mercoledì 28 settembre 2011

News Shake

Un altro shake di notizie a caso, ma non per caso...


Il culo al potere
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 27 Settembre 2011

Basta, per favore basta con le presunte zoccole, i presunti maneggioni, i presunti favori, le alcove, le fotografie con i tanga, le tette e i fondoschiena.

Vogliamo toglierci l'ex presidente del Consiglio dai coglioni?

E' cosa buona e giusta, ma non c'è bisogno di trasformare l'Italia in una versione hard del Decamerone. Ogni giorno una nuova puntata a luci rosse.

Per capire quale procura sta indagando (Lecce, Bari, Roma?) , su quali escort, e dove si trova (ma soprattutto chi è) Lavitola bisogna leggere il riassunto delle puntate precedenti. Altrimenti non è possibile capire nulla.

Il premier ha indotto a mentire un testimone, si è scopato una minorenne, ha fatto la doccia dopo un amplesso, se ne è trombate otto in una volta?

Pagine su pagine di intercettazioni e di ragazze mai condannate in tribunale, ma diventate puttane per diritto giornalistico. In caso di non colpevolezza, di mancanza di reato, qualcuno le risarcirà?

Bagnasco
è sceso in campo. "Comportamenti licenziosi, va purificata l'aria". Incominci lui, inizi la Chiesa che ha tratto da questo governo tutti i benefici economici possibili, per tacere dello scandalo mondiale della pedofilia del quale non si scrive soltanto in quest'Italia papalina.

"Tarantini e moglie liberi. Per il tribunale del Riesame la competenza è di Bari e non di Roma." Qualcuno sano di mente mi spiega perché questa è la notizia oggi in prima pagina? L'economia sta sprofondando. Basterebbe questo per far cadere il governo.

Non si parla più di mafia, 'ndrangheta e camorra se non per il loro giro d'affari di circa 130 miliardi di euro all'anno. "Vanno recuperati i soldi!" ci spiegano i politici.

Ma come possono anche solo dirlo se la politica è collusa con la criminalità organizzata spesso e volentieri? Questo governo ha più scheletri nell'armadio di un ossario, ma nessuno si azzarda ad aprirlo quell'armadio, perché contiene tibie, crani, malleoli, costole condivisi con l'opposizione.

Meglio parlare di culi e di tette, attaccare su un fronte su cui l'ex presidente del Consiglio ha un indubbio vantaggio sin dai tempi delle vallette di Fininvest.

Non sappiamo nulla sulla fedina penale di un deputato, ma veniamo informati se è omosessuale, se è omofobo, se va a trans e in che zona di Roma. La fantasia al potere è stata sostituita dal culo al potere.

E le "Domande al Cavaliere?". Imperdibili! Sempre 10, mai una in più, forse i giornalisti sanno contare solo con le dita delle mani.

Mai una domanda scomoda, ma solo porno soft del tipo su Repubblica di oggi "Perché ripara i suoi atti di beneficenza, se sono tali, dietro accordi segreti e misteriosi?" oppure "Perché usa la RAI e i suoi dirigenti per ottenere favori da giovani donne?". Se le tragedie spesso finiscono in farsa, la nostra sta finendo in vacca.


Il peggio femminino
di Lameduck - http://ilblogdilameduck.blogspot.com - 24 Settembre 2011

"Questo patto [dichiarazione di voto, n.d.a.] vogliamo stipularlo con Lei e non col prof. Prodi: la sua campagna fatta di 'serietà' e 'sacrifici' non ci piace, ci intristisce e ci fa un po' spavento. E noi signore lo lasciamo volentieri perdere. 'La bellezza salverà il mondo'." (Dalla Lettera aperta delle donne a Silvio Berlusconi, marzo 2006)

Quando tutto sarà finito e ci aggireremo tra le macerie fumanti di questo disgraziato paese, bisognerà fare un discorsetto come si deve alle donne che hanno popolato, appoggiato, sfruttato ed acclamato il maledetto regime del Drago Flaccido per tutto questo tempo. Qualche testolina da rapare metaforicamente a zero per intelligenza - anzi incoscienza - con il nemico, insomma, non guasterebbe.

Non è un mistero che proprio le donne siano state lo zoccolo duro dell'elettorato del Nano della Provvidenza. Non solo le patetiche vecchie passerottine comperate last minute con il cestino da viaggio dei poveri - panino al salame e mezza minerale - e mandate di fronte a Palazzo di Giustizia a fare claque.

Non solo le signore bene e male tradizionalmente sensibili ai richiami del populismo fascista e del conservatorismo protettore del privilegio ma milionate di donne di tutte le classi sociali, anche le più umili, che gli si sono donate senza indugio come ringraziamento per essere state sedotte e condizionate pavlovianamente dalla sua cura Silvio-Ludovico.

Ore ed ore, giornate intere per trent'anni a farsi rincoglionire ed offendere da trasmissioni oscene per ignoranza e volgarità, senza che nessuna avesse il buon gusto di spegnere l'ordigno infernale e rifiutarsi di comperare i rovagnati, i mulini bianchi e tutte le cianfrusaglie che avrebbero finanziato altra televisione immonda, altra merda da far colare nel loro salotto, in un loop consumistico e culturalmente degradante senza fine.

L'oscenità che ci ha fatto rabbrividire in "Videocracy" e ne "Il corpo delle donne" le italiane l'hanno tollerata senza fiatare per decenni senza accorgersi di come questo condizionamento tette-culi stesse scavando come una talpa nell'inconscio maschile infettandolo con l'idea che le donne debbano essere sempre e solo categorizzate secondo un sistema binario in strafighe vs. cesse, minorenni vs. vecchie, chiavabili vs. inchiavabili, madonne (le loro madri) vs. troie (il resto del mondo).

