza di limiti nelle loro ambizioni e nel loro egoismo».


I nomi?

«Sono quelli come Warren Buffet, dei grandi potenti del pianeta. Che hanno in mano tutto».


Venendo all'Italia, Berlusconi avrebbe potuto o dovuto comportarsi diversamente?

«Non avrebbe potuto comportarsi diversamente perché non conta nulla in questo gioco. L'ha detto lui stesso: «Mi hanno dettato loro cosa fare». Non voleva fare la guerra con la Libia, per ragioni sue personali, e gli hanno fatto fare la guerra. Non voleva in nessun modo adottare le misure europee e gliele hanno fatte adottare. Non dico che avrebbe potuto fare meglio, non aveva margini di manovra».

Lei ha criticato molto l'intervento Nato. Secondo lei sarebbe stato preferibile mantenere il regime di Gheddafi così com'era?

«Chi è che decide quale regime deve essere mantenuto? Nessuno aveva il diritto di intervenire in Libia. Lo statuto dell'Onu, che la risoluzione del 1973 ha cancellato, dice che un intervento dall'esterno è ammissibile solo se un paese minaccia la pace internazionale con le sue azioni. Ma Gheddafi non lo stava facendo in quel momento. Da tempo si era messo in linea con gli interessi dell'Occidente. Perché si è deciso che il suo regime non andava bene?»,


Per l'urgenza. Stava minacciando il bagno di sangue contro gli insorti.

«Tutto questo è già stato dimostrato come falso. I 10 mila morti non c'erano e nessuno li ha mai visti, le fosse comuni lo stesso, i bombardamenti sui cortei della popolazione non c'erano. Ho lavorato su tutte le fonti disponibili e non ho trovato una sola immagine, una sola notizia attendibile.

La notizia è stata data da Al Jazeera, ma era palesemente non credibile nel momento in cui è stata data. Perché dopo due giorni dall'inizio delle rivolte qualcuno doveva aver contato i 10 mila morti, e io vorrei sapere come si fa».


Tutto falso?

«Il fatto è che noi siamo in mano a un mainstream media che racconta le balle che le vengono presentate da qualche fonte normalmente organizzata dai servizi d'influenza. Non li chiamo segreti. Sono loro che producono notizie false. Tutta questa ultima fase della battaglia è interamente falsa.

Perché abbiamo i testimoni là che ce lo raccontano. Non sono quelli che appaiono sui mainstream. Sappiamo che ci sono le squadre armate che sono state paracadutate. Sappiamo benissimo che i ribelli sono stati appoggiati pesantemente anche sul terreno da forze armate da armi che non erano libiche. I ribelli contano tanto come il tre di picche.

Tutta questa storia è stata pompata, come con l'Iraq, perché si organizza prima la spinta di massa dell'opinione pubblica per accettare la guerra e poi si fa la guerra. Quando l'opinione pubblica ha ceduto».


Tutti i media mondiali sono stati tratti in inganno o asserviti?

«Non tutti, ma ci sono alcune marginali frange che non raggiungono mai il grande pubblico che dicono diversamente. Il resto dice tutto la stessa cosa. E sta accadendo da tempo. Abbiamo l'esempio dell'Iraq. Tutto il mainstream media ha sostenuto la guerra.

Tutti i giornali italiani hanno sostenuto la guerra dell'Iraq, e tutte le televisioni, eppure era palesemente una menzogna. Io l'ho detto dall'inizio. Il mainstream agisce all'unisono per la semplice ragione che è interamente nelle mani di coloro che organizano la guerra. La gran parte dei giornalisti non fa il suo mestiere e racconta le bugie che gli sono inviate sottobanco».


E gli inviati rapiti in Libia? Anche loro fanno così?
«Ci sono anche amici miei minacciati di morte, in questo momento. C'è una guerra sporchissima, in cui distinguere gli spioni che vengono paracadutati per fare gli istruttori con i giornalisti è molto difficile. Di fronte ai bombardamenti che uccidono i civili, come quelli che stiamo vedendo in queste ore, direi che è un peccato veniale».

Truppe di terra?

«E' possibile, sono convinto ci siano già le truppe di terra. Gli istruttori ci sono già da mesi. Basta guardare le divise. Splendide. Armi modernissime. Da dove sono venute? Sono venute dal cielo? Sì, esattamente. Sono cadute dal cielo».


Per il petrolio?

«No, quello lo prendevano lo stesso. Il problema è che Libia e Siria, oltre alla Giordania a dire il vero, sono gli unici due paesi del Mediterraneo che non erano ancora integrati nel sistema militare di difesa della Nato. Con la caduta di Gheddafi la Libia entrerà nel regime di difesa militare della Nato, estendendolo a tutto il Nord Africa. L'obiettivo è di unificare sotto un unico comando militare non solo l'Europa ma anche il Nord Africa. Un'operazione di lunga prospettiva, molto strategica».


La prossima è la Siria?

«Sì. Oppure l'Iran, ma quella è un'altra variante. Che emergerà solo quando la crisi sarà più acuta».



La tempesta tradotta
di Gianluca Freda -
Blogghete - 27 Agosto 2011

“Mi hai insegnato il tuo linguaggio, e il profitto che ne ho tratto è che adesso so come maledirti. Ti stermini la peste rossa per avermi insegnata la tua lingua!”
(W. Shakespeare, La Tempesta)

Gli Stati Uniti stanno per essere colpiti da una tempesta di gigantesche proporzioni. Questa tempesta è il fallimento completo dell’operazione mediatica con cui, a partire da sabato scorso, avevano proclamato la “liberazione” di Tripoli e la vittoria del gruppo di masnadieri che sulla stampa vengono chiamati “ribelli” o “insorti”, ma che sarebbe più esatto definire macellai e sadici assassini, in gran parte mercenari dei paesi NATO o membri di Al Qaeda reclutati qua e là nei paesi arabi.

A una settimana dai proclami di vittoria, le forze lealiste di Gheddafi resistono, controllano ancora gran parte della capitale, nonché almeno 20 città libiche che la stampa internazionale, mentendo spudoratamente, aveva dato per “conquistate dai ribelli”.

L’operazione mediatica era stata progettata con cura, in stretta cooperazione con le reti televisive e le agenzie di stampa internazionali a cui si abbeverano anche i lacché del giornalismo nostrano.

Per tutta la scorsa settimana si era continuato a parlare, con toni sempre più trionfalistici, di fantomatiche conquiste compiute dai “ribelli” (le città di Zliten, Zawiyah, perfino Misurata), conquiste che erano inspiegabili, stante la totale deriva politica e militare in cui il movimento degli insorti, già di per sé inconsistente, era venuto a trovarsi dopo l’uccisione del loro capo, il colonnello Abdel Fatah Younis.

La grancassa mediatica ha strepitato per tutta la settimana gli stessi avvertimenti assordanti: I ribelli si avvicinano a Tripoli! I ribelli hanno circondato la capitale! I ribelli stanno arrivando!

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Finalmente, sabato 20 agosto, tutto l’apparato dei media dell’impero ha iniziato a trasmettere la notizia tanto attesa dell’”arrivo degli insorti a Tripoli”. Era tutto falso.

Gli insorti non erano “arrivati” da nessuna parte, ma si trattava di “cellule dormienti” già presenti nella capitale libica, poco più di un centinaio di persone a cui era stato dato l’avviso che l’operazione mediatico/militare era iniziata.

Parte di questi individui hanno iniziato a impazzare per le strade cittadine, saccheggiando e uccidendo, esattamente come hanno fatto nel resto della Libia negli ultimi sei mesi, allo scopo di terrorizzare la popolazione e distrarre le forze militari.

Un’altra parte si è appostata, in qualità di cecchini, in punti chiave della città, in particolare presso l’Hotel Rixos, che ospitava i giornalisti stranieri indipendenti. L’ordine era di impedire ai reporter di uscire dall’Hotel, affinchè non vedessero cosa realmente stava accadendo.

Per assicurarsi al 100% che venisse eseguito, i giornalisti sono stati esplicitamente minacciati di morte da alcuni “colleghi” della CNN, che erano in realtà agenti della CIA e dell’MI6 sotto copertura.

Una minaccia mostruosa, che gli stessi giornalisti non riescono nemmeno a spiegare agli organi di stampa di cui sono corrispondenti e ai loro lettori/spettatori, visto che per la stampa e le persone comuni i servizi segreti e i loro misfatti sono “un’invenzione dei complottisti”.

La banda di grassatori è stata prontamente neutralizzata e il giorno dopo Tripoli sembrava di nuovo tranquilla. I giornalisti indipendenti riferivano che la città era calma. Uno di loro, Franklin Lamb, nel corso della mattina compiva un lungo giro in bicicletta per le strade cittadine, senza notare nulla di strano. Ma al suo ritorno in albergo veniva colpito alla gamba dal proiettile di un cecchino.

Un altro giornalista, Mahdi Darius Nazemroaya, veniva sfiorato da due proiettili mentre cercava di appendere il cartello “stampa” ad una delle porte dell’hotel. Era un avvertimento preciso: rimanete nelle vostre stanze, non uscite all’esterno.

La sera di domenica iniziava l’invasione vera e propria. Non certo dalle inesistenti “città conquistate”, ma dal mare. Un gruppo di un migliaio di tagliagole, trasportato da mezzi NATO e sotto copertura di elicotteri Apache, veniva fatto sbarcare sulle coste di Tripoli, non più difese militarmente dopo la distruzione della flotta libica ad opera dei missili della coalizione. Iniziava così una delle campagne di disinformazione più allucinanti e disgustose che mai si siano viste nella storia del giornalismo.

In assenza di fonti indipendenti che potessero verificare ciò che realmente stava accadendo, i media “embedded” e i giornalisti sguatteri dei paesi colonizzati (tra cui ovviamente l’Italia) hanno potuto sbizzarrirsi nel dare in pasto all’opinione pubblica le più incredibili e plateali menzogne.

Si è detto che gli insorti avevano “liberato” Tripoli senza incontrare resistenza, che il popolo era sceso in piazza per festeggiare (menzogna consueta di tutte le guerre USA), che Gheddafi era fuggito in Venezuela, che tre dei suoi figli (compreso Seif Al Islam) erano stati catturati dai ribelli, che un quarto figlio, Khamis, era stato ucciso (morte già annunciata dai media per tre o quattro volte negli scorsi mesi e sempre rivelatasi una menzogna). Di tutto e di più.

Le TV trasmettevano immagini in diretta dell’avanzata dei tagliagole miste ad immagini preregistrate e perfino a filmati girati in India (!), per far credere che Tripoli fosse totalmente nelle mani dei “ribelli” e che l’esercito lealista di Gheddafi si fosse sciolto come neve al sole.

Contemporaneamente gli aerei della NATO iniziavano un bombardamento indiscriminato e violentissimo, colpendo quartieri civili, ospedali, scuole. Una strage degli innocenti, che sarebbe proseguita senza interruzione nei giorni successivi.

