martedì 17 aprile 2012

La vaselina ormai non serve più...

Ieri, nel silenzio generale dei media mainstream italioti, è stato approvato in via definitiva dal Senato l'inserimento nella Costituzione dell'obbligo del pareggio di bilancio.

Ed essendo stato votato con una maggioranza dei 2/3 si è anche evitato il referendum popolare confermativo.

La sovranità italiana in politica economica è quindi definitivamente perduta e d'ora in poi chiunque governerà il Paese potrà servire al meglio gli interessi del Vero Potere senza neanche essere costretto ad usare la vaselina...



Tra manette e riforme, arriva il nuovo '92 in Italia
di Andrew Spannaus - www.movisol.org - 13 Aprile 2012

Ad un osservatore attento, i numerosi scandali che colpiscono quasi tutti gli schieramenti della politica italiana, visti in controluce alla presenza di un governo tecnico che dichiara di fare finalmente le riforme necessarie a modernizzare il paese, non possono che suggerire un parallelo con un periodo simile di non tanto tempo fa, quello di Tangentopoli e dei governi tecnici dell'inizio degli anni Novanta.

Allora ci fu un attacco speculativo in grande stile, che portò ad una forte svalutazione della Lira.

La finanza internazionale, guidata in quel caso dal famoso "mega-speculatore" George Soros, portò a casa miliardi di dollari inaugurando una stagione sui mercati internazionali che avrebbe rappresentato perfettamente lo spirito della globalizzazione: i governi dovevano piegarsi ai voleri della finanza, permettendo alla "libera concorrenza" di sopraffare la sovranità nazionale.

L'attacco speculativo e la conseguente svalutazione della moneta peggiorarono la crisi della finanza pubblica, per cui il bilancio dello Stato venne considerato insostenibile.

Seguì un lungo periodo di misure lacrime e sangue, iniziato già prima dell'attacco con il prelievo forzoso dai conti correnti nel luglio del '92, e poi lanciato in grande stile con la manovra da 93.000 miliardi di lire, sempre ad opera del Governo Amato. Al contempo, si avviò la grande stagione delle liberalizzazioni e privatizzazioni di grandi fette dell'economia italiana.

Come si sa, tutto ciò è avvenuto nel contesto della decimazione della classe politica italiana, quella della "Prima Repubblica", quella dei partiti politici che avevano retto il paese nel dopoguerra.

Dalla DC ai Socialisti, i principali leader politici furono screditati e estromessi dal potere. Rimasero molti, riciclatisi nei modi più svariati, ma la musica era cambiata; comandavano i tecnici, esperti come Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, che avrebbero ridisegnato l'economia italiana.

Furono riscritte le regole del sistema bancario e finanziario. Si cominciò a smantellare le partecipazioni statali, vendendo - e in molti casi svendendo proprio - i gioielli di stato (vedi "La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioniprivatizzazioni in Italia" di Claudio Giudici); tutto ad uno sconto non indifferente quando si trattava di compratori stranieri, grazie alla svalutazione del settembre '92.

Senza addentrarci in un'analisi completa di Tangentopoli e dei suoi risvolti, ci limiteremo qui a porre qualche domanda:

  • È stata davvero 'scoperta' la corruzione politica in Italia in quel periodo? Oppure si sapeva da tempo come funzionava il finanziamento dei partiti, e in qualche modo si decise di fare saltare il tavolo in quel momento storico?
  • Stiamo meglio oggi? La nuova classe politica è più pulita e in grado di difendere meglio gli interessi della popolazione?

Le risposte non sono difficili, sarebbe auspicabile che si cominciasse a riflettere più a fondo su quel periodo di trasformazione, proprio perché sta avvenendo qualcosa di simile oggi.

Ad onor del vero però, questa volta la potenziale resistenza da parte della classe politica sembra decisamente minore, in quanto quasi tutti si sono allineati subito quando il Presidente Napolitano impose il governo di Mario Monti alla fine del 2011.

L'altro Mario, il signor Draghi, invece di essere messo a capo del Governo italiano fu mandato alla vera cabina di regia europea, la BCE, e così la formula "greca" viene imposta anche in Italia, con il risultato prevedibile di provocare la recessione e renderci tutti più poveri per pagar il pizzo ai mercati che devono riacquisire la "fiducia" nel paese.

Ma l'aspetto più importante delle misure varate dal Governo Monti non sono i soldi trovati per accontentare i contabili; la vera posta in gioco sono le "riforme strutturali", la necessità di cambiare i settori per cui i soldi vengono spesi, e le regole generali dell'economia italiana. E qui sorge il vero paragone con il periodo '92-'93.

Allora iniziò la campagna per entrare nell'Euro. Con il Trattato di Maastricht fu imposta la riduzione del deficit, l'italia dovette allinearsi ai parametri europei. Il passaggio durò diversi anni e fu doloroso.

Tutto per il nostro bene, ci fu spiegato, ma vent'anni dopo stiamo ancora facendo i sacrifici per rispettare le regole europee.

Noi diremmo che la colpa è di quelle stesse politiche; che le riforme liberiste hanno incentivato la finanza speculativa - che poi ha fatto crac - e disincentivato l'economia produttiva, ridottasi costantemente.

Le conseguenze sono inevitabili: la capacità di sostenere lo stato sociale viene meno, e il debito (pubblico e privato) continua a crescere.

Loro invece, quelli che troviamo in televisione, nelle università, e ora anche nei ministeri, dicono che dobbiamo ricominciare da capo. L'Italia è troppo incrostata: ci sono gli interessi, le corporazioni, i privilegiati. I tassisti guadagnano troppo, le farmacie pure, gli artigiani non pagano le tasse, e i dipendenti sono attaccati al posto fisso. Serve più flessibilità, più capacità di adattamento.

Adattarsi a cosa? Alla globalizzazione. Se in Cina e in India si lavora di più per molti meno soldi, gli italiani dovranno accettare la nuova realtà. Le manifatture saranno sempre meno, uno stipendio dignitoso è un privilegio, la colpa è solo vostra se avete vissuto troppo bene.

Così bisogna liberalizzare tutto, privatizzare quello che è rimasto in mano pubblica (per partito preso, non perché migliora il servizio o abbassa le tariffe; in quasi tutti i casi si è dimostrato il contrario in questi anni).