Quando il responsabile di tale schifezza è sceso in politica, invece di evitarlo come la peste, lo hanno votato, gli hanno affidato le loro vite e quelle dei loro figli.

Del resto anche nella vita reale capita ad esempio che siano proprio le donne a volte - magari per stupidità ed incoscienza - a dare in pasto i figli ai pedofili, specie se di famiglia. Sarà il riflesso nei confronti del maschio dominante.

Ora le donne che lo hanno votato si adontano. Il vecchiaccio in fondotinta non riesce a difenderle dalla crisi perché ha perso troppo tempo a difenderle dai comunisti e si sentono punte nel vivo soprattutto per il fatto delle mignotte.

Lì per lì, quando Veronica già nel 2007 le aveva avvertite non le avevano creduto. L'avevano considerata un'ingrata che osava toccar loro il Silvio.

Avevano svuotato la sacca del veleno. Poi, a furia di martellare, scandalo dopo scandalo, identificandosi nella moglie cornuta con il marito che va a puttane e per giunta più giovani, nella dura scorza dell'elettorato femminile papiminkia si è formata una crepa strutturale, sintomo di crollo imminente del mito.

A proposito, è inquietante che si debba essere d'accordo con uno come Edward Luttwak che ha dichiarato Veronica "vera patriota italiana" per essere stata la prima a ribellarsi al Drago.
Che siano pentite o meno, le elettrici di B. non hanno comunque scuse: sono colpevoli di favoreggiamento continuato al regime.

Anche le donne di centrosinistra hanno latitato nel denunciare come la televisione italiana stesse diventando null'altro che lo specchio della personale perversione sessuale di un vecchio libidinoso.

Una manifestazione ogni trent'anni, la famosa "Se non ora quando" è francamente un po' pochino, soprattutto per quello che contano ormai le manifestazioni. Uno sciopero delle consumatrici, ad esempio, avrebbe fatto più male.

Il regime però non ha espresso solamente un elettorato femminile da vergognarsi ma soprattutto una classe dirigente in tacchi a spillo che è il peggio del peggio femminile. Il berlusconismo si è fatto rappresentare ed ha portato al potere, coprendole di denaro, carriere e ciondoli per farle star buone, le sciurette cotonate, le zie ricche fasciste, le imprenditrici coscialunga e cervello fino, le figlie-di, le terruncielle rampanti con la specializzazione in arti bolognesi, le zoccole e basta, le minorenni che vanno per i trentacinque, le casalinghe di Voghera, le anelle mancanti razziste con il terrore del negro, le pozze di ignoranza abissale elevate a ministre dell'istruzione e quelle che maitresse si nasce e loro lo nacquero.

Un mare di nullità femmine abituate a funzionare in modalità cervello automatico con schede pre-programmate; sacerdotesse della vita facile e della carriera molta spesa e poca resa grazie alla coscia allargata, tutto a spese dei contribuenti.

Tutte bonazze perché, come ha recentemente dichiarato la sacerdotessa che parla come Vito Catozzo, "le racchie devono stare a casa". A casa anche le brave e le intelligenti, era sottinteso.

Perché il combinato di bella & intelligente rischia di far andare in sovraccarico il sistema. Il berlusconismo, per stabilizzarsi, deve annichilire l'intelligenza, la creatività e la competenza della donna. Deve essere solo il Trionfo della Cretina.

E bastava guardare le sue televisioni per capirlo con anni di anticipo ed evitare i danni catastrofici che stiamo subendo.


Regali alle banche? Abbiamo già dato: che falliscano pure
di Aldo Giannuli - www.aldogiannuli.it - 27 Settembre 2011

Nuova settimana di passione per la Borsa e, soprattutto per i titoli bancari, in particolare francesi che perdono quasi il 50% del loro valore, in poco più di un mese.

Il sistema bancario europeo sembra un castello di carta velina: se i francesi piangono, gli italiani non ridono ed anche inglesi, tedeschi ed olandesi non hanno molto da stare allegri.

Ma, solo a giugno, non ci avevano detto che gli “stress test” erano stati superati a pieni voti e che il sistema bancario europeo era solido come la roccia?

Erano state bocciate solo 8 banche mentre per tutte le altre le cose andavano a gonfie vele. Che razza di stress test erano?

Ma, ci si dice, i test erano stati fatti prima della crisi greca, per cui è il rischio del default greco che crea problemi alle banche francesi e tedesche allontanando i risparmiatori dai loro titoli azionari.

Ma che la situazione greca fosse quella che è si sapeva già da tempo ed il più sprovveduto impiegato di banca sapeva perfettamente che, alla scadenza di maggio, si sarebbe presentata -peggiorata- la stessa situazione dell’anno prima. Dunque, che stress test hanno fatto?

E così viene fuori un altro pezzo di verità: in effetti i bond greci c’entrano, ma fino ad un certo punto: le banche francesi ne hanno in corpo per una cinquantina di miliardi, ma il guaio peggiore sono ancora i derivati dei mutui subprime (cdo, cds ecc.) americani che, nonostante l’alluvione di liquidità di questi anni, non sono stati smaltiti ed, a quanto pare, si tratta di cifre ragguardevoli.

Per di più le banche francesi li posseggono e li riportano a bilancio con il loro valore nominale, non essendosi ancora decise a registrare la perdita di circa il 90% del loro valore. Prima o poi dovranno registrare la perdita a bilancio e, dato che la notizia ormai serpeggia, gli azionisti si dileguano.

