lunedì 5 settembre 2011

News Shake

Ritorna News Shake, notizie a caso ma non per caso...


Dieci anni dopo
di Giulietto Chiesa - Megachip - 4 Settembre 2011

Dieci anni sono passati da quell’11 settembre che ha cambiato la storia del mondo, avviando la guerra infinita contro il terrorismo internazionale. I dubbi su quella vicenda si sono ingigantiti, diventando certezze.

Non 19 terroristi, da soli, hanno attaccato l’America, bensì un pugno di terroristi “di stato” (occidentali e amici dell’occidente) con passaporti americani, israeliani, pakistani, sauditi.

Osama bin Laden non è mai stato incriminato, sebbene, in suo nome, siano state combattute due guerre (contro l’Afghanistan e contro l’Iraq) che hanno prodotto centinaia di migliaia di morti civili e che non sono ancora terminate.

Guantánamo è rimasta in funzione nonostante le promesse di Obama. Nessun processo contro nessun presunto colpevole è stato celebrato in questi dieci anni.

Gran parte dei “risultati” della Commissione ufficiale d’inchiesta (contenuti nel “9/11 Commission Report”) sono completamente inutilizzabili di fronte a qualunque tribunale perchè ottenuti con l’uso sistematico della tortura contro i prigionieri. Nessuno dei torturatori è stato incriminato.

Tutte le regole democratiche sono state violate, sia dentro che fuori degli Stati Uniti. L’Europa intera è divenuta complice ospitando prigioni segrete, permettendo l’atterraggio illegale di aerei con prigionieri a bordo nei propri aeroporti.

Polonia, Romania, Lituania, Italia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo sono stati direttamente coinvolti in queste operazioni criminali. Il segreto di Stato ha coperto la verità: che l’Europa e i suoi servizi segreti sono stati e sono agli ordini dell’Impero americano.

Nel frattempo decine di nuovi fatti, di scoperte di ricercatori volontari in ogni parte del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, confermano e aggravano le accuse contro l’Amministrazione americana. Decine di libri sono stati pubblicati, dove in varia misura e sotto diversi angoli visuali, la versione ufficiale è stata demolita.

Se qualche anno fa, era già più che legittimo sollevare gravi domande sulla versione ufficiale, adesso abbiamo a disposizione molte “pistole fumanti” che pongono la questione della chiamata in correo di alti e altissimi personaggi dell’establishment statunitense.

Nessuno di loro è stato chiamato, tuttavia, a deporre sotto giuramento. Centinaia di testimonianze e di gravissimi documenti – veri e propri capi d’accusa – sono stati accantonati e mai presi in considerazione.

Noi siamo orgogliosi di essere stati – con la realizzazione del film Zero e con diversi libri su questi temi – parte del grande movimento per la verità sull’11 settembre.

Ma come mai di tutto questo non si parla? La risposta è una sola: il mainstream corporate media è interamente nelle mani di quei circoli politici che intendono coprire la verità.

L’11 settembre si è così trasformato in un vero e proprio tabù, svelare il quale sarebbe esiziale per la sopravvivenza stessa degli Stati Uniti come prima potenza mondiale.

Dunque sperare in una rapida scoperta della verità, su chi ha organizzato, attuato il più grande attentato televisivo della storia, e perchè lo ha fatto, sarebbe ingenuo. Ma coloro che hanno capito - tra i quali chi scrive – non possono rinunciare a cercare. Per una ragione assai semplice: chi ha organizzato l’11 settembre è ancora al potere negli Stati Uniti e nel Superclan mondiale.

E poichè la crisi che ha provocato l’11 settembre è ora nuovamente esplosa, con ancora maggiore virulenza, dobbiamo tutti sapere che siamo in pericolo di nuovi gravissimi avvitamenti, terroristici e militari, che sconvolgeranno il mondo intero nei mesi e anni a venire.

In altri termini non stiamo scavando nel passato, ma stiamo osservando il presente. E la massa di nuove scoperte sulla menzogna colossale nella quale abbiamo vissuto gli ultimi dieci anni è così grande che non possiamo tacere.

Fino ad ora il mainstream corporate media ha demonizzato, ridicolizzato, calunniato tutti coloro che hanno posto domande. Per questa ragione si è deciso, su iniziativa di David Ray Griffin, il più tenace dei critici della versione ufficiale, di costituire un “9/11 Consensus Panel”, in grado di porre le domande in modo tale da impedire di attaccare questo o quello dei critici, presentando al pubblico mondiale una serie di domande collettive sulle quali esiste un larghissimo consenso (dall’85 al 100%) tra tutti gli esperti consultati nelle diverse materie.

Questo Consensus 9/11 Panel è composto da 22 personalità internazionali (chi scrive ne è parte, insieme ad un altro italiano, Massimo Mazzucco) tra cui nomi prestigiosi come Robert Bowman, ex capo del Dipartimento di Ingegneria Aeronautica della US Air Force; come Dwain Deets, ex direttore del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale della NASA; come Niels Harrit, professore di chimica presso il Nano Science Center dell’Università di Copenhagen; come il prof. Steven Jones ex della Facoltà di Fisica della Brigham Young Universitiy; come il comandante Ralph Kolstad, ex pilota combattente della US Air Force, con 27 anni di esperiena come pilota di linea e 27.000 ore di volo alle spalle. Eccetera.

