mercoledì 21 dicembre 2011

Crisi economica - update

L'Istat oggi ha confermato che nel terzo trimestre 2011 l'Italia è entrata ufficialmente in recessione.

E la manovra economica varata dal governo Monti non farà che aggravare
ulteriormente la situazione.

Intanto il governatore della BCE Mario Draghi ha deciso di regalare circa 500 miliardi di euro alle banche europee ad un tasso dell'1%.

Ma cosa faranno ora le banche con quest'iniezione di liquidità? Compreranno titoli di Stato, sosterranno l'economia reale (imprese e famiglie) o cosa?



Il piano furtivo di Draghi
di Mike Whitney - www.counterpunch.org - 19 Dicembre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Mario Draghi ha elaborato un piano per togliere dall’incudine il sistema bancario dell’UE e per tirare una martellata sui rendimenti delle obbligazioni sovrane allo stesso tempo.

Il direttore della Banca Centrale Europea ha annunciato di voler lanciare il 21 dicembre un programma emergenziale di assistenza alla liquidità, che fornire prestiti “illimitati” alle banche in difficoltà a tassi minimi (1 per cento) fino a tre anni.

Gli analisti di mercato credono che Draghi stia creando un incentivo destinato alle banche per acquistare obbligazioni sovrane ad alto rendimento dai paesi con problema del debito utilizzando denaro a poco prezzo che prendono in prestito dalla BCE.

Se, ad esempio, una banca contrae un prestito per 5 miliardi di euro all’1 per cento e compra lo stesso valore di debito italiano a dieci anni, avrà un guadagno netto del 7 per cento dallo scambio. È un inatteso carry trade, un sussidio diretto dalla banca centrale.

I prestiti della BCE sono istituiti per alleggerire gli stress per le banche affamate di liquidità e allo stesso tempo abbassare il costo di finanziamento di quei governi che sono mazziati dalla crisi del debito.

Il piano di Draghi è in effetti una sorta di alleggerimento quantitativo fatto entrare dalla porta di servizio, la principale differenza è che le banche vengono usate come intermediari dell’acquisto di bond.

Ma, alla fine dei conti, è la stessa cosa, il che vuole dire che la BCE ha stampato soldi in cambio di collaterali rischiosi che stanno rapidamente perdendo di valore.

Il metodo fu già introdotto dalla Fed quando rilevò 1,45 trilioni di riserve di titoli appoggiati sui mutui (MBS) che erano posseduti dalle banche statunitense.

Tre anni dopo non c’è ancora alcun mercato per queste fetenzìe indesiderate che hanno gonfiato i bilanci della Fed di oltre due trilioni di dollari.

Draghi ha dovuto mininizzare quello che sta facendo per ragioni politiche. Una qualsiasi voce riguardo un alleggerimento quantitativo farebbe infuriare gli evangelisti dell’hard money alla Bundesbank.

E così la BCE ha diffuso un comunicato stampa che minimizza in modo estremo gli impatti e le dimensioni potenziali del programma dicendo che è solo progettato “per sostenere i prestiti bancari e l’attività del mercato monetario”.

Esatto. Draghi deve anche nascondere il fatto che la nuova struttura elude “la clausola di non salvataggio” (Articolo 123) del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea.

Alla banca centrale è strettamente proibito di fornire un finanziamento monetario agli stati membri. Me, come abbiamo visto, il programma è destinato a spostare i capitali verso il debito sovrano, fornendo quindi un supporto fiscale ai governi.

In altre parole, l’astuto Draghi sta eludendo le regole e sta furtivamente attuando operazioni da “prestatore di ultima istanza. Ce n’è abbastanza per mettere in agitazione parecchie persone a f Berlino.

Se il piano di prestiti alle banche per acquistare obbligazioni sembra particolarmente tortuoso, è perché lo è davvero. Draghi sta cercando di costruire una plausibile negabilità per le sue iniziative.

Ma i politici sanno cosa sta succedendo. Basta ascoltare cosa ha detto il presidente francese Nicholas Sarkozy quando la BCE ha rilasciato il suo primo annuncio. Questo viene dalla Reuters:

Il Presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto che l’aumento di dotazione di fondi della BCE significa che i governi dei paesi come Italia e Spagna possono contare sulle proprie banche per acquistare le loro obbligazioni. “Ciò significa che ogni stato può affidarsi alle proprie banche, che avranno liquidità a loro disposizione”, ha riferito Sarkozy ai giornalisti alla riunione di Bruxelles. (Reuters)

Capito? Sarkozy sa cosa sta succedendo ed è d’accordo. Probabilmente si sta anche immaginando che i prestiti non verranno mai ripagati totalmente.

E come potrebbero? la gran parte del debito che la BCE accetterà è stato massicciamente inflazionato negli anni della bolla. I prezzi del debito sovrano potranno abbassarsi come successo ai prezzi delle case negli Stati Uniti.

In altre parole, non saranno restituiti. La BCE verrà soffocata da una gigantesca e puzzolente sfilza di asset tossici, come gli asset-backed securities (ABS) con una sola A, tra cui figurano i mutui per l’acquisto di case e i prestiti alle piccole imprese.

Alla fine le perdite verranno passate ai contribuenti dell’eurozona proprio come le perdite della Fed verranno passate ai contribuenti statunitensi. Non ci sarà alcuna differenza.

Nel frattempo, Draghi avrà portato un po’ di respiro all’affannato sistema bancario dell’UE e posticipato la sua morte certa. È degno di nota il fatto che i mercati finanziari sono al momento congelati e le banche non sono in grado di vendere azioni; per questo sono effettivamente diventate distretti della BCE.

Solo la settimana scorsa le banche dell’UE hanno preso a prestito 292 miliardi di euro dalla BCE con altri 41 miliardi di finanziamenti a un mese. Se non ci fosse l’ancora di salvezza della banca centrale, il sistema sarebbe già in agonia.

Quello che sta accadendo alle banche dell’UE avvenne anche alle banche statunitensi dopo lo scoppio della bomba a tempo dei mutui subprime. Quando la loro scorta di titoli basati sui mutui (mortgage-backed securities, MBS) ha dovuto subire una serie di downgrade, la loro protezioni sui capitali si stava deteriorando e i bilanci andavano in rosso.

Molte delle maggiori banche della nazione erano tecnicamente insolventi. Poi arrivarono il TARP e il QE1 e poi sapete il resto.

Questo è il motivo per cui Draghi sta facendo del suo meglio per fornire alle banche una pronta infusione di liquidità.

La situazione sta peggiorando giorno dopo giorno e i politici non sono stati in grado di attivare con successo una qualsiasi delle tre strutture proposte per i prestiti di emergenza: l’EFSF, l’ESM o la struttura da 200 miliardi di dollari del FMI. Tutte e tre sono ancora in fasi diverse di incubazione, e per questo Draghi ha l’onore dell’azione.

Ovviamene, la cosa più logica da fare sarebbe riconoscere che eravamo in presenza di una mostruosa bolla dei prezzi degli asset e agire di conseguenza; ridurre il valore delle obbligazioni in mano ai possessori, falcidiare i detentori di azioni, ristrutturare le banche e fornire sostegno al debito garantendo tassi di interesse sostenibile.

Ma ciò non accadrà mai, perché la grande finanza ha un controllo asfissiante sul sistema, e questo è il motivo per cui Draghi – un ex direttore di gestione di Goldman Sachs – sta tirando le file.

Non ci sarà nessuna ristrutturazione bancaria o nessun haircut, soprattutto se Draghi non ne fa mai menzione, ma solo altri salvataggi fino a distanze siderali.

Quindi, quanti collaterali farlocchi si prenderà la BCE?

Bene, secondo il blog del Financial Times (FT.Alphaville), ci sono circa 7,1 trilioni di euro di prestiti alle grandi e alle piccole e medie imprese nei bilanci delle banche dell’eurozona. E sono sette trilioni con la “T”. Ecco un estratto dal post:

[…] Pensavamo che avrebbe condiviso con voi i pensieri di Goldman su quanto valutare questi prestiti concessi alle grandi e alle piccole e medie imprese come collaterali. È una quota molto al di sotto dei 7,1 trilioni di euro, ma si tratta comunque di un grosso cambiamento:

Dal report di Goldman: “Non è chiaro quanti di questi 7,1 trilioni di dollari alla fine verranno considerati collaterali. Ciò dipende in primo luogo dal limite dimensionale (per i prestiti individuali) e dal rating minimo IRB [Internal Rating Based] […] ma le prime aspettative sono per una quota che va tra 20% e il 50% di prestiti alle grandi aziende che verranno presi come collaterali, prima che vengano praticati gli haircut.” (“Let there be credit claim collateral”, ft.com/alphaville)

Quindi la BCE potrebbe decidersi a una grande espansione dei propri bilanci, forse per una cifra pari ai tre trilioni di euro di fanghi tossici e senza mercato che andrà a ripulire dai bilanci delle banche.

Nel frattempo, le banche dissipatrici che hanno provocato il macello con i loro prestiti avventati e una povera gestione del rischio faranno soldi scambiando i titoli italiani e spagnoli ad alto rendimento con prestiti a basso tasso di interesse dal dissimulatore Draghi.

Ci sono in ogni caso gli scettici, quelle persone che non credono che la magia miracolosa di Draghi spinga le banche a comprare più debito sovrano. Date un’occhiata l’International Finance Review:

È improbabile che le banche vengano in aiuto dei paesi appesantiti dal debito, e molte hanno già in progetto di ignorare le pressioni politiche per dover utilizzare il denaro a poco prezzo fornito dalla Banca Centrale Europea per finanziare gli acquisti di obbligazioni sovrane. […]

Bruciate dalle perdite con la Grecia e sotto scrutinio degli azionisti, le banche hanno tagliato le proprie esposizioni verso i debiti sovrani più deboli d’Europa nei mesi recenti. I banchieri di primo piano dicono che taglieranno ancora, malgrado le pressioni per utilizzare i prestiti a lungo termine ora messi a disposizione dalla BCE per comprare il debito governativo come parte di carry trade sancito ufficialmente.

