domenica 18 marzo 2012

Update italiota

Un altro aggiornamento sulle tristi vicende italiote...



L'onore dell'Italia calpestato da tutti
di Giulietto Chiesa - www.libreidee.org - 15 Marzo 2012

I marò arrestati in India, in contemporanea con la vicenda tragica dell’attacco dei commandos britannici in Nigeria che ha provocato la morte di un italiano: due occasioni che hanno permesso di assistere a una specie di scontro tra gallinacci – che in Italia hanno gareggiato per vedere chi è che fa il coccodè più forte – al quale ha partecipato anche il ministro degli esteri Terzi e in qualche misura anche il presidente Napolitano.

Tutti a cercare di dimostrare che sono molto preoccupati per il prestigio e l’onore dell’Italia. Mi viene in mente anche l’episodio precedente, quello di Battisti (personaggio indigesto, di cui non voglio nemmeno parlare), perché dietro c’è un altro gigante, il Brasile.

Mettiamo insieme Brasile e India per dire che davanti ai nostri occhi sta cambiando il mondo: questi due paesi un tempo non contavano niente, ma improvvisamente adesso ci appaiono come Stati che vogliono anch’essi il loro rispetto.

E noi dobbiamo porci il problema di come riuscire a farci rispettare, rispettando – che è l’unico modo possibile, visto che farci rispettare minacciando non è più possibile, dato che loro sono molto più grandi, molto più importanti, e stanno diventando anche molto più potenti di noi.

Quindi si richiederebbe un po’ di intelligenza; si richiederebbe una capacità – davvero “di Stato” – di farsi rispettare in modo giusto, cioè appunto rispettando gli altri.

Ma per rispettarli bisogna conoscerli e avere delle persone che ce li raccontano, invece noi non sappiamo quasi niente di loro; quel poco che sappiamo lo sappiamo di sbieco, tangenzialmente, perché ci arriva da altre parti – pensate soltanto che i nostri giornali non hanno un corrispondente ad Ankara, che sta qui di fronte sul Mediterraneo; quasi nessuno ha un corrispondente a Brasilia, quasi nessuno a Nuova Delhi.

Già questo dice fino a che punto siamo provinciali e stupidi. E anche presuntuosi, perché pensiamo di essere ancora al centro del mondo, mentre Cina e Giappone (notizia dell’“Osservatore Romano”) decidono insieme di avviare il lancio dello yuan su scala mondiale.

La Cina ci aveva già pensato per conto suo, ma ecco che il Giappone interviene; per ora siamo a dieci miliardi di dollari – o meglio a dieci miliardi di yuan, ormai, perché ci si avvia verso l’internazionalizzazione di una terza moneta mondiale, che soppianterà naturalmente lo yen giapponese e diventerà la moneta dell’Asia e poi del mondo.

E l’Italia? Notizia clamorosa, di fondamentale importanza strategica: l’Italia chiude la sua ambasciata a Damasco.

Pensate: abbiamo chiuso l’ambasciata a Damasco! E lo facciamo mentre i generali del Pentagono spiegano ai candidati repubblicani – e anche a Obama, presumibilmente – che non si può bombardare la Siria, perché se bombardiamo la Siria sarà peggio, dicono i generali del Pentagono: moriranno molte più persone di quante ne sono già morte in Libia: vogliamo ripetere?

Poi, dopo aver bombardato, bisogna mandare qualcuno sul terreno. E chi ci va, sul terreno, in quelle condizioni? Ci vorrebbe un esercito, ma non c’è. Ci vorrebbe un esercito mercenario – e questo c’è: sicuramente i turchi e i francesi hanno già pensato a mandare i tagliagole della Cirenaica a tagliare le gole dei siriani.

Quindi abbiamo già uomini pronti sul terreno – francesi, britannici, consiglieri di vario genere. Figuriamoci: siamo già in movimento. Ma non c’è un esercito, e a quanto pare l’esercito siriano non è così malleabile come forse qualcuno pensava.

E noi ritiriamo il nostro ambasciatore a Damasco, facendo un gesto dimostrativo – non si sa nei confronti di chi e per che cosa.

Forse pensiamo di far maturare un ruolo internazionale dell’Italia particolarmente rilevante? Io penso che con il Fiscal Compact il nostro peso internazionale diminuirà ancora di più, perché non so come e dove potremo prendere delle decisioni. Ma la sostanza è proprio questa: vogliamo affermare la nostra presenza internazionale facendo i servi di qualcuno.

Penso per esempio a come non siamo stati capaci di far rispettare la nostra dignità e il nostro onore nazionale – le nostre leggi, semplicemente – quando ci fu il caso del Cermis, o quando ci fu il rapimento di Abu Omar sul nostro territorio, a Milano, con la partecipazione attiva dei nostri servizi segreti, all’epoca di Nicolò Pollari: i 22 agenti della Cia che parteciparono all’operazione non sono mai stati né processati né puniti, a quanto risulta, e se ne stanno liberi negli Stati Uniti.

Ecco come abbiamo difeso il nostro onore nazionale. E adesso vorremmo difenderlo nei confronti dell’India o del Brasile? Che pena. E allora viva l’Italia, perché non siamo ancora morti. Abbiamo tante idee, solo che abbiamo una guida politica totalmente priva di idee. A cominciare dalla politica estera, direi: viva l’Italia, fuori dalla Nato.

Diventiamo neutrali. Forse, se facessimo come l’Ucraina – che ha dichiarato di voler rimanere neutrale – spenderemmo meno in armamenti e saremmo anche in grado, magari, di difenderci un po’ meglio. E di camminare, su scala internazionale, a testa un po’ più alta.


Nigeria e doppi Servizi
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 12 Marzo 2012

L’assalto dilettantesco operato dalle SBS britanniche in collaborazione con la polizia nigeriana è costato la vita ai due ostaggi. L’Italia è stata volutamente esclusa dal coordinamento operativo e persino tenuta all’oscuro del blitz.

Non erano i nigeriani a doverci informare, ma gli inglesi, dal momento che Roma è alleata di Londra e non di Lagos. Ma i Servizi segreti di Sua Maestà non hanno ritenuto di doverlo fare.

Difficile pensare ad imperizia o a meccanismi di comunicazione venuti meno nella fase convulsa dell’operazione; i britannici, di esperienza sul campo e di attività diplomatica ne sanno più di noi.

Ora, il fatto che Londra assegni livelli di credibilità alla polizia nigeriana e non ai Servizi italiani è semplicemente un’iperbole. Non è così e nemmeno avrebbe senso ipotizzarlo. Dunque è legittimo domandarsi il perché di una scelta come quella del Premier Cameron.

Forse si temeva che Roma avrebbe posto il veto al blitz, avendo un suo connazionale come ostaggio e, per ciò stesso, diritto a dare il via libera all’operazione o ad opporvisi?

O forse si riteneva che, avendo i Servizi italiani iniziato e portato a buon punto la trattativa con i sequestratori (pare che una parte del riscatto fosse già stato consegnato tramite un intermediario) avrebbero addirittura potuto far fallire un blitz del quale avevano - e con mille ragioni - motivo di dubitare del buon esito?

Del resto la polizia nigeriana non ha certo fama di qualità nel lavoro investigativo e dunque le sue indicazioni, da sole, non potevano rappresentare una fonte credibile nel disegnare uno scenario operativo.

Sarà difficile ottenere risposte esaustive, vista la materia e i governi coinvolti. Londra sta abilmente cercando di manipolare i media (decisamente poco convinti dell’operato di Downing street) facendo trapelare informazioni assolutamente finte sulla dinamica degli eventi.

Circolano versioni per le quali i sequestratori avrebbero deciso di uccidere gli ostaggi a freddo, quando si erano resi conto dell’imminenza del blitz, ma sembrano piuttosto offrire una via d’uscita all’operato dilettantesco delle Special Boat Service, gli incursori di marina si Londra.

Per non parlare poi della cessione degli ostaggi ad Al-Queda, che non manca mai nelle storie costruite ad hoc per le opinioni pubbliche.

L’autopsia sui due poveri ostaggi indica però che il povero ingegner Lamolinara è stato ucciso con quattro colpi di Kalashnikov e ciò, più che ad una esecuzione sommaria (solitamente realizzata tramite un colpo in testa o alla nuca) fa pensare all’esito maledetto di una sparatoria, e solo la perizia balistica potrà affermare se i proiettili che li hanno uccisi provenivano dai sequestratori o, addirittura, da “fuoco amico”.

E comunque, a dimostrare l’imperizia e l’idiozia che hanno governato il blitz, va osservato che anche ammesso che siano stati i sequestratori ad uccidere gli ostaggi, normalmente la scelta tra il far intervenire le teste di cuoio o far prevalere la prudenza e la trattativa è proprio la possibilità che i rapitori decidano di eliminare gli ostaggi, minaccia del resto alla base di ogni sequestro.

E dunque, secondo le stravaganti menti dello MI6 , quali sarebbe il comportamento da tenere in casi come questi?

E, stabilita l’imprescindibile, assoluta affidabilità delle fonti che dovrebbero illustrare le condizioni nelle quali si effettua un blitz (che vanno dall’allocazione del rifugio alla posizione degli ostaggi, dal numero dei sequestratori al loro armamento, alla loro determinazione di uccidere alla chiarezza degli ordini impartiti da chi li guida) davvero si poteva ritenere che l’operazione avrebbe avuto un sufficiente margine di successo?

Perché la riuscita dell’operazione non si misura dalla morte dei sequestratori, ma dal restare in vita degli ostaggi. Fossero stati parenti del Premier inglese o della Casa Reale si sarebbe agito nello stesso modo?

Ma certo non si può negare che la scelta di Cameron sia stata una scelta politica. Lo è stata sia nel voler indicare la linea di Londra nei sequestri di persona che nella decisione di non informare Roma. Ci si può quindi chiedere legittimamente quale sia la considerazione e il rispetto di cui l’Italia gode presso i suoi alleati.

Quello di non avvisarci dell’imminente blitz in Nigeria, segue un altro affronto quale quello consumatosi in Libia alla vigilia e durante la guerra civile, con francesi e inglesi che addestravano e rifornivano di armi i ribelli mentre i rispettivi Servizi, civili e militari, s’incaricavano di svolgere il lavoro d’intelligence sul campo.

Quest’ultimo aspetto è addirittura proseguito oltre la scesa in guerra italiana, in particolare nell’ultima fase del conflitto, quando americani, inglesi e francesi si sono scatenati nella caccia a Gheddafi e alla sua famiglia, guardandosi bene dal condividere informazioni e strategie con Roma.

O forse, come già in passato (il caso Sgrena-Calipari insegna) si è tenuta fuori l’Italia dalle decisioni operative perché si aveva l’intenzione di mandare un segnale chiaro e oppositivo alla strategia italiana della trattativa con i rapitori?

I britannici, è noto, hanno da decenni perso ogni brandello di autonomia e sono, più o meno, l’estensione della volontà statunitense su scala europea e mediorientale. La linea politica che anima le scelte in materia bellica e d’intelligence è emanazione diretta di una subordinazione politica verso Washington che caratterizza Londra sin dai tempi della signora Tatcher.