Questo è il livello di competenze specialistiche, giornalistiche, scientifiche storiche del Consensus Panel.

Il consenso è stato concentrato, per ora, su 13 domande e affermazioni fondamentali sulle quali unanimemente si ritiene che la versione ufficiale è stata falsificata consapevolmente.

Non possiamo elencarle tutte in questo articolo, ma ci limitiamo ad alcune, ben sapendo che sono tutte cruciali.

Non ci sono prove che Osama bin Laden sia stato l’organizzatore dell’attentato; le due torri gemelle non sono state abbattute dall’impatto degli aerei e dai susseguenti incendi; nelle due torri gemelle ci sono state decine di esplosioni, antecedenti e successive all’impatto degli aerei; tre torri e non due caddero quel giorno, tutte e tre in caduta libera, in violazione di tutte le leggi della fisica; nessuno dei quattro equipaggi degli aerei dirottati innestò il codice 7500, cosa inspiegabile; il pilota presunto del volo AA77, che colpì il Pentagono, non poteva effettuare la manovra che viene descritta nella speiegazione ufficiale; il vice presidente degli USA, Dick Cheney si trovava nel bunker di comando ben prima che AA77 colpisse il Pentagono, mentre egli affermò il contrario.

A queste domande se ne posono aggiungere molte altre. Né le quattro scatole nere dei due aerei finiti sulle torri né quelle del volo AA77 sono state ritrovate: un record assoluto nella storia dell’aeronautica moderna.

Solo in seguito una delle due del volo AA77 è stata dichiarata come esistente. Ma il suo contenuto è in parte indecifrabile, in parte maldestramente manipolato (e chi può averlo manipolato? I 19 terroristi kamikaze?).

Ultima perla: due dei terroristi, che sarebbero stati a bordo del volo AA77, al-Anjour e al-Mihdhar, vissero gli ultimi dieci mesi prima dell’11/9 in casa di un agente dell’FBI , a San Diego, California, e furono finanziati da un altro doppio agente dell’FBI e dell’Arabia Saudita.

Erano protetti da un servizio segreto americano, entrarono negli Stati Uniti con un visto multiplo, concesso loro da un altro servizio segreto americano. Parlare di “errori”, o di “incompetenza” è ormai impossibile. Si deve parlare di connivenza e di partecipazione attiva.

Ma se aspettiamo che Barack Obama ci dica la verità, aspetteremo invano. Lui ha assunto le vesti del vendicatore uccidendo per l’ennesima volta, il già defunto Osama bin Laden e seppellendolo in mare.

Credere a questa storia e credere agli asini che volano è la stessa, identica cosa.



Un Paese da Lavitola in giù

di Alessandro Robecchi - Il Manifesto - 4 Settembre 2011

Lavitola è una cosa meravigliosola. L'Italia pure. Un paese che si batte come un leone contro una crisi spaventosa armato soltanto del ministro Sacconi farebbe tenerezza a chiunque. E questa è l'Italia da Lavitola in su.

Da Lavitola in giù, invece, ci piace bearci di poche ma virili certezze. Dice il nostro eroe al telefono con Berlusconi: «Io sinceramente non credo che ci sia una donna al mondo che se lei le telefona e le dice 'vieni qui a farmi una pompa', quella non viene correndo». Eh, parole sante, vaglielo a spiegare alla Bce!

Beneamato. Che poi il direttore de L'Avanti! sia latitante nel ventennale di Mani Pulite è solo l'eterno revival del nostro scontento; che il primo ministro italiano si faccia mandare dei telefoni con scheda panamense ci precipita dritti in Totò e Peppino.

Questo per dire il cenacolo di poeti e intellettuali di cui si circonda il Nostro. Poi c'è la fidata segretaria che parla di soldi dicendo «fotografie». Astuzia sopraffina: mi raccomando, fotografie di piccolo taglio non segnate! Altro che Pulp Fiction: un film con Tarantini è meglio di un film di Tarantino.

Quanto alle preoccupazioni da statista, c'è sempre il pensiero fisso. Dice Silvio: «A me possono dire che scopo... è l'unica cosa che possono dire di me... è chiaro?».

Giusto, è un tipo generoso che vuole donare un organo. Sempre quello, però. E senza contare quanto gli costa, tra Lavitola, Tarantini che «consuma come una Ferrari», la moglie di Tarantini col doppio incarico (sarebbe pure amante di Lavitola, il dramma del doppio lavoro), e sempre con l'intermediario che si frega dei soldi, il truffatore, il truffato e quello che truffa i truffati, e Silvio che paga in contanti, pardon, in «fotografie». E che sta «cacato nelle mutande». E l'immenso Lavitola che chiosa felice: «Più merda c'è meglio è».

Ecco, giusto, perfetto. E voi, davanti a un simile spettacolo, non volete contribuire, partecipare alle spese, sacrificarvi un po'? Donare un po' di welfare, una fetta di pensione, un punto di Iva? Egoisti!
Paese di merda!


Debito pubblico - la grande truffa
di Giulietto Chiesa - www.lavocedellevoci.it - 1 Settembre 2011

Ma davvero dobbiamo tenerceli questi banchieri? A cosa servono le banche? Cos'e' la finanza? Perche' siamo tutti indebitati? Chi e' responsabile di questo debito? E' tutto normale in quello che sta accadendo, o c'e' qualcosa che non quadra?