“Quando gli investitori ti chiedono costantemente cosa hai sui libri contabili e il consiglio di amministrazione ti dice di ridurre la tua esposizione, non conta niente l’aspetto economico dello scambio”, ha detto il tesoriere di una della più grandi banche europee. “Se comprerò obbligazioni italiane? No.”

Questo punto di vista riecheggia i commenti del direttore esecutivo di UniCredit Federico Ghizzoni, che questa settimana ha detto ai giornalisti nel corso di una conferenza stampa che usare il denaro della BCE per comprare debito governativo “non sarebbe logico”. La banca è stata tradizionalmente una dei maggiori acquirenti di titoli di Stato italiani, e ne ha quasi 50 miliardi sui propri bilanci.

Un simile approccio ha inferto un duro colpo ai politici europei, che avevano sperato nell’utilizzo del denaro della BCE da parte della banche per poter guadagnare dal carry trade, aiutando nel frattempo i governi.” (“Banks resist European pressure to buy government”, IFR)

Ma, anche se il tortuoso salvataggio di Draghi potrebbe funzionare, non si tratta di un affare già fatto. Le banche sono sempre più restie dal caricarsi di bond governativi che stanno rapidamente perdendo quota. Le banche dell’UE sono già appese a un filo per i 650 miliardi di euro di passività solo per quest’anno. Ci vogliono sprofondare ancora di più?

Forse sì e forse no. Non lo sappiamo per certo fino all’avvio delle Operazioni di Rifinanziamento a Lungo Termine di Draghi (LTRO) del 21 dicembre. Sarà quando i nodi giungeranno al pettine.

Se il piano avesse successo e se gli interessi sui debiti sovrani dovessero calare mentre il sistema bancario viene lentamente nutrito fino a tornare in salute, in quel caso le azioni di Draghi saliranno di molto.

In effetti, è lui l’uomo più potente in Europa perché sarà in grado di dettare la politica economica semplicemente aggiustando la quantità di debito sovrano che accetterà come collaterale dalle banche.

Questo è l’obbiettivo nascosto di questa struttura di emergenza per la liquidità, quello di mettere la grande finanza in posizione privilegiata così da poter imporre misure di austerità al cilicio alle nazioni inguaiate dal debito grazie alla manipolazione forzosa dei rendimenti dei bond.

È un modo infallibile per travolgere i governi rappresentativi e per affidare le leve del potere ai banchieri non eletti. Ma allora, non c’è proprio niente di nuovo, giusto?



L'intervista di Draghi è la fine dell'euro
di Piergiorgio Gawronski - Il Fatto Quotidiano - 19 Dicembre 2011

Nella notte fra domenica e lunedì, poco dopo la mezzanotte, hanno riaperto i futures della borsa USA. L’apertura ti dice in sintesi come i mercati valutano le vicende del weekend.

Ieri notte ci ho dato un’occhiata: Dow Jones a +7. Tutto calmo. Poi il Financial Times tira fuori lo scoop: intervista a Mario Draghi! Leggo e rimango costernato, raggelato.

Controllo i mercati: cominciano a scendere. È difficile spiegare a un pubblico non esperto l’enormità del contenuto. Anche perché il Governatore della Bce in realtà non dice nulla di nuovo.

Per la prima volta, assembla in modo coerente le sue dichiarazioni dell’ultimo mese, presenta una “teoria generale” della crisi.

Indica come secondo lui ne possiamo uscire, spiega le intenzioni della Bce senza ambiguità. (O forse eravamo noi che ci eravamo illusi). Semplicemente, Draghi ignora tutti i progressi della scienza economica degli ultimi 80 anni, e annuncia che la crisi va affrontata con le politiche già utilizzate fra il 1929 e il 1933 (con risultati catastrofici).

Gli interventi della Bce degli ultimi mesi sono un’anomalia passeggera, dettata dalla necessità (cioè dalla realtà. Ah! La realtà … sempre tra i piedi!).

Riassumo alcuni passi.

Mario Draghi – Non c’è trade-off fra le politiche fiscali di austerità, da un lato, e la crescita o il recupero di competitività dall’altro. Non nego che la restrizione fiscale possa provocare una contrazione economica nel breve periodo …
Financial Times – Lei non crede, al contrario, che alcuni paesi stiano cadendo nella classica “trappola del debitore”? [NdA: una spirale simile a quella greca: austerità, recessione,caduta della base imponibile,aumento del deficit, nuova austerità …]
MD – Lei vede un’alternativa migliore?
FT – Forse qualcuno potrebbe lasciare l’Euro!
MD – Non li aiuterebbe … La svalutazione crea solo inflazione …
FT – … Ma l’Italia negli anni Ottanta [ha ridotto l’inflazione mentre svalutava la lira] …
MD – Guardi, uscire dall’Euro significa rompere i Trattati Europei … E quando si comincia così, non si sa mai dove si va a finire …
FT – … Lei chiede ai governi europei di potenziare l’Efsf, ma … [i mercati hanno mostrato di non credere nell’Efsf]. Forse sarebbe il caso che la Bce si attivasse, almeno per sostenere l’Efsf …
MD – … la gente deve accettare il fatto che noi resteremo nell’alveo del nostro mandato
FT – … Ma non c’è nulla nello Statuto della Bce che limiti gli acquisti di titoli pubblici … o altri interventi … simili a quelli di altre banche centrali … Usa e Uk …
MD – Non credo che distruggere la credibilità della Bce sia una buona idea. (sic!)

In sintesi, Draghi propone (1) “austerità in tutt’Europa, (2) regole EU più dure (anche se fosse quella l’origine del problema, ormai è troppo tardi), (3) riforme “strutturali” dell’offerta”. Come possono queste politiche (restrittive) risolvere una crisi causata da un’eccessiva restrizione della domanda, gli chiede l’intervistatore? Semplice: “le buone politiche generano fiducia (si, bè, eh, mbè!), che a sua volta genererà un aumento della domanda”. Mi pare effettivamente troppo semplice: finora le politiche recessive hanno prodotto solo … recessione! – fa notare l’intevistatore. “È perché non sono state abbastanza recessive, e non abbastanza generalizzate”, spiega Draghi: il senso è questo. Se non ci credete, leggetevi l’intervista!

E se pensate che Draghi abbia ragione, e il G20 torto, date un’occhiata ai mercati, tanto per vedere se le ricette di Draghi ispirano fiducia.

La manovra di austerità di Mario Monti (25 Mld l’anno) doveva servire ad azzerare l’immane tassa che paghiamo agli usurai (98 Mld l’anno) tramite spread abnormi che si sommano ai normali tassi d’interesse.

Monti pensava di riuscirci con la manovra? Io pensavo che non ci sarebbe riuscito? Ok! Ora la manovra è fatta: vogliamo per favore prendere atto che il dibattito è finito? Gli spread sono sempre lì.

E non ci sono manovre o politiche di riserva. Solo inganni e pie illusioni. Come questa, che continuano a propinare all’opinione pubblica: “L’impatto degli alti tassi d’interesse si scarica solo gradualmente sul bilancio pubblico”. Balle.

O le riforme strutturali (liberalizzazioni), che pure auspico (anche la cassata siciliana non è male); come dice il Sole24Ore: hai la polmonite? Fasciati il piede!

Per quanto incredibile, siamo nelle mani di fanatici incompetenti. Mi vien voglia di emigrare. Ma dove?


USA 2012/2016: un Paese ingovernabile e insolvente
da www.leap2020.eu - 16 Dicembre 2011
Traduzione per Megachip a cura di Tullio Cipriano e Pino Cabras

Comunicato pubblico GEAB N° 60 (16 dicembre 2011)

Ogni mese sta diventando un appuntamento ricorrente: ecco alcuni ampi estratti del bollettino di dicembre 2011 redatto dagli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB), fra i più originali studiosi che riflettono sulla Grande Crisi.

Fra le analisi controcorrente, questa segue una corrente ancora diversa. Il documento prevede che le analisi sulla fine dell'euro saranno sovrastate dai problemi del dollaro, un'occasione di emancipazione per Eurolandia.

Le questioni più politiche rimangono però troppo sullo sfondo. Come sempre, molto utili le fonti, i grafici e i collegamenti utilizzati, specie in nota.

Buona lettura.


Come annunciato nel GEAB precedente, il nostro team presenta in questa edizione N° 60 le sue anticipazioni sull'evoluzione degli Stati Uniti per il periodo 2012-2016.

Questo paese, epicentro della crisi sistemica globale e pilastro del sistema internazionale dal 1945, sta per attraversare in questo lustro un periodo particolarmente tragico della sua storia.

Già ora insolvente, diventerà ingovernabile, trascinando gli americani e coloro che dipendono dagli Stati Uniti verso degli shock economici, finanziari, monetari, sociali e geopolitici violenti e distruttivi.

Se gli Stati Uniti di oggi sono già molto diversi da quella "iper-potenza" del 2006, anno di pubblicazione dei primi bollettini GEAB che annunciavano la crisi sistemica globale e la fine dell’onnipotenza USA, i cambiamenti che anticipiamo per il periodo 2012-2016 sono ancora più importanti, e trasformeranno radicalmente il sistema istituzionale del Paese, il suo tessuto sociale e il suo peso economico e finanziario.

