venerdì 23 settembre 2011

News shake

Un altro frullato di notizie a caso, ma non per caso...



Perchè il Medio oriente non sarà mai più lo stesso
di Robert Fisk - The Independent - 20 Settembre 2011

I Palestinesi non otterranno il riconoscimento dello Stato, ma consegneranno alla storia il “processo di pace”.

I Palestinesi non otterranno il riconoscimento dello Stato questa settimana.

Ma – se otterranno abbastanza voti all'Assemblea Generale e se Mahmoud Abbas non soccomberà al suo tipico strisciare davanti al potere USA-Israele – dimostreranno che sono degni del riconoscimento dello Stato.

E stabiliranno per gli Arabi ciò che Israele ama denominare – mentre allarga le sue colonie sulla terra rubata - “dimostrazioni sul campo”: gli Stati Uniti e Israele non potranno mai più schioccare le dita e aspettarsi che gli Arabi battano i tacchi. Gli USA hanno perso il loro appoggio in Medio Oriente. E' finita: il “processo di pace”, la “road map”, gli “accordi di Oslo”, l'intera scemenza è storia.

Personalmente penso che la “Palestina” sia uno Stato di fantasia, impossibile da creare adesso che gli Israeliani hanno rubato così tanta terra araba per i loro progetti coloniali.

Andate a dare un'occhiata alla Cisgiordania, se non mi credete. Le imponenti colonie ebraiche di Israele, le sue perniciose restrizioni alla costruzione di case palestinesi di più di un piano, la sua chiusura perfino degli impianti di depurazione come punizione, i “cordoni sanitari” vicino alla frontiera giordana, le strade riservate ai soli coloni israeliani hanno trasformato la mappa della Cisgiordania nel parabrezza frantumato di un'auto schiantata.

A volte sospetto che l'unica cosa che impedisce l'esistenza della “Grande Israele” sia l'ostinazione di quei fastidiosi Palestinesi.

Ma adesso stiamo parlando di questioni molto più importati. Questo voto alle Nazioni Unite - all'Assemblea Generale o al Consiglio di Sicurezza, in un certo senso poco importa – dividerà l'Occidente – gli Americani dagli Europei e una gran quantità di altre nazioni – e dividerà gli Arabi dagli Americani.

Aprirà squarci nelle divisioni all’interno dell'Unione Europea; tra Europa orientale e occidentale, tra Germania e Francia (la prima sostenitrice di Israele per tutti i soliti motivi storici, la seconda disgustata dalle sofferenze dei Palestinesi) e, naturalmente, tra Israele e l'Unione Europea.

Una rabbia profonda è stata creata nel mondo da decenni di potere israeliano, dalla brutalità militare e dalla colonizzazione; milioni di Europei, sebbene consapevoli della propria responsabilità per l'Olocausto ebraico, e ben consci della violenza delle nazioni musulmane, non hanno più paura di criticare per timore di essere accusati di antisemitismo.

C'è razzismo in Occidente – come sempre ci sarà, temo – verso Musulmani e Africani, così come per gli Ebrei. Ma cosa sono gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nei quali nessun Arabo musulmano può vivere, se non un'espressione di razzismo?

Anche Israele condivide questa tragedia, naturalmente. Il suo pazzo governo ha portato il suo popolo sulla via della perdizione, adeguatamente riassunta dalla sua cieca paura della democrazia in Tunisia ed Egitto – tipico che il suo principale alleato in questa assurdità debba essere la terribile Arabia Saudita – , dal suo crudele rifiuto di scusarsi per l'uccisione di nove turchi della flotilla diretta a Gaza l'anno scorso e dall'uguale rifiuto a chiedere scusa all'Egitto per l'uccisione di cinque suoi poliziotti durante un'incursione palestinese in Israele.

Quindi addio ai suoi unici alleati della regione, Turchia ed Egitto, nello spazio di appena 12 mesi. Il Gabinetto israeliano è composto da persone intelligenti, potenzialmente equilibrate come Ehud Barak, ma anche da folli come il Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, l'Ahmadinejad delle politiche israeliane. Sarcasmo a parte, gli Israeliani si meritano di meglio.

Può essere che lo Stato di Israele sia stato creato ingiustamente – la Diaspora palestinese ne è la dimostrazione – ma è stato creato legalmente. E i suoi fondatori sono stati perfettamente in grado di fare un accordo con il re Abdullah di Giordania dopo la guerra del 1948 - '49 per dividere la Palestina tra Ebrei e Arabi.

Ma era stata l'ONU, riunitasi il 29 novembre del 1947 per decidere il destino della Palestina, a dare legittimità ad Israele, con gli Americani a votare per primi a favore della sua creazione. Ora – per somma ironia della sorte – è Israele che spera di evitare che l'ONU dia agli Arabi palestinesi la loro legittimazione – e è l'America che sarà la prima a porre il veto a tale legittimazione.

Israele ha il diritto di esistere? La domanda è un tranello trito e ritrito, regolarmente e stupidamente tirato fuori dai cosiddetti sostenitori di Israele; tirato fuori regolarmente anche con me, anche se in sempre meno occasioni.

Gli Stati – non gli esseri umani – danno agli altri Stati il diritto di esistere. Perchè gli individui lo possano fare, devono vedere una mappa. Perchè (la questione è) dove si trova esattamente, geograficamente, Israele?

E' l'unica nazione al mondo che non sa e non dichiarerà dove sia la sua frontiera orientale. E' forse la vecchia linea dell'armistizio delle Nazioni Unite, oppure il confine del 1967 così amato da Abbas e così odiato da Netanyahu, o ancora la Cisgiordania palestinese senza gli insediamenti, o l'intera Cisgiordania?

Fatemi vedere una mappa della Gran Bretagna che comprenda Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord, ed essa ha il diritto di esistere. Ma mostratemi la mappa della Gran Bretagna che pretende di comprendere le 26 contee irlandesi indipendenti in Gran Bretagna e presenta Dublino come città britannica anziché irlandese, e io dirò che no, questa nazione non ha il diritto di esistere entro queste frontiere allargate.

E’ il motivo per cui, nel caso di Israele, praticamente tutte le ambasciate occidentali, incluse quella statunitense e quella britannica, sono a Tel Aviv, non a Gerusalemme.

Nel nuovo Medio Oriente, tra la Primavera araba e la rivolta dei popoli liberi per dignità e libertà, questo voto delle Nazioni Unite – passato all'Assemblea Generale, e su cui l'America porrà il veto se arriverà al Consiglio di Sicurezza – costituisce una specie di cerniera; non solo un girare pagina, ma il fallimento dell'impero.

Talmente tanto è bloccata su Israele la politica estera statunitense, talmente tanto paurosi verso Israele sono diventati praticamente tutti i membri del Congresso – al punto di amare più Israele che l'America – che l'America si presenterà questa settimana non come la nazione che ci ha dato Woodrow Wilson e i suoi 14 principi di autodeterminazione, non come la nazione che ha combattuto il nazismo, il fascismo e il militarismo nipponico, non come il faro di libertà che, ci dicono, i suoi Padri Fondatori hanno rappresentato – ma come uno Stato burbero, egoista, spaventato, il cui Presidente, dopo aver promesso un nuovo amore per il mondo musulmano, è costretto a sostenere una forza occupante contro un popolo che chiede solo il riconoscimento del proprio Stato.

Dovremmo forse dire “povero vecchio Obama”, come ho fatto in passato? Non credo proprio. Grande nella retorica, vanesio, distribuendo falso amore a Istanbul e al Cairo a pochi mesi dalla sua elezione, proverà questa settimana che la sua rielezione è più importante del futuro del Medio Oriente, che la sua personale ambizione di restare al potere deve occupare il primo posto sulle sofferenze di un popolo sotto occupazione. In questo unico contesto, è strano che un uomo di tali supposti elevati principi debba dimostrarsi così codardo.