Le pensioni vanno cambiate, le regole sul lavoro pure.

Tutte cose che in astratto sembrano avere un loro perché contabile o competitivo, ma che viste nel contesto della crisi economica nazionale e globale mirano solo a compiacere i mercati e a permettere l'ulteriore smantellamento dell'economia reale.

Oggi gli scandali vengono utilizzati di nuovo per colpire la classe politica italiana. La caduta del Governo Berlusconi fu annunciata con un'interminabile serie di scandali a luci rosse, il cui scopo era evidente a chi pensava in modo strategico.

La stessa arma fu usata contro il Ministro dell'Economia per sostenere la fazione liberista nella battaglia contro chi osava mettere in discussione il dominio del mercatismo.

Alla Regione Lombardia numerosi partiti sono stati colpiti in questi ultimi mesi, sia per casi di basso profilo che con annunci di grande effetto mediatico come quello recente in merito alla Lega Nord di Umberto Bossi.

Ma non si pensi ai soli magistrati "comunisti"; pure i partiti di centro e di sinistra sono colpiti da casi corruzione da qualche tempo, dall'ex Margherita all'Idv, dall'UDC al Pd.

Tutti innocenti? Non è questo il punto. Come nel '92, la domanda è che effetto ha una nuova stagione anti-corruzione proprio ora? Chi vorrebbe manipolare questa situazione per imporre dei cambiamenti fondamentali per il futuro del Paese?

Sembra delinearsi un bel contrasto con i correttissimi professori (e i banchieri) a Palazzo Chigi. I partiti sono corrotti, viva i tecnici! E così sarà ben più difficile opporsi ai massacri liberisti richiesti dalla City di Londra e da Wall Street, passando per Francoforte e Bruxelles.

Se si vuole davvero difendere l'Italia, se si vuole davvero difendere la tradizione europea, è ora di ripristinare la sovranità nazionale.

Serve una classe politica disposta ad opporsi alle operazioni di saccheggio, sta qui la vera corruzione: quanti pensano a salvare se stessi, con soldi o poltrone, piuttosto che agire in difesa del bene comune!?

Oggi non si possono più accettare le riforme strutturali che mirano ad aprire l'economia ai grandi capitali internazionali, alle bolle speculative in cerca di asset da fagocitare e poi rovinare prima di passare alla prossima vittima.

È un film già visto. Le istituzioni sono delegittimate perché i politici pensano a se stessi, ma nel frattempo i nuovi arrivati pensano a consegnare il Paese mani e piedi ai loro padrini dell'oligarchia transnazionale.

Abbiamo il coraggio di opporci, questa volta?



Il fallimento sistemico
di Marcello Frigeri - www.liberacritica.it - 16 Aprile 2012

Ci attende un decennio di trasformazioni nella società e nella politica italiana, e il cambiamento, che dagli anni 2000 ad oggi è già in graduale evoluzione, è dovuto ad un agente esterno, che in una certa misura è anche interno, e ad uno nazionale.

Il fallimento politico della Seconda Repubblica ha condizionato gli ultimi vent’anni dando vita ad un contesto sociale in cui si è radicata la protesta – fino a qualche mese fa di un ramo dell’elettorato di sinistra, oggi più ampio e anche di destra -, e il cui oggetto è stato, ed è tutt’ora, la mediocrità degli uomini politici, e l’incapacità dei partiti di aprire una nuova fase della storia italiana postuma a Tangentopoli.

La crisi economica della società capitalista, che è un fattore esterno alla nazione – ma interno al sistema economico cui siamo soggetti -, ha contribuito a velocizzare la fine, prossima, del modello politico della Seconda Repubblica, accentuando in questi ultimi anni i moti di protesta. A ben guardare la crisi della democrazia dei partiti ha radici più lontane.

Già negli anni ’70, infatti, la società dei consumi mutò il sistema democratico in un modello politico in cui le richieste dei cittadini, ormai diventati consumatori, superavano le possibilità di risposte dei governi.

Dopo la drammatica pagina di Tangentopoli, che svelò la corruzione ai vertici del sistema Italia, i partiti della Seconda Repubblica, sospinti dal vento dell’indignazione e dalla possibilità di cambiamento, ebbero l’opportunità di compiere un passo successivo nella storia italiana, aprendo una nuova fase di riforme tutt’oggi fondamentali, e dando alla Costituzione la condizione, e il contesto, per rinnovarsi dopo 40 anni dalla sua nascita.

Ma fino ad oggi la politica ha vissuto una lunga fase di stagnazione; destra e sinistra – unite nella mediocrità dei loro uomini – non hanno saputo anteporre ai loro interessi quelli di una Italia che necessita un cambiamento – Università, lavoro, giustizia, economia e politica stessa -.

Se il berlusconismo è stato artefice di una politica fondata sull’individualismo, e sulla logica del potere non già come fonte per la collettività, quanto per la scalata sociale al potere, la sinistra non ha saputo anteporre al berlusconismo un’idea di sistema politico efficace, tanto che instabilità e alternanza sono state le debolezze di questo ventennio.

E proprio perché la democrazia dei partiti è un tipo di regime fondato sul compromesso parlamentare – la Casta è tale proprio perché destra e sinistra, in un emiciclo politico, sono un sistema unico con idee differenti, e il Parlamento è un luogo dove non vi è più deliberazione -, in venti anni non si è riusciti nemmeno a concettualizzare una legge contro il conflitto di interessi, oggi più che mai da costituzionalizzare, e dunque combattuto per mezzo della Costituzione.

La crisi dei partiti italiani della Seconda Repubblica, che si sono divisi il potere democratico senza concludere nessuna battaglia fondamentale, è un effetto collaterale del movimento di protesta.

Mentre un tempo, infatti, votare per un partito significava “appartenenza” ad un determinato contesto sociale (e il partito ne era il simbolo nella stanza dei bottoni), oggi il deflusso dei voti è sinonimo di “non-appartenenza”.

Non sorprende, perciò, che il Movimento 5 Stelle, naturale movimento antipartitico, sia tanto temibile e gradualmente sempre più grande. Chi vota i 5 stelle si caratterizza per una non-appartenenza, non riconoscendosi, appunto, nell’attuale sistema politico. E proprio perché il movimento si concettualizza come estraneo al sistema vigente, non sorprende che la sua idea democratica non sia quella storica della rappresentanza, altresì quella della partecipazione.

