lunedì 30 gennaio 2012

News Shake

News Shake, notizie a caso ma non per caso...



La Siria sembra sempre più la Libia ogni giorno che passa
di Rami G. Kouri - The Daily Star - 21 Gennaio 2012
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Il deterioramento continuo della situazione politica in Siria ha portato l'emiro del Qatar a suggerire la settimana scorsa che sarebbe stato adeguato spedire truppe arabe per fermare le uccisioni.

Quanto serio sia stato questo suggerimento è ancora poco chiaro. Potrebbe aver solo offerto una soluzione pratica, o stava semplicemente inviando un messaggio politico per cui il mondo arabo non può aspettare in modo indefinito che i siriani vengono uccisi a decine ogni giorno.

La Lega araba si incontrerà al Cairo questa fine settimana per valutare la sua missione oramai mensile di ispettori, la cui presenza in Siria non ha rallentato gli omicidi.

Anche se la lega dovesse titubare con la propria strategia e cercasse di migliorare l'efficacia degli ispettori, o se la interrompesse portando la questione della Siria al Consiglio della Sicurezza delle Nazioni Unite, fa poca differenza al momento.

Nei due casi il problema più grande che incombe è se inviare o meno le truppe straniere o se prendere le altre misure per fermare le morti in Siria.

Sono due domande ben differenziate: è realistico e desiderabile avere truppe straniere in Siria? Il Consiglio Nazionale Siriano (SNC), un consorzio di gruppi di opposizione, si sta appellando ai governi arabi e stranieri per iniziare a pensare di creare un porto sicuro lungo i confini settentrionali e meridionali della Siria, o addirittura per istituire "città per i rifugiati ", dove le truppe del governo siriane non potrebbero attaccare i cittadini.

Questo non sarebbe fattibile senza la partecipazione diretta di truppe straniere, principalmente dall’aria con l’introduzione di una zona di divieto di volo, per iniziare.

In questo momento non c’è alcun consenso fra i paesi arabi per fare questo, e questo consenso sembra un requisito indispensabile per prendere in seria considerazione un’iniziativa simile.

Personaggi dell’opposizione siriana parlano delle esperienze in Kosovo e in Bosnia nei decenni scorsi, quando le truppe straniere protessero i civili del posto come un precedente da emulare in Siria.

I porti sicuri, protetti dalle forze straniere o arabe, lungo i confini permetterebbero a molte più truppe o funzionari civili di disertare dalle posizioni che ricoprono per unirsi all'opposizione, e ciò potrebbe accelerare la caduta del regime.

Tutto ciò sarebbe una serie di iniziative politiche e diplomatiche che i governi arabi e stranieri potrebbero intraprendere, oltre a tenere cadenzate riunioni operative col SNC, e alla fine riconoscerlo formalmente come il rappresentante ufficiale del popolo siriano, una sorta di governo in esilio.

Le varie opzioni che hanno gli altri governi per impegnarsi con l'opposizione siriana sono crucialmente importanti per quei siriani che stanno tentando di abbattere il loro governo.

Questo è considerato il modo più fattibile nelle presenti circostanze per convincere il Presidente Bashar Assad a farsi da parte, per dare spazio a un nuovo sistema di governo democratico e pluralistico nel paese.

La situazione corrente è in fase di stallo, simile a quello in Yemen. I ribelli e dimostranti esprimono una forte opposizione al regime, ma anche quest’ultimo è capace di poter radunare beni considerevoli (truppe e soldi, principalmente) per uccidere, respingere o intimidire a sufficienza i dimostranti per mantenere il regime di Assad al potere.

Rompere questo stallo è la priorità di molti oppositori siriani che riconoscono come il livello attuale di manifestazioni e di scarse defezioni dalle forze armate o dal servizio civile non saranno sufficienti per abbattere il regime.

Ci sono anche considerazioni prioritarie per coloro quelli che stanno pensando a spedire le truppe straniere. Altri paesi che stanno sperimentando tensioni simili e morti come avviene in Siria potrebbe chiedere anche loro un intervento armato straniero per proteggere i civili.

L’appello dell'emiro qatariota per spedire truppe arabe in Siria invia il segnale che questa ipotesi, una volta inconcepibile, non potrà rimanere per sempre nell’ambito dell’impossibile.

I problemi tecnici di come intervenire per assistere i civili siriani e i gruppi di opposizione sono quanto meno complicati. L'ostacolo più ora è la valutazione politica se sia saggio intraprendere una mossa di questo tipo.

La conclusione che io traggo da tutto questo rafforza ciò che penso e ho detto sin da quando un anno fa si verificarono le prime manifestazioni contro i regimi tunisino ed egiziano: la Siria soffre di molti degli stessi problemi e delle condizioni che erano evidenti in questi due paesi (povertà, mancanza di democrazia, corruzione generalizzata e rabbia tra la cittadinanza), e perciò non è immune al loro destino.

La situazione libica offrì un esempio di un processo graduale di organizzazione dell’opposizione e di un intervento internazionale. A dire il vero, come veniamo a sapere tutti i giorni, la Siria non è la Libia.

Ma almeno sembra corretto dire che la Siria assomiglia sempre più alla Libia nell’ambito delle mosse dell’opposizione e delle risposte del regime che stanno provocando in modo sempre maggiore la possibilità di interventi drastici e di misure per salvare le vite dei civili.



La verità dietro al prossimo "cambio di regime" in Siria
di Shamus Crooke - www.countercurrents.org - 25 Gennaio 2012
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www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Dopo essersi di nuovo convocata per decidere il destino della Siria, la Lega Araba ha deciso di prorogare la sua "missione di monitoraggio" in Siria. Comunque, alcune nazioni della Lega Araba sotto il controllo diplomatico degli Stati Uniti stanno chiedendo a grande voce il sangue.

Questi paesi – veri burattini della politica estera statunitense – vogliono dichiarare la supervisione della Lega stessa "un fallimento", così che un intervento militare - nella forma di una zona con divieto di volo – possa essere usato per il cambio di regime.

Gli Stati Uniti sembrano usare una strategia in Siria che si è perfezionata nel corso degli anni, dopo con il recente successo in Libia: piccoli gruppi paramilitari leali agli interessi degli USA che pretendono di parlare per la popolazione natìa; questi militanti attaccano poi il governo che gli Stati Uniti vorrebbero veder rovesciato, - bombardamenti dei terroristi inclusi - e quando il governo attaccato si difende, gli Stati Uniti lamenteranno un "genocidio" o gli "assassinii di massa", auspicando l’intervento militare straniero.

Questa è la strategia che gli Stati Uniti stanno utilizzando per incanalare la Primavera Araba verso la fine sanguinaria di un intervento militare e straniero.

Ad esempio, i media e il governo statunitensi stanno fornendo fanaticamente l'impressione che, in Siria, la popolazione vorrebbe un intervento straniero per rovesciare il presidente dittatoriale, Bashar Assad. Ma la realtà è più caparbia.

Dopo essere diffuso queste bugie, il New York Times è stato costretto ad ammettere, in molti articoli, che in Siria ci sono stati raduni massicci a sostegno del governo siriano. Questi assembramenti sono stati più frequentati di qualsiasi manifestazione pro-governativa che il governo degli Stati Uniti potrebbe organizzare. Il New York Times riporta:

L’affluenza in piazza Sabaa Bahrat a Damasco, nella capitale, ha sottolineato ancora una volta il grado di sostegno che Assad e la sua dirigenza godono fra molti siriani dopo quasi sette mesi di sollevazione popolare. Questo appoggio è particolarmente forte in città come Damasco e Aleppo, le due maggiori del paese. (13 gennaio 2012).

Il New York Times è stato costretto ad ammettere che le due più grandi città – di un piccolo stato – sostengono il governo (o almeno si oppongono a un intervento militare e straniero).

Ciò è stato poi confermato da un sondaggio finanziato dalla Syrian Qatar Foundation, realizzato per i Dibattiti di Doha:

In base all’ultimo sondaggio di opinione commissionato da The Doha Debates, i siriani sono a sostegno del suo presidente, e il con 55% non vuole che si dimetta. (2 gennaio 2012).

Se la gente in Siria non vuole un intervento straniero – la probabile motivazione per cui tante persone partecipano alle manifestazioni pro-Assad – cosa dire del cosiddetto Esercito della Siria Libera, al quale gli Stati Uniti concedono un’immensa credibilità e che pretende di parlare per il popolo siriano?

L'Esercito della Siria Libera – come la sua controparte libica - sembra essere ancora un altro gruppo militante made in the USA attraverso la Turchia sua alleata, un fatto suggerito dalla rivista pro-establishment statunitense Foreign Affairs:

Perché le forze armate siriane non bombardano le loro posizioni o lanciano un attacco su larga scala? I combattenti dell’Esercito della Siria Libera sono posizionati a un miglio dal confine turco, abbastanza vicini per poter fuggire se la situazione diventasse difficile.

