lunedì 1 agosto 2011

News Shake

Torna la rubrica News Shake, notizie a caso ma non per caso...


Herzog (Haaretz): così gli "indignados" possono cambiare il paese
da Il Sussidiario.net - 28 Luglio 2011

Gli “indignados” arrivano anche in Israele. Dopo la Spagna, anche lo Stato ebraico deve fare i conti con una protesta giovanile, politicamente indipendente da ogni schieramento, che avanza richieste sociali ed economiche.

“Una sorpresa per il nostro Paese” ha detto a Ilsussidiario.net Michael Herzog in una conversazione esclusiva.

“In passato, penso agli anni sessanta e settanta ma anche successivamente, c’erano state proteste popolari con a tema riforme economiche, ma non avevamo mai assistito a un movimento su così grande scala che di giorno in giorno si estende in nuove città e richiama sempre più partecipanti”.

Tutto è cominciato un paio di settimane fa quando solo pochi giovani avevano piantato delle tende, come vuole la tradizione seppur recente di questo tipo di agitazioni, in pieno centro di Tel Aviv.

Cosa volevano? Esprimere sfiducia, dire di essere stufi di pagare gli affitti altissimi che sono la regola nella capitale israeliana, ma non solo. Nel giro di pochi giorni questi giovani sono diventati centinaia, poi la protesta si è diffusa a macchia d’olio in tutto il Paese.

Sabato scorso una manifestazione di 30mila persone ha messo insieme gli “indignados”, le massaie che protestano per i prezzi troppo alti dei prodotti alimentari e i lavoratori ospedalieri, a loro volta sul piede di guerra da mesi. Ma cosa c’è alla radice di tutta questa protesta che sta mettendo in seria crisi il governo di destra del premier Netanyahu?

Dottor Herzog, anche Israele vive una crisi economica paragonabile a quella di molti Paesi europei? Com’è la realtà economica della sua nazione?

No, non c’è nessuna crisi economica, tantomeno paragonabile a quella che colpisce l’Europa. Anzi. Il tasso di disoccupazione è il più basso che si registra da molti anni, l’indice generale economico è molto positivo.

E allora da dove prendono spunto queste proteste a cui si assiste in Israele?
E’ un problema tutto israeliano, tutto interno. E’ una crisi sociale, più che economica, anche se ha risvolti ovviamente economici, e nasce dal quadro generale della nostra società, estremamente divisa fra classe alta e classi media e bassa. Una differenza elevata che si osserva tra ricchi e maggioranza della popolazione. A essere colpiti da questa situazione sono soprattutto i giovani, gli studenti, che infatti hanno dato il via alle proteste.

Può spiegare meglio questa problematica israeliana?
Tutto nasce dal fatto che il governo attualmente in carica per anni non ha fatto nulla per ovviare a questa divisione sociale interna. Non ha mai varato provvedimenti che ad esempio andassero ad intaccare l'alto costo delle abitazioni, non si è preoccupato di calmierare gli affitti, che sono davvero elevati. Si può dire che è da circa un decennio che il governo non vara alcun provvedimento né mostra di interessarsi ai problemi che hanno le classi meno fortunate, quella più bassa, ma anche la classe media. I giovani, gli studenti, sono particolarmente furibondi perché non è mai stato presentato un piano che venisse incontro alle loro esigenze, come appartamenti in affitto a prezzi convenienti per loro.

Che tipo di reazione ha suscitato questo movimento nella società israeliana? C'erano segni che potevano indurre a pensare ad una protesta imminente?
Per molti, in Israele si è trattato di una autentica sorpresa. In passato la società israeliana aveva ovviamente visto movimenti di protesta, ma francamente mai così massicci come questo, che si sta espandendo di giorno in giorno in nuove città e vede la partecipazione sempre più alta di persone.

Come sta affrontando il governo questa protesta?

Ha provato ad affrontare alcune delle richieste, ha promesso dei piani di intervento per venire incontro agli studenti, ma il movimento ha giudicato insufficienti tali proposte. C'è una forte pressione sul governo in questo momento che sente tutta la forza di questo movimento su di sé.

Pensa che questa protesta potrà influire sulle prossime elezioni nazionali israeliane, facendo perdere il Likud?
Al momento non è possibile dirlo. La caratteristica di questa protesta è che è del tutto apolitica. Potrebbe essere che le richieste del movimento possano diventare tema di dibattito alle prossime elezioni, argomenti che in effetti non sono mai stati affrontati prima, e che quindi ci possa essere una sorta di contraccolpo sul partito attualmente al potere, quello di Netanyahu.

Si può dunque dire che il movimento sia del tutto slegato da qualsivoglia corrente politica?

Assolutamente sì, è un movimento genuino che esprime un autentico disagio per una certa condizione di vita considerata ingiusta. Gli stessi leader dei partiti di opposizione non hanno cercato di cavalcare la protesta, andando nelle piazze, ma limitandosi a incontrare i leder della protesta.

Secondo lei esiste qualche tipo di relazione fra questo movimento e quelli che hanno animato le proteste di alcuni Paesi nord africani? E anche con gli indignados spagnoli?