Non si finirebbe piu' di fare domande quando si assiste alla commedia quotidiana delle borse che crollano, dei politici che si danno la colpa l'un l'altro, dei fantomatici “speculatori” che non si sa chi siano, salvo che sono certamente dei balordi miliardari che ci portano via i soldi dalle tasche.

Eppure tutto e' chiaro come il sole. Chi comanda il mondo occidentale (non il mondo, ma solo l'Occidente) sono le grandi banche. Le grandi banche sono solidali tra di loro e fanno parte di un pool molto ristretto. I “creditori”, apparentemente, sono loro. Sono loro che ormai dettano agli Stati quello che devono fare. E' la dittatura del denaro che ha cancellato ogni democrazia.

Ma e' poi vero che gli dobbiamo qualche cosa?

La risposta - la sanno tutti quelli che “sanno” - e' che siamo stati derubati. I grandi conglomerati finanziari dell'Occidente sono andati tutti in fallimento nel 2007.

Sarebbero crollati tutti se la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e i paesi produttori di petrolio non fossero intervenuti, di fatto coprendo i loro crack. Hanno lasciato fallire la Lehman Brothers, per dare un contentino al grande pubblico ignaro.

Tutti gli altri sono stati salvati. Con i soldi nostri. Nessuna regola e' stata introdotta per tagliargli le unghie. E loro, una volta salvati dai governi, hanno chiesto di essere pagati una seconda volta.

Certo i crediti, sulla carta, li hanno, ma sono i prestiti che hanno elargito sul niente. Producevano denaro con dei trucchi e lo prestavano facendosi pagare l'interesse da noi.

Quando si e' scoperto che bluffavano, hanno convocato i governi e i banchieri centrali (entrambi loro maggiordomi) e hanno detto: «siamo troppo grossi per fallire. Volete farci affondare? Peggio per voi.

Niente piu' campagne elettorali gratis, niente piu' potere. Vi faremo fronteggiare le folle infuriate e scateneremo i nostri media contro di voi. Vi faremo a pezzi, pubblicheremo dove sono i vostri conti in banca, vi rinfacceremo i soldi che vi abbiamo dato sottobanco».

E governi e banche centrali hanno ovviamente ceduto, essendo i loro manutengoli. La Grecia, l'Irlanda, il Portogallo sono stati gli esperimenti preliminari. «Bisogna salvarli!», gridano tutti, altrimenti crolla l'euro, crolla l'Europa. Ma chi li deve salvare? Cioe' chi deve pagare i loro (falsi) debiti ai grandi banchieri? Gli Stati.

Ma gli Stati sono gia' in rosso dopo i salvataggi delle banche del 2007-2008. Allora devono pagare le popolazioni. Anche l'Italia. Stanno dicendo ai popoli europei che e' finito il patto sociale che ha retto negli ultimi sessant'anni l'Europa occidentale.

Via il welfare, praticamente di colpo. E poi? Dicono: «poi si deve ricominciare a crescere».

Cioe' a consumare. Ma con quali soldi, se i redditi di tutti i lavoratori verranno falciati? E con quali beni, visto che dovremo privatizzare perfino il Colosseo, mentre le aste delle privatizzazioni saranno affollate di banchieri che verranno a comprare usando i nostri debiti, cioe' usando il denaro virtuale che loro hanno prodotto e noi abbiamo gia' pagato una volta.

Rapina bella e buona, o brutta e cattiva, se volete.

E noi che facciamo? I partiti, la sinistra non hanno nessuna idea alternativa, avendo da decenni ormai accettato tutti i ricatti possibili e immaginabili ed essendo parte della grande truffa.

La mia idea e' di mandarli tutti a quel paese e di organizzarci per impedire che ci esproprino. Bisogna dire, chiaro e tondo, che quei debiti sono illegali. Fatti da regimi corrotti alle nostre spalle. Cioe' non esigibili. Vogliamo sapere chi sono i creditori, vogliamo vederli in faccia, uno per uno.

Vogliamo prima di tutto un “audit” indipendente. Poi vogliamo che cambino le regole. Uno Stato non e' equiparabile a una banca. Le vite di milioni di persone non sono quelle dei ricchi detentori delle maggioranze dei pacchetti azionari di una banca. Gli Stati devono avere accesso al denaro a tasso zero. Le banche devono avere riserve pari almeno alla quantita' di prestiti che erogano.

Eresia, eresia!, grideranno gli economisti che in tutti questi anni hanno tenuto bordone ai ladri.
Ma noi dobbiamo rispondere: «non pagheremo!».

Il problema e' come. La mia risposta e': difendere il nostro territorio. Come fanno i No tav della Val di Susa. Loro hanno capito e si sono organizzati. Facciamo la stessa cosa a Napoli e a Roma, a Palermo e a Bologna. Vedrete che li costringiamo a trattare.



Riflessioni sulla crisi
di Piergiorgio Gawronski - Il Fatto Quotidiano - 5 Settembre 2011

La crisi del 2008-2012 è una catastrofe. In Italia, la caduta del Pil, sommata alla perdita di nuova produzione potenziale, supera largamente il 10% del Pil: oltre 150 miliardi buttati via, come dimostra la tabella sotto.