L'articolo cita anche un membro dell’Esercito della Siria Libera che afferma: “’Ogni gruppo [dell’Esercito della Siria Libera] in Turchia ha il proprio compito’, ha detto Sayeed. ‘[I turchi] ci hanno dato libertà di movimento.’” (8 dicembre 2011).

L'articolo menziona anche il fatto che l’Esercito della Siria Libera sta richiedendo una "no-fly zone", che potrebbe distruggere le forze armate siriane; la possibile ubicazione di questa zona a divieto di volo è sul confine siriano con Turchia, Giordana o Iraq - tutti e tre questi stati sono alleati o clienti degli Stati Uniti.

Una "no-fly zone“ è il nuovo 'eufemismo per dire che gli Stati Uniti e i suoi partner militari europei nella NATO interverranno per utilizzare i loro avanguardistici jet d’assalto per distruggere le forze armate siriane, come accaduto in Libia.

In Libia la zona a divieto di volo si è evoluta in una "zona a divieto di movimento " e alla fine in una "zona a divieto di sopravvivenza" per tutto quello che potesse assomigliare all’esercito siriano, o a quelli che si sono armati in difesa del governo libico.

Come in Siria, a Tripoli, la più grande città libica, non ci sono mai state manifestazioni anti-governative. Il gruppo paramilitare anti-governativo e a favore degli USA che ha attaccato le forze libiche era così piccolo che ci sono voluti mesi per prendere il potere dopo 10.000 missioni di bombardamento della NATO che hanno distrutto gran parte delle infrastrutture della Libia, come documentato dall’indipendente Human Rights Investigations.

È impensabile che una frazione consistente della società siriana favorisca una “no-fly zone” appoggiata dalla NATO, ossia una guerra in Siria. Gli esempi di Afghanistan, Iraq e Libia sono troppo evidenti per non essere notati da qualsiasi nazione mediorientale.

Nel momento in cui l'Esercito della Siria Libera richiede un'invasione della NATO in Siria, ciò è sufficiente per identificare questo esercito come un’entità fantoccio degli Stati Uniti che lotta per assumere il potere politico, meritandosi quindi una ferma condanna.

Questa strategia di utilizzo di un esercito per delega al fine di danneggiare un governo anti-statunitense ha un passato devastante. Questa strategia è stata celebrata nel libro “Charlie Wilson's War” che descrive la vera storia del governo statunitense che invia armi e finanziamenti gli estremisti islamici per intraprendere una campagna terroristica contro il governo afgano, che era all’epoca un alleato dell'Unione Sovietica.

Gli attacchi alla fine portarono il governo afgano a richiedere un rafforzamento della presenza militare sovietica in Afghanistan, e tutto questo motivò un forte sostegno popolare a favore degli estremisti che divennero noti col nome di Talebani.

Lo stesso scenario fu impiegato anche in Kosovo, dove il piccolo Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA) appoggiato dagli Stati Uniti avviò una campagna terrorista contro il governo dell'Iugoslavia, con l’intenzione di rendere indipendente il Kosovo.

Quando il governo jugoslavo tentò di difendersi dal KLA - imitando al contempo le sue tattiche violente – gli Stati Uniti e gli altri governi occidentali parlarono di genocidio e entrarono in Yugoslavia, definendola un’"invasione umanitaria".

Oggi gli Stati Uniti sono una delle poche nazioni che riconoscono il Kosovo come nazione indipendente, mentre il Kosovo serve fedelmente i suoi interessi.

La stessa strategia di guerra per delega – da parte degli Stati Uniti e delle potenze europee – ha svolto un ruolo fondamentale in vari conflitti sparsi per tutta l’Africa, che sono culminati nella Guerra del Congo che ha ucciso oltre cinque milioni di persone, come descritto dal giornalista francese Gerard Prunier nel suo libro, Africa's World War.

In Siria la storia si sta ripetendo e le nazioni che non sono alleate degli USA ne sono ben consapevoli. Ancora il New York Times riporta:

[Il Ministro degli Esteri russo] ha affermato che alcuni governi stranieri [gli Stati Uniti, Turchia, eccetera] stanno armando ‘i militanti e gli estremisti’ in Siria.

Il Ministro degli Esteri ha fornito una descrizione accurata della politica estera statunitense nei confronti dell'Iran:

Lavrov ha pronunciato un grave discorso sulla possibilità di un bombardamento contro l’Iran, che per lui sarebbe una "catastrofe". Ha detto che le sanzioni economiche ora proposte contro Teheran hanno “lo scopo di provocare un effetto soffocante sull'economia e la popolazione iraniana, con la speranza di provocare uno scontento generalizzato." (19 gennaio 2012).

Ancor più malauguratamente, il Ministro degli Esteri russo ha affermato che la politica estera statunitense in Siria e in Iran potrebbe portare a un “conflitto molto vasto", una guerra regionale o anche internazionale, quando gli altri poteri interverranno per difendere i propri interessi nella regione.

La Russia ha proposto un modo per evitare la guerra in Siria e lo sta intraprendendo attraverso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU; è lo stesso percorso che è stato perseguito dal governo pro-statunitense in Yemen, col mantenimento al potere del governo in carica fino a nuove elezioni.

Sfortunatamente, lo Yemen è un alleato degli Stati Uniti e per questo gli USA e i suoi alleati stanno bloccando lo stesso approccio per avviare il conflitto in Siria.

Il blocco di opposizione al governo siriano, il Comitato di Coordinamento Nazionale, si oppone all’intervento militare straniero. Un leader dell’NCC, Hassan Abdul Azim, ha con saggezza affermato:

Rifiutiamo per principio qualsiasi tipo di intervento straniero e militare perché minaccia la libertà del nostro paese. (19 gennaio 2012).

Questa è molto probabilmente l'opinione prevalente in Siria, visto che minaccia di una “no-fly zone” avrà come esito gli stessi bombardamenti di massa sperimentati dai cittadini di Tripoli in Libia.

La farlocca opposizione siriana al di fuori del paese, il Consiglio Nazionale Siriano, è ancora un altro pupazzo in mano agli Stati Uniti – ora alleati l'Esercito della Siria Libera – che implora un'invasione militare della Siria per "liberarla".

Chiaramente i media occidentali ci forniscono unicamente la prospettiva del Consiglio Nazionale Siriano fedele agli USA.

Gli Stati Uniti hanno già verificato in numerose occasioni che le soluzioni militari non risolvono niente, dopo aver fatto a pezzi il tessuto sociale in Afghanistan Iraq e ora in Libia. I lavoratori siriani e iraniani non desiderano alcun "aiuto" dal governo statunitense e dai suoi alleati per impedire uno spargimento di sangue.

Le persone che lavorano di questi paesi potrebbero liberarsi dai loro governi autoritari, come hanno fatti i tunisini e gli egiziani, ma proprio qui sta il punto: gli USA stanno intervenendo militarmente per ri-guadagnare il controllo su una regione che gli era scappata dalle mani durante la Primavera Araba.

Questo approccio militare serve a spingere i lavoratori del paese bersaglio nelle mani del loro governo, provocando una catastrofe umanitaria nella nazione invasa.

I lavoratori degli Stati Uniti non hanno alcun interesse per una guerra aggressiva e hanno la responsabilità di apprendere la propaganda statunitense per poterne poi richiedere la fine scendendo in strada.



Le conseguenze inattese dell'embargo petrolifero all'Iran
di Pepe Escobar - Asia Times - 28 Gennaio 2012
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www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Se la triste sfilata di tirapiedi europei - o quelle che l'analista Chrys Floyd soprannominò deliziosamente le Euromascotte – avesse una qualche conoscenza di cultura persiana, avrebbe saputo che le conseguenze delle proprie dichiarazione di guerra economica sotto forma di embargo petroliero all’Iran sarebbero nient’altro che heavy metal.

Meglio ancora: death metal. Il Majlis (il parlamento iraniano) discuterà questa domenica, in una sessione aperta, se cancellare immediatamente tutte le esportazioni di petrolio ai paesi europei che hanno appoggiato l’embargo, secondo Emad Hosseini, relatore della Commissione Energetica del Majlis.

E ciò è stato abbinato dalle necessarie avvertenze apocalittiche, trasmesse dall’agenzia di stampa Fars e rilasciate dal membro del parlamento Nasser Soudani: “L’Europa arderà nel fuoco dei pozzi petroliferi iraniani."

Soudani esprime il punto di vista di tutto l'establishment di Teheran quando afferma che "la struttura delle loro raffinerie [europee] è adatta al petrolio dell'Iran", e che pertanto gli europei non hanno alcuna possibilità di sostituzione; l’embargo "causerà un aumento nei prezzi del petrolio e gli europei si vedranno obbligati a comprare petrolio a prezzi più alti"; cioè, l'Europa “sarà costretta a comprare indirettamente petrolio iraniano attraverso gli intermediari".

