sabato 16 giugno 2012

Update italiota

Prima di leggere alcuni articoli sulle ultime vicende italiote, una breve sintesi delle migliori "perle" pronunciate oggi da Monti. 
  • "Faccio quello che posso per spiegare alla cancelliera tedesca Angela Merkel e ad altri governanti, che se un Paese ha un alto debito pubblico ed è a favore di maggiori politiche europee per la crescita non necessariamente aspira ai soldi della Germania"    
  • "La Merkel dice che l'Italia ce la fa, ma l'Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel"
  • "Se nelle prossime cruciali due settimane noi riusciremo ad avere qualcosa di concreto e una prospettiva, con delle date, per una politica mirante alla crescita, beh credo che questo cambierà già il piano psicologico. Il governo si sta impegnando moltissimo perché la politica europea si orienti di più alla crescita, certo non a scapito della disciplina di bilancio"
  • "Devo arrivare al consiglio Ue con la riforma del mercato del lavoro che è legge o l'Italia perde punti".
  • ''Ci siamo spostati dall'orlo del precipizio; solo che il cratere del precipizio si sta allargando e siamo di nuovo in una crisi''
Appunto, l'unica frase che conta è quest'ultima (ma anche la penultima...). 
Complimenti Mr. Monti, ce la sta proprio mettendo tutta...


80 miliardi di bugie
di Stefano Feltri - Il Fatto Quotidiano - 16 Giugno 2012

Il meccanismo è collaudato, il risultato certo, l’effetto quello di una propaganda patetica. Funziona così: il governo annuncia qualcosa, un ministro fa una dichiarazione, sceglie un numero qualsiasi, possibilmente con tanti zeri, e può stare sicuro che i giornali titoleranno su quello. 
“Sviluppo, la legge vale 80 miliardi”, apre la prima pagina Repubblica, con la decenza di mettere almeno tra virgolette l’affermazione, così che la responsabilità ricada su chi l’ha fatta, Corrado Passera. Al titolista resta però la colpa, forse maggiore, di limitarsi al copia-incolla delle dichiarazioni, senza spiegare al lettore che di quegli 80 miliardi non se ne vede traccia alcuna. 
Il Corriere della Sera cancella pure le virgolette e asserisce “80 miliardi per la crescita”. La Stampaconcede anche dettagli, per dare maggiore credibilità alla balla, “Tagli e vendite, un piano sviluppo da 80 miliardi”.
Soldi che non ci sono, ovviamente: spendere davvero 80 miliardi per la crescita sarebbe l’equivalente di un piano Marshall, una svolta che dovrebbe sembrare assurda a chiunque abbia seguito la politica degli ultimi mesi. 
Siamo seri, un governo che deve fare una manovra da 60 miliardi per salvare l’Italia, come recitava il nome del decreto, poi ne trova 80 da spendere? Altro che tecnici, sarebbero alchimisti, ciarlatani (ok, su quest’ultimo punto il dibattito è ancora aperto). 
E allora perché giornaloni, tg, siti internet e twitter devono accreditare balle colossali come questa con la stessa sicumera con cui, pochi giorni fa, annunciavano un’altra cifra iperbolica fornita sempre da Passera (100 miliardi per le infrastrutture)? 
Infatti 80 miliardi è una stima, priva di qualunque riscontro verificabile per ora, di tutti i soldi che si muoverebbero dopo il decreto, sommando qualche centinaia di milioni da parte dello Stato con i miliardi che i privati dovrebbero spendere incentivati dalle nuove norme. Capite bene che c’è la sua differenza.
Una spiegazione del successo di queste balle mediatiche è la piaggeria giornalistica, sicuramente, qualcuno sostiene anche l’incompetenza (a questo io non credo, bisogna essere abili a maneggiare le notizie, qualunque sia lo scopo che si persegue, informativo o altro). 
Ma c’è anche qualcosa di più inquietante: la convinzione, da parte di politici (o tecnici) e giornalisti, che gli italiani non vogliano o non possano capire. Bisogna consegnare loro una sintesi, uno slogan da ripetere a tavola, nei blog e con gli amici. Meglio se accompagnato da un numero, l’ideale è se ci sono miliardi, da etichettare con l’insopportabile gergo giornalistico – tipo “intervento monstre” –, nulla di più è dovuto a lettori ed elettori.
Il lettore però ha il potere assoluto, ha un euro e qualche centesimo da destinare altrove. Nessuna sorpresa che lo stia facendo sempre più spesso. E non è solo colpa della crisi.

