lunedì 3 ottobre 2011

Update italiota

Un aggiornamento sulla degradata situazione italiota, a tutti i livelli.



Inaccettabile BCE
di Loris Campetti - Il Manifesto - 30 Settembre 2011

Volevamo abolire le province e invece adesso ci ordinano di abolire lo stato. Purtroppo non è la vivificazione del sogno di Karl Marx, l'estinzione dello stato.

Intanto, il soggetto rivoluzionario committente non è animato dallo spirito dell'internazionalismo proletario ma dal pensiero unico liberista, che è un po' diverso.

In secondo luogo, la tappa intermedia non è, come scriveva il grande vecchio di Treviri, la dittatura del proletariato ma quella della finanza.

La lettera «segreta» della Bce al governo italiano, pubblicata ieri dal Corriere della sera, è straordinaria tanto per la sua lucida coerenza quanto per la sua prepotenza, una prepotenza legittimata, prima ancora che dalle regole, dalla sua assunzione passiva da parte dei governi di tutti i colori.

Se lo dice la Bce è vero, così come ha ragione Standard&Poor's se ci declassa.

Si potrebbe dire che il segreto che copriva la lettera era il segreto di Pulcinella: chi non immaginava che avrebbe ordinato tagli allo stato sociale, alle pensioni e ai salari, privatizzazioni e liberalizzazioni?

Eppure, persino il segreto di Pulcinella ci può stupire, e anche farci incazzare. Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, più che una lettera hanno stilato un manifesto ideologico per indicare le ricette draconiane e antipopolari per uscire dalla crisi, ma anche le forme con cui le bastonate dovrebbero essere assestate («decreto legge», il tempo è danaro).

Dunque, abbattimento del debito anticipando di un anno l'iter della manovra di luglio, buona ma «insufficiente»; liberalizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni con «privatizzazioni su larga scala»; innalzamento dell'età pensionabile, portando a 65 anni la soglia per le donne anche nel privato, da subito; riduzione dei costi nel pubblico impiego, «se necessario, riducendo gli stipendi».

Poi, e qui c'è l'aspetto ideologico e di rivincita classista contro le conquiste dei lavoratori del XX secolo, si ordina a un governo che non aspettava altro, un'ulteriore «riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi a livelli d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende».

Ora, si può capire - accettare o no è una libera scelta - che la Bce decida i numeri necessari a rientrare dal debito pubblico, e persino i tempi. Non è tollerabile invece che entri nel merito dei provvedimenti, che ordini di bastonare operai e pensionati invece che evasori e ricconi, o di tagliare la spesa sanitaria invece di quella militare, di risparmiare sui salari degli impiegati invece che sul ponte di Messina. Soprattutto, non è accettabile che la Bce ordini al governo di imporre a tutti il modello Marchionne che cancella i diritti fondamentali di chi lavora.

Enrico Letta ha detto che «i contenuti della lettera rappresentano la base su cui impostare politiche per far uscire l'Italia dalla crisi... qualunque governo succederà a Berlusconi dovrà ripartire dai contenuti di quella lettera».

Difficile accusare di qualunquismo chi dice «sono tutti uguali, tanto varrebbe tenersi Berlusconi».

Una sinistra che sceglie di restare nel recinto di Draghi e Trichet, quello in cui si è prodotta la manovra economica con annesso articolo 8, non va da nessuna parte.



La Marcegaglia in soccorso di Trichet
di Marco Cedolin - Il Corrosivo - 30 Settembre 2011

Fra gli avvoltoi che planano in cerchi sempre più bassi, attendendo con impazienza di spolpare la carogna di questo disgraziato paese, non potevano certo mancare i prenditori d'accatto che da sempre vivono alla grande foraggiati dai sussidi statali, ma fra una puntatina a Porto Cervo, un briefing di alta finanza e una delocalizzazione produttiva, non mancano mai di tessere le lodi del libero mercato, declinato come il luogo dove si socializzano le perdite, privatizzando al contempo i profitti (leciti ed illeciti) derivanti dalla macelleria sociale.

