sabato 4 dicembre 2010

Perchè WikiLeaks?

Torniamo ancora sulle "rivelazioni" di WikiLeaks ma soprattutto sulla natura della sua esistenza...


SmokyLeaks
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 4 Dicembre 2010

Si fa chiamare H@rlock, come il 'pirata spaziale' del cartone animato giapponese. Anche lui è una specie di pirata, ma del cyberspazio. E' un hacker, che ha accettato di parlare a PeaceReporter del fenomeno WikiLeaks

Come viene vissuto e interpretato nel vostro ambiente lo scalpore mediatico mondiale suscitato dai 'leak' di Julian Assange?
Premetto che non parlo a nome di qualsivoglia movimento hacker: esprimo solo il mio punto di vista personale. Detto questo, è evidente che gli ultimi documenti diffusi da WikiLeaks non rivelano nulla di nuovo: non fanno altro che confermare verità già note o del tutto scontate.

Nessuno scoop, nessun mistero svelato: solo una valanga di gossip internazionale, perfetta per distrarre l'opinione pubblica da questioni ben più importanti, come la crisi strutturale dell'attuale sistema economico: meglio che la gente pensi ad altro! E tutto fumo negli occhi.

Se quelle di WikiLeaks fossero informazioni realmente scomode e imbarazzanti per il potere, i mass media avrebbero reagito come hanno sempre fatto in questi casi: le avrebbero ignorate, o quantomeno minimizzate. Invece gli hanno dato il massimo rilievo: prima hanno creato l'attesa, la suspense, ora non parlano d'altro. Hanno fatto di Julian Assange, fino a poco tempo fa sconosciuto ai più, un'icona planetaria utile al sistema di potere.

C'è chi sostiene che se Assange rappresentasse realmente una minaccia al sistema, sarebbe già morto o in galera.
Al sistema, Assange serve vivo e latitante, come Bin Laden: se lo facessero fuori o lo arrestassero, perderebbe la sua funzione e diventerebbe un martire scomodo. Mi spiego. L'operazione WikiLeaks, oltre ad essere un utile diversivo di massa, è anche un ottimo pretesto per chi vuole limitare la libertà della rete e la libertà di informazione in generale.

Se si paragona questa fuga di notizie a un 'attacco terroristico', a un nuovo '11 settembre informatico', se si trasforma Assange nel ricercato globale numero uno alla stregua di Osama, è per poter giustificare una guerra globale alla libertà della rete. Assange non rappresenta una minaccia al sistema perché ne fa parte, o per lo meno è stato così ingenuo da farsi manipolare da esso.

Da chi? Se Assange è un burattino, chi sono i burattinai? Chi c'è dietro WikiLeaks? Chi la finanzia?
Una cosa è certa: WikiLeaks non vive di donazioni. Fino a poco tempo fa non avevano fondi sufficienti, erano sull'orlo della chiusura. Poi, improvvisamente, i soldi sono arrivati, e così tanti da consentire operazioni come quelle che poi abbiamo visto.

Daniel Schmitt, il numero due di WikiLeaks, è stato cacciato da Assange proprio perché voleva capire da dove fossero piovuti tutti quei soldi, e come mai così all'improvviso: scrupoli che l'australiano non ha gradito. WikiLeaks, nato come un progetto indipendente, povero e dai nobili intenti, col tempo si è guadagnato credibilità nel mondo della 'libera informazione', diventando una risorsa molto preziosa, un 'asset' ideale per chi volesse compiere un certo tipo di operazioni: bastava sostenerlo e manovrarlo a dovere.

A quel punto sono arrivati sia i finanziamenti che le informazioni: non penserete mica che i cablogrammi arrivino dagli hacker! Quella è tutta roba passata da persone interne all'establishment: e non parlo del soldatino Bradley Manning, ma di organizzazioni ben più potenti.

Quali? Servizi segreti? Lobby finanziarie?
C'è chi tira in ballo la Cia, osservando che finora WikiLeaks non ha mai diffuso documenti provenienti da Langley. C'è chi parla di George Soros, il magnate americano che finanzia tutto e il contrario di tutto. C'è chi parla della potente organizzazione cyber-criminale russa Rbn (Russian Business Network, ndr). Difficile dire chi abbia ragione: forse tutti.