Gli anni ’60 del boom economico avevano visto una sinistra comunista e socialista accrescere il proprio elettorato, pur con una Dc sempre al governo; gli anni ’70, vuoi per una crisi energetica che condizionò l’agenda politica, riportò l’Europa sotto la stella della destra; gli anni ’80, soprattutto in Italia, furono quelli del moderatismo e del socialismo; gli anni’90 quelli della Seconda Repubblica.

La seconda parte del primo decennio, e i prossimi dieci anni, sono stati e saranno quelli del cambiamento: destra e sinistra, oggi, sono appartenenze sempre più obsolete e politicamente indistinte, mentre dalla piazza il movimento di protesta, attraverso le elezioni, reagisce e si mobilita per entrare in Parlamento.

Soltanto una risoluzione veloce e decisa della crisi economica scongiurerebbe, o rallenterebbe, l’ascesa di un nuovo modello, chiudendo la fase di questa rivoluzione morale e di sistema, e tramutando il movimento di protesta in una rivoluzione mancata (proprio come avvenne nel ’68, anche se allora il movimento studentesco fu caratterizzato da un altro contesto, e da modalità e ideologie differenti).

Non inganni l’attuale fase dei tecnici: il governo Monti, pur non essendo politico, e non avendo nulla a che vedere con la società reazionaria, rappresenta soltanto la conclusione della parabola degli ultimi vent’anni, il culmine del fallimento repubblicano.

I partiti sono così deboli che, oltreché guardarsi dai reazionari indignati che i sondaggi danno in ascesa, dovranno fare i conti anche con l’eredità che lasceranno i tecnici: il prossimo Presidente del Consiglio, e l’eventuale maggioranza, non potrà non tenere conto di Monti politico e del montismo.

I partiti, in estrema sintesi, saranno sempre più minacciati e, sempre dai sondaggi, isolati, anche perché figure nuove e politicamente forti, all’orizzonte, non se ne vedono.

D’altra parte la società ha un urgente bisogno di cambiamento sociale, morale e politico, e siccome i partiti hanno fallito la strada delle riforme e della Costituzione, e pare che non siano più in grado di risollevarsi, sono due le strade che dovrà percorrere: o si arriva al cambiamento attraverso un processo democratico, e dunque riformulando le questioni in Parlamento, oppure attraverso un processo antidemocratico e storicamente degenerativo, che è quello delle rivolte in piazza.

Entrambe, pur con modalità diverse, sono altrettanto efficaci.



Alle radici della crisi, seguendo i derivati
di Gaetano Colonna - www.clarissa.it - 17 Aprile 2012

Il prolungarsi della crisi economico-finanziaria fa affiorare molte informazioni su cosa è realmente successo a nostra insaputa negli ultimi venti anni di globalizzazione finanziaria.

Siamo quindi molto vicini alla verità ed il fatto positivo è che ci stiamo avvicinando ad essa facendo a meno di quegli "esperti" economisti che, come di recente ha denunciato efficacemente Le Monde Diplomatique, sono molto spesso a libro paga proprio di quei centri della speculazione sui quali vengono loro richiesti pareri obiettivi (1).

Questa verità fattuale è essenziale per il futuro: infatti, chiunque pensasse di poter cambiare le cose senza conoscerle, si troverebbe immediatamente a servire gli stessi master of the universe, i padroni dell'universo, di cui abbiamo spesso parlato.

Come nel caso dei mutui subprime americani, abbiamo pensato di seguire la pista degli ormai famosi "derivati", vale a dire quei titoli finanziari il cui valore si basa e quindi "deriva" da un qualsiasi cosiddetto "sottostante", che può essere qualsiasi cosa abbia un valore: un bene materiale o una materia prima, un titolo finanziario, una valuta o persino un altro derivato.

Con quello che abbiamo trovato, possiamo porre alcune semplici ma fondamentali domande e cercare delle risposte.

Perché i politici non mettono fine alla speculazione dei "mercati" semplicemente vietando o regolamentando severamente i suoi principali strumenti?

L'agenzia di stampa specializzata americana Bloomberg lo scorso gennaio ha diffuso la notizia secondo cui la banca d'affari Morgan Stanley, uno dei "padroni dell'universo", ha deciso di ridurre la propria esposizione in derivati basati su titoli di Stato italiani da 4,9 a 1,5 miliardi di dollari: 3,4 miliardi di dollari di nostri titoli non sono stati quindi collocati, con l'assenso del Tesoro italiano, che ha lasciato scadere questo contratto, pagando intorno ai 2,5 miliardi di euro (2).

Si è poi appreso che lo swap, vale a dire un derivato fuori dal mercato regolamentato, risale al 1994 e lasciava alla banca d'affari americana la facoltà di rescinderlo unilateralmente, una clausola che ovviamente poneva lo Stato italiano in una posizione di debolezza. Altro però non ci è stato detto sulle modalità e finalità di questa operazione.

Giustamente Umberto Cherubini nel suo blog, si interroga sullo scopo di questa operazione: "Coprire il rischio di tasso? Coprire il rischio derivante dai cambi? Allungare le scadenze dei pagamenti di interesse? Vendere assicurazione a Morgan Stanley per fare cassa?" (3).

Non è dato saperlo, e così scopriamo che di queste operazioni sul nostro debito pubblico, vale a dire sul debito di tutti noi cittadini di questa Repubblica, i nostri organi di governo non hanno mai dato informazione ai più diretti interessati.

E non basta, perché solo dopo alcune interrogazioni parlamentari, successive alla notizia dell'agenzia americana, il Tesoro è stato costretto a comunicare che il debito pubblico italiano è per ben 160 miliardi di euro costituito da strumenti "derivati", quindi uguali o assimilabili a quello da cui Morgan Stanley ha voluto sfilarsi nelle scorse settimane.

Tutte le maggiori banche d'affari sono attive in questo tipo di operazioni sull'Italia: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e JP Morgan.

Lavorando sulle informazioni di stampa, troviamo anche che, oltre al livello centrale, ben 664 enti pubblici, tra cui 18 regioni, 42 province, 45 capoluoghi e 559 comuni avrebbero in pancia "derivati" per oltre 35 miliardi di euro, circa 1/3 del debito complessivo accumulato dagli enti locali ai dati 2009.