Detto ciò, non si possono tacere le responsabilità pesanti dei nostri stessi Servizi: un pessimo monitoraggio della vicenda e una colpevole assenza dallo scenario operativo sono solo i primi aspetti evidenti, ma raccontano sufficientemente quanto Roma abbia davvero bisogno di resettare le sue indicazioni strategiche e il livello di efficienza della sua intelligence.

Invece di preoccuparsi del rischio di terrorismo nascente dai conflitti sociali, operando così un tentativo (abituale) di cercare il nemico pericoloso in ogni conflitto sociale e politico interno, sarà bene che capiscano in fretta l’utilità di indirizzare risorse e uomini dove davvero la sicurezza degli italiani è a rischio. La stessa vicenda dei due Marò in carcere in India racconta bene quanta approssimazione ci sia nei vertici militari e politici italiani.

Ora Monti avrà di che riflettere: la credibilità di Roma tra gli speculatori dei mercati finanziari sarà anche cresciuta, ma tra i suoi alleati politici e militari continua a godere di scarso valore.

Sarebbe quindi necessario reagire ai ceffoni inglesi e, nello stesso tempo, esigere dai responsabili dei Servizi e della diplomazia italiana le loro dimissioni per manifesta incapacità.

A meno di non ripetere il mantra solito e voler dire che, di recitare la parte della marionetta, ce lo chiede l’Europa.



Siamo complici dei massacri afghani
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 15 Marzo 2012

Ora basta. Fino a quando gli italiani riterranno di dover rimanere complici dell’infamia che si consuma da più di dieci anni in Afghanistan?

Alleati fedeli come cani, ma sleali perché noi i talebani li paghiamo perché non ci attacchino e, in alcuni casi, addirittura ci proteggano (il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ci quereli pure, ma gli consigliamo di farsi ragguagliare dai colleghi francesi che nel 2008 a Sorobi, dopo aver sostituito gli italiani nel controllo della regione fin lì tranquilla, furono vittime di un devastante agguato talebano perché non erano stati informati dai comandi italiani di questi poco onorevoli patteggiamenti).

Il massacro dell'altra notte nei due villaggi di Alokozai e Najeeban, vicini a Kandahar (16 civili uccisi nel sonno, nove bambini, tre donne, il resto eran vecchi perché gli uomini validi sono a combattere) compiuto da un sergente americano in preda a una crisi di nervi secondo le opportunistiche ricostruzioni del Pentagono, da un gruppo di soldati ubriachi di whisky e di paura secondo fonti locali (altro che “il carattere eccezionale dei nostri militari” richiamato, nell'occasione, da Obama), per quanto grave non è che una goccia nel mare dei 60 mila civili afghani uccisi a causa della presenza della Nato in Afghanistan.

Direttamente dai dissennati raid aerei, sui villaggi, sparando nel mucchio nella speranza di colpire qualche guerrigliero. E sono la maggioranza secondo un rapporto dell'Onu: “I raid aerei sono la principale causa delle vittime civili in Afghanistan”.

E indirettamente perché se non ci fosse la presenza delle truppe straniere non ci sarebbe nemmeno la reazione della guerriglia. Ed è questo il punto cruciale, non la strage dell'altro ieri.

Che cosa ci stanno a fare gli occidentali in Afghanistan? Bin Laden? Il califfo saudita è scomparso fra il 2004 e il 2005, anche se gli americani lo hanno “fatto morire”, per dei loro motivi, soltanto l’anno scorso. Al Qaeda? Ammesso che esista, non sta certo in Afghanistan.

E allora? La guerra all'Afghanistan, fatta la tara del business della ricostruzione e del traffico degli stupefacenti cui anche i contingenti occidentali partecipano, è una guerra squisitamente ideologica.

Se lo è lasciato sfuggire Sarkozy quando nel gennaio del 2011 tre militari francesi furono uccisi: “La missione della Francia in Afghanistan è stata decisa per una giusta lotta contro le forze dell'oscurantismo , della barbarie e del ritorno al Medioevo”.

Insomma l'Illuminismo contro l'Oscurantismo. Solo che, nel frattempo, gli oscurantisti, gli intolleranti, i totalitari sono diventati quelli che si dicono illuministi che pretendono la reductio ad unum dell'intero esistente al proprio modello, valoriale, economico, sociale, istituzionale.

Ma i popoli hanno perso anche il diritto di filarsi da sé la propria storia e di preferire la loro alla nostra? Viene negato anche l’elementare diritto di un popolo a resistere all'occupazione dello straniero, comunque motivata.

I Talebani non sono dei terroristi, come ancora qualcuno li definisce, è gente che è insorta contro un’occupazione odiosa, corruttrice, violenta, prepotente, arrogante e intorno ai Talebani si è via via raggruppato l’intero popolo afghano, a parte quella frangia che è stata comprata con i dollari americani, a cominciare dal fantoccio Karzai che ora, nel gioco delle parti, fa la voce grossa, ma è alle dirette dipendenze del Dipartimento di Stato.

La guerra all’Afghanistan è la più vile, la più codarda, la più sconcia della guerre, che gli occidentali combattono, si fa per dire, quasi esclusivamente con l’aviazione e, sempre più spesso, con i droni, aerei senza equipaggio, teleguidati da diecimila chilometri di distanza. È una guerra senza legittimità e senza dignità. Una guerra che disonora chi la fa.

Possibile che nel civile Occidente, nell'umanitario Occidente non si levi una sola voce contro questa guerra? Dove sono finite le folle di pacifisti che manifestavano quasi ogni giorno contro la guerra in Vietnam? Sparite.

E si capisce facilmente il perché. All’epoca della guerra in Vietnam esisteva ancora l’Unione Sovietica e l’intellighentia di sinistra sosteneva la lotta dei vietcong. Ma gli afghani non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei, sono solo un antico popolo attaccato alle proprie tradizioni.

Come scrisse in una straordinaria lettera l’alpino Matteo Miotto due mesi prima di essere ucciso in battaglia: “Questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case, invano. L’essenza del popolo afghano è viva... È gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. E allora capisci che questo strano popolo ha qualcosa da insegnare anche a noi”.

E invece non abbiamo imparato nulla. Persino i sovietici, dopo dieci anni, capirono che non potevano piegare un popolo che, come scopre tardivamente l'iperoccidentale Guido Olimpio, “non è stato mai domato”. E se ne andarono.

Noi invece siamo ancora lì, a pisciare sul Corano, a pisciare la nostra arroganza, la nostra violenza, la nostra supponenza, la nostra ignoranza e, soprattutto, la nostra vigliaccheria e la nostra abietta paura.


I Tre dell’Ave Mario
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 17 Marzo 2012

A furia di citare la foto di Vasto con Bersani, Di Pietro e Vendola per dire che gli intrusi erano Di Pietro e Vendola, è stata scartata a priori l’ipotesi che dei tre quello sbagliato fosse Bersani. Ipotesi che assume una certa pregnanza alla vista della foto di Casta, twittata da un gaio Piercasinando durante l’inutile vertice con Monti.

La foto di gruppo lo ritrae in compagnia del resto della Trimurti, anzi della Trimorti a giudicare dal consenso di cui godono i rispettivi partiti: l’implume Angelino Jolie e il solito Bersani, che sta diventando un po’ come Zelig e Forrest Gump: fa capolino in tutte le foto (anche in quelle dei matrimoni).

Eccoli lì, sorridenti e giulivi davanti al fotografo, Casini, Alfano e Bersani, ma anche Casano, Bersini e Alfani, ma anche Alfini, Bersano e Casani. La Trimorti è uscita finalmente dalla clandestinità, dopo tre mesi di incontri clandestini in tunnel, catacombe e suburre umidicce e infestate da cimici e pantegane, e ha trovato il coraggio di fare outing sul loro ménage à trois: ebbene sì, i tre dell’Ave Mario si amano e rivendicano i loro diritti di trojka di fatto.

Un tempo la politica si faceva nelle piazze, poi traslocò in televisione. Ora invece va avanti a colpi di foto e photoshop. Da quando i partiti sono appunto partiti senza più dare notizie di sé, per avvertire i loro cari di esser ancora vivi i presunti leader postano ogni tanto un autoscatto.

Prossimamente manderanno una cartolina da Venezia. O magari da San Vittore, a giudicare dall’imperversare degli scandali e delle inchieste un po ’ in tutta Italia, su tutti i partiti, vecchi e nuovi, di destra di centro e di sinistra. Ormai parlare di indagini è riduttivo: questi sono rastrellamenti.

Li stanno andando a prendere l’uno dopo l’altro. Presto si esauriranno anche le riserve di manette ed esploderanno i cellulari (intesi come mezzi di locomozione): ci vorrà l’accalappiacani. In attesa della prossima retata, i partiti si difendono come possono.

Più gli elettori si allontanano, più i politici si avvicinano, in quel Partito Unico Nazionale (Pun) che ha rinunciato pure agli ultimi pudori. Più che un inciucione, un partouze che compravende tutto: giustizia, Rai, frequenze, welfare, legge elettorale, Costituzione.

Basta grattare un po’ la foto di Casta per scoprire che è tutto finto. Per evitare il linciaggio dagli eventuali elettori rimasti, Bersani giura che il Pd non parteciperà alla spartizione della Rai, ma in realtà è già d’accordo con gli altri due, dietro il trompe l’œil delle “personalità indipendenti” (tutti ottuagenari fossili da Jurassic Park).

Alfano dà il via libera alla legge anticorruzione, in realtà già sa che la Convenzione di Strasburgo verrà svuotata, mentre le sole leggi sulla giustizia che passeranno sono: l’ammazza-giudici sulla responsabilità civile diretta e personale (unica al mondo); l’ammazza-intercettazioni e imbavaglia-stampa modello Mastella; e l’ammazza-concussione per salvare B. anche dal processo Ruby con la gentile collaborazione del Pd che l’ha addirittura proposta.

Intanto in Cassazione si provvede a tener buone le Procure di Palermo e Caltanissetta, così imparano a indagare su stragi e politica: ma non l’hanno ancora capito che le trattative Stato-mafia si chiamano “grandi intese”?

Sulla legge elettorale i partiti dicono che manca ancora un quid, ma in realtà sono già d’accordo per eliminare con sbarramenti e altre lupare bianche i pochi partiti e movimenti non allineati.

La Camusso dice che l’accordo sull’articolo 18 ancora non va bene, in realtà lo sanno tutti che la Cgil è già d’accordo da un bel po’, perché così vuole il Pd, e il Pd è d’accordo perché così vuole il Quirinale.

E, se qualcuno protesta, è pronta la scusa: “Ce lo chiede l’Europa”. Da questo vortice di vertici, da questo partouze a base di foto, cartoline, finzioni, tavoli e teatrini, resta fuori un piccolo dettaglio: gli elettori.

Ma che saranno mai 45 milioni di italiani. Basta rafforzare le scorte dei politici. E non perché siano minacciati dai terroristi o dai mafiosi (ma quando mai): è che rischiano di incontrare un elettore.


