lunedì 16 aprile 2012

Update italiota

Un altro aggiornamento sulle ultime penose vicende italiote..


Fiscal Compact. Lo “scandalo Lega”, arma di distrazione di massa per nascondere la mostruosa modifica dell’art. 81 cost.?

di Jester Feed - www.rischiocalcolato.it - 11 Aprile 2012

Fra qualche giorno in Senato dovrà essere votata la modifica dell’art. 81 Cost. che introdurrà il cosiddetto pareggio di bilancio, e cioè l’obbligo per lo Stato di pareggiare costi e ricavi.

Una norma importante, ma che nasconde un terribile effetto: la consegna definitiva del nostro paese nelle mani delle oligarchie bancarie e finanziarie, perché con il pareggio di bilancio lo Stato non sarà più in grado di controllare e indirizzare l’economia nazionale attraverso le politiche anticicliche1.

La conseguenza è evidente: la nostra politica economica sarà gestita dal cosiddetto Fondo Internazionale Salvastati, dalla BCE e dalle oligarchie dei poteri finanziari mondiali che controllano i flussi di credito agli Stati tramite l’acquisto di titoli del debito pubblico (debito sovrano).

Ma andiamo indietro e torniamo al Governo Berlusconi. All’epoca c’erano parecchie resistenze per l’approvazione della norma che l’UE ci chiedeva proprio in ragione della crisi finanziaria. Già da questo dato è possibile una prima lettura del mostruoso provvedimento che sta per essere approvato. Berlusconi e il suo governo tentennavano, ma i poteri finanziari non intendevano aspettare.

Ecco dunque la mossa regina: esautorare Berlusconi e sostituirlo con Monti, il quale il 2 marzo 2012 firma con gli altri paesi europei il cosiddetto Fiscal Compact, un trattato UE attraverso il quale si impongono regole più rigide nel rapporto tra deficit e PIL. In altre parole, il deficit non dovrà superare in alcun modo il 3% del PIL.

Ma il Fiscal Compact comporterà anche un impegno per gli Stati membri ad abbattere l’attuale debito pubblico per ridurlo fino a raggiungere il 3% del PIL.

E siccome lo Stato italiano ha un deficit stratosferico, questo impegno comporterà per il nostro paese manovre pesantissime per i prossimi anni e una previsione di crescita che è pari a zero, poiché lo Stato a questo punto non avrà più sovranità di politica economica, non potendo sforare i limiti imposti dal Fiscal Compact, pena l’applicazione di forti sanzioni.

Le opinioni degli economisti e degli osservatori politici sul punto peraltro si sprecano, e c’è chi ritiene che il Fiscal Compact determina la nostra fine come nazione e come Stato sovrano.

Il che pare essere vero al di là dell’evidente pregio di una politica che tenga sotto controllo gli eccessi della spesa pubblica. Del resto, è sufficiente vedere come è stata gestita la questione. In sordina.

La Camera ha già approvato la modifica dell’art. 81 Cost. con una maggioranza bulgara che scongiura già in prima battuta il referendum costituzionale.

Se la norma verrà approvata nella stessa maggioranza al Senato, i cittadini non verranno consultati in merito alla consegna della sovranità politico-economica a soggetti estranei ai meccanismi democratici. In altre parole, i cittadini si ritroveranno a essere governati dalle oligarchie finanziarie e i nostri politici saranno il paravento democratico attraverso il quale queste oligarchie decideranno i nostri destini.

Nessun organo di informazione ne ha parlato. Mentre tutti si spendono nel parlare di Renzo Bossi e dello scandalo leghista, che guarda caso capita proprio a fagiolo in un contesto politico dove si sta per approvare una modifica costituzionale più che importante e che ridisegnerà gli assetti e i rapporti all’interno dell’Unione Europea a favore netto di banche e finanza e del potere politico della Germania.

Non a caso, sia Gran Bretagna, sia Repubblica Ceca non hanno aderito al trattato, mentre il nostro paese, prostituto dell’UE, è il primo che si è calato le braghe e ha accettato questi vincoli di bilancio suicidi che non permetteranno politiche di finanza congiunturale.

Del resto potevamo farci ben poco con la classe politica mediocre che ci ritroviamo. Siamo stati avvisati con un metodo finanziario-mafioso. Proprio ieri, alla riapertura dei mercati finanziari, lo spread (il rapporto tra BTP e Bund tedeschi) è risalito a quota 400 e la borsa di Milano ha perso 5 punti percentuali.

Un vero crollo in vista della votazione della modifica costituzionale. Come a dire: votate a maggioranza dei 2/3 e approvate il Fiscal Compact, o questo è quello che vi aspetta, puttane italiane… Il default.

Fonti: Il Sole 24ore, Informarexresistere, Express-News, Agenparl, P.U.

  1. Durante le fasi recessive, le politiche anticicliche permettono maggiori investimenti pubblici per permettere una ripresa della economia.


Leggere per credere
da www.main-stream.it - 15 Aprile 2012

È impressionante la velocità con cui ci stiamo abituando ad accettare quel che fino a qualche tempo fa sarebbe apparso improponibile.

Questo pezzo di Curzio Maltese, pubblicato sul Venerdì di Repubblica del 13 aprile, è sorprendente nella sua schiettezza: una classe dirigente europea è pronta a "prendere il potere" (!) in tutte le nazioni di Europa, l'Italia e la Grecia non sono che anticipazioni, noi saremo governati per lungo tempo da tecnici- E TUTTO QUESTO È POSITIVO PER IL PAESE. Leggere per credere.

Presto l'idea che il governo sia diretta espressione di elezioni politiche sembrerà un relitto ideologico novecentesco, come la Costituzione o i sindacati.

Questo è quanto ci prospetta un giornale che ha strepitato per anni contro l'autoritarismo di Berlusconi. Un giornale che si chiama, amara ironia, "La Repubblica". (C.M.)


Esodati, questi fantasmi
di Rosa Ana De Santis - Altrenotizie - 13 Aprile 2012

La stima ufficiale degli esodati è l’ennesima prova di forza della Ministra Fornero. Sarebbero 65.000 secondo il governo, mentre Cgil, Cisl e Uil e i partiti d’opposizione chiedono l’apertura di un tavolo per fare chiarezza sui numeri. “Cifre finte” denuncia la segreteria della Cgil, Susanna Camusso.

Gli esodati sarebbero coloro che hanno accettato, prima del 31 dicembre 2011, di lasciare l’azienda anticipando i tempi, ma con la garanzia di avere la pensione entro due anni. La riforma della previdenza li ha lasciati a piedi e oggi il governo non ha le risorse per coprire questa categoria di cittadini: vittime dello spread, recita la farsa dei professori, o più onestamente delle riforme rapide salva- banche e salva- finanza.

Queste persone si ritrovano oggi senza assegno di pensione e con enormi difficoltà a ricollocarsi, causa anche l’età anagrafica. Il governo, che avrebbe la responsabilità di farsi carico di questo effetto collaterale, decide invece di cambiare le carte in tavola e di dare i numeri. Tutti diversi dalla fonte INPS, per avere un’idea.