Dunque, i soldi dati dagli stati in tre anni, non sono serviti a togliere di mezzo questa spazzatura; torniamo a dire: come caspita hanno fatto gli stress test sulle banche? Non si erano accorti che le tre maggiori francesi avevano un bilancio fittizio?

Fra agenzie di rating e la European banking authority che fa i test a questa maniera, pensate in che mani siamo e quanto siano affidabili le notizie sulla situazione finanziaria.

Dove la cosa peggiore non è che facciano imbrogli (se la finanza non ne facesse non avrebbe ragione di esistere) ma che non li sappiano fare, al punto che i mirabolanti stress test della Eba crollano miseramente dopo nemmeno tre mesi dal trionfalistico annuncio dei loro esiti. Se una bugia non sta in piedi più di due mesi, vuol dire che il bugiardo è anche cretino.

Ed allora che si fa? Che domande! Trichet già parla di “liquidità illimitata” alle banche per far fronte alla crisi, Ma il denaro è per sua natura un debito, per cui questo significa solo tappare le falle delle banche trasferendo il loro debito a qualche altro.

E provate ad indovinare chi è questo altro? Ma lo Stato (o gli Stati europei) of course! Che, alla fine del giro, non potranno che emettere altri bond per la bisogna.

Insomma: le banche stanno male per colpa dei troppi bond statali che hanno in pancia e che sono sempre più rischiosi e cosa fanno? Chiedono altri soldi agli Stati, che ovviamente non possono reperirli che emettendo altri bond e peggiorando la propria situazione debitoria: geniale!

Per non far fallire le banche, dobbiamo far fallire gli Stati. Ma non si era detto che occorreva a tutti i costi raggiungere il pareggio di bilancio? E come pareggiare il bilancio con un’altra alluvione di denaro regalato alle banche?

Potremmo fare così: aboliamo la sanità pubblica, sospendiamo il pagamento delle pensioni, chiudiamo scuole ed università, raddoppiamo le tasse e poi i soldi ricavati li diamo tutti alle banche. Così l’economia è salva.

Diciamoci le cose schiettamente: è arrivato il momento di lasciar fallire le banche (e le assicurazioni) senza muovere un dito per salvarle. Punto e basta.

E’ una delle poche volte che ci sentiamo in piena sintonia con il pensiero liberista: se dei soggetti non si reggono da soli, il mercato li spazza via. Impeccabile.

Qui invece, i “neo liberisti del buon tempo” che vantano le virtù del mercato quando tutto va bene, poi pretendono subito l’intervento dello Stato quando c’è da socializzare le perdite. Troppo comodo.

Ma, si dice, in questo modo la recessione diventa catastrofe perchè crolla il sistema creditizio e con esso le imprese.
Siamo sicuri che le cose stiano così?

In primo luogo, occorre procedere con discernimento: le (poche) banche che sono soltanto illiquide, ma non insolventi, vanno salvate con prestiti (ho detto prestiti, non regali), utili anche a riattivare il mercato interbancario.

Un’altra parte delle banche potranno salvarsi attraverso fusioni oppure “rottamando” qualche attività collaterale e lasciando fallire qualche consociata minore.

Quelle insolventi, ma in grado di riprendersi, possono essere salvate, ma, nello stesso tempo, nazionalizzate: appunto, niente regali.

Le altre (probabilmente la parte più consistente) falliscano pure e liberiamo il mercato da imprese insane. Magari lo stato potrebbe fare un fondo di protezione dei risparmiatori, a parziale indennizzo delle perdite subite.

Certo ci sarà il problema di sostenere le imprese, fondi pensione, cooperative ecc. in difficoltà: vuol dire che il denaro che qualcuno pensa debba essere devoluto alle banche, lo sarà ad un fondo statale di sostegno all’impresa (possibilmente da gestire con criteri non clientelari).

In fondo, se lo Stato deve intervenire a sostegno dell’economia reale, perchè mai non lo fa direttamente? Dove sta scritto che per dare soldi alle imprese deve darli alle banche perchè poi queste li diano alle imprese?

E, d’altra parte, in una situazione del genere non sarebbe affatto una eresia dar vita ad una nuova Iri (peraltro profondamente rivista nei criteri di gestione e nella struttura). Fu una sciocchezza sciogliere le Partecipazioni Statali che, semmai, andavano riformate, risanate e moralizzare.

Si preferì farne grazioso regalo agli amici ed agli amici degli amici. E questo va messo sul conto più dei governi di centro sinistra che su quelli di centro destra. E forse sarebbe il caso di aprire una inchiesta su come fu liquidato quel patrimonio dello Stato.

Dunque, non è scritto da nessuna parte che per salvare e rilanciare l’economia occorra far regali ai banchieri. Quegli stessi soldi possono essere impiegati più proficuamente.

Nello stesso tempo, sarebbe bene che tutti i beni personali dei manager e dirigenti vari (sino all’ultimo euro) siano pignorati cautelativamente ed affidati ad un apposito organismo statale che li gestirà sino a quando il processo per fallimento non finisca.

Se poi emergeranno loro responsabilità, quei beni siano incamerati per ripagare i risparmiatori ed alimentare il fondo di ripresa.

Che ne dite se i sindacati (a cominciare dalla Cgil, ma noi vorremmo non solo quelli italiani) convocassero uno sciopero generale con uno slogan semplice e chiaro: “Basta con i regali alle banche”?



Usa, la catastrofe del bilancio
di Michele Paris - Altrenotizie - 27 Settembre 2011

Il Senato degli Stati Uniti ha licenziato lunedì sera a tarda ora un provvedimento di emergenza che ha evitato un’imminente paralisi delle agenzie e degli uffici federali, nuovamente minacciati dalla mancanza di finanziamenti.

