mercoledì 20 giugno 2012

Elezioni in Grecia: non è successo nulla

Si sono tenute in Grecia queste "benedette" elezioni, nascerà un governo guidato ancora dagli stessi che hanno falsificato più di 10 anni fa i bilanci dello Stato - con il sostanziale supporto di Goldman Sachs - per far entrare la Grecia nell'euro, la Merkel & soci affonderanno sempre più il coltello nelle ferite dei cittadini greci che a loro volta affonderanno sempre più nella merda in cui sono immersi già da alcuni anni.

La Grecia era fallita ieri, è fallita oggi e sarà fallita domani. In pratica, non è successo nulla*.


* Idem per quanto riguarda la speculazione sui debiti sovrani degli Stati e spread annessi. Tutto come prima, più di prima...


La Grecia del giorno dopo
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 18 Giugno 2012

La Grecia ha votato come la Ue voleva, ma se Bruxelles e Berlino applaudono, le Borse non si eccitano più di tanto. La reazione dei mercati al voto greco, infatti, non è stata quella che molti si attendevano e il segno meno sugli indici ha caratterizzato il day-after di Atene.

Sul piano generale le Borse  sembrano comunque intenzionate a non offrire segnali di apertura in attesa delle conclusioni del vertice del G20 a Los Cabos, ma nello specifico dello scenario europeo non traggono particolari elementi di ottimismo dalla vittoria del centrodestra ellenico.

I dubbi degli investitori non sembrano però addebitabili ad incertezze sul piano politico, essendo scontata la formazione di un governo di larghe intese tra Nuova Democrazia e Pasok con Syriza all’opposizione.

Paradossalmente, semmai, alla luce delle performances di Borsa di ieri, si potrebbe dire che proprio il ritorno al governo di Nuova Democrazia non promette niente di buono agli occhi dei mercati.

Perché se dal punto di vista di Bruxelles i vincitori delle elezioni non costituiscono un ostacolo all’osservanza del memorandum con il quale l’Unione europea ha preso per la gola la Grecia, i mercati hanno la memoria lunga e ricordano che fu proprio il governo guidato da Nuova Democrazia a truccare i conti pubblici per ottenere investimenti e aiuti internazionali che si rivelarono successivamente impagabili.

Il Pasok, sotto il cui governo è esplosa la Grecia, fu in realtà corresponsabile solo in parte, giacché nemmeno i suoi esponenti erano a conoscenza dei trucchi contabili effettuati dal precedente governo di destra e rigorosamente avallati dalle agenzie di rating, le stesse che spacciano la loro assoluta indipendenza nella formulazione delle pagelle a stati e banche in giro per il mondo.

Colpe che ha puntualmente ricordato Paul Krugman, Nobel per l’economia, in un articolo sul New York Times, ricordando che “la Grecia non è senza colpe per la situazione nella quale si trova”, ma che gran parte delle responsabilità “sono da attribuire all’arroganza dei dirigenti europei, per lo più dei paesi ricchi, convinti di poter far funzionare una moneta unica senza governo unico”.

Krugman indica in “Bruxelles, Berlino e Francoforte “le origini di questo disastro”, sottolineando come “la soluzione a questa crisi - se mai arriverà - dovrà venire proprio da queste stesse località”.

Peraltro si capisce benissimo che anche senza la vittoria di Syriza il Memorandum dovrà comunque essere rinegoziato, vista l’inesigibilità del debito contratto da Atene. Si pensa già a due anni di proroga per i piani di rientro e, contemporaneamente, ad una forte iniezione di liquidità da parte della BCE, tramite banche private, che compreranno titoli pubblici per far affluire liquidità nelle casse dello Stato ellenico.

D’altra parte rinegoziare è inevitabile: Berlino può anche strepitare sul rigore di bilancio ma tirare la cinghia sembra oggi più problematico, perché i titoli tossici grechi riempiono le casseforti delle banche tedesche e francesi.

Dunque se Berlino vuole evitare una crisi di alcuni istituti di credito e il conseguente declassamento delle sue banche da parte delle agenzie di rating, non ha altra strada che accettare una spalmatura temporale del debito greco.

La contrapposizione tra Euro e Dracma nello scontro tra la sinistra e la destra in Grecia era soprattutto una forzatura ideologica e mediatica voluta da chi riteneva un governo delle sinistre un pericolo ancora maggiore del debito.

Perché con Syriza al governo poteva aprirsi una fase nuova nella relazione tra Ue e singoli stati che avrebbe messo alle corde il rigore monetarista tedesco (ma non solo). Sarebbe stato l’inizio di una nuova discussione sulle finalità dell’unione continentale, che avrebbe coinvolto strumenti, trattati, politiche  e ruoli di tutti gli attori europei. Comprensibile quindi, che la Merkel abbia effettuato ogni tipo d’ingerenza sul voto greco.

