martedì 13 settembre 2011

Libia - update

L'ultimatum dei cosiddetti ribelli agli abitanti di Bani Walid è già scaduto da 3 giorni e i combattimenti registrano una massiccia e fiera resistenza da parte delle truppe lealiste di Gheddafi, supportate dai miliziani delle tribù dei Ghaddafa e dei Warfalla, che hanno attaccato anche la raffineria di Ras Lanuf, strategico centro petrolifero costiero nella Tripolitania orientale, uccidendo almeno quindici guardie schierate a difesa dell'impianto e ferendone altre due.

Gheddafi è sempre in Libia e ieri, in un messaggio al popolo libico letto dall'iracheno Mishan Jabbouri - il fondatore dell'emittente siriana Al Rayha - ha esortato i suoi fedelissimi a non arrendersi "La situazione è ormai chiara, è in atto un tentativo di golpe per fa tornare la Libia a ciò che era prima della rivoluzione. Vogliono far cadere il paese in mano alle compagnie petrolifere straniere [...] Il Paese resti in mano al popolo e non sia colonizzato come era prima della rivoluzione [...] Il popolo non ha che una scelta da fare, quella di respingere questo golpe, perché non possiamo sottometterci alla Francia. Non possiamo consegnare la Libia ai colonizzatori un'altra volta e non ci resta che combattere fino alla vittoria e sconfiggere questo complotto".
Più chiaro di così...

Invece il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in un'intervista al Daily Telegraph ha ipocritamente scoperto l'acqua calda affermando che "Se in Libia non si formerà rapidamente un governo stabile il Paese corre il rischio di cadere nelle mani degli estremisti".

Intanto i bombardamenti della Nato su Sirte continuano e il capo del CNT, Moustapha Abdel Jalil, ieri dall'ex Piazza Verde di Tripoli ha dichiarato alla folla che "L'islam sarà la fonte principale della legislazione nella nuova Libia".

La guerra civile continua...


I lealisti resistono, primi segnali di sfaldamento tra i ribelli
di Gianandrea Gaiani - Il Sole 24 Ore - 12 Settembre 2011

La guerra libica sembrava destinata a una rapida conclusione dopo la presa di Tripoli e la ritirata delle forze lealiste nelle roccaforti di Sirte, Beni Walid e in quelle della regione desertica del Fezzan.

La resistenza delle truppe fedeli al Colonnello è però tenace con addirittura qualche contrattacco segnalato sul fronte di Sirte. I ribelli, diverse milizie divise per provenienza, appartenenza tribale o vocazione politica, non devono fare i conti solo con soldati motivati e pronti a morire ma anche con milizie tribali dei clan delle tribù Gaddafa e Warfalla, la prima è quella di appartenenza del raìs e la seconda è in buona parte legata al regime.

Nonostante il lungo tira e molla intorno alle trattative per ottenere la resa della città e la propaganda dei ribelli che tende a rappresentare una città terrorizzata dai cecchini del Colonnello, Bani Walid sembra determinata a resistere alle lusinghe e alle minacce dei ribelli forse anche a causa della rivalità tra i Warfalla e le tribù di Misurata, Zliten e della Cirenaica.

«Le tribù della città sono decise a resistere ai ribelli che sono agenti della Nato», ha ha affermato lo sceicco Ali al-Warfally nel corso di un collegamento telefonico con la tv che ha sede in Siria, "al-Rai", nota per aver trasmesso nei giorni scorsi i messaggi audio del colonnello libico Muammar Gheddafi.

«Sto chiamando da Bani Walid con un telefono satellitare, sono 13 giorni che le tribù Warfalla resistono e tengono i ribelli a 20 chilometri dalla città. La resistenza - ha concluso lo sceicco - è condotta da gente dei Warfalla e non ci sono brigate di stranieri in città».

Gli insorti ammettono di aver «rinviato per ora l'assalto finale a Bani Walid» dove il portavoce del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Ahmed Bani punta il dito contro le brigate di Gheddafi. «Impiegano scudi umani e hanno posizionato delle batterie di missili sui tetti delle abitazioni civili, rendendo impossibile alle forze del Cnt e della Nato bombardare».

Pare però che pesino anche le crescenti divisioni tra i ribelli con i combattenti locali che rifiuterebbero di obbedire agli ordini dei comandanti inviati da Bengasi cercando di muoversi per proprio conto per potersi presentare come i veri e soli liberatori della città.

Nei giorni scorsi gli insorti erano penetrati vicino al centro ma di fronte alla strenua resistenza dei difensori si sarebbero poi ritirati per non rischiare di venire colpiti dalle bombe sganciate dai jet.