Il più recente stallo al Congresso americano era scaturito dalla proposta di stanziare fondi straordinari per far fronte alle conseguenze dei ripetuti disastri naturali avvenuti negli ultimi mesi in varie parti del paese; un’emergenza sfruttata politicamente dai repubblicani per cercare di estrarre ulteriori tagli alla spesa pubblica.

In una vicenda che si è sostanzialmente risolta nell’ennesima capitolazione del Partito Democratico di fronte alle richieste di quello Repubblicano, alla fine da Washington non è stato praticamente stanziato nessun dollaro extra per le attività assistenziali e di ricostruzione svolte dalla protezione civile americana (FEMA, Federal Emergency Management Agency).

La sezione riguardante la FEMA faceva parte di un pacchetto di bilancio destinato a finanziare le spese federali fino al 18 novembre prossimo. Per l’agenzia governativa che si occupa di rispondere alle catastrofi naturali negli USA erano previsti un totale di 3,65 miliardi di dollari, di cui 2,65 da sborsare all’inizio del prossimo anno fiscale - che inizierà il 1° ottobre - e un miliardo in fondi straordinari per quello tuttora in corso.

Per dare il via libera al miliardo addizionale, i repubblicani pretendevano però che venissero tagliati 1,6 miliardi assegnati ad un programma federale di incentivi alla produzione di automobili a basso consumo energetico, particolarmente popolare tra i democratici.

Di fronte alla ferma opposizione di questi ultimi, la Camera dei Rappresentanti a maggioranza repubblicana venerdì scorso aveva comunque proceduto a votare un provvedimento comprensivo dei tagli, pur senza alcuna possibilità di superare l’ostacolo del Senato.

L’impasse nella camera alta del Congresso è stata alla fine superata, evitando il pericolo di “shutdown” del governo federale, nella giornata di lunedì, quando la FEMA ha fatto sapere di aver reperito 114 milioni di dollari, destinati ad altri progetti ma inutilizzati, che dovrebbero consentirle di operare fino a venerdì prossimo.

Superato l’ostacolo, il Senato ha così approvato il budget temporaneo con 79 voti a favore e 12 contrari. Il voto definitivo della Camera, come ha confermato lo speaker John Boehner, si terrà settimana prossima, al termine di una sospensione dei lavori di una settimana.

Grazie all’accordo bipartisan, la FEMA potrà così ottenere i 2,65 miliardi di dollari assegnati al suo bilancio per l’anno fiscale 2011-2012 a partire da sabato prossimo. Senza il miliardo extra, tuttavia, in questi ultimi giorni di settembre le sue operazioni negli USA risulteranno notevolmente ridotte, mentre non saranno possibili interventi in caso di nuove calamità.

La FEMA, oltretutto, è penalizzata da una cronica carenza di fondi e, alla luce del moltiplicarsi delle emergenze nell’ultimo periodo, il suo budget dovrà con ogni probabilità essere nuovamente discusso dal Congresso a breve.

La stessa Casa Bianca ha già fatto sapere che la FEMA avrà bisogno di almeno 4,6 miliardi di dollari nel prossimo anno fiscale, una cifra che in molti ritengono peraltro ben al di sotto delle reali necessità dell’agenzia.

Di fronte a situazioni drammatiche, con migliaia di persone senza un alloggio, servizi pubblici e infrastrutture da ricostruire, le vittime dei recenti terremoti, inondazioni, tornado e uragani sono dunque tenute in ostaggio dallo scontro politico sul debito in corso a Washington.

Fino al recente passato, gli stanziamenti per le emergenze seguite ai disastri naturali - ancorché spesso insufficienti - venivano approvati dal Congresso senza impedimenti.

La febbre del debito che ha contagiato l’intero panorama politico americano, e in particolare quello repubblicano, sembra invece aver portato all’ordine del giorno la necessità di bilanciare le spese per l’assistenza alle vittime delle calamità con altri tagli alla spesa pubblica.

Se questo principio non è stato per ora adottato, appare in ogni caso inevitabile che, visto il clima attuale, venga riproposto già in occasione della prossima emergenza.

L’ennesima messa in scena di un Congresso che non sa dare risposte né alle conseguenze della crisi economica né a quelle delle catastrofi naturali, ha rappresentato una nuova occasione per mettere in atto ulteriori misure di austerity.

Negli ultimi mesi, infatti, sono stati escogitati più volte ultimatum e scadenze inderogabili, utilizzate per implementare tagli devastanti alla spesa federale, puntualmente presentati come inevitabili per la sopravvivenza stessa dei servizi garantiti dal governo.

Ad aprile, ad esempio, lo speaker repubblicano della Camera, John Boehner, e il presidente Obama trovarono un accordo sull’estensione del finanziamento della macchina federale addirittura a pochi minuti da un clamoroso “shutdown”.

L’esempio più eclatante di questa strategia, deliberatamente adottata per far digerire gli assalti alla spesa pubblica, è però quello dello scorso agosto, quando venne raggiunto un accordo bipartisan in extremis per innalzare il tetto dell’indebitamento americano in cambio di colossali tagli.

Da quel patto tra repubblicani e democratici è uscita una speciale commissione incaricata di individuare e proporre al Congresso entro la fine dell’anno tagli alla spesa per almeno 1.500 miliardi di dollari.

A ciò va aggiunto poi il recente piano della Casa Bianca per ridurre la spesa federale di altri 4 mila miliardi di dollari nel prossimo decennio.

Una proposta propagandata direttamente da Obama e che include anche tagli per oltre 4 miliardi di dollari al programma della FEMA per la copertura assicurativa dei danni causati dai disastri naturali.



