mercoledì 8 dicembre 2010

Assange-WikiLeaks: il dubbio è d'obbligo...

Ieri il fondatore di WikiLeaks, l'australiano Julian Assange, si è consegnato a Scotland Yard ma non si sa ancora se verrà estradato in Svezia, dove è ricercato per stupro e molestie sessuali su due donne, o negli Usa dove potrebbe essere incriminato per spionaggio.

Comunque sia il governo australiano ha già accusato gli Stati Uniti di essere "i responsabili della fuga di notizie di Wikileaks, non il signor Assange".

Parole da sottoscrivere in pieno, anche se il significato affibbiato loro dal governo australiano è del tutto diverso...


Shale gas vs. South Stream. La campagna del "Corsera"
di Daniele Scalea* - Eurasia - 6 Dicembre 2010

Il “Corriere della Sera”, quotidiano di Mediobanca e della famiglia Agnelli-Elkann, sta dando ampio spazio alla pubblicazione di stralci dei documenti diplomatici statunitensi resi pubblici da “Wikileaks“. È però evidente come ci sia una ben precisa logica nella selezione degli estratti da pubblicare.

Tutti i passaggi critici verso le relazioni Italia-Russia hanno trovato spazio ed ampio rilievo nelle pagine del quotidiano. Ampiamente citato è stato pure il cablogramma inviato dall’ambasciatore statunitense Spogli, datato 26 gennaio 2009.

Troverete un riassunto cliccando qui. Stranamente il “Corriere della Sera” ha però evitato di citare un passaggio fondamentale del cablogramma. Per comodità del lettore lo riportiamo in traduzione italiana;

le sigle si riferiscono a particolari uffici dell’Ambasciata: Pol = Ufficio Politico; PA = Ufficio Affari Pubblici; Econoff= Ufficio Economico:

Per attaccare frontalmente il problema, Post ha messo in campo una vigorosa strategia diplomatica e d’affari pubblici diretta a figure chiave, interne ed esterne al Governo [italiano]. Il nostro scopo è duplice: educare più profondamente gl’interlocutori circa le attività russe e dunque sul contesto della politica statunitense, e costruire a mo’ di contrappeso un’opinione dissenziente sulla politica russa, specialmente dentro il partito politico di Berlusconi.

Dall’inizio dell’estate, col ritorno di Berlusconi al potere e la crisi georgiana, abbiamo coinvolto dirigenti del Governo italiano, aggressivamente e a tutti i livelli. Pol, PA e Econoff hanno coinvolto membri di partito, contatti nel Governo italiano, pensatoi ed anche la stampa, al fine di fornire una narrazione alternativa all’insistenza di Berlusconi che la Russia sia un paese stabile e democratico, provocato dall’Occidente. Lo sforzo sembra stia pagando.

L’opposizione ha cominciato ad attaccare Berlusconi accusandolo d’aver scelto la parte sbagliata. Alcuni nel PdL hanno cominciato a rivolgersi a noi privatamente, per dirci che gradirebbero un maggiore dialogo con noi sulla questione russa, ed hanno rivelato il loro interesse a sfidare l’infatuazione di Berlusconi per Putin.

Sarebbe interessante sapere dal “Corriere” perché non voglia portare a conoscenza dei suoi lettori anche questo brano fondamentale. Essi hanno il diritto/dovere d’interrogarsi sui fatti rivelati da “Wikileaks” – su tutti i fatti, non solo su quelli accuratamente selezionati dai media.

È degno d’un paese sovrano ed indipendente che esponenti della classe politica si rivolgano ad un’ambasciata straniera, ancorché alleata, per contrastare l’azione del proprio Governo?

Non è prerogativa irrinunciabile, per uno Stato realmente sovrano ed indipendente, che i problemi di politica interna siano risolti, per l’appunto, internamente, senza l’ingerenza di potenze straniere?

Ma il quotidiano di Mediobanca e degli Elkann pare interessato ad altre domande, come quelle rivolte da Massimo Mucchetti, nell’edizione del 3 dicembre scorso, e rievocate dai suoi colleghi nei giorni successivi.

In buona sostanza, la tesi di Mucchetti è che la scelta dell’ENI di partecipare alla costruzione del gasdotto South Stream sia economicamente insensata, in quanto bisognerebbe semmai investire nel gas di scisto (“shale gas“). Invitiamo i lettori a consultare il breve articolo di Mucchetti, che commenteremo di seguito.

Spieghiamo rapidamente cosa sia questo shale gas, cui Mucchetti pare attribuire virtù taumaturgiche. Si tratta di un gas contenuto in rocce scistose (cioè che si sfaldano secondo piani paralleli) nel sottosuolo, generalmente a più di mille metri di profondità.

Lo sfruttamento del gas di scisto ha un impatto ambientale nient’affatto trascurabile. Per ottenere il gas bisogna fratturare le rocce, e la tecnica è quella di sparare nei pozzi acqua mista a sabbia e sostanze chimiche.