Lo stato italiano ha perso in questi anni almeno 65 miliardi di entrate, oltre a subire un rilevante aumento delle uscite (cassa integrazione, ecc.). Senza la crisi il debito pubblico oggi non sarebbe al 120% del Pil, ma al 107%, e non ci sarebbe nessuna crisi del debito.

I privati italiani (imprese e, soprattutto, famiglie: oltre un milione di nuovi disoccupati, ecc.) hanno perso redditi per almeno 85 miliardi di euro nel 2010: 3.870 euro a famiglia; cui si aggiunge la caduta della ricchezza mobiliare e immobiliare. Inoltre, le medie nascondono grandi diseguaglianze. Un bombardamento non avrebbe causato tanti danni.



TASSI DI CRESCITA %


2008 2009 2010 2011 2012 Totale

Pil potenziale 1.2 1.2 1.2 1.2 1.2 -6

Pil reale -1.33 -5.24 1.25 0.6 0.2 -4.5







-10.5
Fino al 2008 il problema dell’Italia era il basso tasso di crescita dell’offerta, del Pil potenziale (o ‘di piena occupazione’), che Banca d’Italia e altri stimano all’1,5% (per prudenza io stimo 1,2%) annuo. Per anni ci siamo accalorati sui problemi dell’offerta (corruzione, mala politica, liberalizzazioni, eccesso di spesa pubblica, giustizia, ecc.), che frenavano la produttività.

E non ci siamo accorti che la causa della poca crescita del Pil era cambiata. L’apparato produttivo – cresca o non cresca (rigo 1) – non viene più pienamente utilizzato (rigo 2): non c’è domanda. Anzi, la carenza di domanda riduce gli investimenti, e alla lunga l’apparato produttivo.

Ci hanno detto che sostenere la domanda in Europa non si può, non serve. Che l’ortodossia (cioè la compressione della domanda) monetaria (Bce), fiscale (nella seconda metà del 2010 quasi tutti i paesi europei hanno sposato la linea del rigore dei conti pubblici) e le riforme strutturali (dell’offerta) avrebbero ricreato la fiducia, che avrebbe rilanciato la crescita. Purtroppo, questa strategia non ha funzionato.

Eppure, sostenere la domanda è facile, molto più che l’offerta. La domanda è fatta di piccoli pezzetti di carta che vengono presentati al negoziante in cambio di beni. Sostenere la domanda significa dare più soldi a chi spende la più alta percentuale del suo reddito. Significa imporre per legge nuovi investimenti (nuove regole ambientali?). Ecc. ecc.

La crisi è figlia di nessuno. Tremonti: “Era imprevedibile!” Marcegaglia (ancora il 13 luglio scorso): “Io penso che quello che stiamo facendo sia sufficiente … noi non siamo la Grecia, … i conti [sono] in ordine”.

I neoliberisti (non paghi della débacle della deregolamentazione finanziaria, delle figuracce di S&Poors ecc.) continuano a dileggiare le loro caricature delle proposte keynesiane, e a insistere sulla “fiducia” che le politiche ortodosse prima o poi scateneranno. Gli asini volano. Whatever.

La crisi morale del nostro paese è evidente soprattutto quando la classe dirigente e i ricchi si rifiutano di fare la loro parte. Certo, i costi della politica, gli evasori. Ma anche le sleali furbizie di Sacconi.

Anche le proteste contro il piccolo contributo di solidarietà per i redditi sopra 90mila euro. Marcegaglia: “È una misura depressiva e iniqua”; ma cara signora, ogni taglio, ogni prelievo è “depressivo”, solo che togliere ai ricchi (che risparmiano molto di più) è meno depressivo che togliere ai poveri. Quanto all’equità, beh, lasciamo stare. Ma per fortuna abbiamo ancora risorse morali.

I rischi che stiamo correndo sono abnormi. Se la sfiducia dei mercati continua, ci sono due possibilità:

A) La Bce continua a difendere i titoli italiani: l’Europa si ritrova nel giro di pochi mesi un’iperinflazione superiore al 100% l’anno, la demonetizzazione e un crollo della produzione e dei redditi reali.

B) La Bce rinuncia alla difesa dei titoli italiani: noi ci ritroviamo con almeno un altro milione di nuovi disoccupati, e forse cinque; il sistema bancario europeo salta; lo tsunami finanziario investe il mondo.

La crisi ha una soluzione? Sì! Non è l’Efsf (che tutti aspettano con ansia); e neppure gli Eurobond (intesi come strumento di sostegno dei titoli sui mercati): troppo poco, troppo tardi! I debiti dei Piigs ammontano a 3.300 miliardi: una cifra insostenibile per i paesi europei. L’Efsf ha fondi limitati, quindi non è credibile sui mercati.

La soluzione è un accordo fra Piigs (soprattutto l’Italia), i paesi europei (Germania), e la Bce che preveda tagli strutturali e riforme serie nei primi, reflazione (aumenti salariali) nei secondi, e una esplicita garanzia sui titoli pubblici da parte della Bce. Il cui effetto sarebbe l’immediato crollo degli spread sui mercati finanziari.

Se invece la Bce continua a fare la sua parte a metà (difende i titoli italiani ma dice che non lo farà a lungo, così incentivando le vendite), perché non si fida di un governo italiano che fa la sua parte a metà (manovra annacquata) e la Germania resta alla finestra a recriminare contro gli italiani inaffidabili, il disastro è garantito.