E' molto difficile dire una cosa del genere. Israele è un Paese democratico totalmente diverso dai regimi dittatoriali del nord Africa. Il contesto è diverso, anche se le rivolte nord africane avevano degli elementi di tipo economico. Ma ad esempio non si può parlare di alcun collegamento fra quanto succede in Israele e in Siria. Certo, su più larga scala, si può forse dire che i nostri giovani siano rimasti colpiti e influenzati da quanto hanno visto in Spagna e anche nei paesi nord africani, ma tutto avviene su piani politici ed economici diversi, come spiegato prima.



Un patto non dirada la nebbia
di Bill Emmott - La Stampa - 1 Agosto 2011

L’ accordo quadro sulla manovra fiscale concordato ieri tra democratici e repubblicani al Congresso degli Stati Uniti e la Casa Bianca all’altro capo di Pennsylvania Avenue, non è un granché e non è nemmeno di ampio respiro.

Ma quanto meno è un accordo, e assumendo che sia accettato dal Congresso durante i prossimi due giorni eviterebbe alle finanze pubbliche una crisi del tutto superflua, potenzialmente in grado di innescare una nuova crisi finanziaria globale. Anche così, non è la fine della storia, non a lungo termine.

Il direttore di una rivista italiana di recente mi ha chiesto cosa pensassi circa la differenza tra la crisi monetaria dell’Europa e quella dell’America, dicendomi che a suo avviso l’America ha il grande vantaggio di avere un sistema presidenziale. Spero che non lo pensi adesso, ma in ogni caso davvero dovrebbe prestare maggiore attenzione alla Costituzione americana. Perché questo dibattito farsesco sul tetto del debito è tutta colpa dei padri fondatori: Jefferson, Washington e gli altri.

Hanno progettato la costituzione americana, con tutti i suoi pesi e contrappesi, espressamente per ostacolare il potere decisionale di un singolo, in particolare del Presidente che avrebbe potuto rischiare di diventare dittatoriale come il re britannico Giorgio III, e sono certamente riusciti nell’intento in modo spettacolare nel corso della lunga discussione sull’innalzamento del tetto del debito nazionale di 14.300 miliardi di dollari («soffitto di debito», una sorta di limite di indebitamento legale) per evitare un default o una massa di tagli alla spesa, dopo il 2 agosto.

Un fatto degno di nota, di certo, è che in tutto questo processo praticamente nessuno nei mercati finanziari ha finora previsto il default dell’America, o anche il declassamento dalla tripla A del suo rating.

Si metta a confronto l’andamento delle trattative di questo fine settimana con quelle precedenti il vertice di emergenza della zona euro, il 21 luglio: mentre i rendimenti obbligazionari della zona euro, in particolare per la Spagna e per l’Italia, erano saliti per la paura di un default da mini-Grecia, il mercato dei buoni del Tesoro americani è rimasto abbastanza tranquillo.

I tassi dei buoni del Tesoro a breve o medio termine sono saliti un po’, ma quelli a 10 anni in effetti venerdì sono caduti. Il dollaro è scivolato, ma non esattamente in modo catastrofico.

Forse i mercati aderiscono alla cinica visione che Churchill aveva dei suoi alleati: «Si può sempre contare sugli americani, fanno la cosa giusta... dopo aver provato tutto il resto...».

Più probabilmente avevano già previsto tutto; i negoziati dell’ultima ora conclusi con un cattivo affare, ma almeno conclusi, e l’apparente accordo di ieri per un presunto taglio di 3000 miliardi di dollari alla spesa in oltre dieci anni sembrano dimostrare che hanno avuto ragione.

Più in profondità, la loro impassibilità potrebbe riflettere la sensazione che il vero problema è un po’ più a lungo raggio rispetto a quanto è stato rappresentato da un termine in qualche modo artificiale, come la scadenza del tetto del debito.

Il vero problema comprende un fenomeno a medio termine e una questione a lungo termine, anche se strettamente correlati. Il primo è simboleggiato, ma non circoscritto al gruppo dei conservatori repubblicani dentro e fuori il Congresso che si fanno chiamare Tea Party.

Quel gruppo, le cui eroine sono Sarah Palin e una ardita congressista del Minnesota, Michele Bachmann, è stato il cuore del blocco durante i negoziati sulla riforma fiscale e il limite del debito.

Come in ogni Paese, quando c’è una piccola maggioranza parlamentare e del Congresso, un gruppo di fanatici può ottenere un potere di veto che va oltre la sua reale capacità di rappresentanza numerica. Fortunatamente, sembra probabile che il veto ora possa essere superato da un compromesso tra le forze più moderate.

I Tea Party, tuttavia, rappresentano più di un semplice veto temporaneo. La migliore analogia storica è con il movimento isolazionista nato in America durante gli Anni 30. La posizione dei Tea Party sull’ampio debito americano, sembra, di primo acchito, abbastanza ragionevole: quando qualcuno ha preso in prestito troppo, dicono, è sbagliato concedergli di più.