Nuova democrazia ha vinto, dunque, ma è tutto da vedere se questo porterà la Grecia fuori dal precipizio. Perché questa crisi ha responsabilità endogene ed esogene, ma la sua soluzione non può essere esclusivamente greca.

Non a caso Krugman, nello stesso articolo sul NYT, afferma che “le elezioni in Grecia non hanno risolto nulla. L’unico modo in cui l’euro potrebbe essere salvato è qualora i tedeschi e la banca Centrale europea comprendessero che sono loro quelli che devono cambiare comportamento, spendere di più e accettare il rischio d’inflazione. Se non lo faranno - ha concluso il premio Nobel per l’economia - la Grecia affonderà nella storia come la vittima dell’arroganza di altre persone”.


L'agonia greca continuerà fino all'asfissia
di Ambrose Evans-Pritchard - http://blogs.telegraph.co.uk - 18 Giugno 2012
Tradotto per www.ComeDonChisciotte.org da ERNESTO CELESTINI

L’establishment europeo è felice per la vittoria di Nuova Democrazia ed è disponibile a tenere ancora in vita un paziente che non riesce più a respirare. Ma, questa sensazione, non potrà andare avanti ancora per molto.

I nuovi leader della Grecia hanno ricevuto un mandato dall'inferno. In un modo o nell'altro quasi il 52% del voto popolare è andato a partiti che si opponevano al salvataggio previsto dal Memorandum. Comunque la nazione non ha accettato le politiche di austerità della troika.

La sinistra dura del partito Syriza di Alexis Tsipras adesso è forse più pericolosa all’opposizione, con un gran numero di seggi in Parlamento, e potrà tartassare il governo senza assumersene la responsabilità, dato che lo Stato sta mandando a casa 150 mila lavoratori del settore pubblico, un quinto del totale.
Fu per questo fatto che lo scorso anno il governo greco fu rovesciato da un Putsch della UE.

Apprendiamo ora dall’ ex-premier George Papandreou che fu "tutta colpa di Sarkozy". Il leader francese si rifiutò di fare indire a Papandreou un referendum sul salvataggio (che quasi certamente sarebbe passato), e il Cancelliere Angela Merkel impose quell’atto meschino da colonialismo della UE.

L'UE, in effetti, minacciò di tagliare tutti i pagamenti della troika. Il governo del PASOK fu sostituito da un tecnico nominato dalla UE.

Si è creato un precedente spaventoso, e per nessun motivo : tutto quello che la UE è riuscita a fare è stato sostituire un torbido parlamento greco con uno completamente inutile.

Per quanto riguarda la Nuova Democrazia, non sarà in grado di soddisfare le condizioni di nessuno dei prossimi pagamenti trimestrali richiesti dalla Troika, nemmeno se otterrà l'appoggio dei socialisti del Pasok, perché i termini sono - politicamente - impossibili da rispettare.

Ci vorranno anni di "svalutazione interna" per portare la disoccupazione a livelli catastrofici prima di far disintegrare il movimento operaio e spianare la strada a tagli drastici sui salari. Si tratta essenzialmente di una politica fascista. Mussolini la tirò fuori nel 1928 nel quadro della politica di una Lira Forte, ma Lui aveva strumenti coercitivi.

Questa vittoria elettorale non è abbastanza determinante per rimettere in moto l’economia e non ci sarà nessuna ripresa degli investimenti e nessuna speranza di ritorno a una vita normale. Persino le grandi aziende non hanno più accesso al credito commerciale corrente. Il coro a favore del Memorandum dice che la Grecia si troverebbe in mezzo al caos, se dovesse uscire dall’euro. Ma che pensano che ci sia ora in Grecia?

L'agonia si trascinerà fino a quando capiterà qualcosa di drammatico.

Sarebbe una cosa differente se la Troika avesse capito quello che stava facendo. Ma non è stato così. Le indicazioni del FMI sono state ignorate dagli ideologi della BCE. La necessaria uscita dall’euro è stata esclusa fin dal primo giorno - ovviamente - così la Troika ha fatto tutti i passi per far andare avanti le cose proprio come adesso vanno avanti.

Le loro prime previsioni avevano massicciamente sottovalutato il livello di contrazione del PIL, perché, a torto, avevano creduto che il settore privato greco avrebbe beneficiato della contrazione del settore pubblico.

Tutto quello che è successo è che lo Stato ha smesso di pagare i conti ai subappaltatori privati, spingendo migliaia di aziende al fallimento. L'economia è entrata in una spirale viziosa di una crudeltà che poteva essere facilmente prevista.