In base al pacchetto di sanzioni dell'UE, i contratti esistenti verranno rispettati fino al 1° Luglio e non ne verranno stilati di nuovi. Ora immaginate cosa potrebbe succedere se questo progetto di legge iraniano venisse approvato nei prossimi giorni.

I paesi del Club Med colpiti dalla crisi come Spagna e specialmente Italia e Grecia soffriranno un colpo mortale, non avendo tempo per trovare una possibile alternativa al greggio di alta qualità dell'Iran.

L’Arabia Saudita – per quanto possano raccontarci i media corporativi occidentali - non ha una capacità addizionale; ed inoltre, la priorità assoluta della Casa di Saud è un alto prezzo del petrolio, per poter corrompere - oltre a reprimere - la propria popolazione per farle dimenticare le idee nocive della Primavera Araba.

E così, le economie europee che sono già in bancarotta si vedranno obbligate a continuare ad acquistare il petrolio iraniano, ma ora lo dovranno comprare dai vincitori del caso, gli intermediari avvoltoi.

Non è sorprendente che i perdenti di queste tattiche da Guerra Fredda applicate in modo anacronistico a un mercato aperto globale siano proprio gli europei. La Grecia - che è già di fronte all'abisso - sta comprando il petrolio fortemente scontato dall'Iran.

Continua a esistere la possibilità che l’embargo petrolifero determini un default sulle obbligazioni del governo greco, e persino un catastrofico effetto a cascata sull'Eurozona, su Irlanda, Portogallo, Italia, Spagna, e anche oltre.

Il mondo ha bisogno di un Erodoto digitale per decifrare come queste mascotte europee che pretendono di rappresentare la "civiltà" siano riuscite, in un colpo solo, a infliggere un dolore simultaneo alla Grecia - la culla della civiltà occidentale – e alla Persia - una delle civilizzazioni più sofisticate della storia.

In una sorprendente riedizione della tragedia, è come se i Greci e i Persiani si fossero uniti alle Termofili per affrontare l'attacco degli eserciti della NATO.

Segui il ritmo eurasiatico

Ora facciamo un paragone con ciò che è successo in Eurasia. Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha asserito: “Le sanzioni unilaterali non sono efficaci”. Il Ministro degli Affari Esteri di Pechino, pur con estremo tatto, è stato inequivocabile: "Fare pressioni alla cieca e imporre sanzioni all'Iran non sono metodi costruttivi."

Il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha detto: "Abbiamo eccellenti rapporti con l'Iran e stiamo facendo molti sforzi per rinnovare il dialogo tra Iran e il gruppo dei mediatori dei 5+1 (i Sei dell’Iran, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania). La Turchia continuerà a cercare una soluzione pacifica alla crisi."

Anche l’India che fa parte dei paesi BRICS – assieme a Russia e Cina – ha rifiutato le sanzioni. L'India continuerà a comprare petrolio iraniano pagando con rupie o oro. Corea del Sud e Giappone otterranno inevitabilmente un esonero per le sanzioni dall’amministrazione Obama.

In tutta l’Eurasia gli scambi si stanno allontanando rapidamente dal dollaro statunitense. La Zona Asiatica di Esclusione del Dollaro significa chiaramente che l'Asia si sta lentamente distanziando dalle banche occidentali.

Questo sommovimento potrebbe essere guidato dalla Cina, ma è irreversibilmente transnazionale. Ancora una volta, seguite i soldi. I membri del BRICS Cina e Brasile hanno iniziato a lasciare da parte il dollaro nei loro commerci già dal 2007.

Anche Russia e Cina hanno fatto la stessa cosa nel 2010. Giappone e Cina - i due pesi massimi asiatici – si sono mossi in questa direzione il mese scorso.

Solo nell'ultima settimana Arabia Saudita e Cina hanno presentato un progetto per una gigantesca raffineria petrolifera nel Mar Rosso. E l’India, più o meno segretamente, sta pattuendo il pagamento del petrolio iraniano in oro, volendo bypassare l'attuale intermediario, una banca turca.

L'Asia auspica un nuovo sistema internazionale e ci sta lavorando sopra. Le inevitabili conseguenze a lungo termine: il dollaro statunitense – e, di conseguenza, il petrodollaro – scivoleranno lentamente nell’irrilevanza. "Troppo" grande per fallire” potrebbe non essere più un imperativo categorico, ma solo un epitaffio.



“Non farlo, Bibi”
di Giulietto Chiesa - Il Fatto Quotidiano - 29 Gennaio 2012

Questo il titolo. L’autore era Roger Cohen. Il giorno era il 17 gennaio 2012. Il giornale era International Herald Tribune. Bibi è Benjamin Netanyahu. Cosa non dovrebbe fare Bibi?

Attaccare l’Iran. Ma non per sempre, per carità: non farlo “questa primavera o questa estate”. Cioè non farlo prima che Barack Obama venga rieletto trionfalmente presidente degli Stati Uniti d’America.

Poi l’attacco lo faremo insieme, oppure lo promuoverà direttamente il Premio Nobel per la pace, e Bibi, contento, non avrà che da associarsi all’impresa. Insomma, Bibi, abbi pazienza!

Quando scrissi che l’attacco all’Iran era imminente, si levò un coro di proteste. Del tipo: il solito complottista, il solito antiamericano.

Sabato 28 gennaio International Herald Tribune pubblica una ampio articolo a firma Roney Bergman, con il titolo: “Il tempo della decisione si avvicina per Israele a proposito della minaccia iraniana”.

Roney Bergman non teme di essere definito complottista e pubblica, sul quotidiano Yedioth Ahronoth, una meticolosa descrizione di ciò che sta per accadere attraverso le vive emozioni del ministro della Difesa israeliano Ehud Barak.

Non senza avere elencato, altrettanto meticolosamente, tutti i tentativi fatti dal Bibi per evitare che l’Iran si doti dell’arma nucleare. Tra questi tentativi vengono ricordati gli attentato terroristici con cui il Mossad ha ucciso un discreto numero di scienziati atomici e dirigenti politici e militari iraniani, in territorio iraniano.

Naturalmente Bergman non dice che è stato il Mossad. Dice che i fanatici ajatollah accusano il Mossad di avere organizzato gli atti terroristici. Ma noi sappiamo che Bruto è un uomo d’onore e mai e poi mai nutriremmo tali sospetti.

L’elenco è questo: Gennaio 2007. Ardeshir Husseinpur, 44 anni, scienziato che lavorava nell’impianto di Isfahan, muore “per una fuga di gas”.

Gennaio 2010. Massoud Alì Mohammadi, fisico delle particelle, salta in aria quando una bici, parcheggiata vicino alla sua auto, esplode.

29 Novembre 2010. Due alti dirigenti del programma nucleare iraniano, Majid Shariari e Fereydoun Abbasi-Davani vengono attaccati da due motociclisti in pieno centro di Teheran. Il secondo e sua moglie si salvano prima dell’esplosione. Abbasi-Davani era vice-presidente dell’Iran e capo del progetto nucleare.

Luglio 2011. Darioush Rezaei Nejad, fisico nucleare che lavorava nell’agenzia atomica iraniana, viene sparato da un altro motociclista mentre guidava l’auto vicino alla sua casa.

Novembre 2011. Una enorme esplosione si verifica a 50 km da Teheran, nella sede delle Guardie Rivoluzionarie. Muore il brigadiere generale Hassan Moghaddam (capo della divisione missilistica) insieme a 16 militari.

11 Gennaio 2012. E’ la volta di Mostafa Ahmadi-Roshan, vice direttore dello stabilimento di arricchimento dell’uranio di Natanz, il quale salta in aria per una mina magnetica attaccata alla carrozzeria della sua auto.

Questo è quanto riferisce Roney Bergman. Il quale assegna il merito di questa serie di eroici atti di difesa della pace a Meir Dagan, capo del Mossad, incaricato a questa bisogna dall’allora premier Ariel Sharon.

Dagan, intervistato da Bergman, pare abbia debolmente negato di saperne qualche cosa, non senza avere commentato il suo moderato entusiasmo per il fatto che fossero stati in tal modo “rimossi alcuni importanti cervelli”.

Ma il programma nucleare iraniano non è stato fermato. Peraltro (torno a Roger Cohen, citato all’inizio), non è detto che Bibi abbia molto voglia di vedere confermato alla presidenza Usa il signor Obama. Una bella guerra, in piena campagna elettorale, potrebbe favorire uno dei candidati repubblicani che, tra una tazza di tè e l’altra, sognano la guerra.