Non più di una settimana fa, infatti, è stato proprio Mauro Nori, presidente INPS, a parlare di 130 mila esodati. Anche se, secondo i sindacati, da questo totale sarebbero comunque tanti a rimanere tagliati fuori. Insomma, un numero approssimato per difetto nella sostanza delle ricadute sociali.

La denuncia dei sindacati è chiara: il governo non potrà coprire le proprie inadempienze per la copertura previdenziale di tutti gli esodati, cambiando le carte in tavola e declamando numeri falsi.

Delle due l’una. O il governo dei professori non sa fare i conti o mente. Oppure è l’INPS che non sa farli. Il governo non ha fatto altro che un gioco di prestigio tagliando fuori dalla stima tutti coloro che hanno fatto accordi individuali o hanno fatto accordi prima del 2011 e hanno lasciato il lavoro dopo.

La mossa del governo rappresenta soprattutto una minaccia alla trasparenza e alla credibilità della politica e delle istituzioni, proprio in un momento in cui la vita reale delle persone viene toccata e stravolta a colpi di manovre bocconiane che, va ricordato, finora non hanno mosso un dito sul fronte della crescita, ma hanno prodotto candide operazioni di salvataggio per le banche e la ricchezza virtuale delle borse.

Sulle cifre irresponsabili almeno i sindacati sono tutti insieme e con loro la piazza della protesta che questa mattina ha bloccato Roma. Mentre il sindaco della Capitale invocava una “protesta statica” la piazza denunciava lo sfregio di una comunicazione politica artefatta e mistificatrice.

Non c’è contraddizione, a volerla dire tutta, tra l’INPS e la professoressa Fornero, ma solo un diverso modo di leggere i numeri. Per la Fornero non sono esodati i potenziali lavoratori coinvolti nei prossimi quattro anni in procedure di mobilità, in esodi individuali incentivati e in altre categorie previste, ma solo quelli già cessati ed estromessi dai processi produttivi.

In piena coerenza con il ritratto di un governo che, aldilà degli annunci in pompa magna, ha la faccia rivolta all’indietro e non risolve nemmeno uno dei problemi del paese.

Incapace di pensare all’economia si occupa solo di finanza e, non in grado di proporre uno scatto che non sia una nuova tassa sui ceti medi, anche per il mercato del lavoro balbetta cifre inventate, condite con l’isteria dei ministri narcisi, docenti di supponenza e basta par di capire.

Nemmeno la grandine produce i danni di questa bislacca compagine, che non guarda a come dovremo crescere, né a coloro che rimarranno per strada. Non sono esodati e non sono ancora poveri. Oggi sono solo fantasmi. Non sono mica spread.


Lo scopo inconfessato della riforma del mercato del lavoro
di Alberto Bagnai - http://goofynomics.blogspot.it - 12 Aprile 2012Inserisci link
La letteratura economica fornisce una semplice spiegazione di quanto sta accadendo oggi in Italia. L’economia ci dice che lo scopo (inconfessato) della riforma del mercato del lavoro deve essere quello di causare un incremento della disoccupazione.

Un (ulteriore) incremento del tasso di disoccupazione si rende necessario per un motivo molto semplice: la curva di Phillips.

La curva di Phillips stabilisce che la crescita dei salari è in relazione inversa rispetto al tasso di disoccupazione, una relazione individuata da A.W. Phillips nel 1958.

Questa relazione non è mai stata posta seriamente in discussione nella letteratura empirica, come ci ricorda Jeffrey Fuhrer. Non sorprende quindi che gli economisti ne facciano tuttora uso per prevedere l’inflazione (Fendel, Lis e Rulke), ed è assolutamente evidente che il governo italiano sta facendo altrettanto.

In tutta evidenza, i fautori della riforma si aspettano che un innalzamento del tasso di disoccupazione moderi la crescita dei salari e quindi il tasso di inflazione.

Ciò contribuirebbe a ristabilire la competitività di prezzo dei prodotti italiani e quindi a riequilibrare gli sbilanci esterni che sono alla radice della crisi dell’eurozona, come spiega ad esempio Martin Wolf.

Tra l’altro, questo è uno dei motivi per i quali i mercati finanziari, che credono in questo meccanismo (come ci ricordano Fendel et al. in un altro lavoro), potrebbero accogliere con favore un innalzamento della disoccupazione in Italia.

L’unico piccolo problema con questo approccio è di natura politica, non economica. Il ragionamento del governo è impeccabile da un punto di vista economico.

Il suo unico (trascurabile?) difetto è che nessun membro del governo sta dicendo la verità, ovvero che lo scopo immediato e inconfessabile di una riforma altrimenti insensata è quello di far aumentare la disoccupazione.


(indubbiamente pensare in inglese aiuta a essere lapidari)


La sconfitta infinita
di Gianni Barbacetto - Il Fatto Quotidiano - 15 Aprile 2012

Si fatica a trovare le parole per ripetere ancora, per l’ennesima volta, che siamo sconfitti. Costretti ad arrenderci di fronte all’impossibilità di arrivare a una verità giudiziaria sulle stragi italiane.

La sentenza d’appello sulla bomba di Piazza della Loggia a Brescia era l’ultima occasione, dopo le assoluzioni per Piazza Fontana, per l’attentato alla Questura di Milano del 1973 e per tutte le altre stragi (tranne Bologna): occasione persa.

Di nuovo è arrivata ieri un’assoluzione, seppur con la formula dubitativa delle prove insufficienti o contraddittorie. Sono passati 43 anni dalla madre di tutte le stragi, quella del 12 dicembre 1969 a Milano.

E 23 anni dalla caduta del Muro di cui quelle stragi sono figlie. Il mondo è cambiato, eppure non è ancora possibile sapere la verità. Gli imputati se ne vanno assolti. Condannati a restare orfani della propria memoria sono tutti gli altri, cittadini di uno Stato che non sa fare chiarezza su una stagione chiusa: quella della guerra segreta e senza esclusione di colpi combattuta negli anni Sessanta e Settanta in Italia, terra di confine di un mondo diviso in due blocchi.

Impossibile stabilire con certezza le responsabilità penali individuali, dicono le sentenze. Eppure noi sappiamo. E non è più soltanto l’intuizione al singolare di un intellettuale come Pasolini (“Io so”). È il risultato – storico, se non processuale – di quarant’anni di ricerche, inchieste, indagini e testimonianze, che hanno sedimentato almeno due certezze.

La prima è che le stragi della cosiddetta strategia della tensione sono state materialmente eseguite da gruppi neofascisti. La seconda è che gli apparati dello Stato hanno depistato le indagini e sottratto prove e testimoni, in nome della guerra senza quartiere al comunismo, combattuta con eserciti segreti e segretissimi accordi internazionali. Lo dicono le stesse sentenze (Piazza Fontana, Questura di Milano) che hanno mandato assolti i loro imputati.

Noi sappiamo, dunque. Conosciamo i gruppi allevati per le operazioni sporche, i meccanismi, le strategie, le intossicazioni. Un magistrato che ha a lungo indagato sull’eversione, Libero Mancuso, va ripetendo: “Ci avete sconfitti, ma sappiamo chi siete”.