Questa è una dichiarazione sulle politiche della troika rilasciata dal professor Vanis Varoufakis dell’Università di Atene:
"Cercate di capire quello che stanno dicendo al popolo greco: dicono che la Grecia, per rimanere nella zona euro, deve:
A. Continuare a prendere prestiti dal EFSF al 4% (quindi aumentando il debito pubblico) per pagare la BCE (che trarrà un utile del 20% da questi pagamenti, come gentile concessione per aver già acquistato dalla Grecia obbligazioni a un tasso dal 20% al 30%)
B. Ridurre la spesa pubblica di 12 miliardi di euro per "essersi permessa" di prendere dei prestiti per garantire alla BCE i profitti di queste operazioni che hanno portato la Grecia alla bancarotta.
Se il diavolo avesse voluto garantire alla Grecia di essere spinta fuori dalla zona euro, sia lui che le sue ancelle del male non ci sarebbero riusciti in uno scenario tanto satanico, come questo.

Nel frattempo, lo stesso accade in Spagna, dove il governo è costretto a prendere in prestito (a quasi il 7%) soldi che difficilmente potranno risollevare le banche che stanno prestando i soldi della BCE ( presi all’ 1%) al governo spagnolo ( che li paga al 7%) in modo che lo stesso governo possa provvedere al ... loro salvataggio. Nemmeno il più malato di mente potrebbe far funzionare questo marchingegno ! "
Infatti, non ci riuscirebbe nessuno.


Grecia. Vince il partito del debito. La fratellanza bancaria esulta…
di Miro Renzaglia - www.mirorenzaglia.com - 18 Giugno 2012

La fratellanza bancaria di mezzo mondo, e forse più, esulta per l’esito delle elezioni greche che ha visto vincere, ma non trionfare, il partito conservatore di Nea Dimokratia di Antonis Samaras.

Il suo programma era quello di mantenere la nazione greca sotto il cappio usuraio della Bce e consorterie finanziarie globali collegate che, in cambio di un programma politico di rientro del debito, a costo di continuare a strangolare un popolo già ridotto sul lastrico, garantiva nuovi prestiti.

Direte voi: ma come si esce da un debito enorme se l’usuraio te ne fa un altro?  Infatti, non se ne esce. Ma è esattamente questo che l’usuraio vuole: che il debitore non esca mai dalle sue grinfie rapaci.

Se, come sosteneva Ezra Pound, «Uno stato che non vuole indebitarsi fa rabbia agli usurai», pensate quanta gioia procuri, agli usurai medesimi, uno stato che decide di indebitarsi ancora di più.

E, infatti – come si diceva all’inizio – la fratellanza bancaria è tutta un tripudio.

Comincia il portavoce della Cancelliera di Ferro Angela Merkel, George Streiter, che solennemente afferma: «E’ una buona notizia la vittoria di Nea Dimokratia. Adesso si faccia al piu’ presto il governo».

Prosegue il Presidentissimo Barack Obama: «Ci congratuliamo con il popolo greco per le elezioni svolte in questo momento difficile e speriamo che portino alla veloce formazione del governo affinché possa fare progressi veloci sulle sfide economiche» afferma il presidente americano Barack Obama, ribadendo che «è nel nostro interesse che la Grecia rimanga nell’Eurozona rispettando gli impegni presi sulle riforme».

Si allinea e si copre (ma come avrebbe potuto essere altrimenti) l’agente diretto della Goldman Sachs, in missione segreta in Italia come Presidente del Consiglio, Mario Monti: «Mi rallegro per il risultato. Un grande segnale per l’Ue».

Almeno, stando a queste entusiastiche sollevazioni pro Samaras è chiara una cosa: non era la Grecia ad aver paura di essere messa fuori dall’Euro, era l’Europa dei banchieri e dei loro servi a temere che la Grecia ne uscisse.

E fin qui – lo ripeto – c’è poco da stupirsi. Ma se a rallegrarsi per la vittoria di Antonis Samaras è perfino il giornale fondato da Antonio Gramsci, l’Unità, non viene anche a voi un sussulto di meraviglia? In un editoriale on line [LEGGI QUI] l’anonimo articolista chiude così: «La vita politica greca si avvia a un’ennesima, complessa fase. Ma stasera, Atene e l’Europa possono tirare finalmente un sospiro di sollievo».

A questo punto, il quesito posto dal nostro collaboratore, Cristian De Marchis con l’articolo “Ma il Pd è di destra o di sinistra?” [LEGGI QUI] ha una risposta certa: è di destra. Con buona pace per il povero Antonio Gramsci che, come sostiene l’amico Graziano Lanzidei, avrà smesso di rivoltarsi nella tomba per darsi alle acrobazie.