Governo: pasticcio sulle banche
di Carlo Musilli - Altrenotizie - 17 Marzo 2012

Anche in tempo di tecnici, Sigmund Freud avrebbe di che lavorare nel nostro Parlamento. Stavolta il caso riguardo l'affascinante lapsus del sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo, e le sue improvvide affermazioni su un emendamento fondamentale al decreto liberalizzazioni.

Di fronte alla commissione Bilancio della Camera, il buon Polillo si è lasciato trascinare da chissà quale forza misteriosa e l'ha sparata grossa: il governo - ha detto - si appresta a cancellare la norma che prevede la gratuità dei conti correnti per i pensionati con assegni previdenziali fino a 1.500 euro.

Una vera bomba, tanto che sulle prime è venuto da chiedersi come mai una comunicazione così importante sia stata affidata alla bocca di un sottosegretario. Ma il bello doveva ancora venire.

Appena la notizia ha cominciato a circolare, tutti i giornali l'hanno sparata come primo titolo in home page e la polemica è esplosa. Nemmeno il tempo di indignarsi e a caricare le armi contro il "governo dei banchieri", che è arrivata un'affannata smentita. Apparentemente casuale, come la prima affermazione shock, e per bocca di un altro sottosegretario, stavolta allo Sviluppo.

"Sulla norma sui conti correnti - ha risposto seccato Claudio De Vincenti ai colleghi che gli chiedevano lumi - il governo ha dato assolutamente parere positivo. Vale ciò che il Parlamento ha deciso". Esattamente il contrario di quanto aveva sostenuto poche ore prima Polillo, secondo cui - in origine - l'Esecutivo sarebbe stato contrario.

Per capire meglio occorre fare un passo indietro. L'emendamento al dl liberalizzazioni su cui si discute ha uno scopo ben preciso: correggere l'ingiustizia determinata da un'altra norma, approvata stavolta con il salva-Italia.

Parliamo della misura sulla tracciabilità, che vieta di usare i contanti per i pagamenti superiori ai mille euro, obbligando migliaia di pensionati ad aprire un conto corrente per farsi accreditare l'assegno previdenziale. A tutto vantaggio delle banche, che - se il famoso emendamento sarà abolito - potranno incassare indisturbate le nuove commissioni piovute dal cielo.

A questo punto la vicenda ha assunto le tinte del giallo alla Agatha Christie. Il mistero è diventato più grande degli stessi sottosegretari. Si richiedeva un chiarimento da una voce ben più autorevole. E così è sceso in campo nientemeno che il premier. "Come ha chiarito De Vincenti - ha detto Monti in Parlamento - questa norma non è in discussione".

Poi però è arrivata una significativa precisazione. Per quanto riguarda un altro emendamento al dl liberalizzazioni, quello che elimina le commissioni bancarie sulle linee di credito, "se il Parlamento vorrà cambiare la norma - ha aggiunto il Professore - agevoleremo il ritorno alla previgente disciplina da noi proposta nel salva-Italia e da voi approvata nella legge di conversione del decreto".

Qual è stato allora il peccato di Polillo? Il sottosegretario non era davvero in cerca di un quarto d'ora di notorietà: è molto più probabile che abbia semplicemente sbagliato tempistica, mettendo in luce la confusione che regna nel governo quando si parla di banche.

Ma dopo esser stato smentito dal Presidente del Consiglio in persona, ha ampiamente corretto il tiro: ''Non ho mai detto di eliminare la norma. Se un pensionato è costretto ad aprire, per ottemperarvi, un conto presso la banca, è giusto che esso sia esente da oneri, visto che la banca, grazie a quelle disposizioni, vede accrescere la massa di risparmio amministrata. Ma se quel pensionato ha anche altri redditi o proventi è giusto che paghi quanto ogni altro cittadino".

Questa è però solo una delle motivazioni che Polillo aveva dato a suo tempo. In commissione il sottosegretario aveva definito la norma "un notevole danno per le banche" sostenendo che avrebbe potuto addirittura causare "un’ulteriore stretta creditizia, che si riverbererebbe inevitabilmente sulle imprese e sulle famiglie".

La vera partita che si gioca in questi giorni è però quella sulle commissioni bancarie. Il governo e il Parlamento appaiono tutt'altro che restii a cancellare quell'emendamento, ma avrebbero fatto volentieri a meno di sbandierarlo ai quattro venti proprio in questo momento.

Non solo siamo nella fase più incandescente della trattativa con le parti sociali per la riforma del lavoro, su cui si punta a chiudere già la prossima settimana.

Rimane ancora da approvare in via definitiva proprio il decreto sulle liberalizzazioni e - neanche a dirlo - ieri il premier si è appellato al "senso di responsabilità" dei deputati, chiedendo di dare il via libera al testo il prima possibile. E per giunta senza nuove modifiche, che allungherebbero troppo i tempi e comunque possono essere comodamente rinviate "a futuri interventi".

Insomma, non era davvero il caso di rinvigorire le polemiche sulle banche proprio in questi giorni. Anche perché - lontano dal palcoscenico - la questione si sta risolvendo da sé.

A voler ipotizzare da che parte tiri il vento, sono istruttive le parole di Antonio Patuelli, vicepresidente dell'Abi (l'Associazione bancaria italiana): "Ci sono diverse soluzioni a breve, confidiamo nel dialogo tra Parlamento e governo”, ha detto dopo gli incontri fra l'associazione e i leader di Pdl, Pd e Udc.

“Abbiamo verificato – ha proseguito Patuelli - una sensibilità e atteggiamenti comuni a che non vengano complicate le regole alle banche, regole che non esistono in nessuna parte d'Europa". Intanto i vertici dell'Abi, che qualche giorno fa avevano rimesso il mandato in segno di protesta, hanno "congelato" le loro dimissioni. In attesa che il Parlamento si smentisca di nuovo.



Collasso Italia: sempre meno carburanti, sempre più cari
da http://petrolitico.blogspot.com - 15 Marzo 2012

"Luglio 2011: i consumi di carburanti in Italia sono calati di quasi il 10%, e solo rispetto al 2010. Il consumo di benzina è calato del 12%. Con questo andazzo, non abbiamo neanche altri 5 anni di trasporto privato..."*

Da quando ho scritto tutto questo sono passati nove mesi. Siamo a nuovi record del costo raffinati, i più cari in Europa (quindi del mondo... Fateci una riflessione...), margini operativi dei raffinatori quasi nulli, accise alle stelle ed eccoci in un nuovo collasso con la spesa alimentare tornata a livelli di 30 anni fa.

Come previsto in altri post e da ben altre penne che il sottoscritto: ovviamente chissà quanti italiani nel frattempo avranno comprato una nuova auto, oppure una casa di vacanze a 400 km dalla prima casa, oppure sulle isole... Tanti auguri.

Addio al greggio libico, addio a quello siriano, quello iraniano in forse, all'Italia non resta che tirare la cinghia e sperare che paesi come la Spagna saltino letteralmente per aria per potersi approvvigionare col greggio che spetterebbe a loro.

Tutto era previsto, scritto. Altro che le parole tecnicamente rassicuranti del caro Scaroni o dei giornali economici o degli studi di banche e "think tank" dei bocconiani di turno, andatevi a cercare le dichiarazioni del 2007, o del 2000 se proprio volete ridere: si parlava ovunque di secoli di petrolio e di gas, di sviluppo di questo e di quello, dell'Italia piattaforma di servizi e di logistica tra Europa, Americhe e Cina... AHHAHA!

Chissà quanti investimenti, quante auto comprate in nome di questi paroloni dei padroni? Quanti mutui accesi nella fiducia dell'eterno progresso! Ahahahha.

Certo signor Scaroni, se potremo pagarlo 1000 € al litro ne avremo a tonnellate di gasolio, anche tra sessant'anni quando i suoi nipotini saranno neo-cavernicoli da spazzare via dal Pianeta al primo raffreddore. Ma ci trasporteremo cosa e per andare dove con quei litri, in che stato saranno le strade, già il 60% non ha più manutenzione, oggi?

Al 2017 consumeremo forse anche meno di quanto oggi consuma l'Ecuador con i suoi 14 milioni di abitanti. Le mie previsioni erano pure troppo rosee. Che volto avrà l'Italia allora? Una tecno-dittatura col coprifuoco o un'amalgama malsana di malavite anarchiche di vario ordine e grado (non lo è già ora?)...?


Espropri: perchè la Tav non paga
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 14 Marzo 2012

Lo scorso 2 marzo il Governo ha detto chiaro e tondo che la TAV s'ha da fare ad ogni costo. Contravvenendo al titolo di “tecnico” di cui si effigia, al momento della conferenza stampa Monti non aveva presentato alcuna evidenza a suffragio dell'indispensabilità dell'Alta Velocità/Capacità e si era limitato a ripetere slogan sullo sviluppo e sulla creazione di lavoro per i giovani, promettendo però che i documenti con le ragioni del “si” sarebbero stati presto disponibili.

A distanza di una settimana l'esecutivo ha quindi frettolosamente pubblicato - anche di fronte alle imponenti manifestazioni di dissenso messe in atto dai No Tav - un breve documento di 9 pagine dal titolo “TAV Torino-Lione: Domande e Risposte”.

Un imbarazzante ask&tell, evidentemente messo su alla bell'e meglio in mancanza di argomentazioni serie e circostanziate, che buona parte della comunità scientifica definirebbe ridicolo per il solo fatto che manca di fonti e studi verificabili a suo supporto.

Oltre ai dati sulla sostenibilità dell'opera e sulla effettiva utilità per il trasporto di merci e passeggeri (tutti già ampiamente confutati), al punto 5 del documento viene messa nero su bianco la cifra che il Governo dovrà investire in quelli che dovrebbero essere gli indennizzi agli abitanti della Valsusa.

“Come segno di attenzione nei confronti delle comunità locali coinvolte dal progetto - si legge in calce al paragrafo - il prossimo CIPE stanziera? 20 milioni di euro, che rappresentano la prima tranche di 300 milioni di euro relativi all’intesa quadro tra Governo nazionale e Regione Piemonte, che dà corpo all’Accordo di Pracatinat. Inoltre, sono previsti 135 milioni di euro di opere compensative per il territorio”.

Nel testo dell'accordo siglato il 28 giugno del 2008 dal famoso Osservatorio (di cui è presidente lo stesso Mario Virano che oggi è commissario di Governo per la Tav) non si accenna minimamente a questi 450 milioni ma si fa riferimento a generiche opere d’implementazione per il trasporto su rotaia di merci e passeggeri.

Per quanto riguarda dati e proposte sugli indennizzi, che giuridicamente spettano ai valsusini a titolo di compensazione per la perdita degli immobili di proprietà e i disagi conseguenti alla messa in opera del cantiere, nulla è stato ancora ufficializzato e, ad oggi, l'unico documento disponibile è quello che RFI ha prodotto nel 2010 per mappare le aree e gli immobili di tredici comuni interessati dal progetto e valutarne gli oneri di esproprio.