La patacca della crescita. 80 miliardi di fumo...negli occhi
di Piemme - http://sollevazione.blogspot.it - 16 Giugno 2012

Non conosciamo ancora il testo integrale del "Decreto sviluppo" (61 articoli per 60 pagine) approvato dal Consiglio dei ministri, ma azzardiamo un giudizio: il governo Napolitano-Monti, oramai inviso alla maggioranza degli italiani e alle prese con le fibrillazioni della sua zoppicante maggioranza, si è fatto uno spot pubblicitario, cercando di abbellire la sua immagine funerea.

Passera ha affermato, in conferenza stampa, che «Il provvedimento mobiliterà risorse fino a 80 miliardi». Frase pelosissima che dice tutto e non dice niente. Anzitutto si tratta di una stima, poiché non siamo in presenza di risorse che lo Stato devolve alla cosiddetta "crescita", denaro, cioè che il governo getta nell'agonizzante circuito economico. 

Il Decreto consiste infatti essenzialmente di agevolazioni fiscali e di vari incentivi, ovviamente alle imprese, nella speranza che questi palliativi possano invertire il ciclo recessivo e di disinvestimenti. Alcuni punti dell'articolato si riferiscono al rilancio delle grandi infrastrutture e danno un po' d'ossigeno al settori immobiliare.

Le minori entrare fiscali dice che saranno compensate dalla dismissione del patrimonio pubblico e dal taglio delle spese della pubblica amministrazione (spending review). E' evidente che la cifra degli 80 miliardi è un desiderata, una speranza, quantyo mai ottimistica. 

E comunque occorrerà tempo affinché gli eventuali effetti del Decreto si facciano sentire —quanti anni occorreranno per mettere in vendita (meglio: svendita) e portare all'incasso i beni pubblici? Nel frattempo tutto potrebbe essere accaduto, tra cui  il doppio crack, dei debito pubblico e del sistema bancario.

E' evidente poi che non siamo in presenza (come il Pd cercherà di far credere) di un'inversione di tendenza della politica rigorista e monetarista per cui il "Governo dei tecnici" è stato messo in sella. 

Che poi questi provvedimenti invertano la tendenza recessiva e rilancino il ciclo economico, ne siamo sicuri, non ci credono nemmeno i giornalisti che in queste ore strombazzano alla "svolta" nella politica economica del governo. 

Ma questi, si sa, non possono sputare sul piatto dove mangiano. Siamo pronti a scommettere che una volta analizzato l'articolato del Decreto verranno fuori le magagne e il gioco di prestigio del governo sarà smascherato. Questione di giorni, non di settimane.

Parlando di cose serie la situazione economica continua a peggiorare, con il crollo del 9% della produzione industriale, l'aumento della disoccupazione, il calo inarrestabile dei consumi. Del resto lo spread aumenta inesorabile, portandosi ai livelli dell'ultimo Berlusconi; il Tesoro fa fatica a vendere i titoli di Stato e quando li vende  lo fa a prezzi stracciati e interessi crescenti. 

Il debito pubblico cresce e sta per raggiungere la cifra dei 2mila miliardi. Il declassamento del rating subito dalle banche italiane peggiora la loro crisi già grave (in barba alla chiacchiere) e rafforza la tendenza a non fare credito, né alle aziende né ai cittadini comuni. I capitali fuggono verso lidi più sicuri mentre i grandi gruppi finanziari stranieri, sentendo puzza di default fuggono dall'Italia. 

E' il crepuscolo dell'euro, vittima sia dei suoi guasti congeniti che della schizofrenia dei mercati finanziari, nei quali è ripreso in grande stile il gioco d'azzardo coi derivati per fare quattrini speculando su valute, obbligazioni, titoli e materie prime (protagonisti assoluti i biscazzieri anglosassoni).