Nel frattempo, però e per giunta rispetto al sospiro di sollievo che l’articolista dell’ Unità dice si possa tirare, le notizie che arrivano dal mercato finanziario sembrerebbero contrastare l’ottimismo della fratellanza bancaria. Dico, e lo sottolineo con forza, sembrerebbero. Infatti tutte le borse europee segnano un indice fortemente negativo.

Copio e incollo dal Corriere della Sera di oggi, 18 giugno: «In picchiata la Borsa di Milano sull’onda delle notizie che arrivano dalla Spagna e mostrano lo spread iberico sui Bund tedeschi a 584 punti. Il Ftse mib perde il 2,64% zavorrato dalle banche: Intesa (-2,3%) e Unicredit (-3,4%) sospese per eccesso di ribasso, Mediobanca (-3,4%), Ubi (-2,7%), Monte dei Paschi (-2,3%). Fanno riflettere i rendimenti dei titoli dei due Paesi: se i bond governativi a dieci anni spagnoli hanno tassi pari al 7,12%, quelli italiano rendono il 6,05%».

Ma non fatevi ingannare dalle apparenze. Gli speculatori stanno vendendo i titoli di stato greci, ora che il loro valore sembra saldo, per riacquistarli a prezzi stracciati quando il nuovo governo (probabilmente una coalizione Nd e socialisti che, scambiandosi reciprocamente posto fra maggioranza e opposizione, negli ultimi decenni hanno ridotto la Grecia allo stato in cui è ridotta) comincerà a inghiottire l’ennesima polpetta avvelenata che gli ha tirato la fratellanza bancaria. Quando, cioè, la Grecia sarà costretta a rialzare il tasso d’interesse dei propri titoli per renderli appetibili agli squali. E voilà: il gioco è fatto…



Grecia. Il «sirtaki» dei partiti
di Argiris Panagopoulos- Il Manifesto - 20 Giugno 2012
 
Vertice dopo vertice i problemi restano intatti: dalle banche al debito, dalla disoccupazione ai tagli, non c’è uno straccio di idea

Evangelos Venizelos, leader del Pasok, annuncia che entro oggi pomeriggio la Grecia avrà un nuovo governo. Ma quale? Le trattative su nomine, obiettivi e composizione tra socialisti, Nea Demokratia (Nd) e Sinistra democratica (Sd) dureranno fino all’ultimo minuto.

Salvo sorprese, a guidare il nuovo esecutivo sarà il vincitore delle elezioni Antonis Samaras mentre in tanti ad Atene, dentro Syriza e non solo, sostengono che il suo governo avrà vita relativamente breve visto che non sarà capace di gestire i nuovi tagli e la svendita del patrimonio pubblico.
 

I segnali arrivati dopo il voto da Berlino e Bruxelles non lasciano dubbi che una volta vinta la battaglia per allontanare Syriza dal governo non ci saranno importanti concessioni alla Grecia.

Il partito di Tsipras, che ha perso di misura, si prepara per fare un’opposizione dura al nuovo governo mentre Sinistra Democratica rischia di dividersi nell’immediato futuro, quando dovrà difendere nuovi tagli e tasse. 


Il vero problema politico della Grecia è la risposta alla maggioranza dei cittadini contrari al memorandum. Syriza (e non solo) crede che il nuovo governo avrà enormi problemi e non potrà durare per molto tempo. Per questo Tsipras cercherà di tenere accesa la scintilla della ribellione contro lo tsunami fiscale che arriverà nelle prossime settimane e combatterà ogni rassegnazione tra i suoi elettori per la vittoria mancata.

Il leader di Sd Koubelis ha posto ieri a Pasok e Samaras 7 condizioni per partecipare al governo. In serata, prima della riunione del comitato centrale del partito, il portavoce Andreas Papadopoulos spiega al manifesto che Nd e Pasok hanno già accettato tutti e sette i punti sollevati da Koubelis: la «pulizia» del sistema politico, la «liberazione progressiva» dal Memorandum, la ricostruzione produttiva del paese, lo sviluppo agricolo, una nuova politica per l’immigrazione, la difesa e la estensione dello stato sociale, un cambio nella politica estera. Restano le ambiguità però sul contenuto concreto di questi sette punti.

Secondo Papadopoulos la Sd chiederà garanzie precise dagli altri partner di governo ma Sd cercherà di evitare di parteciparvi con propri ministri di partito e preferisce indicare personalità indipendenti di sinistra. 


Tra le altre condizioni, sembra che abbia posto il veto a ministri provenienti dal Laos (estrema destra) candidati da Nd. Koubelis è sicuro che la Grecia avrà un governo entro pochi giorni. E secondo indiscrezioni punta a essere eletto come prossimo presidente della repubblica alla scadenza del mandato di Papoulias.