Premesso che in Francia hanno deciso di indennizzare tutti gli immobili situati entro 150 metri dalla linea ferroviaria, comprandoli dai proprietari a prezzo di mercato, mentre in Italia invece gli acquisti sono limitati agli edifici da abbattere o immediatamente contigui, è comunque possibile farsi un'idea dell'enorme impatto ambientale e sociale che i lavori della TAV avranno sui territori.

Stando alla documentazione messa assieme dalle Ferrovie dello Stato, l'area complessiva da espropriare si stima attorno a 1.530.000 metri quadri, dei quali 630.000 serviranno a fare spazio al nuovo tracciato ferroviario e 900.000 saranno adibiti ad ospitare le famose opere compensative.

A queste aree si devono però aggiungere anche 200.000 metri quadri la cui agibilità verrà fortemente limitata a causa degli scavi nel sottosuolo ed altri 650.000 metri quadri che verranno “temporaneamente” occupati - la stima ottimistica dice per 15 anni, ma si sa che da noi il tempo è relativo - per le esigenze provvisionali.

Ci sono poi altri 1.400.000 metri quadri che verranno utilizzati come deposito per il materiale di risulta degli scavi: queste aree corrispondono alle ex cave utilizzate durante i lavori per l'autostrada Torino-Milano ma, stando sempre al testo di RFI, dal momento che su questi terreni non è stata dichiarata la pubblica utilità non ci sono progetti d'indennizzo né di eventuali interventi pubblici di compensazione.

Tutte le altre aree interessate dai lavori per la TAV sono invece state dichiarate di pubblica utilità e per le sue stime RFI si è basata sul decreto presidenziale 327/200, meglio conosciuto come Testo Unico sulle espropriazioni per pubblica utilità.

In particolare il DPR specifica che le somme d'indennizzo devono risultare dalla combinazione di 4 fattori: il valore di mercato, il coacervo delle aree edificabili, il valore agricolo medio del terreno (VAM) e, solo per le aree agricole, le maggiorazioni sul mancato indotto.

Nei criteri di stima delle Ferrovie dello Stato, le aree agricole dovrebbero essere indennizzate in base al solo VAM, le aree urbane edificabili in base al 100% del valore commerciale mentre per quelle edificate verrà corrisposto solo il 10% del valore commerciale.

Immediatamente dopo viene specificato che l'indennizzo per i fabbricati abitativi e industriali “fa riferimento al valore commerciale del nuovo desunto da una sommaria indagine in loco e dai valori desunti dalle pubblicazioni si settore differenziati con l'applicazione dei correttivi che considerano l'effettivo stato ed uso” ma se si considera che una proprietà immobile è giocoforza all'interno di un'area urbana edificata - in Italia si costruirà certo ovunque, ma si è pur sempre sotto un comune - è facile individuare la contraddizione.

Se i dati di RFI sono ancora a livello di proiezione è però possibile già da ora figurarsi le esternalità negative che si abbatteranno sul mercato immobiliare della valle, sia che gli immobili vengano espropriati sia che restino ai loro proprietari.

La valle di Susa é stata infatti per 40 anni oggetto di cantieri per grandi opere: la diga internazionale del Moncenisio, il raddoppio della ferrovia e dei tunnel ferroviari, il tunnel autostradale e l’autostrada del Frejus, poi l’impianto e la centrale idroelettrica di Pont Ventoux, una delle più grandi d’Italia e il raddoppio del maxi elettrodotto.

Il sovraccarico di opere di attraversamento e di cantieri in aree residenziali produce necessariamente il cosiddetto “effetto Bronx”, dal nome del noto quartiere di New York che, tra le due guerre, è passato da zona urbana con i più ampi parchi della città, a luogo simbolo del degrado.

Quando rumori e disturbo superano una certa soglia, la popolazione originaria non accetta più il costo dell’affitto e si sposta, facendosi sostituire da una che accetta il disturbo perchè può pagare di meno.

Questo si riflette nella manutenzione ed innesca una spirale che riduce sempre di più la qualità abitativa, facendo crollare parallelamente il valore di mercato degli immobili e dei terreni, a chiaro vantaggio dei promotori egli espropri.

Per adesso dunque non ci è dato sapere quanto verrà corrisposto esattamente ai valsusini espropriati delle loro abitazioni e dei loro terreni. I proprietari dei terreni oggetto dell'ampliamento del cantiere della Maddalena sono stati convocati per l’esecuzione dei decreti di occupazione e per il verbale sulla consistenza dei beni l’11 aprile alle 9. Ma nel frattempo i terreni prospicienti al cantiere sono stati comunque interdetti alla popolazione e agli stessi proprietari.

Come Luca Abbà - il No Tav che per difendere la sua terra si è arrampicato su un traliccio dell'alta tensione ferendosi gravemente - sono in tanti a vivere di quello che produce il loro terreno e tra le reti della TAV sono rimasti impigliati decine di coltivatori diretti a marchio DOP e imprenditori, costretti ad esibire documentazioni e permessi degni del Muro di Berlino, solo per poter calpestare la terra che è di loro proprietà.

Di questi costi, squisitamente sociali, il Governo attuale e quelli che l'anno preceduto non si sono minimamente interessati se non nella misura fumosa delle “opere compensative”. Ed è anche per questo che la Torino-Lione rischia seriamente di diventare l'ennesima inutile cattedrale nel deserto.


Lettera a un imprenditore
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 15 Marzo 2012

Caro imprenditore, spero che una domenica pomeriggio nella calma del suo salotto lei possa dedicare trenta minuti a leggere questa mia. Il contenuto parla di quanto di più caro lei abbia fuori dall’ambito familiare: il suo lavoro, il suo investimento di una vita, e coloro che lavorano con, per, lei. Vi stanno distruggendo.

E peggio: siete soli. Né Confindustria, né le vostre organizzazioni di rappresentanza hanno capito cosa è in atto nell’Unione Europea, non sanno o non vogliono capire, e infatti se ne vedono i risultati.

Qui vorrei offrire a lei, e ai suoi omologhi, un contributo di comprensione, ma soprattutto di autodifesa e di riscatto. Le parlo di economia, il motore di tutto ciò che ci sostiene, senza il quale non solo i redditi e i fatturati, ma neppure i diritti sono possibili. La sua figura, ritengo, è oggi una chiave fondamentale per salvare l’Italia, la democrazia, il lavoro.

I sindacati… devo trattenere il disprezzo per organizzazioni condotte da quadri dirigenti che sono quanto di più parrocchiale, ignorante e cinico questo Paese abbia prodotto fuori dalle Mafie. Veri ascessi del mondo del lavoro e nel futuro di milioni di lavoratori, traditori di una causa che fu nobile, venduti non ai ‘Padroni’, ma al proprio bieco opportunismo.

Per questo faccio appello a voi imprenditori. Spero che voi, uomini e donne schiacciati fra la retorica defunta della sinistra e la distruttività apocalittica dei poteri sovranazionali, possiate intuire la validità di queste righe.

Il mio lavoro ha per oltre dodici anni approfondito i temi di cui tratto qui. Nulla di quanto scrivo di seguito è frutto di esasperati concetti, radicalismi infondati, notiziole da internet. Ho fatto ricerca con alcuni dei maggiori macro economisti internazionali, e il mio saggio Il Più Grande Crimine 2011 si fregia dell’apprezzamento di uno dei massimi esperti di storia dell’economia Neoliberale al mondo, il Prof. John F. Henry, autore del fondamentale testo The Historic Roots of the Neoliberal Program.

Lo scorso 24-26 febbraio ho ospitato a Rimini cinque degli economisti sopraccitati in un summit intitolato “Questo è un Colpo di Stato Finanziario”, dove la teoria economica detta Modern Money Theory (MMT), che forma le basi di questo scritto, è stata spiegata in tre giorni di lezioni (dettagli più sotto). Qui uno scorcio http://www.youtube.com/watch?v=XP60tpwu5cs.

I nuovi rentiers

Ora il succo del mio messaggio. Un imprenditore italiano moderno deve comprendere, prima di tutto, che ciò che decide direttamente del destino dei suoi bilanci e dell’economia in cui il suo lavoro vive, sta molto alle spalle persino del concetto di economia globalizzata.

Quindi, non solo ciò che per lei è vitale non risiede in decisioni di politica nazionale, ma neppure in quei meccanismi internazionali di cui di norma si parla.

Il dramma che ci minaccia, e che la minaccia, è proprio in questo trasferimento di poteri a sfere neppure immaginabili da chi s’informa e lavora. Ora le do l’esempio più chiaro e diretto. La prego di non pensare, dopo le prime righe, che questo sia un trattato di massimi sistemi. No, qui, e lo vedrà fra poco, parlo proprio della sua vita aziendale e del futuro della nostra economia, nei termini più concreti. Per cortesia mi segua.

Ciò che sta accadendo all’Europa della crisi non è solo frutto di accidenti finanziari e dissesti di bilanci statali, né in particolare di una crisi sistemica delle bilance commerciali o altro. Certamente questi fattori contano, ma c’è ben altro.

Vi sono forze al lavoro in Europa che mirano, non esagero, alla distruzione delle dinamiche del Capitalismo stesso. E non sono affatto forze marxiste, per carità. Al contrario, e peggio. Va compresa, qui, la differenza fra Europa e Stati Uniti. Nel secondo caso, il Capitalismo si è sviluppato su una terra nuda, tragicamente ripulita della sua popolazione autoctona, ma nuda di ogni presenza delle forze dell’Ancien Régime europeo.

Il Capitalismo americano è nato dinamico, pragmatico, e con un’istintiva connotazione verso la ‘Funzione del Consumo’, che oltre un secolo e mezzo più tardi verrà descritta dall’economista inglese John Maynard Keynes. Negli USA, il Potere maggiore fino ai primi anni ’90 ha sempre badato a mantenere in vita il fondamentale principio secondo cui è la Spesa che genera il Risparmio e dunque il successivo Investimento e i Consumi, da cui viene il profitto.

Questa centralità della capacità di spendere valeva sia per lo Stato americano, che ha creato la maggiore ricchezza nella sua storia spendendo a deficit di bilancio fino al 25% del PIL, sia per il settore non-governativo, cioè il privato, dove l’elemento dei consumi (spesa) è sempre stato in primo piano (fin eccessivo, si sa).

Riassumo: negli Stati Uniti, il Capitalismo, pur nelle sue immense ingiustizie, ha però sempre tenuto in vita una dinamica dove alla maggioranza dei cittadini andava garantito reddito sufficiente a generare una spesa interna che mantenesse in vita la produzione aziendale, spesso aiutata da grandi infusioni di spesa a deficit dello Stato. Ecco il Capitalismo all’Americana, almeno prima della recente mutazione nella folle sfera finanziaria speculativa.

Questo Capitalismo sbarcò in Europa dopo la seconda guerra mondiale, con un buon successo. Intendo dire un successo di pubblico, e con la partecipazione confusa e ignorante della classe politica.

In Europa, tuttavia, i gangli del Potere tradizionale - quello che ereditò gli ideali dell’Ancien Régime, del Neomercantilismo tedesco e francese, che transitò trasversalmente nel nazismo, e che fu pregno di appoggi nelle sfere vaticane - ha sempre visto il Capitalismo americano come un’aberrazione.