Degna portavoce di questa congrega di sciacalli che vestono Prada e Max Mara, ma strizzano l’occhio alla sinistra chic e si fingono interessati alle sorti dei lavoratori (italiani o cinesi non si comprende bene) non poteva essere che Emma Marcegaglia , la quale a sostegno di Draghi e Trichet e dei molteplici affari di famiglia, sta in queste ore producendosi nell’ennesimo sforzo per “salvare il paese” dalla remota possibilità che gli italiani non seguano i greci nel tunnel della disperazione.

Oggetto dello sforzo un documento denominato "manifesto per la crescita" (non si comprende bene di cosa) imposto ai camerieri di governo e sindacati, sotto forma di ultimatum o ricatto, indispensabile perché Confindustria non faccia saltare qualsiasi tavolo di dialogo.

Entrare nel merito del suddetto manifesto crea giocoforza non pochi imbarazzi, dal momento che sono troppe e troppo forti le similitudini con la lettera "segreta" di Draghi e Trichet che commentammo ieri a fronte della sua pubblicazione integrale (per ironia del destino avvenuta proprio il giorno precedente a quella del manifesto della Emma nazionale), ma dal momento che l’esercizio del repetita juvant talvolta si rende necessario, proveremo comunque a spendere qualche parola…..

Dopo una lunga premessa, infarcita di retorica, populismo e slogan stantii, dispensati in quantità industriale, il manifesto arriva al nocciolo della questione, articolandosi in cinque punti.

Spesa pubblica e riforma delle pensioni, dove la Marcegaglia si appropria del becero populismo alla Rizzo e Stella per compiacere i beoti che “i privilegi della casta sono la causa di tutti i mali”, sentenziando come la causa del progressivo lievitare della spesa pubblica alligni soprattutto nel mancato taglio delle spese della politica, imputabile allo stallo delle riforme strutturali deputate a metterli in atto.

Dato il contentino al “popolo bue”, arriva però la stoccata d’interesse, bisogna intervenire sulle pensioni, innalzando l’età pensionabile, ridimensionandone l’ammontare ed aumentando il ricorso alla previdenza integrativa che, giova ricordarlo, viene gestita proprio da soggetti come la Marcegaglia ed i membri del clan da lei capitanato.

Naturalmente neppure una parola per quanto concerne le spese in armi da guerra, in missioni militari all’estero, in grandi opere tanto devastanti quanto inutili, in sussidi a fondo perso verso la grande imprenditoria industriale, in mancanza dei quali avremmo un bilancio sano, perfino se raddoppiassimo il numero delle province e dei rubagalline che allignano nei consigli delle stesse.

Riforma fiscale, niente più che la solita questua alla ricerca di ulteriori detassazioni, agevolazioni e finanziamenti, naturalmente al solo fine di diminuire il cuneo fiscale a tutto beneficio dei lavoratori e non di aggiungere qualche “barca” nuova fiammante a Montecarlo. Seguita dalla becera retorica sull’evasione fiscale che ormai rappresenta il verbo di ogni politico che si rispetti.

Cessione del patrimonio pubblico, dove s’impone la svendita dell’Italia a prezzi da saldo, sotto forma di “massicce dismissioni dell'ancora ingentissimo patrimonio immobiliare”, ulteriori privatizzazioni dei servizi pubblici e l’alienazione delle partecipazioni degli enti pubblici locali nella gestione dei servizi di loro competenza.

In sostanza un cartello “saldi” applicato sul tricolore (che tanti amano sventolare) da parte di chi sembra già reputarsi il "miglior offerente” per procedere all'acquisto.

Liberalizzazioni e semplificazioni, dove si rende indispensabile eliminare le regole, gli ultimi aneliti di piccolo commercio e qualsiasi ingerenza del pubblico, per mettere il tutto nelle mani delle multinazionali, degli ipermercati e dei cartelli facenti capo agli oligopoli, naturalmente per il bene del paese e per incentivare la crescita.

Magari perfino delegando ai privati l’attuazione dei procedimenti amministrativi e “rafforzando le semplificazioni amministrative su permessi di costruire, razionalizzazione e riduzione dei controlli, autorizzazione paesaggistica; SCIA".