Il segretario generale dell'Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, ha ribadito che la missione della Nato in Libia proseguirà fino a quando i civili saranno minacciati dalle forze rimaste fedeli a Muammar Gheddafi.

Definizione paradossale dal momento che a Sirte e Beni Walid la popolazione sostiene il regime e non viene certi colpita dagli uomini di Gheddafi ma dai ribelli e dai velivoli della Nato.

Le truppe lealiste mostrano vivacità anche su altri fronti. Un reparto d'assalto si quattro veicoli provenienti dal Sahara ha attaccato oggi pozzi petroliferi a 20 chilometri da Ras Lanuf, obiettivo strategico e simbolico dopo che il Cnt ha annunciato che al più presto riprenderà l'export petrolifero.

I ribelli lo hanno definito solo "un attacco simbolico" ma secondo l'emittente al-Alam 15 insorti sono rimasti uccisi nell'assalto che potrebbe inaugurare la nuova strategia di guerriglia delle forze lealiste.

Resta infine alto il rischio che l'insurrezione contro Gheddafi sfoci in guerra civile e tribale. Secondo quanto riporta il giornale arabo al-Sharq al-Awsat, ieri si è registrato ieri il primo scontro a fuoco tra fazioni dei ribelli che fanno capo al Consiglio nazionale transitorio.

Ad affrontarsi sui monti del Nefusa i ribelli dei villaggi di Gharyan e Kakla schierati contro quelli di al-Asabaa. Nei combattimenti si sono registrati 12 morti e 16 feriti.

Un esponente del Cnt, contattato dallo stesso quotidiano, si è detto «molto preoccupato per l'arrivo di numerosi miliziani islamici nella capitale, che sta portando a un aumento dello scontro politico tra i liberali e gli islamici che potrebbe sfociare in uno scontro armato».

Secondo quanto riporta il giornale arabo al-Quds al-Arabi dopo la presa di Tripoli i contrasti tra i laici e gli islamici all'interno del Consiglio di Transizione hanno assunto dimensioni gravi.

Secondo il giornale algerino el-Khabar le divisioni riguarderebbero le diverse tribù della Libia che «considerano Tripoli come un loro bottino sul quale mettere le mani».

Sabato i siti libici denunciavano il rifiuto delle milizie di Zlitan schierate a Tripoli di consegnare le armi al Cnt e di lasciare le loro postazioni, non fidandosi di quelle delle altre zone del Paese presenti nella capitale.



Crescono le divisioni tra le fila dei ribelli libici dopo l’attacco fallito alle roccaforti lealiste
di
Kim Sengupta - The Independent - 13 Settembre 2011
Traduzione di Levred

Tripoli – I ribelli si erano fatti strada attraverso le strade strette e i vicoli quando si imbatterono in un agguato. Espulsi da Bani Walid, [fanno] un appello disperato di aiuto ai loro compagni, i cui consigli avevano seguito per l’assalto, gli fu risposto con le istruzioni per ripiegare ad un punto di rendezvous al di fuori della città.

Ma quando i rivoluzionari hanno raggiunto la destinazione, dopo essersi fatti strada combattendo sotto un fuoco intenso, non c’era traccia del contingente di Bani Walid. Poi, mentre tentativi urgenti venivano compiuti per stabilire le comunicazioni, sono giunti salve di colpi di mortaio e razzi.

Nel momento in cui i combattenti dell’opposizione hanno portato le loro vittime, cinque morti e 18 feriti, al centro medico più vicino, erano infuriati, accusando gli uomini di Bani Walid di tradimento. E alcuni dei gruppi “esterni” sono rientrati a Tripoli con disgusto.

“Abbiamo avuto indicazioni da parte degli uomini di Bani Walid che stavamo guidando e che dovevano essere dietro di noi”, dice Ahmed Ishmail Jawad, 24 anni, studente e volontario.

“Abbiamo affrontato un sacco di resistenza, molto più di quanta ci aspettassimo. Quando abbiamo chiamato i rinforzi, non c’era nessuno. Ci è stato detto di tornare e di organizzare un altro attacco con gli uomini di Bani Walid. Ma si erano ritirati e sono cominciati ad arrivare razzi Grad su di noi."

Il suo compagno di Zintan, Nasr Hamid Husseini, ha aggiunto: “C’è qualcosa che non va qui. Non possiamo avere successo se la gente va in direzioni diverse. Siamo preoccupati per la lealtà di alcuni di questi uomini…”

Mohammed el Ghadi, da Khoms, ritiene che le lealtà tribali hanno soppiantato quelle della rivoluzione. “Sono tutti Warfalla, coloro che sono dentro Bani Walid e quelli con noi. Crediamo che ci siano dei traditori tra di loro.”