Non certo per le sue derive eccessivamente consumistiche, ma, al contrario, solo perché persino quel minimo di contenuto democratico che esso mantiene – cioè la necessità della presenza di una popolazione tutelata abbastanza affinché consumi – era visto come un’insidia inaccettabile nelle mire fondamentali di questo Potere tradizionale europeo.

Queste mire erano, e sono tuttora, la distruzione di qualsiasi potere popolare e democratico, e l’imposizione, anzi, il ritorno in Europa di un nuovo ordine sociale di tipo para-feudale, con a capo quelli che già Adam Smith e David Ricardo definivano nel ‘7-800 i “rentiers”.

I "rentiers" erano, e rimangono nel presente, i rampolli delle nobiltà e delle tecnocrazie europee che ritengono loro diritto ‘divino’ non solo governare i popoli ritenuti masse ignoranti, ma anche prelevare tutta la ricchezza possibile dal lavoro di altri. E questo salasso ha colpito e sta colpendo anche voi imprenditori proprio oggi.

Non è necessario ricordarle che per questo identico motivo in Francia nel 1789 scoppiò una rivoluzione. Quell’evento li marginalizzò per un periodo, ma poi i “rentiers” tornarono e oggi governano l’Unione Europea.

I loro sicari ed esecutori materiali nella UE moderna sono (o sono stati) i potentissimi tecnocrati come Herman Van Rompuy, Olli Rehn, Jaques Attali, Jaques Delors, o Lorenzo Bini Smaghi e Mario Draghi, e poi gli Juncker, i Weigel fra i tanti. Sono i decisori finali dei nostri destini, coloro che decidono in stanze chiuse di Francoforte o Bruxelles se lei avrà mercato o se invece soccomberà, alla lettera, coi loro Trattati vincolanti per ogni parlamento europeo. “Rentiers” sono divenuti i finti imprenditori (come Montezemolo o De Benedetti in Italia) che scommettono su rendite da ‘clienti prigionieri’ dei servizi essenziali forzosamente privatizzati e riuniti in monopoli privati (la Captive Demand), violando ogni regola di libero mercato reale; lo sono i capitani Neomercantili di multinazionali dell’acciaio, metalmeccaniche o dell’high tech franco-tedesche, le cui strategie di profitto hanno abbandonato la virtuosità del libero mercato reale e si basano solo sulla deflazione dei redditi dei loro dipendenti cui succhiano la vita con pretese di produttività da collasso (in Germania i redditi crescono del 50% in meno rispetto alla media europea con una produttività del 35% superiore, e infatti i consumi interni sono crollati); “rentiers” sono i gestori degli Hedge Funds della City di Londra, gli speculatori che estraggono fortune inaudite proprio dall’attacco al tessuto economico di intere nazioni attraverso l’uso della scommessa finanziaria pura. Le vostre aziende sono ostaggi impotenti di questi immensi giochi.

Questi sono i nuovi “rentiers”, odiano il Capitalismo dei consumi, sono tornati al timone dell’economia, e, come detto, hanno in comune particolarmente il desiderio di estrarre dal terreno produttivo di aziende e cittadini un profitto del tutto parassitario.

Voi, le piccole e medie aziende italiane promotrici di redditi da lavoro e di consumi, siete nel loro mirino per questi motivi. Per riconquistare il potere perduto un secolo fa e al fine di attuare il loro programma, essi pensarono a un’intera struttura politico-economica, le cui forme larvali comparvero 75 anni fa, e la cui massima espressione è oggi l’Eurozona. Questo il pubblico non sa, voi non sapete.

Le basti pensare che il progetto di moneta unica europea nacque da uno dei profeti di questi nuovi “rentiers”, nel 1943. Era l’economista francese Francois Perroux, che immaginò l’unione monetaria con la mira di ottenere che “lo Stato perda interamente la sua ragion d’essere”.

La distruzione delle funzioni monetarie dello Stato, come le spiegherò fra poco e crucialmente, è oggi lo strumento primario dei nuovi “rentiersper affossare l’economia produttiva, i redditi, i consumi e dunque il Capitalismo stesso, come già detto prima.

Il Perroux lasciò scritto che “Il futuro garantirà la supremazia alla nazione o alle nazioni che imporranno la povertà che genera super profitti e quindi accumulo”. Si tratta proprio dei super profitti dei nuovi “rentiers”. Non certo dei profitti della sua attività, che, come il buon senso suggerisce, non può certo prosperare nel crollo delle vendite indotto dall’affossamento dell’economia produttiva, dei redditi, dei consumi

E’ alla luce del sole.

Si faccia una domanda, la più banale, ma la più vera: perché la nostra ‘Italietta’ della ‘liretta’ degli anni ’70-80 si vide promossa fra i sette più prosperi Paesi del mondo, mentre oggi, con questo Euro che prometteva rilanci insperati siamo ridotti al fanalino di coda d’Europa, additati come i somari della classe e sul filo del default?

Come fu possibile per quella ‘Italietta’ figurare come il secondo Paese al mondo per risparmio privato dopo il Giappone, mentre oggi l’indebitamento delle famiglie sta schizzando ai massimi storici?

Come potemmo allora intimidire la macchina delle esportazioni tedesche al punto da indurre la Germania a sporchi trucchi per soffocare la nostra produttività (lo SME ad esempio)? Oggi gli stiamo nei gas di scarico, quando va bene. Insomma, cosa ci è accaduto?

Prima di risponderle, mi sbarazzo subito della risposta-cliché offerta dagli ignoranti o dai mentitori del mainstream mediatico, cioè che il debito pubblico da noi contratto proprio in quegli anni è ciò che oggi ci trascina in fondo al pozzo.

Questo è falso, e persino del tutto sbagliato dal punto di vista degli stati patrimoniali di uno Stato sovrano. Due note di spiegazione: sappia che il più alto debito pubblico mai registrato dall’Italia repubblicana è quello del 1998, col 132% di debito/PIL, ben superiore al livello odierno del 114%.

Lei ricorda per caso che l’Italia di allora fosse PIIGS? Che vi fosse un assalto speculativo dei mercati tale da necessitare emergenze nazionali? Parole come ‘spread’ o ‘default’ erano allora sulle prime pagine di tutti i quotidiani, riviste e TG? No. Perché?

Perché quel debito era in lire, cioè moneta sovrana, ovvero una moneta che l’Italia creava dal nulla e senza limiti, per cui i mercati sapevano che Roma poteva ripagare qualsiasi obbligazione senza problemi.

Il Giappone di oggi è un esempio eclatante di quella verità di macro economia: ha un debito quasi doppio di quello dell’Italia, cioè oltre il 200%/PIL, ma nessun mercato lo sta aggredendo.

Ma il Giappone, come l’Italia di allora, ha moneta sovrana e nessun limite vero nel crearne per pagare i propri debiti (e nulla cambia se il debito è in mani nazionali o estere).

E poi consideri questo: la Spagna, anch’essa agonizzante nel cortile della vergogna dei PIIGS, ha un debito pubblico di appena il 66%/PIL. Quindi l’argomentazione secondo cui è la presenza di elevato debito pubblico in sé che affonda un’economia non regge.

Ora la seconda nota: la scienza contabile ci insegna che quando lo Stato con propria moneta sovrana (es. la lira) spende più di quanto ci tassi, cioè spende a deficit, esso lascia all’interno del settore non-governativo di famiglie e aziende più denaro di quanto ne prelevi.

Cioè ci arricchisce (maggiori dettagli più avanti). Lo Stato paga uno stipendio pubblico spendendo a deficit, e chi lo riceve aumenta di reddito.

Lo Stato emette un titolo che accresce il deficit, e chi lo compra vede il proprio denaro acquisire interessi superiori a quelli bancari, cioè si arricchisce. Lo Stato edifica un’infrastruttura spendendo a deficit, e le imprese private sotto contratto aumentano i fatturati sui loro conti.

Lei obietterà: sì, d’accordo, ma poi quel debito dobbiamo ripagarlo noi, quindi il guadagno iniziale si perde poi del tutto.

No, affatto. L’idea che il debito pubblico (cioè la somma dei deficit) con moneta sovrana sia un peso futuro per i cittadini è falsa. Il debito e il deficit statale, con moneta sovrana, sono la ricchezza del settore non-governativo di famiglie e aziende, al centesimo, e tali rimangono per il semplice fatto che neppure lo Stato dovrà mai ripagarli.

Lo illustra egregiamente il Prof. Luca Fantacci della prestigiosa Bocconi: “Nessuno Stato è in grado di ripagare i propri debiti. D’altro canto, gli Stati non sono nemmeno tenuti a ripagare i loro debiti. I debiti degli Stati, da quando hanno preso la forma di titoli negoziabili sul mercato, ossia da poco più di trecent’anni, non sono più fatti per essere ripagati, bensì per essere continuamente rinnovati e per circolare indefinitamente. I titoli di stato sono emessi, sono acquistati e rivenduti ripetutamente sul mercato e, quando giungono a scadenza, sono rimborsati con i proventi dell’emissione di nuovi titoli.”

Quindi se lo Stato a moneta sovrana in realtà non è mai tenuto a ripagare il proprio debito, perché mai dovrebbe pretendere che noi cittadini e aziende lo facciamo?

E allora, caro amico imprenditore, se non è il debito pubblico ad averci affossati in questa depressione economica soffocante che ci ha declassati all’umiliazione dei PIIGS, e che minaccia direttamente il suo lavoro, cosa lo ha fatto? Per caso la corruzione? Per caso l’evasione fiscale? Macché, l’Italia che entrò nel G7 era zeppa di entrambe. E allora?

La risposta è già detta: siamo stati trascinati nell’Eurozona, il gran disegno dei nuovi “rentiers”, dove la sottrazione del potere sovrano dell’Italia di emettere la propria moneta ha rapidamente distrutto la nostra economia, che è la vita della sua azienda.

Quella sottrazione sta ottenendo, cioè, quello che i nuovi “rentiers” agognano come sistema, “la supremazia alla nazione o alle nazioni che imporranno la povertà che genera super profitti e quindi accumulo”.

L’Euro è per noi a tutti gli effetti una moneta straniera (Godley 1997, Krugman 2012), che il Tesoro italiano non può emettere. Chi emette gli Euro è il sistema delle banche Centrali europee dei 17 Paesi dell’Eurozona, le quali li depositano direttamente nelle riserve di istituti finanziari privati. Il nostro Stato deve prendere in prestito ogni singolo Euro che spende dai mercati di capitali privati, ai tassi da loro decisi.

Ciò ha due conseguenze catastrofiche intuibili: primo, uno Stato che non può più creare la propria moneta, ma che la deve sempre cercare a tassi che non controlla, non può più spendere a deficit per generare quella ricchezza nel settore non-governativo di cui si è detto.

Questo porta a un immediato impoverimento del Paese, che si riflette su risparmio, consumi e quindi sui profitti aziendali. Secondo, quello Stato diviene ostaggio totale dei mercati di capitali privati, che ne possono depredare la ricchezza impunemente. E ciò rientra con precisione nel piano distruttivo dei nuovi “rentiers”.