Detto in parole semplici, carta bianca e zero intrusioni, laddove dobbiamo comandare noi e gestire il bel Paese a nostro piacimento. Con una raccomandazione tanto cara a Trichet, fare in fretta perché il tempo è denaro.

Infrastrutture ed efficienza energetica, dove dopo un pippone in gergo politichese e tanto populismo di facciata, si intima di usare le risorse recuperate attraverso i tagli e la svendita, per la costruzione di ">grandi opere, deputate a rimpinguare il portafoglio della consorteria del cemento e del tondino.

Si ordina di non frapporre alcun ostacolo normativo o di carattere ambientale sulla strada dei cementificatori che devono avere le mani libere. Si tenta di spostare, attraverso un gioco di prestigio, la posizione del cemento, da maggiore causa dell’indebitamento del paese a "> migliore risorsa per una crescita visionaria priva di senso compiuto.

A concludere non poteva mancare la questua per il parassitismo industriale della "> green economy che deve essere foraggiato con i soldi statali, perché quando si parla di sovvenzioni agli industriali, lo Stato deve continuare ad essere presente e possibilmente in maniera sempre più massiccia.

Altrimenti anche i prenditori d’accatto alla Marcegaglia sarebbero costretti ad andare a lavorare, anziché giocare a fare politica, atteggiandosi a spalla di Draghi e Trichet.


Chi governa l'Italia?
di Angelo Miotto - Peacereporter - 30 Settembre 2011

Il programma politico di Confindustria, il ricatto della Bce, opposizione debole

La Giunta di Confindustria "mi ha dato il mandato di portare avanti proposte forti e coraggiose". Emma Marcegaglia avverte il Palazzo: "Se non andranno avanti ho anche il mandato di valutare se restare ai tavoli con il governo".

E' la giornata delle proposte di Confindustria. Il suo piano, Progetto delle imprese per l'Italia, è un vero e proprio diktat che rivela fino in fondo l'assenza totale di proposta di politica industriale e per le imprese del governo Berlusconi.

Siamo nel momento di scontro apicale; i cinque punti che riguardano la spesa pubblica e la riforma delle pensioni, la riforma fiscale, le cessioni del patrimonio pubblico, liberalizzazioni e semplificazioni e infrastrutture ed energia sono raccolti in un documento (scarica qui) di sedici pagine.

Il documento inizia così: "L'Italia si trova di fronte a un bivio". Riforme o crescita, oppure scivolamento verso un declino sociale, anzi è scritto prima economico e poi sociale.

Poco più sotto: da troppo tempo l'Italia non cresce le imprese perdono produttività, i giovani vedono ridursi opportunità e speranze e da troppo tempo il 95 percento dei contribuenti dichiara redditi inferiori ai 50mila euro.

Per Confindustria nessuno è esente da responsabilità. Una frase in cui ci deve essere anche una ammissione di colpa: le ragioni di una crisi culturale, economica e finanziaria non risale certo alle ultime crisi internazionali e all'assenza di gestione politica solo negli ultimi anni.

In un climax sempre più vertiginoso le ultime settimane hanno visto i principali strumenti di espressione dei poteri forti esprimersi per l'interruzione di questa stagione di governo.

Confindustria, fatte le debite proporzioni, non si può chiamare fuori quanto non lo può fare il Vaticano, nonostante il duro monito del cardinal Bagnasco, capo della Conferenza episcopale italiana.

Oggi tutti chiedono di 'liquidare' questa esperienza di governo, la stessa che hanno sorretto - fatte le debite differenze - in tanti anni di destrutturazione economica, finanziaria e di valori.

Ieri il Corsera ha pubblicato le condizioni dettate dalla Banca centrale europea al governo italiano, pubblicando la lettera inviata da Bruxelles come merce di scambio per iniziare a comprare titoli di Stato in una situazione di continuo aggravarsi dello spread e segni negativi in Borsa.