In questa situazione solo degli stolti possono pensare che mettere delle toppe (ammesso e non concesso che si riesca effettivamente a metterle) possa, non diciamo essere risolutivo, ma anche solo alleviare gli effetti della crisi sistemica. La madre degli stolti è sempre gravida, dice il proverbio, ma non potrà esserlo all'infinito.


Quest'uomo non sta facendo gli interessi della Nazione
di Sergio Di Cori Modigliani - http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it - 14 Giugno 2012

Quest'uomo non sta facendo gli interessi della nazione. Ci sta svendendo. Ci sta affondando. E lo fa in piena consapevolezza.

Subdolamente, il sole24ore, ieri mattina, titolava “Schnell frau Merkel!”. L’idea di base consisteva nel ricordare ai propri lettori, a nome della Confindustria, che la situazione italiana oggi, sarebbe –secondo loro- com’era nell’ottobre del 2011 quando decisero di eliminare Berlusconi. Ricorderete che, in quei tumultuosi giorni, il quotidiano economico titolò “Fate presto” con anomale lettere cubitali, schiacciando il campanello d’allarme.

Il secondo significato, retrostante questo titolo, consisteva nel fornire un viàtico d’accompagnamento per il ragionier vanesio che stava partendo per Berlino, incitandolo a metter fretta alla Merkel, sapendo che a Berlino, a Wall Street, alla borsa di Londra, ilsole24ore è un giornale che viene letto quotidianamente con la lente d’ingrandimento, con il microscopio e con esperti interpreti di cose italiane, per comprendere che cosa stia accadendo nel nostro paese.
 
La Merkel ha risposto –ed era fin troppo chiaro che la frase era rivolta all’industria italiana- addirittura di persona. In un breve commento rilasciato a un giornalista di Der Spiegel ha detto: “L’Italia è un paese solido che sta facendo molto bene. E’ un momento delicato e ne siamo consapevoli. Non c’è fretta. Non c’è alcuna fretta”. Fine della trasmissione.
 
Poche ore dopo, in conferenza stampa, il nostro premier si è dilungato nella sua consueta melensaggine, imboccando la truppa mediatica asservita perché gli facessero la domanda giusta, che, va da sé, è puntualmente arrivata.
 
“Lei ritiene, signor presidente, che ci troviamo nella situazione in cui sarebbe il caso di prendere in considerazione l’ipotesi di dare il via alle dismissioni del patrimonio pubblico italiano?”.
 
Risposta ufficiale: “Le dirò di più, se è per questo. Posso tranquillamente dire che non soltanto è un ipotesi, ma stiamo studiando il progetto che è in fase avanzata, l’abbiamo già preparato, e sarà mio compito e dovere quello di informare molto presto sia il parlamento che l’opinione pubblica della scelta che il governo farà, in merito alla questione”. Fine della trasmissione.

Travolti dallo spread, rigore, tagli, ecc., la vendita del patrimonio pubblico verrà presentata come necessità, addirittura richiesta a gran voce da tutti, con l’aggravante suicida di un sospiro di sollievo, perché così si evita una manovra suppletiva per evitare che la massa sia costretta perfino a rinunciare all’ombrellone in spiaggia. Il che, in questo paese di bèceri, potrebbe far scatenare tumulti sociali. Per la serie TINA: non c’è alternativa. “O vendiamo o c’è il baratro”. Così stanno organizzando la faccenda.

Ciò che non viene spiegato (approfittando dell’amnesia italiota) sono i precedenti.
Ricorderete il 10 gennaio 2012.
Il governo si era insediato da due mesi, era passato il decreto salva-Italia (???) con l’applicazione dell’Imu, il taglio delle pensioni, l’aumento dell’iva e la manovra suppletiva. Tutti adoravano Mario Monti dove contava, in Italia, su un saldo 75% di gradimento.
 
Il nostro baldo premier, sull’onda del successo, vola a Londra dove rimane tre giorni.
Ritorna più pimpante che mai.
 
Vengono rilasciate diverse dichiarazioni ufficiali nelle quali non si dice nulla di nulla. In teoria non si capisce neppure che cosa sia andato a fare in Gran Bretagna se non a prendere dei gran applausi, onorificenze varie, medaglie, premi e cotillons. Si disse, allora, che era un investimento d’immagine per mettere una pezza con gli inglesi laddove il sultano di Arcore aveva creato uno spaventoso vuoto di credibilità. Tutti d’accordo. Abbasso la fellatio, evviva la sobrietà!