Le perdite conseguenti all'adozione di questi strumenti finanziari per i soli enti pubblici appena ricordati potrebbero arrivare a superare i 10 miliardi di euro, su di un totale complessivo che, ad ottobre 2011, era stimato per l'Italia in 52,2 miliardi, una cifra equivalente a oltre il 60% del costo delle pesantissime manovre cui gli Italiani sono stati sottoposti nel 2011 (4).

Per la banca d'affari le cose sono andate diversamente: "Morgan Stanley - riferisce sempre Bloomberg, ha guadagnato 600 milioni di dollari nel terzo trimestre [2011] in conseguenza dello scioglimento dei contratti con l'Italia.

Il guadagno è dovuto all'annullamento dei costi sostenuti in precedenza nel corso dell'anno a causa del rischio che il Paese non pagasse l'intero importo del debito, ha dichiarato il 19 gennaio in un'intervista Ruth Porat, direttore finanziario".

Si comprende a questo punto benissimo perché la cosiddetta politica non è in grado di mettere al bando questi strumenti finanziari dall'effetto devastante sull'economia reale: semplicemente perché le classi politiche europee attuali sono "garanti" delle migliaia di contratti di questo tipo che, almeno a partire dagli anni Novanta, sono stati stipulati con i "padroni dell'universo".

Le politiche di rigore nei confronti dei cittadini sono proprio ciò che, dopo avere evitato loro le perdite dovute alle speculazioni sui subprime, consente ancora lauti guadagni alle grandi banche d'affari.

Su cosa si basa il potere dei grandi centri finanziari che permette loro di condizionare le scelte politiche degli Stati?

Continuando ad organizzare le notizie di stampa sui "derivati", arriviamo a comprendere meglio il modus operandi dei "padroni dell'universo", rispetto alle origini più remote della crisi in Europa.

Ci aiuta il caso più eclatante, quello della Grecia: quando nel 2000-2002 quel Paese si preparava ad entrare nell'area euro, doveva anzitutto mettersi in riga con le regole di bilancio stabilite nel 1996 dall'Unione Europea. "Nel febbraio 2002, la Commissione Europea mise in rilievo che le previsioni relative al deficit della Grecia si basavano principalmente sul conseguimento di riduzioni del costo degli interessi", ricostruiva già nel 2003 Nick Dunbar su Risk Magazine (5).

Entra in scena a questo punto un altro dei giganti della finanza mondializzata, Goldman Sachs. Grazie alle strette relazioni con Goldman Sachs del responsabile del debito pubblico ellenico, Christopher Sardelis, ed alla dinamica numero uno dell'ufficio vendite di Goldman Sachs di Londra, Antigone Loudiadis, viene messo in piedi un importante contratto di collocazione di "derivati", del valore di 10 miliardi di dollari, che si dimostrava perfetto per gli scopi di entrambe le controparti: grazie ad uno swap opportunamente organizzato, la Grecia iscrive un nuovo debito in euro, escludendo quindi momentaneamente dal bilancio il vecchio debito in dollari e yen, dando inizio a quel mascheramento delle reali dimensione del proprio deficit di cui i più si sarebbero accorti solo nel 2010.

In tal modo, "Goldman Sachs intasca la sua sostanziosa commissione e alimenta una volta di più la sua reputazione di ottimo amministratore del debito sovrano", commenta Le Monde (6): la società americana cederà più tardi il contratto alla tedesca Deutsche Pfandbriefe Bank (Depfa).

Lo scopo dell'acquisizione degli swap dalle banche d'affari americane da parte del Tesoro italiano negli anni Novanta non era molto diverso da quello della Grecia: sulla base del meccanismo attivato in Grecia, capiamo che doveva servire a dimezzare artificiosamente il nostro disavanzo di spesa per poter rientrare nei parametri comunitari.

Si è quindi creata una fondamentale convergenza di interessi fra gli obiettivi speculativi delle banche d'affari mondializzate e le esigenze di politica economica delle classi dirigenti europee, mediate da una serie di figure tecniche: non a caso Le Monde ha riesumato l'episodio della Grecia lo scorso novembre 2011, per sferrare un attacco al vetriolo contro Monti Draghi e Papademos, uomini che hanno fatto carriera con Goldman Sachs e che, insieme a numerosi altri, rivestono ora posizioni chiave nella politica europea.

Sono in effetti proprio loro gli "onesti sensali" che il rovinoso dilagare della crisi ha richiesto assumessero dirette responsabilità di governo tecnico, vale a dire ruoli nei quali politica ed economia si unificano patologicamente, costituendo nelle democrazie occidentali un nuovo potere, non sottoposto ad alcun effettivo controllo democratico.

È davvero l'euro l'origine di tutti i mali in Europa?

Possiamo contribuire ora a fare chiarezza anche in tema di euro, sul quale le polemiche sono tanto accese quanto in genere male impostate.

Notiamo infatti, analizzando queste vicende, che l'origine del problema attuale non è certo l'euro, tanto meno l'idea di una unione monetaria. Il problema, oltreché nella concezione della moneta tipica del capitalismo finanziario (una moneta che deve creare debito), sta invece nelle regole definite per l'unificazione monetaria dalla burocrazia comunitaria, che culturalmente si abbevera alle stesse fonti degli esperti delle grandi società finanziarie internazionali.

Da lungo tempo, ad esempio, Gustavo Piga ha denunciato in modo tecnicamente assai accurato le modalità attraverso le quali la stessa Unione Europea ha lasciato aperto il varco alla speculazione finanziaria, dietro un apparente rigore: ad esempio con ESA95, il manuale di ben 243 pagine della Commissione Europea e di Eurostat sui deficit pubblici e sulla contabilizzazione dei debiti pubblici, che ha di fatto permesso, tollerando proprio l'utilizzo massiccio degli strumenti finanziari derivati, di aggirare le teoricamente ferree regole del Patto di Crescita e Stabilità del 1996 (7).