La Germania pensi alle sue responsabilità nel prolungare questa crisi europea, che ha mandato alle stelle i nostri debiti (e alle sue banche).



Bernanke: l’illusione che la crisi sia soltanto ciclica
di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi** - Arianna Editrice - 4 Settembre 2011

Se il discorso che il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha recentemente tenuto all’incontro annuale dei banchieri di Jackson Hole fosse stato l’introduzione di una tesi di laurea, il candidato sarebbe stato bocciato. Raramente si è sentito un pronunciamento sulla situazione economica americana e globale così contraddittorio e generico.

Bernanke si è detto ottimista, ma anche pessimista. Si aspettava una ripresa più solida, ma c’è stata una caduta più pronunciata. Credeva in un rilancio in tempi brevi, ma ammette che la terapia potrebbe durare a lungo.

Di concreto ha detto soltanto una cosa: la Fed comunicherà nella riunione del 20-21 settembre prossimo del suo Federal Open Market Committee “i mezzi necessari per stimolare la ripresa economica”.

In parole povere si sta allestendo un altro, il terzo, “Quantitative easing”, cioè la stampa di nuovi dollari per acquistare i Treasury bond che il governo emetterà a sostegno di un debito crescente e forse per qualche investimento nei lavori pubblici.

Si ricordi che l’anno prima sempre a Jackson Hole la Fed annunciò una iniezione di nuova liquidità per 600 miliardi di dollari che è stata interamente utilizzata tra gennaio e giugno senza riuscire a modificare l’andamento negativo della crisi, della produzione e dell’occupazione. Tant’è che esaurita questa dose di liquidità il governo Usa si è trovato sulla soglia della bancarotta!

Inoltre in tre anni il bilancio della Fed è triplicato. Complessivamente ammonta a poco meno di 3.000 miliardi di dollari.

Le vere ragioni del posticipo di un mese delle misure annunciate da Bernanke sono due. La prima è che il bilancio fiscale americano chiude alla fine di settembre, quando il governo e il Congresso sono tenuti a presentare il budget per il 2012. Evidentemente la Fed insiste per ottenere dei tagli più drastici nel settore della sanità e dei servizi sociali.

La seconda è la non nascosta pressione sulla Banca Centrale Europea affinché applichi la sua stessa politica ed eventualmente annunci un “Quantitative easing” europeo, fingendo di ignorare che ciò potrebbe far saltare l’architettura dell’Unione europea. Se c’è una cosa che la Bundesbank e Berlino non tollerano è il rischio di un’impennata inflazionistica.

Il discorso di Bernanke per certi aspetti rivela la sua impotenza come banchiere centrale. Ha ripetuto per ben 8 volte la parola “recession”, mentre al Jackson Hole del 2010 non era mai stata menzionata.

Per recessione, come noto, si intende la contrazione del ciclo economico e un rallentamento delle attività economiche. Di conseguenza il pil, l’occupazione, gli investimenti, l’utilizzazione degli impianti, il reddito delle famiglie e i profitti calano, mentre aumentano i fallimenti e la disoccupazione. L’inflazione tende a scendere all’inizio ma poi può assumere atteggiamenti “ballerini”

I governi solitamente rispondono a questa emergenza attraverso la creazione di maggiore liquidità, l’aumento della spesa pubblica e la riduzione delle tasse. Dal 2008 queste misure non funzionano più.

Nel mondo occidentale c’è stata una recessione di tipo “L” con una tendenza dell’asticella orizzontale a cedere ulteriormente. Dopo tre anni, tutte le scuole ufficiali di economia non la chiamano più recessione ma depressione economica.

Ed è qui che gli gnomi della Fed sono andati “nel pallone”. Bernanke parla ancora di crisi ciclica e non sistemica. Infatti nel suo discorso ha spiegato che dalla fase di crisi ciclica si aspettava un “processo naturale di ripresa”.

In passato negli Stati Uniti il settore immobiliare e delle costruzioni di nuove case è sempre stato il motore della ripresa. Non questa volta. Dal 2006 il deprezzamento del valore degli immobili è stato in media del 35%.

Credere che case prefabbricate di legno compensato, che erano arrivate a costare fino mezzo milione di dollari, possano ritornare a quei livelli è da folli.

Inoltre il settore immobiliare galleggia su un mare di oltre 10.000 miliardi di titoli. Molti dei quali tossici. La metà è riferita ai soli due colossi delle ipoteche e dei mutui casa, Fannie Mae e Freddie Mac, tenuti in vita dalle continue flebo “governative”.

Il fallimento della politica della Fed può servire da lezione. Per l’Italia che sta affrontando la seconda manovra finanziaria, è indispensabile puntare sulla crescita e sui grandi progetti infrastrutturali. Il sostegno alle attività produttive con meccanismi pubblici-privati di credito allo sviluppo non è ulteriormente rinviabile.

Certo i conti devono quadrare, ma non si possono frenare i consumi né tanto meno tartassare sempre gli stessi contribuenti. Necessita una seria patrimoniale e un contributo da parte dei percettori di altissimi redditi. Chi ha di più deve dare di più.


* Sottosegretario dell'Economia nel governo Prodi, **Economista



Non abbiamo da perdere che i loro debiti
da www.retedellaconoscenza.it - 2 Settembre 2011

Machiavelli consigliava “Perché le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno”.