L’attrito tra coloro che tentano di prendere Bani Walid, uno delle tre restanti aree, insieme a Sirte e Sabbah, nelle mani del regime, era il segno più incendiario dello scisma crescente nelle file dell’opposizione, che ha cominciato ad apparire entro poche settimane dal rovesciamento di Muammar Gheddafi.

Prima di domenica sera ci era già stata discordia, con gruppi di combattenti locali che chiedevano che alcune zone della città non dovevano essere attaccate perché i membri dei loro clan erano lì. Combattenti provenienti da altre parti hanno affermato, tuttavia, che avevano ricevuto fuoco che proveniva da alcune di queste aree.

Il segno più potente delle divisioni nei ranghi dei ribelli in passato è stato l’assassinio del comandante Abdul Fatah Younis, presumibilmente da parte degli islamisti nelle file delle forze ribelli che comandava.

Il livello che queste tensioni hanno successivamente raggiunto, è stato illustrato da una conferenza stampa che il primo ministro provvisorio, Mahmoud Jibril, aveva dovuto tenere domenica sera presso l’hotel Radisson a Tripoli, utilizzato come base dai ribelli del Consiglio nazionale di transizione (CNT) . Questa [conferenza stampa] è stata rinviata due volte e poi ha dovuto essere trasferita in un altro luogo.

Un membro anziano del Consiglio militare di Tripoli, e portavoce di Abdelhakim Belhaj, il comandante delle forze nella capitale libica, è stato schietto: “Jibril non rappresenta nessuno. Egli non è il benvenuto qui. Abbiamo appena combattuto per liberarci di un dittatore, non ne vogliamo un altro. “

L’antipatia verso i membri non eletti del CNT che formano la nuova amministrazione è sempre più diffusa e rumorosa. La maggior parte di loro sono ex membri del regime di Gheddafi, visti come opportunistici trasformisti provenienti dal vecchio ordine.

C’è anche l’accusa che alcuni di loro sono stati in Europa, negli Stati Uniti e negli stati del Golfo, mentre i giovani volontari stavano morendo per la causa della rivoluzione.

Abdulbasit Abu Muzairik, un membro anziano del consiglio di Misurata, città portuale che resistette ad un assedio da parte delle forze Gheddafi, ha espresso quello che ha definito essere una frustrazione diffusa.

“Siamo preoccupati per un sacco di cose che stanno accadendo politicamente. Non abbiamo visto Jibril in Libia, ha trascorso tutto il tempo in cui stavamo soffrendo al di fuori del paese. Improvvisamente è qui e dobbiamo accettare che sia il Primo Ministro.

“Quali sono le persone che cercano di fare questo? Beh, dovrà essere sostituito. Siamo alla ricerca di modi nei quali questo possa essere fatto. Alle persone che effettivamente hanno combattuto per la rivoluzione deve essere consentito di avere voce in capitolo mentre ora il paese sta cominciando a rimettersi in moto. “

Mr Belhaj, il quale, rivela a The Independent, che è stato oggetto di rendition e tortura, con l’aiuto dei servizi segreti britannici, è stato al centro dell’attenzione dei media. Il sig. Muzairik ha sottolineato che il sig Belhaj, un ex capo della LIFG (Gruppo islamista libico per il combattimento), “è il solo responsabile dei combattenti a Tripoli, questo è tutto. Egli non è il responsabile della Libia, anche se pensa di esserlo.”

Finora, Mustapah Abdul Jalil, capo del TNC, è sfuggito alle critiche. Ma ha le sue preoccupazioni per il futuro. L’ex ministro della giustizia sotto il colonnello Gheddafi ha avvertito dell’esistenza di “fondamentalisti estremisti nelle file della rivoluzione” e ha minacciato di dimettersi se essi, e altri gruppi armati, non consegnano le armi.

Abdurrahman Shalgham, un alleato del Sig. Jalil che fu ministro degli esteri nel regime di Gheddafi, si è concentrato sul ruolo del sig Belhaj e dei suoi seguaci conservatori musulmani, sostenendo che era “solo un predicatore e non un comandante militare”. Un altro membro del CNT, Othman Ben Sassi, ha insistito: “Egli [Belhaj] non era niente, niente. E ‘arrivato all’ultimo momento e ha organizzato alcune persone.”.

Ma c’è stato piccolo segno di organizzazione sulla prima linea di Bani Walid. Un ufficiale CNT, Mohammed el-Fassi, ha dichiarato ieri: “Il problema è che ora che Gheddafi è fuggito, la gente sta solo pensando a se stessa, alla propria tribù, le proprie città, non stanno pensando alla Libia.”



Libia: la vera guerra inizia ora
di Pepe Escobar - Asia Times - 7 Settembre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Basta con la caduta del Grande G. Ora siamo arrivati al nocciolo; Afghanistan 2.0, Iraq 2.0, o una miscela di entrambi.