Ciò significa che, in un’epoca in cui l’acqua sta divenendo un bene raro e prezioso, se ne dovrebbero utilizzare ingenti quantità per fratturare delle rocce nel sottosuolo.

Inoltre, nel processo sono immessi nel terreno anche sostanze chimiche: negli USA si sono già verificati casi di contaminazione di falde acquifere. Consigliamo la visione del documentario GasLand di Josh Fox.

Un’altra problematica connessa al gas di scisto è che, per estrarlo capillarmente, gli strati vanno perforati orizzontalmente. Ciò significa che, laddove un giacimento di gas convenzionale richiede un singolo pozzo verticale, un giacimento di gas di scisto richiede numerosi fori orizzontali.

In un continente densamente popolato come l’Europa è difficile trovare ampie zone spopolate, e l’idea di radere al suolo intere città, deportare gli abitanti ed avvelenare le falde acquifere non è neppure contemplata, o così almeno ci auguriamo.

Queste sono le ragioni per cui ben pochi credono davvero che in Europa si possa raggiungere un livello di sfruttamento del gas di scisto pari a quello degli USA. Inoltre, non si sa di preciso se vi siano giacimenti significativi in Italia.

Vale davvero la pena di rinunciare a mettere in sicurezza e potenziare la propria principale via di rifornimento energetico – quella proveniente dalla Russia – per investire tutto in un’intrapresa dall’esito assai dubbio? L’ENI di Scaroni, va sottolineato, si sta già impegnando nel campo del gas di scisto, e ciò da prima dell’articolo di Mucchetti.

Ma, con senso del realismo, l’ENI non rinuncia al gas russo per puntare tutto su solo ipotetici giacimenti italiani di gas di scisto, il cui sfruttamento, per giunta, comporta gravissimi danni ambientali (oltre a quelli già citati, numerosi scienziati ritengono che la produzione del gas di scisto avveleni l’atmosfera e contribuisca al riscaldamento globale più della combustione del carbone).

A meno che la proposta sia quella d’importare il gas di scisto da chi già lo produce in grandi quantità: gli USA. Ma perché rinunciare ad un fornitore vicino, affidabile (sono decenni che il gas naturale russo arriva in Italia), già ampiamente connesso alle reti energetiche italiane, per affidarci ad un fornitore che sta dall’altra parte dell’oceano?

Per riecheggiare la domanda che si pone Mucchetti in chiusura del suo articolo, chi ci guadagnerebbe da un simile cambiamento? Davvero ci guadagnerebbe l’Italia, che semplicemente scambierebbe la sua dipendenza dalla Russia con quella dagli USA?

Oppure a guadagnarci sarebbe esclusivamente il nuovo fornitore, ossia gli USA? Gli stessi USA che, nella loro corrispondenza diplomatica, criticano aspramente l’amicizia tra Italia e Russia, e la cui ambasciata a Roma ha lavorato per sabotarla…

* Daniele Scalea, redattore di “Eurasia”, è autore de La sfida totale (Fuoco, Roma 2010)



In memoria dell'eroe caduto
di Gianluca Freda - http://blogghete.blog.dada.net - 8 Dicembre 2010

Sul sito di Debora Billi è comparso ieri questo dolente articolo in cui l’autrice, rammaricandosi per l’arresto di Julian Assange, approfitta dell’emozione creata dall’evento per rivolgere alcuni piccati rimproveri a tutti coloro che non si sono ancora bevuti la favola della Wikileaks “libera voce dell’informazione” perseguitata dal potere.

Debora Billi è membro dell’ASPO Italia, un’associazione di cui ho già avuto modo di parlare e che fino ad oggi ho ritenuto animata da una dedizione sincera, sebbene alquanto fanciullesca, alle problematiche che porta all’attenzione dell’opinione pubblica.

Inizierò tuttavia a tenere d’occhio con maggiore cautela questa congrega di luminari, visto che negli ultimi mesi essa sta fornendo avallo alle bufale più sesquipedali mai diffuse dagli organi della disinformazione globale: dal picco del petrolio, al riscaldamento globale, passando per il martirio di Assange, ultimo arrivato nella lista di pacchianerie metafisiche offerte con contorno di asparagi all’appetito dell’uomo della strada.

L’articolo di Debora Billi inizia con un’affermazione che, se scaturisse da un’analisi accurata della realtà anziché da un volo pindarico di fideistica immaginazione, farebbe tirare a molti di noi un profondo sospiro di sollievo.

La Billi infatti, riferendosi al crudele destino di Assange, afferma: “Quando tutto il mondo ti dà la caccia davvero (e non per scena, come accade con i finti terroristi e i veri mafiosi), prima o poi il cerchio si stringe e ti arrestano”.

Ora, se davvero il destino di chi sfida apertamente il potere si riducesse alla probabile prospettiva di sobbarcarsi qualche anno di galera, ciò rappresenterebbe una notizia profondamente rassicurante per tutti noi che abbiamo a cuore le sorti dell’informazione.