Ecco la catastrofe dell’Eurozona. Dopo tutto fu uno dei suoi maggiori architetti, il tecnocrate francese Jaques Attali, che in conversazione con l’economista Alain Parguez, ex consigliere di Mitterrand, si lasciò sfuggire la piena verità sui nuovi “rentiers” con queste parole: “Ma cosa credeva la plebaglia europea? Che l’Euro fosse stato fatto per la loro felicità?” Ahimè, nella cosiddetta plebaglia stanno milioni di consumatori che sono l’ossigeno della sua azienda.

Chi crea ricchezza finanziaria per lei?

Le chiedo qui un ultimo atto di pazienza, per dare sostanza teorica accademica a quando detto sulle funzioni insostituibili della spesa a deficit dello Stato per arricchire l’economia del settore non-governativo di famiglie e aziende. Funzioni che, lo ribadisco, possono esistere solo in presenza di moneta sovrana, e non più con l’Euro.

Il lavoro principale in sede di scienza economica su questo concetto fu svolto da Abba Lerner, con la sua Functional Finance, da Wynne Godley, con i suoi Sectoral Balances, e dai Circuitisti di Alain Parguez et al. che hanno analizzato il circuito monetario.

Tale concetto è assai semplice: una nazione ha in sé due tipi di ricchezze, quella finanziaria (denaro, titoli, equities, cash, ecc.) e quella dei beni (risorse, prodotti, case, terreni, infrastrutture, cultura ecc.).

Non esistono altri tipi di ricchezze. In una nazione esistono solo due soggetti: il settore governativo dello Stato con tutto l’apparato pubblico da esso gestito (GOV.), e il settore non-governativo di famiglie e aziende produttrici di beni e servizi (NON-GOV., cioè ‘il privato’). Non esistono altri soggetti.

Immagini ciascuno di questi soggetti come un Contenitore. Ciascuno di essi possiede come ovvio due tipi di ricchezze, quella finanziaria e quella dei beni. Ora, la domanda che lei si deve porre da imprenditore è questa: come può la mia azienda approvvigionarsi di maggiori entrate finanziarie?

Le entrate finanziarie sono la sua linfa vitale in business, poiché come dimostrato ampiamente da oltre un secolo di Monetary Theory of Production (Veblen, Keynes, Robinson et al.), il circuito del profitto parte dal denaro, produce cose e servizi e torna al denaro. Bene. La risposta che sicuramente le viene spontanea è: trovando maggiori mercati per i miei prodotti/servizi. Ok, certo.

Ma badi bene a una cosa: se la sua attività compete nel contenitore NON-GOV. di cittadini e altre aziende, e se ha successo, il bene finanziario che lei acquisisce non è un bene finanziario in più al netto. Non lo è perché il denaro che lei incassa è sempre denaro che qualcun altro nel contenitore NON-GOV. ha speso.

Ora, questo è bene per lei, ma è un addebito per altri cittadini o altre aziende. Infatti nessuno nel contenitore NON-GOV. può creare il denaro*, e dunque gli accumuli di quel contenitore da una parte, corrispondono sempre a sottrazioni da qualche altra parte; è, in sostanza, tutto denaro che solo gira in circolo di continuo.

Questo può oggi fare la sua fortuna, ma non la fortuna di tutto il settore aziendale come insieme. In economia si dice che nell’aggregato (nel suo insieme) il contenitore NON-GOV. da solo non può mai aumentare la propria massa finanziaria, può solo farla circolare da qui a là o da là a qui; di qua si alza ma di là si abbassa, necessariamente.

*(il sistema bancario crea denaro, ma gli corrisponde sempre un debito di qualcuno, per cui nulla al netto)

Come invece lei di sicuro intuisce, il contenitore NON-GOV. idealmente dovrebbe poter acquisire nel suo insieme beni finanziari in aumento al netto, senza cioè che nessuno al suo interno li debba contemporaneamente perdere. Questo è crescere, questa è vera crescita economica, l’unica reale crescita, quella di tutti contemporaneamente.

Dunque, diviene ovvio pensare che l’unica possibilità per il contenitore NON-GOV. di acquisire beni finanziari in più al netto è se un contenitore esterno ad esso ve li immette. Quel contenitore è GOV., cioè lo Stato, che può creare la propria moneta dal nulla e riversarla nel contenitore NON-GOV. sotto forma di spesa (acquisti/commesse dello Stato, stipendi pagati, grandi investimenti, emissione di titoli, contante ecc.).

Ma lei può comprendere facilmente che se GOV. immette in NON-GOV. beni finanziari nella stessa misura in cui li preleva con le tasse (pareggio di bilancio), NON-GOV. non acquisirà nulla in più.

Se poi GOV. immette meno di quanto tassi su base costante (surplus di bilancio), NON-GOV. andrà addirittura in perdita. Ne consegue che l’unica possibilità per NON-GOV. (e questo include lei come azienda) di aumentare al netto i propri beni finanziari è se GOV. ne immette spendendo di più di quanto ci tassi, e questo si chiama deficit di Bilancio.

E’, badi bene, una spesa virtuosa che deve però essere diretta dallo Stato verso la piena occupazione, pieno welfare, e piena produzione aziendale (full Capacity). Quando ciò accade, si parla in economia di spesa a deficit positiva.

(Nota: esiste a dire il vero un altro contenitore esterno a NON-GOV. e che in effetti può riversare beni finanziari al netto in esso. E’ il contenitore delle nazioni straniere, che se compra da noi più di quanto noi compriamo da loro, ci lascia nei libri contabili valuta al netto che ci arricchisce. Ma come lei può intuire e come certamente sa, l’imprevedibilità della bilancia commerciale è tale da impedire alle aziende nel loro insieme di far affidamento sul quel contenitore come fonte di beni finanziari al netto.

Ed è ovvio che non tutte le aziende poi lavorano con l’export. Si potrà obiettare che la Germania è invece ancora a galla nell’Eurozona proprio perché il settore straniero gli riversa abbondanti risorse finanziarie al netto nelle casse.

Vero, ma si tratta in primo luogo di una condizione di pesante dipendenza fa forze esterne che Berlino non può controllare; in secondo luogo, poiché la Germania non può più emettere la propria moneta, essa non può più soccorrere le proprie aziende/cittadini con la spesa pubblica a deficit, e deve ingraziarsi i mercati esterni usando in patria le distruttive riforme Hartz del 2004 che hanno depresso come mai prima i salari e la domanda interna, pur di abbattere i costi.

Le PMI tedesche ne hanno sofferto immensamente. Questa non è certo la condizione ideale per acquisire beni finanziari al netto. Il contenitore GOV. è, e rimane, l’unica certezza in questo senso, se possessore di propria moneta sovrana.)

Ciò dimostra oltre ogni possibile dubbio quanto affermato all’inizio sulle potenzialità della spesa statale a deficit per lei e per la sua attività, come per tutto il suo settore in aggregato. E non sono solo potenzialità, sono proprio necessità imprescindibili, altrimenti nessun arricchimento finanziario in più al netto vi è possibile. Le chiedo di comprendere con impegno proprio questo punto di macro economia dei bilanci settoriali:

Senza un contenitore esterno a quello aziendale nel suo aggregato che vi versi beni finanziari al netto in quantità superiore rispetto a quanto gli sottrae con le tasse, cioè un contenitore che spenda a deficit, è impossibile per il vostro contenitore ottenere un surplus in aggregato. In parole semplici: o s’indebita GOV. e NON-GOV. ci guadagna, oppure accade il contrario, NON-GOV. va in rosso a favore del surplus di GOV. La terza via è il pareggio, che non vi aiuta affatto. Altre soluzioni non esistono. Il sistema azienda italiano NON PUO’ crescere con uno Stato che pareggia i bilanci o addirittura cerca il surplus di bilancio.

Ma attenzione: tutto quanto sopra poggia sul postulato che lo Stato possegga una moneta sovrana che esso crea dal nulla, su cui ha il controllo dei tassi d’interesse (titoli e politica monetaria) e che quindi può emettere liberamente senza che il deficit sia alcun reale problema.

Se al contrario quello Stato è costretto all’uso di una moneta non sua, che deve prendere in prestito da privati, sui costi del quale non ha alcun controllo, tutto ciò diviene impossibile, perché insostenibile nei libri contabili.

Sto parlando dell’Euro, la cui creazione ha costretto 17 Stati nelle medesime condizioni di qualsiasi membro di NON-GOV., che dipende da qualcuno all’esterno di sé per prosperare, e che non può più finanziare alcuno al netto.

Capire.

Ora lei potrà capire cosa si nascose dietro la retorica dell’Unione Monetaria. E cosa si nasconde dietro il mantra dei tecnocrati europei (leggi nuovi “rentiers”) per addirittura mettere in Costituzione il pareggio di bilancio.

Si nasconde la precisa mira di sottrarvi crescita e profitto, l’unica vera crescita possibile in aggregato, quella che può accadere unicamente in presenza di spesa interna a deficit degli Stati.

La paralisi della crescita così ottenuta distrugge lo stesso Capitalismo della produzione, su cui lei vive. Hanno usato il potere delle scuole economiche Neoclassiche finanziate dalle maggiori Fondazioni e Think Tanks Neoliberiste per creare il ‘fantasma’ del debito pubblico*, riuscendo a nascondere che la più formidabile spinta produttiva e reddituale della Storia dell’umanità fu originata dal 1946 al 1956 proprio da una colossale spesa a debito degli Stati Uniti d’America, che non risulta siano poi falliti.

Oggi, poi, ci impongono, nel nome della menzogna del debito e grazie alla gabbia dell’Euro, le Austerità che ancor più strozzano la spesa dello Stato, che aumentano la tassazione, quindi deprimono i redditi, quindi i consumi, quindi deprimono la sua azienda, in una spirale senza fine che prende il nome di Spirale della Deflazione Economica Imposta.

Inoltre, lo Stato vittima di queste Austerità si trova a dover far fronte a spese a deficit del tutto negative e improduttive (ammortizzatori sociali, aumento spese sanitarie, calo gettito fiscale dovuto al crollo dei redditi ecc.) che ne aumentano il debito senza che ciò crei alcuna ricchezza vera nel settore non-governativo di cittadini e aziende.

Cinicamente poi, questo aumento di debito negativo viene preso a pretesto dagli stessi tecnocrati europei che lo hanno causato (leggi nuovi “rentiers”) per imporci ancor più Austerità, quindi ancor più deflazione, quindi ancora calo redditi e consumi e conseguente crollo economico, e tutto il meccanismo pernicioso si auto alimenta all’infinito.

I nuovi “rentiers” speculano su questo con inimmaginabili profitti, cifre da far impallidire qualsiasi buona azienda italiana, proprio perché ne succhiano la linfa, come lei vede oggi. Non posso riscrivere qui nel dettaglio come questi profitti parassitari avvengono; lei può far riferimento per ogni particolare al capitolo Ecco chi incassa a pag. 60 de Il Più Grande Crimine 2011.