Nel frattempo, come ogni mese di dicembre, rimisuriamo le nostre anticipazioni per l'anno che sta per finire. Questo esercizio troppo raramente praticato dai think-tank, dagli esperti e i media (1) è uno strumento che consente ai nostri abbonati (2) come pure ai nostri ricercatori, di riscontrare che il nostro lavoro salvaguardi un alto valore aggiunto e sia aderente alla realtà dei fatti.

Quest'anno il nostro “punteggio” è leggermente migliorato e LEAP/E2020 ha raggiunto un risultato misurabile in una riuscita dell’82% delle nostre anticipazioni per l’anno 2011.

Sottolineiamo inoltre le nostre raccomandazioni su valute, oro, borse nonché sulle conseguenze dell’emarginazione del Regno Unito in seno all'Unione Europea (3) sulla Sterlina, i Gilt e il debito del Regno Unito e formuliamo alcuni consigli concernenti le evoluzioni del sistema istituzionale americano (4).

In questo comunicato pubblico abbiamo scelto di presentare un estratto dalla nostra anticipazione sull’evoluzione degli Stati Uniti per il periodo 2012-2016.

Ma prima di affrontare il caso americano, vogliamo rivedere la situazione in Europa (5).

Dalla non rottura di Eurolandia alla scissione del Regno Unito

Come anticipato dal nostro team, il vertice UE a Bruxelles del 7 e 8 dicembre scorso ha portato a due avvenimenti chiave:

Il proseguimento dell’integrazione di Eurolandia, con accelerazione e il rafforzamento dell'integrazione finanziaria e di bilancio, e l'innesco di un’integrazione fiscale (6). I governi della zona euro, Germania in testa, hanno confermato la loro disponibilità a passare attraverso questo processo, a differenza di tutti i pronunciamenti anglosassoni ed euroscettici, che due anni fa predissero che la Germania avrebbe abbandonato l'euro.

Parallelamente, si rifiutano di seguire il percorso della Fed e della Banca d'Inghilterra evitando di eseguire la stampa di moneta (Quantitative Easing) finché non sia assicurata la disciplina di bilancio all’interno di Eurolandia (7).

L'evidente fallimento dei Quantitative Easing sia negli USA sia nel Regno Unito (8) confermano la pertinenza di questa scelta che permetterà alla fine del 2012 di avviare la creazione di Eurobond (9).

banche centrali

Evoluzione dei bilanci delle banche centrali americana, britannica, giapponese ed europea (2007-2011, giugno 2008 = 100) - Fonte: Société Générale, 11/2011

Al contrario, l’«assicurazione» che il caso greco, rappresentato da una "imposizione volontaria" di uno sconto del 50% ai creditori privati del paese, rimanga un'eccezione è una promessa vincolante solo per coloro che ci credono.

E’ stata anche sbandierata ai quattro venti dal presidente francese Nicolas Sarkozy, i cui cittadini sono ben consapevoli, dopo averlo praticato per ben cinque anni, che le sue promesse non hanno alcun valore durevole e sono sempre di natura tattica (10).

L’emarginazione sostenibile (almeno 5 anni) del Regno Unito in seno all'Unione europea è la chiara conferma che ora a capo degli affari europei c’è proprio Eurolandia.

L’incapacità di David Cameron di essere in grado di raccogliere anche solo due o tre dei "alleati tradizionali" del Regno Unito (11) illustra l'indebolimento strutturale della diplomazia britannica e la generale mancanza di fiducia in Europa nella capacità del Regno Unito di superare la crisi (12).

È anche un indicatore attendibile della perdita di influenza degli Stati Uniti sul continente, giacché l’invio del Segretario al Tesoro Tim Geithner e del vicepresidente Joe Biden a far scorrerie sul Vecchio Continente pochi giorni prima del vertice non è servito a niente e non ha permesso di evitare il fallimento britannico (13).

tassi vari

Confronto dei tassi di interesse sul debito esistente e 10 anni - Fonte: Figaro, 11/2011

Questo vertice avrà dunque effettivamente un risultato di portata storica, ma non perché abbia appianato i problemi finanziari e di bilancio in Europa. Come abbiamo anticipato nel dicembre 2010 e, come Angela Merkel ha appena detto al Bundestag, il percorso di Eurolandia è un viaggio lungo, complesso e caotico, come la strada percorsa dal 1950 in materia d’integrazione europea (14).

Ma è un cammino che rafforza il nostro continente e posizionerà Eurolandia al centro del mondo che si avrà dopo la crisi (15). Se i mercati non sono contenti di questa realtà, è un loro problema.

Continueranno a guardare i loro asset fantasma andare in fumo, le loro banche e gli hedge fund fallire, cercando invano di spingere verso l'alto i tassi sui debiti europei (16) con il risultato di assistere alla completa perdita di credibilità delle note emanate dalle agenzie di credito anglosassoni (17).

toty hedge

Evoluzione delle donazioni dei più importanti hedge funds al partito conservatore britannico (2001-2011) - Fonte: Financial Times, 12/2011

Questo vertice è storico perché conferma e accelera il ritorno dei paesi fondatori della UE alla guida del progetto europeo e perché dimostra che, lungi dall’assistere a un collasso della zona euro, lo shock tentato da David Cameron su ordine dei finanzieri della City (18), porta ad una accelerazione di una frattura del Regno Unito (19).

Oltre al confronto tra liberaldemocratici e conservatori che ha rivelato le attitudini di Cameron, indebolendo sempre di più una coalizione già in cattive condizioni, questa emarginazione del Regno Unito solleva una forte opposizione in Scozia e nel Galles, i cui leader proclamano il loro attaccamento all'UE e la loro volontà, per quanto riguarda la Scozia (20), di aderire all’Euro una volta che il processo di indipendenza sarà avviato, intorno al 2014 (21).

E, ciliegina sulla torta, lo scontro tra la City e il governo britannico è oggi un tema che si estende oltre il Regno Unito e rafforza la determinazione del “continente” di mettere sotto controllo definitivo quell'entità "fuorilegge".

Come abbiamo descritto dopo il dicembre 2009 e l'inizio degli attacchi contro la Grecia ed Eurolandia, la City, spaventata dalle conseguenze della crisi in materia di regolamentazione europea, ha lanciato un attacco contro la nascitura Eurolandia, mettendo a proprio servizio il Partito Conservatore e i mezzi di comunicazione finanziari anglo-sassoni (22).

L'episodio del recente vertice di Bruxelles segna una grande sconfitta per la City in questa guerra di giorno in giorno sempre più di dominio pubblico, provocando il risentimento della maggioranza dei cittadini britannici, non certo contro Eurolandia ma contro la City (23) accusata di essere un parassita del paese (24).

Con 1.800 miliardi di sterline di denaro pubblico investito nelle banche per evitare il collasso nel 2008, i contribuenti britannici sono stati infatti coloro che hanno pagato a più caro prezzo il salvataggio delle istituzioni finanziarie.

E sebbene il governo britannico possa pure continuare a non considerare tale importo nel calcolo del debito pubblico, pretendendo che sia un "investimento", di fatto sempre meno persone pensano che le banche della City si possano riprendere dalla crisi, soprattutto a seguito del peggioramento nel secondo semestre 2011: le azioni acquistate dallo stato, infatti, già non valgono più nulla.

Lo "hedge fund UK" è sul ciglio del precipizio (25) ... e grazie a David Cameron e alla City, è isolato, senza che nessuno lo soccorra, né in Europa né negli USA.

Con la bolla cinese (26) in procinto di unirsi alla recessione europea e alla depressione americana, la tempesta del 2012 determinerà se David Cameron e il suo ministro delle Finanze George Osborne siano degni discendenti dei grandi navigatori britannici.

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Evoluzione dei costi del trasporto marittimo Cina / Europa (in blu) e Cina / USA (rosso) (settembre-novembre 2011) - Fonte: Phantonomics, 12/2011

Ma torniamo ora all’estratto dalla nostra previsione sul futuro degli Stati Uniti per il periodo 2012-2016.

2012/2016 Stati Uniti: un paese ingovernabile e insolvente

In questo bollettino GEAB N ° 60, il nostro team presenta quindi le sue anticipazioni circa il futuro degli Stati Uniti per il periodo 2012-2016. Ricordiamo che dal 2006 e dai primi bollettini GEAB, LEAP/E2020 ha descritto la crisi sistemica globale come un fenomeno che caratterizza la fine del mondo come noi lo conosciamo dal 1945, che segna il crollo del pilastro americano su cui si è retto questo ordine mondiale per quasi sette decenni. Dal 2006, avevamo identificato gli anni 2011-2013 come quelli in cui il "Muro Dollaro" in cui risiede il potere degli Stati Uniti sarebbe andato in pezzi.

Nell'estate 2011, con il downgrade del rating sul credito degli Stati Uniti da parte dell’agenzia S&P è stata segnata una svolta storica e ha confermato che l’"impossibile" (27) si stava trasformando in concreta realtà.

Ci sembra dunque essenziale fornire oggi ai nostri lettori di oggi una visione anticipatrice chiara su cosa attenda il "pilastro" del mondo prima della crisi al momento in cui la crisi è passata ha ingranato la "marcia più alta" a partire dall'estate 2011 (28).

Così, a parere di LEAP/E2020, l'anno delle elezioni 2012, che si apre sullo sfondo di una depressione economica e sociale, di una paralisi completa degli apparati dello Stato federale (29), di un forte rifiuto del tradizionale sistema bipartitico e crescenti dubbi riguardo la rilevanza della Costituzione, inaugura un periodo cruciale nella storia degli Stati Uniti.

Nel corso dei prossimi quattro anni, il paese sarà sottoposto a una serie di sconvolgimenti politici, economici, finanziari e sociali che non ha conosciuto dalla fine della guerra di secessione che, fatalità della storia, iniziò esattamente 150 anni fa nel 1861.