Ma in realtà, cercare di curare i debitori tutto d’un colpo, negando loro ogni prestito e obbligandoli a mancare ai loro obblighi, obblighi che sono stati tutti stabiliti dal precedente voto del Congresso, sarebbe stato irresponsabile e, all'atto pratico, isolazionista.

Isolazionista perché l’America è la più grande economia del mondo così come la sua più grande debitrice, e molti dei suoi titoli di Stato sono detenuti da stranieri. Un default sarebbe sostanzialmente un default sul debito estero. Ma i Tea Party non si preoccupano degli stranieri, o della credibilità internazionale del loro Paese.

Come il movimento America First negli Anni 30 e durante i primi anni della Seconda guerra mondiale, essi sostengono che il Paese dovrebbe lasciar perdere il mondo per risolvere i propri problemi, lasciare che l’America si concentri su se stessa.

Peggio ancora, in un certo senso, alcuni nei Tea Party vedono il mondo come una minaccia per l’America: la signora Bachmann, attualmente l’unica dei Tea Party a essersi presentata come candidata alla presidenza per il 2012, due anni fa ha proposto un emendamento costituzionale per impedire che il dollaro venga sostituito da una valuta estera, cosa che in realtà era già illegale e che nessuno pensava di fare. Il suo obiettivo era quello di creare l’apparenza di una minaccia là dove non esisteva.

Quando nel 2008 è scoppiata la crisi finanziaria, molti economisti temevano che avrebbe prodotto un’ondata di protezionismo, soprattutto negli Stati Uniti, e ci sono stati sospiri di sollievo quando questo non è successo.

Eppure la nascita dei Tea Party e il voto per il Congresso dello scorso novembre suggeriscono che la vera minaccia è l’isolazionismo, che nel tempo può produrre una nuova ondata di protezionismo commerciale e finanziario.

Sarebbe sbagliato sopravvalutare l’importanza attuale dei Tea Party: rimane una piccola minoranza rumorosa. Ma la grande battaglia di medio termine è per la Casa Bianca e per il controllo del Congresso nelle elezioni del novembre 2012.

Sarebbe rassicurante credere a tutte le persone comuni intervistate dai tg delle tv straniere che si dicono imbestialite dal comportamento irresponsabile del Congresso, in particolare dall’ostruzionismo dei Tea Party, e pensare che nelle elezioni del prossimo anno gli estremisti andranno in sofferenza.

Queste persone sono state intervistate a Washington DC e New York, e possono anche non essere rappresentative della nazione. C’è molto ancora da mettere in gioco per le elezioni del prossimo anno, e i conservatori repubblicani giocheranno in modo assai duro.

Così, la questione a lungo termine al centro della scena sarà: l’economia americana può fare ciò che ha fatto in passato, e rilanciare e riformare se stessa dal basso, nonostante le inutili partite politiche giocate a Washington? E’ notoriamente flessibile, e i veri eroi americani sono sempre stati Google, Wal-Mart, Apple e Boeing, non i lungimiranti visionari politici della capitale.

Ma gli ultimi dati economici, diffusi la scorsa settimana, hanno mostrato un quadro altrettanto stagnante in America come in Gran Bretagna. Questo non è sorprendente, in entrambi i casi: dopo aver fatto troppo affidamento sulle spese dei consumatori e sul boom del credito, entrambi i Paesi erano destinati a passare attraverso un lungo e doloroso periodo di adattamento.

Anche con le esportazioni in crescita, che è il caso dell’America e della Gran Bretagna, è difficile superare completamente gli strascichi del dopo crisi, e questo era vero anche prima che i rincari dei prezzi del petrolio e dei generi alimentari facessero sentire i consumatori ancora più poveri.

Questo andrà avanti per molto tempo a venire. In un primo momento la politica fiscale è stata una soluzione, in quanto il prestito ha stimolato l’economia. Ora è un problema, perché i tagli, per quanto necessari, deprimono la domanda.

In America, dove i tagli sono comunque stati differiti, c’è una complicazione aggiuntiva: la lunga disputa sulla politica fiscale e l’impostazione del governo, che durerà fino e oltre le elezioni del 2012, sta producendo una fitta nebbia che offusca non solo il futuro fiscale del Paese, ma anche il futuro delle relazioni dell’America e il suo atteggiamento verso il mondo esterno.

In questo contesto confuso e altamente incerto, sarebbe veramente miracoloso se le imprese dovessero decidere per investimenti massicci in America. Quindi la migliore ipotesi, purtroppo, è che non lo faranno. La disputa sul fisco continuerà, la nebbia rimane, e il mondo non può dipendere da una rapida ripresa dell’America.


La Notte 24 Ore
di Pierluigi Fagan - Megachip - 31 Luglio 2011

Questo è il resoconto che potremmo anche titolare “Viaggio all’inizio della notte” parafrasando Céline, di come stanno andando o andranno i mercati dei beni reali, quelli che servono a tenere in piedi i nostri stili di vita.

In un certo senso, l’intera economia e l’intera finanza che sull’economia dovrebbe poggiarsi, si fondano su questi prosaici fondamentali. Se vanno male loro è molto improbabile possano andare bene attività che a vari gradi di relazione, su di loro si basano.