Purtroppo, a giudicare da quanto è accaduto in infinite occasioni nel passato, quando non dico tutto il mondo, ma anche soltanto un’agenzia d’intelligence di medio livello internazionale, ti dà la caccia perché hai trafugato documenti compromettenti, di solito finisci sotto terra molto prima di finire sulla prima pagina del New York Times.

E questo avviene nel silenzio dei media, i quali, se sei un personaggio del tutto privo di visibilità mediatica, si limiteranno a ignorare l’accaduto o a proporlo come episodio di cronaca nera; se invece sei un personaggio di un certo livello, forniranno della tua morte una versione confusa, contraddittoria e rigurgitante di ipotesi contrastanti, tirando in ballo mafia, servizi segreti e criminalità comune, ponendo ogni ipotesi allo stesso livello e facendo ogni sforzo per evitare di fornire al lettore una pista univoca, fino a quando il lettore non capirà più niente e si stuferà di leggere.

Non si è mai visto, in tutta la storia degli omicidi politici (che sono stati innumerevoli), che una personalità di alto rilievo politico (come il consulente del primo ministro canadese Stephen Harper) invocasse esplicitamente l’assassinio per un operatore dell’informazione.

Gli omicidi politici vengono progettati ed attuati nel silenzio mediatico più assoluto e sono spesso accompagnati da blandizie e dichiarazioni di stima.

Quando il silenzio non c’è, vuol dire che non siamo in presenza della progettazione di un assassinio politico. Siamo in presenza di un’azione di propaganda, finalizzata a qualche scopo. Su quale sia lo scopo si può discutere. Sull’azione di propaganda, non esiste il minimo dubbio.

Si noti che Assange non solo non è stato eliminato fisicamente, ma non è neppure stato “arrestato”: è stato lui a presentarsi a Scotland Yard, dopo aver trattato con i suoi avvocati la “resa” e dopo aver predisposto la claque che lo ha accolto al grido di “I love you” all’uscita dal commissariato. Anche in questo caso la costruzione propagandistica, accompagnata dal consueto amplificatore della stampa, è più che evidente.

Ed è davvero puerile non domandarsi chi finanzi tutto questo apparato che ha portato Assange a diventare l’eroe del momento: i suoi viaggi, i suoi avvocati, i suoi rifugi sparsi in mezzo mondo, le strutture di Wikileaks, il denaro che servirebbe a “comprare” le informazioni scottanti dai presunti delatori.

Per essere un uomo braccato dai servizi segreti, Assange sembra passarsela piuttosto bene ed è incredibile che nessuno si chieda chi gli fornisca il denaro per tenere in piedi tutto questo circo.

Debora Billi scrive che chi si aspettava da Wikileaks rivelazioni clamorose su segreti di stato di vitale rilevanza, probabilmente ha letto troppi fumetti.

Io di fumetti, modestamente, ne ho letti un sacco e nonostante ciò mi aspettavo da Wikileaks esattamente i pettegolezzi da portinaia (uniti a poche informazioni di qualche interesse, le quali ci erano comunque già note e a cui la stampa ha evitato di dare risalto) che poi sono effettivamente arrivati sui nostri schermi. Il pregio dei fumetti è che sono modesti, non spacciano per realtà le proprie costruzioni immaginifiche.

Il malvagio e inafferrabile Ras-al-Ghul ce l’ha solo con Batman, non pretenderebbe mai di essere un cattivo in carne ed ossa che abbatte grattacieli giustificando così la politica espansionistica degli USA in Medio Oriente.

E l’organizzazione informatica Oracolo, gestita dalla paralitica Barbara Gordon, trasmette i suoi file segreti, reperiti attraverso misteriosi contatti, alla polizia di Gotham e alla comunità dei supereroi, senza per questo pretendere di espandere il proprio ruolo e sconfinare nel mondo reale.

Qui il vero dramma, temo, è quello di coloro che i fumetti non li hanno mai letti, ma si sono limitati ad assimilarne gli schemi dall’humus della cultura popolare; e non riescono pertanto a scorgere il notevole salto dimensionale che separa la narrazione a fumetti dai meccanismi geopolitici reali.

Inoltre, qui è indispensabile chiedersi: se le informazioni trafugate da Wikileaks non svelano i “grandi complotti”, non aggiungono nulla alla nostra comprensione delle regole non scritte che presiedono al conflitto di potere tra stati, se non ci dicono nulla sugli strumenti utilizzati per ottenere la nostra sottomissione e la nostra acquiescenza al sistema, ma si limitano a distruggere le relazioni diplomatiche fra stati rendendo pubbliche le maldicenze da comari che circolano nelle ambasciate, allora per quale motivo dovremmo difendere Wikileaks?

Se queste sono le sue uniche finalità “informative”, allora credo che siano pienamente giustificabili le richieste di quei governi che chiedono di zittire Assange e di chiudere i suoi server per non rendere ancor più incandescente una situazione internazionale che è già tesa fino all’inverosimile.