Nel nuovo Medio Oriente, nel quale gli Arabi stanno pretendendo esattamente gli stessi diritti e libertà dei quali Israele e l'America dicono di essere i campioni, questa è una tragedia assoluta.

I fallimenti dell'America nell'opporsi a Israele e nell'insistere su una pace giusta in “Palestina”, spalleggiata dall'eroe della guerra in Iraq Tony Blair, hanno la loro responsabilità. Ce l’hanno anche gli Arabi, per aver permesso ai loro dittatori di durare così a lungo e quindi di intasare la sabbia con false frontiere, vecchi dogmi e petrolio (e non crediamo che una nuova “Palestina” sarebbe un paradiso per il suo popolo).

E ce l’ha anche Israele che dovrebbe essere ben disposta verso la richiesta di riconoscimento dello Stato da parte dei Palestinesi all'ONU con tutti i suoi impegni per la sicurezza e la pace e il riconoscimento di altri membri delle Nazioni Unite. Invece no.

La partita è persa. Il potere politico statunitense in Medio Oriente sarà neutralizzato questa settimana nell'interesse di Israele. Un vero sacrificio in nome della libertà...



Libia: cosa aveva raggiunto e cosa è stato distrutto
di Michel Chossudovski - www.globalresearch.ca - 20 Settembre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

"Non c’è un domani” sotto la ribellione di Al Qaeda sponsorizzata dalla NATO.

Mentre si insediava un governo ribelle “a favore della democrazia”, il paese è stato distrutto.

Contro il fondale di una guerra di propaganda, i successi economici e sociali della Libia degli ultimi trent’anni hanno brutalmente mutato direzione:

La [Jamahiriya Araba Libica] aveva un alto livello di vita e un robusto apporto calorico pro capite, pari a 3144 chilocalorie.

Il paese ha fatto passi avanti in campo sanitario e, dal 1980, i tassi di mortalità infantile sono calati da 70 a 19 nascite su 100.000 nel 2009. L’aspettativa di vita è passata da 61 a 74 anni nello stesso lasso di tempo (FAO, Roma,
Libya, Country Profile)

Secondo i settori della "sinistra progressiva” che hanno appoggiato il mandato R2P della NATO, per non parlare dei terroristi che sono senza riserve considerati e “Liberatori”:

"L’umore in tutta la Libia, in modo particolare a Tripoli, è assolutamente quello di un sentimento euforico. La gente è incredibilmente eccitata di ricominciare da capo. C’è un senso di rinascita, l’impressione che le loro vite stanno iniziando di nuovo (DemocracyNow.org, 14 settembre 2011)

"Ricominciare da capo” dopo la distruzione?

Paura e disperazione, incommensurabili morti e atrocità, ampiamente documentate dai media.

Niente euforia… È avvenuto un rovesciamento storico dello sviluppo sociale ed economico. Le conquiste sono state azzerate.

In Libia l’invasione della NATO e l’occupazione hanno segnato la “rinascita” degli standard di vita rovinosi. Questa è la verità vietata e non detta: un’intera nazione è stata destabilizzata e distrutta, il suo popolo costretto alla povertà abissale.

L’obbiettivo dei bombardamenti della NATO sin dall’inizio era di distruggere i livelli di vita della nazione, la struttura sanitaria, le sue scuole e gli ospedali, il sistema di distribuzione dell’acqua.

E poi “ricostruire” con l’aiuto di donatori e creditori al timone del FMI e della Banca Mondiale.

I diktat del “libero mercato” sono una precondizione per l’istituzione dei una “dittatura democratica” di stile occidentale.

Circa 90.000 missioni, di cui decine di migliaia su obbiettivi civili, zone residenziali, edifici governativi, impianti per la fornitura di acqua ed elettricità (vedi Comunicato della NATO, 5 settembre 2011. 8140 missioni dal 31 marzo al 5 settembre 2011)

È stata bombardata un’intera nazione con gli armamenti più avanzati, anche con le munizioni rivestite di uranio.

Già in agosto l’UNICEF aveva avvertito che i massicci bombardamenti della NATO delle infrastrutture idriche della Libia “avrebbero potuto provocare un’epidemia senza precedenti” (Christian Balslev-Olesen dell’Ufficio per la Libia all’UNICEF, Agosto 2011).

Nel frattempo gli investitori e i donatori hanno trovato la propria collocazione. "La guerra fa bene agli affari”. La NATO, il Pentagono e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington operano in modo coordinato. Quello che in Libia è stato distrutto verrà ricostruito finanziato da creditori stranieri sotto l’egida del "Washington Consensus":

"Specificamente alla Banca [Mondiale] è stato chiesto di valutare le necessità per le riparazioni e la ricostruzione dei settori dei servizi idrici, energetici e dei trasporti [bombardati dalla NATO] e, in cooperazione con il Fondo Monetario Internazionale, di sostenere una preparazione del bilancio [misure di austerità] per aiutare il settore bancario a rimettersi in piedi [la Banca Centrale Libica è stata uno dei primi edifici governativi a essere bombardato]. La creazione di lavoro per i giovani libici è da considerarsi una necessità urgente che la nazione deve affrontare." (World Bank to Help Libia Rebuild and Deliver Essential Services to Citizens)

I risultati dello sviluppo libico

Qualunque opinione che si possa avere di Gheddafi, il governo libico post-coloniale ha svolto un ruolo fondamentale per eliminare la povertà, per migliorare la salute della popolazione e per sviluppare le strutture per l’educazione.

Secondo la giornalista italiana Yvonne de Vito, "diversamente da altre nazioni che hanno avuto una rivoluzione, la Libia viene considerata la Svizzera del continente africano, è molto ricca e le scuole sono gratuite. Gli ospedali sono gratuiti. E le condizioni delle donne sono molto migliori rispetto ad altri paesi arabi." (Russia Today, 25 agosto 2011)

Questi risultati sono in netto contrasto con quello che le nazioni del Terzo Mondo sono riuscite a “raggiungere” sotto la “democrazia” e il “governo” di stile Occidentale nel contesto standard dei Programmi di Aggiustamento Strutturale del FMI e della Banca Mondiale.

Cura della salute

La cura della salute in Libia prima dell’”intervento umanitario” della NATO era la migliore in Africa. “La tutela della salute è [era] a disposizione di tutti i cittadini senza costi applicati dal settore pubblico. La nazione si fregia del più alto tasso di alfabetizzazione e di iscrizione alle scuole del Nord Africa. Il governo sta [stava] incrementando in modo sostanziale i fondi per lo sviluppi dei servizi sanitario (OMS, Libya, Country Brief)

Come confermato dalla Food and Agriculture Organization (FAO), la malnutrizione era meno del 5%, con un apporto calorico giornaliero pro capite di 3144 chilocalorie (i dati sull’apporto calorico indicano la disponibilità e non il consumo).

La Jamahiriya Araba Libica forniva ai suoi cittadini quello che viene negato a molti statunitensi: l’assistenza sanitaria gratuita e l’educazione gratuita, come confermato dall’OMS e dall’UNESCO.

Secondo l’OMS, l’aspettative di vita alla nascita era di 72,3 anni (2009), tra le più alte del mondo sviluppato.

Il tasso di mortalità al di sotto dei cinque anni è calato dal 71 per mille nel 1991 a 14 per mille nel 2009. Vedi Libyan Arab - HEALTH & DEVELOPMENT.