Chiedo scusa ai lettori perché qui devo fare un’autocitazione, ed è davvero imbarazzante.

Questo blog fu l’unico, in Italia, a dare la notizia che Monti, in Inghilterra, si era incontrato con il management finanziario che gestiva fondi d’investimento in Italia presso la Black Rock hedge funds gestito da Goldman Sachs, emiri arabi, gruppi oligarchici della massoneria conservatrice inglese, e aveva chiuso un accordo che ruotava su questi princìpi: dava in garanzia (cioè vendeva) parte delle riserve auree dell’Italia (di cui non è tenuto a dar conto al popolo italiano –sorretto dalla Legge- perché la notifica, il presidente del consiglio la deve dare al ministro dell’economia (che è lui) il quale la deve poi sottoporre per approvazione al ministro del tesoro (che è sempre lui) e poi farla sottoscrivere dal governatore della Banca d’Italia, dal presidente e dal vice-presidente (da lui appena eletti in carica); in cambio otteneva la garanzia che la Royal Bank of Scotland e la Banca d’Inghilterra avrebbero acquistato btp italiani fino a portare il differenziale di spread intorno ai 150 punti entro tre mesi al massimo; si accordò con il potere finanziario oligarchico che da sempre ha come sogno e come ambizione quello di appropriarsi dei gioielli italiani che appartengono allo Stato, quindi al popolo che paga le tasse, vendendoli di lì a sei mesi. 

In tal modo, si andava ad attaccare la spina dorsale della ricchezza della repubblica italiana statale, calcolata intorno ai 2000 miliardi di euro (unica garanzia per evitare di finire come lo Zimbabwe) oltre al fatto dell’importanza geo-strategica nell’avere sotto controllo statale ENI, ENEL, FINMECCANICA, ITALGAS (gestione delle risorse energetiche e militari); si andava ad intaccare la più importante risorsa italiana non finanziaria in assoluto: circa 10.000 opere d’arte e 2.500 edifici storici per un valore riconosciuto intorno a diverse centinaia di miliardi di euro; gran parte delle opere d’arte si trovano nei caveaux sotterranei della Galleria Uffizi, nei sotterranei sotto al Campidoglio, in Umbria, in 150 caveaux sigillati controllati dalla Guardia di Finanza; si consentiva il via libera nel conferimento delle licenze d’esercizio ad uso capione della battigia di tutto il litorale adriatico da Ravenna al Gargano, comprensivo di un piano d’investimento turistico-alberghiero che avrebbe visto la gestione proprietaria in joint venture dei Lloyd’s di Londra e della Allianz di Francoforte che avrebbe, inevitabilmente, finito per strozzare tutto il settore alberghiero gestito come impresa a conduzione familiare, e che dà da mangiare a circa 2 milioni di persone dal Veneto alla Puglia, passando per Romagna, Marche, Abruzzo. 

Poiché nell’accordo entrava anche la finanza araba, interessata sia a Eni (così vendono il petrolio a se stessi e il profitto finisce a Riad) sia alle grandi banche italiane (così gestiscono sia il patrimonio immobiliare del nostro paese sia la possibilità di avere gangli importanti per il lavaggio veloce di capitali di dubbia origine) venne garantita, in quell’occasione, che la imminente ricapitalizzazione della più importante banca “made in Italy” (così come richiesto dalla BCE) cioè Unicredit, sarebbe avvenuta in modo tale da far passare il pacchetto di maggioranza di controllo a un pool gestito da dodici emiri della EAU (Emirati Arabi Uniti) nel Golfo Persico, in tal modo liberi di poter intervenire a proprio piacimento nella gestione della finanza italiana.

Dieci giorni dopo, inizia la ricapitalizzazione ufficiale di Unicredit che si conclude con successo intorno all’ 8 febbraio. Il controllo del gruppo passa alla Aqbar Investment che sceglie come delegato a rappresentarli ufficialmente in sede di consiglio di amministrazione Luca di Montezemolo.
Il 10 febbraio 2012 il titolo valeva 4,76 euro.
Oggi, ne vale 2,34.
 