Oggi Confindustria impone una accelerazione nel pressing sul governo, impegnato più a salvare dalle inchieste propri rappresentanti che a strutturare vere riforme. Confindustria, i mezzi di informazione dei poteri forti e dei salotti della finanza, chiedono una soluzione in tempi rapidi. I loro piani, evidentemente, non colano più all'interno delle forze di maggioranza che si erano presentate come espressione di quei ceti.

Marcegaglia ha tenuto a sottolineare che ''non sta a noi dire che il governo deve prendere le decisioni, non spetta a noi fare programmi politici. Noi diciamo che la situazione e' complicata e preoccupante ed e' il momento di fare le scelte necessarie''.

Il piano delle imprese per l'Italia, però, come quello della Bce, è un preciso programma politico, non v'è dubbio. Scarseggiano alternative d'opposizione.

Resta la sensazione di un pericoloso giocare con il fuoco, come se il potenziale di contestazione sociale - e delle più varie forme che potrà rivestire - dovesse essere solo un lontano brontolio facilmente controllabile.

Fra il piano imposto dalla Bce e il piano di riforme che presenta Confindustria risulta evidente che chi dovrebbe dire e governare non è capace più di rappresentare nemmeno gli interessi della stessa ideologia liberista che rappresenta.

Un vuoto di potere così profondo non si era mai visto. Resta solo da chiedersi se le istituzioni saranno capaci di riprendere le briglie delle decisioni migliori per tutti, così come prevede la delega della rappresentatività affidata dai cittadini a chi deve scegliere e governare.



La nave sbanda. Chi c'è al timone?
di Giovanni Sartori - Il Corriere della Sera - 3 Ottobre 2011

Sistemi di voto e naufragio delle idee

La notizia è che la richiesta di referendum sulla riforma del sistema elettorale ha trionfato con un milione e duecentomila firme (ne bastavano 500.000).

Se verrà accettato dalla Corte costituzionale, molti dicono e scrivono che così «si tornerebbe al sistema precedente, al Mattarellum». Ma non è vero o comunque non è detto.

L'articolo 75 della Costituzione dice così: «È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione totale o parziale di una legge».

Il testo dice chiaramente, dunque, che il nostro referendum è soltanto abrogativo e quindi che consente soltanto cancellazioni, non aggiunte e modificazioni.

Inoltre, la prassi della Corte costituzionale è, di regola, di richiedere che il testo «tagliato» risulti immediatamente applicabile. Come è ovvio, perché nessun sistema politico può restare senza sistema elettorale. Ma il discorso finisce qui.

Nessun referendum può ripescare una precedente legge elettorale (in questo caso il Mattarellum). Io, per esempio, ho combattuto il Porcellum, ma ho anche avversato il Mattarellum. E forse non sono il solo.

Proseguendo, anche Bossi, oramai, dà i numeri. Le sue truppe sono stanche e scontente. Così Bossi le ha galvanizzate, a Pontida, ripescando dal suo vecchio repertorio la secessione. L'Italia rischia la bancarotta e Bossi sa solo sguainare la sua sciabolina di latta.

E vuole Grilli come nuovo governatore della Banca d'Italia perché lui, Grilli, è milanese. Siamo al limite del ridicolo.

Ma se la destra non ride, la sinistra dovrebbe piangere. A dispetto di tutto, il centrodestra di Berlusconi nei sondaggi regge. Lui, Berlusconi, è in calo di popolarità; ma il suo partito, inclusi comprati e alleati, tutto sommato tiene.

Ogni settimana il tg di Mentana ci presenta lo stato dell'opinione rilevato dal suo aruspice e le variazioni sono piccole, pressoché insignificanti: mezzo punto più, mezzo punto meno o giù di lì.

Eppure, come scrive Ostellino, per Berlusconi «il tempo è scaduto» visto che «non è stato la soluzione dei problemi del Paese ed è diventato lui stesso il problema». Non si potrebbe sintetizzare meglio. Eppure, le opposizioni e la sinistra restano dove sono. I loro guadagni sono magrissimi. Perché?