Il viaggio sfrutta come vettore virtuale la pagina ad essi dedicata della compagnia di bandiera economico-finanziaria, «IlSole24ore» di sabato 30 Luglio, giorno di partenza.

Poiché il quadro che ne esce non consiglia di confermare l’ottimismo di questa luce del giorno eterno, seguiremo la faccenda per quello che sembra, il profilo di una lunga, densa, notte.

Inizia dunque il nostro viaggio, sediamoci, allacciamo le cinture, decolliamo e rilassiamoci guardando fuori dal finestrino cercando di carpirne il confuso paesaggio…

GRADISCE UNO SNACK ?

Per commodity s’intende prevalentemente beni agricoli o prodotti di base non lavorati come i coloniali e tropicali, i metalli, gli energetici e le carni, insomma gran parte delle cosiddette “materie prime”, tra cui spiccano gli alimentari. Il loro prezzo è determinato dagli incroci domanda offerta su i mercati internazionali. Qui uno sguardo d’insieme: ”Prezzi elevati per un decennio”.

L’articolo riferisce di uno studio OCSE che prevede aumenti medi del 20% per i cereali e del 30% per le carni, nei prossimi 10 anni. Ma tali previsioni sono induzioni standard: com’è noto, cieche ai “cigni neri”, ovvero eventi ( ritenuti ) imprevedibili.

Tra gli eventi che possono sconvolgere le già problematiche previsioni: il cambiamento climatico (che non è solo innalzamento delle temperature ma l’intera ridisposizione dei climi, delle precipitazioni, dei cicli stagionali) , il probabile incremento del prezzo del petrolio, instabilità nei cambi ed eventuali (oggi impensabili ma vedrete in quanto poco tempo tramonterà il consensus ultra – liberal scambista ) innalzamenti di barriere protezionistiche.

Quando poi la speculazione non si interesserà più dell’Eurozona, allora il rischio di caos sistemico alzerà le sue probabilità di concerto all’innalzamento dei prezzi. Anche se impegnata su altri fronti, a Maggio di quest’anno, la speculazione (o chi fa previsioni particolarmente pessimiste o fors’anche realiste) ha fatto segnare un ragguardevole + 37% rispetto allo stesso mese dell’altro anno. Chi fa la spesa, credo se ne sia accorto empiricamente.

In questi casi, le reazioni possono produrre feedback positivi (si dicono positivi poiché accrescono i fenomeni dai quali sono generati, non perché portino con sé buone notizie, tutt’altro ) come ad esempio nel caso di varie “restrizioni” al libero commercio.

La reazione finale più tipica è l’accaparramento forzato ovvero le guerre (dirette o indirette). Ma le guerre, soprattutto se non sono rapidissime e del tutto vincenti, generano ulteriore carestia e la carestia alza di nuovo i prezzi. Ad esempio, sorvolando la Libia…

UNA NOTTE BUIA COME IL PETROLIO.

Brutte notizie dall’AIE, Agenzia Internazionale per l’Energia: ”L’AIE alza l’allarme per il petrolio”. Naturalmente, la verità al suo maggior grado di risoluzione (l’avvenuto superamento del fatidico e contrastato picco di produzione) non viene detta e basta leggere che le previsioni per il 2015 danno 100 US$ /bbl per capire che chi oggi fa previsioni per il prezzo del petrolio al 2015 o è Otelma o ci sta prendendo per i fondelli.

Opterei per un sincretismo di entrambi. Comunque, se anche i sacerdoti della mantica petrolifera parlano di double dip, che in gergo vuol dire nubi nere e precipitazioni intense, improvvise e perduranti, vuol dire che i soprastanti indici economici saranno in picchiata, cioè recessione.

Per evitare l’indecisione con la quale l’OPEC sta rispondendo all’incipiente o conclamata crisi pare che si stia attivando un asse diretto USA – Arabia Saudita: ”Patto segreto USA-Arabia sulle riserve”. Colpisce il titolo del «Sole 24 ore»: ma se è segreto cosa ci fa sul «Sole 24 ore»?

Si noti inoltre, che comunque si sta trafficando con le riserve, il che non è mai una bella cosa. Tutto poi sembra generarsi (almeno nella sua configurazione attuale) per via della prolungata assenza produttiva libica. Quanto a lungo si potrà reggere la situazione ?

DI CHE COLORE È LA PAURA?

Eccoci allora all’oro, protagonista di una vera e propria corsa al rialzo:

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Qui ci si limita ai 5 anni, ma pare che cresca ininterrottamente da 10. Se ne accorge allora il Sole con questo articolo: ”Contro i rischi un bunker d’oro” di cui vale la pena di riportare il finale: «In conclusione, l'oro può essere parte di un giardinetto di attività (e oggi ci sono prodotti finanziari che permettono di scommettere sull'oro senza dover necessariamente comperare collanine o lingotti), ma sarebbe pericoloso farne una parte importante del proprio portafoglio. A meno che non pensiate che il mondo corra a rotta di collo verso un disastro. Ma la storia suggerisce che questa crisi, come tutte le crisi, un giorno finirà»

Un chiaro caso di conflitto d’interessi, chi comprerebbe più i giornale economico finanziario infarcito di quotazioni a supporto dell’intera macchina di vendita di prodotti finanziari, con consulenti, banche, fondi, che percepiscono laute commissioni ad ogni stormir di fronde (spesso creato da loro stessi), se bastasse riporre i risparmi in lingottini come ogni anziano che ha vissuto la guerra, sa? Meno male che almeno ci sono comodi certificati di investimento da acquistare presso la propria banca.