Debora Billi dice di voler fare “qualche osservazione sul personaggio” Assange, il che significa che la macchina del divismo ha funzionato ancora una volta.

In realtà, il “personaggio” è la cosa che dovrebbe interessarci di meno. Quello che dovremmo chiederci è invece: chi finanzia Wikileaks?

Chi realmente possiede, al di là delle leggende per marmocchi diffuse dalla stampa, le posizioni utili, le immunità e i codici di accesso alle informazioni riservate necessari per far filtrare all’esterno documenti coperti da segreto (seppure di non alto livello)?

E per quale scopo? E che cosa ci dicono i documenti diplomatici pubblicati dall’organizzazione di Assange non sulle idiosincrasie degli USA verso paesi ostili e alleati, di cui poco ci cale, ma sulla vera identità dei mandanti dell’operazione di trafugazione dei dati?

Anche in tal caso, l’antica e infallibile regola del cui prodest dovrebbe fungere da faro per ogni indagine giornalistica che si pretenda meritevole di considerazione. Non ho visto, sulla stampa nazionale e internazionale, molte indagini giornalistiche di questo tipo.

In questo senso, ciò che Debora Billi depreca – e cioè l’attitudine a valutare il fenomeno Wikileaks sulla base dei contenuti dei documenti pubblicati, anziché profondendosi in disquisizioni sul “personaggio” di Assange, che è frutto di un’accurata costruzione propagandistica – è invece l’unico approccio potenzialmente proficuo per comprendere le logiche che stanno alla base dei meccanismi di potere internazionale.

Ma tanto la stampa quanto Debora Billi sembrano voler disinnescare l’eventualità che qualcuno possa seguire questa linea.

Debora Billi dice che se i documenti pubblicati da Wikileaks contengono solo pettegolezzi, la colpa è di chi li ha scritti, non di Assange.

A parte l’improponibilità di una simile difesa d’ufficio (è come dire che se un giornale pubblica patacche spacciandole per documenti scottanti, la colpa è di chi ha scritto le patacche e non dell’editore), tocca ribadire che qui poco ci interessa attribuire ad Assange colpe o medaglie.

Il punto è capire perché proprio a quei documenti, a quei pettegolezzi, riguardanti quelle specifiche nazioni sia stato consentito di emergere all’attenzione dell’opinione pubblica e di avere ampia diffusione su una stampa che è solitamente asservita al potere e con esso collusa.

Si tratta forse di un evento miracoloso, simile alla conversione dei pretoriani di un tiranno alla causa rivoluzionaria?

O non è forse più verosimile che i pretoriani, per conto del tiranno, stiano continuando a perseguire la stessa, imperscrutabile politica, approfittando però del pretesto offerto dal biondo deviante australiano per prepararci l’ennesima repressione?

Le richieste di controllo su internet e di limitazione alla libertà dei server che hanno accompagnato l’affaire Wikileaks fanno propendere molti per la seconda ipotesi.

Dice Debora Billi che se vogliamo dimostrare che Assange è un pataccaro, costruito in precisi ambienti politici e da essi finanziato per perseguire scopi che hanno più a che fare con la disinformazione e l’intimidazione internazionale che non con la volontà di rendere note all’opinione pubblica informazioni di una qualche pregnanza, allora dobbiamo essere “bravi” come lui: costruirci il nostro sito megagalattico, procurarci tanti bei documenti che dimostrino ciò che vogliamo sostenere, sfidare i servizi segreti degli imperi, racimolare da qualche parte i quattrini necessari per mettere in piedi tutto questo apparato e vivere felici.

Sorvoliamo sul fatto che, se anche riuscissimo a fare tutto questo, i nostri sforzi servirebbero a poco senza una massiccia copertura da parte della stampa, che viene concessa solo quando il potere che la controlla ha interesse a concederla (in assenza di un appoggio mediatico di rilevanza globale, tutti i nostri sforzi ci porterebbero solo a fare la fine di John Kleeves).

Il punto è che i documenti già ce li abbiamo: sono quelli pubblicati da Wikileaks, i quali, se interpretati a dovere e osservati nella giusta ottica, possono darci informazioni preziose sui mandanti di Assange e sulle finalità geostrategiche che essi perseguono.

Debora Billi dimentica ciò che il giornalismo stesso ha da lungo tempo dimenticato: e cioè che i fatti e i documenti, senza un’interpretazione che li doti di un significato, non sono nulla, non servono a nulla.

La nostra conoscenza non è costruita sui fatti nudi e crudi, ma sull’interpretazione soggettiva che siamo in grado di derivarne, collegandoli con altri fatti (che saremo noi a selezionare tra i miliardi di fatti disponibili per la connessione), con conoscenze acquisite e perfino con la nostra peculiare visione del mondo.