Nonostante la rapidità con cui si sono manifestati gli ultimi effetti della crisi e il tentativo in corso di approvare frettolosamente la manovra più corposa e pericolosa della storia repubblicana italiana, ne assaporiamo egualmente il gusto amaro, e ci sentiamo concretamente offesi. Lo smantellamento del welfare, gli specchietti per le allodole sugli sprechi e i privilegi della politica, l'attacco profondo ai diritti dei lavoratori, sono tutte norme che affossano il nostro futuro e quello dell'Italia.

Siamo al centro della Grande Crisi. L'economia finanziaria, il cui volume di affari supera di otto volte il PIL mondiale, è esplosa, innescando una corsa ai profitti senza via d'uscita.

Dopo aver saccheggiato nel 2008 mediante i meccanismi di indebitamento privato, oggi si concentra sul debito pubblico.

Davanti a un'economia realmente mondiale e senza confini, l'unico modo con cui per i mercati è possibile, da un lato, alimentare i profitti è spingere la produzione oltre i limiti di sostenibilità ambientale del pianeta, e dall'altro smantellare il welfare, saccheggiare i beni comuni, togliere risorse al futuro, alla nostra generazione e alle successive.

Strani spettri si aggirano per l'Europa, lo spettro della recessione e della crisi di civiltà, e l'ectoplasma inafferrabile dei “mercati”, entità astratta, che ha sempre ragione e che è necessario rassicurare, iniettando nuove risorse per gli speculatori, tagliando il welfare, privatizzando tutto il privatizzabile, con buona pace dei 27 milioni di italiani che hanno votato si al referendum di giugno.

Ma i mercati, i fondi di investimento, le banche, le compagnie di assicurazione, hanno non solo dei nomi chiari, ma soprattutto precise responsabilità.

Ad entrare in crisi oggi è la civiltà occidentale, la sua storia antica e il suo modello di sviluppo più recente, la sua ossessione per la crescita fondata su diseguaglianze, avidità e sfruttamento dei lavoratori.

Si aprono delle pagine nuove della storia, ci troviamo a un bivio, in cui ci serve la forza e la nettezza di dire che non esistono soluzioni preconfezionate, non c'è atto collettivo “singolare” che ci possa salvare da un giorno all'altro, non sarà LA singola data di mobilitazione, LO sciopero, LA singola occupazione, a salvarci.

Serve, oggi più che mai, una fase di resistenza in cui è necessaria una lotta di lungo periodo, che non prelude immediatamente alla costruzione dell'alternativa, ma di sicuro può aprire lo spazio per invertire i rapporti di forza.

Per raggiungere tale obiettivo non possiamo cadere nelle sirene avanguardiste, ma dobbiamo saper costruire mobilitazioni che nei contenuti e nelle pratiche portino a scendere in piazza fette sempre più consistenti di popolazione, di quei 27 milioni di cittadini che hanno votato si al referendum, di quel popolo indignato che, oggi, è impossibile quantificare.

La crisi economica è, anche, una crisi democratica, una crisi non solo della rappresentanza e dei suoi meccanismi, ma una vera e propria sospensione della sovranità popolare. La manovra italiana frutto del commissariamento della BCE, così come il caso greco, ci parlano della rottura del nesso istanze sociali, risposta istituzionale.

Per questo, da un lato è necessaria, oggi ancor più dello scorso autunno, una mobilitazione che si inserisca nelle contraddizioni e nelle debolezze del governo, e punti a farlo cadere. Dall'altro dobbiamo sapere che non basta neanche il pur ambizioso obiettivo di portare alla caduta del governo attraverso una grande stagione di lotte e resistenza, senza delegare alla politica il testimone del cambiamento.

Serve una grande mobilitazione internazionale contro le politiche di austerity, la dittatura dei mercati, per costruire l'AltraEuropa, ricostruire la democrazia e promuovere un altro modello economico e di organizzazione del lavoro che non sia fondato su profitti e sfruttamento.

Nelle lotte su tutti i livelli ci sentiamo rispondere che c'è un “sopra” che decide e determina, che assolve da tutte le colpe chi governa. Le regioni non hanno risorse per le borse di studio perché il governo ha tagliato i fondi, stessa cosa le province per l'edilizia scolastica, ad esempio; il governo taglia le risorse perché lo impone l'Unione Europea o il Fondo Monetario Internazionale; l'UE impone l'austerity perché lo chiedono i “mercati”. C'è sempre qualcuno sopra che decide, che dall'alto non sente, che dall'alto ci schiaccia.

Non basta assediare i palazzi, in cui spesso non si decide più nulla. Dobbiamo isolarli, lasciar franare il terreno sotto i loro piedi. Non attaccare il potere, ma lasciarlo franare, per “potere” decidere delle nostre vite.

Per fare ciò il primo obiettivo della nuova stagione di lotte e resistenza deve essere la costruzione di un larghissimo consenso, che mini le basi dell'attuale modello sociale, iniziando a svelare la rottura di qualunque patto sociale.

Dobbiamo rifiutare la rincorsa accondiscendente alle esigenze dei mercati, che cercano solo di moltiplicare i profitti in un'economia virtuale basata sulla compravendita e moltiplicazione di denaro per mezzo di denaro.

Non possiamo pensare che l'Italia e l'Europa possano salvare se stessi e la propria storia abbassando i salari, eliminando i diritti, tagliando lo stato sociale e privatizzando l'istruzione e la ricerca.