L’energia di Monti sotto il segno della Bce
di Mario Agostinelli - Il Fatto Quotidiano - 16 Aprile 2012

L’intervento di Corrado Passera a fine marzo rappresenta uno dei primi segnali della volontà del Governo di affrontare il tema dell’energia nella sua complessità. Il ministro ha insistito su tre linee di messaggio: attribuire grande importanza all’efficienza energetica; ridimensionare il contributo alle fonti rinnovabili, considerandole complementari e non certo sostitutive dei fossili; raddoppiare la produzione nazionale di idrocarburi e fare dell’Italia l’hub del gas in Europa, lasciando sostanzialmente inalterata la dipendenza del sistema dei trasporti dal petrolio.

Passera conta non poco ed è assieme a Monti l’uomo più vicino alla filosofia della “troika” (Bce, Fmi, Commissione Ue). Sicuramente condivide la funzione che il mondo finanziario ha ancora ultimamente assegnato al nostro Paese nella divisione internazionale della produzione (e del lavoro).

Ruolo rigidamente previsto, per cui l’Italia diventerebbe, con il sostegno del fondo per la sicurezza energetica messo a disposizione dalla Ue, il punto di transito e di stoccaggio di gas e petrolio per l’Europa.

Oltre a diventare il luogo di concentrazione della logistica per le merci di passaggio dai nuovi centri di produzione (il progetto della Tav Torino-Lione è del tutto coerente con questa logica).

Per il freddo calcolo dei banchieri al Governo una politica energetica “low carbon” è da sognatori e il ripensamento imposto dal referendum un incidente da metabolizzare quanto prima. In effetti, c’è intima coerenza tra l’azione e la speculazione del mondo finanziario e il sostegno al modello energetico attuale. Ed è fuor di dubbio che il sistema delle grandi banche tragga profitto dal rallentamento e dalla non diffusione delle fonti rinnovabili.

Basta ragionare sulla struttura di un mercato collaudatissimo. Per il brent, e in parte il gas, si è costituito un mercato nel quale si fa finta di comperare e vendere barili di petrolio in base a scambi che dovrebbero fissare il prezzo di tutti i tipi di petrolio prodotti nel mondo.

Ma non si tratta di scambi in materia: si comperano e vendono semplicemente dei contratti di carta, che nominalmente fanno riferimento a un volume “teorico” di petrolio (1000 barili per ogni contratto), ai quali non è associata la proprietà effettiva di alcuna merce.

Ogni giorno, come documenta G.B. Zorzoli, si effettuano transazioni per un ammontare di circa 500 miliardi di dollari, in un mercato non trasparente, in mano alle maggiori istituzioni finanziarie mondiali che, spostando masse monetarie gigantesche, riescono a influenzarne l’evoluzione.

I grandi manovratori dei mercati finanziari hanno quindi a disposizione un’enorme massa monetaria che attrae o respinge investitori, generando profitti incommensurabili.

La liquidità per queste operazioni è resa disponibile dai grandi istituti di credito, che non finanziano più le attività delle imprese, perché investono di preferenza al di fuori dell’economia reale le enormi somme che la Bce ha messo loro a disposizione a interessi irrisori.

Somme formalmente elargite per comprare titoli di stato ma, di fatto, dirottate in ben altra direzione. Perché mai impiegare denaro, dato praticamente gratis in prestito, per comperare bond che fruttano il 4-8%, quando lo stesso denaro può rendere il 30-100% se va a finanziare il settore delle fonti fossili? Cosa c’è di più insidioso del progetto di sostituzione delle rinnovabili al sistema attuale?

L’attuale Governo non è certo nato per rinunciare a un gioco con una posta così alta, ma per farne parte. E non ipotizza neanche di lanciare una politica industriale di riconversione ecologica che, ponendo al centro rinnovabili e mobilità sostenibile, richiederebbe linee di credito trasparenti e basate sul consenso sociale.

Perché cambiare, quando la “manna” del petrolio e del gas può giungere alle bocche dei soliti investitori con il corredo ulteriore di nuove centrali, condotte, navi, rigassificatori, stoccaggi sotterranei, perforazioni senza tregua?

Il futuro per l’Italia è il riciclo del passato, come nei fatti sostengono Scaroni e Gros-Pietro (manager energetici intramontabili sotto qualsiasi governo politico o tecnico si sia succeduto), quando fin da ora optano per il gas non convenzionale (shale gas), che peggiora il bilancio di CO2, ma nelle loro speranze allontana nel tempo la parity grid a cui tende il temutissimo fotovoltaico.

Dove è finita la lungimiranza di cui tutti invochiamo il ritorno, quando riflettiamo sulla crisi climatica e occupazionale? C’è la crisi – ci viene ripetuto – e la crisi la devono pagare sempre gli stessi. Ne deve uscire intatta solo l’imprevidenza che l’ha generata.


Perchè il Movimento 5 Stelle non è anti-politica
di Peter Gomez - Il Fatto Quotidiano - 16 Aprile 2012

Sbaglia chi definisce populista il Movimento 5 stelle fondato da Beppe Grillo. Certo, alcune sparate del comico genovese ricordano quelle di Umberto Bossi. I suoi toni e e le sue parole possono, legittimamente, non piacere.

Ma molti temi da lui proposti sono importanti, meritevoli di essere discussi o semplicemente condivisibili. E sopratutto dietro a Grillo esiste un popolo di militanti tra i quali non è poi così raro scorgere il meglio del Paese.

Chi ha partecipato agli incontri organizzati dai meetup sa che questi gruppi sono composti da cittadini informati solitamente ad alto tasso di scolarizzazione, impegnati nel sociale o in iniziative legate alle condizioni del territorio: inquinamento, energia, modelli di sviluppo, spesa pubblica nei comuni e nelle regioni.

Ovviamente, se davvero alle prossime amministrative il Movimento raccoglierà quel successo vaticinato dagli ultimi sondaggi, questo sarà dovuto anche al voto di protesta. Ma la cosa non basta per bollare i 5 Stelle come espressione dell’anti-politica, come fanno gli spaventati Pierluigi Bersani e Niki Vendola o, su quasi tutti i giornali, i grandi commentatori del secolo scorso.

Gli osservatori attenti e in buona fede, infatti, non possono negare che l’attività degli attivisti e dei rappresentanti dei cittadini fin qui eletti nei comuni e nelle regioni, dimostra proprio il contrario.

Le scelta di rinunciare i finanziamenti pubblici, di mettere un tetto al numero di candidature consecutive, la presenza di programmi precisi, sono un fatto politico. Così come sono state politica, con la P maiuscola, le raccolte di firme per le leggi d’iniziativa popolare che il parlamento ha scandalosamente ignorato.

Solo negli anni a venire sapremo se il Movimento 5 stelle sarà parte (e quale parte) di quel grande cambiamento di cui ha bisogno il Paese. Che Grillo dica di non aspirare a nessuna carica pubblica è un buona cosa. Meno buono è invece il suo atteggiamento nei confronti di chi la pensa diversamente da lui o esercita il diritto di cronaca e di critica.

Ma al di là dei giudizi sulle singole iniziative e prese di posizione, resta un fatto. Il Movimento 5 stelle è vivo e vuole crescere. E questo oggi, in un mondo popolato da partiti e leader ormai (politicamente) morti, è già tanto.