Il giorno seguente, buona parte dei “ribelli” veniva circondata dai lealisti nella zona di Bab-al-Azizia e uccisa o arrestata. Ma era solo la prima ondata.

Il peggio sarebbe iniziato la sera stessa e nei giorni successivi, con lo sbarco sulla costa di Tripoli di altri 6000 uomini circa, in gran parte mercenari francesi e inglesi, misti a ceffi di Al Qaeda provenienti dal Qatar, dagli Emirati Arabi e da altre zone del globo.

Insieme ai bombardamenti NATO, che proseguivano incessanti, questa truppa di assassini si sarebbe resa responsabile di un bagno di sangue di proporzioni inaudite, culminato nell’assalto al quartiere di Abu Slim avvenuto il 25 agosto.

Il quartiere di Abu Slim ospita i dipendenti dello stato, l’elite libica che consentiva il funzionamento delle istituzioni della Jamahiriya. I mercenari della NATO lo hanno assaltato in forze, con il pretesto che in quelle case sarebbe stato nascosto Gheddafi.

I media di tutto il mondo, ubbidienti come servette, titolavano “Gheddafi circondato”, mentre i contractors della NATO e i “ribelli” rimasti si davano allo sterminio degli abitanti.

Si tratta esattamente della stessa strategia utilizzata dagli USA in Iraq: i “tecnici” del paese occupato vengono massacrati, per assicurarsi che le vecchie istituzioni non possano mai più essere ripristinate.

Sul massacro il CNT ha mantenuto il più assoluto silenzio, ma esso è stato di tali proporzioni che perfino alcuni media “embedded” non hanno potuto fare a meno di rilevarlo.

L’inviato di France24, Matteo Mabin, riferiva: "Non si tratta di combattimenti, ma di una caccia agli ultimi seguaci del colonnello Gheddafi, o meglio ai tecnici del sistema di Gheddafi, piccoli funzionari che servono direttamente lo Stato, raggruppati in questo quartiere di Abu Slim, in blocchi di appartamenti e che, stando qui, non hanno avuto la possibilità di fuggire, per scampare alla vendetta della ribellione. Quella che vediamo oggi, è certamente la fase più triste della guerra in Libia, con le colonne di ribelli che si accaniscono su questo quartiere, sui suoi abitanti, sulle famiglie che hanno trovato rifugio in questi blocchi di appartamenti. I nostri colleghi vengono adesso dal principale ospedale di Tripoli dove hanno visto per tutta la notte e questa mattina arrivare un gran numero di vittime di arma da fuoco, tra cui anziani, donne e persino bambini. Il CNT ha mantenuto il più totale silenzio su questi avvenimenti. Non vi è alcun invito ad arrendersi. Ci si avvicina sicuramente alla fase più triste del conflitto, ed è probabile che il CNT ed i ribelli vogliano una resa dei conti [...]. Siamo in una fase di epurazione che sembra assolutamente incontrollata, con la banda di Misurata, città martire della Libia, che è venuta fino a Tripoli per compiere la sua vendetta”.



Nel momento in cui scrivo, il sito di “Repubblica” riporta, senza vergogna: “Scoperto l’ospedale degli orrori, 200 cadaveri”. In realtà i cadaveri, negli ospedali dell’orrore di Tripoli, sono molti di più, tutti provocati dalle stragi della NATO e dei fantomatici “ribelli” che Repubblica avalla da mesi attraverso le sue menzogne.

Il “massacro di civili” di cui parla tardivamente l’orrida Amnesty International, è riportato in un trafiletto in fondo al box, perché i lettori non ci facciano troppo caso.

La stampa del fascismo era un modello di correttezza e imparzialità giornalistica, al confronto di questi cialtroni, e anche quando mentiva lo faceva almeno in nome di interessi nazionali, non in ossequio alla criminalità stragista di un impero coloniale straniero.

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Nonostante l’accurata preparazione, quest’attacco combinato di barbarie omicida, di manipolazione psicologica, di colossali menzogne a mezzo stampa e violazione plateale dei limiti definiti dalla risoluzione 1973 dell’ONU, è miseramente fallito.

Le truppe leali a Gheddafi controllano ancora buona parte della capitale e del territorio del paese e la “vittoria” annunciata per via televisiva dagli Stati Uniti e dalle agenzie di stampa si rivela, ogni ora che passa, per l’immensa bugia che è. Perfino l’ONU, in un rapporto di Ian Martin, consigliere del segretario generale Ban-Ki-Moon, inizia a denunciare gli abusi compiuti dai ribelli.

Il trasferimento del CNT a Tripoli, annunciato in pompa magna dai paesi della coalizione e dai loro organi di propaganda, risulta a questo punto non solo una risibile foglia di fico politica (il CNT è un organismo evanescente, gestito da individui privi di ogni capacità politica o militare, odiato dalla popolazione e squassato da lotte intestine), ma anche un’operazione difficilmente realizzabile sul piano logistico, vista la strenua resistenza dei lealisti nella capitale e altrove.

Di fronte a questa Caporetto dei loro piani, pare che Obama e i suoi progettisti militari abbiano ordinato ai portaborse dei media di spostare altrove l’attenzione del pubblico, nell’attesa che qualcuno escogiti un altro sistema per uscire dal pantano libico.

Così, nel momento in cui scrivo, “Repubblica” e gli altri giornali mettono la Libia in secondo piano, concentrandosi sull’arrivo dell’uragano Irene a New York, propagandato e ingigantito ad arte dai funzionari dei regimi occidentali con le tecniche terroristiche e di psyop che ben conosciamo, sperimentate con dovizia di titoli a otto colonne sulla nostra pelle, nel corso degli anni.

Si tratta di un penoso diversivo, che tradotto nella nostra lingua dal linguaggio criptico dei media di regime, che abbiamo imparato a decifrare e interpretare nel corso degli anni, è una dichiarazione di disperata impotenza.

L’impero ha impiegato tutta la propria mastodontica batteria di fuoco, le forze congiunte di una quarantina di protettorati, il poderoso apparato di fabbricazione e distorsione della realtà di cui si serve per coprire i suoi crimini; e nonostante questo non è ancora riuscito a piegare la determinazione di una microscopica nazione di 5 milioni di abitanti, vedendosi così costretto ad ordinare ai suoi sgherri una precipitosa marcia indietro.

Questo dietrofront vigliacco, nascosto dietro l’improvvisa sostituzione dei titoli di testa, è una vera e propria gioia per gli occhi. Ed è per me un piacere offrire al pubblico la traduzione in termini strategici di questo SOS imperiale, che sembra preludere al giorno in cui il linguaggio segreto con cui esso ha perpetrato e coperto i suoi crimini verrà svelato e ritorto contro i parlanti. Sarà una tempesta magnifica, di cui voglio godermi ogni lampo, ogni esaltante raffica di vento.


La macelleria umanitaria dell'invasione della Nato in Libia

da http://mesaredonda.cubadebate.cu - 25 Agosto 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Le agenzie e le catene mediatiche internazionali che hanno decretato la "caduta" prematura del presidente libico sono concordi nell’apprezzamento. Tripoli, la capitale della Libia, vive uno stato di anarchia e di "guerra civile". Nessuno controlla e le uniche certezze sono il caos e l'incertezza.

In questo scenario si adombra la possibilità che i "bombardamenti umanitari" del NATO – da leggersi come la distruzione della Libia e massacro di decine di migliaia di civili durante cinque mesi - si trasformino in un’"invasione terrestre umanitaria" per controllare il petrolio e per rendere governabile il Paese.

La capitale della Libia è simile a una vera macelleria umana, è tutto un caos, anarchia, incertezza, e senza punti precisi delle posizioni nemiche.

Si parla di una guerra urbana sanguinosa e senza parametri, con esecuzioni, torture e "battute di caccia" notturne delle fazioni alleati civili, tanto del governo quanto dei mercenari. Gli ospedali sono collassati per i feriti e mutilati che non riescono a essere curati.

I morti, come era già avvenuto in Iraq, rimangono ore nel mezzo delle strade senza essere raccolti. Non c'è quasi più elettricità, non ci sono servizi essenziali, l'attività economica è paralizzata e si prevede una catastrofe alimentaria. Le cifre dei morti e dei feriti nelle ultime 72 ore arrivano a migliaia, alcuni parlano di tremila morti e altri del doppio.

La confusione e la manipolazione mediatica per favorire gli invasori hanno toccato livelli impensabili. Quello che sembrava una "passeggiata" per la coalizione imperialista USA-NATO che ha formato e coordinato i gruppi mercenari golpisti, si è complicata, finendo a brandelli.

Gheddafi, con una mossa tattica, si è trasformato in un "fantasma" che è ovunque e in nessun luogo. Con quello che rimane in piedi della sua linea di comando, il leader libico ha concentrato la sua logistica e le sue truppe nei punti più forti.

Con truppe, carri armati e batterie che sembravano emergere dalle cantine, quello che rimane dell'esercito del presidente libico ha bombardato e attaccato questo mercoledì i gruppi mercenari in varie zone di Tripoli.

La realtà, descritta parzialmente dai corrispondenti stranieri, manda all'aria il supposto controllo attribuito alle forze dei ribelli presenti nella capitale della Libia.

Quello che era prima un nemico "visibile", Gheddafi ed il suo esercito, ora si è trasformato in un nemico "invisibile" che attacca e si dilegua.

Parallelamente, un’azione di guerra asimmetrica, realizzata dalla popolazione leale, realizza imboscate, attentati e azioni di guerriglia urbana contro i gruppi mercenari e i comandi e gli ufficiali delle forze speciali e di intelligence di Stati Uniti, Regno Unito e Israele, che progettano e coordinano le iniziative di presa e di controllo di Tripoli.

In ventiquattro ore, dopo della presa del bunker presidenziale da parte dei ribelli, l’atmosfera, tra i capi dei mercenari e i leader delle potenze invasore, è passata dall'euforia trionfalistica all'incertezza.

Analisti europei e statunitensi parlano già di una "trappola" per gli invasori. Parallelamente, la stampa internazionale, spina dorsale dell’"informazione" della coalizione USA-UE, chiede quasi apertamente che gli USA e la NATO schierino le sue truppe direttamente in Libia.

Dal martedì, i commentatori e gli analisti di alcune emittenti come la CNN hanno auspicato un"intervento internazionale" per evitare che la Libia cada nel caos dei "gruppi fondamentalisti" che integrano il comando "ribelle" del CNT.

La percezione presente nei comandi imperialistici degli Stati Uniti e dell’Europa è che le schiere dei "ribelli" sono quasi un mosaico delinquenziale di gruppi mercenari fondamentalisti di varia estrazione, che una volta al potere lottano tra sé per la spartizione del bottino di guerra.

Questo è il punto centrale che oscura e rende impraticabile la strategia di conquista della Libia senza sacrificio di soldati e senza un costo politico per le potenze della coalizione USA-NATO.