Informazioni generali sulla Jamahiriya Araba Libica
Dati del 2009

Popolazione totale 6.420.000
Tasso di crescita della popolazione (%) 2,0
Popolazione 0-14 anni (%) 28
Popolazione rurale (%) 22
Tasso di fertilità totale (nascite per donna) 2,6
Tasso di mortalità infantile (per mille nascite) 17
Aspettativa di vita alla nascita (in anni) 75
PIL pro capite in dollari US 16.502
Crescita del PIL (%) 2,1
Interessi sul debito in % al GNI 0
Bambini in età di scuola primaria che non vanno a scuola(%) 2,0 (1978)

Fonte: UNESCO, Libya, Country Profile


Aspettativa di vita alla nascita (anni)

Aspettativa di vita maschile alla nascita (anni)

Aspettativa di vita femminile alla nascita (anni)

Nati sottopeso (%)

Bambini sotto peso (%)

Tasso di mortalità perinatale ogni 1000 nati

Tasso di mortalità neonatale

Tasso di mortalità infantile (per 1000 nati)

Tasso di mortalità sotto i 5 anni (per 1000 nati vivi)

Tasso di mortalità materna (ogni 10.000 nati vivi)

72,3

70,2

74,9

4,0

4.8

19.0

11,0

14,0

20,1

23,0

Fonte: Libyan Arab Jamahiriya - Demographic indicators

Educazione

Il tasso di alfabetizzazione degli adulti era dell’89% (2006, 94% per i maschi e 83% per le femmine). Il 99,9% degli adulti è alfabetizzato (dati UNESCO 2006, vedi UNESCO, Libya Country Report).

I dati delle iscrizioni alla scuola primaria era del 97% per i ragazzi e del 97% per le ragazze (vedi le tabelle dell’UNESCO).

Il rapporto tra insegnanti e alunni nella scuola primaria della Libia è pari a 17 (dati UNESCO del 1983), il 74% di chi ha finito la primaria viene iscritto alla secondaria (dati dell’UNESCO del 1983)

Analizzando dati più recenti, che confermano un incremento significativo delle iscrizioni scolastiche, il Tasso di Iscrizione Lordo (GER) nelle scuole secondarie era del 108% nel 2002. Il GER indica il numero di alunni iscritti a un dato livello scolastico senza considerare l’età espresso con la percentuale della popolazione nella fascia di età teorica per quel livello di educazione.

Per le iscrizioni alla scuola terziaria (post-secondaria, college e università), il Tasso di Iscrizione Lordo (GER) era del 54% nel 2002 (52 per i maschi, 57 per le femmine).

(Per ulteriori dettagli, vedi Education (all levels) profile - Libian Arab Jamahiriya).

Diritti delle donne

Per i diritti delle donne i dati della Banca Mondiale mostrano miglioramenti significativi:

"In un periodo di tempo relativamente breve, la Libia ha ottenuto l’accesso universale alla formazione primaria, con un’iscrizione lorda pari al 98% per l’educazione primaria e il 46% per quella terziaria. Nello scorso decennio, le iscrizioni femminili sono incrementate del 12% in tutti i livelli di formazione. Nell’educazione secondaria e terziaria, le ragazze superano i ragazzi del 10%.”

Controllo dei prezzi per i generi alimentari essenziali

Nella gran parte dei paesi in via di sviluppo, i prezzi dei cibi essenziali sono saliti alle stelle a causa della deregolamentazione del mercato, l’abolizione del controllo dei prezzi le l’eliminazione dei sussidi per seguire i consigli del “libero mercato” forniti da Banca Mondiale e FMI. Negli ultimi anni gli alimenti basici e i prezzi dei carburanti hanno sempre più alti per gli scambi speculativi sulle maggiori commodity.

La Libia era uno dei pochi paesi del mondo in via di sviluppo che ha mantenuto un sistema di controllo dei prezzi per i cibi fondamentali.

Il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, ha riconosciuto nell’aprile del 2011 che i prezzi dei cibi fondamentali era incrementato del 36 per cento nel corso dell’ultimo anno. Vedi Robert Zoellick, Banca Mondiale.

La Jamahiriya Araba libica ha introdotto un sistema di controllo dei prezzi sugli alimenti di prima necessità che ha mantenuto fino allo scoppio della guerra guidata dalla NATO.

Mentre i prezzi degli alimenti nelle vicine Tunisia ed Egitto ha causato le rivolte sociali e il dissenso politico, in Libia il sistema dei sussidi in agricoltura è stato mantenuto in vigore.

Questi sono i fatti confermati da numerose agenzie specializzate delle Nazioni Unite.

"Diplomazia dei Missili” e “Libero Mercato”

La guerra e la globalizzazione sono intimamente collegate. Il FMI e la NATO lavorano in tandem, in accordo ai think tank di Washington.

Le nazioni che sono riluttanti ad accettare i proiettili placcati di zucchero delle “medicine economiche” del FMI saranno eventualmente oggetto di un’operazione umanitaria R2P della BATO.

Déjà Vu? Sotto l’Impero Britannico, la "diplomazia delle cannoniere" era un sistema per imporre il "libero scambio". Il 5 ottobre 1850 l’inviato inglese nel Regno del Siam, Sir James Brooke, raccomando a Sua Maestà che:

"nel caso in cui queste richieste [per imporre il libero scambio] vengano rifiutate, una forza si paleserà immediatamente per sostenerle nella rapida distruzione delle difese del fiume [Chaopaya]. […] Il Siam potrebbe dover subire una lezione che da tempo sta provocando; il suo governo potrebbe venire rimodellato, un re meglio disposto potrebbe essere insediato al trono e verrebbe stabilita un’influenza nella nazione che sarebbe di estrema importanza per l’Inghilterra" (La Missione di Sir James Brooke, citata in M.L. Manich Jumsai, Re Mongkut e Sir John Bowring, Chalermit, Bangkok, 1970, p. 23)

Oggi lo chiamiamo “cambio di regime” e “Diplomazia dei Missili” che invariabilmente prende la forma di una "No Fly Zone" sponsorizzata dall’ONU. Il suo obbiettivo è quello di imporre la terribile “medicina economica” del FMI a base di misure di austerità e di privatizzazioni.

La Banca Mondiale ha finanziato i programmi per la "ricostruzione” dei paesi distrutti sono coordinati con la pianificazione Stati Uniti-NATO. Vengono invariabilmente formulati prima dell’avvio della campagna militare…

La confisca dei beni finanziari libici

Gli asset finanziari libici congelati oltre oceano sono stimati nell’ordine di 150 miliardi di dollari, con i paesi Nato che ne hanno più di 100.

Prima della guerra la Libia non aveva debiti. All’opposto. Era una nazione creditrice che investiva nella vicine nazioni africane.

L’intervento militare R2P aveva l’obbiettivo di costringere la Jamahiriya Araba Libica in una camicia di forza rendendola una nazione indebitata per il proprio sviluppo, sotto la sorveglianza delle istituzioni basate a Washington.

Con una punta di ironia, dopo aver derubato la ricchezza petrolifera della Libia e aver confiscato i suoi beni finanziari, la “comunità dei donatori” ha promesso di prestare il denaro (rubato) per finanziare la “ricostruzione” post-conflitto.

Il FMI ha promesso altri fondi per 35 miliardi di dollari ai paesi in cui si sono avute le rivolte della Primavera Araba e ha formalmente riconosciuto il consiglio ad interim che è al potere in Libia come un potere legittimo, aprendo la porta a una miriade di prestatori internazionali quando il paese [la Libia] cerca di ricostruirsi dopo una guerra durata sei masi.

Avere il riconoscimento del FMI è importante per i dirigenti temporanei libici dato che permette l’offerta di finanziamenti da parte delle banche internazionali per lo sviluppo e da altri donatori come la Banca Mondiale.

Le dichiarazioni pronunciate a Marsiglia sono giunte solo alcuni giorni dopo che i leader mondiali si erano accordati a Parigi per sbloccare miliardi di dollari in asset congelati [denaro rubato] per aiutare [attraverso prestiti] i governanti ad interim della Libia per ripristinare i servizi vitali e per ricostruire dopo il conflitto che ha posto fine alla dittatura durata 42 anni.

L’accordo finanziario sancito dal G-7 più la Russia ha lo scopo di sostenere gli sforzi per le riforme [gli aggiustamenti strutturali sponsorizzati dal FMI] al termine delle rivolte in Nord Africa e in Medio Oriente.