Il finale poi sprigiona quella bellissima, indomita, irrinunciabile fede positiva sulla quale noi atei spesso ironizziamo, ma che segretamente guardiamo con invidia. Ha da passà ‘a nuttata . Splendido… e io che pensavo che – l’economics – fosse una scienza!

HARD LANDING.

Che sta per atterraggio non proprio morbido e pure con qualche rischio. Come sempre, dopo un lungo viaggio di notte, tra interminabili ore di veglia e piccoli e tormentanti pisolini interrotti dalla cervicale fuori posto, con lo stomaco un po’ sottosopra, anche per via di questa gragnuola di cattive previsioni sull’andamento dei fondamentali delle nostre tormentate economie occidentali, giungiamo all’alba di un nuovo giorno alla nostra destinazione.

Ma come in un racconto gotico-mitteleuropeo scopriamo che siamo giunti nel nostro stesso aeroporto di partenza.

Vabbè, in fondo è anche rassicurante tornare a casa, in questo splendido paese che non prende mai nulla sul serio.

Cappuccino, brioche e dài, compriamoci il giornale di oggi, eccolo, «Il Sole 24 Ore» con il suo bel titolo: “ SERVE UN PIANO PER LA CRESCITA” ??? Allora è stato tutto in incubo ! Già, ma quale dei due ?

Buone vacanze.


Prove sottotraccia di massacro sociale
di Fabrizio Tringali - Megachip - 29 Luglio 2011

Il Senato ha da poco approvato l'ennesima mozione di fiducia posta dal governo Berlusconi.

La maggioranza assoluta degli inquilini di Palazzo Madama ha certificato, ancora una volta, la tenuta della compagine che sostiene l'esecutivo in carica.

Tuttavia la realtà è diversa dall'apparenza: tra le forze parlamentari, e anche all'interno dello stesso PDL, è sempre più accreditata l'ipotesi che Berlusconi cada, per essere sostituito da un esecutivo di larghe intese.

La finanziaria di Tremonti non è sufficiente a tenere a freno mercati e speculatori. E con l'imperversare della crisi, per garantire la difesa degli interessi dei ceti dominanti, il governo dovrà essere in grado di imporre scelte sempre più dure, in termini di tagli, imposte e privatizzazioni.

Ma l'attuale gabinetto non ha la forza sufficiente. Non solo perché Berlusconi se ne infischia della crisi e continua a tenere impegnate le Camere nell'approvazione di provvedimenti ad personam.

Il motivo principale è che il massacro sociale che ci aspetta sarà di tali dimensioni che potrà essere realizzato esclusivamente da un governo appoggiato anche dal centrosinistra.

Infatti solo il coinvolgimento dell'attuale opposizione nel governo garantisce la copertura politica “a sinistra”, necessaria per tenere a freno lo scontro sociale, che altrimenti si scatenerebbe in forme imprevedibili.

E' nell'ottica di un ingresso della sinistra nell'area di governo che la CGIL ha firmato con Confindustria, Cisl e Uil, l'intesa del 28 giugno. Un accordo che svuota l'efficacia dei Contratti Nazionali di Lavoro e assesta un colpo durissimo alla democrazia sindacale, impedendo ai lavoratori di poter votare le intese che li riguardano.

Un'altra conferma del fatto che i tempi per la spallata a Berlusconi sono davvero maturi, arriva da colui che qualche tempo fa indicavamo come possibile prossimo premier, a capo di un “governissimo” sostenuto anche dal centrosinistra, ma non dalla Lega.

Le parole di Beppe Pisanu, pubblicate oggi su Avvenire, non passeranno inosservate.

L'autorevole esponente del PDL si spinge a dichiarare che le “larghe intese” si faranno comunque: se i partiti non dovessero riuscire a mettersi d'accordo, agiranno autonomamente i parlamentari di “buona volontà”.

Oltre a far suonare le campane a morto per Berlusconi, Pisanu strizza l'occhio al Partito Democratico proponendo una legge elettorale che di certo non dispiace al partito di Bersani, cioè il cosiddetto Mattarellum (75% dei seggi assegnati tramite collegi uninominali, il restante 25% attribuito su base proporzionale), ma con qualche “correttivo sostanziale”, primo fra tutti, l'innalzamento della quota di sbarramento.

In questo modo ottenere rappresentanti alle Camere sarà molto difficile, se non impossibile, tranne che per i grandi partiti e le forze loro alleate. Il che vuol dire che le sedi del potere legislativo saranno accessibili solo all'attuale ceto politico di sinistracentrodestra.