I "ribelli della NATO" hanno sempre assicurato di non volere un’occupazione straniera. Ma la North Atlantic Treaty Organization, che ha reso possibile la vittoria, non può controllare la Libia senza soldati di terra. Per questo al quartier generale della NATO di Mons in Belgio, si stanno ipotizzando multipli scenari, sotto un cuscino di velluto delle Nazioni Unite.

In base ai piani già trapelati, prima o poi ci potrebbero essere truppe dalle monarchie del Golfo Persico e da alleati amici come la Giordania e in modo particolare la Turchia, membro della NATO, anche lei molto entusiasta dei contratti commerciali faraonici. Difficilmente ci sarà una qualche nazione africana, visto che la Libia ora è stata "ricollocata" in Arabia.

Il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) accetterà, o verrà costretto a farlo e, o quando, la Libia verrà sommersa dal caos. Sarà comunque una vendita aggressiva, mentre le fazioni esageratamente eterogenee dei "ribelli della NATO" stanno freneticamente consolidando i propri feudi, e si preparano ad affrontarsi l’un l’altra.

Finora non ci sono prove che il CNT, genuflessioni all’altare dei paesi membri della NATO a parte, abbia la minima idea su come gestire un ambito politico complesso.

Fucili e niente rose

Adesso in Libia tutti sono praticamente armati fino ai denti. L’economia è paralizzata. È già in corso una gazzarra fastidiosa tra chi controllerà i miliardi di dollari scongelati della Libia.

La tribù Obeidi è furiosa con il CNT, dato che non ci sono state indagini su chi abbia ucciso il 29 luglio il comandante dell’esercito dei ribelli, Abdul Fattah Younis. Le tribù hanno già minacciato di esercitare la giustizia con le proprie mani.

Il sospettato principale per l’omicidio è la brigata Abu Ubaidah bin Jarrah, una milizia radicale fondamentalista islamica che ha rigettato l’intervento della NATO e si è rifiutata di combattere sotto il CNT, ostracizzando sia il CNT che la NATO come "infedeli".

E poi c’è la domanda zuppa di petrolio; quando la galassia Libya Islamic Fighting Group (LIFG)-al-Qaeda organizzerà il putsch per rovesciare il CNT?

In tutta Tripoli ci sono voci terribili sull’inferno provocato dalle milizie in Iraq. L’ex agente della Central Intelligence Agency ed ex detenuto della "guerra al terrore", il generale Abdelhakim Belhaj – uscito dalla cerchia di Derna, il ground zero del fondamentalismo islamico in Libia – è il dirigente del neonato Tripoli Military Council.

Sono già state scagliate accuse dalle altre milizie che egli non abbia combattuto per la "liberazione" di Tripoli e per questo se ne deve andare, qualsiasi cosa dica il CNT. Ciò significa essenzialmente che la galassia LIFG-al-Qaeda presto o tardi potrebbe combattere una prossima guerra di guerriglia, contro il CNT, le altre milizie o entrambe.

A Tripoli i ribelli da Zintan, nelle montagne occidentali, controllano l’aeroporto. La banca centrale, il porto di Tripoli e gli uffici del Primo Ministro vengono controllati dai ribelli di Misurata.

I berberi dalla città di montagna Yafran controllano la piazza centrale di Tripoli, ora cosparsa di scritte "Rivoluzionari di Yafran". Tutti questi territori sono chiaramente marchiati come avvertimento.

Intanto il CNT, come unità politica, già si comporta come un governo ad interim; e, visto che le milizie non svaniscono, non è difficile raffigurarsi la Libia come un nuovo Libano; la guerra in Libano iniziò quando ogni quartiere di Beirut era solcato dalle tensioni tra sunniti, sciiti, cristiani maroniti, nasseriti e drusi.

Oltre tutto, la libanizzazione della Libia comprende la tentazione maledettamente islamica, che si sta diffondendo come virus in tutta la Primavera Araba.

Almeno 600 salafiti che hanno combattuto nella resistenza sunnita irachena contro gli Stati Uniti sono stati liberati dalla prigione di Abu Salim dai ribelli. È facile vedere come possano approfittarsi del saccheggio generalizzato di kalashnikov e di missili sovietici anti-aereo lanciati a spalla Sam-7 per dar manforte alla propria milizia radicale islamica, che segue la propria agenda e la propria guerra di guerriglia.

Benvenuti nella nostra “democrazia” razzista

L’Unione Africana (UA) non riconoscerà il CNT; infatti, ha denunciato i ribelli della NATO per gli omicidi indiscriminati dei neri africani, fatti passare per "mercenari".