Ora ci rendiamo conto perché l'Ecofin, il gruppo dei ministri finanziari dell'Unione, non sia stato capace nemmeno qualche settimana fa, nonostante se ne parli da anni, di trovare un accordo sull'introduzione della cosiddetta Tobin Tax o, più correttamente, sulla Financial Transaction Tax (FTT), una tassa che, si noti, potrebbe fruttare dai 16 ai 43 miliardi euro annui, una cifra non disprezzabile di questi tempi.

Come funzionerebbe la FTT? "Essa si applica a tutte le transazioni finanziarie, cioè ad acquisti o vendite di obbligazioni o azioni ma anche di opzioni, futures o derivati, quando almeno una delle parti - banca, assicurazione, fondo, società-veicolo - abbia sede nella Ue o nel Paese che adotti la tassa. Non è insomma una tassa che vale solo per le operazioni di borsa; vale anche per i contratti bilaterali come i derivati".(8)

Come si vede, sono in ballo ancora i derivati, questo gigantesco mercato speculativo che a livello mondiale vale almeno 700.000 miliardi di dollari e che costituisce la massa di debito con cui i master of the universe sono in grado di condizionare, con operazioni come quelle che abbiamo visto, la sovranità e l'autonomia di Paesi delle dimensioni e delle capacità produttive dell'Italia.
Il problema non è dunque la moneta unica, ma sono gli uomini e l'ideologia che la guidano. Vogliamo una controprova?

Chi sono oggi gli uomini che più attivamente ed autorevolmente animano il fronte dei cosiddetti euroscettici? Sono ad esempio rappresentanti della City londinese, come quelli raccolti nel gruppo Open Europe, di cui merita analizzare attentamente il sito: è sufficiente dargli uno sguardo per trovare fra gli aderenti i massimi esponenti del mondo finanziario ed imprenditoriale inglese e basta ricordare il loro presidente, Rodney Leach, ora Lord Leach of Fairford, direttore di Jardine Matheson Holdings, ma soprattutto primo non-family partner del gruppo Rothschild (9).

A cosa servono le politiche di rigore che stanno soffocando l'economia reale?

Anche in questo caso, possiamo basarci su di un recentissimo esempio, quello dello Stato della California negli Usa, arrivato al fallimento nel 2009 a causa della crisi dei subprime.

Cosa è accaduto poi? Il deficit pubblico è sceso dai 25 miliardi di dollari all'inizio del 2011 ai 9 di oggi, secondo un recentissimo articolo del Sole 24 Ore, grazie al "pugno di ferro" del governatore Jerry Brown, vale a dire "mediante tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse che non hanno risparmiato la scuola".

Per annullare del tutto il deficit, il governatore si propone ora "un nuovo aumento temporaneo delle tasse sul reddito e sui consumi" ovvero, nel caso che un apposito referendum non dia esito favorevole, "tagli automatici alla spesa pubblica per 5 miliardi di dollari, che non risparmierebbero alcun settore" (10). Nel frattempo, la California torna ad emettere nuovi bond, ovviamente.

Così come negli Usa "le emissioni di titoli ad alto rischio, ma anche ad alto rendimento, sono tornate a livelli pre-crisi ed ora si stanno diffondendo anche al retail, senza troppe distinzioni" (11). Vale a dire, dopo avere spremuto i contribuenti, per rifinanziare le banche e gli Stati prossimi al collasso, le scommesse possono ricominciare, grazie alla creazione di nuovo debito personale su di un'altra generazione. Tra i protagonisti di questa nuova stagione, sono sempre le soite le banche d'affari, come Morgan Stanley e Goldman Sachs.

L'esistenza ed il lavoro degli individui e delle società umane diventano in questo modo, lo strumento che perpetua i guadagni ed il potere dei "padroni dell'universo". Questo è il progetto in corso anche per il nostro Paese.

Cosa è possibile fare?

Chiunque volesse intraprendere un'effettiva rimessa in ordine dell'economia reale, potrebbe partire da alcuni semplici punti:

  1. chiedere ai governi nazionali ed alla Commissione Europea di rendere pubbliche e controllabili tutte le transazioni finanziarie in essere che riguardino il debito pubblico

  2. chiedere ai governi nazionali di introdurre entro 2 mesi la FTT, indipendentemente dalla sua approvazione generalizzata in Europa, trattandosi di una misura urgente per il risanamento economico

  3. chiedere ai governi nazionali di regolamentare gli strumenti finanziari, ponendo fuori legge entro 12 mesi i prodotti finanziari derivati

  4. chiedere ai governi nazionali di operare a livello comunitario affinché il ruolo delle agenzie di rating sia trasferito entro 12 mesi ad un'agenzia internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite

Sappiamo bene infatti che fin dai prossimi giorni assisteremo ad un nuovo attacco a fondo della speculazione ai Paesi mediterranei, Spagna ed Italia in testa. Comincia ad essere necessario farsi trovare ben preparati, i "tecnici" probabilmente non basteranno più questa volta.

Riferimenti:

1) R. Lambert, "Les économistes à gages", Le Monde Diplomatique, n. 696, marzo 2012.
2) N. Dunbar, E. Martinuzzi, "Italy Said to Pay Morgan Stanley $3.4 Billion", www.bloomberg.com
3) U. Cherubini, "Lo strano caso dello swap Tesoro-Morgan Stanley", www.linkiesta.it
4) M. Frisone, L. Serafini, "Swap, in Italia conto da 52 miliardi", Il Sole 24 Ore, 1 maggio 2012.
5) N. Dunbar, "Revealed: Goldman Sachs' mega-deal for Greece", Risk Magazine, 1 luglio 2003.
6) M. Roche, "Goldman Sachs le trait-d'union entre Mario Monti Mario Draghi et Lucas Papademos", Le Monde, 14 novembre 2011.
7) G. Piga, Derivatives and Public Debt Management, ISMA, CFR, Zurigo, 2011.
8) T. Mastrobuoni, "Che cos'è la Tobin Tax?", Il Sole 24 Ore, 14 marzo 2012.
9) www.openeurope.org.uk
10 ) C. Poggi, "La California esce dalla crisi e torna ad emettere bond", Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2012.
11) M. Monti, "I big usa del credito tornano a cercare i clienti subprime", Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2012.