Senza questo momento fondamentale, in cui i fatti si congiungono alle opinioni attraverso la creazione di un legame logico, i dati oggettivi non sono informazione, ma il suo esatto contrario: una materia sterile che non aggiunge nulla alla nostra conoscenza (che deriva da un processo di elaborazione interna) e che ci viene propinata in ampie quantità al solo scopo di farci credere che la conoscenza sia un abbeveratoio esterno a cui recarci di tanto in tanto per lenire la nostre sete di pecore arse dal sole.

Per questo diffido, al massimo livello, di Assange e di tutti coloro che ci propinano “fatti” e “documenti” in quantità così imponenti da non consentirne, né organizzarne, né incoraggiarne, nè prevederne la cernita o l’elaborazione.

Costoro non ci stanno fornendo cibo, ci stanno solo intimando che cosa dobbiamo abituarci a considerare cibo. Solitamente si tratta di pietre, lanciate sulle nostre teste con i migliori auguri di buon appetito.


Julian Assange: Tarpley chiude il cerchio?
da Luogocomune - 8 Dicembre 2010

Forse Webster Tarpley ha scovato l’”anello mancante” che confermerebbe i numerosi sospetti nati intorno alla figura ambigua di Julian Assange. Vero eroe della libera informazione, o gatekeeper governativo di massimo livello?

Noi già, di fronte ad un personaggio che nega categoricamente il complotto dell’11 settembre, certe conclusioni le avevamo tratte. Ma Tarpley è andato oltre, scovando una curiosa “connection” fra il titolare di Wikileaks e Cass Sunstein, ovvero l’uomo di Obama che predica proprio la cosiddetta “infiltrazione cognitiva” dei gruppi “complottisti” tramite Internet. Che dite, sarà soltanto l'ennesima casualità?

Presentiamo una breve notizia dell’ANSA di ieri, che riporta alcune opinioni di Tarpley su Assange, seguita da un commento dello stesso Webster Tarpley, scritto in italiano. [NOTA AGGIUNTIVA: Al momento l'articolo dell'ANSA non è reperibile sul loro sito].

WIKILEAKS: TARPLEY, E' STRIP-TEASE CIA PER COLPIRE NEMICI. A PARTIRE DA BERLUSCONI-PUTIN. LO DICE GIORNALISTA INVESTIGATIVO (ANSA) - ROMA, 7 DIC

Le rivelazioni di Wikileaks? "Sono uno strip-tease della Cia per colpire i suoi nemici, a cominciare da Berlusconi-Putin": lo sostiene il celebre giornalista investigativo Usa, Webster Tarpley all'ANSA.

Il rapporto Roma-Mosca "vuol dire fra le altre cose l'oleodotto Southstream, oggetto di odio feroce da parte della CIA. Nessun fantoccio di Washington viene criticato", ha aggiunto.


I documenti pubblicati rivelano "cose già note da un pezzo, come il desiderio dei Sauditi di colpire l'Iran. Assange dice bene della CIA mostrando di dire male", aggiunge Tarpley, convinto che "il prossimo passo sarà un ripulisti generale dell'internet, chiudendo tanti siti critici, utilizzando come pretesto dei segreti spifferati da Assange".

Il giornalista non è l'unico ad accusare Assange di fare gli interessi di gruppi occulti: nella schiera dei critici c'é anche John Young, co-fondatore di Wikileaks e ora con un proprio sito indipendente. Webster Tarpley è noto per il suo libro "George Bush: una biografia autorizzata", e per i suoi articoli sulle stragi dell'11 settembre. L'americano è poi l'autore dello studio "Chi ha ucciso Aldo Moro?" commissionatogli nel 1978 da un esponente del governo italiano. (ANSA).


In proposito, Tarpley aggiunge una

NOTA PER ULTERIORI RICERCHE: Per capire Assange, bisogna rifarsi a Paolo Sarpi, il maestro veneziano dei servizi segreti, il quale ha teorizzato il limited hangout o self-exposure praticato dalla CIA gia' quattro secoli prima di Assange nel suo parere "Del confutar scritture malediche," scritto per il Senato il 29 gennaio 1620. (Opere, edizione Cozzi, Milano: Ricciardi, 1969)

Bisogna poi vedere le radici di Assange come individuo, che sono da cercare nel culto menticida di Anne Hamilton-Byrne nei pressi di Melbourne, nell'Australia, negli anni settanta, dove i bambini erano costretti ad ingerire compresse di LSD e altri psicofarmaci potentissimi, fra cui Anatensol, Diazepam, Haloperidol, Largactil, Mogadon, Serepax, Stelazine, Tegretol e Tofranil. (LINK, LINK).

Questi sono gli stupefacenti che avrebbero plasmato lo strano personaggio che vediamo oggi - fino ai capelli biondi ossigenati che erano un aspetto del trattamento tipico delle piccole vittime della Hamilton-Byrne. Si tratta insomma di un ambiente che puzza di MK-Ultra, famigerato programma della CIA per fabbricare zombies.