Il portavoce di Syriza, Panos Skourtelis, in una conversazione col manifesto, ammette che l’entrata di Sd al governo mette a dura prova le relazioni a sinistra e afferma che per Koubelis è un obiettivo di carattere strategico perché gli apre la strada per nuove alleanze al centro.

Mentre i tre partiti vincitori negoziano su tutto, l’ombra di Syriza incombe sul loro futuro governo. La coalizione di sinistra si prepara a trasformarsi in un partito di massa unitario, mettendosi definitivamente alle spalle l’esperienza delle 12 componenti che la compongono. 


Tsipras ha deciso di aprire il confronto sulla formazione del nuovo partito unitario a settembre, mentre nelle prossime settimane si terranno assemblee di Syriza in tutto il paese. Per il momento la coalizione cerca di organizzare al meglio il suo nuovo gruppo parlamentare, visto che 49 dei suoi 71 deputati sono alla prima esperienza.

Acque molto agitate anche dentro il Pasok, il vero sconfitto di queste elezioni. Venizelos non esclude una sorta di appoggio esterno, dice che non avrà un incarico ministeriale e che vuole tenere fuori dal governo anche i deputati e gli ex ministri. Contemporaneamente, ha chiesto la formazione di un comitato nazionale per la rinegoziazione delle condizioni del Memorandum.
 

Dopo il peggior risultato elettorale nella sua storia, anche il Pasok deve aprire in tutta fretta una fase di ricostruzione del partito. Venizelos ha lasciato aperta perfino la questione del nome. Stamattina una riunione di tutto il gruppo parlamentare farà il punto su questo e anche sul nuovo governo.  
 

Venizelos:"La Grecia ha un governo. Ora rinegoziamo gli aiuti"
di Francesco De Palo - Il Fatto Quotidiano - 20 Giugno 2012 

In serata il leader dei socialisti del Pasok andrà assiene al conservatore Samaras e al democratico Kouvelis dal presidente della Repubblica Papoulias. Al prossimo summit dell'eurogruppo Atene chiederà la revisione del piano di salvataggio

 

“Habemus ghivernis” scandisce il leader dei socialisti Evangelos Venizelos al termine del coordinamento nazionale del Pasok. E annuncia che il nascente governo darà “battaglia” al prossimo summit europeo per ottenere una revisione del Piano di salvataggio negoziato con Ue e Fmi. Questa sera assieme al conservatore Samaras e al democratico Kouvelis saranno ricevuti dal presidente della Repubblica Papoulias (assieme al ministro ad interim dell’economia Zanias che domani parteciperà ad un delicatissimo eurogruppo) per certificare la nascita dell’esecutivo che dovrà impedire la bancarotta della Grecia, dare attuazione al memorandum della troika e tranquillizzare i mercati.

Anche la Deutsche Bank, infatti, ha detto che ormai “ragiona” come se la Grecia fosse già fuori dall’eurozona. Fotis Kouvelis dirige un partito di centrosinistra che ha preso il 6,26% arrivando sesto alle elezioni di domenica. Ed è l’osservato speciale da mezzo mondo. I suoi diciassette seggi nel parlamento greco sono decisivi per dare vita al governo tecnico in Grecia.

Ma la domanda è: quanto durerà questo esecutivo? Ormai i giochi sono quasi fatti e a meno di clamorose sorprese si andrà verso un multicolore composto da conservatori, socialisti e appunto il Dimar di Kouvelis. Con al comando lo stesso leader di Nea Dimokratia Antonis Samaras, che ha detto di avere i numeri per formare un governo a lungo termine, aggiungendo di averlo detto anche al capo dello Stato Papulias.

L’opzione, fino all’ultimo, è stata anche quella di trovare una personalità “imparziale” che guidasse l’esecutivo e così conferisse all’esecutivo quell’aria da emergenza e condivisione che, nei fatti, già si respira da un biennio sotto l’Acropoli. Per una serie di ragioni.

Il governo greco non potrà, come Samaras e Venizelos avevano promesso agli elettori al foto finish della campagna elettorale, rinegoziare il memorandum della troika: ma attuarlo da subito, con tutto ciò che esso comporta.

Ovvero la sollevazione popolare di chi, con mutui a tassi variabili e nuclei familiari in cassa integrazione, passerà da una vita normale alla soglia della semi povertà, come i dati dell’istituto di statistica ellenico dimostrano, con il record europeo di bambini sottopeso ad Atene.