I finanziamenti sono principalmente sotto forma di prestiti, e non di sovvenzioni, e sono forniti per metà dal G8 e dai paesi arabi, e l’altra metà da vari prestatori e dalle banche per lo sviluppo.



Erdogan preoccupa gli UsaInserisci linkdi Mario Braconi - Altrenotizie - 22 Settembre 2011

Sono molti i temi affrontati nel corso degli incontri tra rappresentanti dei governi americano e turco avvenuti tra lunedì e martedì a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York: gli attuali pessimi rapporti tra Ankara ed Israele, la possibile esplosione di una guerra civile in Siria, le rinnovate tensioni su Cipro e, inevitabilmente, la questione della nazione palestinese portata all’attenzione delle Nazioni Unite.

Le tensioni tra i due alleati NATO ci sono, e si sentono: Hillary Clinton non ha fatto mistero della preoccupazione americana sul grave deterioramento dei rapporti tra la Turchia e Israele, specificando che in questo specifico momento non è desiderabile un aumento di tensione in Medio Oriente.

Maggiore sintonia si registra tra le posizioni di Obama ed Erdogan sul caso Assad: da quando il premier turco ha preso una netta posizione contro i “regimi di violenta repressione” del dissenso, su questo tema è tornato il sereno.

Tensioni permangono inevitabilmente sul tema dello showdown con Israele e sul pieno appoggio turco alla decisione dell’Autorità Palestinese di continuare la sua lotta per lo stato palestinese alle Nazioni Unite.

Educatamente respinte al mittente dagli Americani, invece, le parole del ministro degli esteri turco Davutolu che, discutendo la decisione della parte greca di Cipro di dare il via a ricerche di gas nel Mediterraneo orientale, ha parlato di “provocazione”.

Da un punto di vista di strategia politica, potrebbero essere proprio i punti di dissenso con gli americani più che quelli di sintonia a rendere cruciale la figura di Recep Tayyip Erdo?an nel futuro prossimo del Medio Oriente.

Innanzitutto, con la primavera araba (in particolare dopo la caduta di Mubarak) è evidente l’attivismo con cui il premier turco si sta muovendo sullo scacchiere del Medio Oriente, per accreditare il suo paese come potenza di riferimento nel mondo islamico. In questo senso va interpretato il suo recente tour in Egitto, Tunisia e Libia; perfino il modo muscolare con il quale ha affrontato la questione della Mavi Marmara tradisce l’intenzione di aumentare in modo facile la sua popolarità nei paesi islamici.

Del resto, se Erdogan è diventato famoso “come una rockstar” é anche grazie alla sua passione per le boutade grossolane ad alto gradimento delle masse. Bisogna però dire che, come ricorda Owen Matthews su The Daily Beast, questo atteggiamento qualche volta si traduce in un boomerang: ricordiamo ad esempio la volta in cui definì Hamas un gruppo di “combattenti per la libertà”.

Eppure, al di là degli errori politici e dei difetti personali, è essenziale che gli Stati Uniti - ma anche tutti i paesi occidentali nominalmente interessati allo sviluppo di una compiuta democrazia nei paesi islamici - prendano atto del peso politico delle posizioni espresse dal primo ministro turco nel corso della sua visita in Tunisia: “La Turchia è uno stato democratico, laico e sociale.

Per quanto riguarda la laicità, uno stato laico mantiene l’equidistanza rispetto a tutti i gruppi religiosi, inclusi musulmani, cristiani, ebrei e atei.” Va detto che la sua storia decennale di contrasto agli estremisti laicisti è stata confermata in diverse occasioni e non tutte degne di patenti democratiche: colpi di Stato ed annullamento di risultati elettorali, fino al risultato ottenuto nel 2008 con l’abolizione del divieto di indossare il velo nelle università turche.

Eppure, l’ambasciatore israeliano ad Ankara, secondo il contenuto di un cablo di pubblicato da Assange arrivò a definire Erdogan “un pericoloso estremista islamico che ci odia dal punto di vista religioso”.

Forse non è in errore Matthews quando definisce la Turchia di Erdogan “la nuova superpotenza mediorientale”: un paese a maggioranza assoluta islamica che ha raddoppiato il suo prodotto interno lordo in meno di un decennio e che può costituire un modello per le nuove democrazie arabe.

I Paesi islamici hanno bisogno di sentir parlare di diritti e di libertà da qualcuno che sentano vicino, specie dopo anni in cui le parole “libertà” e democrazia sono state spese da personaggi come Bush, divenendo sinonimo di guerra e abusi. E sarebbe bene che anche Israele comprendesse che normalizzare i rapporti con l’ex alleato, anche a costo di qualche passo indietro, è anche nel suo interesse.



Non pagare il debito!
di Giulietto Chiesa - Il Fatto Quotidiano - 22 Settembre 2011

Un anno fa la Grecia era in rosso per 110 miliardi di euro. L’hanno “salvata”. Adesso il debito è salito a 340 miliardi.

Non so se la ri-salveranno, ma, in tal caso (e non è una battuta di spirito, perché la Finlandia proprio questo ha chiesto) dovrà dare in pegno il Partenone.

A riprova che i “ nove banchieri” di Wall Street amano molto le collezioni private. Non so dove lo metteranno, il Partenone, ma troveranno un posto, magari vicino a San Diego, California.

Il problema è che adesso tocca a noi. Chiederanno in pegno il Colosseo, o la Galleria degli Uffizi. E non basterà, perchè il nostro debito pare sia superiore ai 1.900 miliardi di euro.

Dicono che dobbiamo privatizzare tutto. Arriveranno a comprare ai saldi con i denari fasulli, creati con un click sul computer, con cui hanno gonfiato il debito mondiale fino a cifre astronomiche, che nessuno è più in grado di pagare.

Ho publicato i risultati di un Gao (Government Accountability Office) Audit sulla Federal Reserve , il primo e unico mai effettuato sulla prima banca planetaria nei suoi circa 100 anni di storia, dal quale emerge che, tra il 2007 e il 2010, la Federal Reserve ha spalmato 16 trilioni di dollari su tutte le più importanti banche occidentali, non solo su quelle americane.

L’Audit è stato fatto da due senatori americani, Bernie Sanders e Jim DeMint, e chi vuole se lo va a leggere sul sito di Sanders. Qualcuno si è scandalizzato per il mio “complottismo”. Sfortunatamente non sono io che complotto. L’operazione è stata definita, dallo stesso Sanders, del tutto illegale.

Tredicimilamiliardididollari inventati e inviati illegalmente a tutte quelle banche? E perchè?

La risposta è una sola: perchè tutte quelle banche sono fallite. Ma non lo si poteva dire. Quindi si è rimessa la benzina nel loro serbatoio. E, con quella benzina, il debito (nostro) ha ripreso a crescere.

John Kenneth Galbraith definì questa come “economia della truffa”. Se potesse resuscitare, adesso riderebbe. Forse, da qualche parte, lo fa. Ma riderebbe di noi se pagassimo il debito di quei nove balordi che si riuniscono a Wall Street, in segreto, per renderci schiavi.


Tarantini? Mandiamoli a lavorare
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 22 Settembre 2011

Io ammiro la professionalità e la pazienza dei Pubblici ministeri, quelli che il presidente del Consiglio definisce «un cancro della democrazia».

I Pm di Napoli chiedono conto a Nicla Tarantini, la moglie di Giampi, dei 20mila euro al mese in contanti che Berlusconi versava ai due coniugi.

Lei piange: «Adesso senza quei soldi come faremo a campare? Non riusciremo ad andare avanti». Certo con due camerieri in villa, un cuoco e un autista deve essere dura. Alla glaucopide Nicla non passa nemmeno per la testa che si possa «campare» lavorando.