Ma soprattutto stanno imponendo un nuovo ordine sociale costruito sulla paura del fallimento di intere nazioni, che loro stessi ricattano e sospingono alla rovina. Solo un dato, tratto dai bollettini statistici di Banca d’Italia: la crisi finanziaria del 2007, il capolavoro globale dei nuovi “rentiers”, ha complessivamente sottratto all’Italia la cifra di 457 miliardi di Euro in meno di tre anni.

Quei soldi immensi sono stati drenati anche dalla sua azienda, con l’aggravio che oggi la stessa macchinazione che ha originato il collasso finanziario globale sta negando a lei, e ai suoi colleghi, il credito bancario che le serve per sopravvivere. Come ne esce lei? Vi hanno messo in un angolo e vi stanno sbranando. Ma la via d’uscita c’è, ed è eccellente. Solo un attimo ancora.

*(tutta la storia dettagliata con documentazione accademica di questi fatti ne Il Più Grande Crimine 2011, www.paolobarnard.info)

Il pollaio.

E’ a fronte di queste realtà innegabili di macro economia, e a fronte dell’inganno attraverso cui i cittadini e gli imprenditori vengono colpiti così duramente, che lei potrà intuire come la decennale contrapposizione ‘dipendenti-padroni’ sia sempre stata un teatro fittizio in cui vi hanno costretti a sbeccarvi a sangue, voi e i lavoratori, come foste, con rispetto, polli in un recinto. Mentre ben altri poteri pianificavano come dissanguarvi tutti.

Le offro come esempio uno degli angoli in cui vi hanno impantanati – datori di lavoro e dipendenti - e dove vi siete logorati per decenni inutilmente. E’ il dibattito sul costo del lavoro. E’ stato incorniciato in una rigida equazione: ‘l’azienda necessita di abbattere il costo del lavoro, pena la perdita di competitività’. A ciò si oppongono ovviamente i salariati, rivendicando maggiori margini a loro volta.

Ma il dibattito è del tutto fuorviante, falsato e con una mira che neppure immaginate: colpire, come sempre, il Capitalismo dei consumi e della produzione, e di rimando anche la stabilità finanziaria dello Stato.

Mi conceda un breve passaggio di storia dell’economia: l’idea secondo cui è l’abbassamento del costo del lavoro che permette maggior profitto, e persino maggior offerta di occupazione, nasce (nel capitalismo moderno) con l’economista inglese Arthur Cecil Pigou a inizio novecento.

Apparteneva alla scuola economica detta Neoclassica, quella che reagì a Marx tentando di provare il perfetto funzionamento del mercato in un suo equilibrio spontaneo (General Equilibrium Theory).

La sua era un’idea strana davvero: primo, come può un lavoratore il cui reddito cala essere poi colui che consuma abbastanza prodotti e servizi da mantenere l’economia a galla?

E, come argomentò con grande efficacia non molto più tardi John Maynard Keynes, in un’economia che di conseguenza soffre cali nei consumi, quindi cali di vendite delle aziende, perché mai dovrebbe un imprenditore assumere di più?

Keynes formulò una complessa spiegazione di cosa determina veramente la propensione all’investimento dell’imprenditore, che include occupazione, nel capitolo 17 della sua General Theory.

Ritengo che essa sia perfetta anche nell’oggi. E poi, come noto anche a livello popolare, fu Henry Ford a smentire Pigou con la sua innovativa politica salariale di aumento della paga unito al profit-sharing, dimostrando che in quel modo ne giovavano non solo le vendite della sua industria, ma l’economia tutta.

Ma l’idea di Pigou doveva sopravvivere, per un motivo: essa avrebbe proprio condotto a quel calo dei profitti, a quell’incrinatura nella macchina capitalista di consumi- produzione, a uno scontro acerrimo fra imprenditori e dipendenti, che servivano perfettamente le mire dei nuovi “rentiers”.

In particolare, nell’azione deflattiva sull’economia, essa avrebbe poi causato disoccupazione maggiore, precarizzazione del lavoro, e quindi avrebbe costretto gli Stati alla spesa a deficit negativa, cioè improduttiva, di cui si è prima parlato. Incrinare consumi-produzione, cali dei fatturati, scontri distruttivi nel mondo del lavoro, tensioni sociali, danni alle finanza statali.

E tutto questo per un’idea sbagliata, perché buoni redditi significano nell’aggregato la salute delle aziende, non la loro rovina, specialmente se esiste alle loro spalle uno Stato che spende a deficit positivo per sopperire ad eventuali difficoltà nel privato (maggiori dettagli su costo lavoro-costi per le aziende e spesa a deficit più sotto).

Capisce, caro amico, come vi hanno confinati per decenni su un dibattito fittizio? Il vostro interesse comune, imprenditori-lavoratori, stava in realtà nella stessa cesta: il benessere dei redditi tutelato da spesa a deficit positiva.

Ma vi hanno invece accecati nello scontro. E questo mentre loro macchinavano, col successo che è davanti agli occhi di tutti, per rendere intere economie nazionali irriconoscibili a confronto con ciò che furono solo 30 anni fa.

Le Tasse.

E qui aggiungo un altro esempio di come hanno sospinto voi e i vostri lavoratori in un tunnel del tutto fuorviante. Mi dica: cosa vi è di più opprimente per lei imprenditore della tassazione?

E’ un coro unanime in Italia, dal gestore di bar all’industriale: la pressione fiscale si magia tutto, è insostenibile, e costringe persino a una quota di ‘nero’, senza cui semplicemente tanti chiuderebbero.

Amico caro, lei lo sa a cosa servono realmente le tasse? No, non servono, e ripeto, NON servono a finanziare la spesa dello Stato.

Questo, di nuovo, da un punto di vista di esatta contabilità di Stato è falso. E’ un’altra delle invenzioni del sistema economico Neoclassico, e che si è piantata nelle convinzioni sostanzialmente di tutti.

La scuola economica Circuitista e quella della Modern Money Theory (MMT), in particolare gli economisti Warren Mosler, Pavlina Tcherneva e L. Randall Wray, hanno dimostrato esattamente quanto segue.

E’ impossibile che le tasse possano pagare alcunché nei bilanci di uno Stato, visto che sono denaro che il governo ha immesso nella collettività e che di norma si riprende indietro in percentuale minore. Non può in alcun modo rispenderli poi, la matematica non glielo permette.

Come dire: se un negoziante investe 100 e incassa 70, come fa ad avere alcunché da spendere? Ma anche immaginando il santificato pareggio di bilancio, dove lo Stato spende 100 e tassa 100, dove sono i fondi da spendere?

Ciò che in realtà accade è questo: lo Stato a moneta sovrana inventa denaro spendendo - significa accreditando conti correnti nel contenitore NON-GOV. - che poi drena dagli stessi conti tassando, distruggendo quel denaro.

Sì, distruggendolo, perché si tratta solo unità di conto elettroniche che, all’atto del pagamento delle tasse, scompaiono dai conti sui computers della Banca Centrale. Non arrivano da nessuna parte, in realtà.

Immagini la spesa dello Stato come un contatore elettronico: quando lo Stato spende, i numerini corrono aumentando, es. da 234.000 a 234.400 (i c/c dei cittadini aumentano); quando lo Stato ci tassa gli stessi numerini scendono ad es. da 234.400 a 234.100 (i c/c dei cittadini calano).

Semplicemente 300 cifre elettroniche sono sparite nel nulla, non possono essere spese. Ecco cosa sono le tasse veramente, denaro che sparisce, null’altro, e certamente non un mezzo per racimolare soldi per la spesa dello Stato.

Ma allora, perché diavolo uno Stato tassa? Lo fa per:

1) tenere a freno il potere economico delle oligarchie private, che altrimenti diverrebbero immensamente ricche e potrebbero spodestare lo Stato stesso.

2) limitare l’inflazione drenando denaro in eccesso dalla circolazione.

3) scoraggiare o incoraggiare taluni comportamenti - si tassa l’alcool, il fumo, o l’inquinamento, e si detassano le beneficienze o le ristrutturazioni, ecc.

4) imporre ai cittadini l’uso della sua moneta sovrana. Se non fosse per l’obbligo di tutti di pagare le tasse nella valuta dello Stato, non ci sarebbe garanzia di accettazione da parte del settore non governativo di quella valuta.

Tutto quanto ha appena letto, tuttavia, vale solo per gli Stati a moneta sovrana, come era l’Italia prima dell’Euro, come è il Giappone o come sono gli USA. Non lo scordi, perché fra un attimo capirà.

Allora le domando: perché queste realtà contabili indiscutibili non sono mai state rese di pubblico dominio? Perché al contrario voi imprenditori siete tutti stati gettati in una eterna lotta a sopravvivere alle tasse e che spesso è andata a scapito proprio dell’occupazione?

Di nuovo: voi e i lavoratori a sbeccarvi, quando in realtà bastava solo reclamare che uno Stato a moneta sovrana scegliesse di usare il prelievo fiscale solo per i quattro motivi sopra descritti, e non nella fittizia convinzione di acquisire le finanze per gestire il Paese.

Ma lei riesce a immaginare che razza di ricchezze avrebbero potuto rimanere nei fatturati aziendali, quindi negli stipendi dei dipendenti, se avessimo tutti capito che uno Stato a moneta sovrana NON necessita di tasse per spendere?

Ma no, lì vi hanno ficcati, a penare per decenni per nulla. E poi è arrivato l’Euro non-sovrano, che vi (ci) hanno imposto proprio per evitare per sempre che qualcuno potesse reclamare dagli Stati un uso sensato delle tasse. Comprende ora?

Tutta la scuola economica Neoclassica, la prediletta dai nuovi “rentiers”, quella che oggi domina ovunque incontrastata, ancora sostiene quelle tesi che ho sopra smontato, dal passato degli Arrow, Debreu, Hahn, Von Mises, Hayek, fino a Mankiw, Rogoff, Lucas, Alesina, Stagnaro, Rocca, Vaciago, Petroni ecc. di oggi.

Nella finta contrapposizione degli interessi di imprenditori e lavoratori, fu omesso oculatamente (e criminosamente) proprio il ruolo della spesa a deficit positiva del contenitore GOV. Ciò infatti che viene finanziariamente perduto dal sistema aziende nell’aumento del costo del lavoro, in particolar modo sul fronte della competitività, non solo gli ritorna in termini di acquisti, ma deve e può essere coperto proprio dalle infusioni di spesa a deficit positiva dello Stato.

Cioè: edificazione di infrastrutture mirate alla competitività internazionale e nel commercio, detassazioni multiple, acquisti diretti della produzione a rischio, emissione di titoli per rendite finanziarie mirate a reinvestimento in attività produttive, incentivi fiscali al reinvestimento degli utili in produttività, crediti facilitati o crediti garantiti senza limiti, ammortizzatori sociali mirati però alla formazione d’eccellenza dei lavoratori, e molto altro. E siamo di nuovo al ruolo di questo Stato, così centrale, ma oggi reso impossibile per l’Italia dall’adozione dell’Euro.

Licenziare.