Allora che succederà? Affidiamoci, per la risposta, allo stesso giornalista israeliano dello Yedioth Ahronot (così spero che nessuno dei miei lettori possa accusarmi di avere forzato il senso delle cose): “Dopo avere parlato con molti dei più importanti dirigenti e capi dell’esercito e dell’intelligence israeliani, sono giunto a credere che Israele attaccherà davvero l’Iran nel 2012. Forse, nella piccola finestra rimasta, che, peraltro, si sta restringendo, gli Stati Uniti decideranno di intervenire, dopo tutto, ma dal punto di vista di Israele non c’è molta speranza in questa direzione”.

Dunque prepariamoci alla guerra. E, per favore, non illudiamoci che sia breve e che noi ne resteremo fuori.


Panetta: Iran può realizzare ordigno nucleare in un anno

da www.eilmensile.it - 30 Gennaio 2012

L’Iran potrebbe riuscire a realizzare la bomba atomica in “circa un anno”: ad affermarlo è stato il segretario alla Difesa Usa, Leon Panetta, il quale ha ribadito che “nessuna opzione e’ esclusa” per fermare l’escalation nucleare di Teheran.

“Se decidessero di farlo, probabilmente impiegherebbero circa un anno per produrre la bomba e un altro, o altri due, per montarla su un vettore che la possa sganciare”, ha spiegato il capo del Pentagono in un’intervista all’emittente Cbs.

“Gli Usa – e il presidente è stato chiaro su questo – non vogliono che l’Iran sviluppi armi atomiche. Per noi si tratta di una linea rossa. E lo è, ovviamente, anche per Israele con cui condividiamo questo obiettivo”, ha continuano Panetta. Il capo del Pentagono ha quindi assicurato che Washington “prendera’ ogni passo necessario” per evitare un simile scenario.


Hamas, scontro per la successione a Meshaal
di Michele Giorgio - http://nena-news.globalist.it - 29 Gennaio 2012

Il capo dell'ufficio politico del movimento islamico si fa da parte e promuove la candidatura del pragmatico premier di Gaza, Ismail Haniyeh. L'ala militare non ci sta e promuove Musa Abu Marzouk

Gaza – Il leader di Hamas Khaled Meshaal oggi è in Giordania per uno «storico» colloquio con re Abdallah. E’ il traguardo «diplomatico» più prestigioso raggiunto da Meshaal che, in questi ultimi mesi, ha guidato il movimento islamico palestinese al conseguimento di risultati senza precedenti nel mondo araboislamico.

Il colloquio ad Amman ha il sapore di una rivincita per Meshaal che fu espulso dalla Giordania nel 1999, assieme ad altri quattro leader di Hamas (decisive le pressioni di Israele).

Meshaal trovò rifugio tra le braccia accoglienti di Damasco dal quale ora sta divorziando per continuare il flirt con la Turchia di Erdogan.

Ma l’obiettivo più immediato ora è la Giordania, stretta alleata degli Usa e sponsorizzata dalle ricche petro-monarchie del Golfo. Il riavvicinamento tra la monarchia hashemita e il movimento islamico palestinese è scontato.

Qualche settimana fa il premier giordano Awn al-Khasawneh ha affermato che l’espulsione del gruppo dirigente di Hamas era stato «un grave errore».

Quello ad Amman però potrebbe essere l’ultimo viaggio di Meshaal come capo dell’ufficio politico di Hamas (15 membri). Qualche giorno fa l’esponente islamico ha ribadito che non si ricandiderà per un nuovo mandato e ha informato il Consiglio della Shura (55 membri) di Hamas del suo desiderio di farsi da parte. E non ha cambiato idea di fronte all’insistenza di coloro che gli chiedono di ritornare sulla sua decisione.

Meshaal, in realtà, è costretto a farsi da parte dalle tensioni al vertice del movimento, provocate dalla svolta moderata che di recente ha impresso ad Hamas. E’ entrato in conflitto con l’ala militare del movimento e la corrente politica oltranzista che stanno cercando di impedire l’ascesa del premier di Gaza, Ismail Haniyeh, protagonista nelle scorse settimane di un tour in capitali di paesi arabi ed islamici – Egitto, Sudan, Turchia e Tunisia – dove è stato accolto con il tappeto rosso.

Da domani Haniyeh sarà impegnato in un secondo giro nella regione che lo porterà, tra l’altro, a Tehran dove tenterà di recuperare i rapporti con l’Iran, che ha accolto con disappunto la decisione (non ufficiale) di Hamas di mollare Bashar Assad.

Tempi e modi del passaggio di consegne da Meshaal al suo successore restano incerti. Non è chiaro quale direzione verrà presa se il cambiamento al vertice sarà confermato. «I moderati legati a Meshaal vorrebbero passare subito il comando ad Haniyeh, che gode di prestigio nel mondo arabo.

L’ala più dura preferisce Musa Abu Marzuk, finora numero due di Meshaal a Damasco», spiega un giornalista di Gaza, vicino al movimento islamico, che ha chiesto l’anonimato. I militari sono contrari a un Hamas solo «politico», non più impegnato nella «resistenza armata» contro Israele.

I comandanti della milizia “Ezzedin al Qassam” e delle forze di sicurezza si oppongono anche alla riconciliazione con Fatah e Anp che, a loro dire, finirebbe per regalare al presidente Abu Mazen il controllo, almeno parziale, della Striscia di Gaza che dal 2007 è nelle mani di Hamas e, di fatto, è diventata una entità politica separata dalla Cisgiordania.

Dalla parte dei militari c’è l’ex ministro degli esteri, e tra i fondatori del movimento nel 1987, Mahmoud Zahar, deciso dare pieno appoggio alla candidatura di Musa Abu Marzuk che, nelle scorse settimane, ha trasferito la famiglia dalla Siria in Egitto e potrebbe stabilirsi proprio a Gaza (con la benedizione del Cairo).

Meshaal e Haniyeh da parte loro sono convinti che i movimenti tellurici prodotti nella regione dalla «primavera araba», hanno portato al potere i Fratelli musulmani in vari paesi (Tunisia, Egitto, Marocco) e lo stesso potrebbe accadere nel giro di qualche mese anche in Siria.

Senza dimenticare che la Fratellanza islamica, in una forma originale e più moderna, ha piantato stabilmente le radici ai vertici del potere in Turchia. Condizioni impensabili appena qualche anno fa, che offrono ampi margini di manovra politica e diplomatica a Hamas per legittimarsi nel mondo arabo.

Senza dimenticare che un po’ tutti danno il movimento islamico in forte ascesa anche in Cisgiordania. Hamas, secondo Meshaal, quasi certamente rivincerà le prossime elezioni nei Territori occupati palestinesi.

Per questo è suo interesse riconciliarsi con Fatah e Anp e andare al voto. Stavolta, aggiunge il leader uscente, anche i regimi arabi alleati degli Usa saranno dalla sua parte.



La lettera della troika che strangola la Grecia
di Argiris Panagopoulos - www.ilmanifesto.it - 29 Gennaio 2012

Richieste due grandi privatizzazioni subito, licenziamenti di massa nel settore pubblico, enorme flessibilità del lavoro nel settore privato, un nuovo taglio di pensioni e stipendi e altre montagne di soldi per le banche

«Terra e acqua», come nell'antichità, ha chiesto ieri la troika (Fmi-Bce-Ue) per concedere il nuovo maxi prestito al governo tecnico di Lucas Papadimos, mentre ancora è in trattative con i creditori privati per il taglio del debito dei bot greci.

In dodici fitte pagine la troika ha avanzato dure condizioni alla Grecia per la concessione del secondo prestito (130 miliardi di euro), che suonano come un chiaro avvertimento per gli altri «maiali», i piigs della eurozona che aspettano un secondo prestito, come Portogallo e Irlanda, o i paesi che hanno problemi a finanziare i loro debiti, come Spagna, Italia e più a lungo il Belgio.

La troika vuole due grandi privatizzazioni nel periodo breve, licenziamenti di massa nel settore pubblico, enorme flessibilità del lavoro nel settore privato, un nuovo taglio delle pensioni e degli stipendi e ancora montagne di soldi per le banche, esautorando lo stato da ogni decisione.

Il sistema bancario sarà salvo con i prestiti che pagheranno i greci delle prossime generazioni, con il loro governo che prenderà in cambio solo azioni privilegiate, senza diritto di voto e di controllo sulle politiche dei banchieri.

L'unica «concessione» della troika è la diminuzione del deficit per il 2012 (dell'1%) con tagli alla spesa pubblica e non con nuove tasse: il buco nero dei 2 miliardi per il 2011 sarà coperto con tagli alla spesa farmaceutica e alla difesa.