In data 6 giugno 2012, Corrado Passera ha definito Unicredit “una banca solida in piena salute”. A voi sembra possibile che sia in piena salute un’azienda che in tre mesi perde in borsa il 51% del proprio capitale?
 
La Aqbar ha fatto spostare circa 40 miliardi di euro, di cui non deve dar notifica a nessuno, per coprire parte dei quali sono state necessarie delle richieste alla BCE, immediatamente accettate.
La banca è diventata un colabrodo ambulante.
Comunque sia, non è più italiana. La pubblicità televisiva recita un falso di mercato.

Quaranta giorni dopo, il 28 febbraio, il differenziale di spread scende fino a 274 punti. Certamente non lo fu grazie alle manovre economiche del premier, bensì grazie al fatto che i partners privati dell’accordo stavano rispettando la parola data. 

Esaltato dalla propria onnipotenza, Mario Monti annuncia in quel fatidico giorno: “Non vedrete più alcuna impennata di spread, ne potete star certi; stiamo calcolando il grande piano di investimento nazionale per la crescita basandoci sulla certezza che tra breve il differenziale di spread sarà ritornato a un sostenibile 150/200, forse, ma non voglio peccare di eccessivo ottimismo, addirittura sotto i 100 punti. In tal modo gli interessi che l’Italia deve pagare saranno molto ma molto inferiori a quelli precedenti e attuali”.

Tre mesi e mezzo dopo, cioè oggi, è a 480, il 232% in più delle previsioni del governo.

Calcolando (al millesimo) le aspettative del premier fatte in quel momento, e l’esatta ratio del mercato, mancano altri 32 miliardi di euro che devono essere coperti.
A questo punto viene spontanea una reazione: sono degli incapaci, sono somari.
Magari!

Sono bravissimi, invece.
Il punto è che il loro obiettivo non consiste nel fare gli interessi dell’Italia.
Il loro obiettivo non consiste nel salvaguardare il patrimonio nazionale, quello finanziario, industriale, immobiliare, energetico, strategico, paesaggistico, geologico, artistico, culturale.
Il loro obiettivo non consiste nel pianificare una potenziale ripresa per impedire la svendita.
Proprio no.

Il loro obiettivo consiste proprio nel gestire la svendita.

Strozzata dall’accoppiata Berlusconi/Monti, l’Italia è in saldo al peggior offerente.

Sono bravissimi, non vi è dubbio: a fare interessi terzi.
Sono bravissimi, non vi è dubbio: a servire chi ha interessi strategici nel mettere in ginocchio la ricchezza del paese.
 
Sono bravissimi, non vi è dubbio: a garantire l’uscita dell’Italia (fino a pochi anni fa leader planetario nella produzione di merci, beni e servizi) dalle nazioni che contano perché sono ricche di loro.
Sono bravissimi, non vi è dubbio: a far credere al paese, per la seconda volta in otto mesi, che “o è così o il baratro”.

Anche Adolf Hitler propose se stesso, nel 1932, come unica alternativa possibile per recuperare la dignità perduta dal popolo tedesco.
Anche George Bush jr. propose se stesso nel 2000 come unica alternativa possibile per la ripresa economica planetaria e per la diffusione della pace nel mondo. Ecc., ecc.

Quest’uomo non mi piace.

Non fa gli interessi del mio paese.

E io, al mio paese, davvero ci tengo.

Riguarda la destra e riguarda la sinistra, i settentrionali e i meridionali, i giovani e gli anziani.

E sia chiaro che non ha nulla a che fare con il nazionalismo.

Si tratta della inderogabile presa di coscienza collettiva che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità individuali e cominciare a pensare in proprio, senza aspettare che arrivi l’uomo del destino o qualche potenza straniera a salvarci.

Sono otto mesi che l’uomo del destino è arrivato. Sono otto mesi che le potenze straniere si sono schierate a disposizione per darci una mano.

I risultati odierni stanno sotto gli occhi di tutti.