Goldman Sachs governa il mondo
di Miro Renzaglia - www.mirorenzaglia.org - 27 Settembre 2011

Alessio Rastani e la verità di un broker: l’Europa è spacciata, shock in diretta alla BBC

Alessio Rastani è un trader (o broker) ovvero: un operatore finaziario. Intervistato dalla BBC, ha previsto il default economico per l’intera Europa entro un anno. Indicando, inoltre, nella Goldman Sachs la vera potenza che domina il mondo. Quella che segue è la trascrizione dell’intervista, per il video cliccate QUI.

Rastani: “Io sono un operatore finanziario, non mi preoccupa la crisi, se vedo un’opportunità di fare denaro, la seguo. Per cui per la maggior parte dei brokers non è questo il punto. Noi non ci preoccupiamo di come sistemare l’economia o di come si supererà questa situazione. Il nostro lavoro e fare soldi e io personalmente ho sognato questo momento negli ultimi tre anni. Devo confessarlo, ogni notte vado a dormire sognando un’altra recessione, un altro momento come questo.

Perché c’è molta gente che non lo ricorda, però la depressione degli anni 30 non è stata solo il crollo dei mercati. C’era gente preparata a fare soldi con quel crollo. E io credo che questo lo può fare chiunque, non solo un’èlite.

Chiunque può fare soldi con questo, è un’opportunità. Quando il mercato crolla, quando l’euro e le grandi Borse crollano, se sai cosa fare, se hai il piano corretto davanti, puoi fare una barca di soldi: per esempio, con una strategia di hedge funds o investendo nel debito sovrano, cose come questa”.

Giornalista: “Se può vedere le persone che sono qui con me, vedrà che sono rimaste a bocca aperta ascoltando quello che dice. La ringraziamo per il candore, ma questo non ci aiuta e non aiuta neanche l’Eurozona”.

Rastani: “Ascolti, a tutti quelli che ci stanno ascoltando. Questa crisi è come un cancro. Se aspettano e aspettano senza fare niente, questo cancro continuerà a crescere e sarà troppo tardi. Quello che dovrebbero fare è prepararsi.

Questo non è il momento di credere che i governi sistemeranno le cose. Loro non governano il mondo. Goldman Sachs governa il mondo. E a Goldman Sachs non importa questo pacchetto di misure di salvataggio e neanche importa ai grandi fondi di investimento.

Guardi, io voglio aiutare le persone e la gente può guadagnare soldi da questo, non solo i brokers, quello che devono fare è imparare a fare soldi in un mercato in caduta, la prima cosa che devono fare è proteggere i loro investimenti, proteggere quello che hanno, perché la mia previsione è che in meno di 12 mesi i risparmi di milioni di persone spariranno e sarà solo l’inizio. Per cui il mio consiglio è preparatevi e agite adesso. Il maggiore rischio che correte adesso è non agire”.




Libia. le vere ragioni della guerra
di F. William Engdahl* - Global Research - 25 Settembre 2011
Traduzione di Gianluca Freda su blogghete.altervista.org

L’AFRICOM e la minaccia alla sicurezza energetica nazionale della Cina

La decisione presa negli ultimi mesi dalla NATO di bombardare la Libia, sotto la direzione di Washington, allo scopo di ottenerne la sottomissione – con un costo per i contribuenti americani pari circa ad 1 miliardo di dollari – ha poco o nulla a che vedere con ciò che l’amministrazione Obama definisce una missione “per proteggere i civili innocenti”.

In realtà, tale aggressione fa parte di un più ampio assalto strategico, progettato dalla NATO e dal Pentagono, che ha l’obiettivo specifico di porre sotto totale controllo quello che è il tallone d’Achille della Cina, e cioè la sua dipendenza strategica dalle enormi quantità di petrolio greggio e gas che vengono importate dall’estero.

Oggi la Cina è il secondo maggior importatore mondiale di petrolio dopo gli Stati Uniti e la distanza tra i due si sta rapidamente colmando.

Se diamo un’attenta occhiata ad una cartina dell’Africa e poi osserviamo l’organizzazione in Africa del nuovo African Command (AFRICOM) del Pentagono, il quadro che ne emerge è quello di una strategia accuratamente predisposta per controllare una delle più importanti fonti strategiche della Cina per l’approvvigionamento di petrolio e materie prime.

La campagna militare della NATO in Libia è stata ed è ancora condotta per il petrolio. Ma non semplicemente per appropriarsi del greggio libico di alta qualità o perché gli USA siano ansiosi di procacciarsi fornitori esteri affidabili. Essa serve invece a controllare l’accesso della Cina alle importazioni petrolifere di lungo termine dall’Africa e dal Medio Oriente. In parole povere, serve a controllare la Cina stessa.

Geograficamente, la Libia è collegata a nord, attraverso il Mediterraneo, direttamente all’Italia, sede della compagnia petrolifera italiana ENI, che è stata per anni il maggiore operatore estero in Libia. A ovest confina con la Tunisia e con l’Algeria. A sud confina col Ciad. A est confina sia col Sudan (oggi diviso in Sudan e Sudan Meridionale) che con l’Egitto.

Ciò dovrebbe dirci qualcosa sull’importanza che la Libia riveste per la strategia di lungo termine dell’AFRICOM statunitense, in vista di un controllo sull’Africa, sulle sue risorse e sui paesi in grado di accedere a tali risorse.

La Libia di Gheddafi aveva mantenuto uno stretto controllo nazionale dello Stato sulle ricche riserve di greggio libico “leggero”. Secondo i dati del 2006, la Libia possedeva le più ampie riserve petrolifere accertate di tutta l’Africa, superiori di circa il 35% a quelle della stessa Nigeria. In anni recenti, concessioni petrolifere erano state accordate a compagnie cinesi, russe e di altri paesi.