Ue, Bce e Fmi chiedono nello specifico 150mila licenziamenti o pensionamenti nel settore pubblico fino al 2015, un nuovo taglio delle pensioni integrative e dei salari, con la scomparsa di tredicesima e quattordicesima, l'abolizione del sistema della contrattazione del lavoro con la sepoltura dei contratti collettivi in cambio di contratti individuali privati o al massimo a livello di impresa, la diminuzione del salario minimo e l'abolizione dei contratti settoriali nelle banche, negli enti e nelle imprese statali e parastatali.

Vogliono anche tasse più salate per i proprietari di case e l'aumento del 25% del valore nelle compravendite degli immobili. Impongono la flessibilità salariale più assoluta, la diminuzione dei contributi delle imprese al 5%, la liberalizzazione completa del settore dei trasporti stradali, delle farmacie, di notai e avvocati.

Nel ricatto della troika c'è la volontà di «neutralizzare» il controllo politico della direzione delle entrate fiscali e delle dogane, con la creazione di una speciale segreteria generale e, per combattere la corruzione, pretende il cambio degli alti funzionari delle direzioni del fisco ogni due anni e la sostituzione dei funzionari che non raggiungono gli obbiettivi.

Naturalmente il nuovo pesantissimo memorandum dovrà essere firmato dai leader dei tre partiti (il partito socialista Pasok, Nea Dimocratia di centrodestra e Laos di estrema destra) che sostengono il governo Papadimos di coalizione nazionale.

Una «firma» che è diventata prassi anche in Grecia dopo l'esempio dei partiti di governo in Irlanda e Portogallo per assicurarsi i prestiti.

Il premier ha fretta di concludere la partita per il taglio del debito con i creditori privati per finire il prima possibile le trattative per il secondo maxi prestito, attraverso il massacro dei diritti dei lavoratori.

La stessa fretta hanno anche Angela Merkel, l'Ue e il Fondo monetario internazionale visto che Portogallo e Irlanda aspettano con ansia in anticamera per seguire il triste destino della Grecia. C'è da credere tra la popolazione, dopo due anni di unitili sacrifici, montino ancora rabbia e indignazione destinate a sfociare in una nuova ondata di proteste.

Basta guardare l'atmosfera che si respira ad Atene. Migliaia di cittadini in coda, mercoledì scorso, per accaparrarsi le 25 tonnellate di patate distribuite gratis dagli agricoltori di Boiotia-Thiva a piazza Syntagma.

Migliaia di lavoratori della sanità che hanno preso d'assedio il ministero per protestare contro i tagli e lo sfasamento dei sistema sanitario pubblico. Una folla arrabbiata e triste come quella che ieri pomeriggio ha accompagnato il registra Theo Angelopoulos per il suo ultimo viaggio.


Un documento tedesco richiede un commissario per la Grecia
di Rafael Poch - La Vanguardia - 28 Gennaio 2012

La Germania, che è stata tra gli ultimi ad abbattere il patto sociale del dopoguerra, ora è all'avanguardia dell'involutivo cambio di regime che l'austerità impone.

La Germania vuole affidare a un "eurocommissario" quel poco che rimane della sovranità finanziaria della Grecia come condizione per la concessione di un secondo aiuto di 130 miliardi di euro, secondo quanto riportato dal Financial Times da Bruxelles.

In attesa della riunione sull'eurocrisi del prossimo lunedì, il quotidiano cita un documento del governo di Berlino in suo possesso.

L'eurocommissario dovrebbe avere il potere di sovrintendere “ai principali capitoli della spesa" pubblica greca, segnala il documento.

Giovedì, mentre Angela Merkel riceveva Mariano Rajoy a Berlino, Volker Kauder, l'eloquente capo del gruppo parlamentare dell'Unione Cristiano-Democratica (CDU), ha di nuovo citato la convenienza di quanto descritto nel documento divulgato dal Financial Times: sostituire il governo greco con un "commissario" europeo, e se fosse necessario, "inviare funzionari tedeschi che aiutino nella costruzione di un'amministrazione finanziaria che funzioni".

Nuovo giro di vite

Kauder lo ha affermato in un'intervista con Der Spiegel. "La pressione sulla Grecia deve aumentare, va chiarito ai greci che ci sarà denaro solo se il paese agirà in modo rigido, se sarà necessario tramite un commissario di Stato inviato dall’Unione Europea o dagli stati dell'euro", ha detto.

L’eventualità di inviare ad Atene funzionari tedeschi per insegnare ai greci il modo corretto di amministrare non è stata proposta da Kauder, ma dal Ministro dell’Economia Philipp Rösler, ma comunque Kauder l’ha fatta propria.

Kauder ha raggiunto la notorietà in novembre quando, nel congresso della CDU celebrato a Lipsia, si vantò che "in Europa si parla tedesco", tra gli applausi dei suoi compagni di partito.

Pochi giorni dopo, l'ex cancelliere federale Helmuth Schmidt, un anziano con pedigree da europeista, qualificò quella dichiarazione una "bravata nazionale tedesca", in un memorabile discorso in cui spiegò l'abbecedario della storia europea alla nuova classe politica del suo paese.

Schmidt mise in allarme sul pericolo di dissoluzione che rappresenta per l'Unione Europea il contrapporre il centro e la periferia in questo genere di dialettica.

La Grecia ha già un primo ministro non eletto col suffragio universale, Lukas Papadimos, che fu imposto dall'asse Berlino-Bruxelles dopo che la terapia d'urto applicata da Giorgos Papandreou, centrata sull'imposizione di durissimi tagli alla spesa e sulla preservazione dell'interesse delle banche coinvolte nel debito ellenico, aveva aggravato ancor più il debito greco.

Papadimos, ex vicepresidente della Banca Centrale Europea (BCE), è stato messo al potere per perseguire la stessa linea. Prima di passare per Francoforte, sede della BCE, Papadimos era stato governatore della Banca Centrale Greca tra il 1994 e il 2002, una fase dall’oscura contabilità e dalle strette relazioni con la banca di investimenti Goldman Sachs.

Il documento del governo tedesco, oggi rivelato al pubblico, indipendentemente dai suoi risultati, è senz’altro un giro ancora più stretto dato a quella stessa politica che sta asfissiando la società greca, la classe media e bassa di questa nazione. Ma la sua logica profonda è il cambiamento di regime e va oltre la Grecia.

Cambiamento di regime

Il "cambiamento di regime" ("regime change"), il cambio di regime con un altro, di solito era un concetto associato ai progetti dei falchi imperialisti degli Stati Uniti, con mano libera sulle forze armate, diretti ai regimi avversari o indipendenti di tutto il mondo. Storicamente è un concetto di lunga tradizione europea, sia nell'epoca coloniale che dopo la decolonizzazione.

Promosso dalla Germania, l’ipotesi ora spunta dal centro dell'Unione Europea, per essere applicato ai paesi della sua periferia. Il risultato è una svalutazione democratica, e alcuni dei momenti più significativi si stanno già attuando, con la smaccata perdita di sovranità vissuta in cinque paesi dell'eurozona (e in molti paesi ancora più deboli e dipendenti dell’Est Europa) a nome di una "democrazia concorde al mercato".

Questo concetto ("Marktkonforme Demokratie") venne coniato da Angela Merkel il 1° settembre in un'intervista con la stazione radio pubblica tedesco Deutschlandfunk.

Disse che, "viviamo in una democrazia parlamentare e, quindi, la formazione del bilancio è un diritto basilare del Parlamento, ma comunque troveremo un modo per trasformarlo in modo tale che possa concordare col mercato".

Da allora il concetto di "democrazia concorde al mercato" trionfa in Germania. È stata dichiarata terza "frase dell'anno” da un'iniziativa della Società della Lingua Tedesca (GfdS) che ha ricordato criticamente come "la democrazia è una norma assolutamente incompatibile con qualsiasi conformità".

Nel sito web del SPD, il partito socialdemocratico tedesco, si legge che questo concetto “significa solo che non sono più i cittadini, da elettori, a poter determinare una direzione, ma gli speculatori, i mercati finanziari, gli hedge funds e le banche".

La "Marktkonforme Demokratie" è un concetto tedesco per il cambiamento di regime, dunque, attraversoil "patto fiscale" e la "regola d’oro" (il tetto del passivo di bilancio stabilito come precetto costituzionale), il dogma neoliberista diventa legge fondamentale. Qualunque politica neokeynesiana che aspiri a dare allo Stato un ruolo finanziario attivo sarà proibita dalla costituzione.

È un passo importante, un duro colpo, e il nuovo libro dell'illustre storiografo catalano Josep Fontana, “Por el bien del Imperio", ci spiega che tutto ciò fu ordito sin dalla fine degli anni ’70, quando fu avviata, prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, la distruzione del patto sociale del dopoguerra che forma l'identità dell’"Europa sociale".