La bagarre tra americani, inglesi, tedeschi e austriaci, su chi attacca oggi l’Italia e chi, invece, la difende, non è altro che una squallida giocata a poker tra squali bulimici e impietosi, seduti al tavolo dove li ha messi a giocare Mario Monti, garantendo tutti che le carte sono truccate, perché lui è il mazziere.

C’è chi strilla perché vuole un ulteriore sconto prima di passare alla cassa.

Tutto qui. Né più né meno.

“It’s just business”.

Sulla pelle di tutti noi.

Contano sul fatto che tanto gli italiani si bevono qualunque cosa.

Personalmente, preferisco fare lo sciopero della sete. 


Lo sanno
di Paolo Barnard - http://www.paolobarnard.info - 16 Giugno 2012
 
Pompare migliaia di miliardi di euro nelle riserve delle banche europee, il programma LTRO di Mario Draghi, non aiuta né aiuterà una singola azienda e una singola famiglia in tutta Europa.

Spiegazione: le banche prestano ad aziende e famiglie se esse appaiono in grado di ripagare i debiti. Non importa quanti trilioni di euro la BCE gli versa nelle riserve. Le banche prestano a clienti con le finanze a posto, se no non prestano.

Per apparire tali, cioè con le finanza a posto, aziende e famiglie devono vivere in un’economia che tira, e questo lo può ottenere solo una politica di Spesa a Deficit Positivo del governo, dove la spesa del Tesoro con moneta sovrana diviene automaticamente beni finanziari al netto per aziende e famiglie, cioè MMT. Oggi questo non esiste da noi, e le banche non prestano (stretta creditizia), le aziende non respirano, gli stipendi calano, l'occupazione crolla ecc ecc.

Allora:

Pompare trilioni nelle banche = politica monetaria.

Spesa a Deficit Positivo del governo = politica economica.

L’Eurozona non ha più una politica economica. Solo una mostruosa politica monetaria.

Questo non aiuta nessuno, né aziende né famiglie.

Draghi lo sa. Monti lo sa. Lo fanno apposta. E’ economicidio.  


Gli aiuti che uccidono
di  Marcello Foa - Il Giornale - 14 Giugno 2012

Sarò all’antica, ma non riesco a capire la logica degli aiuti o forse la capisco fin troppo bene. Li chiamano aiuti, ma in realtà sono un cappio al collo di chi li riceve, secondo un meccanismo che gli economisti senza paraocchi hanno illustrato da tempo. 

Storia vecchia, considerato che il debito rappresenta la formula più efficace di dominazione. Chi si indebita e non è sorretto da ingenti risorse proprie, perde la propria libertà. Vale per i privati, per la aziende e per gli Stati.

I perversi meccanismi europei del cosiddetto Fondo Salva Stati (Esf) hanno però introdotto una variante diabolica: strangolano anche chi aiuta. Quel fondo prevede infatti che tutti gli Stati provvedano al suo sostentamento. 

Giusto, in teoria, ma gli effetti pratici sono paradossali. L’Europa ha iniziato elargendo miliardi a Grecia e Portogallo, i quali sono stati finanziati anche da Spagna e Italia ovvero da due Paesi a rischio. 

Ora tocca alla Spagna, che naturalmente non finanzia; tocca agli altri. Il risultato è stato illustrato da Stefania Tamburello in questo ottimo articolo dal quale risulta che nel 2012 l’Italia avrà pagato in aiuti ben 48 miliardi di euro.

Dunque da un lato Bruxelles e il suo fedele interprete Mario Monti dissanguano il Paese in nome del rigore, dall’altro si aprono nei nostri contri pubblici ulteriori voragini per… salvare chi sta peggio di noi. 

L’epilogo è scontato: tra la recessione in arrivo ed esborsi di questa entità entro breve anche l’Italia arriverà al capolinea, come dimostrano i movimenti dei mercati finanziari di queste ore.

Che gran risultato…. e senza alcuna prospettiva futura. Stanno portando l’Europa alla schiavitù….


Corruzione e governabilità
di Giovanni Gnazzi - Altrenotizie - 14 Giugno 2012
 
Rassicurazioni e fiducia ricevute dall’abc della politica Monti le ha incassate volentieri alla vigilia del viaggio in Germania. Temeva di presentarsi zoppo davanti a Shauble e ha quindi chiesto un pedaggio visibile alla stramba maggioranza che lo sostiene. 