Fonte: http://www.clarissa.it/ultimora_nuovo_int.php?id=157



La storia di uno strano Paese che non vuole restituire il mal tolto
di Marco Ruffolo - La Repubblica - 17 Aprile 2012

Questa è la storia di uno strano paese. Un paese immaginario eppure tanto vicino al nostro. Da quelle parti quando i ladri ti svaligiano casa, non c'è nessuna legge che impone a chi recupera la refurtiva di riconsegnartela.

Non solo, ma nel frattempo le autorità, considerando quella rapina un furto non al proprietario ma all'intera collettività, si precipitano a chiedere soldi al medesimo proprietario e a tutti quelli che come lui sono stati svaligiati, per raddrizzare il bilancio del paese.

Di fronte a questa superbeffa, qualcuno in effetti ha protestato, e si è anche arrivati a un passo dall'introdurre una norma che dice più o meno così: "la refurtiva recuperata va restituita al legittimo proprietario".

Ma poi quella norma, inizialmente prevista, è stata cancellata dalle autorità, con buona pace del popolo dei rapinati. Fine della storia.

Accostare i rapinatori di questa breve e triste parabola ai nostri evasori, e i rapinati ai contribuenti onesti che pagano le tasse fino all'ultimo euro, non è affatto una esagerazione qualunquistica. Chi evade ruba a chi paga le tasse. Ma fin qui sono tutti più o meno d'accordo (con l'eccezione di qualche uscita sgangherata del nostro ex premier).

La coerenza logica si spezza invece quando si passa a discutere su come reagire a questa rapina. Restituire il maltolto significa esattamente prendere tutto quel che si recupera dagli evasori e usarlo per abbassare le tasse ai cittadini onesti, in modo che la pressione fiscale non salga.

Ovviamente, si tratta di un principio: nessuno può restituire nulla se non recupera qualcosa. Ma come si fa a dire che il fondo taglia-tasse inizialmente incluso nella delega del governo avrebbe finito per incoraggiare comportamenti imprudenti? Finché nel fondo non entra qualcosa, come si fa a usarlo?

Il Parlamento, su pressing autorevole dell'Europa e degli immancabili mercati, sta votando una norma che introduce nella Costituzione italiana l'obbligo del pareggio di bilancio. Si tratta, in linea teorica, di un principio di buona amministrazione: si spende solo ciò che entra nelle casse dello Stato, niente debiti.

Si potrebbe obiettare che se i tassi salgono (e di ciò non sono certo responsabili le famiglie italiane) la maggiore spesa per interessi farà sballare i conti, e in quel caso per pareggiare il bilancio saremo costretti a pagare più tasse per qualcosa che non dipende da noi.

Bene, un obbligo del genere, pur con i seri inconvenienti appena ricordati, sta per ricevere niente di meno che la "sacralità" costituzionale, mentre il principio che il rapinatore-evasore deve restituire il maltolto al rapinato-contribuente onesto non merita neppure la menzione in una generica legge delega.

Evidentemente in Italia fare deficit è considerato un reato più grave che rubare.



Il testa coda di Monti sull’Imu
di Paolo Berdini - Il Fatto Quotidiano - 17 Aprile 2012

Continua ancora il testa-coda del governo Monti sul problema della nuova tassa sugli immobili, l’Imu. Ricordiamone i passaggi principali.

Nel decreto “Salva Italia” era stato previsto il pagamento in due rate di una tassa pari a circa il doppio della vecchia Ici. Le aliquote per il calcolo erano infatti più alte e i valori immobiliari erano stati aumentati per legge.

I professori che governano sono dei validi economisti e avevano calcolato le aliquote sulla base delle previsioni delle entrate da ricavare. Dobbiamo raccogliere oltre 20 miliardi ed ecco ricavata la percentuale da applicare.

Da ciechi monetaristi non avevano però calcolato che quell’esborso sarebbe stato il colpo decisivo per milioni di famiglie cui –nel frattempo- avevano diminuito stipendi, pensioni e aumentato tutte le imposte.

Ecco allora la rocambolesca ritirata della scorsa settimana. Con la scusa che i comuni non avevano provveduto a definire le aliquote, si è coperta la preoccupazione che a giugno, di fronte alla necessità di far fronte ad un pagamento che variava da qualche centinaia fino a migliaia di euro per le abitazioni ubicate nelle grandi città, le famiglie italiane avrebbero potuto avere reazioni incontrollate.

Evidentemente qualcuno deve aver avvertito il Presidente del consiglio che stava scherzando con il fuoco.

Prima ritirata (la scorsa settimana). Si pagherà ancora in due rate, ma la prima calcolata con le tariffe della vecchia Ici, e dunque più bassa, a giugno. La seconda più devastante a dicembre: qualche mese di respiro e tempo prezioso per agguantare l’uscita di sicurezza visto che –di fronte al fallimento del governo- si parla sempre più spesso di elezioni anticipate in autunno. Seconda ritirata (ieri).

Meglio pagare in tre rate, perché come per le sostanze velenose, il pagamento diluito sarebbe stato meno impattante. Oggi è uscito dal cappello ancora un altro coniglio. La libertà prima di tutto, hanno tuonato i professori. Che siano i sudditi a decidere se svenarsi in due o tre rate.

Ma mentre era in atto il balletto, i professori hanno assestato un altro colpo micidiale. E’ stata varata la riforma del catasto che fino ad oggi valuta i valori immobiliari sull’astratto parametro del “vano” e che da domani li valuterà sulla più oggettiva base dei metri quadrati. Provvedimento in se equo, perché i vani della case popolari sono come noto molto più piccoli di quelli delle case signorili.

Ma un governo che ha a cuore il futuro della società avrebbe dovuto assicurare solennemente che la riforma non avrebbe comportato un aumento del gettito complessivo ma soltanto una sua redistribuzione.

E invece si lasciano le famiglie nella preoccupazione che quanto prima dovranno pagare ancora di più per il fondamentale bene casa.

L’accanimento monetarista sta mostrando la corda e non c’è chi non veda che il governo ha cacciato il paese in un vicolo cieco. Per la prima volta si pagherà l’Imu anche sulle proprietà agricole e molte aziende chiuderanno i battenti.

Gli artigiani e le imprese -che stanno già fallendo con ritmi impressionanti- dovranno pagare somme insostenibili. La parte della società che vive in affitto vedrà aumentare le mensilità a causa dell’Imu.