Quindi entro settembre altri 150mila dipendenti pubblici verranno licenziati, le pensioni minime continueranno ad esibire i parametri attuali da terzo mondo, non ci sarà alcun piano Marshall per la ripresa economica e per una minima reindustrializzazione del paese, e i paperoni dell’Acropoli non saranno intaccati da alcuna misura (come la patrimoniale sui redditi superiori a 300mila euro proposta da Tsipras).

Per questo il leader del Pasok Venizelos, già a urne ancora calde, aveva invocato un governissimo con tutti, Syriza compresa, che si “sporcasse” le mani e si prendesse carico di spiegare ai cittadini come muterà la loro quotidianità.

Perché nei fatti il piano di Bce, Ue e Fmi se da un lato conferirà alle casse dello stato la liquidità necessaria per andare avanti, dall’altro potrebbe dare il definitivo colpo di grazia a un paese in ginocchio.

Dai corridoi della sede di Nea Dimokratia infatti, la soddisfazione post-elettorale è solo apparente. Perché la patata bollente che “mister tentenna” Samaras (così come lo chiamano per la sua proverbiale capacità di non decidere) ha in mano potrebbe bruciare tutto il circondario, compromettendone anche le future chanches politiche oltre che la stabilità stessa dell’eurozona: nessuno sa infatti quanto durerà questo governo, se sarà in grado di assicurare almeno un triennio di stabilità senza rischi di scivolate improvvise.

Tsipras dal canto suo ha annunciato che resterà all’opposizione perché contro il memorandum, e perché avrebbe voluto imboccare un’altra strada rispetto all’accettazione coatta dei diktat europei o rispetto all’uscita dall’eurozona: quella rinegoziazione del piano che, così come stanno le cose oggi, ovvero con questo governo pro-troika, non ci potrà essere.

Lo ha anche ribadito il presidente dell’eurogruppo Juncker: “Non si possono apportare modifiche sostanziali al programma di aiuti alla Grecia e non ci possono essere nuove negoziazioni”.

Tornando a Kouvelis ha incontrato Venizelos più volte, gettando le basi per le procedure accelerate. L’accordo “a tre” sarebbe stato chiuso per un governo a lungo termine con durata almeno fino al 2014, anche se Venizelos parlava di 2017.

Le iniziali perplessità del Dimar erano frutto della cosiddetta “sindrome Karatzaferis” dal nome del leader del partito nazionalista del Laos (fuori dal parlamento per aver raccolto solo l’1,58%). Ovvero la disposizione a sostenere il governo, non con i politici, ma con personalità della più vasta area possibile, pare avrebbe fatto i nomi dell’attuale ministro del lavoro Roupakiotis (un tecnico, già a capo dell’Authority per la privacy) o del costituzionalista e attuale ministro dell’interno a interim Manitakis.

Ma ci sarebbero da tenere d’occhio anche quei ceppi dei tre partiti (possibili futuri franchi tiratori) che non vedono di buon occhio la partecipazione a un governo con così tante responsabilità e con alte probabilità di un fallimento politico ed elettorale, oltre che finanziario.

Non dimentichiamo che, come molti analisti hanno rilevato, l’allarme in Grecia da rosso è diventato, momentaneamente, arancione. E potrebbe presto tornare su quel colore che segna il pericolo, visto il sesto anno di recessione consecutivo e una politica che al di là di denari immessi nelle casse dello stato (fisiologicamente bucate da sprechi e corruzione diffusa) non sta al momento tentando di tappare quei buchi.

Pare che al vertice notturno del Pasok abbia partecipato anche l’ex primo ministro Papandreou assieme a membri dell’esecutivo a top manager (tra cui K. Skandalidis, Loverdos, Anna Diamantopoulou, Gennimata Fofi, P. Efthymiou, M. Androulakis, Mich Chrysochoidis) trasmettendo lo stato d’animo di Samaras: ovvero dare più spazio possibile ai tecnici.

Sia perché più competenti dei politici, sia perché ci metterebbero la faccia proprio al posto della casta ellenica. Quella che ha prodotto la situazione attuale (prossimo bilancio in rosso di 11 miliardi e rotti) e che è la stessa che ora vorrebbe tentare di risolverla. 


La Deutsche Bank e il piano di dismissioni per i governi Ue
di Salvatore Cannavò - Il Fatto Quotidiano - 19 Giugno 2012

Un piano di dismissione gigantesco, proporzionale a quello che coinvolse la ex Germania dell’Est dopo la riunificazione del 1990. E’ questa la richiesta che la Deutsche Bank ha fatto all’Europa, e in particolare al governo tedesco, in suo rapporto di qualche mese fa e che ora abbiamo potuto leggere.