Nessun analista vede un futuro per un governo fantoccio (come in Iraq o in Afghanistan) formato da gruppi di mercenari addestrati dalla CIA, la cui unica esperienza è quella di combattere su mandato altrui e di arraffare denaro e prebende.

E sono innumerevoli le versioni, uscite principalmente dei bunker del potere statunitense ed europeo, che danno per scontato un piano militare e un calendario per le potenze imperialiste, con gli Stati Uniti in testa, per imporre la "pace" in Libia con basi militari e soldati come in Iraq ed Afghanistan.

Nel frattempo, gli obiettivi e i meccanismi economici che hanno alimentato l'operazione militare di frazionamento della Libia e il massacro della sua popolazione civile si sono già messi in movimento.

Mentre i dirigenti e i funzionari imperialisti preparano un governo collaborazionista di "transizione", le grandi aziende, le banche e l’industria bellica USA-UE preparano lo sbarco in Libia sotto la solita litania della "ricostruzione" delle infrastrutture e dell’economia del paese, distrutte dai bombardamenti delle stesse potenze che arrivano con il rango di "salvatori".

Gli Stati Uniti e le potenze della NATO hanno già deciso di sbloccare i beni libici presente all’estero per poter consentire alla nuova 'amministrazione di comprare armi ai militari, alle industrie petrolifere di ricostruire l'industria petrolifera e il mercato libico, e alle multinazionale e ai gruppi finanziari di spartirsi con efficacia il bottino della "ricostruzione" della Libia.

E la Libia, al costo della sua distruzione, del massacro collettivo e della crisi umanitaria, conferma ancora la piena validità del principio basilare di Rothschild che guida storicamente le operazioni imperiali di conquista: "Dove non c'è guerra, bisogna inventarla per fare scambi."





































Il massacro dei neri da parte dei ribelli "democratici"
. Investig'action si era incontrata con le vittime
di Michel Collon - www.michelcollon.info - 27 Agosto 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

L’Associated Press ha annunciato con freddezza il massacro di un gruppo di persone nere installate in un accampamento di fronte alla residenza presidenziale libica. Decine di corpi senza vita sono state ritrovati con le mani legate dietro la schiena. L'agenzia precisa che non erano dei combattenti. Michel Collon e la delegazione che si erano recate sul posto al mese di luglio avevano incontrato questi uomini che amavano la Libia. MICHEL COLLON :

"Ho incontrato queste persone all'epoca della mia missione a Tripoli. Ho potuto conversare con alcuni. Non erano per niente dei "mercenari" come pretendono di dire i "ribelli" e i media. Alcuni erano dei libici dalla pelle nera, una grande parte della popolazione è in effetti di tipo africano, gli altri erano cittadini giunti dai paesi dell'Africa nera e soggiornavano da molto in Libia. Sostenevano Gheddafi perché si opponeva al razzismo e perché trattava arabi e africani con uguaglianza.

Al contrario dei "ribelli" di Benghazi, noti per il loro razzismo contro i neri e che si sono resi colpevoli di atrocità spaventose e sistematiche fin dai primi giorni di guerra. Il paradosso è che la NATO pretende di portare la democrazia e che per questo si allea a una sezione libica di al Qaeda e ai razzisti sullo stile del Ku Klux Klan!" Tutta la squadra di Investig'Action è sconvolta da questa triste notizia.

Simon de Beer, storico, membro di Investig'Action:
"Alcune migliaia di africani neri vivono in Libia. Ho avuto l'opportunità di discutere con molti di loro, in particolare nel campo di Bab al-Aziziya. La maggior parte vedono in Gheddafi uno dei padri dell'Africa. Non esitano a paragonarlo a Lumumba e a Sankara. Ciò può sembrare stupefacente visto da uno straniero, ma non bisogna dimenticare mai che, nel più povero dei continenti, la Libia costituisce l’eccezione: la speranza di vita è di 75 anni; l'acqua, l'elettricità, le cure sanitarie e l'insegnamento sono gratuiti; un pieno costa appena più di un euro. Questo è il motivo per cui milioni di africani sostengono fortemente Gheddafi. Sono stato sconvolto dall’apprendere la notizia brutale della morte brutale di quelli che, in segno di solidarietà al regime, si erano accampati pacificamente davanti alla residenza di Gheddafi. Il loro assassinio è un atto barbaro e gratuito.

Come si può osare ancora definire i ribelli come forze "democratiche?"

Tony Busselen, giornalista del Solidaire, partecipava alla stessa missione, qualche settimana fa:

"Le nostre foto mostrano che queste persone erano dei civili senza armi, c'erano anche molte donne e di bambini. Ho parlato con loro, erano davvero mobilitati contro la guerra e non comprendevano quello che voleva l'Europa.

Mi dicevano: "Ma qui, è un paese che funziona, le infrastrutture sono molto meglio che in Africa, è una cosa buona per noi, e l'Europa viene a bombardare! È incomprensibile. Erano molto motivati per difendere la Libia perché la potevano paragonare col loro paese di origine.

È veramente barbaro che si massacri queste persone disarmate legandole a due a due con le mani dietro la schiena; erano persone semplici, dei lavoratori venuti spontaneamente a difendere la loro nuova patria.

Si tratta di terrore e ho visto delle foto degli stessi atti commessi a Bengasi dai "ribelli" che quindi lo praticamente diffusamente. Allora, quando vedo a Tripoli delle persone che "applaudono" i ribelli, penso che siano semplicemente terrorizzate. La Nato semina il terrore.

Ilse Grieten (INTAL):
"Quando vedo queste cose, non riesco a crederci. Avevamo sentito già tanti racconti di atrocità commessi dai ribelli, e queste sono le persone che sosteniamo e armiamo!?

Sono furiosa, ancora una volta, ogni giorno di più! Queste persone sono così oneste, centinaia di individui che rappresentano tanti paesi africani, tutti intorno alle loro tende, da mesi, convinti che bisogna sostenere Gheddafi e la Libia come un esempio per l'Africa. Li sento ancora dirci: "La Libia è la madre dell'Africa."

Ci mostravano concretamente l'unità africana. Volevano sempre prendere la parola per farci comprendere che si trattava di un attacco contro l'Africa e le sue materie prime. La Libia è la porta dell'Africa.

Spero che la loro voce alla fine verrà sentita. Perché la NATO e i ribelli hanno rifiutato questa proposta di pace dell'Unione Africana, composta da 53 paesi? Perché non ne abbiamo sentito parlare mai qui?

Per loro, Gheddafi è un simbolo dell’unità africana, l’uomo che protegge dell'unità africana, l'uomo che la protegge dal saccheggio neocoloniale. L'uomo che ha fatto più per l'Africa che i dirigenti dei propri paesi. Pubblicheremo prossimamente le testimonianze di questi uomini e di queste donne.

Immagini dallo schermo di un video di Reuters che osa dire che non si sa ancora chi ha perpetrato questo massacro.





Le seguenti foto provengono da un account Facebook di sostenitori del CNT. I luoghi e date sono difficilmente definibili. Ma è certo che gli uomini arrestati non sono dei combattenti e vengono minacciati, assassinati addirittura proprio nel momento in cui pubblichiamo queste foto.

Tutto grazie all'ONU, alla NATO, gli eletti europei e al loro sinistro inviato speciale, Bernard-Henri Levy, con il pretesto di proteggere la popolazione e di instaurare la democrazia.







Legittimazione del massacro da parte di Le Figaro:

Schiacciati verso la Porta Orientale, gli ultimi fedeli della Guida si sono sbarazzati della propria uniforme, hanno indossato abiti borghesi e sono scomparsi dentro Tripoli.
Alcuni sono stati fatti prigionieri, tra cui dei mercenari.


Un velo pietoso per Tg3 e Rai News

di Gilguysparks - http://gilguysparks.wordpress.com - 28 Agosto 2011

Se c’è una cosa che la guerra in Libia ha messo ulteriormente in luce, da febbraio ad oggi, è la totale mancanza di libera informazione in Italia. Fin dall’inizio di questa sporca storia che ha prodotto un ancor più sporca guerra, i nostri telegiornali e quotidiani sono stati una parte importante della manipolazione dell’opinione pubblica e senz’altro quella più determinante nell’impedire il sorgere di un’opposizione concreta a quanto si andava profilando.

A maggior ragione, rispetto ad altri Stati che non avevano stretto un’alleanza politica, economica e militare così stretta con il rais libico, in Italia più forte poteva emergere il rischio che i cittadini cogliessero, come un’indegna contraddizione, il fatto che solo pochi mesi prima ci fossero le alleanze e subito dopo le bombe.

La posizione dell’Italia, era e rimane di assoluto imbarazzo in politica estera; nondimeno, per le sue caratteristiche logistiche e quindi il numero di basi militari Usa e Nato, è un’imprescindibile pedina per qualsiasi operazione nei teatri mediterranei e balcanici (e non solo).

L’accettazione incondizionata della vulgata secondo cui si siano realmente realizzate ad opera delle forze armate libiche delle stragi efferate con fosse comuni, stupri punitivi e crimini contro l’umanità rimangono allo stato attuale delle pure speculazioni.

Le uniche fonti dalle quali provenivano tali accuse, cioè l’opposizione libica nella figura del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), artificiosa costruzione dei servizi occidentali, hanno dimostrato ripetutamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, di aver mentito e di avere continuato a farlo per tutto questo tempo.

Il CNT di Benghasi è stato concepito e strutturato con l’unico obiettivo di garantire alle potenze imperialiste occidentali un rapido cambio di regime, più favorevole e malleabile allo sfruttamento delle risorse della Libia, il paese africano con il più alto reddito pro capite dei suoi cittadini.

Al CNT è stato fin da subito affiancato più di un reparto straniero che ha operato nell’elaborazione, costruzione e disseminazione di false informazioni, fotografie manipolate, video elettronicamente alterati, tendenti a distruggere la credibilità interna ed esterna del legittimo governo di Mohammar Gheddafi.

L’elenco dei fatti distorti, riportati come veri dal CNT e propagandati massimamente dagli organi di informazione internazionale, è enorme e a disposizione di chiunque voglia sapere ciò che è realmente accaduto da febbraio ad oggi nello stato sovrano della Libia.

I nostri media nazionali hanno amplificato, senza operare alcun filtro o verifica, le menzogne che via via venivano prodotte dai reparti delle operazioni psicologiche, per accelerare la caduta di Gheddafi.

Nell’ultima settimana i nostri media, anche quelli che, presso una parte attenta e critica degli italiani, continuano ad avere una certa credibilità come il TG3 e Rai News, hanno svolto il loro lavoro, limitandosi a rilanciare informazioni che sarebbe stato semplice verificare come assolutamente infondate.

Abbiamo assistito, e rimangono le registrazioni dei Tg nazionali riguardo alla caduta di Tripoli a testimoniarlo, ad un’indegna propaganda manipolata con ogni sorta di menzogna.