Dunque Parlamento blindato, e contratti e condizioni di lavoro imposte dal mondo imprenditoriale. Ed è solo l'inizio.

Quel che ci aspetta infatti è un sostanziale restringimento di tutti gli spazi di democrazia, al fine di evitare ogni forma di possibile opposizione alle future, durissime decisioni.

Che saranno giustificate dal fatto di essere necessarie al rilancio della “crescita”, all'ottenimento di buoni livelli di competitività per il nostro Paese, e finalizzate al rispetto dei parametri richiesti dall'Unione Europea.

Un fronte di opposizione sociale che voglia resistere al massacro che ci aspetta, deve partire proprio da qui, dalla messa in discussione dei mantra che anche la sinistra politica e i sindacati confederali hanno ormai tristemente accettato di ripetere: “crescita”, “produttività”, “competitività”.


Lo sguardo tedesco sull'Italia
di Emanuela Pessina - Altrenotizie - 31 Luglio 2011

BERLINO. “Ciao bella! Il tramonto del Paese più incantevole del mondo”. Così l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel ha titolato la copertina di una sua recentissima edizione, dedicandola interamente alla crisi della nostra Italia.

Una crisi che è soprattutto economica, ma non solo: perché il caso italiano ha attirato l’attenzione della stampa internazionale alla luce del recente attacco della speculazione, ma la sua malattia è molto più profonda.

Ed è così che Der Spiegel traccia il ritratto di un Paese paralizzato a livello politico, economico e culturale, che fa fatica ad affermarsi nell’economia globale nonostante la sua presenza nell’olimpo dei Paesi più industrializzati.

Un’immagine già di per sé triste, costantentemente schiacciata a livello internazionale dagli ingombranti problemi personali della sua classe dirigente.

Tanto per cominciare, Der Spiegel cita il Forum Economico Mondiale di Ginevra, che ha definito l’Italia “un grosso intralcio” allo sviluppo; un’inefficiente burocrazia statale, un sistema tributario corruttibile, infrastrutture insufficienti e un fiacco sistema di prestiti sono alla base della sua debolezza.

Il bilancio 2010 della Banca d’Italia ha rivelato un livello di economia pari a 25 anni fa. Nel 2009 il volume del sistema produttivo si è contratto del 5%, mentre nel 2010 ha superato di poco la parità.

Tra il 2008 e il 2009 sono stati cancellati 560mila posti di lavoro; il debito pubblico ha raggiunto i 1.843 miliardi di euro, più del doppio di quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo e nel 2011 raggiungerà con ogni probabilità il 120% del Prodotto interno lordo (Pil). E, dulcis in fundo, solo il 27,5% dei cittadini italiani sostiene l’attuale Governo, ma la forza di cambiare davvero sembra scemare.

È da vent’anni a questa parte che l’Italia perde progressivamente di credibilità sotto ogni punto di vista, e questo non è un mistero. Per il settimanale tedesco il verdetto decisivo in questo senso è arrivato settimana scorsa dai mercati: citando il Financial Times, Der Spiegel scrive che la finanza non dà più credito al Governo italiano perché la sua politica crea insicurezza negli investitori.

E anche ora che la manovra per la riduzione del deficit è passata e il vertice europeo di giovedì a Bruxelles sembra aver rassicurato i mercati (tra cui anche Piazza Affari che ha ripreso istericamente colore), il pericolo finanziario non sembra del tutto scongiurato.

Perché in realtà le basi su cui poggia il piano di risparmio da oltre 70 miliardi del Governo italiano lasciano aperti spiragli di insicurezza, suggerisce Der Spiegel. “Tra questo e il prossimo anno si prevede di risparmiare 9 miliardi di euro, solo l’11% del traguardo finale”, si legge nel lungo servizio, 10 pagine che sembrano non finire mai, “nel 2013 ci saranno poi le elezioni e la sopravvivenza della manovra alla campagna elettorale è tutt’altro che sicura”.

In pratica, i veri sacrifici sono rimandati a una prossima legislatura: poco probabile che l’Italia stia recuperando la sua attendibilità di fronte ai mercati per la serietà del suo programma di risparmio.

“Di quell’Italia degli anni ’70 e ’80 che l’Europa tutta guardava con speranza, simpatia e forse una punta di invidia rimane sempre meno”, prende atto Der Spiegel, e introduce la sua analisi della nostra società dal punto di vista dei costumi e della cultura.

E si parte dal ruolo fisso delle donne nella televisione, che si riduce al mero, inconsapevole “sculettare”, passando per gli “orgogliosi comuni del Nord Italia”, trasformatisi nella “roccaforte xenofoba della Lega Nord”, e per Cinecittà, ormai leggenda nella memoria tedesca, che affonda facendo spazio “all’impero del cattivo gusto”.

Inutile aggiungere che, ancora una volta, al centro del servizio di Der Spiegel c’è il premier Silvio Berlusconi: dai processi in corso al Rubygate, dalla nascita del suo impero mediatico agli interventi sulle leggi italiane che gli garantiscono la sopravvivenza politica ed economica, senza tralasciare i recenti diverbi con il ministro delle Finanze Giulio Tremonti e i provvedimenti per circoscrivere la libertà dei giudici. Nessun particolare è risparmiato all’Italia e alla sua politica, definita da Der Spiegel la “democrazia dell’intrattenimento”, perché l’Europa è preoccupata e osserva.