Al Pm che le chiede come mai, avendo ricevuto un surplus di altri 20mila euro per una vacanza a Cortina, sia andata ugualmente a bussare a quattrini da Berlusconi chiedendogliene altri 5mila, risponde: «Siccome era la prima vacanza che facevamo dopo tre anni ed eravamo in quattro persone volevo far fare una bella vacanza alle mie bambine».

L’istinto sarebbe quello di dare quattro ceffoni all’impunita o di ricordarle che 20mila euro al netto sono lo stipendio annuale, quando va bene, di un impiegato o che i suoi coetanei se la sfangano nei call-center con 1000 euro al mese oppure scoppiarle a ridere in faccia. Invece il Pubblico ministero deve rimanere impassibile.

Ammiro meno la pazienza dei miei connazionali, degli uomini e delle donne che sbarcano il lunario onestamente. Perché la tipologia di Nicla e Giampi Tarantini, gente che «campa» nel lusso senza aver mai battuto un chiodo, è vastissima.

Vado a volte a cenare in un ristorante che è proprio accanto a casa mia, frequentato dai "demimonde" dello spettacolo, da prostitute di lusso, da una fauna maschile indecifrabile, uomini vestiti come usava negli anni Cinquanta con regolamentare fazzolettino bianco che spunta dal taschino sinitro della giacca o, se vogliono essere "easy", con la camicia aperta a mostrare un vistoso medaglione d’oro sul petto villoso.

Dai tavoli senti discorsi di questo tipo: «Domani vado a New York, poi faccio un salto a Boston, e prima di rientrare a Roma o a Milano, passo una settimana in Thailandia».

Se ti capita di parlare con uno di questi e gli chiedi che lavoro fa le risposte sono vaghissime. Non è un grande avvocato, non è un primario, non è un architetto di grido, si muove, vede gente.

Insomma che mestiere faccia non si sa, anche se intuisci che non deve essere molto diverso da quello degli innumerevoli Lavitola che popolano questo Paese.

Ma se qualcuno dei loro affarucci non va per il verso giusto cadono nel più cupo «bisogno». Come Nicla Tarantini.

Anche il concetto di «bisogno» del nostro presidente del Consiglio è piuttosto stravagante se, per giustificare la barca di soldi che dava ai Tarantini (ai 20mila euro al mese vanno aggiunti 500mila euro, una tantum, e altre regalie) ha detto: «Ho aiutato una famiglia con due figli che versava in gravissime difficoltà economiche».

Certo, poveretto, vivendo fra villa S. Martino, Villa Certosa, villa a Portofino, Palazzo Grazioli e frequentando i Lavitola e i Bisignani, non può capire che cosa significa realmente «bisogno».

Però due cose il Cavaliere le ha capite benissimo. Che all’accusa di estorsione ai Tarantini si può accompagnare, per lui, quella di corruzione per aver cercato di tacitare due testimoni scomodi.

E che se si presenta davanti al Tribunale di Napoli come testimone non può avvalersi della facoltà di non rispondere. Deve dire la verità.

Se è testimone spergiuro o reticente può anche essere arrestato, perché in flagranza di reato non valgono le consuete guarentigie di cui godono i parlamentari.



La malavitola
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 21 Settembre 2011

L’altra sera Giuliano Ferrara ha riattaccato i suoi comizietti serali su Rai1 con una lode sperticata al suo padrone: “eroe popolare”, “anomalia felice della Storia”, “uomo umile e sorridente”.

Ma anche bello, elegante, slanciato. E fin qui nessuna novità: la voluttà con cui questo fenomeno da baraccone, scambiato per “molto intelligente” a destra e a sinistra, slinguazza chiunque comandi e gli passi uno stipendio è ormai leggenda.

Semmai ci sarebbe da obiettare sul titolo Radio Londra, che evoca un che di scomodo, pericoloso, catacombale, come gli appelli dall’esilio del generale De Gaulle dopo l’occupazione nazista della Francia.

Invece è la voce del regime che parla dal primo canale della Rai di regime sciogliendo inni al capo del regime. Ma neppure questa è una novità: sono trent’anni che noi cittadini stipendiamo questo giullare di tutte le corti: prima come consigliere comunale Pci, poi come europarlamentare Psi, poi come trombettiere garofaniero su Rai2, poi come ministro e portavoce del primo governo Banana, poi come direttore del Foglio clandestino coi sussidi della Presidenza del Consiglio, ora come primo trombone del Cavalier Patonza su Rai1.

L’altra sera il noto campione d’indipendenza raccontava agli italiani sfortunatamente capitati alla visione e all’ascolto che del suo padrone non possiamo fare a meno perchè “ha introdotto in Italia alcune cose importanti”: 1) “la possibilità di scegliere chi va a Palazzo Chigi” (forse non sa che il premier lo sceglie il capo dello Stato, non gli elettori, visto che siamo e restiamo una Repubblica parlamentare); 2) “un nuovo modo di guardare l’economia” (poche ore dopo ha provveduto Standard & Poor’s a guardare la nostra economia in un nuovo modo: declassandola); 3) “un nuovo linguaggio della politica”.

E almeno questo è vero. Un tempo, per quanto malavitosi, i politici italiani si sforzavano di parlare una lingua diversa da quella della malavita. Ora i linguaggi coincidono, e Ferrara modestamente è all’avanguardia.

Commentando l’indagine di “questi ragazzotti in cerca di protagonismo” (i pm di Napoli) sul ricatto a B. di Lavitola & Tarantini ha dichiarato: “Che c’entra col ricatto il fatto che degli amici sono un po’ insistenti e alla fine ti spillano dei quattrini? Io li proteggo, embè? È un ricatto questo? No, è protezione di un amico. Io sono molto ricco e generoso, gli ho dato dei soldi. È reato questo?”.

Provate ora a rileggere queste parole con un lieve accento siciliano, meglio se con inflessione corleonese: “Minchia, signor commerciante, scusasse se sono tanticchia insistente, ma vossia è motto ricco, c’ha i piccioli pure int’u culu e abbiamo saputo puro che c’ha delle bedde criaturi che vanno alla scola in cima alla strata, ma bisogna starci attenti a ‘sti picciriddi, quacchiduno potrebbe facci del male, e noi li vogliamo sempre in salute, infatti siamo qui a offrirci la protezione, che costa puro poco… E me lo chiama pizzu chistu? Ma quali pizzu, quali riato! Chista protezione è! Generosità è! Ci siamo capiti, ah? Che facciamo, ripassamo domani?”.

Basta tradurre in corleonese le ultime esternazioni del premier e dei suoi turiferari per coglierne il senso profondo. “Valter, rimani all’estero”. “Te l’avevo detto che ci intercettavano”. “Non vado a testimoniare per non darla vinta ai pm”. “I magistrati hanno ridotto in miseria Tarantini”. “L’indagine deve passare a Roma”.

E anche la chicca di Ferrara sui pm “ragazzotti”. Viene in mente il giudice Rosario Livatino che, appena osò indagare su mafia, politica e massoneria nell’Agrigentino, fu subito insultato dal presidente Cossiga: “Possiamo continuare con questo tabù, che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno?”.

La mafia risolse il problema ammazzando il giudice ragazzino il 21 settembre 1990. Trentun anni a oggi. Ferrara, commosso, l’ha voluto commemorare da par suo.


In difesa di Silvio Berlusconi (e tutta la sua banda di ruffiani predatori e tagliagole)
di Franco Berardi Bifo - http://th-rough.eu - 22 Settembre 2011

Introduzione

Una banda di criminali sapientemente organizzati si è impadronita del potere mediatico, finanziario e politico, e lo detiene con coraggioso sprezzo del pericolo da quasi un ventennio. Un altro ventennio italiano.

La banda si difende assai bene, da ogni punto di vista. Dispone di enormi capitali coi quali è possibile comprare non solo ville, televisioni, giornali, giudici e favori sessuali, ma anche quel che più conta alla distanza: il voto di una parte consistente del Parlamento e il voto di milioni di elettori.