Secondo Jean Ping dell’UA ,"il CNT sembra confondere la gente di colore con i mercenari […] [sembrano credere] che tutti i neri siano mercenari. Seguendo questa linea, allora un terzo della popolazione della Libia che è di colore è allo stesso tempo mercenaria."

Il piccolo porto di Sayad, 25 chilometri a ovest di Tripoli, è diventato un campo profughi per i neri africani terrorizzati dalla "Libia libera". Medici Senza Frontiere ha scoperto il campo il 27 agosto. I rifugiati hanno detto che già da febbraio hanno iniziato a essere espulsi dai proprietari delle attività dove lavoravano, venendo accusati di essere mercenari, e da allora sono stati tormentati.

Secondo la mitologia ribelle, il regime di Muammar Gheddafi era in gran parte protetto dai murtazaka ("mercenari"). La realtà è che Gheddafi ha davvero impiegato un contingente di combattenti neri africani, dal Ciad, dal Sudan e i Tuareg dal Niger e dal Mali. La maggioranza degli africani neri sub-sahariani sono lavoratori migranti che hanno lavori regolari.

Per capire dove ci porta tutto questo, bisogna dare un’occhiata al deserto. L’immenso deserto meridionale della Libia non è stato conquistato dalla NATO. Il CNT non ha praticamente accesso all’acqua e a molto del petrolio libico.

Gheddafi ha la possibilità di "lavorarsi il deserto", di trattare con un numero di tribù, di comprare o consolidare la loro fedeltà e di organizzare una guerra di guerriglia.

L’Algeria è coinvolta in un duro scontro con al-Qaeda nel Maghreb. Il vasto e poroso confine algerino con la Libia, lungo un migliaio di chilometri, rimane aperto. Gheddafi può facilmente schierare i suoi reparti nel deserto meridionale con un porto sicuro in Algeria, o persino nel Niger. Il CNT è già terrorizzato da questa possibilità.

L’operazione “umanitaria” della NATO ha scagliato sulla Libia almeno 30.000 ordigni negli ultimi mesi. È corretto riportare che molte migliaia di libici sono stati uccisi dai bombardamenti, che non si sono mai fermati. Presto la NATO potrebbe prenderne di mira alcuni – civili o no – che stava in teoria "proteggendo" fino a pochi giorni fa.

Uno sconfitto Grande G si potrebbe rivelare ancora più pericoloso di un Grande G al potere. La guerra vera inizia ora. Sarà infinitamente più drammatica, e tragica. Perché sarà una guerra darwiniana, nord africana, tutti contro tutti.



"Tripoli libera" - ma non menzionate i cadaveri
di Lizzie Phelan - http://english.pravda.ru - 5 Settembre 2011

La guerra in Libia non è stata solo una guerra che ha discolpato la pretesa della NATO di essere la maggiore potenza militare del pianeta, capace di imporre la propria volontà con un’aggressione diretta ovunque sia possibile, ma è stata anche un conflitto che ha riasserito la potenza dei media mainstream occidentali, non solo nel falsificare gli eventi, ma anche nel crearli.

La prima vittoria dei media è avvenuta con la denuncia che il governo di Gheddafi stesse attaccando i propri cittadini a Tripoli dallo spazio aereo, una denuncia che ha fatto parte del pretesto della NATO per l’intervento e che è anche servita per seminare il panico e la rabbia tra i residenti della città.

Nessuno è stato ritenuto responsabile quando i satelliti dell’intelligence russa e le visite degli osservatori indipendenti nelle zone che si pensava fossero state colpite non hanno rinvenuto prove che gli attacchi fossero realmente avvenuti.

Una delle menzogne più potenti è stata sfornata addirittura dal Segretario agli Esteri britannico William Hague che disse nei primi giorni della crisi che Gheddafi era fuggito in Venezuela.

Il governo libico ha ripetutamente fatto presente che i propri mezzi di comunicazione erano totalmente incompetenti e incapaci di fornire un’informazione alternativa e il risultato ha fatto sì che il popolo libico, come quello di tutto il mondo, ha creduto alle denunce che erano state prodotte.

In questo ambito, l’esito sperato era quello di creare una percezione tra i suoi sostenitori tradizionali di un abbandono e di un tradimento. Naturalmente il signor Hague non si è scusato per queste affermazioni irresponsabili quando, poco dopo, Gheddafi ha mostrato la faccia nelle strade di Tripoli.

Più di recente, anche la BBC ha elaborato qualcosa di cui scusarsi per aver sfacciatamente trasmesso un filmato fasullo di una dimostrazione in India, volendo far credere che fosse della Piazza Verde di Tripoli, per provare che la città fosse stata conquistata.