La Germania è giunta in ritardo nell'intrapresa di questo processo - lo iniziò dopo la riunificazione del 1990, una volta morta la DDR che tanto ispirò il capitalismo sociale del "Modello Deutschland" - ma ora è il simbolo di qualcosa di simile a un cambio di regime in Europa.

Le sue conseguenze sono imprevedibili: sia una ribellione come nel 1848, come un ritorno all'Europa bruna e di estrema destra degli anni ’30.



Tremonti anti-finanza? Non è credibile
di Marcello Foa - http://blog.ilgiornale.it - 28 Gennaio 2012

Sta iniziando a far discutere l’ultimo libro di Tremonti “Uscita di sicurezza”, in cui l’ex ministro esprime critiche durissime al sistema dominato dalla finanza. Leggete ad esempio questo passaggio:

«Una volta il pronunciamiento lo facevano i militari. Occupavano la radio-tv, imponevano il coprifuoco di notte eccetera. Oggi, in versione postmoderna, lo si fa con l’argomento della tenuta sistemica dell’euro, con il connesso capo d’accusa spiccabile contro un Paese di fare fallire per sua specifica colpa l’intero eurosistema, come se questo da solo e per suo conto fosse invece davvero stabile (!); lo si fa condizionando e commissariando governi e parlamenti; sperimentando la cosiddetta nuova governance europea “rafforzata”. Ed è la finanza a farlo, il pronunciamiento , imponendo il proprio governo, fatto quasi sempre da gente con la sua stessa uniforme, da tecnocrati apostoli cultori delle loro utopie, convinti ancora del dogma monetarista; ingegneri applicati all’economia, come era nel Politburo prima del crollo; replicanti totalitaristi alla Saint-Simon».

Critica il Financial Stability Board (l’organismo incaricato di riformare la finanza globale, guidato sino a pochi mesi fa da Mario Draghi), che «ha funzionato da cavallo di Troia, fabbricato dalla finanza per entrare nella politica e batterla sul suo stesso campo». E via di questo passo.

Le tesi sono fondate e per molti versi condivisibili, il problema è la credibilità di chi le scrive. Tremonti investe da tempo i panni del Cavaliere anti-sistema, amico dei piccoli contro i grandi, però se andiamo a esaminare il suo operato ci accorgiamo che durante i tanti anni in cui è stato al potere ha fatto il contrario di quel che aveva promesso.

Ha varato misure in difesa della piccola e media impresa?

Ha cercato di arginare lo strapotere delle banche italiane?

Nei consessi internazionali che ora critica, ma che ha frequentato senza disagio, si è battuto contro l’invadenza e l’impunità del mostro finanziario?

La risposta, purtroppo, è sempre no. E se andiamo a riascoltare bene certe dichiarazioni di Tremonti – membro del Bilderberg, non dimentichiamolo (e questa è un’altra contraddizione) – scopriamo che la soluzione ultima non è il ripristino della sovranità nazionale, ma il trasferimento dei residui poteri in mano agli Stati agli enti internazionali e la creazione di una sorta di governo mondiale (vedi video qui sotto), che è il fine ultimo proprio degli ambienti finanziari che Tremonti ora definisce fascisti.

L’uomo è intelligente, affascinante, e anche molto furbo. Ma, ahinoi, non è credibile.



Mario draghi, il vendicatore monetarista del blocco latino
di Ambrose Evans-Pritchard - www.telegraph.co.uk - 29 Gennaio 2012
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Gli aggregati monetari si stanno contraendo a un ritmo accelerato su tutti i fronti. L’indice allargato M3 è diminuito per il terzo mese di fila. Il crollo si oramai già verificato.

Il credito alle famiglie e alle aziende si è contratto di 90 miliardi di euro solo a dicembre. È la più forte diminuzione in un solo mese dal lancio dell’euro, ancor peggio della situazione susseguente al collasso Lehman nell’ottobre 2008 o di qualsiasi periodo nel corso della Grande Recessione.

Potremmo essere terrorizzati al pensare cosa sarebbe successo al sistema bancario europeo e alla solvibilità dell’Italia e della Spagna se prima di Natale Mario Draghi non fosse arrivato in soccorso con il prestito illimitato per tre anni all’1 per cento, contro ogni sorta di collaterale, e se i folli Hayekiani fossero ancora alla testa della Banca Centrale Europea.

Sappiamo con certezza che abbiamo evitato una pesante stretta creditizia, una grande crisi dei finanziamenti", ha affermato Draghi a Davos.

Speriamo che sia così. Nel frattempo, ci sono stati dei bei danni. Il Fondo Monetario Internazionale si aspetta quest’anno una contrazione economica del 2,2% in Italia e dell’1,7% in Spagna, con ulteriori discese nel 2013, se tutto andrà bene.

Fattori pesanti per le traiettorie del debito. Il debito italiano salirà fino al 127% del PIL alla fine di quest’anno. Quello spagnolo all’84%, un dato peggiore dell’11% rispetto alla previsione fatta a settembre. Ci sarà uno scarso recupero per il deficit di bilancio in tutte le nazioni. Così tanta austerità per risultati così piccoli.

Per la Spagna, ci saranno altri tagli. Citigroup ha già stabilito il 26% di disoccupazione per quest’anno. Ciò spingerebbe il tasso della disoccupazione giovanile verso il 54% a livello nazionale, con punte del 60% in Andalusia.

L’acredine sta facendo la sua comparsa. Rodrigo Rato, direttore di Bankia ed ex direttore del FMI, ha detto che la struttura dell’unione monetaria è fissata a favore della Germania.

Quando i tedeschi sono nei guai, gli altri membri dell’UE li aiutano, quando gli altri hanno problemi, la Germania si avvantaggia per abbassare il costo per accedere al credito”, ha detto.

C’è una parte di verità in questo. La BCE ha fissato tassi troppo bassi nel corso di oltre dieci anni per aiutare la Germania a uscire dalle difficoltà, favorendo i boom del credito che hanno destabilizzato mezza Europa.

Il favore non è stato restituito alla metà del 2011, quando il gruppo Trichet-Stark ha alzato i tassi anche se i depositi M1 stavano collassando in tutto il Club Med, con le conseguenze che ora sono dolorosamente evidenti.

Il FMI non ha ancora annunciato le sue nuove previsioni per il Portogallo. Se le modifiche dovessero seguire le revisioni fatte per la Spagna, il debito pubblico del Portogallo toccherà quest’anno il 130% del PIL invece del 118%. Questo conteggio non comprende una sequela di enti semi-statali che spingerebbe il dato ben più in alto.

Olivier Blanchard, il capo economista del FMI, si lamenta della nuova recessione dell’Europa con l’effetto combinato dei tagli fiscali e della stretta creditizia, mentre le banche tagliano i propri bilanci nell’agone per soddisfare per giugno i requisiti di capitale Tier 1 per evitare di essere nazionalizzate.

Il decremento del debito è una maratona, non uno sprint. Andare troppo velocemente uccide la crescita. Quello che sta avvenendo in Europa non farà altro che peggiorare le cose”, ha detto. La corsa ai tagli sta “provocando una pericolosa spirale“ per il sistema nel suo insieme.

Se non venisse contenuto, questo vortice potrebbe causare esiti peggiori, che sia un default disordinato o un’uscita dall’Euro, con forti ripercussioni, prima sul resto dell’eurozona e poi sul resto del mondo”, sono le sue parole. Ci sono voluti venti anni per purgare lentamente l’eccesso di debito lasciato dalla Seconda Guerra Mondiale. Il FMI teme che questa volta ci possa volere ancora più tempo.

Blanchard non è un keynesiano. Coloro che sono a favore di una svolta monetarista sono meno allarmati da una contrazione fiscale. Non ho dubbi che uno stimolo monetario a oltranza – il classico rimedio del britannico Ralph Hawtrey, dello svedese Gustav Cassel o dello statunitense Irving Fisher negli anni ’30 – potrebbe contrastare gli effetti di una riduzione fiscale se venisse realizzato nel modo corretto.

Il fardello del rapporto tra debito e PIL in questo modo diminuirebbe rapidamente e la deflazione sarebbe evitata, una lezione che il Giappone ha dimenticato.

La grande domanda è se Mario Draghi se abbia introdotto una politica simile, in modo nascosto, con le sue Long-Term Repo Operations (LTRO), avviate a dicembre con 489 miliardi di euro per i prestiti a tre anni verso 523 banche e che saranno seguite da un'altra raffica a febbraio.

Le LTRO non sono proprio un pasto gratis. Stanno sostituendo i finanziamenti in fase di contrazione, ma in questo modo le banche in Italia, Spagna, Francia e Portogallo usano questo denaro a basso prezzo per comprare obbligazioni sovrane che hanno alti rendimenti, il "carry trade" di Sarkozy – e non prestano invece alle aziende, come può testimoniare la fresca bancarotta di Spanair.