Non c’è dunque da sorprendersi che un portavoce della cosiddetta opposizione che proclama la propria vittoria su Gheddafi, Abdeljalil Mayouf, il quale è addetto alle pubbliche relazioni dell’azienda petrolifera dei ribelli (la AGOCO), abbia dichiarato alla Reuters: “Non abbiamo problemi con le compagnie petrolifere di paesi occidentali quali Italia, Francia e Regno Unito. Ma potremmo avere delle riserve politiche verso Russia, Cina e Brasile”.

Russia, Cina e Brasile sono paesi che si sono opposti alle sanzioni ONU contro la Libia oppure hanno fatto pressione per ottenere una soluzione negoziale del conflitto interno e per porre fine ai bombardamenti della NATO.

Come ho già spiegato nel dettaglio altrove (1), Gheddafi, vecchio adepto del socialismo arabo sulla linea tracciata da Gamal Nasser, aveva utilizzato i proventi petroliferi per migliorare le condizioni del suo popolo. Le cure sanitarie erano gratuite, come anche l’istruzione.

Ogni famiglia libica aveva diritto ad un bonus di 50.000$ da parte dello Stato per l’acquisto di una casa e i prestiti bancari venivano concessi in base alle leggi islamiche anti-usura, senza interessi.

Lo Stato era privo di debiti. Solo grazie alla corruzione e all’infiltrazione massiccia nelle zone dell’opposizione tribale presente nella parte orientale del paese, la CIA, l’MI6 e altri operativi dell’intelligence NATO sono riusciti – al costo di circa 1 miliardo di dollari e di violenti bombardamenti NATO contro i civili – a destabilizzare i forti legami che esistevano tra Gheddafi e la sua gente.

Perché dunque la NATO ed il Pentagono hanno condotto un assalto così folle e devastante contro una pacifica nazione sovrana? E’ chiaro che uno dei principali motivi era quello di completare l’accerchiamento delle fonti di petrolio e materie prime che la Cina importava dal Nord Africa.

L’allarme del Pentagono sulla Cina

Passo dopo passo, negli ultimi anni Washington ha iniziato a diffondere la percezione che la Cina, la quale fino a un decennio fa era “il caro amico ed alleato dell’America”, stesse diventando la maggiore minaccia alla pace mondiale a causa della sua immensa espansione economica.

Dipingere la Cina come il nuovo “nemico” è stato complicato, visto che Washington dipende dalla Cina per l’acquisto della maggior parte del debito governativo americano, sotto forma di buoni del Tesoro.

Ad agosto il Pentagono ha pubblicato il suo rapporto annuale al Congresso sulla situazione militare della Cina. (2) Quest’anno tale rapporto ha fatto suonare in Cina molti campanelli d’allarme, a causa del nuovo e sgradevole tono con cui è stato redatto.

Il rapporto affermava tra l’altro: “Nell’ultimo decennio, l’esercito cinese ha potuto beneficiare di robusti investimenti in hardware e moderne tecnologie. Molti sistemi moderni hanno raggiunto la piena maturità e altri diverranno operativi fra pochi anni”, scriveva il Pentagono nel rapporto.

Aggiungendo: “Rimangono incertezze riguardo al modo in cui la Cina deciderà di utilizzare queste crescenti capacità... l’ascesa della Cina al ruolo di attore internazionale di primo piano sarà probabilmente il principale tratto distintivo del panorama strategico dei primi anni del 21° secolo”. (3)

Nel giro di due o forse di cinque anni, a seconda di come il resto del mondo reagirà o giocherà le sue carte, la Repubblica Popolare Cinese verrà dipinta dai media di regime dell’Occidente come una nuova “Germania hitleriana”. Se questa sembra oggi una cosa difficile da credere, si pensi a come ciò è stato fatto con altri ex alleati di Washington quali l’Egitto di Mubarak o lo stesso Saddam Hussein.

A giugno di quest’anno, l’ex ministro della marina militare americana, oggi senatore della Virginia, James Webb, ha stupito molte persone a Pechino, dichiarando alla stampa che la Cina si sta rapidamente avvicinando a quello che egli ha definito “momento-Monaco”, in cui Washington dovrà decidere come mantenere un equilibrio strategico.

Il riferimento era alla crisi cecoslovacca del 1938, quando Chamberlain optò per un accordo con Hitler sulla Cecoslovacchia. Webb ha aggiunto: “Se si guarda agli ultimi 10 anni, il vincitore, sul piano strategico, è stata la Cina”. (4)

La stessa efficiente macchina di propaganda del Pentagono, guidata dalla CNN, dalla BBC, dal New York Times e dal Guardian londinese, riceverà da Washington l’ordine discreto di “dipingere a fosche tinte la Cina e i suoi leader”.

La Cina sta diventando troppo forte e troppo indipendente per i gusti di molte persone a Washington e a Wall Street. Per tenerla sotto controllo, è soprattutto la sua dipendenza dalle importazioni petrolifere che è stata identificata come suo tallone d’Achille. La Libia è una mossa studiata per colpire direttamente questo tallone vulnerabile.

La Cina si sposta in Africa

L’espansione in Africa delle compagnie cinesi che commerciano in petrolio e materie prime è diventata motivo di forte allarme a Washington, dove un’attitudine di velenoso diniego aveva dominato la politica americana in Africa fin dall’epoca della Guerra Fredda.

Da quando diversi anni or sono il suo futuro fabbisogno energetico è divenuto evidente, la Cina è diventata uno dei principali partner economici dell’Africa, in un crescendo che ha raggiunto l’apice nel 2006, quando la Cina ha letteralmente srotolato il tappeto rosso ai capi di oltre 40 nazioni africane, discutendo con essi un ampio ventaglio di questioni economiche. Niente è più importante per Pechino che assicurare le vaste risorse petrolifere africane del futuro alla robusta industrializzazione cinese.