Il Mossad dietro Wikileaks? "Le notizie sono pro Israele"
di Eric Salerno* - il messaggero.it - 3 Dicembre 2010

A chi fa gioco il gioco di Wikileaks? Finora poco più di seicento di 251.287 messaggi diplomatici americani “rubati” sono apparsi in rete ma c’è già chi parla di complotto.

Due sono le direttrici indicate: Julian Assange e i suoi collaboratori si vogliono arricchire oppure stanno lavorando per favorire la politica di un governo. Le teorie complottiste abbondano sul web. Nel mirino, quasi sempre, Stati Uniti e Israele. E anche questa volta, in prima linea tra gli accusati, i due Paesi.

In un’intervista alla rivista americana Time il fondatore di Wilkileaks ha fatto le lodi di Netanyahu che, ha detto, è convinto che le rivelazioni aiuteranno la ricerca della pace in Medio Oriente. «Il premier israeliano sostiene che i leader devono parlare in pubblico come parlano nel privato».

I documenti classificati finora pubblicati giocano sicuramente a favore di Tel Aviv. Sia quando i diplomatici americani raccontano come molti leader arabi sono preoccupati per la politica di Teheran, sia quando spiegano che nonostante lo stato formale di belligeranza tra arabi e Israele, esistono ottimi rapporti tra molti paesi del Golfo e il “nemico”.

Wikileaks è nato nel dicembre 2006 e sostiene di «essere stato fondato da dissidenti cinesi, giornalisti, matematici ed esperti di informatica dagli Stati Uniti, Taiwan, Europa, Australia e Sud Africa».

E anche se oggi c’è chi sospetta un ruolo dei cinesi nella raccolta e disseminazione dei documenti, molti cinesi vicini al regime sono convinti che Assange e i suoi siano in qualche modo collegati al Mossad, il servizio segreto di Tel Aviv.

Su un sito britannico qualcuno ha trovato “intrigante” una frase di un articolo del giornalista israeliano Yossi Melman, pubblicato sul quotidiano The Independent. Melman mette insieme tre eventi «apparentemente non collegati tra loro».

Il primo, la pubblicazione dei documenti molti dei quali riguardano le preoccupazioni del mondo con il programma nucleare iraniano; il secondo, l’assassinio misterioso a Teheran del più importante scienziato nucleare iraniano e il ferimento di un altro; e infine la nomina di Tamir Pardo come nuovo capo del Mossad.

«Ma c’è un legame tra di loro. Sono parte dello sforzo interminabile dell’Intelligence israeliana, insieme con le loro controparti in Occidente compreso l’M16 britannico e la Cia americana, per sabotare, ritardare e se possibile per impedire all’Iran di raggiungere il suo scopo di ottenere la sua prima bomba nucleare». Melman non ha voluto chiarire oltre il suo pensiero.

Accuse al Mossad, dopo quelle scontate di Ahmadinejad, sono arrivate ieri anche dalla Turchia, vecchio alleato strategico di Israele ora su posizioni nettamente contrarie alla politica del governo Netanyahu.

Huseyin Celik, numero due del partito del premier Erdogan ha indicato che «Israele è soddisfatto» per le rivelazioni. «Ancora prima che i documenti fossero diffusi, già dicevano che “Israele non avrà problemi”». I documenti riservati finora pubblicati, sono imbarazzanti per Erdogan.

Fin qui, le valutazioni di chi cerca motivazioni politiche per “il complotto”. Per altri, il vero obiettivo di Assange e dei suoi collaboratori è di favorire il grande business dell’high-tech, dunque quella portante dell’economia israeliana.

Appena venuta fuori la notizia della “fuga”, il governo americano e quelli di molti altri Paesi del mondo si sono messi alla ricerca di sistemi di difesa elettronica per garantire la sicurezza dei loro siti.

«E’ un po’ com’è accaduto con la sicurezza negli aeroporti, nei porti e in altre strutture pubbliche dopo i vari allarmi terrorismo», spiega un esperto del settore e ricordando che anche in questo le aziende israeliane sono le più quotate.