È una vittoria di Pirro”, ha detto Guy Mandy di Nomura. Ha impedito uno shock di liquidità e riportato un minimo di fiducia, ma è “sempre più punitiva” perché gli haircut sui collaterali stanno falcidiando i bilanci delle banche.

Tanto più usano questa struttura, tanti più collaterali affidano alla BCE. Dato che la BCE è un creditore privilegiato, tutti gli altri sono sottoposti a una “subordinazione”.

A un certo punto tutta la dinamica potrebbe diventare disturbante, e provocare una stretta creditizia. Mandy è inquieto per quello che potrebbe accadere se Fitch e Moody’s si unissero a S&P nel downgrading dell’Italia a BBB+, alzando il margin call al 5%.

Fitch ha abbassato di due livelli il rating dell’Italia portandolo ad A- con una prospettiva negativa, citando “la mancanza di chiarezza sulla struttura definitiva di un’UEM fondamentalmente riformata; il rischio di una crisi di liquidità che si autoavvera e persino di una crisi di solvibilità in assenza di un firewall finanziario davvero credibile contro il contagio”.

Sì, i monetaristi pensano che Draghi stia silenziosamente realizzando un colpo da maestro. “È un QE simulato: il suo impatto è attenuato perché non hanno ben chiarito quello che stanno facendo, ma alla fine potrebbe essere potente quanto il QE in America e in Gran Bretagna”, ha detto Lars Christensen di Danske Bank.

Tim Congdon di International Monetary Research ha affermato che Draghi ha già incrementato il credito totale alle banche da 580 a 832 miliardi di euro dall’inizio di novembre, invertendo completamente la contrazione di Trichet della fine del 2010.

Si potrebbe arrivare a quasi 1,5 trilioni di euro per quest’anno. Anche se ciò non provoca nell’immediato un incremento della base monetaria (ma solo dell’emissione di moneta), è probabile che trapeli comunque nei mesi prossimi grazie a un complicato effetto secondario.

La mia conclusione è che il bazooka di Draghi sia un esempio aggressivo di easing monetario, e la crescita dell’M3 nell’eurozona potrà arrivare al 5% o anche più [annualizzato] alla metà e alla fine del 2012.”

Rimango scettico sulla fattibilità di una moneta unica europea nel lungo termine, ma il giorno della condanna a morte è stato posticipato ancora una volta”, ha detto.

Se Draghi è davvero il vendicatore monetario del blocco latino, i tedeschi lo scopriranno velocemente. In questo caso, sarà la Germania a riscaldarsi, a subire l'inflazione e soffrire per una bolla creditizia “latina” se la ruota della fortuna dell’UEM dovesse cambiare direzione. La crisi dell’Europa prenderebbe una svolta politica completa. Ma questo è un capitolo successivo.



La truffa da 489 miliardi di euro di Draghi
di Mike Whitney - www.counterpunch.org - 26 Gennaio 2012
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

La nuova struttura per i prestiti del presidente della BCE Mario Draghi – le Operazioni di Rifinanziamento A Lungo Termine - ha aiutato ad allontanare il sistema finanziario da un’altra catastrofe del genere Lehman, ma non ha risolto i problemi fondamentali che hanno creato la crisi (squilibri di conto, flussi di capitale).

Il LTRO permette alle banche dell’UE di scambiare collaterali inaffidabili per ottenere prestiti illimitati a tre anni al tasso dell’1 per cento.

La quasi metà di trilione di euro presa in prestito perpetua l’idea che le banche siano solvibili, fondamentalmente perché l’enorme quantità di asset a rischio che erano nei bilanci delle banche è stata trasferita al rendiconto patrimoniale della BCE. (La Fed ha realizzato un'operazione simile (QE1) quando acquistò 1,25 trilioni di dollari di titoli appoggiati sulle ipoteche dalle banche statunitensi nel 2009.)

Quindi, in questo momento il sistema bancario dell’UE è inondato di liquidità e il tasso che le banche pagano per prendere in prestito è calato di parecchio. Tutto a posto, giusto?

No. Anche se i tassi per i prestiti interbancari hanno toccato il minimo da dieci mesi (questo lunedì), le banche stanno ancora parcheggiando i soldi presi a prestito presso la BCE.

Venerdì scorso, i depositi overnight alla BCE hanno fissato il nuovo record di 528 miliardi di euro, che sono 39 miliardi in più rispetto ai 489 miliardi che le banche hanno preso in prestito grazie al LTRO.

Come è possibile? Ciò significa che i soldi non vengono prestati ai consumatori e alle aziende come aveva predetto Draghi, ma vengono accumulati dalle banche per poter rinnovare i propri debiti e continuare a fare deleveraging per riuscire a ottenere i nuovi requisiti di capitale corrispondenti al 9 per cento.

Si tratta di uno specchietto per le allodole. Draghi sta solo iper-pagando asset che hanno perso gran parte del valore. Perché dovrebbe essere una cosa positiva? Pensate a quale potrebbe essere la reazione se la Fed dovesse avviare un programma simile per contrastare gli effetti della bolla immobiliare.

Diciamo, il direttore della Fed Bernanke ha lanciato una struttura che sborserebbe la differenza di valore a ogni proprietario che ha perso soldi sul suo mutuo dal 2006 in poi. Pensate che ciò potrebbe ridurre il numero di famiglie angosciate e di case sgomberate?

Si, potrebbe. Ma la "gente comune" non ottiene benefici del genere. Si aspetta solo di fallire. Tutti i regali vanno a coloro che hanno già parecchi soldi. Questo è il LTRO. La BCE sta fornendo tonnellate di denaro a poco prezzo ai suoi amici su collaterali che non valgono i soldi che sta prestando. È fondamentalmente quindi, un sussidio (fregatura).

E la BCE sta tentando di nascondere quello che fa, asserendo che il mercato di finanziamento per le banche non sta funzionando come dovrebbe. O, con le parole del signor Draghi, [le preoccupazioni sul mercato delle obbligazioni governative] ha "portato a severi disturbi nel normale funzionamento dei mercati finanziari".

Avete mai sentito una simile idiozia?

Quando i banksters gonfiano una bolla creditizia gigantesca che scoppia e annienta 8 trilioni di dollari di valore delle proprietà, nessuno dice che "il mercato non ha funzionato nel modo giusto", perché siamo solo noi ad aver perso. Ma ogni qualvolta i banchieri sono in pericolo, arrivano le scuse.

"Oh no, questo non può succedere", si lamentano. "Il mercato non ha funzionato nel modo corretto." Ma è una cosa priva di senso. Non c'è niente sbagliato nel mercato, stiamo parlando solo di acquirenti e venditori, non di qualche intricato meccanismo che richiede specialisti con le cartelle piene di appunti e il camice bianco.

Il problema è che nessuno sta comprando le stronzate che le banche vogliono vendere, perché questa rumenta ha perso gran parte del valore nell'ultimo anno. Di questo si tratta.

Ecco come funziona il sistema: le banche non riescono a guadagnare soldi da Joe Blow e dal suo compenso che versa ogni settimana quando gli arriva la busta paga.

Oggi le banche si stanno rifinanziando grazie a enormi quantità di soldi sotto forma di fondi che devono poi parcheggiare a breve termine, mentre cercano di capire come possono investirle.

E quindi le banche emettono prestiti a breve termine abbinando i collaterali che hanno nei propri bilanci. Il mercato repo – quello di cui stiamo parlando – è solo un enorme e sregolato banco dei pegni.

Il problema che nasce inevitabilmente è che le persone che hanno tanti soldi (i manager dei fondi) diventano più riluttanti nel trattare con le banche quando comprendono che ci sia qualche dubbio sul valore reale dei collaterali offerti dalle banche.

Quindi queste saranno costrette a sborsare ancora più collaterali per ottenere la stessa quantità di denaro. È l’equivalente di un haircut, e ciò significa che le banche stanno perdendo sempre più soldi da ogni transazione.

Allo stesso tempo è sempre più difficile per le banche reperire fondi con l’emissione di azioni o vendendo obbligazioni.

Perché? Perché da questo momento in poi, tutti sanno che le banche sono sedute su un’enorme e fetente castello di immondizia finanziaria che nessuno toccherebbe con un palo lungo tre metri.

Ma ciò significa che il mercato non funziona correttamente?

No, in effetti il mercato sta funzionando a meraviglia. Gli investitori stanno facendo quello che fanno da sempre. Stanno separando il grano dal loglio, niente di più, niente di meno.

È Draghi che sta distorcendo il mercato, pompando centinaia di miliardi di euro in una bolla obbligazionaria che è scoppiata già da tempo. Avete dato ultimamente uno sguardo alla Grecia?