Fabbricazioni simili sono proseguite per sei mesi, quando i media hanno riportato che alcune zone erano state "catturate" dai ribelli, quando, in realtà, queste aree avevano subito un blitz dall’aria e dal mare con i razzi NATO che avevano l’unico obbiettivo di distruggere ogni minaccia di resistenza schierata contro i propri alleati, i ribelli.

Quando l’alleanza ha bombardato la strada dei ribelli verso Tripoli, massacrando sul percorso almeno 85 civili nella città di Majer, i dirigenti delle centinaia di tribù, comprese le più grandi - Wafalla, Tarhouna, Washafana e Zlitan -, hanno riasserito la loro determinazione per difendere le loro zone e di calare verso Tripoli se si fossero sentiti minacciati.

Nel frattempo, masse di uomini e donne di Tripoli, che si erano riuniti nelle manifestazioni contro i ribelli, erano sicuri che, se i ribelli si fossero fatti vivi in città, sarebbero stati in grado di sconfiggerli con le armi che il governo di Gheddafi aveva distribuito loro dall’inizio della crisi.

Poi molte di queste persone sono state massacrate, sono fuggite o si sono nascoste. Potrebbero, o forse no, aver sottostimato le possibilità senza ritegno della NATO, ma il racconto dei media che Tripoli è caduta senza resistenza è contestato dal fatto che è stato necessario un massacro di migliaia di persone e almeno cinque giorni per stabilire un controllo instabile del CNT sulla capitale, oltre che dai racconti dei testimoni oculari che hanno descritto cosa è successo in quei cinque giorni e nei successivi.

Dall’inizio dei combattimenti a Tripoli il 20 agosto, da quando io e altri 35 giornalisti siamo stati intrappolati nell’hotel Rixos, è stato praticamente impossibile farsi un’idea di quello che stava avvenendo nelle strade.

In tutto quel periodo, il suono delle bombe, delle sparatorie e degli altri armamenti pesanti era praticamente ininterrotto, con le schegge e i proiettili che di tanto in tanto si facevano strada nell’albergo.

Come il resto del mondo, l’unica informazione che avevamo, a parte i saltuari momenti di comunicazione con i nostri contatti in città, veniva dai media mainstream internazionali.

Fino dal giorno del mio rilascio, ho iniziato a raccogliere informazioni dai residenti nella capitale mancando le fonti che erano riconosciute internazionalmente come "indipendenti".

Il resoconto segue si basa su questi racconti e l’identità delle fonti deve essere mantenuta segreta per via dell’individuazione sistematica di chiunque manifesta slealtà nei confronti dei ribelli, come ho potuto verificare, anche solo sfidando la loro versione dei fatti con i media.

Nel primo giorno successivo, i ribelli delle cellule dormienti presenti a Tripoli sono usciti e hanno iniziato ad attaccare i posti di blocco in mano alle forze speciali libiche. Come al solito nella loro avanzata verso la capitale, hanno dovuto subire una sconfitta iniziale.

Ma con le prime immagini dei ribelli all’interno di Tripoli che affioravano in tutto il mondo, la NATO si è assicurata di far durare la cosa. L’organizzazione incaricata di "proteggere i civili" si è rapidamente mossa per bombardare tutti i posti di blocco di questa città densamente abitata.

La vasta maggioranza era controllata da volontari, gente comune che era stata armata con i kalashnikov dall’inizio della crisi, per permettere ai ribelli di entrare facilmente in città dal mare e via terra. (Vedi le immagini allegate di una madre e della figlia diciassettenne, entrambe volontarie per presenziare un posto di blocco a Tripoli.)

Dopo di che masse di giovani e di altri residenti della capitale che sono usciti nelle strade per difendere la loro città come avevano giurato di fare nel corso delle adunate di massa sopra menzionate.

Il giorno seguente, la NATO ha risposto con un attacco intensificato. I testimoni oculari riportano che durante il giorno la stazione emittente di Tripoli è stata bombardata, uccidendo decine di persone.

Poco dopo i ribelli hanno affermato di avere il controllo della TV libica e i media internazionali hanno doverosamente ripetuto, bloccando ogni accenno a come la presa era stata realizzata.

In aggiunta alla campagna mediatica per fomentare il caos, le notizie sui figli di Gheddafi che erano stati catturati e che Gheddafi con gli altri membri della famiglia era fuggito dal paese sono continuate a sgorgare dalle televisioni di tutto il mondo.

Essendosi abituate a questo tipo di operazioni psicologiche progettate per indebolire il sostegno della gente per il governo facendogli credere che li avesse traditi, le masse non hanno creduto a queste affermazioni e hanno marciato verso la Piazza Verde.