Dobbiamo notare anche il pensatore totalitario Cass Sunstein, attuale funzionario alla Casa Bianca e gran consigliere di Obama, il quale ha propugnato la "infiltrazione cognitiva" del movimento per la verita' sui fatti dell'11 settembre 2001 attraverso la creazione di appositi gruppi per spargere disinformazione, confusione, a calunnie. Non e' evidente che Wikileaks rappresenta la realizzazione di questa strategia?

Notiamo in questo contesto che e' stato proprio Cass Sunstein a menzionare Wikileaks per la prima volta (ch'io sappia) nella grande stampa americana, scrivendo sul Washington Post del 24 febbraio 2007: "Wikileaks.org, founded by dissidents in China and other nations, plans to post secret government documents and to protect them from censorship with coded software." [Trad: “Wikileaks.org, fondato da dissidenti in Cina e in altre nazioni, intende pubblicare documenti governativi segreti proteggendoli dalla censura con software criptato”].

Era il primo successo pubblicitario per il gruppo di Assange, e veniva grazie a Cass Sunstein personalmente.

Ad Assange, si sa, la verita' dell'11 settembre "da fastidio" -- benche si tratti della maggiore operazione coperta della CIA dell'epoca contemporanea. Bell’esempio di lotta per la verita'!!

Webster Tarpley


I simpatici consiglieri di Obama
di Massimo Mazzucco - Luogocomune - 15 Novembre 2010

Chi l’avrebbe mai detto che un personaggio come Barack Obama – il “liberal” per eccellenza del partito democratico, il teorico del “movimento dal basso”, l’amico di presunti “rivoluzionari”, il propugnatore della trasparenza governativa – una volta eletto presidente avrebbe scelto fra i suoi più stretti collaboratori un professore di legge che suggerisce apertamente di infiltrare i vari gruppi di “complottisti” esistenti al mondo (in rete e non), con l’intento di indebolire le loro tesi dall’interno, e di togliere loro credibilità di fronte al resto dei cittadini, che rischiamo altrimenti di perdere fiducia nelle istituzioni?

Ebbena la cosa è avvenuta, esattamente come l’abbiamo descritta, negli ultimi due anni. Il personaggio in questione si chiama Cass Sunstein, ed il documento a cui ci riferiamo si intitola “Conspiracy Theories” (“Le teorie del complotto”), la cui prima stesura risale all’agosto del 2008.

La data è perlomeno curiosa, visto che corrisponde proprio al momento in cui apparve chiaro che Obama avrebbe vinto le elezioni, scatenando intorno a sè la classica “corsa” per saltare sul carro del vincitore, ovvero la frenetica kermesse, fra i personaggi più disparati, per guadagnarsi la simpatia del futuro presidente, e quindi un posto al sole nella nuova amministrazione.

Sarà sempre soltanto un caso, ma l’ex-professore di Harward è diventato oggi uno dei consiglieri più fidati di Obama, e dirige il potente ufficio dell’OIRA (“Office of Information and Regulatory Affairs”), che si occupa di valutare i potenziali effetti delle nuove legislazioni sul futuro della nazione.

Sembra un semplice esercizio per intellettuali, ma in realtà l’OIRA è diventato un passaggio obbligato per vedere qualunque disegno di legge diventare realtà. Se per caso una nuova legge non piace a Sunstein, il presidente rischia di non firmarla.

Vale quindi la pena di studiare più a fondo il documento di Sunstein sul “complottismo”, ...

... per capire meglio quale tipo di mentalità gli abbia permesso di guadagnarsi i preziosi favori del presidente Obama.

Traduciamo alcuni segmenti del documento, iniziando dall'abstract, ovvero la sintesi che compare sulla prima pagina dell'originale.

Molti milioni di persone sostengono le teorie del complotto. Esse credono che certi personaggi potenti si siano accordati per nascondere la verità su qualche importante attività o su qualche evento tragico.

Un esempio recente è la credenza molto diffusa in alcune parti del mondo, che gli attentati dell’11 settembre non siano stati perpetrati da Al-Queda, ma da Israele o dagli Stati Uniti. Coloro che supportano queste teorie del complotto possono creare dei seri rischi, incluso il rischio di violenza, e l’esistenza di queste teorie crea un problema significativo per la politica e per la legge.

La prima difficoltà sta nel comprendere il meccanismo attraverso il quale le teorie del complotto si diffondono. La seconda sta nel cercare di capire come queste teorie possano essere rese innocue. Queste teorie normalmente si diffondono come risultato di una errata conoscenza, unitamente ad influenze di tipo informativo o basate sull’autorevolezza.

Un aspetto caratteristico delle teorie del complotto è la loro auto-referenzialità. Non è facile convincere un complottista a rinnegare le sue teorie, mentre egli potrebbe addirittura interpretare il tuo tentativo come una prova ulteriore del complotto stesso.

Poiché i sostenitori delle teorie del complotto sono normalmente affetti da una epistemologia distorta, secondo la quale è ragionevole sostenere tali teorie, la migliore risposta consiste nella infiltrazione cognitiva
[“cognitive infiltration”] dei gruppi estremisti.