Dispone di avvocati ben pagati, preparati, pronti a tutto. La linea di difesa, in generale è la seguente: non intendo rispondere, non me ne importa niente delle accuse che mi rivolgete, delle rivelazioni giornalistiche e di quel che si pensa di me.

Continuo a fare quel che ho sempre fatto, e nessuno ha la forza di fermarmi. Perciò la banda resta salda in sella ancor oggi, autunno 2011. Magari meno solida di un tempo, ma solida abbastanza per continuare a governare sul nulla mentre il paese sprofonda con ogni evidenza in una crisi catastrofica di cui, per essere onesti, la banda non è affatto responsabile, checché ne dica il povero Bersani.

La crisi è stata infatti provocata da sommovimenti tellurici di portata planetaria, e la banda per lungo tempo ha deciso che il problema non la riguarda, il che non è del tutto riprovevole dato che non c’è alcun modo di venirne fuori finché la dittatura finanziaria non sarà stata abbattuta, checché ne dica il povero di Bersani.

Anche se sono solide le difese politiche mediatiche e giudiziarie, c’è un punto in cui la banda appare un po’ scoperta: la difesa ideologica, se posso dire così. Il Mammasantissima ha saputo scegliere bene gli avvocati, che son pronti ad azzannare la carotide, ma quanto agli ideologi non sembra aver comprato quelli giusti.

A questo regime quasi perfetto mancano gli intellettuali, e per quanto si possa ritenere che non c’è un gran bisogno di parole quando disponi di pacchi di denari, alla lunga l’assenza di senso produce un vuoto. E in quel vuoto la banda rischia di sprofondare.

Non che manchino gli uomini di lettere, ma questi non son proprio presentabili, non dispongono degli strumenti concettuali atti a legittimare l’azione di governo della banda. C’è ad esempio un tipo come Ferrara Giuliano, noto fra i picciotti perché scrive senza errori di sintassi.

Ma è rimasto un vecchio stalinista che sventola bandiere imbarazzanti, e grida a perdifiato: siam tutti americani, come un tempo osannava Leonid Brezhnev, mentre invitava gli operai di Mirafiori a denunciare alla polizia i loro compagni se avevano l’aspetto da autonomi.

Ora dice che lo sfruttamento della prostituzione è culturalmente utile al paese perché aiuta a dissipare il moralismo. Ma come? Non si era presentato alle elezioni come capo di un partito anti-abortista? Chi può prendere sul serio un fregnacciaro simile?

E poi c’è l’invasato fascistoide Sgarbi Vittorio, che crede di essere un intellettuale provocatorio perché ripete da anni un paio di frasette prese in prestito, e lo fa ad alta voce come se questo desse senso alle stronzate.

E poi c’è Vespa Bruno, leccaculo notissimo, autore di libroni dedicati al Cavaliere che non servono ad altro che incensare. Non c’è bisogno di incenso, ma argomenti, e fin qui gli argomenti son deboli.

A che serve ripetere che Silvio è bravissimo, e i giudici porci? Occorrerebbe un po’ di fantasia, leggere qualche libro, ed informarsi un po’ sull’evoluzione del mondo, per dimostrare in maniera inconfutabile che Silvio Berlusconi è la perfetta espressione del potere globale nell’epoca presente. Di conseguenza è innocente, e vi spiego perché.

Carnage

Carnage. Un bambino è stato ferito da un altro bambino con una bastonata. I genitori del ferito (John Reilly rappresentante di casalinghi e Jody Foster aspirante scrittrice che ha appena scritto un libro sul Darfur) incontrano i genitori dell’aggressore (Christoph Waltz avvocato, e Kate Winslet operatrice finanziaria) per discutere dell’accaduto.

La loro discussione dura esattamente settantanove minuti, quanto dura il film che non stacca per un solo secondo la presa dal flusso travolgente di parole, taglienti insinuanti sprezzanti offensive imploranti, che dicono semplicemente una cosa. Non c’è più alcuna speranza di intendersi fra esseri umani, perché la sottile pellicola della civiltà che negli ultimi cinquecento anni avevamo steso a coprire il massacro, è lacerata.

Ce lo dicono i bambini armati di bastoni nei parchi della città di New York e quelli armati di mitragliatrice delle guerre africane su cui Jodie Foster scrive libri inutili e terrorizzati come il criceto che è stato lasciato là fuori sui marciapiedi della metropoli.

La civiltà è finita, questo dice Yazmina Reza nel suo God of carnage, e ripete Polanski. In scena persone che rappresentano il punto più alto della civilizzazione occidentale: l’avvocato Christoph Waltz parla continuamente al cellulare col suo cliente farmaceutico che si chiede se deve ritirare dal commercio un medicinale solo perché provoca dissociazione dei movimenti nei pazienti che hanno la disgrazia di averlo assunto.

Non devi ritirare proprio niente gli risponde l’avvocato, che è anche consulente del Pentagono, anzi denunciamo subito il giornale che ha rivelato la cosa. Il tormentone telefonico non si sospende un attimo, e interrompe continuamente i tentativi patetici della madre del ragazzo ferito di ottenere comprensione dai genitori dell’aggressore.

Kate Winslet, la madre operatore finanziario ha un attacco di vomito, poi, dopo aver bevuto un sorso di scotch afferra il cellulare del marito e lo getta in un vaso pieno d’acqua.

“Per mio marito quel che è lontano è sempre più importante di quel che è vicino” aveva detto poco prima, sintetizzando con una battuta geniale il senso di un’umanità virtualizzata, un’umanità che ha perduto ogni sentimento del concreto, ogni sentimento dell’empatico, e vive solamente dell’astratta, asintotica, infinitamente rinviata irraggiungibile promessa finanziaria.

Un paio di anni fa Woody Allen fece un film che usciva un po’ dal suo stile, un film d’azione perfetto nel ritmo, avvincente fino allo spasimo, tagliente quasi nella sua crudeltà che non lascia spiragli di speranza, mi si perdoni l’allitterazione.

Match point racconta l’uccisione di una ragazza (la bionda Scarlett) da parte di un giovane britannico bello e spietato, povero ma dotato di un certo talento d’arrivista, ben piazzato in un matrimonio con una tennista dell’alta borghesia finanziaria.

Scarlett, l’amante, era rimasta incinta, e minacciava la scalata sociale del bel giovane. Ma con perfetta sincronia militare il ragazzo la elimina, dopo avere ucciso una vicina di casa. Il suo destino è salvo, la carriera finanziaria assicurata.

L'Inghilterra

Ken Loach, per finire, ha realizzato recentemente The Irish Road, un film in cui si racconta la storia di un giovane disoccupato che accetta di partire per l’Iraq come dipendente di un’azienda di contractor.

Nei paesi in cui l’Occidente cristiano ha deciso di portare la democrazia, la guerra la fanno i contractor, civili assunti da aziende che non rispondono né ai parlamenti nazionali né alla giustizia internazionale, né – naturalmente, a dio, per la semplice ragione che non esiste.

Uccidono civili per lavoro, preparano la penetrazione delle corporation eliminando chi non è d’accordo o chi semplicemente si trova nel posto sbagliato. Il giovane disoccupato britannico di cui parla Loach, convinto da un amico accetta un contratto e va a lavorare in Iraq. Ma purtroppo lo ammazzano, lungo una strada pericolosa. Capita a chi è pagato per uccidere di essere ucciso a sua volta.

Ma il film di Ken Loach non ci racconta la guerra, o l’Iraq. Racconta la vita quotidiana in Inghilterra: mostra il contractor che aveva convinto il giovane disoccupato suo amico a partire con lui e ora si sente corresponsabile di quella morte, la giovane moglie del ragazzo morto, e anche, naturalmente, gli imprenditori se così possiamo chiamarli: i dirigenti dell’azienda che arruola persone e le manda a uccidere perché questo è il business, ed è un business che frutta un bel po’.