Se poi sia abbastanza non dipenderà da Grillo. Ma dalla qualità, le capacità e la volontà, dei cittadini che corrono con lui.


Lo Stato totalitario fiscale
di Maurizio Blondet - www.rischiocalcolato.it - 14 Aprile 2012

Un lettore scrive a Blondet:

«Questa la racconta un amico commercialista: Un mio cliente possiede una Maserati. Negli ultimi mesi, è stato fermato dalla Guardia di Finanza cinque volte; tutte, il suo stato di contribuente è stato esaminato da cima a fondo, e tutte le volte trovato‘congruo’ al possesso della Maserati. Alla fine, per non essere più fermato e perdere tempo (e denaro), il mio cliente ha chiesto ai finanzieri un lasciapassare. E l’ha ottenuto, firmato e bollato. Adesso, appena lo fermano,esibisce il suo ‘certificato di congruità’, e così può proseguire senza intoppi.Ma dov’è finita la libertà?Dov’è finito il diritto alla proprietà privata?»


Renzo D. (Genova)

Sì, caro amico. Il governo dei tecnici – che in teoria sono tutti sostenitori del liberismo (molti di loro lo insegnano, alla Bocconi) – sta creando uno Stato poliziesco di stampo leninista. Basato sul sospetto sistematico sui cittadini, il controllo totale e minuzioso su ciò che spendiamo, sulla punizione fiscale della proprietà immobiliare a scopi distruttivi della stessa proprietà.

Molto presto infatti, Equitalia s’impadronirà di migliaia di case ed edifici sequestrati a proprietari che non sono in grado di pagare l’IMU. Sarà un passo decisivo verso la statalizzazione della proprietà un tempo privata, come ai tempi di Lenin.

E in un tale sistema, non può mancare la denuncia del «nemico interno», del «sabotatore economico», sotto specie di Evasore Fiscale. Un mostro senza volto che nasconde da qualche parte (ci dicono) «200 miliardi», e che se solo Equitalia ci mettesse sopra le mani, tutti i nostri problemi sarebbero risolti. Perchè, come dice lo slogan ideologico della campagna di Stato contro l’Evasore, «quando tutti pagano, i servizi diventano davvero più efficienti».

Tipica menzogna di regime: da decenni paghiamo sempre di più, e i servizi diventano sempre meno. Menzogna che tutti riconoscono come menzogna ma – come avveniva ai tempi di Stalin – tutti devono fingere di credere vera.

Basta citare le direttive che il governo ha dato all’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi per capire che viviamo sotto un regime totalitario: « Pagare le tasse dovrebbe essere sinonimo di orgoglio, appartenenza alla patria, libertà. Volontà di fare sistema, di sentirsi parte della medesima società. Di meritocrazia».

Puro Orwell: la schiavitù fiscale viene definita «libertà», e non manca l’appello al patriottismo, ultima risorsa dei tiranni criminali, oltrechè dei mascalzoni imboscati.

Il ministro Piero Giarda, professore e tecnico, ha già detto che non si taglierà la spesa pubblica, ed ha sfidato: chi invoca i tagli pubblici «dica quali servizi pubblici vorrebbe smontare e trasferire al mercato».

A parte che è strano questo disprezzo del «mercato» per un governante che è stato messo lì per placare e servire i «mercati finanziari», questa è la solita menzogna del potere statalista. Sindaci, governanti di Regioni, presidenti di provincie, appena si accenna a tagliare le loro spese, strillano: «Dovremo dare meno servizi pubblici», meno autobus, meno scuole, meno sanità.

È proprio della Casta totalitaria, appena si parla di «tagli pubblici», pensare a tagliare i servizi pubblici anzichè i « loro emolumenti» e colossali introiti.

Anche la casta sovietica che aveva i suoi negozi riservati, le sue case e dacie di lusso gratis (per lo più espropriate ai vecchi nobili) non ha mai pensato che doveva ridurre le proprie spese mentre la gente moriva di fame per la caotica gestione economica del «comunismo» (ma veniva data la colpa ai «sabotatori della produzione» e ai kulaki «che nascondono il grano allo Stato»).

Al professor Giarda sarebbe fin troppo facile, oggi, indicare «quali servizi pubblici smantellare»: i fondi ai partiti sono lì da vedere, grazie agli scandali.

La Lega, nonostante tutte le spesucce del Trota e di mammà (11 appartamenti, un milione per la scuola Bosina-padana), ha in banca 30 milioni – soldi di noi contribuenti.

La Margherita ne ha oltre 23, prima dei prelievi di Lusi. Alleanza Nazionale, partito non più esistente, ne ha in banca 55 milioni. Gran parte a disposizione privata di «Caghetta» Fini.

Se li hanno in banca, è perchè non sanno cosa farsene. I «rimborsi» ai partiti sono costati dal ‘94 ad oggi, 2,2 miliardi di euro. Una cifra che potrebbe risolvere molti problemi.

Le autoblù costano 4 miliardi l’anno: se ne potrebbero privare la metà dei nostri governanti, senza prima tagliare gli autobus. E quanto ci costa il partito di Mastella, da tanto tempo defunto? Scommetto che riceve i rimborsi elettorali anche lui (1).

Tagliare quel «servizio pubblico», professore: non ne abbiamo bisogno (2). È un servizio pubblico che non ci serve a nulla, tanto più che il 90% delle norme varate dal costosissimo parlamento sono in realtà ratifiche di normative europee.

Si può sostituire Camera e Senato con centraliniste che ricevano gli ordini da Bruxelles, come si può sostituire Bankitalia con un centralino collegato a Francoforte.

Pare così evidente! Invece, sotto i nostri occhi, i tre partiti maggiori (un tempo divisi in «maggioranza e opposizione», oggi unitissimi), stanno cercando di varare in fretta una «riforma» a loro esclusivo beneficio: che comporta più «trasparenza» nelle spese dei partiti – sappiamo cosa vale la trasparenza – ma nessun taglio. Nemmeno un euro in meno.

Stanno per arrivare infatti 100 milioni di pseudo-rimborsi, di grasso che cola – estratto da una società che viene impoverita, tartassata, impedita persino di guadagnare – e non li vogliono perdere. Piuttosto, «meno servizi pubblici», meno autobus, meno ospedali.

Sicchè dopotutto è inutile prendersela col governo «tecnico». Sì, il governo Monti è il risultato di un putsch bianco, ma è appoggiato dai partiti maggiori, oggi non più «maggioranza-opposizione» ma unitissimi, proprio perchè assicura che i loro indebiti introiti non saranno toccati.

È vero che nell’instaurare l’idrovora fiscale più vorace della storia, Monti sta mutando la nostra società in uno Stato poliziesco sovietizzante, dove chi possiede una Maserati è sospetto, i conti correnti sono aperti allo sguardo dei Befera, auto, case e macchinari sono sequestrati per ritardi nel pagamento delle imposte, si invita alla delazione del vicino, e si strangola l’economia reale, il tutto fra grandi colpi di grancassa propagandistica contro il «Nemico Interno».