C’è stato raccontato che ” un cugino di Gheddafi ” avrebbe fatto strage di sostenitori della rivoluzione davanti al compound di Bab al-Aziziya, si trattava invece di sostenitori del legittimo governo libico, giustiziati sommariamente dai sedicenti “rivoluzionari” libici; abbiamo appreso l’assurdità logica che gli uomini del rais avrebbero tagliato l’acqua e la luce ai cittadini di Tripoli (sicuramente per resistere meglio all’assedio) quando era chiaro a chi si informava meglio che a tagliare luce ed acqua erano stati i ribelli.

Abbiamo sentito riportate, come fossero oro colato, le fandonie del presidente del Cnt di Bengasi, Mustafa Jalil che venendo a reclamare i fondi del popolo libico, ha spudoratamente dichiarato che servivano a ricostruire le infrastrutture della Libia distrutte dagli uomini di Gheddafi, non dalle migliaia di operazioni di bombardamento NATO.

Abbiamo visto pick-up carichi di cadaveri di soldati lealisti libici con le mani legate dietro la schiena, e i nostri media, da febbraio ad oggi, hanno continuato a recitare il mantra che si trattava di militari libici che si erano rifiutati di sparare contro la popolazione civile; invece è dimostrato, senza dubbio alcuno, che sono stati torturati, assassinati e vilipesi nell’ordine di migliaia da parte delle forze “pseudo rivoluzionarie” la cui barbarie, quando resa evidente da immagini o video, è stata sistematicamente attribuita alle forze lealiste di Gheddafi.

I nostri media nazionali ci vorrebbero condurre come docili bestie dall’anello al naso verso la loro assurda verità immaginaria, da war reality per l’appunto, dove il vero è ridotto a rango di cosa indimostrabile e la menzogna assunta come acqua benedetta. Ma la vostra acqua è marcia.

L’olezzo mortifero, delle spudorate menzogne, amplificate dai Tg nazionali, Tg3 e Rai News in testa, si è fatto strada attraverso canali differenti di informazione che hanno tentato di squarciare la visione totalitaria e totalizzante che tendeva a rappresentare, in maniera acritica e spesso completamente rovesciata quello che stava accadendo ed è accaduto in Libia.

Ci troviamo in una situazione completamente nuova, l’omologazione dell’informazione agli interessi dominanti delle grandi corporations nazionali, dell’industria militare e in definitiva del nuovo imperialismo nel 21º secolo non ha più freni; ha aggiornato obiettivi, tecniche e strategie.

Eravamo culturalmente abituati ad un imperialismo che, per mantenere la sua egemonia sui popoli e sugli stati che vi si sottraevano, metteva in atto colpi di Stato che sistematicamente portavano al potere militari che instauravano ferree dittature, repressioni di massa dei lavoratori, sequestri e uccisioni selettive, tendenti ad eliminare chirurgicamente dalla società il tumore del comunismo (Suharto, Pinochet, Videla, Marcos tra gli altri ).

Gli Stati imperialisti hanno sempre avuto un concetto flessibile dei diritti umani e continuano ad averlo; la differenza è che imbracciano, strumentalmente, le bandiere rivoluzionarie e i diritti umani ponendosi a capo dei fautori del cambiamento.

È decisamente cambiata quindi la prospettiva, venendo a mancare nel mondo globalizzato una forte opposizione rivoluzionaria autentica, i poteri egemonici del capitalismo sono giunti ad un tale senso di onnipotenza che indossano anche i panni dei difensori della libertà dei popoli, dei loro diritti umani e civili, della democrazia mentre la sostanza delle cose è completamente differente.

In una realtà quotidiana informativa dove il vero è rovesciato, la confusione e il caos informazionali, corredati opportunamente di condizionali e rettifiche, sono parti integranti di una grande campagna per ridisegnare geo-politicamente e a volte anche geograficamente gli scenari mondiali, si è aggiornato il manuale, o “il ricettario” parafrasando l’infausto Luttwak, per la tecnica del colpo di Stato, ma in stretta continuità con le esperienze precedenti:

”Il controllo del flusso di informazioni che scorre dal centro del potere politico sarà la nostra arma più importante nell’imporre la nostra autorità dopo il colpo di Stato, per conseguenza, impadronirci dei principali mezzi di comunicazione di massa costituirà un compito di importanza cruciale.” [E.Luttwak – Tecnica del colpo di stato - 1968].

L’intero sistema dei media italiani, che è stato conquistato da tempo, ha contribuito attivamente a creare la grande mistificazione su quanto è accaduto in Libia e porta su di sé gravi responsabilità, non ultima di aver accelerato il processo, già in atto, di totale screditamento della credibilità delle proprie affermazioni.

Il CNT di Benghasi ha mentito fin dal primo giorno e con lui sono stati complici i nostri media nazionali. Qualcuno si sarebbe potuto chiedere, dopo la rivelazione di innumerevoli bugie, disseminate ad arte nel corso di questi mesi ad opera dei rappresentanti dei ribelli e culminate nella grande bugia degli ultimi giorni prima della caduta di Tripoli: che credibilità può avere un bugiardo sistematico e patologico come il CNT?

Quale credibilità possono avere i nostri media nazionale, imbeccati o meno, continuando a mentire davanti a coloro che hanno scoperto una realtà completamente diversa?

Durante l’aspra lotta tra i golpisti di Benghasi contro le forze lealiste a Tripoli è noto, secondo le testimonianze, che i rivoluzionari del colpo di stato lasciavano esposti al sole i cadaveri dei fedeli di Gheddafi, dopo averli massacrati senza pietà.

Davanti al cadavere della nostra informazione sotto il sole, noi avremo il coraggio di stendere su di essa un velo pietoso.


R2P ora è la "ragione per predare"

di Pepe Escobar - Asia Times - 26 Agosto 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

L’onere di essere bianchi non consente di chiedere agli africani cosa pensino dell’odierno arrembaggio occidentale/monarchico arabo alle spiagge settentrionali del loro continente. Almeno alcuni non ci mettono troppo impegno.

Più di duecento dirigenti africani e intellettuali hanno pubblicato una lettera a Johannesburg, in Sud Africa, evidenziando "l’utilizzo improprio del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per muovere una diplomazia militarizzata con l’obbiettivo di cambio di regime in Libia", oltre alla "marginalizzazione dell’Unione Africana".

Per quanto riguardo i "vincitori" occidentali in Libia, almeno non stanno menando il can per l’aia. Richard Haass, presidente del gotha della dirigenza statunitense che siede nel Council on Foreign Relations, ha scritto un op-ed al Financial Times affermando in modo sfrontato che "l'intervento umanitario introdotto per salvare le vite che si credeva fossero minacciate era in effetti un intervento politico per realizzare un cambio di regime".

Per quanto riguardo quelle umili comparse, i libici della Cirenaica, Haass li ha già spediti nella pattumiera della storia: "I libici non saranno in grado di gestire da soli la situazione che emergerà" e visto che ci sono in ballo "due milioni di barili di petrolio al giorno", l’unica soluzione è una "forza internazionale". Traduzione: esercito di occupazione, come in Afghanistan e in Iraq. Benvenuti al neo-colonialismo 2.0.

L’ora dei rimborsi

In questo momento l'establishment degli Stati Uniti è tanto sfacciato quanto quegli schizzati ricchi di destra sullo stile di Donald "Ma che ha in testa?" Trump. Trump ha riferito a Fox News, "Noi siamo la NATO. Noi appoggiamo la NATO con soldi e armi. Cosa ne ricaviamo? Perché non ci dovremmo prenderci il petrolio?"

Nella versione geopolitica dell’eterno ritorno, siamo ancora di fronte a un nuovo Afghanistan e a un nuovo Iraq, a un’orgia di saccheggio, di abbattimento di statue, di sbirciate ai segmenti dei reality show televisivi, persino cartelloni stradali che fanno il tifo per la NATO (immaginatevi gli Americani che ringraziano in cinesi per la "liberazione" di New York con le bombe).

Per non citare l’idiozia eccelsa dei media mainstream. La CNN ha spostato Tripoli a est, nel Mediterraneo orientale, più o meno nel Libano. La BBC ha mostrato i festeggiamenti dei “ribelli” nella Piazza Verde di Tripoli situata in... India, con le bandiere indiane.

Evviva la totale integrazione della NATO con i media occidentali /CCG; il CCG è il Consiglio della Cooperazione del Golfo, le sei ricche satrapìe fondamentaliste che sono anche note anche come il Circolo dei Controrivoluzionari del Golfo.

Considerando che il CCG ordina in pratica alla Lega Araba quello che c’è da fare, non c’è niente di strano se la lega ha riconosciuto l’inaffidabile Consiglio di Transizione Nazionale dei “ribelli” come governo legittimo della nazione, anche se rappresenta solamente la Cirenaica e il Grande G, colonnello Muammar Gheddafi, è ancora a piede libero, con una taglia di 1,6 milioni di dollari sulla sua testa. Consideriamolo un rimborso per il fatto che Gheddafi definì il Re saudita Abdullah uno "stupido" nel periodo che portò alla guerra in Iraq.

È come se la Libia non fosse nient’altro che un prossimo emirato arabo , e non avesse più niente a che fare con l’Africa. Il CCG ha finanziato e armato i “ribelli”. L’Unione Africana era quasi all’unanimità contro la guerra NATO/CCG. Quindi, dal punto di vista NATO/CCG, che l’Africa se ne vada a farsi fottere; l’unica cosa che conta davvero, strategicamente, è una base militare/navale Africom/NATO in Libia.

Ora via a un’altra zona verde

È una cosa nota che la britannica SAS, l’intelligence francese, gli agenti della Central Intelligence Agency, le forze speciali del Qatar e i mercenari di tutte le risme sono stati paracadutati sul terreno per mesi, organizzando e addestrando i “ribelli” in piena coordinazione con quel prodigio filantropico, la NATO.

Non è mai stato all’interno del mandato dell'ONU, ma chi se ne frega? La NATO/CCG ha pagato il contro, la NATO ha inflitto i bombardamenti e la NATO/CCG "stabilizzerà" il tutto, secondo un progetto di 70 pagine fatto trapelare dai britannici al Times londinese di Rupert Murdoch.

Solo gli stupidi crederanno al racconto prevedibile che il progetto sia stato tracciato da Consiglio Nazionale di Transizione con l’”aiuto occidentale". La NATO non sarà così tanto sfacciata, almeno all'inizio, da mettersi subito a fare il gradasso, e per questo potrebbe essere realizzata, più prima che poi, quella "Tripoli task force" composta da 10,000-15,000 uomini, finanziata dagli Emirati Arabi Uniti (EAU).

La domanda capziosa: saranno mercenari stranieri addestrati dalla Blackwater (giordani, sudafricani, colombiani) o libici tribali a libro paga degli Emirati Arabi?

Il prossimo giro: una replica della Zona Verde vicino alla Piazza Verde?