Ma se il sostegno alla politica economica, pur tra molti mugugni, è stato confermato, quello sulle riforme che riguardano direttamente il sistema di potere nel paese non gode dello stesso credito.

Il decreto anticorruzione, che per molti aspetti è fatto di pannicelli caldi, è risultato comunque indigesto per la maggioranza del cavalierato. Eppur si tratta soprattutto di manovre estemporanee più destinate al riposizionamento interno della destra che alla sostanza del provvedimento.

Perché a ben guardare, mano più leggera non la si poteva avere. Via i condannati dal Parlamento, certo. Ma solo dal 2018 in poi. E perché non da subito? Quando si tratta d’intervenire sul mercato del lavoro non ci si preoccupa nemmeno della retroattività dei provvedimenti, ma quando si tocca la corruzione - nella quale la casta dei politici è solo una delle tante coinvolte - allora si aprono ogni sorta di paracadute per consentire un atterraggio il più possibile morbido.

I ritorni sono vari. Ad esempio, spostare di una legislatura (nominalmente, perché in sei anni potrebbero essercene molto di più) è cosa decisamente utile per tutti coloro i quali hanno solo una legislatura alle spalle e dunque abbisognano della seconda per poter poi riscuotere la pensione di parlamentare.

E’ altresì utile per tutti coloro che pensano di utilizzare gli anni che verranno come salvacondotto dai loro guai giudiziari (vedi prescrizione) e, infine, è utile anche per le segreterie dei partiti, che potranno operare una selezione dei gruppi dirigenti anche sulla base dei provvedimenti giudiziari aperti e sui criteri relativi all’ineleggibilità.

Non sarebbe la prima volta che la selezione della classe dirigente fosse basata non sulle competenze quanto sui carichi pendenti. Nel frattempo, per evitare però contraccolpi bruschi che rischino davvero rendano efficace la norma, è stato stabilito che il termine ultimo per stabilire l’ineleggibilità sarà comunque tra un anno, cioè dopo che le elezioni avranno avuto luogo e i corrotti saranno stati rieletti.

Berlusconi, con una franchezza involontaria, ha dichiarato che le norme sulla corruzione in primo luogo danneggiano il PDL. Il che non è soltanto la certificazione di quanto ormai tutti sanno, e cioè che la corruzione sta al PDL come lo statuto ad un partito, ma anche che un provvedimento di per sé punitivo nei confronti della corruzione vede comunque la luce. 

Ad evitare che però il danno per il partito divenisse un danno per le aziende del capo, ci ha pensato il prode Cicchitto, che ha avvertito il governo che se a malincuore il provvedimento é stato votato, non si deve interpretare la buona volontà come una resa alla legalità. 

Dunque, un’eventuale introduzione della norma relativa all’abrogazione del falso in bilancio (la proposta dell’IDV prevede il ripristino delle pene precedenti, cinque anni e non due come modificate dal governo Berlusconi) risulterebbe intollerabile e non sarebbe votata, dunque il governo verrebbe sconfitto in aula.

In fondo, anche le ultime posizioni del PDL sono coerenti con la forma e la sostanza con la quale ha gestito il paese il governo Berlusconi: fate quello che volete al Paese, ma giù le mani dall’impero e dall’imperatore. Insomma: Alfano a palazzo Chigi dice a Monti di andare avanti sereno, Cicchitto a Montecitorio dice alla Severino che se Monti disobbedisce il governo va a casa. 

Se il governo naviga a vista, i trentotto "no" e i 72 assenti del PDL nel voto di ieri hanno le sembianze dell'avviso ai naviganti. Morale? Mantenere la rotta. Come? Obbedendo e vivendo sereno il tempo breve che resta.