*Eric Salerno è autore di Mossad base Italia. Le azioni, gli intrighi, le verità nascoste


Le rivelazioni di Wikileaks nello scenario mediorientale
di Simone Santini - www.clarissa.it - 30 Novembre 2010

Dunque la diplomazia occidentale è un colabrodo che perde acqua da tutte le parti. Se saranno necessarie settimane per avere un panorama completo dei 250mila file desecretati dal sito pirata Wikileaks, le anteprime opportunamente filtrate da una pattuglia di quotidiani internazionali, New York Times, Guardian, Le Monde, El Paìs, Der Spiegel, in collaborazione con lo stesso sito ("Abbiamo un accordo. Wikileaks non può mettere online nulla senza la nostra approvazione" ha spiegato Sylvie Kauffmann di Le Monde), sono servite ad orientare il pubblico verso le indiscrezioni più succose, o meglio, verso quelle su cui esisteva l'intenzione di concentrare i riflettori.

Tra le voci più clamorose che escono dall'ombra delle segrete stanze diplomatiche, quelle relative lo scenario mediorientale appaiono come le più suscettibili di influenzare la politica odierna e dell'immediato prossimo futuro.

Il re saudita Abdallah esorta gli americani a "tagliare la testa del serpente", ad attaccare cioè l'Iran prima che possa diventare una potenza nucleare. Sulla stessa linea gli Emirati Arabi, Giordania, Egitto, Yemen, per cui l'Iran è, di volta in volta, "il diavolo" o una "minaccia esistenziale".

Non si tratta di novità clamorose. Negli ultimi tempi la tensione tra Ryad e Teheran aveva toccato dei picchi, con i clan sauditi (sunniti wahabiti) sempre più allarmati dall'influenza iraniana presso le turbolenti minoranze sciite della penisola araba e per il presunto sostegno alla guerriglia Houti dello Yemen.

Ben altre indiscrezioni erano trapelate negli scorsi mesi: sottomarini nucleari israeliani che attraversano il canale di Suez scortati dalla marina militare egiziana per andarsi a posizionare nel Golfo Persico; l'Arabia saudita pronta ad aprire un corridoio aereo ai bombardieri di Tel Aviv per consentire loro di giungere in tutta tranquillità al cuore dell'Iran. Le smentite non erano state sufficienti a rasserenare il clima nella regione.

Le attuali indiscrezioni, a confronto, sembrano più che altro voci di disturbo. E come tali sono state interpretate in una conferenza stampa dal presidente iraniano Ahmadinejad, che ha accusato apertamente gli americani di aver ordito un complotto: "Si tratta di pezzi di carta che non hanno alcun valore legale e nessuno perderebbe tempo a dargli una occhiata. Le nazioni della regione sono per l'Iran come amici e fratelli e questi atti tesi all'inganno non avranno alcun effetto sulle nostre relazioni".

Una coincidenza è completamente sfuggita alla stampa italiana. Proprio mentre venivano divulgate le rivelazioni di Wikileaks, il premier libanese Saad Hariri si trovava in visita ufficiale in Iran per una missione delicatissima. Il Libano è stato l'epicentro della diplomazia mediorientale degli ultimi tempi.

Il monarca saudita Abdallah vi si è recato la scorsa estate per una visita ufficiale che mancava da decenni; il presidente iraniano Ahmadinejad ha avuto il suo bagno di folla a Beirut e nel sud sciita del paese a metà ottobre. E' in Libano, infatti, che potrebbe scoppiare a breve il bubbone capace di travolgere tutta la regione.

Da mesi ormai negli ambienti diplomatici circola la voce che il Tribunale speciale dell'Onu per il Libano (TSL) guidato dal giurista italiano Antonio Cassese, sarebbe in procinto di incriminare i vertici di Hezbollah per l'omicidio del leader sunnita libanese Rafic Hariri, padre dell'attuale premier Saad, avvenuto a Beirut nel 2005 con uno spettacolare attentato.

Questo porterebbe senza dubbio ad una situazione drammatica nel Paese dei Cedri. Da una parte la componente filo-occidentale di Saad Hariri, che ha come sponsor più immediato proprio l'Arabia Saudita; sull'altro fronte il Partito di Dio sciita libanese (Hezbollah) e i suoi profondi legami con l'Iran.

Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha già fatto chiaramente intendere che il suo movimento non accetterà mai questa manovra attribuita a Stati Uniti ed Israele per mettere fuori gioco gli sciiti libanesi. Sembra che Hariri si trovasse in Iran proprio per scongiurare questa ipotesi da guerra civile.

Infatti, anche se l'incriminazione dovesse avvenire, solo una dichiarazione dello stesso premier Hariri che sconfessasse le conclusioni del Tribunale Internazionale, potrebbe impedire lo scontro frontale tra le due componenti maggiori che formano l'attuale governo di unità nazionale.

La reazione di Ahmadinejad alle veline di Wikileaks, di cui si è dato conto, è tutta tesa ad ammorbidire i toni. Resta da verificare quali saranno le reazioni della controparte. In questo senso è possibile che la tempesta diplomatica sia orchestrata al fine di influenzare l'Arabia Saudita e le componenti sunnite libanesi sulle decisioni da prendere.

Esiste un unico paese mediorientale, non islamico, che avrebbe tutto da guadagnare nel creare un conflitto aperto tra sunniti e sciiti in Libano, se non addirittura direttamente tra Arabia Saudita e Iran.

Non è forse un caso che il quotidiano israeliano Yedioth Ahronot, in maniera quasi esultante, abbia commentato: "La minaccia iraniana non è affatto una paranoia tutta israeliana ma un incubo condiviso da tutti i leader del mondo, da Ryad a Mosca. Se Wikileaks non esistesse, avremmo dovuto inventarlo".



Breve nota sulle rivelazioni di “Wikileaks”
di Daniele Scalea - www.eurasia-rivista.org - 02 Dicembre 2010

Le recenti rivelazioni di “Wikileaks”, a detta del ministro Frattini, rappresenterebbero «l’11 settembre» della diplomazia, la manovra di chi vorrebbe «distruggere il mondo» colpendo il fondamento della diplomazia, ossia la reciproca fiducia tra gl’interlocutori.

Tale valutazione è probabilmente esagerata. È nozione comune che la diplomazia sia l’arte della dissimulazione, ed includa la menzogna e l’inganno tra le sue tecniche. E gran parte delle rivelazioni di “Wikileaks” non sono altro che la conferma di fatti già risaputi da tutti gli addetti ai lavori, e da quella parte più informata e consapevole dell’opinione pubblica.

Ciò non toglie che sottrarre centinaia di migliaia di documenti riservati ad una grande potenza non sia cosa da poco. Tanto che riesce difficile credere che davvero “Wikileaks” possa essere riuscita ad impossessarsi di tali documenti, a pubblicarli, a farne parlare il mondo intero, eppure ad essere ancora disponibile on line ed il suo portavoce Julian Assange ancora libero, vivo e vegeto – è difficile credere a tutto questo, senza assumere che dietro a “Wikileaks” si nasconda un’operazione di intelligence.

Probabilmente proveniente dagli USA stessi, ossia da una parte del suo establishment, che ha messo in imbarazzo l’amministrazione Obama – ma più che altro Hillary Clinton, ch’è sì una ministra di Obama ma anche la sua principale rivale in seno al Partito Democratico – ma fatto in modo che Washington, tra tutte le capitali coinvolte dalle rivelazioni, fosse quella che ne esce meno peggio. Infatti, un vantaggio di essere la potenza egemone è quello che tutti gli altri paesi sono ansiosi di piacerti.

Se la fuga di notizie avesse riguardato, ad esempio, l’Italia, ciò avrebbe rovinato i rapporti di Roma col mondo intero. Avendo riguardato gli USA, ha prima di tutto rovinato l’immagine di quegli statisti di cui si parla male nelle rivelazioni.

Rivelazioni che, per l’appunto, sembrerebbero concernere prima di tutto il giudizio della diplomazia statunitense su vari statisti mondiali, e quello di paesi terzi sui propri vicini. Vediamo qualche esempio di come le rivelazioni di “Wikileaks” mettano in imbarazzo gli altri paesi più degli USA.

Di Ahmadinejad si ripete l’immancabile refrain del “nuovo Hitler” e si asserisce che avrebbe armi in grado di colpire Russia e Europa. In più, si conferma la notizia, già trapelata mesi fa, che l’Arabia Saudita ed altri paesi arabi avrebbero chiesto agli USA di attaccare l’Iràn.