Tutto vero. Ma è vero che la democrazia non esisteva più anche prima. Da quando i partiti si sono scremati dalla spesa pubblica quegli enormi tesori in segreto, il gioco della democrazia non finge più nemmeno di funzionare: sempre le stesse persone da trent’anni, le elezioni non hanno più senso. Sempre gli stessi nominati da eleggere in liste bloccate.

Anche sotto Stalin avvenivano elezioni: a liste bloccate, si era liberi di scegliere i nomi messi in lista dal Partito.

NOTE:

1) Sarebbe utile calcolare anche i costi indiretti; i figli di Mastella sembrano tutti ben impiegati in aziende pubbliche e parapubbliche. L’ultima che ho appreso: esiste un figlio di Mastella, 38 anni, sposato a una coordinatrice provinciale ligure del Pdl, che è stato fatto – in gran segreto – dirigente di Ansaldo Energia. Non c’è solo Trota.
2) Nel 1970, 22 lavoratori dipendenti nel settore privato dovevano mantenere un lavoratore pubblico. Oggi, sono solo 13 a doverlo mantenere. Anche questo a proposito dei «servizi pubblici da smantellare».


Che fine ha fatto l'oro di Bankitalia?
di Mauro Bottarelli - www.rischiocalcolato.it - 10 Aprile 2012

Passata bene la Pasqua, cari amici? Bene, ora vi faccio arrabbiare un po’ allora. Venerdì, infatti, Bankitalia ha diramato il suo bollettino mensile e le notizie in esso contenute fanno veramente tremare le vene ai polsi.

Nuovo colpo di freno delle banche ai prestiti a famiglie e imprese, mentre tornano ad aumentare i depositi da parte dei correntisti e vola la raccolta bancaria sul mercato: a febbraio i prestiti hanno segnato un +1,3%, tasso minimo da almeno un anno e la raccolta un +0,5%, in positivo dopo quattro mesi di rosso (vuoi dire che l’obbligo di aprire un conto per poter ricevere la pensione ha inciso un pochino in favore degli istituti?).

A febbraio è rallentato l’aumento dei prestiti ai privati: il tasso di crescita sui dodici mesi, corretto per tener conto delle cartolarizzazioni cancellate dai bilanci bancari, è diminuito all’1,3% dall’1,7% di gennaio.

Nel rendere nota la notizia, Bankitalia spiega che il rallentamento è dovuto principalmente alla diminuzione del tasso di crescita dei prestiti alle società non finanziarie (0,9%o dall’1,4% di gennaio), mentre il tasso di crescita dei prestiti alle famiglie flette in misura leggermente inferiore (2,7% dal 3,1%): e ti pareva! In compenso, salgono a febbraio i tassi di interesse sui mutui per l’acquisto di case erogati alle famiglie.

Lo rileva sempre Bankitalia, fonte non tacciabile di parzialità: «I tassi d’interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui mutui per l’acquisto di abitazioni erogati nel mese di febbraio alle famiglie sono aumentati lievemente al 4,61% dal 4,55% del mese precedente, mentre quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono aumentati al 10,10% dal 9,91% di gennaio.

I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono pari all’1,19% (1,16% a gennaio)». E ancora: «A febbraio, i tassi d’interesse sui nuovi prestiti erogati alle società non finanziarie sono diminuiti al 3,80% dal 4,06% di gennaio.

La diminuzione è guidata dai tassi sui prestiti di importo superiore a 1 milione di euro (che scendono al 3,09% dal 3,47% del mese precedente) mentre i tassi sui prestiti di importo inferiore a tale soglia scendono in misura minore (4,96% dal 5,01% di gennaio)».

Ma c’è di più. Sempre per Bankitalia, le sofferenze bancarie sono in calo: «A febbraio, il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze – senza correzione per le cartolarizzazioni, ma tenendo conto delle discontinuità statistiche – è diminuito al 16,6% rispetto al 17,9% del mese precedente».

In compenso, in caso di un “rosso” di due giorni sul conto per la fantascientifica somma di 151 euro, potreste vedervi costretti a pagare 40 euro. Già, succede anche questo nella giungla delle commissioni sullo scoperto, abrogate per legge nel 2009 ma che gli istituti di credito continuano ad applicare sotto altra denominazione.

La denuncia è stata fatta dall’associazione Altroconsumo, in un’audizione in commissione Industria del Senato: l’audizione è avvenuta nell’ambito dell’esame del decreto del governo che reintroduce le commissioni bancarie, abrogate dallo stesso Senato grazie a un emendamento inserito nel decreto liberalizzazioni.

Poi, entriamo nel girone infernale. Sempre da Palazzo Koch ci fanno sapere che i finanziamenti alle banche italiane da parte della Bce sono saliti a marzo a oltre 270 miliardi di euro dai 194,8 miliardi di febbraio, un aumento mese su mese del 39% e del 776% annualizzando il dato come conferma la riga nera del grafico qui sotto.

Bottarelli 100412  Che fine ha fatto l’Oro di Bankitalia?

Ma che diavolo hanno combinato negli anni del boom le nostre banche per essere ridotte in questo modo? Di più, allargando la visuale al contesto Ue: le banche dell’eurozona hanno incassato una plusvalenza del 13% sui titoli di Stato italiani nel periodo tra l’annuncio del primo maxi-prestito della Bce l’8 dicembre scorso e la fine del primo trimestre dell’anno, secondo quanto scriveva ieri Bloomberg. Nello stesso periodo i titoli di Stato della Spagna hanno generato un ritorno del 6%.

Credit Agricole calcola che grazie al sostegno dell’Eurotower, compresi i prestiti a breve alle banche, gli istituti di credito europei hanno acquistato più di 250 miliardi di titoli di Stato italiani e spagnoli tra il terzo trimestre del 2011 e il primo trimestre di quest’anno. Un enorme schema Ponzi globale a nostre spese e sponsorizzato dal grande bancomat di Francoforte!

Ora, avrà altro da dire il buon Giuseppe Mussari, capo dell’Abi, alla luce di questo schifo? Oppure quel Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, secondo cui «le banche non hanno il dovere di erogare credito e nessuno ha il diritto di avere credito»? Nemmeno voi dalla Bce a tassi ridicoli, caro il mio Pagliaro?

Vien voglia di tornare indietro di una ventina d’anni, prima della riforma Amato, ma al di là del livello da Repubblica delle banane del nostro settore bancario, è un altro il dato contenuto nel report di Bankitalia che trascende il mero valore contabile e investe in pieno l’ambito politico: scendono infatti le riserve ufficiali di Bankitalia, con un calo di oltre 5,5 miliardi fra i 140,722 miliardi di fine febbraio e i 135,179 miliardi di fine marzo.

A scendere, in particolare, sono state le riserve in oro, diminuite in valore di 5,669 miliardi a 98,123 miliardi al 31 marzo 2012. Si vendono l’oro e senza dire niente ai cittadini! Dov’è finito quell’oro: venduto ai russi o ai cinesi, avidi compratori di riserve auree in questo momento?

Oppure è andato in pegno alla Bce come collaterale di qualcosa, su richiesta della Bundesbank sempre più terrorizzata dalle perdite potenziale del programma Target 2? Una cosa è certa, l’operazione non nasce dall’emergenza.