È quasi deliziosa quanto l’ambasciatore del CNT negli Emirati Arabi, Aref Ali Nayed, dispiaciuto e affranto della fuga di notizie, proprio mentre Bengasi conferma che si tratta della realtà.

È ancora cosa nota che la succulenta ricostruzione di tutto quello che la NATO ha bombardato beneficerà – chi altri – i "vincitori"; le nazione della NATO/CCG (vedi Benvenuti nella Democrazia della Libia, Asia Times Online, 25 agosto). Il leader del CNT, Mustafa Abdel Jail, lo ha confermato ancora una volta a Benghazi.

Aspettatevi fuochi d’artificio locali – e globali – fino a quando si parlerà di saccheggio. Senza neppure considerare le ricchezze (ancora inesplorate) di petrolio e di gas, gli asset all’esterno della Libia valgono almeno 150 miliardi di dollari.

La banca centrale della Libia, che sta per essere privatizzata, non ha meno di 143,8 tonnellate d’oro.

E poi c’è una fornitura di acqua per almeno un millennio, che è stata imbrigliata da Gheddafi col progetto spettacolare e multimiliardario del Grande Fiume Fatto dall’Uomo (GMR).

C’è ancora una valida domanda da porsi sul perché la Francia è stata così affannosa nel rovesciare Gheddafi; le aziende idriche francesi sono le più grandi al mondo, e il richiamo della privatizzazione di una fornitura di 1.000 anni di acqua fresca ha reso i loro dirigenti, diciamo, spumeggianti.

Immaginandola come un nuovo mercato potenzialmente molto remunerativo per i paesi europei, proprio dall’altro lato del Mediterraneo, la Libia è davvero un articolo genuino, che aggiunge nuovi significati alla dottrina umanitario-imperialista dell’R2P ("Responsabilità di Proteggere"); un lettore di Asia Times Online l’ha battezzata la "Ragione per Predare".

Il premier italiano Silvio "bunga bunga" Berlusconi è stato rapissimo , incontrandosi a Milano con il Primo Ministro del CNT, Mahmoud Jibril, a porsi proprio di fronte alla nuova bandiera libica (che è poi la vecchia bandiera monarchica) accanto alla bandiera italiana e a quella dell’Unione Europea.

E a pensare che solo un anno fa il vivace Silvio stava tenendo una festa sontuosa per il suo amicone – la cui mano era sempre desideroso di baciare – Grande G, assieme a trenta amazzoni beduine provenienti dalla magnifica parata delle purosangue libiche.

Nel 2008 Silvio e il Grande G hanno firmato un trattato per mettere una pietra sopra alla feroce epoca coloniale 1911-1942, secondo il quale l’Italia avrebbe speso 5 miliardi di dollari nell’arco di 25 anni per investirli in infrastrutture come autostrade e ferrovie; grazie al trattato almeno 180 aziende italiane hanno poi firmato favolosi contratti in Libia e l’Italia era diventato il primo partner commerciale.

Inevitabilmente, il leader del CNT, Mustafa Abdel Jalil, ha dovuto assicurare Silvio che la nuova Libia terrà "relazioni speciali" con tutti i “vincitori” NATO/CCG della guerra, in particolare con l’Italia.

La prossima settimana sarà la volta dello sceicco Abdullah bin Zayed, il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi, a visitare Benghazi per sbafare un pezzo della dolcissima torta della ricostruzione; gli EAU sono stipati di costruttori alla fame pronti a mettersi in moto dopo che negli Emirati i prezzi dell’immobiliare sono andati in caduta libera..

Via al processo di pace

Nel frattempo, cosa succede se il Grande G avesse l'oro? L’ex governatore della banca centrale della Libia ritiene che a Tripoli ci siano, fisicamente, non meno di 10 miliardi di dollari in riserve d’oro.

E così, mentre i soldati della SAS britannica in vesti arabe borghesi sono alla ricerca spasmodica di Gheddafi "vivo o morto" brandendo gli stessi Kalashnikov dei “ribelli”, alla maniera texana di George W. Bush, il Grande G potrebbe comprarsi materialmente l’alleanza delle tribù con l’oro.

Per non menzionare il fatto che ha il supporto della tribù Gheddafi (astuti cacciatori notturni), della tribù al-Magarha (cecchini di primo livello) e la gran parte di tutte le tribù della moglie di Gheddafi, la Warfallah (la più grande della nazione, quasi due milioni di persone).

Fino a che il CNT continuerà ad affermare che la Libia post-Gheddafi sarà pluralista e multiculturale, i cartelli stradali porteranno dritti alla Città del Padule.

Gli arabi del nord disprezzano totalmente i berberi del sud, e viceversa. La gente nella Tripolitania disprezza totalmente i salafiti in Cirenaica, e viceversa.

Con tanta roba da saccheggiare, è facile visualizzare un processo di pace che va in questa direzione.

Un debole governo fantoccio del CNT; una feroce dottrina neoliberista che si alienerà molti quelli che erano abituati all’istruzione gratuita, ai servizi sanitari gratuiti e alle case gratuite; una forza di guerriglia contro l’occupazione straniera; salafiti-jihadisti da altre contrade arabe che si uniscono al bordello; le città nel deserto che diventano basi della guerriglia; le condotte dal deserto sudorientale che vengono bombardate; una replica di Baghdad dal 2004 al 2007; una rivolta; uno scenario da guerra infinita civile/tribale e un Afghanistan 2.0 con un fronte di guerriglia gemello: il gruppo di Gheddafi contro i ribelli /NATO e i salafiti contro la NATO, perché l’occidente non permetterà mai alla Libia di diventare uno stato islamico.

Gheddafi sta infatti scommettendo che le operazioni congiunte NATO/CCG trasformino la Libia nel nuovo Iraq/Afghanistan. E forse anche alla NATO l’idea potrebbe andare a genio.

La costringerà a essere ancora più radicata nel Nord Africa. Le consentirà l’utilizzo delle stesse vecchie tattiche imperiali del divide et impera mentre le aziende occidentali faranno proprie le opzioni della “Ragione per Predare”.

Terrà gli americani e gli europei belli terrorizzati in un sottocapitolo della "guerra al terrore", anche se la recessione si sta mangiando quello che era rimasto dei risparmi. E manterrà il complesso industrial-militare e il ventaglio dei mercenari pronti alla guerra o alla security con il sorriso sulle labbra. Iraq/Afghanistan ancora una volta? Forza e coraggio.


Daniele Scalea:"In Libia la guerrà proseguirà ancora a lungo"
di Fabio Polese -
www.eurasia-rivista.org - 25 Agosto 2011

(ASI) Agenzia Stampa Italia ha incontrato Daniele Scalea, segretario scientifico dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), redattore della rivista di studi geopolitici Eurasia, autore deLa Sfida Totale e co-autore, insieme a Pietro Longo, diCapire le rivolte arabe.

E’ sempre più difficile ottenere notizie indipendenti su quello che sta succedendo in Libia. I media mainstream rimbalzano la notizia di una Libia liberata dal Rais Muhammar Gheddafi. Cosa sta succedendo e chi c’è dietro questa rivolta?

Sta succedendo che, dopo l’assassinio del generale Younes (comandante militare del CNT) da parte degli estremisti islamici, il fronte dei ribelli si è spezzato. La NATO, nel timore che la missione si concludesse con un clamoroso insuccesso, ha preso in mano la situazione e, con l’ausilio di ribelli islamisti in loco ma principalmente servendosi delle sue forze speciali, di mercenari stranieri e d’intensissimi bombardamenti aerei, è riuscita a conquistare Tripoli. I governativi hanno opposto una fiera resistenza, ma ormai appaiono quasi completamente debellati nella capitale.

Tuttavia, ritengo che la situazione in Libia sia ben lungi dal potersi considerare stabilizzata. La guerra, a mio giudizio, proseguirà ancora a lungo, sebbene i media occidentali la proporranno da oggi in poi come “lotta al terrorismo” o qualcosa di simile. Il punto è che i vertici del Governo libico sono stati scacciati da Tripoli, ma non eliminati.

Ed allo stato attuale possono contare ancora sul controllo di molte città e l’appoggio della maggior parte delle tribù. Certo possibili mediazioni e corruzioni potrebbero far deporre le armi ai lealisti, ma bisogna rendersi conto che, dopo Gheddafi, il quadro libico risulterà ancor più frastagliato e confuso.

Lui è l’elemento di stabilità nel paese, ed il CNT è ancora un’entità poco rappresentativa e che riunisce componenti molto, troppo eterogenee al suo interno (dagli ex affiliati a Al Qaeda ai liberali espatriati negli USA).

Inoltre, il ruolo decisivo delle truppe straniere nella vittoria della battaglia di Tripoli (ed eventualmente della guerra civile) non farà che ridurne il prestigio presso la popolazione ed i capitribù.

La caduta di Tripoli, in realtà, aumenta il rischio di fare della Libia una nuova Somalia. La soluzione negoziale che sembrava stesse uscendo dagl’incontri di Djerba avrebbe garantito un futuro migliore tanto al paese quanto alla regione mediterranea. Ma, evidentemente, non è questo l’obiettivo dell’alleanza atlantica.

Ieri per la prima volta fonti della difesa britannica hanno confermato che uomini dei S.A.S. – i corpi d’elite britannici – sono da settimane in Libia dove hanno avuto un ruolo chiave nella presa di Tripoli. Cosa potrebbe succedere nel “dopo regime”? Verrà inviata una missione di peacekeeping internazionale o il mantenimento della sicurezza verrà affidato al Consiglio di Transizione Nazionale libico?

Le truppe straniere – atlantiche e delle monarchie arabe – sono già nel paese, e dunque non se ne andranno. Il CNT, per quanto visto finora, non è in grado di assumersi l’onere di stabilizzare il paese. Credo che l’invasione di Tripoli abbia segnato una svolta nella guerra di Libia: la sua trasformazione in una vera e propria invasione ed occupazione straniera del paese.

Anche se, ovviamente, le parti in causa eviteranno di chiamarla per il suo vero nome. Minimizzeranno il ruolo dei soldati stranieri nel conflitto, e non parleranno più di guerra, ma di lotta del nuovo governo (plausibilmente un governo fantoccio degli occupanti) contro i resti del passato regime per pacificare il paese.

Il portavoce del ministero degli esteri cinese ha dichiarato: “Sappiamo dei recenti cambiamenti nella situazione libica e chiediamo il rispetto della scelta del popolo della Libia. La Cina è pronta a cooperare con la comunità internazionale per giocare un ruolo attivo nella ricostruzione della Libia”. Che ruolo potrebbe avere la Cina – sempre attenta alle vicende globali – nel post Gheddafi?

La Cina si comporta sempre allo stesso modo: non rifiuta il dialogo con nessuno, non ingerisce negli affari interni di nessuno. A Pechino sarebbe stata bene la permanenza al potere di Gheddafi; ora sta bene l’insediarsi del CNT.