L’Inghilterra è un paese in cui esistono – legalmente, ufficialmente, onorevolmente – delle aziende che pagano dei giovanotti perché vadano a uccidere. Un posto infernale, spaventoso, inumano, nazista: l’Inghilterra, appunto.

Ero a Liverpool il 26 di ottobre del 2010 quando il giovane George Osborne, Ministro del Tesoro britannico presentò al Parlamento il piano di riforma economica di un paese che ha già subito la frusta thatcheriana e il cinismo blairiano. la sua riforma mi fece inorridire: cinquecentomila licenziamenti nel settore pubblico nell’arco di tre anni, riduzione drastica della spesa per la sanità, tagli sistematici alla scuola pubblica, e aumenti del 300% delle spese di iscrizione all’università. Presentando il suo piano il giovanotto sorrideva e io mi chiesi cos’è successo alla classe dirigente europea.

E’ semplice: la vecchia classe dirigente aveva dovuto fare i conti con la realtà dura della lotta di classe, aveva dovuto combattere contro una società viva, vera, intelligente e capace di reagire. Poi, dopo la sconfitta dell’Union Miners nel 1983, dopo la distruzione sistematica delle strutture pubbliche e la finanziarizzazione dell’economia, il mondo era scomparso, sostituito da funzioni algoritmiche, numeri e percentuali.

Questi nuovi politici di destra o di sinistra poco importa, sono cresciuti in business school in cui nessuno gli racconta che un tempo esisteva un pianeta di terra e un’umanità di carne. Non sentono il dolore né il piacere degli altri, non sanno nulla del dolore e del piacere proprio.

Forse per questo il giovane George Osborne, sniffando cocaina, amava farsi frustare da una dominatrice dalla pelle nera chiamata Mistress Pain. Fatti suoi.

Il problema è che Caulson, un giornalista della catena Murdoch lo ricattava per questo e allora per tacitarlo fu assunto dal premier Cameron, l’altro pollo d’allevamento che torna dalla Toscana mentre l’Inghilterra è in fiamme e manda l’esercito contro coloro che per lui sono soltanto criminali. Che ne sa lui della miseria, della rabbia, dello sfruttamento, della disoccupazione? Che ne sa lui della lotta di classe?

La Francia

Quando all’aeroporto JFK i poliziotti arrestarono un sessantenne per aver violentato una cameriera di colore nella suite di un hotel cinque stelle, gli intellettuali francesi (un genere che un tempo fu glorioso) seppero solo scandalizzarsi perché quel signore era stato ammanettato come un volgare malfattore.

Il fatto è che in America è pratica normale ammanettare le persone e gettarle in pasto ai fotografi, anche prima di sapere se hanno commesso qualche reato. Ma l’opinione francese se ne fotte se l’America è un paese barbarico, visto che la maggioranza dei francesi ha votato un presidente che vuole imitare George Bush.

La Francia, che un tempo era il paese in cui la cronaca si interrogava dal punto di vista della storia e la storia si interrogava dal punto di vista dell’etica – ora è un paese cinico incapace di pensiero.

Io non so se il sessantenne arrestato all’aeroporto JFK, candidato socialista alla Presidenza francese, e presidente in carica dell’International Monetary Fund, ha violentato la cameriera africana che era entrata per errore nella sua Camera, o semplicemente le è saltato addosso mettendola a tacere.

So che un presidente dell’IMF candidato alla presidenza della Repubblica sessantenne che imponga la sua urgenza sessuale per la durata di nove minuti a una donna di colore che fa la cameriera in un albergo è un violentatore. Punto. Non mi occorre la conferma della giornalista Therese Banon, che denuncia di essere stata aggredita sessualmente dall’energumeno dai capelli bianchi.

Non mi occorre la conferma della madre di Therese Banon, che rivela di aver dissuaso la figlia dal denunciarlo per paura delle conseguenze. So che Dominique Strauss Kahn è presidente dell’IMF, un organismo che ha sulla coscienza milioni di affamati, di disoccupati, di morti per fame, che ha sulla coscienza la catastrofe politica della Jugoslavia, e la catastrofe sociale dell’Argentina.

So che il partito socialista francese come tutti i partiti della sinistra europea è un partito di sfruttatori e di aspiranti assassini. E Dominique Strauss Kahn lo rappresenta come si deve: impadronendosi per nove minuti del corpo indifeso di una donna di trent’anni che è entrata nella sua camera.

Terri

Negli ultimi giorni di questa estate torrida nella rete italiana abbiamo potuto vedere e ascoltare l’intervista rilasciata a un giornalista di Repubblica da una ragazza di Bari che si chiama Terri De Niccolò.

Qui di seguito riporto per esteso la sua intervista. E’ breve, lucida, profonda. Dice tutto quello che c’è da dire:

Tarantini (il ruffiano che procurava giovani donne al Presidente Berlusconi, del quale mi onoro di essere difensore ideologico, NdT) è un imprenditore di grande successo un mito che era riuscito ad arrivare all’apice, beh non è da tutti. Tutti coloro che ora lo calpestano, che lo condannano in realtà sono invidiosi non hanno mai vissuto e secondo me non vivranno mai un giorno come Tarantini. Un giorno da leone, invece gli altri vivono cent’anni da pecora è questa la differenza. È tutto mosso dall’invidia. Se chiedi a una donna se vuole andare da Silvio ma ci va a piedi, correndo anche. Se sei una bella donna e ti vuoi vendere lo devi poter fare perché anche la bellezza è un valore come dice Sgarbi. Se tu sei racchia e fai schifo te ne devi stare a casa perché la bellezza è un valore che viene pagato come la bravura di un medico. E’ così. Chi questo non lo capisce e dice: ah il ruolo della donna viene minimizzato beh allora stai a casa ma non mi rompere i coglioni. Io dico che questa definizione della donna tangente è sbagliata perché dacché mondo è mondo voglio dire tarantini non ha scoperto l’acqua calda. Questo sistema esiste da tantissimi anni addirittura dalla prima repubblica. Se non usa la donna tangente userà le mazzette ma che vuol dire. Quando sei onesto non fai un grande business rimani nel piccolo secondo me. Purtroppo è così se vuoi aumentare i numeri devi rischiare il culo. E’ la legge del mercato. Più alto vuoi andare più devi passare sui cadaveri. Ed è giusto che sia così. Però qui non viene capito perché c’è un’idea cattolica, c’è un’idea morale. Questo mi fa incazzare L’idea moralistica della sinistra che tutti devono guadagnare duemila euro al mese. La legge è di chi è leone. Se sei pecora rimani a casa con duemila euro al mese. Se vuoi ventimila euro ti devi mettere sul campo e ti devi vendere tua madre. A sinistra è peggio perché sono loffi e non pagano a destra almeno sono più alla grande. Io mi compro un vestito così e vado con una pezza da cento euro molte donne avevano abiti da due cinque mila euro, vai lì dall’imperatore che fai con un filettino di dodo, vai con cose importanti, lui apprezza perché è un esteta, invece vai da Frisullo…”

Molto scandalo ha provocato questa intervista tra i beneducati ascoltatori di Fabio Fazio. Anime belle, ipocriti che Terri ha messo a posto da par sua. Magari a Terri dovrebbero spiegare che gli sfigati, le racchie e i moralisti che debbono starsene a casa, difficilmente guadagnano “solo” duemila euro come crede lei.

Duemila euro in Italia non li guadagna più nessuno lavorando in una scuola, in una fabbrica o restandosene a casa come dice lei. In Italia chi ha vent’anni non solo non guadagna duemila euro, ma non ne guadagna neppure mille, e neppure ottocento. Ne guadagna cinquecento se trova un lavoro precario che dura finché fa comodo a qualche padrone che poi si scopa la Terri col ricavato.

Perché se vuoi fare il business grosso, come lei dice, devi passare sopra i cadaveri.

Come i bambini del Congo orientale che per sopravvivere usano il machete e squartano i bambini del Congo occidentale, che problema c’è? Cinque milioni di morti, si calcola, nell’ultimo decennio. Perché se vuoi fare il business grosso devi passare sopra i cadaveri. Ed è giusto che sia così.