Il documento è del 20 ottobre 2011 e si intitola “Guadagni, concorrenza, crescita” ed è firmato da Dieter Bräuninger, economista della banca tedesca dal 1987 e attualmente Senior Economist al dipartimento Deutsche Bank Researc.

Un testo importante perché aiuta a capire meglio cosa sono “i mercati finanziari”, chi è che ogni giorno boccia o promuove determinate politiche di questo o quel governo.

La richiesta che è rivolta direttamente alla cosiddetta Troika, Commissione europea, Bce e Fmi è quella della privatizzazione massiccia e profonda del sistema di welfare sociale e di servizi pubblici per un valore di centinaia di miliardi di euro per i seguenti paesi: Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda.

Il rapporto stretto con gli “attacchi” dei mercati internazionali si vede a occhio nudo
Gli autori del rapporto hanno come modello di riferimento per questo piano di privatizzazione il vecchio Treuhandanstalt tedesco (l’Istituto di Gestione fiduciaria che, tra il 1990 e il 1994 garanti la dismissione di cira 8000 aziende dell’ex Ddr soprattutto a vantaggio delle imprese dell’Ovest).

Stiamo parlando di un valore patrimoniale di 600 miliardi di marchi tedeschi del 1990 secondo le stime ufficiali, circa 307 miliardi di euro attuali. Nonostante quell’agenzia abbia terminato il suo lavoro con una perdita di 256 miliardi di marchi, lo schema viene riproposto nel documento Deutsche Bank – e a giudicare dalle intenzioni, anche dai progetti governativi: “La situazione difficile sui mercati finanziari non è un ostacolo – scrive il rapporto. Una modalità consisterebbe nel trasferire gli attivi a un’agenzia incaricata esplicitamente di privatizzazione. Questa potrebbe in seguito, a seconda della congiuntura dei mercati, scaglionare la vendita nel tempo”.

Si mette tutto in un fondo comune, dunque, senza fare di questa o quella privatizzazione l’emblema del progetto, in modo da non sapere più cosa e quando viene venduto, aggirando eventuali opposizioni.

Il capitolo che riguarda l’Italia è molto dettagliato, al pari di quelli degli altri stati. Dopo aver fatto una breve disamina della situazione pregressa – dall’Iri alle privatizzazioni di Telecom e delle altre grandi aziende -  il documento ammette che “lo stato nel suo complesso nel corso dell’ultimo decennio si è ritirato in modo significativo” da diversi settori.

Però esistono ancora “potenziali entrate derivanti dalla vendita di partecipazioni in grandi aziende”. Almeno 70-80 miliardi. Ma “particolare attenzione meritano gli edifici pubblici, terreni e fabbricati. Il loro valore è stimato dalla Cassa Depositi e Prestiti per un totale di 421 miliardi”. E, si aggiunge, “la loro vendita potrebbe essere effettuata relativamente con poco sforzo”.

Secondo i dati ufficiali, è di proprietà dello Stato (comprese le regioni, i comuni) un patrimonio complessivo di 571 miliardi, ossia quasi il 37% del Pil”. Quindi, non si tratta di vendere solo qualche quota di Eni o Enel ma interi pezzi del patrimonio pubblicoin particolare l’approvvigionamento di acqua”, misura che appare “utile” soprattutto per via delle “enormi perdite, fino al 30%, dell’acqua distribuita”.

In effetti il testo dedica molto spazio ai servizi pubblici, non solo l’acqua pubblica: “A differenza delle telecomunicazioni, certe parti del settore energetico e dei trasporti (innanzitutto ferroviari) sono ancora suscettibili di privatizzazioni radicali e di una deregolamentazione, da condurre nell’insieme dell’Europa”.

E nel testo non c’è alcun imbarazzo a scrivere che “in principio, la privatizzazione di servizi pubblici di interesse generale presenta dei vantaggi, come ad esempio l’approvvigionamento d’acqua, la gestione delle fognature, l’assistenza sanitaria e le attività non statali dell’amministrazione pubblica”.

Oltre all’Italia, come detto, il rapporto si occupa di altri paesi. La Francia, ad esempio dovrebbe avere circa 88 miliardi di euro di beni capitalizzabili sul mercato, il 4,6% del Pil ma, spiega la Deutsche Bank, “l’intervento statale nell’economia va oltre queste cifre”.

Ci sono le infrastrutture, le centrali idroelettriche a partire dall’Edf che è di proprietà statale e ampi spazi del settore bancario. Per quanto riguarda la Spagna, l’accento è posto sulla vendita di aeroporti, sui servizi di navigazione, i cantieri navali, le Poste, le ferrovie.