Dall’interno del Rixos, nei brevi periodi in cui la linea telefonica si ravvivava, i miei contatti nella città che in quel momento erano in Piazza Verde, mi hanno informato che Muammar Gheddafi era stato visto in città con la sua mimetica sollecitando la gente a rimanere saldi e a non essere imbrogliati dall’infaticabile propaganda occidentale. Questo era già stato riportato da ulteriori contatti di altri residenti che erano presenti nell’occasione.

Dopo i bombardamenti senza sosta le masse sono state spinte verso il compound di Gheddafi a Bab al-Azizia dove hanno resistito all’avanzata dei ribelli per altre 24 ore. È in questi momenti che Saif al-Islam – sin da questo momento i media e la Corte Penale Internazionale hanno insistito per la sua cattura e il suo arresto - è comparso al Rixos hotel dove eravamo intrappolati.

Calmo e fiducioso, ha portato un gruppo di giornalisti verso Bab al-Azizia dove, al ritorno, questi hanno confermato di aver visto migliaia di persone dentro e fuori la struttura sventolare la bandiera verde, tra cui figuravano le tribù che si erano impegnate a farlo e gente da tutta la nazione.

Ma come la marcia pacifica nelle montagne occidentali che il 24 luglio fu attaccata dalla NATO e dai ribelli, la folla a Bab al-Azizia è stata sconquassata dal bombardamento della NATO per poter consentire un ingresso ai ribelli e gli attacchi degli elicotteri d’assalto Apache.

Lo stesso destino è stato provato da chi si è riunito nella Piazza Verde. Solo Bab al-Azizia è stata bombardata 63 volte in questo periodo di tempo.

Con la Piazza Verde e Bab al-Zizia controllate dai ribelli, la resistenza è proseguita in aree come il quartiere più povero di Abu Saleem, che poche settimane prima aveva assistito a una dimostrazione di massa contro l’aggressione della NATO a supporto della Jamahiriya. La lotta contro i ribelli si è infiammata anche a Salah Eldeen e El Hadba.

Armati di kalashnikov e di armi portatili anticarro, i cittadini di queste zone - che hanno combattuto contro otto tonnellate di bombe, gli elicotteri, le forze speciali statunitensi, europee e degli Emirati Arabi Uniti e i ribelli forniti dell’armamento sofisticato della NATO – sono diventati carne da macello e hanno formato pile di cadaveri che venivano stati allineati ai lati delle strade.

Da allora, ogni area nota per aver sostenuto Gheddafi è stata bombardata o è stata soggetta a incendi e saccheggi nella case e negli appartamenti. Persino i media mainstream sono stati incapaci di ignorare l’individuazione sistematica e il linciaggio di chiunque avesse la pelle nera. È ben noto che gli oppositori di Gheddafi odiavano la retorica e le politiche a sostegno dell’Africa nera.

Quando Sirte, Sabha e Beni Walid erano le ultime zone che ancora combattevano con la bandiera verde innalzata, i ribelli dicono di aver dato una scadenza prima di avviare una "risposta militare", implicando che, nel frattempo, sarebbe stata perseguita una soluzione non militare.

E ancora i media non sono riusciti a sottolineare l’ipocrisia dell’alleata dei ribelli, la NATO, che stava bombardando diffusamente queste zone.

Gli stessi media hanno fatto propria senza critiche la linea della NATO che gli obbiettivi erano esclusivamente "forze di Gheddafi" di fronte all’evidenza contraria che si manifestava davanti ai loro occhi e in assenza di una qualsiasi indagine indipendente sulla conta dei morti provocata dalle 30.000 bombe che si stima siano state sganciate negli ultimi sei mesi.

Gli ultimi dati concreti del secondo giorno di combattimenti ha portato la conta delle vittime nelle dodici ore di combattimenti solo a Tripoli intorno alle 1.300 vittime con 900 feriti.

Ben distanti dall’immagine di una città conquistata senza resistenza, questi dati mostrano che Tripoli è caduta con una massa di resistenti che sono stati massacrati.

Come accaduto a Zlitan e Zawiya, le stesse atrocità commesse a Tripoli sono state inferte a Beni Walid e Sirte con la complicità totale e silente dei giornalisti e degli osservatori "indipendenti" presenti sul terreno. Questa è la "Libia libera", finché le migliaia di morti e la censura che le nasconde saranno ancora silenziate.



Frattini, il liberatore della Libia
di Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano - 12 Settembre 2011

Pare che sia Franco Frattini, e non tutta la messa in scena dei ribelli libici e della Nato, il vero liberatore della Libia. Se lo state ad ascoltare nell’assemblea delle Commissioni Esteri della Camera e del Senato, lo scorso mercoledì 7 settembre, ecco che cosa vi annuncia.