A questo gravissimo errore di prospettiva, la risposta dei professori è sempre la stessa. Se non troviamo i soldi fallisce l’Italia. Giustissimo. Ammetteranno che c’erano altri modi molto più equi e moralizzatori.

Ogni anno per la sanità spendiamo centinaia di miliari di euro: almeno cento vanno a beneficio delle cliniche private e nei comparti pubblici lavori e forniture sono appannaggio delle imprese legate al potere politico.

Le connessioni tra la mala politica e il controllo di queste imponenti poste di bilancio sono stati certificati dagli scandali della sanità nella Lombarda, nella Puglia, nella Liguria, nel Lazio e così via. Ci chiediamo perché non si è usato il pugno di ferro.

La tragedia sociale che stiamo vivendo è dunque quella che si potevano trovare i soldi laddove spariscono a fiumi e non dalle famiglie che spesso con molti sacrifici hanno acquistato la loro unica abitazione.

Ma la monocultura monetarista del professor Monti non è stata in grado di praticare queste scelte auspicate da tutti. Un paese intero ne paga le conseguenze.


Calcoli ed errori del «governo tecnico» Monti
di Vladimir Nesterov - www.strategic-culture.org - 14 Aprile 2012
Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

Negli ultimi tre anni l’Unione europea ha affrontato la crisi economica più grave della sua storia. Non si tratta tanto di preservare il modello di mercato «socialmente orientato» di cui è stata così fiera degli ultimi trent’anni.

La questione è che la malaccorta estensione dell’UE a spese degli Stati post-socialisti, ha frantumato le fondamenta economico-finanziarie dell’Unione, ad ha bloccato i veterani, che non avevano compreso di non essere immuni dai problemi economici…

La Grecia oggi è di fronte a un default. E’ ancora chiamato tecnico, ma non rende la vita più facile alla maggior parte della popolazione del paese. E ci sono paesi più grandi, che si profilano dietro la Grecia.

Nouriel Roubini, l’economista che aveva previsto la crisi attuale, dice: «Spagna e Italia potrebbero finire nel mirino». Su cosa basa le sue stime, soprattutto per quanto riguarda l’Italia, che non ha alcuna esitazione a mettere nella categoria della «periferia» dell’UE?

Il debito pubblico in Italia ha raggiunto il livello record di 1.935 milioni di euro nel gennaio 2012, come la banca centrale italiana ha annunciato il 15 marzo. E’ aumentato di 37,9 milioni di euro dal dicembre 2011.

Il 2011 ha portato il debito pubblico a oltre il 120,1% del Prodotto nazionale lordo (PNL). Secondo la Banca centrale, il debito cresce insieme con le spese di servizio.

Entro la fine dello scorso anno, i mercati europei hanno praticamente perso ogni fiducia nella capacità della leadership italiana nel risolvere il problema più acuto, adempiere agli obblighi sul debito sovrano, determinando le dimissioni di Silvio Berlusconi.

Lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi è sceso sotto l’importante soglia psicologica di 500 punti, per la prima volta nella storia. I rendimenti dei titoli italiani sono saliti al 6,9%, superiori di tre volte la redditività dei titoli tedeschi.

Nessuno osa prevedere cosa succederà domani. Soprattutto tenendo conto del fatto che le consegne di petrolio dall’Iran all’Italia sono terminate. Le sanzioni dell’Unione europea dovrebbero finire il 1° luglio, ma sapendo che Cina, India e Giappone non vi hanno aderito, l’Iran ha deciso di anticpare le mosse.

Di conseguenza, alcuni paesi, Italia compresa, affrontano momenti difficili. Il petrolio proveniente dall’Iran copriva il 30% delle importazioni italiane. Il risultato è stato l’alto prezzo della benzina, che a marzo è aumentata a € 1,96 al litro, in media, in tutto il paese.

Il prezzo del diesel è cresciuto a oltre € 1,8. Dallo scorso dicembre alla Pasqua, il prezzo della benzina ha superato il livello psicologicamente importante dei 2 euro al litro.

L’aumento dei prezzi dei carburanti avrà conseguenze drammatiche per i trasporti, l’88% di essi avviene sulle strade. Sarà difficile per gli agricoltori, perché i costi di produzione salgono insieme alle spese per il carburante per i trasporti; in media il 19% dall’inizio di quest’anno.

Inoltre, l’aumento del prezzo del carburante è il principale fattore a determinare l’inflazione nel paese. Il costo del paniere minimo del consumatore italiano è cresciuto del 4% a febbraio, rispetto all’indice medio annuo. Ha superato il record degli ultimi cinque anni, insieme al tasso di inflazione generale del 3,3%.

Non sarà una sorpresa se, nelle condizioni attuali i rendimenti obbligazionari italiani saliranno al 7% tra uno o due mesi. Sullo sfondo del debito pubblico in crescita, ciò significherà il collasso finanziario, perché i mercati dei prestiti semplicemente chiuderanno.

Chi avrebbe creduto nella capacità dell’Italia di pagare il servizio dei debiti di tale percentuale, e senza nemmeno parlare di pagarlo? Nel frattempo, secondo le stime degli esperti, l’Italia dovrà prendere in prestito oltre 200 miliardi di euro in più nel 2012. Avrà anche da riscattare 91 miliardi di euro di debiti preferenziali, entro la fine di aprile.

Le misure adottate dal «governo tecnico» di Mario Monti, salito al potere a dicembre al posto del governo di Silvio Berlusconi, non sembrano portare a risultati positivi. Al contrario hanno solo esacerbato la situazione. La recessione continua, l’economia si sta convertendo in una sorta di ristretta «pelle di zigrino».

Il 12 marzo, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) italiano ha riportato che il PIL nazionale si è ridotto, nel IV trimestre del 2011, dello 0,7% rispetto al III trimestre, e dello 0,4% in termini annuali.

La flessione della domanda interna dei consumatori contribuisce alla crisi. La spesa dei consumatori, nel IV trimestre, è scesa dello 0,7% in termini trimestrali, e del 1,2% in termini annuali.

Gli investimenti nell’economia, di conseguenza, sono diminuiti del 2,4% e 3,1%. Le previsioni del 2012 non sono di certo troppo rosee. La Commissione europea prevede che l’economia diminuirà dell’1,3%.