Non è accettabile che l'Europa dei banchieri, di Trichet e Draghi decida sulle nostre vite, senza neanche la possibilità di prendere parola, di essere ascoltati. Davanti a quest'Unione Europea non possiamo che metterci in cammino, armarci di coraggio e “sconfiggere Draghi” e tutti i mostri del passato che distruggono il futuro.

Per questo quella contro la manovra non può essere una mobilitazione che si esaurisce nella lotta per impedirne l'approvazione. La manovra è in piena continuità con una politica economica di lungo corso, spesso bipartisan, fatta di privatizzazioni, saccheggio e taglio, che non ha fatto altro che cedere sovranità ai mercati.

La mobilitazione, non può fermarsi quindi a contrastare la manovra, ma dovrà proseguire, a livello nazionale contro il governo e le sue politiche economiche, sul piano internazionale, contro il sistema economico che quotidianamente ci impone di pagare la crisi.

Lo sciopero generale di 8 ore del 6 settembre indetto dalla CGIL, la proposta della Fiom di occupare le principali piazze italiane per riempire ulteriormente quella giornata di lotta, sono tutti segnali estremamente positivi, che ci impongono di proseguire nel percorso di costruzione di fronti sociali larghi, perché nessuno è autosufficiente e sempre meno lo sarà se non si inizia a invertire la tendenza drammatica di questi anni. Chi dedica la propria esistenza a contare profitti, non potrà fare a meno di fare i conti con noi.

Siamo studenti, delle scuole e delle università italiane, siamo i giovani senza futuro, spesso al centro di editoriali e inchieste, che oscillano tra il banal-sociologico e il paternalista, siamo una generazione che non intende restare al centro della ricerca sociale e fuori da ogni attenzione della politica.

Le nostre scuole e università non hanno più le risorse per darci una formazione di qualità, le nostre borse di studio sono vuote, le scuole fatiscenti, l'unico segno positivo è la costante crescita della disoccupazione giovanile. Anche per questo l'Unione degli Studenti promuove per il 7 ottobre una grande giornata di mobilitazione studentesca, a partire dalle scuole di tutt'Italia.

Siamo gli studenti e le studentesse che lo scorso anno han fatto tremare l'Italia e il governo con le loro mobilitazioni contro la riforma Gelmini, per costruire un futuro diverso per la nostra generazione, lo scorso autunno ci abbiamo provato e ci riproveremo nei prossimi mesi.

E' arrivato il momento di riprenderci tutto, di rifiutare una finta democrazia che sa ascoltare solo Piazza Affari, e imporre la volontà di un'altra piazza, la nostra. Perché noi, studentesse e studenti, precari, lavoratori, non abbiamo da perdere che i loro debiti.


Nessuna notizia dall'Islanda?
di Marco Pala - http://europeanphoenix.net/it - 27 Luglio 2011

Qualcuno crede ancora che non vi sia censura al giorno d'oggi?

Allora perchè, se da un lato siamo stati informati su tutto quello che sta succedendo in Egitto, dall'altro i mass-media non hanno sprecato una sola parola su ciò che sta accadendo in Islanda?

Il popolo islandese è riuscito a far dimettere un governo al completo; sono state nazionalizzate le principali banche commerciali; i cittadini hanno deciso all'unanimità di bocciare le condizioni di pagamento del debito che le stesse banche avevano sottoscritto con la Gran Bretagna e con l'Olanda, contestando l'inadeguatezza della loro politica finanziaria; infine, è stata creata un'assemblea popolare per riscrivere l'intera Costituzione. Il tutto in maniera pacifica. Una vera e propria Rivoluzione contro il potere che aveva condotto l'Islanda verso il recente collasso economico.

Sicuramente vi starete chiedendo perchè questi eventi non siano stati resi pubblici durante gli ultimi due anni. La risposta ci conduce verso un'altra domanda, ancora più mortificante: cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei prendessero esempio dai "concittadini" islandesi?

Ecco brevemente la cronologia dei fatti:

  • 2008 - A Settembre viene nazionalizzata la Glitnir Bank, la terza banca d'Islanda per importanza e per volumi d’affari dopo Landbankinn e Kaupthing; anche a queste due tocca la stessa sorte nel giro di pochi giorni. La moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività: il paese viene dichiarato in bancarotta [1].
  • 2009 - A Gennaio le proteste dei cittadini di fronte al Parlamento provocano le dimissioni del Primo Ministro Geir Haarde [2] e di tutto il Governo - la Alleanza Social-Democratica (Samfylkingin) - costringendo il Paese alle elezioni anticipate [3]. La situazione economica resta precaria. Il Parlamento propone una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento di 3,5 MILIARDI di Euro che avrebbe gravato su ogni famiglia islandese, mensilmente, per la durata di 15 anni e con un tasso di interesse del 5,5% [4].
  • 2010 - I cittadini ritornano a occupare le piazze e chiedono a gran voce di sottoporre a Referendum il provvedimento sopracitato [5] [6].
  • 2011 - A Febbraio il Presidente Olafur Grimsson pone il veto alla ratifica della legge e annuncia il Referendum consultivo popolare [7]. Le votazioni si tengono ad Aprile ed i NO alle condizioni di pagamento del debito vincono con quasi il 60% dei voti (nel referendum precedente, a Marzo 2010, i NO alla "proposta di rientro" del governo britannico furono il 93%!) [8]. Nel frattempo, il Governo ha disposto le inchieste per determinare giuridicamente le responsabilità civili e penali della crisi. Vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell'esecutivo [9] [10]. L'Interpol si incarica di ricercare e catturare i condannati: tutti i banchieri implicati abbandonano l'Islanda [11]. In questo contesto di crisi, viene eletta un'Assemblea per redigere una Nuova Costituzione che possa incorporare le lezioni apprese durante la crisi e che sostituisca l'attuale Costituzione (basata sul modello di quella Danese). Per lo scopo, ci si rivolge direttamente al Popolo Sovrano: vengono eletti legalmente 25 cittadini tra i 522 che si sono presentati alle votazioni [12]. Molti di loro erano liberi da affiliazione politica dato che gli unici due vincoli per la candidatura erano quelli di essere maggiorenni e di disporre delle firme di almeno 30 sostenitori. La nuova Assemblea Costituzionale inizia il suo lavoro in Febbraio e presenta un progetto chiamato Magna Carta [13] nel quale confluiscono la maggiorparte delle "linee guida" prodotte in modo consensuale nel corso delle diverse assemblee popolari che hanno avuto luogo in tutto il Paese e nei principali social networks [14]. La Magna Carta dovrà essere sottoposta all'approvazione del Parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni legislative che si terranno.

    Questa è stata, in sintesi, la breve storia della Ri-evoluzione democratica islandese.

Abbiamo forse sentito parlare di tutto ciò nei mezzi di comunicazione europei?

Abbiamo ricevuto un qualsiasi commento su questi avvenimenti nei noiosissimi salotti politici televisivi o nelle tribune elettorali radiofoniche?

Abbiamo visto nella nostra beneamata Televisione anche un solo fotogramma che raccontasse qualcuno di questi momenti?

SINCERAMENTE NO.
I cittadini islandesi sono riusciti a dare una lezione di Democrazia Diretta e di Sovranità Popolare e Monetaria a tutta l'Europa, opponendosi pacificamente al Sistema ed esaltando il potere della cittadinanza di fronte agli occhi indifferenti del mondo.

Siamo davvero sicuri che non ci sia "censura" o manipolazione nei mass-media?
Il minimo che possiamo fare è prendere coscienza di questa romantica storia di piazza e farla diventare leggenda, divulgandola tra i nostri contatti. Per farlo possiamo usare i mezzi che più ci aggradano: i "nostalgici" potranno usare il telefono, gli "appassionati" potranno parlarne davanti a una birra al Bar dello Sport o subito dopo un caffè al Corso.

I più "tecnologicamente avanzati" potranno fare un copia/incolla e spammare questo racconto via e-mail oppure, con un semplice click sui pulsanti di condivisione dei Social Network in fondo all'articolo, lanciare una salvifica catena di Sant'Antonio su Facebook, Twitter, Digg o GoogleBuzz.

I "guru del web" si sentiranno il dovere di riportare, a modo loro, questa fantastica lezione di civiltà, montando un video su YouTube, postando un articolo ad effetto sui loro blog personali o iniziando un nuovo thread nei loro forum preferiti.

L'importante è che, finalmente, abbiamo la possibilità di bypassare la manipolazione mediatica dell'informazione ed abbattere così il castello di carte di questa politica bipartitica, sempre più servile agli interessi economici delle banche d'affari e delle corporazioni multinazionali e sempre più lontana dal nostro Bene Comune.

In fede,
il cittadino sovrano Marco Pala
(alias "marcpoling")

«Qui da Madrid è tutto, a voi studio
Note:
[1] BBC.co.uk - Iceland nationalises Glitnir bank, Settembre 2008. (ARTICOLO)
[2] BBC.co.uk - Crisis claims Icelandic cabinet, Gennaio 2009. (ARTICOLO)
[3] BBC.co.uk - Iceland announces early election, Gennaio 2009. (ARTICOLO)
[4] BBC.co.uk - Iceland approves new Icesave deal, Dicembre 2009. (ARTICOLO)
[5] Guardian.co.uk - Iceland's bizarre Icesave referendum, Marzo 2010. (ARTICOLO)
[6] IceNews.is - Fresh wave of protests outside Icelandic parliament, Ottobre 2010. (ARTICOLO)
[7] BBC.co.uk - Iceland president calls referendum on new Icesave deal, Febbraio 2011. (ARTICOLO)
[8] en.Wikipedia - Icelandic loan guarantees referendum, Aprile 2011. (WIKI)
[9] BBC.co.uk - Landsbanki executives arrested in Iceland, Gennaio 2011. (ARTICOLO)
[10] BBC.co.uk - Robert and Vincent Tchenguiz arrested in Iceland probe, Marzo 2011. (ARTICOLO)
[11] TheTelegraph.co.uk - Interpol hunts former Kaupthing chief Sigurdur Einarsson, Luglio 2011. (ARTICOLO)
[12] TheGlobalJournal.net - Iceland Struggles for a New Constitution, Maggio 2011. (ARTICOLO)
[13] BestInGovernment.eu - Is the Icelandic citizen’s revolution an example to follow?, Maggio 2011. (ARTICOLO)
[14] TheGuardian.co.uk - Mob rule: Iceland crowdsources its next constitution, Giugno 2011. (ARTICOLO)