Anche qui uno Stato a moneta sovrana che spenda a deficit positivo dirime ogni controversia. Fra poche righe il perché. Ma mi permetta di sottolineare un punto fermo: il tema del licenziamento oggi, nel presente caos Neoliberista e in Italia in particolare, non permette alcuna scelta di campo. Non ha torto l’imprenditore, non lo ha il lavoratore.

Ometto di allungare questa trattazione per illustrarle l’indecente fenomeno dello Slimming Down aziendale che usa i licenziamenti per le speculazioni azionarie e di stock options. Né posso dilungarmi sui ricatti che corrono spesso fra datori di lavoro e dipendenti, specie se donne, dove il licenziamento è l’arma.

Ma neppure devo dirle ciò che lei sa benissimo, e cioè che un dipendente cialtrone e inamovibile paralizza un’intera azienda, e danneggia tutti; che gente che non risponde al telefono in magazzino perché “vaff… c’è il fantacalcio” andrebbe cacciata all’istante; che l’etica del lavoro è un mistero nazionale qui da noi, ecc.

Purtroppo sono costretto a parlare di licenziamenti nell’astratto della macro economia, ma non per questo ciò che le devo dire è meno centrale.

Vi sono istanze dove il licenziamento diviene necessità ineludibile per l’azienda – un esempio, fra gli altri, è il settore auto, dove lo sviluppo tecnologico unitamente alla competizione dall’Est asiatico renderà impossibile mantenere forza lavoro umana in fabbrica; Marchionne è in malafede e non lo dice, lui sa che il destino dell’operaio metalmeccanico è segnato, inutile remare contro la Storia.

In quelle istanze può intervenire la spesa a deficit positiva dello Stato, che può riconvertire a sue spese e senza limiti i posti di lavoro perduti in nuove occupazioni cosiddette “ad alta densità umana di valore ambientale/sociale”.

Per far solo due esempi fra molti altri, nella gara disperata a preservare l’ambiente, e con un aumento costante della popolazione anziana e bisognosa, non è difficile immaginare quanta nuova occupazione se ne potrebbe estrarre, per non parlare del settore dei servizi alla quotidianità. Occupazione finanziata dallo Stato, e sgravata da voi imprenditori là dove veramente necessario il licenziamento.

Comprenda, caro amico, come questo spazio di manovra dello Stato a moneta sovrana, che applichi quelli che la Modern Money Theory chiama i Programmi di Lavoro Garantito (Job Guarantee), pone voi e i vostri dipendenti di colpo oltre qualsiasi sterile e distruttivo dibattito sui licenziamenti, articolo 18 e affini, limitatamente, preciso, ai licenziamenti resi inevitabili dalla competizione internazionale o da bilanci aziendali in crisi.

Concludendo, sarebbe stato vostro interesse comune, datori di lavoro e dipendenti, smettere di contrapporvi negli angoli ciechi del pollaio, e lottare assieme contro il comune nemico, per resuscitare il comune alleato: lo Stato a moneta sovrana che spende a deficit positivo per tutelare il 99% di cittadini e aziende.

L’economia di salvezza per lei, per voi, per noi: Modern Money Theory (MMT).

Innanzi tutto cos’è. E’ il nome dato dall’economista australiano Bill Mitchell a una riformulazione moderna, cioè scientificamente costruita sulle odierne strutture finanziarie e macro economiche, di idee partorite da alcuni dei giganti dell’economia del XX secolo, a partire da Georg Friedrich Knapp, Alfred-Mitchell Innes, John Maynard Keynes, Abba Lerner, Joan Robinson, Hyman Minsky e Wynne Godley.

I moderni esponenti di questa scuola di economia si raggruppano all’Università del Missouri Kansas City e al Levy Economics Institute di New York. Essa ha studiato e dimostrato in centinaia pubblicazioni accademiche tutto quanto io le ho esposto finora dal punto di vista delle potenzialità del circuito monetario statale.

La correttezza teoretica della MMT, e il suo dirompente impatto sulla gestione delle economie moderne, la sta oggi imponendo all’attenzione del mainstream mediatico (ad es. Washington Post 19/02/12 – Repubblica 22/02/12).

Ha un pregio estremo, introvabile: è pura scienza descrittiva, ed è, su questo, incontrovertibile, tuttavia si presta ad applicazioni in economia e società senza precedenti. Spiego.

La MMT, nella sua parte teorica che descrive fenomeni monetari, ha saputo dimostrare come assolutamente corretti tutti i postulati che io le ho prima descritto: quelli sulla reale natura di debito e deficit pubblici a moneta sovrana, quelli sulla tassazione, sulla perniciosità dell’Euro, sulla creazione di finanza in più al netto per NON-GOV., sulla Spirale della Deflazione Economica Imposta dalle Austerità, sul reale funzionamento virtuoso di spesa-redditi-risparmi-spesa-profitti, sulle potenzialità di un Programma di Lavoro Garantito dallo Stato a vantaggio sia delle imprese che dei dipendenti ecc.

E proprio per questo la MMT è adattabile ad una applicazione immediata come politica economica nazionale per la tutela di cittadini e aziende. La tutela del 99%, a scapito dell’1% dei nuovi “rentiers”, che oggi ci succhiano vita e risorse, le sue risorse caro amico.

La MMT ci descrive il ritorno dello Stato a moneta sovrana alle sue funzioni più alte, quelle messe in atto dal 1946 al 1956 dagli Stati Uniti del boom economico più possente della Storia dell’umanità, a vantaggio di tutto il contenitore privato di cittadini e aziende, il NON-GOV.

Ci descrive, caro imprenditore, la salvezza da un disegno distruttivo e iniquo che sta minando tutto ciò che noi conosciamo come crescita, benessere, democrazia: il Neoliberismo dei nuovi “rentiers”, il peggiore mai esistito, quello a cui voi uomini e donne che hanno impegnato una vita di lavoro e d’investimenti dovete ogni singola sciagura economica che vi ammorba oggi.

E perciò la via che le indico non è il Capitalismo americano, né ovviamente il soggiacere passivi al parassitismo ignobile dei nuovi “rentiers”. Le propongo di contemplare con serietà la costruzione di questa politica economica per l’interesse suo, del suo lavoro, dei suoi dipendenti, della società che vi ospita e della democrazia stessa.

Come detto, prende il nome di Modern Money Theory, io e il mio gruppo l’abbiamo portata in Italia, e siamo a vostra disposizione* - voi come individui o come categorie di imprenditori - per aiutarvi a conoscerla meglio facendovi incontrare i suoi massimi autori accademici, e ad applicarla in Italia.

Non consegni gli anni del suo lavoro alla retorica della politica ignorante e alle menzogne di tecnocrati devastanti. Vi stanno distruggendo.

Suo,

Paolo Barnard

P. S. : In questo articolo ho poco chiaramente descritto come negli USA del dopo guerra la spesa a deficit del governo realizzò il colossale boom economico privato. Me ne scuso perché questo ha generato incomprensione. La ricchezza del 1946-1956 fu finanziata dal deficit americano (fino al 25% in media, massimo 30%) degli anni immediatamente precedenti, che infatti si tramutò poi in beni finanziari al netto per il settore non governativo nel periodo da me citato nell'articolo.


Lo spread dei suicidi
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 17 Marzo 2012

Fabio Canessa, una delle non rare intelligenze che arricchiscono la provincia italiana e preferiscono starsene acquattate, uomo che a una vastissima e trasversale cultura unisce uno straordinario brio espositivo (in un seminario organizzato qualche anno fa da Filippo Martinez a Oristano, cui partecipavano, fra gli altri, Giulio Giorello, Barbara Alberti, Vittorio Sgarbi, la sua ‘lectio magistralis ‘ sulla lingua latina, che non è materia che si presti, fu ritenuta la più brillante), professore di liceo a Piombino, ha fatto leggere ai suoi studenti del penultimo anno il mio pezzo “Psicofarmaco della Modernità” pubblicato sul Fatto del 6 marzo e con loro lo ha discusso.

I ragazzi sono stati particolarmente colpiti dall’escalation dei suicidi dall’Europa preindustriale a oggi: 2, 5 per centomila abitanti a metà del Seicento, 6, 8 nel 1850, 20 per centomila oggi (questa è la sequenza corretta, io, citando a memoria, ne davo una leggermente diversa e comunque più sfavorevole alla mia tesi: 2, 5-6, 8-20).

Qualche lettore del Fatto, dubbioso, ha obiettato: “Ma come si fa a fare statistiche attendibili per il ‘ 600?”. Ora, nel ‘ 600 nasce in Europa la scienza moderna, con Tycho Brahe, Galileo, Keplero, Cartesio, Huygens. Sono per lo più astronomi e matematici, ma ci sono anche i primi cultori di statistica.

Il più importante fu, forse, Gregory King che si occupò di alimentazione, di composizione della famiglia e di redditi (da cui si ricava che le distanze fra i redditi da allora a oggi, epoca dell’uguaglianza, non sono affatto diminuite, ma di gran lunga aumentate).

John Graunt studiò invece la mortalità e quindi anche i suicidi e ne diede conto nel suo volume Natural and political observations upon the Bills of Mortality, del 1662. Graunt prese per campione 400 mila abitanti di Londra nel ventennio 1640-1660.

Le fonti sono gli archivi parrocchiali. Il risultato dà, appunto, 2, 5 suicidi per 100 mila abitanti. Indubbiamente è un po ‘ azzardato prendere la sola Londra come rappresentativa dell’intera Europa. Ma è molto probabile che il dato pecchi per eccesso. La popolazione preindustriale era per i 4 / 5 rurale.

Londra era già una metropoli ed è noto dal classico studio di Durkheim che l’urbanizzazione è uno dei più importanti fattori che determinano il livello dei suicidi. Se si va a spulciare gli archivi di qualche villaggio di campagna, per esempio Ashton-under-Lyne, sempre nel ‘ 600, si vede che “parecchi decenni trascorrono con un solo suicidio o addirittura nessuno” (P. Laslett, “Il mondo che abbiamo perduto”).

In ogni caso le statistiche che vanno dal 1850 ad oggi, che sono fatte con metodi di indagine moderni e coprono tutta l’Europa, confermano in qualche modo il dato precedente e dicono che in 150 anni i suicidi sono triplicati e vanno di pari passo col Progresso.

Negli organizzatissimi Paesi scandinavi i suicidi sono molto più numerosi che nel meridione d’Europa, così come quelli nel Nord Italia sono quasi il triplo del più povero Sud (qualche anno fa i picchi maggiori si registravano nell’opulenta Emilia, per l’oggi non sono documentato).

Nella Cina del boom economico il suicidio è diventato la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. Insomma il Progresso fa male. Questa è la dura sentenza che non si vuole ascoltare.

E per quanti dati tu porti (altri se ne potrebbero fornire per le malattie mentali) i ciechi epigoni dell’Illuminismo trovano sempre il modo di non tenerne conto. E quando sono proprio a corto di argomenti allora, come scrive Ceronetti, saltano in piedi e con gli occhi pieni di sangue illuminista gridano: “Comunque indietro non si torna!”.

Bravi, è proprio questo il nostro dramma.