Durante questo periodo, gli Stati Uniti saranno contemporaneamente insolventi e ingovernabili, trasformando in una "battello alla deriva", quella che fu la "nave ammiraglia" del mondo negli ultimi decenni.

Per rendere comprensibile la complessità del processo in corso, il nostro team ha scelto di organizzare le sue anticipazioni in materia suddividendole in tre aree chiave:

1. La paralisi istituzionale USA e la rottura del bipartitismo tradizionale

2. La spirale economica infernale: recessione / depressione / inflazione

3. La decomposizione del tessuto socio-politico USA.

La spirale economica infernale USA: recessione/depressione/inflazione (estratto)

In effetti, gli Stati Uniti finiscono l’anno 2011 in uno stato di debolezza senza equivalenti dalla Guerra di Secessione. Non esercitano più alcuna significativa leadership a livello internazionale.

Il confronto tra blocchi geopolitici si acuisce e vi si affrontano quasi tutti i principali attori del mondo: Cina, Russia, Brasile (e in generale quasi tutto il Sud America) e ora Eurolandia (30).

Nel frattempo, non si riesce ad arginare una disoccupazione il cui tasso effettivo si attesta attorno al 20%, sullo sfondo di una continua riduzione e senza precedenti della forza lavoro (che ora è scesa al livello del 2001 (31)).

Il comparto Immobiliare, base della ricchezza delle famiglie americane insieme al mercato azionario, continua a vedere i suoi prezzi scendere anno dopo anno malgrado i disperati tentativi da parte della Fed (32) di facilitare i prestiti all'economia attraverso i suoi tassi zero.

Il mercato azionario ha ripreso la sua discesa interrotta artificialmente dai due Quantitative Easing nel 2009 e 2010. Le banche americane, i cui bilanci sono molto più carichi di prodotti finanziari derivati rispetto ai loro omologhi europei, si avvicinano pericolosamente a una nuova serie di fallimenti di cui MF Global rappresenta un segnale di avvertimento, che dimostra l’inesistenza di alcuna procedura di controllo o di allerta a tre anni dal il crollo di Wall Street nel 2008 (33).

La povertà aumenta ogni giorno di più in un paese in cui ormai un americano su sei dipende dai buoni pasto (34) e dove un bambino su cinque sperimenta episodi di vita di strada (35).

I servizi pubblici (istruzione, servizi sociali, polizia, strade, ...) sono stati significativamente ridotti in tutto il paese per evitare il fallimento di città, contee e stati. Il successo della rivolta della classe media e dei giovani (TP e OWS) è dovuto a questi sviluppi oggettivi. E i prossimi anni vedranno queste tendenze aggravarsi.

Lo stato di debolezza dell'economia e della società statunitense del 2011 è paradossalmente il risultato dei tentativi di "salvataggio" condotti nel 2009/2010 (stimolo, QE, ...) e del deterioramento di una situazione "normale" pre-2008. Il 2012 segnerà il primo anno di deterioramento di una situazione già assai deteriorata (36).

Piccole e medie imprese, le famiglie, le collettività locali (37), i servizi pubblici,... non hanno più dei "materassi" per attutire il colpo della recessione in cui il paese è di nuovo caduto (38). Abbiamo previsto che il 2012 avrebbe visto un calo del 30% del dollaro contro le valute mondiali. In questa economia, che importa la maggior parte dei suoi beni di consumo, questo si tradurrà in una diminuzione quasi uguale del potere d'acquisto delle famiglie americane sullo sfondo di un'inflazione a due cifre.

TP e OWS hanno quindi un futuro luminoso davanti a loro perché l'ira del 2011 diventerà grande rabbia nel 2012/2013 ...

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Note:

(1) Per non parlare delle agenzie di rating che passano il loro tempo a cambiare le loro valutazioni, la prova che non hanno una metodologia affidabile e galleggiano in balia delle pressioni e delle mode.

(2) Che possono giudicare e direttamente sia per la rilevanza delle nostre aspettative e l'onestà delle nostre valutazioni.

(3) Un’evoluzione da molto tempo anticipata dal nostro team.

(4) Su richiesta di molti lettori USA.

(5) Sarà nei bollettini GEAB 61 o 62 che presenteremo le nostre anticipazioni per l'UE 2012-2016.

(6) Il presidente dell'Unione europea, Herman Van Rompuy, ha quasi ragione a dire che in pochi anni si reputerà questo fine anno 2011 come un "annus mirabilis" per l'Europa. Per il nostro team sarà il 2012 ad essere effettivamente l'anno chiave. Fonte: Le Soir, 13/12/2011

(7) Fonte: New York Times , 12/10/2011.

(8) La Banca dei Regolamenti Internazionali ha recentemente segnalato al Regno Unito che la sua politica di Quantitative Easing stava per fallire. Fonte: Telegraph , 12/12/2011

(9) nonostante quel che ne dica oggi Angela Merkel.

(10) I tedeschi, gli olandesi e altri paesi in surplus sono anche determinati a tornare a questo punto quando sarà il momento. E noi manterremo la nostra anticipazione sul fatto che il 30% dei debiti pubblici occidentali non saranno rimborsati nel 2012: in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti.

(11) Vale a dire, i paesi europei ancora sottomessi a Washington come la Repubblica Ceca di Vaclav Klaus, i paesi baltici o la Svezia.

(12) Tutti i paesi al di fuori della zona euro, ad eccezione del Regno Unito, si sono silenziosamente messi in fila dietro la bandiera della moneta unica europea. Ma, ovviamente, sono sicuramente "irresponsabili", "idioti" o "incoscienti"... a differenza dei cronisti dei media anglosassoni i quali sanno che tutto ciò è destinato a finire sotto scacco. Proprio come prima del 2008, erano persuasi della invincibilità della finanza anglosassone o, fino alla seconda metà del 2011, che la crisi fosse sotto controllo! Fonte: Libération , 13/12/2011.

(13) Questo tipo di visite USA ad alto livello o di colpi di telefono presidenziali ampiamente riportati dalla stampa USA, appena prima di un vertice UE, è diventato una caratteristica dell'amministrazione Obama. Mancando la capacità di influenzare gli eventi – dopo che quelli di Eurolandia hanno detto chiaramente a Washington di farsi gli affari suoi - aiuta a convincere il pubblico americano che Washington è ancora il "deus ex machina" degli affari europei, anche se dal 1945, l'influenza degli Stati Uniti mai è stata così bassa nei confronti dell’evoluzione dell'Europa. È pur vero che senza soldi, senza nessuna minaccia comune e senza credibilità in materia economica e finanziaria il compito degli inviati americani non è facile!

(14) Fonte: Euronews , 14/12/2011

(15) Secondo LEAP/E2020, Angela Merkel è senza dubbio ora l'unico "statista" europeo e perfino occidentale. Non è una grande visionaria, ma è l'unica esponente politica che unisce l'esigenza di politiche difficili con una visione positiva del futuro. E comunque la pensiamo, mostra una determinazione innegabile, una qualità necessaria per ottenere le cose che sono importanti in politica e sono sempre cose difficili.

(16) Noi diciamo "invano" per due ragioni. Primo, perché i tassi effettivi attuali non sono quelli utilizzati dalla stampa (vedi tabella sopra), e in secondo luogo, perché, secondo la nostra analisi, la zona euro nel 2012 o all'inizio del 2013, se i tassi di interesse continueranno a salire, si incarica di raccogliere direttamente una parte del grande risparmio europeo per disimpegnarsi alle sue condizioni dai mercati finanziari anglo-sassoni che dovranno accettare uno sconto di grandi dimensioni.

(17) A questo proposito, la composizione dell’azionariato delle tre agenzie illumina la completa mancanza di indipendenza delle loro decisioni, essendo esse nelle mani di alcune banche di grandi dimensioni e fondi di investimento USA (fonte: Bankster, 04/11/2011). È tempo che degradi la valutazione di Eurolandia di vari punti... affinché gli investitori facciano le loro scelte: credere alle note delle agenzie o affidarsi alle proprie opinioni (fonte: CNBC , 15/12/2011). Ci sarà una differenza alla fine. Secondo LEAP/E2020, coloro che seguiranno le agenzie saranno i grandi perdenti di questa crisi finanziaria. E il tentativo da parte dei governi europei a "mantenere i loro rating AAA a tutti i costi", come nel caso di Nicolas Sarkozy, dimostra una cosa: non fanno che ascoltare i loro amici finanzieri. Quando si è Eurolandia, cioè il primo blocco commerciale globale, il titolare del più grande risparmio globale, ecc ... sarebbe possibile fregarsene completamente delle agenzie di rating. O le si ignora o si spezzano le loro reni. Due cose che saranno nel programma del 2012, d’altronde.

(18) Gli "hedge funds" della City sono diventati il principale finanziatore del partito conservatore (vedi tabella sopra) che di fatto è il loro intermediario politico. E questi stessi "hedge funds" provano ovviamente un affetto speciale per gli euroscettici britannici di cui Roger Cohen dipinge un quadro particolarmente edificante nel New York Times del 13/12/2011. Ciò che gli euroscettici britannici rimproverano ad Angela Merkel, non è che lei sia tedesca, ma che non sia nazista. Se così fosse, le loro idee di "razza superiore" potrebbero essere espresse più facilmente in seno alla UE.

(19) Che si ritrova privo d’influenza sulle decisioni che lo riguardano comunque. Fonte: The Guardian, 10/12/2011.

(20) Fonti: Scottish TV, 10/12/2011, Galles online, 12/12/2011, Independent, 05/12/2011.