Ma la vita così diventa allegra? Perché non c’è qualcuno che lo chiede a Terri?

Ho guardato il suo sorriso legnoso e mi sono chiesto se la Terri sia felice. Cazzi suoi, risponderebbe Sgarbi. Ma io penso di no, perché anche se ti procura ventimila euro, vendere tua madre non può far bene neanche a te.

Cara Terri.

Caro Vittorio.

E’ vero, la legge è di chi è leone. Se abbiamo imparato qualcosa negli ultimi trent’anni, è proprio questa cosa qua. Infatti i bambini si uccidono con il kalashnikov e gli stupri si sono moltiplicati di numero negli ultimi trent’anni (leggere Kat Banyard: The equality Illusion Faber and Faber 2011 che parla di violenza sulle donne).

Predatori

Stiamo vivendo un processo di rapida dissoluzione delle basi stesse della civiltà, e la colpa non è di Silvio Berlusconi, ma del capitalismo finanziario, della logica predatrice della classe dei Berlusconi di tutto il mondo.

La borghesia, che era classe dirigente nell’epoca moderna, era una classe territorializzata: il potere borghese era fondato sulla proprietà di beni fisici, e sulla prosperità di una larga parte della popolazione che viveva sul territorio, dato che la crescita e l’espansione della ricchezza erano legate al consumo crescente e al benessere sociale.

Per questo il conflitto e l’alleanza di operai e borghesia industriale crearono una forma di civiltà sociale che non era tanto amichevole in generale, ma rendeva possibile forme di solidarietà e talvolta perfino di amicizia.

Ora l’amicizia è bandita, l’amore ridicolizzato, la solidarietà impossibile, perché la vecchia borghesia è stata sostituita da una classe deterritorializzata di predoni, il cui potere si fonda sul continuo spostamento del valore, sulla menzogna sistematica, sulla simulazione e sulla distruzione della ricchezza altrui. La ricchezza finanziaria si fonda su segni, numeri, attese, debiti, promesse.

Chiamiamola classe virtuale. In primo luogo perché la produzione e la circolazione di merci semiotiche sono rese possibili dalle tecnologie virtuali. In secondo luogo perché questa nuova classe non si può precisamente definire. E’ polverizzata, elusiva, sfuggente e ubiqua, e in questo senso virtuale.

La partecipazione al gioco finanziario è molto più diffuso di quanto lo fosse la vecchia proprietà borghese. Il net trading ha dato a un vasto pubblico di scommettitori occasionali la possibilità di avere accesso al mercato finanziario, e una larga porzione della popolazione, in modo consapevole o inconsapevole, è obbligata a investire il suo danaro nel rischio finanziario.

Si pensi all’insistenza con cui qualche anno fa i Giavazzi e gli Ichino – truffatori di professione - hanno cercato di convincere i lavoratori a investire i loro soldi nei fondi pensione privati. Per fortuna in pochi ci sono caduti. L’intera categoria dei tagliaboschi canadesi ha perduto la pensione perché l’agenzia finanziaria che deteneva i loro fondi è stata coinvolta nel crollo della Lehman Brothers.

Lavoratori che non hanno la minima conoscenza del gioco finanziario sono costretti ad affidare il loro futuro a quelli che affettuosamente si chiamano “i Mercati” (mi raccomando, dicono i politici, non fate innervosire i Mercati).

Sono questi lavoratori parte della classe finanziaria? In un certo senso lo sono: tutti dobbiamo rischiare, tutti dobbiamo sentirci capitalisti, altrimenti rimani a casa e non ci rompere i coglioni come dice la Terri, raffinata.

Dobbiamo usare i soldi della tua pensione e della tua liquidazione per coraggiose operazioni speculative.

Un tempo il mercato finanziario era un luogo nel quale si incontravano persone che possedevano denaro con persone che avevano bisogno di denaro per realizzare dei progetti, era luogo di indicizzazione del valore di imprese, individui, prodotti e così via. Le valutazioni finanziarie erano segni che si riferivano a degli oggetti reali: significazioni di valore.

Grazie agli effetti della globalizzazione digitale e alla polverizzazione degli scambi ora il gioco è rovesciato. I segni che un tempo erano indicatori di valore ora sono diventati atti linguistici performativi. Quando un’agenzia di rating è in grado di degradare un paese, o un’azienda, non si limita a funzionare come indicatore, ma diviene un fattore di valorizzazione o di svalutazione.

L’indicizzazione finanziaria ha sempre prodotto degli effetti di posizionamento e di valutazione degli agenti economici, e le previsioni finanziarie sono sempre state profezie che si auto realizzano provocando euforia panico e veri effetti sull’economia.

Ma negli ultimi decenni la pervasività della finanza digitale ha dato un ruolo dominante al fattore finanziario, che ora distrugge risorse, e perfino le condizioni di riproduzione futura.

Sempre più spesso la valorizzazione finanziaria coincide con la distruzione di beni materiali: non la creazione della ricchezza, ma la sua distruzione serve a produrre denaro.

La tecnica predatoria consiste nell’aggredire un territorio, un’impresa, una struttura sociale, una popolazione, dissolvere la sua consistenza produttiva, privatizzare i guadagni e socializzare le perdite, per poi abbandonare quel territorio una volta devastato dallo sciame predatorio.

I partiti politici, i governi e i media sembrano avere solo la funzione di convincere le popolazioni terrorizzate ad accettare lo scambio: lavorare sempre di più per sempre meno salario, allo scopo di ricostituire sempre più in fretta il bene comune che domattina il capitale finanziario verrà a depredare nuovamente. I lavoratori lavorano e i governi procurano carne fresca per i mercati.

Perché ve la prendete tanto con i ruffiani della corte di Arcore, dal momento che ogni governo fa lo stesso lavoro?

Conclusione

La vecchia borghesia sfruttava il lavoro operaio per investire in macchinari e case di cui poi largamente si appropriava. La classe criminale finanziaria non produce più niente, si limita a distruggere ciò che nei secoli moderni operai e borghesi hanno creato. Ma adesso sta per finire, perché si sta distruggendo le condizioni stesse perché qualcuno possa produrre in condizioni civili.

Silvio Berlusconi non sopravviverà a lungo nonostante il cerone sul viso e i capelli piantati sul cranio. A lui che gliene può importare? Ha passato gli ultimi quarant’anni a preparare la distruzione di un paese che forse merita quel che gli è capitato (o forse no, ma questo è un argomento su cui non sono preparato).

C’è riuscito, gli è andata fatta bene. Si è venduto la madre, ha camminato sui cadaveri, ed ora, bello bello se la svigna, forse senza passare per Piazzale Loreto (non lo so, ora vediamo).

Perché non smettete di perseguitarlo? Siete stati suoi complici. Veltroni ha detto nell’84 che Berlusconi era un uomo di sinistra, D’Alema gli ha aperto la porta della Bicamerale, e tutti i governi di centro-sinistra che si sono succeduti hanno a fatto a gara nel non sollevare l’unico problema che avrebbe avuto senso sollevare: si può consegnare il potere politico a un uomo che possiede già tre televisioni due giornali quattro case editrici, una finanziaria, un’agenzia pubblicitaria e quante altre cose mi dimentico?

Non si può.

Ma non accade lo stesso in Inghilterra e in America, dove spadroneggia nel mediascape un signore che non si faceva scrupolo di far circolare messaggi falsi dal cellulare di una bambina appena uccisa da un violentatore?

Non accade lo stesso in Francia dove il partito della sinistra si sarebbe volentieri fatto rappresentare da un signore che, non contento di presiedere un organismo criminale come l’IMF va in giro violentando ragazzine e cameriere?

E allora perché ve la prendete con il vecchio padrino?

Lasciatelo morire in pace.

E andate all’inferno con lui.