Lo scorso novembre, infatti, fecero scalpore per qualche ora le dichiarazioni del presidente della Commissione parlamentare per l’Europa del Parlamento tedesco, Gunther Krichbaum, in un’intervista al quotidiano “Rheinischen Post”: per ridurre il debito pubblico, l’Italia deve mettere in vendita una parte delle riserve auree.

La singolare proposta giunse dopo il netto no della Germania alla richiesta di vari Stati europei di un utilizzare le riserve auree della Banca centrale tedesca a ulteriore garanzia del cosiddetto Fondo salva Stati (Efsf) nel caso in cui la situazione economico-finanziaria peggiorasse.

Pochi giorni dopo, si unì a questo coro anche Michael Fuchs, vicecapogruppo della Cdu, il partito di Angela Merkel, che al Bundestag tuonò: «Gli italiani devono mettere a posto i conti, quindi o portano a termine le privatizzazioni oppure vendono le loro riserve di oro».

Un’opinione sottoscritta anche da Frank Schaeffler, dell’Fdp, che considerava «necessario» che gli Stati indebitati «vendano parte del loro oro o lo depositino a garanzia presso la Banca centrale europea».

E l’Italia può in effetti contare su quasi 2.500 tonnellate di oro, la quarta riserva al mondo dopo Usa, Germania e il Fondo monetario internazionale, per un valore stimato intorno ai 102 miliardi di euro. In questo senso, la vendita del 20% del totale detenuto coprirebbe l’esborso richiesto dagli accordi internazionali.

Peccato che questo sarebbe un segnale di decadenza che avrebbe pesanti conseguenze sull’economia, sugli equilibri dei mercati e sulle valutazioni delle agenzie di rating: insomma, il governo dei tecnici bocconiani pare che abbia fatto come le famiglie indebite che portano catenine e fedi nuziali ai “Compro oro” per pagare le bollette scadute! E senza dire nulla a nessuno, ma soltanto seguendo pedissequamente le richieste tedesche.

Il fatto è che quell’oro non è proprietà dello Stato italiano ma del popolo italiano, tanto che lo stesso Giulio Tremonti, quando nel 2009 voleva tassare le plusvalenze generate dalle riserve di Bankitalia, fu bloccato dal governatore della Bce, Jean-Claude Trichet, che disse in Parlamento «Siamo sicuri che l’oro sia della Banca d’Italia e non del popolo italiano?» e dallo stesso Mario Draghi, all’epoca a capo di Palazzo Koch, secondo cui «le riserve auree appartengono agli italiani e non a via Nazionale».

E queste pratiche non sono una novità nel nostro Paese. Nella primavera del 1976 a Palazzo Chigi c’era Aldo Moro e il Tesoro era nelle mani di Emilio Colombo. La crisi valutaria imperversava e fu inevitabile ricorrere all’aiuto del governo tedesco di Helmut Schmidt che concesse un prestito di due miliardi di dollari, chiedendo però in garanzia 540 tonnellate d’oro, che traslocarono contabilmente dai libri della Banca d’Italia di Paolo Baffi a quelli dell’Ufficio italiano cambi.

Fino al 1997, quando il passaggio inverso determinò una gigantesca plusvalenza sulla quale Palazzo Koch pagò 3.400 miliardi di lire di imposte: una manna per il governo di Romano Prodi, impegnato nel tentativo di riportare il disavanzo pubblico sotto il 3% del Pil per poter agganciare l’ euro, visto che l’incasso imprevisto avrebbe contribuito ad abbattere di un altro 0,18% il rapporto fra deficit e Pil.

Peccato che Bruxelles, dove già avevano detto no alla rivalutazione delle riserve auree tedesche e alla vendita dell’oro della Banca centrale del Belgio, non diede il proprio consenso. Come siamo entrati nell’euro, poi, è cosa nota a tutti.

Com’è, come non è, a febbraio di quest’anno il quotidiano britannico “The Independent” rilanciava la conferma di una forte pressione tedesca fin dall’inizio del 2012 affinché Roma mettesse mano alle sue riserve per incidere sullo stock di debito: insomma, dove non arrivò il governo Prodi – che propose inoltre la vendita di piccole quantità delle nostre riserve per incentivare lo sviluppo dell’economia nazionale – potrebbero essere arrivati i professori, i tecnici.

Tanto che il 19 gennaio scorso i deputati Fabio Rampelli e Marco Marsilio presentarono un’interrogazione parlamentare (con richiesta di risposta scritta) indirizzata al ministro dell’Economia e delle Finanze – leggi Mario Monti – per chiedere lumi al riguardo. A tutt’oggi, che io sappia, si attende risposta.

Signore e signori, questi si vendono l’oro (può essere un’alternativa, ma è sempre l’ultima e comunque andrebbe quantomeno annunciata e discussa in Parlamento) mentre le banche incassano e gioiscono (e non pagano nemmeno l’Imu per le sedi delle Fondazioni, il vero cancro politico-economico del sistema): attenzione, la strada che abbiamo intrapreso è decisamente greca. E con la Spagna destinata a ristrutturare in parte il debito entro l’autunno, rischiamo davvero grosso.



Il crollo in 3 fasi. Ecco cosa potrebbe accadere all'Italia nel prossimo periodo
di Diego Valiante* - http://sollevazione.blogspot.it - 12 aprile 2012

Nel giro di due giorni lo spread tra Btp italiani e il Bund tedesco è schizzato oltre i 400 punti. Vendite e tutto spiano di titoli dei "paesi periferici" e delle azioni delle banche. Sono state polverizzate d'un botto due illusioni: quella che la cura Monti avesse segnato un'inversione di rotta e che i mille miliardi di liquidità iniettati dalla Bce avessero salvato il sistema bancario.

Come avevamo previsto la "primavera nera" è arrivata. Qui di seguito quello che potrebbe (realisticamente) accadere se non si inverte la rotta, se si lasciano alla guida del paese i seguaci della setta degli eurocrati. Come?

1. Programmare il default cancellando il debito pubblico in mano alla finanza globale;
2. Uscire dall'euro zona e riconquistare la sovranità monetaria;
3. Svalutazione della nuova moneta;
4. Porre la banca d'Italia sotto controllo pubblico;
5. Nazionalizzare il sistema bancario.

«Mentre l'Italia si sta impegnando ad approvare dure misure strutturali per consolidare la propria finanza pubblica, tutte le soluzioni finora si sono rivelate inefficaci ad ottenere un controllo dei mercati finanziari.

La decisione del Consiglio Europeo del 9 dicembre non fa eccezione, anche se pone le basi per un nuovo ordine istituzionale tra gli stati membri della zona euro.

Questo accordo sarà sufficiente ad affrontare la crisi di liquidità? Cosa succederà da ora in poi? A prima vista, sembra una soluzione piuttosto debole per affrontare la turbolenza del mercato a breve termine e un picco del debito pubblico dell'Eurozona di oltre € 8000 miliardi.

Tra i paesi esposti alla crisi di liquidità, l'Italia è sotto forte pressione, con un debito in scadenza nel 2012 per oltre € 300 miliardi (oltre alle emissioni di nuovo debito). La maggior parte della raccolta dovrebbe avvenire a marzo (oltre € 115 miliardi). Cosa potrebbe accadere se questo accordo non si dovesse realizzare?