(21) A questo proposito, il nostro team ha colto l'occasione di condividere le sue riflessioni sull'uso del termine "Unito" nei nomi dei Paesi. Crediamo che tutti i paesi o entità politiche che mettono la parola Unito o Unione nel loro nome siano condannati alla disunione il giorno in cui una grave crisi modifichi gli equilibri interni. Il fatto di utilizzare il termine "Unito" maschera infatti un problema fondamentale di identità comune. Ecco perché l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è crollata, le Province Unite erano rotte e gli Stati Uniti come il Regno Unito si trovano ad affrontare crescenti tendenze centrifughe. Questo è anche perché l'Unione europea non è un'entità politica praticabile (è destinata ad essere nient’altro che un grande mercato; fonte: Spiegel, 18/11/2011)... a differenza dell’Eurolandia non ha bisogno di aggiungere Unione o Unito per avere una comune identità. Franck Biancheri, direttore di LEAP/E2020, aveva così espresso, per questi motivi, l'opposizione all'adozione del termine Unione europea al posto di Comunità europea nei primi anni novanta.

(22) e utilizzando pienamente la sua capacità di manipolare il corso delle valute e altre attività finanziarie. Un’attitudine in rapido declino a causa della crisi e del crescente svelamento della manipolazione in corso.

(23) Fonte: Independent, 10/12/2011.

(24) La City è un residuo feudale che sfugge a qualsiasi seria regolamentazione nel Regno Unito. Non foss’altro perché si tratta di un grande centro finanziario che troppo pochi controllori "controllano", sostenuto dalla sua vasta rete di paradisi fiscali composta dai coriandoli dell'ex Impero britannico. Per la cronaca, France Télévisions ha pubblicato un reportage straordinario sulla City a partire dal novembre 2011. Si potrebbe dire che la City è una sorta di base "pirata" a immagine delle coste barbaresche che le potenze europee avevano finalmente debellato con le campagne militari nel XIX secolo, dopo secoli di pirateria e contrabbando di tutti i generi.

(25) Che sia a causa del debito pubblico o del debito privato. Così nel 2012 gli investitori immobiliari britannici non saranno in grado di rifinanziare 156 miliardi di dollari USA in prestiti. Fonte: Bloomberg , 09/12/2011.

(26) Fonti: Telegraph , 14/12/2011, Les Echos , 01/12/2011.

(27) Ricordiamo che solo un anno fa appariva cosa del tutto bizzarra prevedere una tale degradazione. Esperti finanziari, media specializzati e altri esperti del «futuro come una copia fedele del passato», ritenevano impossibile un tale degrado, o, eventualmente, dopo cinque o dieci anni se la situazione finanziaria del paese avesse continuato a deteriorarsi.

(28) Questa esigenza è ancora più forte perché le sfere mediatiche e finanziarie sono completamente parassitati dal "richiamo" rappresentato dalla «crisi dell'Euro», destinata, come sottolineiamo da due anni in qua, a nascondere la gravità della situazione nel cuore del sistema finanziario globale, in particolare a Wall Street e alla City. Il fallimento clamoroso di David Cameron a Bruxelles la scorsa settimana dimostra anche il panico che regna nel cuore della finanza anglosassone.

(29) L’Eurolandia, nonostante i suoi "handicap" richiamati in lungo e in largo dai media anglosassoni e i sarcasmi isterici degli intermediari di Wall Street e della City, gestito per quasi due anni per costruire un intero nuovo apparato politico e istituzionale inteso ad attraversare la crisi e prepararsi al mondo che verrà dopo. Gli Stati Uniti al contrario si sono dimostrati del tutto incapaci della minima iniziativa volta ad adattarsi al nuovo mondo, come ha dimostrato ancora di recente il fallimento della supercommissione sulla riduzione del deficit nonostante il suo obiettivo assai limitato di 1.500 miliardi in riduzioni spalmati su 10 anni (vedi tabella sopra). La storia degli Stati come quella delle specie, tuttavia, mostra che la capacità di adattamento è fondamentale per la sopravvivenza, ed è una legge senza eccezioni.

(30) Nella sua bellissima poesia «Se», Rudyard Kipling scriveva «...Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto / Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi / O, essendo calunniato / Non rispondere con calunnie / Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa».. E questo consiglio vale per le comunità così come per gli individui, perché la lettura della stampa anglosassone sull'euro e Eurolandia fa irresistibilmente ripercorrere mentalmente alla nostra squadra questo passo della poesia. Tuttavia, con la marginalizzazione del Regno Unito all'interno dell'UE e una più rapida integrazione di Eurolandia (secondo le nostre aspettative), constatiamo l'attraversamento di una barriera psicologica in Eurolandia: il momento non è più quello di gestire le suscettibilità dei nostri "alleati" anglosassoni, ma semplicemente quello di proteggersi dagli attacchi dei nostri avversari anglosassoni. A differenza dei media e degli esperti «mainstream» di Wall Street e della City, gli Eurolandiani non perdono tempo “a distorcere le parole per ingannare gli sciocchi"; si accontentano di prendere in considerazione la realtà, di procedere “riuscendo a sopportare" e quindi tagliare una per una le corde che li legavano ai centri finanziari (e un domani a quelli politici) britannici e americani. Il nostro team non può resistere alla tentazione di presentare una nuova dimostrazione della quotidiana manipolazione dell’informazione di cui hanno fatto una specialità gran parte dei media britannici e americani. Così, nel quadro della nostra rubrica, ci sono coloro che "distorcono le parole per ingannare gli sciocchi" MarketWatch ha pubblicato un articolo in data 14/12/2011 dal titolo "I gestori di fondi temono un collasso della zona euro". Ma cosa abbiamo scoperto dentro questo articolo? Che la loro preoccupazione principale (per il 75% di loro) era un ulteriore deterioramento del rating degli Stati Uniti (il 48% pensa che accadrà nel 2012) e solo il 44% di loro pensava che ci fosse il rischio che un paese uscisse un giorno dalla zona Euro, senza parlare dei tempi occorrenti. Una titolazione onesta avrebbe dovuto suonare così: "I gestori di fondi temono un ulteriore deterioramento del rating degli Stati Uniti". Ma come si dice in francese: «à la guerre, comme à la guerre!»

(31) Mentre allo stesso tempo la popolazione degli Stati Uniti è aumentata di 30 milioni di abitanti, con un incremento del 10%. Fonte: Washington Post, 02/12/2011.

(32) Per la nostra squadra, il periodo 2013/2014 fornirà, attraverso il Congresso e grazie al supporto di massa presso l’opinione pubblica, un'opportunità senza precedenti per chiedere lo smantellamento della FED. Le convinzioni antifederali del movimento dei Tea Parties e quelle anti-Wall Street di OWS troveranno in ciò un irresistibile punto di convergenza.

(33) A questo proposito è interessante notare che le agenzie di rating, Moody’s in testa, ancora una volta non hanno visto nulla arrivare dal momento che, fino alla fine dell'estate 2011, MF Global era raccomandata da queste agenzie ... sebbene la società stesse già per prosciugare i conti di clienti nel tentativo di sopravvivere. Invitiamo quelli che credono che i loro investimenti siano meglio protetti a Wall Street o alla City affinché riflettano su questo "dettaglio".

(34) Fonti: MSNBC, 11/2011; RT , 08/12/2011.

(35) Questi sono i numeri che classificano d’ora in poi il rango del paese interamente nella categoria "Terzo Mondo" in materia sociale. Fonte: Beforeitsnews , 29/11/2011.

(36) Il Paese non può più generare crescita, come spiega Gregor McDonald su SeekingAlpha del 05/12/2011.

(37) Fonte: Washington Post , 29/11/2011.

(38) In realtà, non l’ha mai lasciato dal 2008, ad eccezione tecnicamente delle misure macroeconomiche. Ma nessuno mangia macroeconomia ... tranne gli economisti.



Monti, rigore senza crescita: l’Europa si suicida in Italia
di Giorgio Cattaneo - www.libreidee.org - 19 Dicembre 2011

L’Islanda ha dichiarato il default e ha rotto i patti. Sfortuntamente, l’Italia è un paese molto più grande: difficile rompere i patti, perché dipenderebbe da noi il futuro dell’Unione Europea. Non si vuole finire, tra un anno, peggio di oggi?

Allora Monti non dovrebbe incontrarsi prima di tutto con la Merkel e con Sarkozy, ma con Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Dovrebbe andare a Bruxelles e dire: scusate, noi vogliamo rinegoziare tutto.

Dobbiamo stracciare il Trattato di Maastricht e ricominciare un processo costituente europeo con la partecipazione dei popoli europei, e a questo punto ridiscutiamo tutto: il meccanismo di finanziamento degli Stati, questo debito sovrano, è una grande truffa.

Siccome siamo decisivi, l’Europa dovrebbe ascoltarci. Se noi andiamo a finire dove ci vogliono mandare, i tedeschi dove vanno a venderli i loro prodotti? Di fatto, sono dei suicidi senza saperlo.

Questa che viene tentata da Monti è una manovra senza destino: perché non ci sarà crescita, come scopriremo tra un anno, un anno e mezzo. Quello che

stanno facendo è un rifinanziamento delle banche internazionali. Nuova immissione di debito: stanno immettendo una nuova, gigantesca valanga di denaro virtuale per tenere in piedi le banche.

Non regge: è saltato nel 2007, salterà di nuovo nel 2012, 2013. Monti e Draghi stanno facendo il gioco della grande finanza americana. Chi ha aperto questa grande crisi non è l’Europa, sono gli Stati Uniti.

Tutto è cominciato con la crisi dei subprime, cioè dei mutui “facili”. Loro hanno creato questa gigantesca bolla di debito impagabile.