È ovvio: perché non hanno trovato un vero leader, perché Di Pietro e Vendola sono controproducenti per la sinistra riformista e moderata che ha perduto la sua vecchia ideologia senza riuscire a rifondarsi, come invece è riuscito a quasi tutte le altre socialdemocrazie europee.

Le nostre sinistre si esaltano, oggi, con le primarie e con i voti che riescono a mobilitare per un referendum. Ma non sono nemmeno capaci di decidere quale sia il buon sistema elettorale che propongono.

Io ho conosciuto bene, data la mia età, la Prima Repubblica. Allora protestavo. Ma la Seconda Repubblica è stata incomparabilmente peggiore. È il momento di dirlo a chiare lettere.


AZ 1611
di Joe Fallisi - http://byebyeunclesam.wordpress.com - 2 Ottobre 2011

Ieri sera, sull’aereo da Roma a Bari (AZ 1611, 30 settembre 2011, 19h45m), le stelle han voluto che sedessi accanto a… Luciano Violante. Ci trovavamo in nona fila, io sul corridoio di destra, lui su quello di sinistra.

Nella fioca luce, dopo un po’ mi convinco che è proprio quel curato – in effetti identico a come lo ricordavo in TV… lo stesso abito scuro che immagino non cambi da qualche decennio – immerso in un gomitolo di quotidiani che sottolineava e/o cerchiava veloce-vorace con un matitone giallo (penso sia quella l’unica vera lettura dei politici, mediadipendenti quant’altri mai).

Alla fine lo vedo riporre il malloppo nella cartella da magistrato e mi permetto di chiedergli se è, appunto, chi suppongo. Mi risponde gentilissimo che sì, è proprio lui, non mi sbaglio. Gli domando allora, entrando immediatamente in medias res, di chi sia la responsabilità legale per la guerra dell’Italia contro la Libia.

Deglutisce un nanosecondo e bofonchia trattarsi di un passo obbligato e semiautomatico dal momento che il nostro Paese è membro dell’Organizzazione Terroristi Nordatlantici.

Gli faccio notare che avremmo potuto almeno fare come la Germania… gli occhietti si perdono acquosi dentro gli occhiali… e poi comunque, automatico o non automatico, ‘sto atto che ha dato il via, anche da parte nostra, a crimini di guerra e contro l’umanità, all’assalto proditorio nei confronti di un Paese libero già straziato da noi negli anni Trenta, l’avrà pur ratificato qualcuno, no?…

Ah sì, certo, ammette… stiamo per atterrare… se va sul sito della Camera, scriva nel motore di ricerca Libia, ci clicchi sopra e vedrà in che sessione il Parlamento ha approvato… anzi la nostra partecipazione è stata anche ri-finanziata…

non si potevano tradire le alleanze internazionali… ah, dico: complimenti!… e invece il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista firmato congiuntamente da Berlusconi e da Gheddafi due anni e mezzo fa, quello invece sì, vero?… in automatico!… baffi al culo!… come con l’Austria… senza vergogna… meglio: svergognàti fino al midollo…

ormai siamo in piedi, stiamo per uscire, lui è in fila davanti a me, prete-toga della Casta magnamagna di destracentrosinistra ormai al sicuro, con le orecchie serrate… gli dico che la sinistra è ancora peggio della destra, che non dimentico i bombardamenti sulla ex-Jugoslavia e che io, Joe Fallisi, tenore anarchico, denuncerò tutti, uno per uno, i responsabili della nostra entrata in guerra, lui compreso.

Va avanti impassibile e scompare. In una cekastanzetta del suo cervello, intanto, lo scrivano di turno ha annotato il mio nome.


Padano? No, grazie
di Luciano Scalettari - Il Fatto Quotidiano - 2 Ottobre 2011

“Io esisto, e sono padano”, titolava ieri la Padania. Rispondo: “No, grazie!”. Sebbene nato a Venezia, figlio e nipote di veneti e pronipote di veneti e friulani, padano non mi sento neanche un poco. Perché? Semplicemente perché ha ragione Napolitano: la Padania non esiste e il suo “popolo” nemmeno.