Ed è proprio un filosofo friulano, Flores D’Arcais, a dare voce alle inquietudini europee: “Il berlusconismo è la moderna alternativa al fascismo e si fonda sulla legalizzazione dei privilegi, così come sul potere assoluto delle immagini”. Der Spiegel non manca di citare le parole dell'intellettuale, facendo presente che il rischio di contagio per il resto del continente è reale.

Berlusconi è deciso a portare a termine la sua legislatura nonostante i vari coinvolgimenti privati, e tutte le capitali europee ne sono sbalordite.

Nel resto del mondo i politici si dimettono per una tesi copiata o per una relazione clandestina con stagiste: ai più viene difficile capire la mentalità italiana fino in fondo. Perché nulla cambia.

L’Europa non crede più all’Italia e i segnali sono chiari. È difficile accettare il quadro che la stampa internazionale traccia della nostra società, eppure è giusto prenderne atto.

Forse preferiremmo non doverci confrontare continuamente con il romanzo dei problemi privati della nostra classe politica, ma come possiamo aspettarci che il mondo faccia finta di niente quando il nostro rapporto con la politica si riduce a questo, a una lotta quotidiana con le loro complicazioni private?

La difficoltà maggiore è quella di dimostrare agli stranieri che noi siamo diversi, che la nostra classe politica non ci rappresenta. Anche se è arduo sconfiggere i pregiudizi, almeno quanto il malgoverno.


Tremonti, un giallo che non funziona
di Alessandro Robecchi - Il Manifesto - 1 Agosto 2011

Gentile editore, le invio una breve sinossi della trama del mio prossimo giallo a sfondo politico. Cordiali saluti.

Il ministro del Tesoro, capo della Guardia di Finanza, si sente pedinato dalla Guardia di Finanza. C'è il fondato sospetto che il Presidente del Consiglio ce l'abbia con lui, il che lo spinge a pagare l'affitto ogni settimana in contanti a un inquisito suo amico, e a sostenere che è tutto regolare, pur essendo una cosa che se fai nella vita vera arriva la Guardia di Finanza e ti fa un culo così. Quale Guardia di Finanza? Quella che tifa Tremonti o quella che tifa Berlusconi contro Tremonti?

Sempre che l'affitto non lo pagasse invece il solito imprenditore, come da verbali, e allora la Guardia di Finanza dovrebbe andare anche da lui. Abbiamo abbastanza Guardia di Finanza in Italia o dobbiamo prendere degli stagionali?

In ogni caso, la giusta esigenza di Tremonti di non dormire in una caserma della Guardia di Finanza, dove non si sentiva sicuro, lo ha spinto a dormire a casa di Milanese, dove invece si sentiva sicuro.

Sicuro di fare una figura di merda. Nel frattempo il Presidente del Consiglio, quello che ha amici nella Guardia di Finanza che forse spiavano e pedinavano il ministro del Tesoro capo della Guardia di Finanza, è minacciato di morte da Gheddafi.

Senza dubbio una mossa pubblicitaria: ora Gheddafi starà simpatico a tutti. O forse solo un modo per sviare l'attenzione e confondere chiunque, compresa la Guardia di Finanza, che non sa più chi pedinare: Tremonti? Gheddafi? L'imprenditore che paga l'affitto?

Tutti si aspettano da un momento all'altro le dimissioni di qualcuno, ma siccome l'economia traballa e i famosi mercati ci cacano in testa, nessuno si dimette. Fine.

Gentile Robecchi, la sua trama fa schifo, non è credibile, è troppo assurda. Affitto in contanti? Pedinamenti? Va bene la fiction e la fantasia, ma non esageriamo! Quale paese potrebbe sopportare tanto senza cominciare una sommossa? Cordialmente, l'Editore.


Belcastro, sottosegretario un po’ incompetente
di Gisella Ruccia - Il Fatto Quotidiano - 1 Agosto 2011

“Dobbiamo tutelare i nostri interessi, essere meno cedevoli e servili. E mostrarci con una punta di mafiosità positiva“.
On. Elio Belcastro, sottosegretario all’Ambiente

E’ di due giorni fa la notizia che un autorevole rappresentante del gruppo parlamentare dei Responsabili, la comitiva sgangherata in quota alla maggioranza di governo, è stato nominato sottosegretario all’Ambiente.

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poco gradita all’allegra compagnia dei Razzi e dei Scilipoti, dal momento che le aspettative del gruppo vertevano su una nomina a sottosegretario all’Interno in sostituzione di Francesco Nitto Palma, diventato ministro della Giustizia.

Ma chi si accontenta gode e così, dopo aver battuto i piedini e aver minacciato “urbi et orbi” di affiancare De Magistris (O i soldi o me ne vado con De Magistris, sbraitava il 4 giugno scorso), l’onorevole Elio Belcastro ha dovuto accettare il nuovo incarico regalato da Silvio nella grande riffa pretesa dai Responsabili: appunto, un sottosegretariato all’Ambiente.