Non mi fido di loro e delle loro 9 super-banche, perché loro sono i protagonisti di questo disastro. Monti e Draghi, i due Mario, sono i loro missi dominici: hanno preso il governo della Grecia, dell’Italia e della Banca Centrale Europea. Lo dico apertamente: di loro non mi fido.

La crisi è diventata molto grave e non è manovrata: ormai sfugge al controllo anche dei grandi potentati del mondo. E poi siamo molto ingannati, parliamoci chiaro: io non credo a una sola parola che è stata detta fino ad ora sulla crescita.

In un editoriale, Eugenio Scalfari ha scritto che nella cartuccera di Monti ci sono due pallottole: il rigore e la crescita. In realtà ne ha una sola, perché la crescita non ci sarà. Il governo ci sta dicendo: adesso vi toccherà una dose da cavallo di sacrifici, dopodiché ci sarà la crescita. E qui casca l’asino, perché tutti i dati dicono che l’Europa non crescerà, e a lungo: siamo di fronte a un decennio di non-crescita.

La Germania è dato allo 0,8%, cioè alla stagnazione. E se presenti agli italiani un programma che significa compressione del tenore di vita, riduzione dei salari, delle pensioni e della spesa sociale, tu avrai una situazione direcessione drammatica.

Domanda: come fai a proporre agli italiani un programma di risanamento che prevede la recessione? C’è qualcosa che non funziona: qualcuno qui trucca le carte.

Costituitosi il 17 dicembre a Roma, il comitato No-Debito dice: noi questo debito non lo dobbiamo pagare, perché è un debito iniquo, illegale, che va totalmente rinegoziato. So bene che questa situazione deriva da diverse ragioni; non è tutta colpa della speculazione, ma anche della cattiva gestione delle finanze da parte delle classi dirigenti italiane.

Ma le cifre sono chiare: 750 miliardi del nostro debito sono frutto della speculazione finanziaria internazionale. Se nel Trattato di Maastricht e in altri trattati europei, scrivi che – per finanziarsi – gli Stati devono fare ricorso obbligatoriamente al mercato finanziario internazionale, e se quel mercato è truccato, vuol dire che tu sei col cappio alla gola.

E allora: se qualcuno ha truccato le cifre, per quale ragione dovrei pagare queste cifre truccate?

Quando so che Standard & Poor’s, che è quella che ci dà i voti, insieme a Moody’s e alle altre agenzie di rating è nelle mani delle grandi banche di investimento americane, come faccio a fidarmi del loro giudizio?

Una delle cose che chiederei a Monti è questa: voglio sapere chi sono i nostri creditori. Vorrei un audit, cioè sedute pubbliche in cui una commissione di persone competenti ci dica esattamente nomi, cognomi e indirizzi di coloro che hanno nelle mani il nostro debito: a quel punto, potremmo decidere cosa ègiusto e cosa non è giusto pagare. Io sono assolutamente convinto che i 4/5 del nostro debito non solo legali: vanno rimessi in discussione.

In realtà siamo stati trasformati tutti in consumatori collettivi, in una situazione in cui il paradosso principale è che tutti ormai sono abituati a concepire la loro vita in termini di consumo, quando il consumo dovrà essere ridotto. Monti e la Goldman Sachs si sbagliano: l’Occidente non crescerà più. E’ finita, siamo arrivati ai limiti dello sviluppo.

Mi baso sulle più importanti previsioni, come quelle elaborate molti anni fa dal Club di Roma: tutti i fattori principali che hanno costituito la crescita delle società occidentali negli ultimi due secoli stanno finendo, e finiranno la qui alla metà di questo secolo, forse anche prima.

Allora, la necessità che abbiamo di fronte è questa: rieducare milioni di persone a una vita diversa da quella che hanno fatto fino ad ora. Non voglio fare allarmismo: una vita più sobria, con meno consumi, sarebbe una vita migliore: con meno inquinamento e meno malattie.

I ragazzi delle scuole sono perfettamente in grado di capire, solo che bisogna che qualcuno glielo dica. Una delle ragioni di questa “macchina dei sogni”, è che l’agenda viene fatta lontano da noi, ai piani alti della torre, tra persone che sanno come stanno le cose; i giornalisti dovrebbero essere i primi a difenderci, ma spesso non sono informati.

Eppure dovrebbero essere decisivi in questa operazione. Quella che sta arrivando è una crisi multipla, quella finanziaria è solo la ciliegina sulla torta. In realtà c’è la crisi energetica, c’è la crisi dell’acqua, la crisi del clima.

Stiamo arrivando molto in fretta a una fase di gravi modificazioni della nostra vita. Bisogna quindi fare in modo che molte persone, in un colpo solo, siano raggiunte da questo nuovo messaggio: ci vuole un impegno radicalmente nuovo del sistema dei media.

(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate nell’intervista televisiva realizzata il 12 dicembre da “Antenna Sud”).



Il Titanic-Europa e la manovra Monti: ingiusta, inutile e insostenibile
di Vladimiro Giacchè - www.marx21.it - 19 Dicembre 2011

Tra le tante verità con cui la crisi attuale ci costringe a confrontarci ve n’è una che riguarda la forza dell’ideologia. La resilienza dell’ideologia dominante, la capacità di tenuta del “pensiero unico” si è dimostrata tale che persino entro la crisi del capitalismo peggiore dagli anni Trenta tutti i luoghi comuni che di quella ideologia avevano costituito l’ossatura nei decenni precedenti hanno continuato a operare, per così dire fuori tempo massimo e in un contesto che ne rende evidente la falsità teorica e la dannosità sociale.

La razionalità dei mercati, lo Stato che deve dimagrire, la necessità delle privatizzazioni, le liberalizzazioni come toccasana, la deregolamentazione del mercato del lavoro come ingrediente essenziale della crescita: praticamente nessuno di quei luoghi comuni, che proprio la crisi scoppiata nel 2007 si è incaricata di smentire clamorosamente, ci viene risparmiato dagli attori e dalle comparse che occupano la scena politica.

Il problema è che, di mistificazione ideologica in mistificazione ideologica, il distacco dalla realtà aumenta sino a diventare patologico. È quello che accade quando si suggerisce, come terapia per i problemi che stiamo vivendo, di più delle stesse misure che hanno creato quei problemi.

Questo distacco dalla realtà, tipico delle élite politiche che stanno per essere travolte dalla storia, si percepisce distintamente quando si leggono le dichiarazioni di intenti che concludono i vertici europei, i comunicati degli incontri tra capi di governo, le interviste di ministri e presidenti del consiglio, “tecnici” o meno.

E pensare che, se non venisse letto attraverso le lenti dell’ideologia neoliberista, quello che sta accadendo sarebbe in grado di illuminare la vera storia di questi ultimi decenni dell’Italia e dell’Europa.

A cominciare dal vizio di fondo dell’Unione Europea.

Che ha dato vita al suo interno ad un’unione monetaria sbilenca (chi ha detto che “non si tratta di un’area valutaria ottimale” ha espresso lo stesso concetto).

Sbilenca perché alla moneta comune non si è affiancata una politica economica comune. E questo non è potuto avvenire perché all’interno dell’Unione (e anche nell’eurozona) non si è voluto che ci fosse una politica fiscale comune. Il meccanismo tecnico attraverso cui questo è avvenuto si chiama “decisioni all’unanimità” sulle politiche fiscali.

In assenza di regole fiscali comuni (ossia di soglie minime di tassazione e di aliquote fiscali uniformi nei diversi Stati dell’Unione), le imprese hanno potuto fare arbitraggio fiscale, creando o spostando filiali operative nei Paesi in cui la fiscalità era più conveniente (vedi alla voce Irlanda).

Questo a sua volta ha ingenerato una concorrenza al ribasso tra le fiscalità e quindi una tendenziale riduzione delle tasse medie sulle imprese su scala europea (in qualche caso nella forma di aliquota più basse che in passato, in altri – come nel caso del nostro Paese - di un ampio e tollerato ricorso all’evasione fiscale).

Tutto questo ha avuto diversi effetti negativi. In primo luogo - siccome i vincoli di Maastricht imponevano comunque soglie basse di deficit – vi è stato un aggravio del carico fiscale sulle persone fisiche (ed in particolare sui lavoratori dipendenti) e una riduzione delle prestazioni sociali erogate dagli Stati, indebolendo anche per questa via la domanda interna nei Paesi dell’Unione.

In secondo luogo (lo si è visto dal 2009 in poi) l’assenza di una politica economica comune ha reso questa crisi impossibile da governare.

L’altro ambito cruciale in cui il meccanismo delle decisioni all’unanimità ha consentito di non uniformare le legislazioni è quelle delle politiche sociali e dell’impiego. Standard di protezione, livelli salariali, stipendi minimi: tutto questo non è stato comunitarizzato, ma è rimasto a livello nazionale.

Le conseguenze di tutto questo sono ovvie:

  1. Nessuno Stato membro può mettere dazi all’importazione su prodotti di altri Paesi dell’unione.
  2. Ma ogni Stato membro può permettere che le proprie imprese abbassino gli standard di protezione dei lavoratori per abbassare i costi e vincere la competizione con gli altri Paesi dell’Unione Europea: è quello che in questi anni è stato fatto in Germania, in cui dall’introduzione dell’euro i salari non solo non hanno ricevuto che le briciole dell’aumento della produttività del lavoro, ma sono addirittura diminuiti del 4,5% in termini reali (cioè tenuto conto dell’inflazione); in nessun altro Paese dell’eurozona è successo questo (ed è precisamente questo uno dei principali motivi dell’avanzo commerciale tedesco nei confronti degli altri Paesi della zona euro).
  3. E ogni impresa può migliorare la propria “competitività” facendo arbitraggio fiscale tra i diversi Paesi della stessa Unione Europea (l’hanno fatto praticamente tutte le grandi imprese).