Il suo unico interesse è tornare a commerciare al più presto con la Libia, convinta che l’amicizia del paese nordafricano s’otterrà coi rapporti economici e finanziari.

Fra pochi giorni ricorre l’anniversario della firma del trattato di amicizia Italia-Libia. Il trattato è stato sospeso unilateralmente e l’Italia ha preso parte all’attacco militare della NATO. Quali effetti economici e strategici ha portato e porterà per l’Italia questo cambiamento?

In questo momento il ministro Frattini, tra i principali artefici dell’intervento italiano contro la Libia, sta godendosi il suo momento di gloria: alla fine la fazione scelta pare abbia vinto la guerra, e promette di non rivedere in negativo i rapporti con l’Italia.

Il fatto che tali risultati si siano ottenuti con un plateale ed indecoroso voltafaccia e tradimento, basterebbe già da solo ad invitare a non fregarsi troppo le mani. Ma il gongolare è ancor più ingiustificato perché, purtroppo per Frattini e per l’Italia, difficilmente i suoi sogni si realizzeranno.

La Libia rimarrà a lungo instabile, in preda a scontri intestini. Il flusso di petrolio e gas riprenderà ma in maniera meno regolare che in passato. E gli architetti della guerra e del cambio di regime – Gran Bretagna, Francia e USA – non lasceranno certo che l’Italia continui a godersi la fetta più grossa della torta libica.

Contemporaneamente a quello che sta accadendo in Libia si è parlato spesso della situazione in Siria. Nei telegiornali scorrono esclusivamente le immagini di quella che, dagli occidentali, è stata chiamata “rivoluzione siriana”. Secondo lei, è vicina una risoluzione ONU contro il governo di Bashar al-Assad? E come potrebbe reagire la Russia che ha l’unica base militare nel Mediterraneo proprio in Siria?

Questa è una previsione molto più difficile da fare, poiché vi sono segnali contrastanti. Da un lato, il successo finale (o percepito tale) dell’attacco alla Libia potrebbe suggerire alla NATO di ripetere l’esperimento in Siria.

D’altro canto, la Libia potrebbe trasformarsi in un grattacapo ancora maggiore, e di lunga durata, se come ho ipotizzato le truppe straniere dovessero stabilirvisi per pacificarla (ecco perché il ministro La Russa ha auspicato lo stanziamento di soldati africani e arabi, anziché europei e nordamericani).

Inoltre, in Siria sembra apparentemente passato il momento peggiore per il governo: ha concesso riforme importanti, gode dell’appoggio della maggioranza della popolazione (perché anche il grosso dell’opposizione è ostile alla lotta armata ed all’intervento straniero), è riuscita a reprimere le insurrezioni armate, per quanto permangano ancora focolai di violenza, spesso alimentati da oltreconfine.

Le monarchie autocratiche del Golfo faranno pressione per un intervento della NATO in Siria, perché sperano di instaurare – come in Libia – una nuova monarchia islamista, e di sottrarre un alleato all’Iran.

La Russia, a rigor di logica, dovrebbe opporsi ad un nuovo tentativo d’erodere la sua influenza nel mondo, ma l’atteggiamento arrendevole l’ha già portata a piegarsi più volte, soprattutto quando la posta in palio si trovava al di fuori dello spazio post-sovietico.


La spedizione libica della NATO entra in un labirinto

di Farooque Chowdhury - www.countercurrents.org - 24 Agosto 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

La nuova spedizione della NATO è finita. Verrà a “stabilizzarsi” un “nuovo ordine” quando questo paese ricco di petrolio sarà controllato da un nuovo regime che si muoverà sotto le ombre degli aerei da guerra nel corso di spedizione intercontinentale real-repubblicana sotto le insegne delle infrazioni e della competizione.

Così, David Cameron ha reso i suoi omaggi alla “incredibile audacia, professionalità e dedizione” dei piloti della Royal Air Force nel teatro libico, che si sono seduti al sicuro alto nei cieli per distruggere un ex amico con la più sofisticata tecnologia.

Ma il signor. Cameron non si è dimenticato di veicolare la verità imperialistica: “Non è stata la nostra rivoluzione, ma possiamo essere orgogliosi di aver giocato il nostro ruolo.” E quindi è stata coniata una nuova formula per la “rivoluzione”: tenere una posizione di comando in una rivoluzione che non è tua.

Ci sono pochi elementi presentati dai media mainstream per raccontare le “rivoluzioni” degli altri in cui i poteri imperialisti assetati di petrolio hanno avuto un ruolo:

I jet Sentinel della RAF che volano alti quasi sette miglia raccoglievano immagini sorprendentemente chiare del terreno sottostante, e le passavano ai comandi per scegliere gli obbiettivi. (BBC News, “A bordo dell’aereo spia Sentinel R1 della RAF sulla Libia”, 11 maggio 2011)

I soldati delle forze speciali britanniche e gli ex militari della SAS hanno consigliato e addestrato le forze anti-Gheddafi (AGF), “anche se la loro presenza è stata ufficialmente negata.

Gli ex appartenenti alle forze speciali britanniche sono stati impiegati in compagnie di security private e finanziate da una gamma di direzione, compreso il Qatar.” Hanno agito “come controllori aerei avanzati, dirigendo i piloti verso gli obbiettivi, e comunicando con i comandanti operativi della Nato.” Sono arrivati in Libia nel febbraio 2011, “anche prima del mandato dell’ONU che sollecitava gli stati nel proteggere i civili dalle forze di Gheddafi.”

I soldati della SAS hanno fornito consulenze all’AGF di stanza a Misurata e hanno aiutato a trasmettere i dettagli delle ubicazioni delle forze di Gheddafi ai comandanti britannici nel Regno Unito e al quartier generale di Napoli” delle Forze NATO.

Un numero di soldati della SAS hanno consigliato l’AGF su come meglio attaccare Tripoli. “Si ritiene che la Francia abbia schierato forze speciali in Libia e le forze speciali del Qatar e della Giordania hanno anch’esse svolto un loro ruolo.” (The Guardian, “Soldati della SAS hanno aiutato a coordinare gli attacchi dei ribelli in Libia”)

Per settimane gli ufficiali militare e dell’intelligence hanno aiutato “i ribelli a pianificare il loro attacco coordinato sulla capitale e le fonti che vengono da Whitehall hanno evidenziato che la RAF ha migliorato la missione su Tripoli [del 20 agosto] in un piano pre-concordato per spianare la strada per l’avanzata dei ribelli. Gli ufficiali dell’MI6 presenti nella roccaforte ribelle di Bengasi hanno limato i piani di battaglia stabiliti [dall’AGF] con cui erano d’accordo già dieci settimane prima.

I consigli tattici costantemente aggiornati forniti dagli esperti britannici ai dirigenti dei ribelli si basavano sulla necessità di scatenare una rivolta a Tripoli […] la prima fase della battaglia nella capitale era iniziato ore prima, quando i velivoli Tornado GR4 della RAF hanno attaccato una struttura chiave per le comunicazioni nella parte sud-occidentale di Tripoli come parte del piano di battaglia concordato. […] Per avviare i bombardamenti dall’interno di Tripoli da parte dell’AGF, il segnale concordato era un discorso in televisione del direttore del CNT […] trasmesso dalla qatariota Libia TV […] Nei cieli sovrastanti i Tornado della RAF e i Typhoon [hanno lanciato] altri bombardamenti chirurgici su obbiettivi pre-pianificati.

La RAF e i partner della sua alleanza hanno realizzato 46 sortite solamente [il 21 agosto] […] L’elettronica all’avanguardia dei Tornado ha anche consentito […] di colpire obbiettivi delle forze di Gheddafi […] anche i centri di comando di Gheddafi […] sono stati attaccati, menomando la […] possibilità di dirigere le sue truppe. […]

William Hague, il Segretario agli Esteri, ha confermato […] che il Regno Unito ha equipaggiato i fighter con una gamma di strumenti “non letali” tra cui l’equipaggiamento avanzato per le telecomunicazioni e 1.000 giubbotti antiproiettile.

Sono stati anche riforniti di visori notturni […] (The Telegraph, “Libia: il ruolo segreto svolto dalla Gran Bretagna per creare il percorso per la caduta di Tripoli”, 23 agosto 2011)

“Ciò malgrado, è chiaro che, nel corso di questa campagna, le forze aeree della NATO sono state decisive. […] per giorni, settimane e mesi, hanno costantemente menomato […] la macchina militare di Gheddafi. La difesa aerea, i carri armati e i veicoli corazzati, i centri di comando e i depositi di armi hanno stati distrutti con sistematicità. Col passare del tempo questa continua menomazione ha avuto i suoi effetti, limitando in modo determinante la possibilità del regime di Gheddafi di usare il suo grande vantaggio, il potere militare formale. […]

I comandanti della NATO credono che le potenzialità a disposizione in questa campagna gli hanno permessi di spingere i confini di quello che può essere raggiunto con la forza aerea.” (BBC, “I ribelli spinti per impossessarsi di Tripoli”, 24 agosto 2011)

“La NATO e i suoi alleati hanno aiutato i ribelli libici nel montare un’aggressiva strategia “a tenaglia” […] fornendo intelligence, consulenza e intensificando i bombardamenti che hanno aiutato a spingere le forze di Moammar Gheddafi in direzione del collasso a Tripoli, come riferito dagli ufficiali della NATO e degli U.S.A. […]

La ritirata delle truppe governative ha consentito l’avanzata dei ribelli e ha fornito obbiettivi evidenti per i bombardamenti della NATO, hanno riferito gli ufficiali. […] La gran parte [dei bombardamenti] sono stati realizzati dalla NATO e dagli aerei alleati, aiutati da sei droni armati Predator dagli Stati Uniti e dalle immagini via satellite sull’ubicazione e le potenzialità delle forze governative. ‘Avevamo un buon quadro operativo di come erano distribuite le forze sul campo di battaglia, […] ha riferito un portavoce del Pentagono. […]

Le forze speciali britanniche, francese e qatariote sono state schierate sul terreno in Libia per un periodo di tempo e hanno aiutato i ribelli nello sviluppare e coordinare la strategia a tenaglia, hanno detto gli ufficiali.

Allo stesse tempo, gli operativi della CIA presenti nella nazione, assieme all’interruzione delle comunicazioni tra i funzionari del governo libico, hanno fornito una migliore comprensione di quanto stesse crollando la struttura di comando di Gheddafi, secondo gli ufficiali degli U.S.A.