Facciamo un esempio che ci potrebbe essere di aiuto: diciamo che abbiamo bisogno di 500 dollari per pagare la rata del mutuo per l’auto. Decidiamo di andare a frugare in cantina per trovare qualcosa da poter vendere su Craig’s List per reperire questi soldi.

Nel frattempo, troviamo un vecchio calcetto con tre gambe che è stato ben macchiato nel corso di una Oktoberfest di alcuni fa anni e mettiamo l’annuncio per 500 dollari. Poi ci sediamo, ci apriamo una bella birra fredda e aspettiamo che le chiamate arrivino copiose.

Ma il telefono non suona mai, e allora dobbiamo chiamare la concessionaria dell’auto che ci sta stressando per il pagamento mancante e dirgli, "Mi dispiace, ma non è colpa mia. Il mercato non sta funzionando correttamente!"

Quanta tregua pensate che vi darà il rivenditore?

Il fatto che nessuno voglia il vostro tavolo da calcino non è un segnale che il mercato non sta funzionando. La stessa regola si applica anche alle fetenti obbligazioni delle banche.

Nessuno le vuole perché sono immondizia; tutto qui. Inoltre, c'è sempre un prezzo per gli asset finanziari; (anche per l'immondizia) è solo una questione di quanto la gente sia disposta a pagare.

In questo caso, le offerte per le obbligazioni sovrane sono così basse che molte delle banche dell’UE andrebbero in malora se le vendessero e riportassero le perdite a bilancio.

Ecco perché loro stanno contando su Draghi perché le salvi. E lui le ha salvate. Ma cosa sarebbe successo se le banche avessero dovuto ristrutturare il proprio debito, di modo che i contribuenti dell’eurozona non avessero dovuto pompare altri trilioni in questo regime di istituzioni zombie che un’altra volta saranno considerate troppo grandi per fallire?

Ma la gigantesca operazione di reflazione di Draghi è solo uno dei tanti problemi del LTRO. Un altro è dato dal fatto che lo stock di collaterali delle banche sta costantemente diminuendo, e ciò renderà sempre più difficile alla BCE prestare alle banche in difficoltà a febbraio quando la fase 2 (stimata in 400 miliardi di euro) verrà abbandonata.

Ma, davvero? Ciò vorrebbe dire che le banche non hanno né soldi né collaterali decenti, e che il moderno sistema bancario è solo un gioco delle tre carte.

Effettivamente, è un gioco delle tre carte. Vedete, le banche stanno prendendo in prestito mucchi di denaro con lo stesso collaterale più e più volte. Viene definita reipotecazione e, in alcuni casi, è perfettamente legale.

Ma nasce un problema nei cicli di deleveraging quando il valore degli asset finanziari in cassaforte non corrisponde a quello presente in bilancio. E poi...? Come indicato dal blog del Financial Times, FT Alphaville: "Le banche possono facilmente esaurire i collaterali, e, in presenza di questo contesto, fallire (Dexia!)." (“Death sanitised through credit", FT Alphaville)

Tutto questo fa sorgere dei dubbi sull'efficacia dell’imminente Fase 2 dell’LTRO. Ci sono, dopo tutto, limiti anche per il grado di fetecchie che la BCE possa accettare per concedere prestiti.

Ci sono anche altri problemi con l’LTRO, come il fatto che stia poggiando su di sé tutto il sistema, sostituendo lo stato con le banche. Come è riuscito a farlo?

Fornendo alle banche garanzie implicite sul loro debito, mentre le obbligazioni sovrane hanno perso il sostegno generalizzato della BCE, portando così il debito statale al livello di un’obbligazione junk.

Ciò è avvenuto perché Draghi ha segnalato al mercato che la BCE AGIRÀ da prestatore di ultima istanza per le banche, ma non per gli stati membri.

Quindi, i rendimenti sulle obbligazioni governative sono saliti, mentre quelli sui debiti bancari sono calati. Ovviamente, ciò ha messo pressione sui bilanci statali proprio quando i deficit continuano a esplodere.

Chiedetevi questo: in che razza di mondo idiota viviamo quando gli istituti privati che agiscono per profitto (come le banche) possono prendere soldi in prestito a un tasso più conveniente rispetto agli stati?

Lo stato assume decine di migliaia di lavoratori, fornisce programmi per lo stato sociale, per la polizia, per l’istruzione, la disoccupazione, per la salute e i servizi alla persona, la sicurezza, eccetera, e opera nell’interesse del pubblico, e invece – sotto il regime di Draghi – i banchieri senza scrupoli possono prendersi dalle banche centrali risorse illimitate a un tasso preferenziale. Me lo spiegate?

Chiaramente, questo è ciò che accade quando le nazioni rinunciano al potere di stampare la propria valuta. Perdono la capacità di controllare il proprio destino. E tutto questo crea una falla che consente alle élite finanziarie di penetrare e di afferrare le leve del controllo politico-economico, quello che ora sta avvenendo.

La grande finanza ha preso possesso dell'Europa e sta facendo esattamente quello che la grande finanza fa ovunque, ovvero sta smantellando sistematicamente le istituzioni che offrono cure sanitarie, le pensioni e la sicurezza lavorativa a milioni di lavoratori comuni, riducendo grosse fette della popolazione a una miseria nera e abbietta.

Non è questa la tattica? Non è ciò che il losco Maestro Italiano ha davvero in mente?

Un'ultima cosa: il LTRO non ha un meccanismo di trasmissione. In altre parole, non c’è modo di convogliare la liquidità che si sta formando nel sistema bancario nella vera economia. Si è piazzata lì, come è successo con i trilioni di dollari di riserve del sistema bancario statunitense.

Quindi il prodigo regalo da 500 miliardi di euro di Draghi non verrà investito in edilizia residenziale o per costruire nuove fabbriche o per sviluppare nuovi farmaci o veicoli più efficienti dal punto di vista energetico. Infatti, non verranno assolutamente allocati in una qualsiasi attività di formazione sociale.

Invece, verrà utilizzata allo stesso modo in cui le banche statunitensi usarono i 700 miliardi di dollari del TARP o i 1,25 trilioni di dollari dal primo giro di QE; turbo-addebitando asset rischiosi e mandando le azioni nella stratosfera per un anno o due.

E questo renderà gli ombrosi compari investitori di Draghi davvero felici perché potranno rastrellare profitti record dalle azioni, mentre il resto dell'Europa languirà in una mini-Depressione prolungata.



L'Europa della Goldman Sachs
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 27 Gennaio 2012

La BCE ha erogato 498 miliardi di euro alle banche europee al tasso dell' 1% per tre anni. A fine febbraio è previsto un altro mega prestito di 400 miliardi alle stesse condizioni. Lo scopo dichiarato è nobile, far ripartire l'economia con finanziamenti alle imprese.

I soldi sono ovviamente nostri, pagati attraverso l'aumento dell'inflazione e la sottrazione di agevolazioni degli Stati all'economia reale.

Ricordo di passaggio che il sistema bancario è sostanzialmente parassitario e, senza un tessuto produttivo, non esisterebbe. Al più i banchieri potrebbero giocare a Monopoli con Monti e Draghi con banconote finte.

898 miliardi di euro sono una cifra colossale. Le piccole e medie imprese dovrebbero fare quindi salti da canguro, le loro sofferenze finanziarie sono finalmente finite. E presentarsi in banca per un fido, un prestito temporaneo, un piccolo finanziamento, per pagare Equitalia, per dare le tredicesime almeno un mese dopo.

Mi pare di vederli, partite iva, capi azienda, piccoli proprietari, allegri come un italiano in gita, correre agli sportelli di Unicredit, IntesaSanPaolo, Monte dei Paschi di Siena, che insieme hanno prelevato circa 35 miliardi dalla BCE a gennaio, per vedersi il solito gentile rifiuto con il solito untuoso sorriso di compatimento.

I soldi (nostri) le banche ovviamente se li tengono. Qualcuno ne dubitava? Le banche li investiranno in titoli di Stato, che le remuneranno con il 6/7%, e per coprire investimenti sbagliati che le hanno lasciate senza liquidità.

I nostri soldi (la BCE è solo un tramite) serviranno quindi a far guadagnare senza alcun rischio le banche e a piazzare titoli pubblici senza valore. Nel frattempo le aziende chiudono, le persone sono licenziate, le famiglie perdono le case perché non riescono a pagare le rate del mutuo, gli imprenditori si suicidano.

Se invece che alle banche italiane il prestito all'1% per tre anni, che si aggirerà alla fine a circa 100 miilardi (nella prima rata hanno prelevato circa 50 miliardi) fosse stato erogato alle imprese l'Italia sarebbe già ripartita.

Caro Rigor Mortis, a quando la liberalizzazione delle banche italiane, tra le più care d'Europa? L'Italia fallisce mentre i banchieri brindano.