Infine, per quanto riguarda la Grecia, si ricorda che gli impegni presi dal paese nei confronti della Troika riguardano il 22% del Pil, circa 50 miliardi di euro di privatizzazioni. Ma, si sottolinea, “lo Stato controlla il 70% del Paese”, quindi c’è ancora molto da fare.


Fuga dai fondi con titoli di Stato Ue (anche tedeschi). In 7 giorni "sparito" un miliardo
di Mauro Del Corno - Il Fatto Quotidiano - 19 Giugno 2012

A rivelarlo è uno studio di Epfr Global. Una migrazione di queste proporzioni, diretta soprattutto a prodotti statunitensi, non si vedeva dallo scorso dicembre. Anche la Germania arranca: “Berlino inizia a risentire anche del rallentamento di economie come quella cinese che potrebbe avere effetti sul suo export”


L’Europa è una cosa sola. Se i suoi membri sembrano avere più di qualche dubbio in merito gli investitori non più. Peccato che questa unione si stia consolidando sui mercati nella cattiva sorte e all’insegna dello slogan “Anywhere but Europe”, ovunque ma non in Europa.

I capitali infatti non scappano più solo dalla Grecia, dalla Spagna o dall’Italia ma cominciano a voltare le spalle anche alla Francia e persino alla Germania.

Tra il 6 e il 13 giugno scorsi i dati sui flussi di capitali elaborati dalla società Epfr global hanno evidenziato un’impressionante accelerazione dei disinvestimenti dall’area euro.

Nei sette giorni che vanno dall’annuncio degli aiuti alle banche spagnole alle elezioni in Grecia, dai fondi che operano in titoli di Stato europei è sparito oltre un miliardo di dollari.

Soldi che sono stati trasferiti in gran parte verso fondi azionari statunitensi e in minor misura verso i paesi emergenti o gli investimenti in oro.

Una migrazione di queste proporzioni non si vedeva dai caldissimi giorni dello scorso dicembre, quando anche l’Italia sembrava sull’orlo della capitolazione e la Bce non aveva ancora riversato sul mercato miliardi e miliardi di euro per fronteggiare l’emergenza.

A differenza di allora però questa volta i deflussi hanno colpito anche i fondi focalizzati sui titoli di Stato tedeschi a testimonianza del fatto che nel tempestoso mare europeo non esistono più porti sicuri ed isole felici.

Del resto come ha spiegato il direttore di Epfr Global Cameron Brandt “Berlino non deve più fare i conti soltanto con i problemi dei suoi vicini ma inizia a risentire anche del rallentamento di economie come quella cinese che potrebbe avere effetti significativi sul suo export”.

Gli ultimi dati sembrano in effetti confermare che ormai la festa sta finendo anche in Germania. Lo scorso aprile (ultimi dati disponibili, ndr) l’export è diminuito dell’ 1,7% rispetto all’anno prima ossia il doppio di quanto atteso.

Peggio delle stime è risultato anche l’andamento della produzione industriale calata dello 0,7%. Gli umori degli imprenditori si fanno così sempre più foschi come mostra l’indice Zew che misura le aspettative sull’economia tedesca, crollato questo mese di 27 punti segnando così il ribasso più forte degli ultimi 14 anni.

“Da qualche settimana l’atteggiamento dei mercati verso la Germania è cambiato” spiega Mario Spreafico, direttore degli investimenti di Shroeder’s Italia che aggiunge “La Germania è un vincente di breve termine. Quando finirà l’effetto di questa sorta di appropriazione indebita di capitali avvenuta negli ultimi mesi a scapito delle altre nazioni europee, il paese dovrà comunque fare i conti con il deterioramento della situazione economica del Vecchio Continente“. “In particolare, ricorda Spreafico, un ulteriore peggioramento della situazione italiana avrebbe conseguenze molto pesanti anche per i tedeschi visto che l’Italia rimane il primo partner commerciale europeo di Berlino”

Più in generale secondo Spreafico gli investitori sono stanchi e sfiduciati di fronte ad una crisi europea che si protrae ormai da un anno senza che da Bruxelles arrivino risposte politiche adeguate alla gravità della situazioni. In un primo momento si è assistito ad uno spostamento di capitali all’interno dell’eurozona ma ormai si tende a ragionare più per aree che per singoli paesi.

La Bce può svolgere un ruolo nel breve termine ma senza un’azione politica efficace il rischio di una rottura del sistema euro diventa concreto e i mercati lo sanno. In questo quadro e in modo un po’ paradossale a salvarsi sono solo le obbligazioni societarie.

Nei primi sei mesi del 2012 sono stati venduti 87 miliardi di corporate bond europei vale a dire il 38% in più del 2011. Colossi industriali come possono essere ad esempio Enel, Danone o Vodafone sono infatti ormai considerate più sicure degli Stati che le ospitano.