Il collasso si può rintracciare in due aspetti, ha riferito un alto ufficiale delle forze armate U.S.A. ‘Uno è stato la conoscenza che avevano della disintegrazione della struttura di comando delle forze di Gheddafi.’ I ribelli sono stati incoraggiati da questa informazione, hanno riferito gli ufficiali, prendendo confidenza sul fatto che la guerra stesse prendendo la giusta direzione. ‘Il secondo aspetto, nella rincorsa verso Tripoli, è che abbiamo ben fornito molte immagini delle ubicazione delle forze di Gheddafi’, ha detto l’ufficiale. ‘E così i ribelli sono penetrati nelle loro posizioni quando sono arrivati da sud e dalla parte occidentale di Tripoli, avevano un’idea chiara di dove fossero le forze [di Gheddafi].’ […]

L’amministrazione [Obama] aveva raggiunto questa decisione circa sei settimane fa che ha consentito la condivisione di una maggiore quantità di materiale sensibile con la NATO, comprese le immagini e le intercettazioni dei segnali che potevano essere fornito alle truppe per le operazioni speciali britanniche e francesi presenti sul terreno in aggiunta ai piloti nello spazio aereo. […] gli alleati della NATO e ‘in modo particolare i qatarioti’ presenti sul terreno hanno lavorato a stretto contatto con il comando politico e militare dei ribelli ‘per aiutarli a prendere questa decisione importante e anche per fornirgli i giusti strumenti’, ha riferito l’ufficiale della NATO.

La NATO, il cui mandato delle Nazioni Unite è limitato alla protezione dei civili libici, era molto ansiosa di non esser vista come la forza aerea dei ribelli all’interno di una strategia coordinata.

Ma gli ufficiali della NATO hanno riconosciuto che ‘l’effetto di quello che stavamo facendo non era così dissimile.’” (The Washington Post, “Gli alleati hanno guidato i ribelli nell’assalto a tenaglia della capitale”, 22 agosto 2011)

Altre rivelazioni e documenti secreti verranno mostrati nei prossimi giorni. E così i capitani della spedizione che sono seduti sull’altro lato del Mediterraneo non dovrebbero essere privati della riconoscenza per tutta l’”audacia” dimostrata e per la vista “lunga” della loro leadership.

Un vecchio amico trasformatosi in nemico è stato disarcionato dal suo scranno di potere per un viaggio nell’incertezza. Ma la “conclusione riuscita” della spedizione ha portato in superficie alcuni aspetti dell’amicizia avuta con l’ora disprezzato dittatore e alcuni fatti concreti di geopolitica.

Citando Gordon Corera, l’Independent ci parla delle trattative segrete, dei contatti clandestini e dell’amicizia tra una democrazia e un regime dittatoriale: “La Gran Bretagna e il regime di Gheddafi non sono sempre stati i nemici che sono ora. Con Tripoli caduta e la famiglia di Gheddafi in fuga, alle persone che nell’intelligence britannica hanno lavorato sulla Libia per gli ultimi dieci anni potrebbero essere perdonato un sorriso sarcastico per il modo in cui si sono dipanati gli eventi. Gheddafi si è trasformato da nemico ad amico e di nuovo da amico a nemico in una danza convulsa, nella quale l’MI6 e le spie britanniche qualche volta hanno guidato e in altre sono state pilotate. Questa danza si sta avvicinando alla sua fine mentre i servizi segreti cacciano l’uomo con cui una volta si sedevano per trattare”.

Riguardo la pianificazione delle armi di distruzione di massa, il capo dell’intelligence di allora Moussa Koussa, Abdul Qaader Khan del Pakistan, eccetera. “Le compagnie petrolifere e del gas occidentali hanno accolto [Gheddafi] a braccia aperte e Tony Blair gli ha fatto visita nella sua tenda […]” (“A porte chiuse: la danza convulsa tra Gheddafi e l’MI6”, 25 agosto 2011)

Simultaneamente, mentre Richard Norton-Taylor lo evidenziava nel Guardian, ci sono alcuni fatti importanti da sottolineare: (1) è stato messo in luce limite della potenza aerea della NATO. (2) “Il conflitto libico ha fatto nascere una nuova concezione di intervento coperto che riguarda i consiglieri militari e le forze speciali, non solo dagli Stati Uniti – e neppure solo dai paesi europei, particolarmente le SAS britanniche – ma anche quelle dei Paesi arabi, essenzialmente il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti.” (3) “[I] giorni dell’azione conclusiva e concertata dalle vaste alleanze militari sono davvero conclusi. La ‘Coalizione dei Volenterosi’ detteranno l’ordine del giorno […].” (“Libia: una nuova forma di intervento militare”, 25 agosto 2011)

I bocconi più amari da digerire sono tra questi: (1) “[E]ra abbastanza chiaro fin dall’inizio che il cambio di regime era l’obbiettivo reale. […] i progetti per la fine dei giochi erano stati designati in dettaglio in altro luogo.” (2) “I bombardamenti ad alta intensità, pianificati dalle forze di terra di basso livello e appoggiati dagli Stati Uniti. Questa non è stata una grande vittoria per la NATO”. “Neppure lontanamente.” (ibid.)

Citando Michael Clarke, direttore del Royal United Services Institute, Norton-Taylor ha evidenziato che “solo nove dei 28 membri della Nato erano preparati per schierarsi fisicamente e politicamente per attaccare gli obbiettivi di terra.”

Clarke riferisce che “è difficile non fare la conclusione che la Nato emerge da questa operazione di successo più debole di quando vi entrata. La stessa operazione militare ha formato un’immagine si vedono più i limiti della Nato che non la sua potenza.” (ibid.)

Le domande attendono ancora le risposte: (1) Norton-Taylor chiede: “Questa combinazione di bombardamenti ad alta frequenza e di intervento e pianificazioni segrete costituire un modello per i conflitti futuri?” (ibid.) (2) Quale forma prenderà la sempre maggiore competizione tra i maggiori partner nel deserto libico già inondato di sangue? (3) Quale sarà la formula per partirsi il bottino, il petrolio? (4) È possibile opporsi ai processi sociali di ribellione contro la dominazione straniera nei miraggi del crudele deserto? (5) Quali saranno le implicazioni di questa spedizione nel continente africano? (6) Come reagiranno gli altri attori emergenti della geopolitica per i risultati della spedizione? (7) Questo coinvolgimento degli agenti segreti e dei soldati delle truppe speciali fa parte della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU? (8) C’è stata persecuzione della forza lavoro dei neri e che ne sarebbe il responsabile, sempre che ce ne siano? (9) I media mainstream hanno riportato tutte le storie degne di essere una notizia? (10) Tutte le altre regioni “disobbedienti” e ricche di risorse affronteranno un destino simile?

Un sistema politico che ha processi sociali distorti per attenersi alle altezze della modernità attraverso i governi tirannici, la massoneria, l’avventurismo e la pacificazione con i padroni dell’ordine mondiale ha raggiunto il proprio destino.

Ma i processi sociali non si fermeranno fino a che il lavoro produrrà valore ricchezza sulla Terra. Giurare sul nome dei martiri, come ha fatto il ministro delle finanze del nuovo regime a Tripoli, non riuscirà a contenere le contraddizioni tra gli interessi in conflitto all’interno della società e tra i capitali della finanza e delle trivellazioni che stanno arrivando nella terra desertica per prendersi la propria fetta.

Le anime di Omar Mookhtar ruggiranno dagli orizzonti del deserto, che non berranno dalla fonte della “democrazia” importata e dal vergognoso “umanitarismo”.

Una maggiore forza di resistenza si spiegherà in questa nazione che ha espulso i padroni imperiali più di una volta, che ha scacciato le basi militari quattro decenni fa, proprio mentre questo territorio e il continente africano ancora una volta si troveranno con una presenza militare straniera.

La stessa formula non funziona dappertutto. La formula di Gene Sharp, il guru onnipresente durante le recenti rivolte arabe, non ha funzionato in Libia.

I passi per giungere al saccheggio si troveranno molto presto in un labirinto sotto una luce lunare traditrice, piena di contraddizioni che faranno capire come la spedizione non sia terminata.

La spedizione troverà odio, resistenza e rivolte mentre i processi sociali non saranno mai quelli desiderati, né grazie alla potenza di fuoco né con l’imposizione della politica.


Ma il raìs fa il suo mestiere
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 27 Agosto 2011

Non c’è da indignarsi se i soldati di Gheddafi hanno sequestrato quattro giornalisti italiani. A furia di chiamarla con altri nomi ci siamo dimenticati che cos’è la guerra. Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia hanno attaccato la Libia di cui Gheddafi era fino a pochi mesi fa il riconosciuto e legittimo leader.

È ovvio che qualsiasi francese, inglese, americano o italiano, anche se civile, che si trovi oggi sul suolo libico sia considerato un nemico e trattato come tale.

Che i quattro fossero giornalisti ha un’importanza relativa. Nella seconda guerra mondiale, l’ultima in cui vigeva ancora uno “ius belli”, non sarebbe stato nemmeno pensabile che un giornalista inglese operasse al di là delle linee tedesche o viceversa.

Certamente in una guerra civile le cose sono più complesse. Perché non c’è un fronte o se c’è è labile, una zona che è sotto il controllo di una fazione può passare nel giro di due ore nelle mani di un’altra. È questa la trappola in cui sono caduti i coraggiosi inviati italiani.

I giornalisti sono stati poi liberati da due giovani e generosi lealisti (gli uomini hanno occhi per vedere e cuore per sentire, i missili no). Ma se fossero stati tenuti prigionieri sarebbe stato legittimo.

Di tutte le aggressioni perpetrate dalle Democrazie dopo il crollo del contraltare sovietico quella alla Libia è la più sconcertante. Per anni Gheddafi aveva trafficato col terrorismo, ma da quando la Libia aveva pagato un enorme risarcimento per le 700 vittime dell’attentato di Lockerbie, il Colonnello era tornato a pieno titolo nell’arengo della rispettabilità internazionale.

Paesi europei facevano lucrosi affari con la Libia (non olet) e il leader libico era ricevuto con tutti gli onori dai Premier anche se nessuno è arrivato alle vergognose manifestazioni di soccombismo di Berlusconi.

Poi qualcuno, improvvisamente, ha deciso che Gheddafi doveva essere eliminato. “Agent provocateur” francesi e britannici furono inviati in Cirenaica per fomentar la rivolta. Quando è scoppiata Gheddafi ha cercato di reprimerla. Si disse allora che sparava sui civili. Ma una rivolta, un’insurrezione, è fatta, per definizione, da civili, altrimenti porta un altro nome, si chiama golpe militare.

Si varò una risoluzione Onu che, si disse, doveva imporre una “no fly zone” per impedire a Gheddafi di sfruttare la propria superiorità aerea. Anche se violava il principio di diritto internazionale della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, peraltro già buttato a mare con la Serbia, la cosa ci poteva anche stare per rendere meno sperequati i rapporti di forza fra le fazioni.

Ma subito si capì che le Democrazie non volevano affatto difendere i civili libici, ma semplicemente abbattere il regime di Gheddafi bombardando con gli aerei Nato anche le sue forze terrestri, i suoi comandi e la popolazione che gli era rimasta fedele. A causa dell’intervento Nato non sapremo mai quale era la reale consistenza della rivolta.