Vi annuncia che l’Ambasciata italiana a Tripoli (un edificio bruciato dalle cantine al tetto) è aperta, funziona, con il tricolore che sventola non si sa da quale pinnacolo. Non esistono prove o fotografie del glorioso evento, ma l’annuncio è sempre stato il pezzo forte (e l’unico) di questo governo.

Vi annuncia che l’Italia ha ricostruito tutte le condotte di acqua potabile di Tripoli, rendendo possibile il ritorno della vita normale. Vi annuncia (cito) che l’Italia sostiene tutti i tentativi in corso negoziando con tutte le tribù”, benché non vi sia traccia né notizia di tale negoziati e neppure di contatti con entità diverse che finora non si sono ancora coalizzate.

Stranamente il ministro Frattini, che pure è – ci garantisce – il vero deus ex machina della nuova Libia, non ci dice nulla delle carceri di Gheddafi, se siano state aperte, se siano state svuotate, se siano usate per rinchiudere i mercenari (veri o presunti) e collaborazionisti, e sotto quale autorità, e con quali garanzie.

Eppure era stato lui ad annunciarci, in piena guerra, che Gheddafi stava aprendo le sue prigioni per riversare sull’Italia i suoi peggiori criminali. Ci ha detto di avere “fonti di servizi segreti” sull’argomento.

Alle Commissioni riunite Frattini ha detto (giuro) che è merito dell’Italia e del governo italiano se questo non è avvenuto, ovvero se una sua affermazione falsa si è rivelata falsa. Poi ci ha assicurato che (cito) “l’Italia è in testa” fin da maggio affinché si realizzi l’accordo di associazione tra Unione europea e Libia, e sia convocata entro nove mesi (avete letto bene, nove mesi) l’Assemblea costituente che darà alla Libia libera una nuova Costituzione e chiamerà il popolo libico alle urne.

Ma niente paura, questa non è un’iniziativa o un piano politico. Solo annuncio. Dentro l’Italia, se quegli impiccioni dei mercati non disturbassero, funzionerebbe ancora, data la benevola condiscendenza del sistema di informazione italiano e delle opposizioni, gentilissime, al governo di Arcore.

Per essere utile e preciso, il ministro Frattini ha voluto annunciare anche “le priorità”, tanto non costa niente, è solo un annuncio. Però rivelatore. Ecco: primo, il controllo delle frontiere; secondo, bloccare “il traffico di esseri umani” (strana definizione per il fiume di disperati che fugge dallo sterminio e dalla fame del Corno d’Africa; eppure persino il ministro degli Esteri Frattini dovrebbe sapere della guerra ventennale e della spaventosa carestia che tormentano Somalia, Eritrea, Etiopia).

Ma tutto ciò serve per introdurre alla frase detta, quasi con candore, da un uomo la cui faccia tosta deriva anche da questa qualità rara in politica, il candore. Ha detto, il 7 settembre 2011 il ministro degli Esteri Frattini: “Il Trattato di amicizia e partenariato con la Libia (nel trattato originale era “la grande Jamahirya libica”) sarà riattivato.

Pensate che è la stessa persona che, all’inizio dell’operazione franco-inglese, non ancora Nato, a cui l’Italia aveva offerto le basi ma non gli aerei, aveva detto alla Camera che “il trattato è sospeso”.

Dopo l’inizio dei bombardamenti Nato con partecipazione italiana aveva spiegato: “Un trattato è fra governi. Non c’e più quel governo, non c’è più il trattato”. E infine aveva assicurato che il voto del Consiglio di sicurezza che aveva autorizzato i voli Nato, ha annullato (ha proprio detto annullato) contestualmente il trattato.

Non era vero niente
, parola di Frattini. Il trattato italo-libico contestato in quasi ogni articolo dalle Nazioni Unite, dall’Agenzia dei Rifugiati, dall’Unicef, da Right Watch, da Amnesty International e da ogni organizzazione umanitaria del mondo civile, è vivo e opera assieme a noi.

Da un lato distribuisce ricchezza (ricordate? Ci costa 20 miliardi di dollari in cinque anni, questi cinque anni) dall’altro controlla le frontiere degli altri, usa le motovedette italiane, spara a vista e affonda gli emigranti proprio come Gheddafi.

Si può capire che la lunga esposizione al potere porti un po’ di cinismo. Ma come si fa ad augurarsi che il prossimo governo libico sia composto di canaglie a pagamento come quello, non ancora del tutto scomparso, di Gheddafi?

E come mai, nell’aula delle commissioni Esteri, Camera e Senato riunite, nessuno ha fatto una piega, tranne i radicali Mecacci e Perduca e, non saprei dire a nome di chi, dato il silenzio, chi scrive?