Se qualche giudice o un referendum dovesse bloccare o ritardare questo processo, o se la BCE non fosse in grado di intervenire? Quali sono i costi potenziali di non rispondere rapidamente alle prossime crisi di liquidità?

E, soprattutto, cosa succederà al secondo più grande debito Europeo (in termini assoluti) e ai paesi più a rischio, se l'Eurozona, nel suo complesso, non ferma il contagio?

Lo scenario pessimistico può essere suddiviso in tre fasi, che è probabile che possano verificarsi in un contesto a crescita nulla o negativa e nessun intervento della BCE. La prima fase in parte sta già avvenendo ora.

Fase 1: Crisi di liquidità e di insolvenza

I governi non sono in grado di portare avanti misure di stabilità capaci di rilanciare la crescita, diminuire la spesa pubblica e contenere il debito pubblico. Le misure fiscali potrebbero non essere sufficienti.

I tassi di interesse sul debito pubblico aumentano a livelli insostenibili. Una volta superata questa soglia, i tassi diventerebbero più volatili e salirebbero a un ritmo molto più veloce di prima, in quanto il mercato diventerebbe gradualmente illiquido (meno investitori disposti a comprare).

La BCE non interviene con un piano trasparente a lungo termine per ridurre e controllare i tassi di interesse (quantitative easing). Altre istituzioni non hanno abbastanza potenza di fuoco.

La mancanza di liquidità e la perdita graduale di accesso al mercato peggiora la capacità di rimborso del debito del paese. In poche settimane o mesi (a seconda delle condizioni di solvibilità del paese), la crisi si trasformerebbe da crisi di liquidità a crisi di insolvenza.

In effetti, in una crisi più ampia, le privatizzazioni e le vendite dei beni pubblici sarebbero meno redditizie rispetto a delle condizioni di mercato stabili. Per esempio, non ci potrebbe essere la liquidità sufficiente per vendere il patrimonio immobiliare pubblico Italiano a prezzi convenienti per ridurre una parte del debito pubblico.

La crisi di liquidità colpirà settori chiave della spesa pubblica (stipendi, pensioni, ecc.). Lo Stato può diventare temporaneamente insolvente nei confronti della popolazione e delle imprese.

La BCE e il FMI potrebbero ancora non voler intervenire, in quanto i paesi membri potrebbero non avere raggiunto un accordo politico su come questo intervento dovrebbe essere fatto.

L'Italia e/o altri Stati membri dichiarano 'default' su una parte del loro debito. Default parziale o totale non importa. Quando accade, la perdita di fiducia - e quindi dell'accesso al mercato - è irreparabile, e spesso per anni.

Fase 2: Pressioni Deflazionistiche

Senza la possibilità per il paese di controllare il debito e ripagare quello vicino alla scadenza, e con il 60% del debito detenuto da investitori nazionali, enormi perdite peserebbero su risparmiatori e banche, non solo in Italia.

La paura si diffonde rapidamente nel sistema finanziario ed economico, e i capitali si spostano definitivamente verso i paesi dell'euro 'più sicuri'. Già oggi le banche Italiane stanno sperimentando fughe di capitali e sono fortemente dipendenti dalle finestre di prestito della BCE a breve termine (fino a 3 mesi).

La quantità di M3 nel sistema finanziario Italiano è a un livello storico basso (Manasse, 2011). La BCE già oggi fa fatica a far funzionare correttamente il mercato interbancario.

Gli altri Stati membri dell'area euro congelerebbero le attività estere delle banche Italiane per affrontare le perdite imposte alle banche straniere da un default Italiano.

A causa dell'alto rischio di insolvenza per individui e imprese, una forte stretta creditizia si abbatterebbe sull'intera economia Italiana e, indirettamente, sul suo sistema bancario, spingendolo in una spirale discendente. Ci sono segnali che una enorme stretta creditizia è già cominciata.

Effetti a catena su piccoli investitori e imprese, che iniziano la coda agli sportelli delle banche per prelevare denaro dai loro depositi, per timore che le banche siano sottocapitalizzate e possano essere sull'orlo del default.

Il governo Italiano è costretto a bloccare o limitare i prelievi dai conti correnti, per salvare il sistema finanziario ed economico dal crollo totale.

Non ci sono risorse a nessun livello da investire nella crescita e forti pressioni deflazionistiche spingerebbe il paese in un prolungato periodo di crescita negativa.

Entrate fiscali inferiori al previsto e il cattivo stato del sistema finanziario renderebbero la situazione dell'Italia ancora più insostenibile.

Se anche allora BCE e FMI non intervengono in modo sostanziale per fornire liquidità, questa volta direttamente al paese, la procedura di uscita dell'Italia dalla zona euro diventerebbe inevitabile, con enormi costi diretti e indiretti per l'intera area dell'euro (Eichengreen, 2007).

La nuova denominazione dei contratti in valuta nazionale comporterebbe ulteriori perdite per risparmio e investimenti. Molte transazioni rimarrebbero bloccate (anche presso i tribunali) per mesi o anni.

Il sistema bancario italiano crollerebbe definitivamente. La zona euro crollerebbe o sarebbe ricostruita intorno a pochi paesi 'più sicuri', come Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Fase 3: Pressioni Inflazionistiche e Instabilità Politico/Economica

Oltre ai tagli agli stipendi e alle pensioni, a causa della impossibilità di accesso ai mercati finanziari, la svalutazione della moneta nazionale nel periodo successivo all'uscita dall'euro aumenterebbe l'inflazione per individui e imprese, che dovrebbero sostenere ulteriori perdite se non avessero potuto trasferire i loro beni all'estero.

A causa del rischio elevato d'insolvenza, i tassi di interesse per prestiti e mutui salirebbero alle stelle e l'ulteriore crisi del credito porterebbe l'economia e il sistema finanziario in un lungo periodo di crisi.

L'economia potrebbe riprendere a crescere presto, grazie alla forte svalutazione (vedi Argentina), ma questo accadrebbe in un paese che ha attraversato una prolungata difficoltà economica e finanziaria, rimasto senza risorse per promuovere investimenti a lungo termine e per soddisfare la spesa pubblica storica.

In assenza di stabilità economica e finanziaria, gli investimenti diretti stranieri scenderebbero ancora di più, almeno nel breve termine.

Gli indici di povertà della popolazione aumenterebbero.
Questi meccanismi collegati coi bassi consumi interni potrebbero generare una pericolosa spirale che getterebbe l'intero paese in un prolungato periodo di crisi economica, politica e sociale.

In questa situazione difficile da governare, i partiti radicali ed estremisti potrebbero guadagnare un sempre maggiore consenso. I flussi migratori verso altri paesi Europei crescerebbero a livelli insostenibili, causando forti problemi diplomatici tra i paesi dell'UE. Se l'euro si scioglie, molto probabilmente l'intera Unione Europea crollerebbe. Accordi come Schengen sarebbero sospesi, almeno nel breve termine.

L'intensità e la velocità di un tale scenario di 'morte e distruzione' potrebbe cambiare a seconda dei fondamentali del paese. Tuttavia, la probabilità di evitare questa escalation è certamente più alta se le istituzioni Europee, e in particolare la BCE, dovessero intervenire per evitare il default e quindi per lanciare un accordo federalista di politiche fiscali di riequilibrio delle forti disparità tra i paesi dell'Eurozona».