Sfido uno storico (non un politico, di quelli – leghisti – se ne trovano a padellate) a sostenere che ha una qualche ragion d’essere il “popolo padano”. Venezia sì, i territori della Serenissima, tutt’al più: Venezia fu Stato, la sua lingua ha una letteratura, è parlata tutt’oggi all’interno di una comunità linguistica.

Ma la Padania? Che è? Torino, Milano e Venezia hanno mai avuto un’unità politica? Beh, all’epoca dell’antica Roma, ma non mi pare un grande esempio per i fautori della “Padania libera”.

Hanno mai avuto una letteratura comune? Provate a leggere Goldoni e Ruzante e poi ditemi se, dal punto di vista della lingua, c’è qualcosa che vi assomiglia anche solo lontanamente in altre parti dell’alta Italia.

Hanno mai avuto un’unità linguistica? Mai e poi mai. Tant’è che da veneziano che vive da 20 anni a Milano, ancora oggi non riesco a capire i bergamaschi, fatico con i bresciani, il valtellinese stretto mi è ignoto.

Ma, a dir la verità, ho qualche difficoltà anche col dialetto delle montagne bellunesi, e ai rodigini devo chiedere di parlare lentamente.

Quindi no, decisamente no, il popolo padano non è mai storicamente esistito.

Eppure, quella personcina pacata e sobria di Calderoli ha chiamato in causa nientepopodimeno che l’autodeterminazione dei popoli. Un’idea quanto mai nobile, moderna e libertaria. In virtù di questo principio l’Eritrea nel 1993 si è staccata dall’Etiopia e nel gennaio di quest’anno il Sud Sudan ha fatto la secessione dal Nord (ho citato, fra i tanti, due casi africani perché sono sicuro che Calderoli li gradisca particolarmente).

Ma la domanda è: che c’entra col “popolo padano”? Nulla. Per due principali motivi.

Primo. Eritrei e Sud sudanesi hanno vinto i rispettivi referendum per la secessione col 99 e rotti per cento dei voti. Invece, i leghisti dimenticano che sono una minoranza. Non lo dico in riferimento alla media italiana, ma proprio qui al Nord, nella Padania.

Se facessimo contemporaneamente due referendum, uno per la secessione della Padania dall’Italia e l’altro per l’espulsione dei leghisti dal nostro Paese, vincerebbe il secondo. Sono una minoranza becera e arrogante, e gli altri – i non-leghisti – non li sopportano più.

Secondo. Ciò che lega fra loro i membri di quella minoranza non sono le caratteristiche sopra descritte, che ne farebbero un popolo, ma qualcosa d’altro: il razzismo, la xenofobia, la profonda ignoranza storica, l’ottusità mentale, la grettezza culturale, la paura del diverso.

Ebbene, tutto questo fa di una comunità umana un partito, cosa che la Lega purtroppo è, non un popolo. Ma se volessimo credere per un solo momento che sia un popolo, ebbene, caro ministro Calderoli, la maggioranza dei veneti, dei lombardi, dei piemontesi, degli emiliani e dei romagnoli, dei friulani e degli altoatesini, dei trentini e dei giuliani, dei liguri e dei valdostani – tanto per elencare quelli che voi ritenete i “padani” – non si sentono parte del vostro popolo.

Anzi, molti di loro si sentono molto più vicini a quel popolo di malcapitati a cui negate posto negli asili e nelle scuole materne, che affamate nelle mense scolastiche, che criminalizzate rendendo clandestini, che schiavizzate per l’impossibilità di essere regolarizzati e avere quindi diritti, che respingete in mare facendoli morire nel Mediterraneo o imprigionare nelle galere nordafricane.

Noi, gente del Nord, noi che ricordiamo di essere stati poveri e migranti, noi che abbiamo mandato migliaia di missionari e cooperanti in giro per il mondo, noi che abbiamo fatto nostra la cultura dell’accoglienza, con loro, semmai, con quegli immigrati che scappano dalla fame e dalla guerra ci sentiamo popolo. Non con voi. E ciò che non ha diritto di accoglienza e di cittadinanza è solo il razzismo e la xenofobia.