Diverse scelte operative, come ad esempio domandarsi se sia meglio per un governo controbattere alle teorie del complotto piuttosto che ignorarle, vengono analizzate sotto questa luce.


Più avanti nel documento leggiamo:

Noi sosteniamo che normalmente le teorie del complotto non nascono da forme di irrazionalità nè da disturbi mentali di alcun tipo, ma derivano da una epistemologia distorta, rappresentata da un numero altamente limitato di fonti di informazione di una certa rilevanza. Coloro che sostengono le teorie del complotto lo fanno in seguito a ciò che sentono e leggono. In questo senso l’accettazione di queste teorie non è irrazionale dal punto di vista di coloro che vi aderiscono.

[...]

Le teorie del complotto risultano particolarmente difficili da essere smontate o rimosse. Hanno una particolare qualità di auto-referenzialità che le rende altamente immuni alla confutazione. Suggeriamo quindi diversi approcci operativi che possano indebolire il flusso delle teorie del complotto, in parte introducendo diverse possibili angolazioni e diverse premesse fattuali nel cuore dei gruppi che elaborano queste teorie.

In questo lavoro sosteniamo soprattutto il grande potenziale dell’infiltrazione cognitiva dei gruppi estremisti, intesa ad introdurre una diversità di informazione in questi gruppi, e di dimostrare l’insostenibilità delle teorie del complotto.

[...]

Per quanto non esista una precisa definizione di teoria del complotto, possiamo attenerci alla seguente descrizione: il tentativo di spiegare qualche evento o pratica mettendoli in relazione a macchinazioni di gente potente, che nel frattempo riesce anche a nascondere il proprio ruolo.

[...]

Consideriamo ad esempio l’idea che la CIA sia stata responsabile dell’assassinio del presidente Kennedy; che i medici abbiano intenzionalmente prodotto il virus dell’AIDS; che il disastro del volo TWA 800 del 1996 sia stato causato da un missile militare americano; che la teoria del riscaldamento globale sia intenzionalmente falsa; che la Commissione Trilaterale sia responsabile di importanti movimenti nell’economia internazionale; che Martin Luther King sia stato ucciso da uomini dell’FBI; che l’incidente aereo nel quale è morto il senatore democratico Wellstone sia stato pianificato dai politici repubblicani; che i viaggi sulla Luna siano stati una messinscena e non siano mai avvenuti.

[...]

Ovviamente alcune teorie del complotto, secondo la nostra definizione, si sono rivelate vere. La stanza dell’Hotel Watergate usata dal Comitato Nazionale Democratico era stata effettivamente messa sotto sorveglianza dei leader repubblicani, per conto della Casa Bianca. E’ vero che negli anni ’50 la CIA ha somministrato LSD e droghe simili, nell’ambito del progetto MK-Ultra, nel tentativo di investigare le possibilità di “controllo mentale”.

L’ “Operazione Northwoods”, un progetto del Pentagono per simulare azioni di terrorismo e poi dare la colpa a Cuba, è stato effettivamente proposto ai più alti livelli di comando (per quanto il piano non sia poi mai stato realizzato). Nel 1947 alieni dallo spazio sono di fatto atterrati a Roswell, New Mexico, ed il governo ha poi insabbiato tutto. (O forse no.)

[...]

La nostra intenzione è di focalizzarci sulle false teorie del complotto, non su quelle vere. Lo scopo ultimo è quello di capire come dei pubblici ufficiali possano smontare queste teorie, mentre come regola generale quelle vere non debbono essere smontate.

[...]

Fra le false teorie del complotto, ci limitiamo a nostra volta ad analizzare quelle potenzialmente pericolose. Non tutte le false teorie del complotto sono pericolose: consideriamo ad esempio la falsa teoria del complotto a cui credono molti giovani membri della nostra società, secondo la quale un gruppo segreto di elfi, che lavora in una località remota, sotto la guida di un misterioso “Babbo Natale”, produca e distribuisca regali la sera di Natale. Questa teoria è falsa, ma viene diffusa attraverso il complotto dei potenti genitori, i quali a loro volta nascondono il loro vero ruolo nella faccenda.

[...]

Karl Popper ha notoriamente sostenuto che le teorie del complotto sottovalutano le conseguenze non intenzionali delle azioni politiche e sociali, e presumono invece che tutte le conseguenze debbano essere state volute da qualcuno.

L’idea di fondo è che molte conseguenze di tipo sociale, compresi i grandi movimenti dell’economia, avvengano come risultato di azioni ed omissioni da parte di molte persone, nessuna delle quali intendeva causare tali conseguenze.

La grande depressione degli anni 30 non è stata concepita intenzionalmente da nessuno: aumenti nel tasso di disoccupazione o nel tasso di inflazione, come il prezzo della benzina, possono riflettere la pressione del mercato piuttosto che azioni intenzionali.