*Diego Valiante è laureato alla Luiss e membro del European Capital Markets Institute (ECMI) e del Centre for European Policy Studies (CEPS)


"Cazzi vostri"
di Ascanio Celestini* - www.libreidee.org - 10 Aprile 2012

Cittadini – lasciate che vi chiami così anche se tutti sappiamo che siete servi, schiavi, sudditi – però voglio chiamarvi cittadini per non umiliarvi inutilmente.

Dunque: cittadini, noi siamo la classe padronale al governo e c’abbiamo ‘na grave responsabilità: dobbiamo dirvi che c’è una grossissima crisi – irreversibile: non possiamo darvi speranze. Be’, intanto noi vi mandavamo in miniera, vi riempivamo i polmoni di biossido di silicico; voi crepavate, però vostra moglie otteneva la reversibilità della pensione: però, oggi, questo non ve lo potete più permettere.

Cittadini, un tempo vi mandavamo in fabbrica; noi vi facevamo lavorare quattro, cinque, sei, sette, otto, anche nove ore; sapevamo che dopo quattro ore avevate prodotto tanto quanto bastava per far vivere dignitosamente tanto voi quanto noi; ma noi vi sfruttavamo in fabbrica e utilizzavamo il vostro plus-lavoro per ottenere un plus-valore che ci intascavamo alla faccia vostra.

Però vi davamo la tredicesima, è vero o no? Vi ci compravate il televisore, con il quale poi noi vi indottrinavamo e vi imbrogliavamo anche a distanza. Però la televisione è una bella cosa, e anche la tredicesima.

Ecco, oggi voi ve la potete anche sognare, la tredicesima. Cittadini, un tempo noi vi mandavamo in guerra per il nostro tornaconto, e voi ci andavate e morivate, però noi vi facevamo il funerale di Stato.

Ma quant’è bello il funerale di Stato! Io, quando vado ai funerali ai Stato, vedo tutte quelle bandiere, l’inno – me pare de sta’ alla partita: passa il feretro, il morto, e io sto lì a fare “alé-ohò”.

Ebbene: oggi, se andate a crepare in guerra per noi, manco il funerale otterrete. Cittadini, un tempo noi vi soffocavamo, ma di tanto in tanto vi facevamo riprendere aria. Adesso vi strozzeremo e basta, punto.

Eppure, cari cittadini, noi che stiamo al governo abbiamo la responsabilità e il dovere di ascoltarvi. Noi ascoltiamo gli operai: dicono che le loro aziende chiudono, delocalizzano in Cina e loro perdono il lavoro, oppure restano in Italia però si cinesizzano e loro perdono i diritti.

E noi a questi operai dobbiamo dire una cosa semplice, chiara, onesta, e gliela diremo. Diremo: operai, cazzi vostri. Davvero, operai: cazzi vostri.

Sinceramente, onestamente. Però io voglio parlare anche con i precari, quelli che vent’anni fa c’avevano ventotto, trent’anni, ed erano sicuri che nel giro di qualche mese c’avrebbero avuto un lavoro vero, e invece no, so’ rimasti invischiati in quella palude che è la precarietà; mo’ adesso quelli c’hanno cinquant’anni, so’ ancora lavoratori precari, e c’hanno i figli che crescono e al massimo troveranno un lavoretto a nero.

Noi dobbiamo dire qualcosa di certo, anche a questi lavoratori precari, e glielo diremo. Diremo: precari? Cazzi vostri, pure a voi. Davvero, sinceramente: cazzi vostri.

Però voglio parlare anche con gli immigrati, che sono la colonna portante di questo paese; lavorano il triplo, guadagnano niente e sono schiavizzati. Eppure, tra cinquant’anni – ci dice l’Istat – un cittadino su quattro proverrà proprio da una storia di immigrazione.

Dunque, voglio parlare a voi, emigranti, e dire la stessa cosa che dico a tutti gli altri cittadini, perché voi non siete di serie B. Dirò: emigrati, migranti? Cazzi vostri pure a voi, anzi: soprattutto per voi, veramente. Cazzi vostri.

Qualcuno potrebbe dirmi: perché non facciamo come la Germania, la Gran Bretagna, che si so’ messe d’accordo con la Svizzera per tassare il denaro tedesco e inglese che sta nelle banche elvetiche? Certo, e infatti di denaro italiano in quelle banche ce ne sta tantissimo. Sapete perché non lo tassiamo?

Perché quel denaro è nostro: de noi, padroni. Ma che, scherziamo? Poi tra de noi ce stanno anche un sacco de banchieri: che je raccontiamo?

Oppure qualcuno ci potrebbe dire: perché insistere ancora sulle grandi opere? Un treno super-veloce che devasterà una valle, in Piemonte, quando la popolazione è contraria – anche perché un treno lì già ce passa ed è sotto-utilizzato?

Perché Perché tra di noi, oltre ai banchieri, ce so’ pure i palazzinari, i padroni del cemento, e lì c’è da guadagnare assai, cari cittadini. La manovra è “cazzi vostri”, mica “cazzi nostri” – che, scherziamo?

Oppure, qualcuno ci chiederà semplicemente: F-35? Questo super-cacciabombardiere che ci costerà 13, 14, forse 15 miliardi: perché? E tutte l’altre spese belliche, che se vanno ad aggiungere a questa, in un paese nel quale, n’aa Costituzione, c’è scritto che l’Italia ripudia la guerra? Sapete perché spenderemo questi soldi?

Perché tra de noi ce stanno pure i generali, mica solamente i palazzinari, capito? Uno l’avemo fatto pure ministro, eddài…

Noi siamo i poteri forti, cari cittadini. E per favore, non alzate la cresta perché… che volete, che ricominciamo a mettere ‘e bombe nelle piazze, sui treni, alle stazioni, nelle banche? Eh, cittadini: cazzi vostri, no cazzi nostri!

Vedete, cittadini, io sono così certo dell’onestà delle mie parole che ho proposto al governo di chiamare questa nuova manovra proprio “cazzi vostri”, perché me sembrava una cosa esplicita, chiara, che avrebbero capito tutti, no?

Però la comunità internazionale ci chiede di essere molto più bastardi ma anche un tantino più eleganti, perciò la chiameremo qualcosa come “manovra salva il paese” o con un titolo un po’ filmico, cinematografico, “come il cetriolo per l’ortolano”.

Vedete, cittadini: il capitalismo è certamente quel grosso ombrello che vi infiliamo nel sedere ogni giorno. Però non è un ombrellaccio, ‘na cosa da quattro euro che vende il marocchino quanno comincia a piovere.

E’ un ombrello costoso, di marca, magari di seta, col manico d’avorio e il puntale d’argento. E se non l’avete capito, cari cittadini, se veramente pensate ancora di vivere in un paese democratico, dove contare qualcosa, be’, allora, cari cittadini: cazzi vostri.

*Ascanio Celestini, “Cazzi vostri”; testo dell’intervento della puntata del 4 febbraio 2012 della trasmissione televisiva “The show must go off” condotta su La7 da Serena Dandini).