La Cina si è spostata in paesi che erano stati virtualmente abbandonati da ex potenze coloniali europee, quali Francia, Inghilterra e Portogallo.

Il Ciad è un caso emblematico. Il più povero e il più geograficamente isolato dei paesi africani, il Ciad è stato corteggiato da Pechino, che nel 2006 ha riallacciato i rapporti diplomatici.

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Nell’ottobre 2007, il gigante petrolifero cinese CNPC firmò un contratto per la costruzione di una raffineria con il contributo del governo del Ciad. Due anni dopo iniziò la costruzione di un oleodotto per trasportare il petrolio da un nuovo giacimento cinese che si trovava nel sud, a circa 300 chilometri dalla raffineria. Com’era prevedibile, le ONG finanziate dall’Occidente iniziarono ad ululare sull’impatto ambientale del nuovo oleodotto cinese.

Stranamente, le stesse ONG erano rimaste zitte quando nel 2003 era la Chevron a prendersi il petrolio del Ciad. Nel luglio 2011, i due paesi, Ciad e Cina, hanno festeggiato l’apertura di una nuova raffineria petrolifera realizzata in joint venture vicino alla capitale del Ciad, Ndjamena. (5) Le attività petrolifere della Cina in Ciad sono straordinariamente simili ad un altro grande progetto petrolifero cinese, realizzato in quella che era all’epoca la zona sudanese del Darfur, ai confini col Ciad.

Il Sudan è stato per la Cina una fonte crescente di approvvigionamento petrolifero, con una cooperazione iniziata alla fine degli anni ’90, quando la Chevron abbandonò le proprie attività nel paese. Nel 1998, la CNPC iniziò a costruire un oleodotto di 1500 chilometri che andava dai giacimenti del Sudan meridionale fino a Port Sudan sul Mar Rosso; e allo stesso tempo iniziò a costruire una grande raffineria vicino Khartoum.

Il Sudan fu il primo, grande progetto petrolifero d’oltremare realizzato dalla Cina. All’inizio del 2011, il petrolio del Sudan, proveniente quasi tutto dal sud agitato dalle guerre, garantiva circa il 10% delle importazioni petrolifere cinesi e rappresentava oltre il 60% della produzione quotidiana di petrolio del Sudan (490.000 barili). Il Sudan è diventato un punto vitale per la sicurezza energetica nazionale della Cina.

Secondo le prospezioni geologiche, il sottosuolo che va dal Darfur (in quello che era un tempo il Sudan meridionale) fino al Camerun, passando per il Ciad, è un unico, immenso giacimento petrolifero, equiparabile forse per estensione alla stessa Arabia Saudita. Controllare il Sudan meridionale, così come anche il Ciad e il Camerun, è vitale per la strategia del Pentagono di “impedimento strategico” ai futuri approvvigionamenti petroliferi cinesi.

Finché a Tripoli fosse rimasto in carica un regime di Gheddafi stabile e forte, questo controllo sarebbe stato assai problematico. La simultanea separazione della Repubblica del Sudan Meridionale da Khartoum e il rovesciamento di Gheddafi a favore di deboli bande ribelli sostenute dal Pentagono, era una priorità strategica per il Dominio ad Ampio Raggio progettato dagli USA.

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L’AFRICOM risponde

La forza più importante dietro le recenti ondate di attacchi militari occidentali contro la Libia o dietro i più coperti cambiamenti di regime come quelli avvenuti in Tunisia, Egitto e in Sudan meridionale (con il fatale referendum che ha ora reso “indipendente” questa regione ricca di petrolio) è l’AFRICOM, lo speciale comando militare statunitense creato nel 2008 dall’amministrazione Bush, con l’obiettivo specifico di contrastare la crescente influenza cinese sulle vaste ricchezze petrolifere e minerarie dell’Africa.

Alla fine del 2007, il Dr. J. Peter Pham, consigliere a Washington per il Dipartimento di Stato e della Difesa, ha affermato in modo esplicito che tra le mire dell’AFRICOM vi è quella di “proteggere l’accesso agli idrocarburi e ad altre risorse strategiche che l’Africa possiede in abbondanza... un compito che contempla il tutelarsi contro la vulnerabilità di queste ricchezze naturali e l’assicurarsi che nessuna terza parte interessata, come Cina, India, Giappone o Russia, ottenga il monopolio di esse o un trattamento preferenziale”. (6)

In una deposizione di fronte al Congresso americano, resa nel 2007 a favore della creazione dell’AFRICOM, Pham, che è membro della neoconservatrice Fondazione per la Difesa della Democrazia, ha dichiarato:

“Questa ricchezza naturale rende l’Africa un obiettivo invitante per le mire della Repubblica Popolare Cinese, la cui economia in crescita... ha una sete di petrolio pressoché insaziabile, così come la necessità di altre risorse naturali per potersi sostenere... La Cina importa attualmente circa 2.6 milioni di barili di greggio al giorno, approssimativamente la metà di ciò che consuma; più di 765.000 di questi barili – quasi un terzo delle sue importazioni – provengono da fonti africane, in particolare dal Sudan, dall’Angola e dal Congo (Brazzaville). C’è dunque da stupirsi del fatto che... forse nessun’altra regione al mondo sia comparabile all’Africa quale oggetto dei sostenuti interessi strategici di Pechino negli ultimi anni...