Nonostante questo, vi è una diffusa tendenza tra gli esseri umani a pensare che gli effetti siano causati da atti intenzionali, in particolar modo da coloro che ne traggono un beneficio (il famoso “cui prodest?”). Per questo motivo le teorie del complotto risultano particolarmente attraenti, anche se ingiustificate.

[...]

Popper identifica un aspetto molto importante di alcune teorie del complotto, che sarebbero attraenti poiché attribuiscono ad una azione intenzionale eventi altrimenti inspiegabili, uniti all’incapacità di accettare che sostanziali conseguenze avverse possano derivare da un meccanismo invisibile, come ad esempio le forze del mercato o le spinte del progresso.

[...]

Ricordiamo che una caratteristica ricorrente delle teorie del complotto è che attribuiscono poteri immensi agli agenti del complotto. Questo attributo è normalmente implausibile, e rende inoltre la teoria particolarmente vulnerabile.

Pensate allo sforzo che deve essere fatto per nascondere e coprire il ruolo del governo nel mettere in atto un attacco terroristico sul proprio territorio, oppure organizzare l’omicidio di un nemico politico. In una società controllata, certi segreti non sono difficili da mantenere, e la sfiducia nelle versioni ufficiali è ampiamente giustificata in queste società.

Quando invece c’è una libera stampa e quando il sistema di controlli incrociati funziona, il governo non può mantenere a lungo nascoste le proprie cospirazioni. Questo significa che sia logicamente impossibile nelle società libere che gruppi di potenti possano mantenere segreti nascosti per un lungo periodo, soprattutto se questi segreti riguardano eventi importanti con sostanziali conseguenze sociali.


Il documento prosegue per diverse pagine, ma ormai ne abbiamo letto a sufficienza da capire di cosa si tratti, e su quale tipo di “logica” sia basato.

Sembra infatti di leggere il prontuario del debunker da seconda serata - tipo Jas Gawronsky, tanto per capirci - il quale va in TV e si domanda: “come sarebbe possibile organizzare un complotto del genere, che richiede la partecipazione di migliaia di persone, senza pensare che prima o poi qualcuno parli?” (A parte che resta ancora da capire perchè mai uno debba partecipare ad un complotto di quel genere e poi rivelarlo pubblicamente. Cos’è, la nuova sindrome da “desiderio di sedia elettrica”?).

Perchè invece dell'argomentazione sulla "libera stampa" vogliamo davvero parlare?

Anche la spiegazione del “trovare una motivazione causa-effetto” ad eventi che sarebbero invece “meccanismi naturali”, per quanto nobilitata dalla citazione di Popper, resta decisamente patetica. Soprattutto in bocca a Popper, se davvero è stata espressa in quei termini.

Pensate: secondo Sunstein, la crisi del ’29 non sarebbe stata causata intenzionalmente, ma sarebbe risultata da “pressioni del mercato” (il quale naturalmente agisce e pensa per conto suo, e non è il risultato di scelte intenzionali di chi vi opera)!

Ma c’è soprattutto qualcosa di metafisico, che aleggia per lungo tempo fra le pagine di Sunstein prima di lasciarsi identificare, ed è la assoluta certezza con cui l’autore presume di poter distinguere a priori fra una “falsa” teoria del complotto ed una vera.

Naturalmente – non trattandosi di un imbecille - si deduce che lui parli dal punto di vista del governo, il quale saprebbe già in partenza se un complotto c’è stato oppure no.

Ma è proprio qui che la trappola logica di Sunstein si richiude su sè stessa: se ad esempio il governo americano sapesse che davvero il 9/11 è stato perpetrato dai servizi occidentali, che cosa deve fare? Lasciar prosperare la teoria, poichè “vera”, e dedicarsi invece a smontare quella di Babbo Natale?

Tornando a parlare seriamente, se davvero si volesse difendere e rafforzare nel cittadino la credibilità delle istituzioni di fronte alle cosiddette “teorie del complotto”, un modo ci sarebbe. Basterebbe:

a) Svolgere dei veri processi a porte aperte, sotto gli occhi di tutti, invece di istituire fantomatiche commissioni telecomandate che operano dietro le quinte.

b) Che in questi processi si tenga conto di tutte le istanze e le obiezioni dei cittadini, e non solo di alcune, trascurandone e dimenticandone palesemente altre.

c) Che i giudici non abbiano nessun timore di incriminare eventuali colpevoli all’interno delle istituzioni stesse, invece di coprirne sistematicamente le azioni criminali con le loro “distrazioni”.

Questo sì che rafforzerebbe le istituzioni, aumenterebbe la loro credibilità di fronte alla popolazione, e cementerebbe in modo indistruttibile la fiducia del cittadino nei loro confronti.

Ad una soluzione del genere però non pensa mai nessuno. Chissà perchè?


Il documento originale di Sunstein: “Conspiracy Theories” .

L’articolo di Salon che ha scoperto e denunciato il documento di Sunstein, nel gennaio 2010.

Il sito dell’ OIRA.