Quegli evasori, gente giusta...
di Marcello Foa - Il Giornale - 2 Ottobre 2011

La scena si svolge nello spogliatoio di una palestra milanese. Due amici sui quarant’anni chiacchierano ad alta voce, commentano l’Italia di oggi e la situazione economica. Ironizzano sugli statali “che bisognerebbe licenziare in tronco”, sui dipendenti “che si fanno spennare”, sui piccoli commercianti che arrancano sotto il peso della burocrazia e dei debiti.

Poi la formula magica: per fortuna in Italia ci sono almeno un milione di evasori. E giù risatine ammiccanti. Gente giusta, gente che tiene in piedi il Paese. Mica i piccoli evasori che rosicchiano qualche briciola al fisco per sopravvivere a un’amministrazione ingiusta e invasiva, i grandi evasori. Come loro evidentemente.

Hanno l’aria arrogante, pianificano happy hour e cena lussuosa per la sera. Poi il discorso devia sulle vacanze. Uno dei due indica una località esotica, dove tutto costa pochissimo, ma si sta benissimo. “Gente un po’ noiosa, ma così onesta…Il posto ideale dove ritirarsi” sospira.

Io non so chi sia quel signore, ma è l’emblema di una certa Italia, che pretende sempre l’onestà, dagli altri, ma mai da se stessa. E che non vede dove sia il problema, perchè l’importante è arraffare e fottere il prossimo.

La peggiore Italia, l’Itaia senza speranza.

O sbaglio?



La verità di Katarina: “Valgo 3 milioni ma non ricatto B. Sono la first lady”
di Enrico Fierro - Il Fatto Quotidiano - 2 Ottobre 2011

Il racconto della fidanzata del premier, dal Bronx di Podgorica alla villa di Arcore. "Il giorno del suo compleanno mi ha dato l'anello di fidanzamento". Fede dice che lo tengo sotto scacco? E' soltanto invidia, non si ricatta la persona che si ama"

Signora Katarina posso farle qualche domanda?
Si, ma faccia in fretta che sto partendo per Arcore.

Ad Arcore, dicono alcuni intimi di Berlusconi, lei fa la cameriera, è vero?
Sono menzogne, bugie di chi vuole male a me e al mio amore.

Chi è il suo amore, mi perdoni?
Lui, Silvio Berlusconi…

E lei non è la sua cameriera?
No, quante volte lo devo dire. Io sono la fidanzata ufficiale di Berlusconi, lo scriva, per favore, e cercate almeno per una volta di evitare di dire menzogne.

Ma lei ad Arcore cosa fa?
Arcore è la mia casa, visto che lei insiste le do una notizia, l’altra sera, nel cuore dei festeggiamenti per il suo compleanno il Presidente mi ha regalato l’anello di fidanzamento, siamo fidanzati ufficialmente.

Le faccio i miei auguri, e quando vi sposate?
È come se gia fossimo marito e moglie, sposati, uniti dall amore, il resto sono convenzioni pure e semplici.

Quindi lei è la nuova fist lady italiana?
Sono l’unica donna di Silvio Berlusconi, la sua fidanzata.

E il bunga bunga, le serate allegre con le altre donne? Lei legge i giornali italiani…
Menzogne, cose che non voglio neppure sentire, malignità. Io lo amo e questo basta.

È vero, come dicono alcune testimoni che lei e le sue sorelle ricattate Berlusconi?
Non si puo ricattare l’uomo che si ama.

È vero che Berlusconi vi ha versato 750mila euro?
Così poco… e se fossero tre milioni?

Lo dica lei quanti sono.
Penso di valere molto di piu di quella cifra.

Quanti anni aveva quando ha conosciuto Berlusconi?
Non so, non ricordo, ma non e questo che conta. Il nostro e un amore grandissimo, il resto sono balle, invenzioni, malignità.

Eppure Emilio Fede, almeno stando a quanto rivelato da una ragazza che frequentava Arcore, insisterebbe nel dire che lei tiene sotto scacco Berlusconi.
Emilio Fede? E chi è?