Expo 2015, la cambiale lasciata dalla Moratti
di Davide Vecchi - Il Fatto Quotidiano - 16 Giugno 2012
 
Paolo Conte suonava, Vittorio Sgarbi discettava di Gioconda con ambasciatori e consoli africani e indonesiani, l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, orgogliosamente accompagnato daRoberto Formigoni ripeteva “siamo una squadra”, mentre Letizia Brichetto Arnaboldi, sottobraccio al marito Gian Marco Moratti, stringeva mani e cercava di convincere gli ultimi indecisi, garantendo che Milano avrebbe mantenuto tutti gli accordi presi. Era la notte del 25 marzo 2008, la sera prima del voto al Bie per l’assegnazione di Expo 2015
Nella Piramide davanti al Louvre il comitato presieduto dall’allora sindaco Moratti aveva riunito 400 invitati tra cui i vertici diEni e Finmeccanica, ben introdotti nei paesi con diritto di voto (dall’Iran alla Nigeria), oltre ai rappresentanti degli Stati che avrebbero deciso se assegnare l’esposizione internazionale a Smirne o a Milano. 
I regali distribuiti come gadget della serata a presidenti e ministri vari (Rolex e Mont Blanc) erano solo l’ultimo atto di un’attività di lobbying avviata sei mesi prima.
Un tour promozionale costato circa 7,5 milioni di euro, spesi ovunque. Ma in particolare nei Paesi considerati in via di sviluppo, perché al Bie il voto della Francia vale quanto quello del Gabon. Milano vinse su Smirne 86 a 65. 
Da qui comincia il fallimento di Expo che ha portato il sindaco Giuliano Pisapia a decidere di dimettersi da Commissario straordinario, spronando il governo dei tecnici. Il primo cittadino, del resto, si è ritrovato il giugno scorso con i commissari del Bie a verificare cosa avesse fatto la società Expo dal 2008 al 2011. 
E risultò che nulla aveva fatto. Tranne litigare. Il primo anno la Moratti l’ha perso nel tentativo (fallito) di far nominare amministratore unico il fidatissimo (ma privo dei requisiti anche secondo gli altri membri del cda) Paolo Glisenti
Insediato Lucio Stanca (contemporaneamente anche parlamentare) e Diana Bracco (all’epoca presidente di Assolombarda) un altro anno è andato via per una questione apparentemente semplice: scegliere cosa fare delle strutture costruite per l’Expo con soldi pubblici una volta terminata l’esposizione. 
Con il particolare che i terreni sono diventati edificabili per 750.000 metri quadri di nuove abitazioni. Una nuova città. Alla fine si decide di comprare dai proprietari: laFondazione Fiera, che incassa circa 80 milioni, e il gruppo Cabassi ne riceve 40. Quando Pisapia si insedia a Palazzo Marino, dunque , Expo è un progetto che esiste solo sulla carta dei progetti e quella degli impegni assunti con i vari Stati.
Come l’Alleanza per l’Africa, una fondazione con una dote (sulla carta) di 10 milioni di euro di progetti di cooperazione. Al primo ministro di Antigua, Baldwin Spencer, già grande amico di Silvio Berlusconi, Moratti nel marzo 2008 promise fondi per l’illuminazione delle strade; finanziare un progetto di ricerca per la barriera corallina; costruire una scuola di calcio con un impianto sportivo; realizzare corridoi di transito per la navigazione commerciale e un centro di canottaggio. Ma non solo. Anche collegamenti aerei diretti, strade, intensificare gli scambi commerciali e creare delle borse di studio riservate agli universitari. Tutto messo nero su bianco. 
Come l’accordo stretto con la Mongolia di collaborazione nelle energie rinnovabili. Mentre alla Guinea Bissau Moratti si era impegnata a fornire una collaborazione per la raccolta dei rifiuti. 
In Iran l’Università di Pavia dovrebbe andare a tenere dei corsi di prevenzione sismica, stando agli accordi presi da Moratti. Mentre alle Isola Marshall la società ha garantito una “introduzione alle tecniche di solar cooling”. In Gabon l’accordo prevede la formazione delle guardie forestali. Promessi inoltre scuolabus per i bambini delle isole dei Caraibi; una tranvia in Costa d’Avorio e una centrale del latte in Nigeria. 
Ma l’elenco è infinito. La stima della spesa per mantenere solo gli accordi raggiunti per vincere Expo è di circa 60 milioni di euro. Quello che è costato meno è stato il patto con Cuba: gli sono stati inviati degli autubus dismessi da Atm. Se ne saranno accorti, perché l’isola di Castro poi ha votato Smirne e non Milano.