Sappiamo però che il dittatore non era così isolato come oggi si vuol far credere. Come scrive Sergio Romano sul Corriere (24/8) il suo nazionalismo, l’antiamericanismo, il no al radicalismo religioso avevano l’approvazione di una parte consistente del popolo libico.

Inoltre le grandi risorse del sottosuolo gli avevano consentito di creare nuovi ceti sociali benestanti. Se fosse altrimenti non si capirebbe la strenua resistenza che i gheddafiani, pur in totale inferiorità militare, stanno opponendo alla Nato.

Il ministro Frattini ha dichiarato che “se Gheddafi continuerà a incitare alla guerra civile sarà tenuto come unico responsabile del bagno di sangue” (peraltro già avvenuto: 20mila morti). Si vuole negare a Gheddafi anche il diritto di difendersi?



Libia, l'altra storia
di Christian Elia - Peacereporter - 26 Agosto 2011

Intervista al professor Cardini, tra appoggio occidentale alla rivoluzione e un futuro tutto da decifrare

La situazione libica domina i media di tutto il mondo. La frenesia degli ultimi accadimenti e le incertezze sul futuro concorrono a creare uno scenario poco chiaro su quello che capita nel Paese nordafricano.

PeaceReporter ha intervistato Il professor Franco Cardini, storico e saggista, docente di Storia medievale all'Istituto italiano di Scienze umane a Firenze ed esperto di Medio Oriente e Islam, che commenta quello che succede in Libia, alla luce dei fattori storici, politici - interni ed internazionali - e culturali che hanno portato al collasso, o quasi, del regime di Gheddafi.

Come si è arrivati, in Libia, alla situazione attuale?
La situazione attuale in Libia si è generata in seguito alle oscillazioni del colonnello Gheddafi in politica internazionale e per la scarsa chiarezza delle sue posizioni, con i continui spostamenti rispetto ai possibili protagonisti della scena mondiale e rispetto al potenziale petrolifero libico. Anche, forse, per la situazione geopolitica generale, sia africana che mediterranea.

Voglio dire che non ci si può continuamente spostare da simpatie panafricane ad ammiccamenti con quelli che noi, a torto o a ragione, riteniamo fondamentalisti, passando per atteggiamenti superficialmente filo Nato o filo statunitensi dell'ultima ora e poi, come ha fatto Gheddafi a partire dallo scorso anno, dopo esserci avvicinato ai paesi della Nato e soprattutto alla Francia, tornare sui suoi passi.

Come è accaduto in passato con Saddam Hussein, amico dell'Occidente, osannato e foraggiato in chiave anti iraniana, anche se sapevamo benissimo che sterminava i curdi, scaricandolo subito dopo quando ha minacciato di sostituire l'euro al dollaro come unità monetaria di riferimento nelle transazioni petrolifere irachene, abbiamo scoperto che era un dittatore quando non ci faceva più comodo. Questa volta non abbiamo commesso l'errore fatto in Iraq, con un intervento diretto, ma abbiamo sostenuto un intervento indiretto.

Cosa intende per intervento indiretto?
All'inizio del 2010 Gheddafi ha scoperto le carte, allontanandosi dalle potenze occidentali, lanciando segnali di vicinanza al blocco che si contrappone all'egemonia statunitense.

Le differenze con i blocchi della Guerra Fredda, con schieramenti molto netti, sono tante. In primo luogo il fatto che il potere decisionale è molto più nelle mani delle lobbies economiche che in quelle dei governi.

Le divisioni, però, esistono. La Russia, la Cina, l'Iran, il Venezuela, piuttosto che paesi emergenti come Brasile e India, rappresentano un blocco alternativo rispetto a quello egemonizzato dagli Stati Uniti. Non si può parlare di Guerra Fredda, certo, ma una divisione esiste.

E' un mondo che si muove, i blocchi interstatali e sovrastatali esistono e contano ancora. La Nato, ad esempio, esiste ancora e non sono neanche troppo chiari i suoi fini. La Cina, parlando chiaro, si sta mangiando l'Africa.

La Libia, in questo gioco, con le sue riserve petrolifere, non poteva lasciare indifferente i paesi occidentali. Come nel 1956 a Suez. Per chi ha memoria di storia della diplomazia del Mediterraneo la similitudine con l'intervento anglo-francese contro il panarabismo di Nasser è evidente.

Sono intervenuti anche questa volta. Con i finanziamenti, con i media, con la politica. Hanno sostenuto il movimento degli insorti in Libia, nato a Bengasi, dove è partita la rivolta. Gheddafi ha pagato la sua svolta dell'inizio del 2010, il suo ultimo cambio di campo. A caro prezzo.

Francia e Gran Bretagna sono intervenute - e qui c'è un altro parallelismo con il 1956 - contro o senza l'assenso degli Usa. Le prove di questo appoggio ai rivoltosi ci sono, anche se in Italia non ne parla nessuno. La stampa francese, invece, lo sta denunciando con chiarezza.

Lo scenario non è roseo. Potrebbe arrivare la guerra civile. Ma senza l'appoggio della Nato, che ha fatto la forza d'interposizione solo per un paio di giorni, poi è passata a bombardare unilateralmente i lealisti, non ce l'avrebbero mai fatta.

E l'Italia?
i nostri osservatori, ammesso e non concesso che ne abbiamo di validi, sapevano già come stavano andando le cose. Quando abbiamo firmato il Trattato di Amicizia, che poi altro non è che un trattato di non aggressione, e lo abbiamo fatto per una serie di motivi contingenti che ci hanno portato anche a tollerare le sue buffonate a Roma, sapevamo che stavamo cercando un piccolo vantaggio per le nostre imprese petrolifere, per un certo nostro business, pur consci di essere su un piano inclinato.

Quel trattato, firmato nonostante tutto, è stato disatteso. La nostra posizione attuale è quella di un Paese che dopo aver firmato un trattato di amicizia l'ha rotto unilateralmente e non bisogna dimenticarsene facendo finta di niente. Quando si parla di fedeltà alla parola data e agli impegni non si può privilegiarne alcuni rispetto ad altri,

Noi siamo membri della Nato, ma siamo un Paese sovrano e avevamo stipulato un patto con la Libia governata da Gheddafi. Oggi il tiranno è in prima pagina, ma nessuno può dire che non si sapeva cosa faceva Gheddafi. L'abbiamo sempre saputo.

Non sono d'accordo con il presidente della Repubblica Napolitano, e mi spiace, perché lo stimo molto, ma citando la nostra fefeltà ai trattati si dimentica che ancora una volta, come nel 1915 e nel 1943, l'Italia è venuta meno a un impegno internazionale. Come cittadino italiano mi sento in imbarazzo, in difetto.

Ma la Libia quanto è davvero un Paese unito?
La Libia non è mai stato un Paese unitario. I turchi lo sapevano benissimo e, fino all'aggressione militare italiana del 1911, tenevano ben distinti i governatorati di Tripolitania e Cirenaica. Il resto non è storia, sono chiacchiere. Tripolitania e Cirenaica son due cose diverse, nel mezzo c'è la Sirte, un deserto che separa queste due realtà molto più di quanto non farebbe un braccio di mare.

La Cirenaica è un'appendice dell'Egitto, la Tripolitania è già area berbera, è già Maghreb. Son due cose distinte, diverse, abitate da tribù diverse. Se una vita nazionale condivisa in Libia c'è mai stata, è esistita solo durante il governo di Gheddafi. Adesso sta andando in onda il solito film della fine del tiranno, sempre uguale.

Dietro questa storia c'è la solita retrobottega di smemoratezza. Dietro l'unità della Libia c'è quell'ufficiale affascinante, il bell'uomo che all'epoca della Rivoluzione stregava il mondo e che oggi è quel grottesco vecchietto in fuga. Sono la stessa persona. Per anni, in tutto il mondo arabo, Gheddafi ha goduto di un consenso secondo solo a quello goduto da Nasser.

La Libia è, in definitiva, un Paese abitato da tribù arabe e berbere. Prima della rivoluzione era una terra di pastori e città costiere con un minimo di attività commerciale. Una borghesia libica non esisteva, se non nella componente ebraica della società, influenzata per vicinanza dall'Italia e dall'Egitto. Meno della Francia, attraverso la Tunisia.

La Libia non è mai stata una nazione indipendente, con una sua identità forte. Poi è arrivato prima Graziani con i crimini di guerra, altro che 'italiani brava gente', e in seguito Balbo con una politica più accorta, a creare la Libia unita. Un regime coloniale, non uno Stato unito.

La stessa parola Libia è una definizione moderna. Si tornerà alla situazione dell'impero turco? Non credo. Dopo il 1945 le potenze vincitrici hanno assegnato la Libia al Gran Senusso, il leader della famiglia tribale che godeva del prestigio religioso, i Senoussi, appunto. E' diventato il re della Libia.

Una monarchia fasulla, che si reggeva su un sentimento religioso abbastanza condiviso, ma politicamente debole appoggiata soprattutto dagli inglesi. Fino alla rivoluzione socialista di Gheddafi. Se la Libia esiste come Paese, e forse non esiste neanche adesso, lo si deve alla rivoluzione. Tutto questo è stato travolto, perché anche il socialismo arabo è fallito.

Alla fine della guerra che Libia ci sarà alle porte dell'Europa?
Difficile dirlo. Quello che gli stati occidentali stanno cercando di fare è appoggiare un governo di coalizione tra le diverse anime e le diverse tribù della Libia. Ci sono elementi vicini all'Occidente, ma anche elementi che guardano con favore a un Islam radicale, compresa quell'area che un po' genericamente da noi viene definita al-Qaeda.

In questo momento, tutte queste forze hanno un interesse comune, un nemico comune. La fine di Gheddafi, qualunque sia, è l'obiettivo condiviso. Ucciso, processato, suicidato non è importante...è finita. Difficile che non vada così. Dopo? Nessuna analisi seria è stata fatta fino a ora. Una borghesia illuminata, nella storia della Libia, manca.

Nessun paragone con le società civili di Tunisi, del Cairo, di Damasco o di Amman. Siamo davanti a uno dei paesi arabi più arretrati da questo punto di vista. Anche perché, come detto, la Libia non è mai esistita prima della colonizzazione italiana. C'è una gran confusione e ciascuno tenta di accaparrarsi quello che può della Libia del futuro.

In questo brilla la Francia di Sarkozy, senza intralci di sorta da parte dell'opposizione. Le potenze occidentali tenteranno in tutti i modi di tenere unite queste anime, per non far scivolare il Paese nella lotta tra bande. Anche se, in questi giorni, alcune fazioni dei ribelli si sparano già tra loro. Ma di questo sulla stampa italiana non c'è traccia.

Lo scenario più probabile è quello di un governo di coalizione, a grandi linee filo occidentale e - almeno per i nostri mass media - democratico. Che si occuperà di spartire le ricchezze del Paese, come dimostra l'Italia, che in tutta fretta ha voltato le spalle a Gheddafi. Riusciendo, come l'Eni, a raccogliere le briciole lasciate dai francesi.