Un’altra ragazza racconta di quando lei si spogliava durante le cene e si metteva nuda in mezzo al tavolo.
Invidia di chi voleva essere la prima donna. Silvio ha scelto me e questo provoca invidie e veleni.

Ricorda quella scena di gelosia, quando si buttò dalle scale?
Si puo cadere dalle scale anche se si è bevuto troppo e si perde l’equilibrio.

Un’ultima domanda: presto la vedremo accanto al premier durante le visite ufficiali?
Penso di sì, sono la fidanzata ufficiale di Silvio Berlusconi.

***
Sono da poco passate le sei di sera, quando finiamo di parlare con Katarina. Ha fretta, deve volare per Milano direzione Arcore, dove c’è l’amore suo. Berlusconi è gia da due ore nel capoluogo lombardo, a Milanello per incoraggiare i suoi alla vigilia della sfida con la Juventus.

Questa intervista è stata resa possibile grazie all’aiuto di un amico della ventenne Katarina, Nebojsa Sodranac, 38 anni, giornalista sportivo di InTv, uno dei piu seguiti network del Montenegro.

È qui che Katarina, appena diciassettenne, ha iniziato a lavorare. Piccole interviste a calciatori minori, comparsate, primi passi verso la ricerca del successo a tutti i costi. Quella voglia matta di fuggire da Murtovina, il Bronx di Podgorica.

Una lunga strada polverosa attraversata da camion sgangherati e vecchie macchine. Poco a che vedere col lusso del centro della città, con le Mercedes, i suv Toyota guidati da bellezze mozzafiato. Un market che vende di tutto, strade strette e case con le serrande sbarrate.

Sono case di appuntamento, ci dice il taxista, vieni qui, paghi e trovi quello che vuoi. Piu in là dei locali di lap dance, una pretenziosa caffetteria e una pizzeria.

In una strada stretta di terra battuta ci sono una ventina di casette basse, quella di Milorad Knezevic, una vita a spaccarsi la schiena nei cantieri dell’edilizia come muratore, ha il cancello sbarrato. Sulla verandina un dondolo abbandonato da tempo. Non si vedono i segni della ricchezza portata dal fidanzamento della ventenne Katarina con uno degli uomini più ricchi del mondo.

Non ci sono, dice una vicina, sono andati via. Dove è impossibile saperlo. Qui la gente parla poco e si divide quando deve giudicare Katarina, la sua gemella, Slavica e Zorica. Le sorelle che hanno fatto fortuna in Italia.

Per alcuni la fidanzata ufficiale di Berlusconi è la terribile Katarina, per altri è la regina d’Italia. “Ha fatto bene a far perdere la testa al vostro presidente”, ci dice ridendo una donna che vende mele all’angolo della strada.

Due partiti, giudizi contrastanti, alimentati a metà settembre dalla lettura di un articolo sul quotidiano di Zagabria Jutranji List, che per primo ha raccontato delle tre sorelle e del ricatto.

Berlusconi, si legge, le presenta come le nipotine dell’ex premier montenegrino Djukanovic ed era completamente soggiogato dalla loro bellezza. La storia del ricatto, scrive lo Jutranji, nasce quando Slavica, la maggiore delle sorelle, filma alcuni incontri. Scene di sesso, orge, ammucchiate, scrive il quotidiano croato.

Disprezzo, invidia, ammirazione, sono i sentimenti che le “sorelline italiane”, come le chiamano, suscitano al Market, allo Shas, i locali alla moda, tra le ragazze che il venerdì notte tirano fino a tardi stordendosi di musica e Bacardi.

Tutte hanno speso una fortuna per vestirsi e fasciare la loro bellezza nei tubini neri italiani. Qui Katarina Knezevic è un mito. Il sogno che si e realizzato. Comunque.

L’avvocato Stefano Pisano, nominato da Katarina Knezevic ha fatto sapere, nel pomeriggio, che la sua assistita “non ha mai rilasciato l’intervista pubblicata dal Fatto Quotidiano, nè reso le dichiarazioni che le vengono attribuite, il cui contenuto non è assolutamente riferibile al suo pensiero”.