In questo modo i costi sociali della “competitività” li pagano i lavoratori. E li pagano tre volte: con meno salario e meno diritti, più tasse e meno servizi.

Non solo. In assenza di un’unione economica, l’unione monetaria, grazie alla fine del rischio di cambio, ha accentuato la specializzazione produttiva tra i diversi paesi dell’Unione (Germania sempre più forte nel manifatturiero, altri paesi in servizi, immobiliari o di altro tipo, non rivolti all’esportazione: con il conseguente accumulo di debito di questi paesi verso l’estero).

Inoltre questa unione, essendo da un lato priva di meccanismi economici di compensazione degli squilibri strutturali tra i diversi Paesi dell’eurozona, a cominciare da quelli della bilancia dei pagamenti, e dall’altro rendendo impossibili svalutazioni competitive, aveva per così dire scritto nel suo DNA il rischio di diventare una camicia di forza intollerabile in caso di gravi difficoltà economiche di alcuni dei paesi che ne fanno parte.

Questo rischio si è materializzato con la crisi del 2007-2008.

Quando, a partire dagli Stati Uniti, salta il modello di crescita drogata dalla finanza e a debito (debito privato prima ancora che debito pubblico) e la crisi attraversa l’Atlantico e colpisce anche in Europa, succede questo:

  • gli Stati si svenano per soccorrere le imprese private (finanziarie e non) in difficoltà, ponendo per questa via le premesse per l’attuale crisi del debito sovrano (questo discorso è in buona parte generalizzabile, ma in Europa vale soprattutto per Irlanda e Spagna, oltreché per Francia e Germania);
  • diminuisce il prodotto interno lordo e quindi aumenta il rapporto debito/PIL (questo ha avuto gravi conseguenze soprattutto in Italia);
  • crollano le entrate fiscali dello Stato, peggiorando anche per questo verso il rapporto debito/PIL (le conseguenze di questo sono state particolarmente gravi in Grecia, dove le basse entrate fiscali hanno impedito di nascondere più a lungo la reale situazione dei conti pubblici, che era stata coperta con trucchi contabili per poter entrare nell’eurozona);
  • i flussi di capitali esteri diretti verso alcuni paesi cominciano a prosciugarsi e evidenziano il deficit della bilancia commerciale di questi paesi e più in generale l’insostenibilità del debito verso l’estero di questi Paesi (Grecia, Portogallo, di nuovo Spagna).

Come sappiamo, la crisi scoppia in Grecia nel novembre 2009, quando i socialisti di Papandreu, appena vinte le elezioni, decidono di rendere note le condizioni dei conti pubblici, molto più drammatiche di quanto si pensasse.

A questo punto l’Unione Europea è di fronte a un bivio: o si va in direzione di un’Unione dei trasferimenti (di impronta federale), oppure si continua ad andare ognuno per sé, accentuando il carattere già marcatamente intergovernativo delle politiche, perdipiù a forte dominanza (non prevista da alcun trattato) franco-tedesca.

Si sceglie la seconda strada. E iniziano mesi di tira e molla sugli aiuti da dare alla Grecia e sulle condizioni cui subordinarli. Nel frattempo la speculazione brucia il valore dei titoli di Stato ellenici, peggiorando gravemente la situazione.

Ma c’è un motivo di fondo per cui la Grecia non può essere lasciata sola: questo motivo è rappresentato dagli ingenti prestiti concessi delle banche tedesche e francesi alla Grecia (per permettere allo Stato e ai cittadini greci di comprare prodotti tedeschi e francesi, incluse le armi, in relazione alle quali la Grecia era dopo gli Stati Uniti lo Stato dell’Ocse che spendeva di più in proporzione del prodotto nazionale).

Il problema viene “risolto” nel maggio 2010 con un “salvataggio” che è in realtà un salvataggio delle banche tedesche e francesi e non della Grecia.

In cambio di nuovi prestiti alla Grecia vengono imposte manovre di austerità durissime, che deprimono l’economia (basti dire che nell’ultimo anno la domanda interna è crollata del 18%) e fanno precipitare consumi ed investimenti. Con il risultato di far balzare il rapporto debito/pil dal 128% del 2009 al 150% del 2010.

Nel frattempo quello che era un problema molto circoscritto (anche perché relativo ad un Paese che esprimeva appena il 5% del PIL dell’area) si allarga. Altri paesi sono colpiti.

L’Unione Europea reagisce nel modo peggiore. Non soltanto non spegne nessuno degli incendi che divampano in questi paesi, ma restringe i requisiti e le sanzioni previste dal “patto per la stabilità e la crescita” di Maastricht, trasformandolo a tutti gli effetti – secondo una felice battuta di Martin Wolf del Financial Times – in un “patto per l’instabilità e la stagnazione”.

All’interno di un più generale irrigidimento dei criteri, si fa qualcosa di destinato ad avere pesantissime ripercussioni negative sul nostro Paese: si decide di porre l’attenzione non soltanto sul deficit ma sul debito pubblico. In questo modo l’Italia, fino ad allora fuori dai riflettori, entra in gioco.

La più importante in assoluto delle critiche che devono essere fatte al governo Berlusconi riguarda il fatto di non aver posto il veto su questa modifica dei trattati, le cui conseguenze estremamente negative erano chiare da mesi (ne avevo trattato già il 5 ottobre 2010: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/05/farla-finita-con-questa-europa/67958/ ).

Il nuovo patto prevede in particolare una procedura di rientro dai debiti che eccedono il 60% del PIL nella misura del 5% (dell’eccedenza) annuo. Questo per l’Italia, il cui debito pubblico a causa della crisi è tornato al 120% del PIL, significa la necessità di un avanzo di bilancio dell’ordine di 47 miliardi all’anno.

Chiunque sappia fare due conti – e chi opera sui mercati generalmente questo lo sa fare - capisce che si tratta di un onere assolutamente insostenibile.

Le decisioni europee sono di fine marzo. Da inizio aprile lo spread tra i Btp decennali e i Bund decennali (ossia la differenza tra gli interessi che lo Stato italiano deve pagare a chi detiene i suoi titoli di Stato e quella che paga il governo tedesco) comincia a crescere e passa in pochi mesi da 120 punti base ai 497 di novembre.

In mezzo c’è il peggioramento della situazione greca (che rende visibili ad ogni investitore in titoli di Stato europei che il rischio di perdere dei soldi non è più soltanto teorico) e soprattutto i contorsionismi del governo Berlusconi, che nega i problemi contro ogni evidenza, perde tempo, e anche quando è costretto a impostare una manovra la infarcisce di norme ad personam e incontra problemi di copertura pur di non tassare i redditi più elevati.

In ogni caso, a partire dall’estate, vengono deliberate manovre, perlopiù a scoppio ritardato (ossia con effetti visibili non subito, ma a partire dagli anni successivi), del valore complessivo di 110-120 miliardi sino al 2014.

Il resto è storia più recente.

Sino alla caduta di Berlusconi, all’insediamento del governo Monti e alla manovra “Salva-Italia” da 34 miliardi che in questi giorni è in approvazione da parte del Parlamento.

I contenuti di questa manovra e quanto sta accadendo in Europa in questi giorni sono la migliore dimostrazione del fatto che aveva ragione la Federazione della Sinistra a chiedere di andare subito a elezioni anticipate.

Sulla manovra, i numeri parlano chiaro. Su 34 miliardi, in base a quanto riportato dallo stesso Sole 24 Ore di sabato 17 dicembre:

  • 11 miliardi provengono dalla nuova tassa sulla casa (che come noto non esenta la casa di abitazione);
  • 10,426 miliardi da ulteriori nuove tasse (che salgono a 13,706 nel caso – molto probabile - di un ulteriore aumento dell’Iva al 23% il prossimo anno). Di queste nuove tasse, solo 453 milioni si riferiscono a consumi di lusso, e appena 1.461 milioni provengono (ipoteticamente) da un’ulteriore microtassa sui circa 100 miliardi di capitali illegalmente detenuti all’estero, e in gran parte frutto di evasione fiscale, fatti rientrare (spesso solo nominalmente) da Tremonti dietro il pagamento di un obolo del 5%;
  • 2,080 miliardi provengono dalla vergognosa manovra sulle pensioni (allungamento dell’età di pensionamento anche di 6 anni, blocco dell’indicizzazione delle pensioni, ecc.), che tra l’altro non è una una tantum ma ha caratteri strutturali.
  • 1.071 milioni poi provengono da un’imposta sulle attività finanziarie (peraltro assolutamente non proporzionale all’entità dei patrimoni mobiliari detenuti) e
  • 3.200 milioni dovrebbero venire da liberalizzazioni, che per la verità non sono neppure state inserite nella manovra finale.

Come definire questa manovra? Con tre “i”: ingiusta, inutile, insostenibile (e quindi – come vedremo tra poco - controproducente rispetto allo stesso fine dichiarato di abbattere il debito pubblico).

I numeri che ho citato sono altrettanti motivi per i quali questa manovra è ingiusta.

Ma questa manovra è anche inutile, perché non pone mano a nessuno dei problemi strutturali del nostro paese.

  • Non tocca le grandi ricchezze.
  • Non tocca le corporazioni (questo governo così intrepido con i pensionati è stato messo vergognosamente in fuga da farmacisti, notai e avvocati) e quindi – a dispetto della continua retorica sull’argomento – non liberalizza un bel niente.
  • Non tocca l’evasione fiscale: la tracciabilità dei pagamenti portata a 1.000 euro è davvero la montagna che ha partorito il topolino, e nessuna persona sana di mente può pensare che essa consenta di recuperare anche minima parte di quei 120 miliardi di gettito evaso all’anno che rappresentano una delle più vergognose caratteristiche del nostro sistema economico. Ed è bene precisare che non si tratta di un problema etico, ma di un tema in cui confluiscono necessità economiche cruciali che vanno dalla redistribuzione del carico fiscale (oggi enormemente squilibrato ai danni del lavoro dipendente) al miglioramento della concorrenza, dal rafforzamento della competitività di sistema alla concentrazione dei capitali oggi capitalisticamente necessaria.