Intenzionalmente o no, molti analisti prevedono che l’Africa – soprattutto gli stati ricchi di petrolio della sua costa occidentale – diverranno sempre più il teatro di una competizione strategica tra gli Stati Uniti e il suo unico vero e quasi equivalente avversario sulla scena internazionale, la Cina, allorché entrambi i paesi cercheranno di espandere la propria influenza per garantirsi l’accesso a queste risorse”. (7)

E’ utile ricordare brevemente la sequenza delle “Twitter revolutions” finanziate da Washington, nel corso della cosiddetta “primavera araba”. La prima è stata in Tunisia, un paese apparentemente insignificante sulla costa mediterranea del Nord Africa. La Tunisia si trova però sul confine occidentale della Libia. La seconda tessera del domino a cadere nell’operazione è stato l’Egitto di Mubarak.

Ciò ha creato una grave instabilità dal Medio Oriente al Nord Africa, visto che Mubarak, con tutti i suoi limiti, si era però fermamente opposto alla politica di Washington in Medio Oriente. Anche Israele, con la caduta di Mubarak, ha perduto un sicuro alleato.

Poi, nel luglio 2011, il Sudan del sud si è proclamato Repubblica Indipendente del Sudan Meridionale, separandosi dal Sudan dopo anni di rivolte contro il governo di Khartoum, finanziate dagli USA. La nuova Repubblica si è portata via il grosso delle ricchezze petrolifere conosciute del paese, cosa che non ha certo fatto piacere a Pechino. L’ambasciatrice statunitense all’ONU, Susan Rice, ha guidato la delegazione americana ai festeggiamenti per l’indipendenza, definendola “un testamento a favore del popolo sudanese meridionale”.

Ha aggiunto che, nel determinare la secessione, “gli Stati Uniti si sono impegnati più di chiunque altro”. Il presidente Obama ha apertamente sostenuto la secessione del sud del paese. La separazione è stato un progetto guidato e finanziato da Washington fin da quando, nel 2004, l’amministrazione Bush decise di farne una priorità. (8)

Ora il Sudan ha improvvisamente perso la sua principale fonte di guadagno, quella dei profitti petroliferi. La secessione del sud, dove vengono estratti i tre quarti dei 490.000 barili che costituiscono la produzione giornaliera del paese, ha aggravato le difficoltà economiche di Khartoum, eliminando il 37% dei suoi introiti complessivi.

Le uniche raffinerie del Sudan e l’unico itinerario per l’esportazione si trovano nel nord, dai giacimenti petroliferi fino a Port Sudan sul Mar Rosso, nel Sudan settentrionale. Il Sudan Meridionale è stato ora incoraggiato da Washington a costruire un nuovo oleodotto per l’esportazione, indipendente da Khartoum, attraverso il Kenya. Il Kenya è una delle zone dell’Africa in cui è più forte l’influenza militare americana. (9)

L’obiettivo del cambiamento di regime orchestrato dagli USA in Libia, così come quello dell’intero progetto per un Grande Medio Oriente che si cela dietro la Primavera Araba, è quello di assicurarsi il controllo assoluto sui maggiori giacimenti petroliferi conosciuti al mondo, allo scopo di controllare le future politiche di altri paesi, in particolare quella della Cina.

Si dice che negli anni ’70, l’allora Segretario di Stato Henry Kissinger, che all’epoca era probabilmente più potente dello stesso Presidente degli Stati Uniti, abbia affermato: “Se si controlla il petrolio, si controllano intere nazioni o gruppi di nazioni”.

Per la sua futura sicurezza energetica nazionale, la Cina dovrà trovare riserve energetiche sicure in casa propria. Fortunatamente esistono nuovi e rivoluzionari metodi per rilevare e mappare la presenza di petrolio e di gas laddove anche i migliori tra gli attuali geologi direbbero che non è possibile trovare giacimenti. E’ forse questo l’unico modo per uscire dalla trappola in cui la Cina è stata attirata. Nel mio nuovo libro, The Energy Wars, descrivo nel dettaglio questi nuovi metodi per tutti coloro che vi sono interessati.


*F. William Engdahl è l’autore di Full Spectrum Dominance: Totalitarian Democracy in the New World Order


Note

1 - F. William Engdahl, Creative Destruction: Libya in Washington's Greater Middle East Project--Part II, March 26, 2011, reperibile all’indirizzo http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23961

2 – Ufficio del Segretariato alla Difesa, ANNUAL REPORT TO CONGRESS: Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2011, August 25, 2011, reperibile all’indirizzo www.defense.gov/pubs/pdfs/2011_cmpr_final.pdf.

3 - Ibid.

4 Charles Hoskinson, DOD report outlines China concerns, August 25, 2011, reperibile all’indirizzo http://www.politico.com/news/stories/0811/62027.htmlhttp://www.politico.com/news/stories/0811/62027.html

5 - Xinhua, China-Chad joint oil refinery starts operating, July 1, 2011, reperibile all’indirizzo http://english.peopledaily.com.cn/90001/90776/90883/7426213.html. BBC News, Chad pipeline threatens villages, 9 October 2009, all’indirizzo http://news.bbc.co.uk/2/hi/8298525.stm.

6 - F. William Engdahl, China and the Congo Wars: AFRICOM. America's New Military Command, November 26, 2008, reperibile all’indirizzo http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=11173

7 - Ibid.

8 Rebecca Hamilton, US Played Key Role in Southern Sudan's Long Journey to Independence, July 9, 2011, reperibile all’indirizzo http://pulitzercenter.org/articles/south-sudan-independence-khartoum-southern-kordofan-us-administration-role

9 - Maram Mazen, South Sudan studies new export routes to bypass the north, March 12, 2011, reperibile all’indirizzo http://www.gasandoil.com/news/2011/03/south-sudan-studies-routes-other-than-north-for-oil-exports