Avvocato penalista calabrese, classe 1954, già sindaco di Rizziconi, un piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, con un trascorso nel nuovo Psi, Belcastro fu eletto deputato alle elezioni politiche del 2008 per la lista del Mpa in Calabria.

Successivamente abbandonò Raffaele Lombardo per poi veleggiare con diverse scialuppe ( ”Alleati per il Sud”, “Lega Sud Ausonia”, “Noi Sud Libertà e Autonomia”, “Noi Sud Libertà e Autonomia, “i Popolari di Italia Domani”). Attualmente è passato alla compagine del cavaliere di Arcore sotto il vessillo di “Gruppo di Iniziativa Responsabile/Noi Sud”.

Negli annali della politica italiota, Belcastro resterà memorabile per svariati aneddoti. L’11 novembre 2009, a proposito della vicenda Cosentino, sentenziò: “Per quanto mi riguarda non darò mai autorizzazione a procedere contro chiunque venga chiamato in causa per concorso esterno in associazione mafiosa. È un’ipotesi di reato inventata da certa magistratura.”

Il 22 dicembre 2010 scagliò intimidazioni pesanti contro l’on. Barbato dell’Idv, minacciando di suonargliele.

Il 12 marzo 2011, in occasione delle votazioni delle mozioni sulla crisi, tra cui quella del Pd sull’assegno di disoccupazione, non si presentò in Aula e, assieme a Salvini della lega Nord, si avvalse del generoso voto di un collega pianista.

Ma il repertorio delle stramberie belcastriane si è arricchito recentemente di altre perle succulente: ospite del programma radiofonico La Zanzara, il deputato “responsabile” è stato protagonista di uno scoppiettante confronto con il conduttore, Giuseppe Cruciani, che con non poca fatica è riuscito ad arginare la tracimante furia logorroica di Belcastro. Il risultato del vis à vis è di una comicità straordinaria.

Dopo un preambolo in cui il nostro ripete a mò di nenia che ha ricevuto tante felicitazioni “da mezzo mondo”, giura che quella del politico è una vita grama e sofferta (lui stava decisamente meglio prima), afferma che quella carica non era la sua “massima ispirazione” e asserisce che mai il Pd potrebbe prendere il posto dell’attuale maggioranza governativa perché è il “partito delle mazzette”, per poi giungere al clou dell’intervista telefonica.

Ma lei prima diceva che il suo gruppo era trattato da Berlusconi come un servo e ora che è cambiato?
E’ cambiato che ora ci sono più colloqui, più discorsi…

Dunque, lei ora è sottosegretario all’Ambiente, giusto? Lei sa cos’è il protocollo di Kyoto?
Il protocollo di Kyoto io lo so che cos’è, però io non consento a lei … io c’ho tre lauree… no, per cui… non le consento di fare gli esamini, ha capito? Questi giochini… io invece non lo so lei che laurea ha…

Scusi, lasci perdere se io sono laureato o no. Lo sa cos’è il protocollo di Kyoto o no?
Ma certo che lo so, ma non lo voglio dire a lei! Lei non può fare un esame a un parlamentare, se mai mi metto io a fare gli esami a lei, e vedrà che farà una bella figura da ignorante!

Ma cosa c’entra, è lei che fa il sottosegretario!
E allora? E allora lei è abilitato a fare gli esami a me?

Ma no! E’ un gioco!
E allora io con lei non ci gioco! Hehehe!

Vabbè, non vuole giocare … e allora che cosa vuol dire ”Pm10″?
Allora insiste! Insiste! Insiste! E allora? Eh eh eh!

No, Belcastro, scusi, abbia pazienza, ma non è che io faccio il sottosegretario all’Ambiente. Lei che competenze ha per fare il sottosegretario all’Ambiente?
No, ora, con estrema serenità… e allora… lei, lei, no? Lei pensa come tanti altri, no? Che il parlamento italiano è fatto da gente ignorante… ma nel Parlamento italiano c’è tanta gente che rappresenta il popolo davvero, e io rappresento una parte di popolo che ha molta più dignità di tanti altri… noi calabresi portiamo la cultura nel mondo, noi veniamo dalla Magna Grecia… noi siamo a Roma per…

Ma che vuol dire Magna Grecia!
… Noi siamo a Roma in 500 mila… noi siamo a tutti i livelli… se i calabresi si ritirassero a casa un giorno – che è il mio sogno – le assicuro che l’Italia rimarrebbe priva di molta, molta cultura… a cominciare da tutti i primari medici che abbiamo in giro… a cominciare dai nostri maestri al Nord…

Ma che vuol dire, cosa c’entra?!
Le dico che lei non è autorizzato, né abilitato, e vorrei vedere il suo curriculum…

Ma cosa c’entro io, è lei il sottosegretario all’Ambiente, mica io!
Io la ringrazio, la saluto, un abbraccione agli italiani.

Click. Telefonata interrotta bruscamente.

Come direbbe Berlusconi, tutta colpa dei Pm. Dieci, per l’esattezza.