Il modo migliore per capire di cosa stiamo parlando è quello di lasciar parlare alcuni studiosi di orientamento liberale, i quali hanno detto a chiare lettere:

  • che il problema fiscale è ben più importante per la competitività della riduzione del costo del lavoro: “Una forte redistribuzione del carico fiscale è il bandolo della matassa: afferratolo, incideremmo sui nostri problemi. Per tornare competitivi, attaccare la corruzione e affermare la rule of law è più importante che ridurre il costo del lavoro, lo provano fior di ricerche… Finirebbe il vantaggio competitivo di chi evade le tasse su chi le paga; calerebbe il debito pubblico e la corruzione che infesta il Paese” (S. Bragantini, “Battaglia (vera) contro l’evasione per rilanciare la competitività”, Corriere della sera, 14 aprile 2010);
  • che l’evasione può essere battuta: “Non vi è una ragione tecnica che spieghi perché l’evasione fiscale sia così diffusa nel nostro Paese, tanto da essere un fenomeno di massa. La ragione è politica. Se davvero si volesse, l’evasione fiscale potrebbe essere sostanzialmente debellata con investimenti non elevati” (A. Provasoli, G. Tabellini, “Il fisco e i patrimoni da accertare”, Il Sole 24 ore, 14 aprile 2010).
  • che la lotta contro l’evasione è assente dalla manovra Monti: “a parer mio la maggiore assenza è quella della lotta all’evasione fiscale ed alla corruzione pubblica e privata, senza la quale l’abusata parola ‘equità’ diventa un riferimento vuoto” (Guido Rossi, "Anti-evasione risposta alla Ue", Il Sole 24 ore, 11 dicembre 2011).

Proprio il fatto di non affrontare questi nodi rende la manovra insostenibile: perché la fa gravare su una parte della popolazione che già non ce la fa più, con la necessaria conseguenza di incidere in maniera drammatica sui consumi.

Giovedì 15 dicembre è uscita la previsione del Centro Studi di Confindustria per il 2012, che vede un Prodotto Interno Lordo in calo dell’1,6%.

Due giorni dopo sul Sole 24 Ore Luigi Guiso ammoniva che si tratta di una cifra ottimistica, soprattutto a causa del ridotto risparmio delle famiglie, che “amplifica l’effetto dell’incertezza sulla domanda” – e, possiamo aggiungere noi, “amplifica l’effetto della certezza delle misure depressive assunte dal governo Monti”.

E’ infatti facile prevedere che questa manovra, che si aggiunge a quelle già fortemente depressive che l’hanno preceduta, colpirà severamente il Prodotto Interno Lordo del nostro Paese, peggiorando il rapporto debito/PIL e quindi infilandoci nel tunnel greco.

Non lo diciamo solo noi. Questo è quanto ha scritto Paul Krugman sul suo blog per il New York Times il 14 dicembre scorso, riferendosi esplicitamente alla manovra di Monti:

“Più austerità non convincerà i mercati dei titoli di Stato che l’Italia sta bene. In realtà l’austerità – a meno che non ci siano significativi mutamenti di politica a Francoforte – è probabilmente un autogol, perché danneggerà l’economia italiana più di quanto la aiuti a migliorare la sua immagine nel breve termine.”

In queste parole, condivisibili in toto, è molto appropriato il riferimento a Francoforte: per il semplice motivo che al punto in cui siamo sulla valutazione dei titoli di Stato italiani influisce molto di più l’assenza di volontà a livello europeo di prendere in mano la situazione di qualsivoglia manovra possa essere messa in campo in Italia.

E purtroppo quello che accade a Francoforte e in Europa è tutt’altro che confortante. Dal summit europeo dell’8 e 9 dicembre, circondato da attese escatologiche, non è uscito nulla – ma proprio nulla – di positivo:

  • nessun via libera alla Bce ad acquistare illimitatamente titoli di Stato europei (mentre vengono ampliati i prestiti della Bce alle banche private),
  • nessun via libera agli eurobond,
  • potenziamento soltanto di facciata al Fondo salva-Stati (dotazione da 440 a 500 miliardi di euro, assolutamente insufficienti a fronteggiare una crisi di Stati come Italia e Spagna),
  • ipotesi (quantomeno bizzarra) di coinvolgimento del Fondo Monetario Internazionale tramite fondi versati dagli Stati europei (che quindi comincerebbero con l’indebitarsi ulteriormente, cosa su cui peraltro la Bundesbank già sembra tirarsi indietro),
  • nessun passo avanti sull’unione fiscale, e al suo posto un controllo più stretto sulle politiche di bilancio dei singoli Paesi.

Ce n’è abbastanza per condividere il giudizio di Martin Wolf, uno dei migliori editorialisti del Financial Times, il quale ha definito il summit “un fallimento disastroso” (“A disastrous failure at the summit”, Financial Times, 13 dicembre). Vale la pena di riprendere alcune delle sue argomentazioni:

“L’eurozona non ha alcun piano credibile per mettere a posto i problemi dell’eurozona, a parte la richiesta di maggiore austerity: non ci sarà nessuna unione fiscale, finanziaria o politica; e non ci sarà alcun meccanismo bilanciato di aggiustamento economico su entrambi i lati della frontiera tra creditori e debitori. La decisione è invece quella di perseverare e insistere con quel patto per la stabilità e la crescita che sinora ha fatto fallimento in modo tanto prevedibile quanto costante…

E’ estremamente difficile eliminare i deficit fiscali in paesi che sono strutturalmente importatori di capitali in assenza di recessioni prolungate o di enormi miglioramenti nella loro competitività verso l’estero. Ma quest’ultima è relativa, e quindi i miglioramenti necessari nella performance sull’estero dei paesi deboli dell’eurozona implica o un peggioramento di quella dei paesi esportatori di capitali dell’eurozona, o un radicale miglioramento della performance esterna dell’eurozona nel suo complesso. La prima cosa richiede che la Germania divenga molto meno tedesca. La seconda che l’eurozona nel suo complesso diventi una mega-Germania. Chi può ritenere plausibili esiti del genere?

Questo fa sì che il risultato più verosimile dell’orgia di austerity fiscale sarà un altro: recessioni strutturali di lungo periodo nei paesi deboli. Per dirla in modo brutale, la moneta unica finirà per significare deflazione salariale, deflazione da debiti e recessioni economiche prolungate. Ora, per quanto grandi siano i costi di una rottura dell’area monetaria, come potrà durare una situazione del genere?”

L’analisi di Wolf è corretta, e le sue ultime parole segnalano con chiarezza i veri rischi che stanno di fronte a noi.

Il nostro governo ha imboccato la via della tragedia greca, mentre l’establishment europeo continua a pilotare ostinatamente il Titanic europeo contro gli scogli, con la sua attenzione ossessiva e monomaniacale al pareggio di bilancio.

I motivi di questa monomania sono senz’altro anche ideologici, ma ovviamente c’è dell’altro.

In realtà, quello a cui assistiamo è il tentativo di risolvere la crisi del debito affrontandola dal lato del debito pubblico e attraverso la distruzione su larga scala dei sistemi di welfare. Con l’intento di conseguire questi risultati:

  1. scaricare il costo della crisi su salari indiretti e differiti, riportando i costi della riproduzione sociale in capo agli individui;
  2. aprire al capitale (o, come si preferisce dire, al “mercato”) nuovi ambiti di valorizzazione. Di fatto, si tratta della prosecuzione e radicalizzazione della tendenza a sussumere sotto il capitale l’intero ambito della vita associata;
  3. Infine, scaricare l’eccesso di capacità produttiva (quindi la distruzione di capacità produttiva) su alcuni paesi europei e centralizzare capitali a vantaggio del capitale tedesco.

Il problema è che questo processo porterà inevitabilmente a una gravissima recessione nei paesi oggi interessati dalla crisi del debito e farà saltare la stessa moneta unica.

Per questi motivi oggi una battaglia politica per creare in Italia una forte opposizione di sinistra nei confronti dell’attuale manovra

  • è l’unico modo per difendere gli interessi dei lavoratori (quelli di oggi, quelli di ieri e quelli di domani)
  • ma è anche è l’unico atto oggi possibile di difesa degli interessi nazionali.

Da questo punto di vista, alla denuncia contro le manovre impopolari ed economicamente distruttive del governo andrà unita una forte denuncia dell’attuale indirizzo antidemocratico e reazionario delle politiche europee e la forte rivendicazione della necessità che il nostro Paese torni a fare sentire la sua voce in Europa,

  • rifiutando di farsi intrappolare nel circolo vizioso politiche di austerity deflattive/crollo dell’attività economica/default.
  • ribadendo che l’Europa delle banche non è un destino ineluttabile e che lo stesso euro non può essere un feticcio intangibile se i costi economici e sociali della permanenza nell’eurozona cominciano a superare i vantaggi.

Tutto questo non può farlo un governo tecnico. E soprattutto non può né vuole farlo questo governo.

Per questo la nostra opposizione a questa manovra deve avere l’ambizione di parlare a tutti i cittadini e a tutte le nostre forze sociali di riferimento, come pure a tutti coloro che in Europa si battono contro le politiche volute dall’attuale establishment europeo. Con l’obiettivo di costruire un’alternativa a questo governo e a questa Europa.