«Manovra finanziaria» contro società

Le misure adottate dal governo di Mario Monti, definite «manovra finanziaria», sono volte a risparmiare 33 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Hanno un evidente orientamento anti-sociale.

I critici della «manovra finanziaria» hanno notato subito che presupponeva un aumento del carico fiscale su tutti i cittadini, e delle misure minime per creare incentivi per la crescita economica.

Le misure includono anche la reintroduzione di una tassa sulla proprietà della prima casa, che era stata abolita nel 2008, che andrà a comporre lo 0,4% sulla prima casa e lo 0,75% sulle seconde case e le altre.

La misura prevede solo la riduzione di 50 euro di sconto per ogni figlio, fino all’età di 26 anni. Inoltre, uno 0,76% fiscale su beni immobili esteri, auto di lusso, yacht e aerei privati deve essere introdotto. Accise sulle sigarette e IVA saliranno di molto.

Una delle decisioni più dure è l’aumento dell’età pensionabile per uomini e donne. Secondo il governo, il piano prevede che l’età pensionabile maschile debba essere di 66 anni, quella femminile 62 anni, a partire dal 2012.

Dal 2018 l’età pensionabile sarà 66 anni anche per le donne. Non ci vorranno meno di 42 anni e un mese per un uomo e 40 anni e un mese per una donna, di lavoro, per avere diritto alla pensione. Coloro il cui importo complessivo annuo delle pensioni supera i 200.000 euro, dovranno pagare il 15% della cosiddetta «tassa di solidarietà».

Oltre a ciò, il governo di Mario Monti ha attaccato l’articolo 18, che è considerato il principale vantaggio sociale dei cittadini degli ultimi quaranta anni. L’articolo limita i diritti dei datori di lavoro nel licenziare i dipendenti che hanno un contratto a tempo indeterminato, garantendo la sicurezza del posto di lavoro.

Monti ed i suoi ministri lo trovano un peso sul mercato del lavoro, che impedisce la rotazione e l’occupazione dei giovani. E’ bello assumere giovani. Ma cosa faranno i lavoratori di 40-60 anni che hanno bisogno di sfamare le loro famiglie? Questo è ciò di cui Mario Monti e i suoi ministri «competenti» non si preoccupano.

La voglia di protesta è in aumento

La «manovra finanziaria» ha dovuto affrontare una dura, anche se scoordinata, resistenza dalla maggior parte della società. Alla fine di gennaio i camionisti di tutta Italia sono scesi in sciopero.

Hanno bloccato alcune strade centrali, paralizzando l’intero paese. Le fabbriche FIAT si sono fermate, Napoli affronta il problema dello smaltimento dei rifiuti ancora una volta, gli alimentari sugli scaffali dei negozi della Sicilia si sono svuotati. L’isola era anche rimasta benzina e la mafia locale ne aveva approfittato.

Poi i tassisti hanno fatto un grande sciopero facendo soffrire i turisti. Poco dopo, anche il personale degli aeroporti romani di Fiumicino e Ciampino, i lavoratori ferroviari e regionali dell’Alitalia-CAI e i dipendenti della compagnia aerea Meridiana, hanno fatto uno sciopero nazionale. Sono stati seguiti dai farmacisti, avvocati, notai e dai lavoratori delle stazioni di servizio.

Un’altra manifestazione NO TAV, il 29 febbraio, è diventata una vera e propria tragedia. L’evento era volto a protestate contro la prevista costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione.

In Piemonte, i manifestanti hanno bloccato le strade e incendiato automobili. E’ finita tra gli scontri con i poliziotti, che hanno dovuto ricorrere al lancio di gas e ai getti d’acqua. Come riportano i media italiani, cinque uomini erano rimasti feriti.

La disoccupazione, divisione tra colpa e colpevole

La situazione sta peggiorando. La disoccupazione è in aumento. Nulla dice che calerà con la recessione. A gennaio la disoccupazione è salita al 9,2%. E’ il tasso più alto degli ultimi 11 anni, secondo i dati ISTAT.

Nel dicembre 2011 la disoccupazione era all’8,9%, nel gennaio dello scorso anno all’8,1%. Il numero dei disoccupati è salito a 2,29 milioni.

La cosa più pericolosa per il paese è il rapido incremento della disoccupazione tra i giovani, fino al 31,1%. Quasi uno giovane italiano su tre è senza lavoro. Ciò vuol dire che è impossibile lasciare i genitori e avere una famiglia propria.

Il numero di queste persone di età inferiore a 35, è 1,1 milioni. Diventa un problema di sicurezza nazionale. È certo difficile pretendere che la pace sociale prevalga in Italia nel prossimo futuro.

E’ interessante notare che la piccola e parte della media borghesia si sono unite alle proteste. Per aumentare le entrate fiscali, il governo esige che ogni imprenditore, anche il più piccolo, debba emettere assegni. A cosa porterà ciò?

Il giornale Legno Storto risponde. Dice: «I media principali, gli infiniti programmi televisivi… servono a distogliere il malcontento pubblico dai veri colpevoli, i politici, i burocrati, i manager, e ad iniziare una guerra tra poveri. Gli alimentari e i panificatori sono i nemici. E ci sono persone che ci credono. Creano siti web e pagine Facebook per denunciare chi non emette assegni (scontrini? NdT). Non hanno alcuna idea del perché i commercianti lo facciano? Pensano che i commercianti debbano pagarsi la loro quarta auto, mentre agiscono per evitare di pagare la tassa al 70% di un altro prestito bancario (che nessuno vuole dargli). E’ una questione di sopravvivenza ad ogni costo, perché non hanno altro che le loro imprese. Parlando di yacht, non è così difficile trovare i loro proprietari. Il lusso è una cosa ovvia. Nessun servizio anticrimine è necessario per vedere ciò di cui non è chiara la provenienza..

Eppure, non importa l’intensità e la scala delle proteste di massa in Italia, esse non rappresentano una minaccia grave per Monti.

Sembra che il destino dell’Italia non sarà deciso a Roma. Dipende principalmente dalla situazione nella zona euro e nell’UE in generale.

Se Berlino continuerà a cercare di salvare l’euro, l’Italia ha il poco invidiabile destino di una periferia europea gravata da nuove tasse, dai prossimi Monti e da proteste separate.