Ahmadinejad dovrà giustificare in patria l’isolamento regionale del paese. La situazione è così scottante che si è subito prodigato per tacciare di falsità i documenti statunitensi.

Erdoğan è dipinto come un fanatico islamista pieno di conti in Svizzera. Nuovi succulenti argomenti per l’opposizione laicista in Turchia.

Chávez e la Fernandez-Kirchner sono descritti come dei pazzi. Anche in questo caso, le opposizioni interne ringraziano.

Della Cina si dice che condurrebbe azioni di pirateria informatica – un messaggio rivolto soprattutto all’Europa, dove già si sospettava Pechino in tal senso – e che mediterebbe di scaricare l’alleato nordcoreano. Facile immaginare che i prossimi colloqui tra Pechino e Pyongyang saranno meno cordiali del solito.

Dei giudizi su Berlusconi sarà superfluo ragguagliare i lettori. Ci permettiamo però d’evidenziare un paio di cose. Berlusconi ha indispettito gli USA per i suoi rapporti troppo stretti con Putin: ciò era affermato sulle pagine di “Eurasia” – e non solo sulle nostre, a dire la verità – già da parecchio tempo.

A parte il nodo Berlusconi-Putin, l’Italia è tirata in ballo da un documento secondo cui Frattini avrebbe criticato pesantemente l’atteggiamento della Turchia. Questo è molto più grave, perché potrebbe incrinare i rapporti con Ankara. Probabilmente è stata proprio questa notizia ad innervosire a tal punto Frattini.

È comunque interessante che “Wikileaks” tiri in ballo, per il nostro paese, proprio i rapporti con Russia e Turchia, ossia i due paesi che il direttore Graziani, nel suo ultimo editoriale, indicava come i necessari punti di riferimento della politica estera dell’Italia. Ciò fa supporre che l’analisi della diplomazia statunitense confermi quella di “Eurasia”, pur da una prospettiva opposta.

E chiudiamo proprio con la Russia. A parte le scontate e per nulla originali né imbarazzanti valutazioni sul rapporto Putin-Medvedev, della Russia si afferma che sarebbe uno Stato legato a filo doppio con la mafia nazionale. Questo sì è un giudizio pesante. Ed arriva proprio a proposito d’un paese con cui Obama sta cercando di distendere i rapporti dopo le tensioni dell’era Bush.

A breve i parlamentari di Washington dovranno decidere se ratificare o meno il nuovo trattato START con la Russia, ed il fatto che i loro diplomatici considerino mafioso l’interlocutore non depone a favore dell’approvazione.


Wikileaks, Mr. Crash ed il Picco del denaro

di Pietro Cambi - http://crisis.blogosfere.it - 1 Dicembre 2010

Mi rifiuto di pensare che non ve lo siate chiesto: chi finanzia Wikileaks?

Una risposta semplice potrebbe essere che Wikileaks sia finanziata, direttamente e/o indirettamente anche o forse sopratutto da Mr. Crash, alias George Soros, tramite la sua fondazione.

Qualcuno lo fa capire e qualcuno lo sostiene apertamente. Visto che Assange ha già preannunciato che la prossima fuga di notizie riguarderà le banche, l'ipotesi non pare tanto pellegrina.

Vera o no che sia questa voce una cosa è sicura: Mr. Crash ritiene che non vi siano vie d'uscita semplici dalla mamma di tutte le Crisi.

Dato che, notoriamente, non ama molto il mondo della finanza internazionale e la classe politica da esso espresso, non ci sarebbe da stupirsi se avesse deciso di dargli un'ultima spallata, per dare inizio ad un non meglio precisato mondo nuovo.

Siccome, da un punto di vista dell'analisi della situazione, dice le cose che abbiamo detto qui mille e mille volte, non voglio tediarvi. Se siete curiosi potrete leggervi, ad esempio, questo articolo.

Niente di veramente nuovo, per noi inveterati catastrofisti.

Anzi no.

Una cosa mi ha colpito: il fatto che i cinesi, gli Indiani e le altre potenze asiatiche, che attualmente sono i principali risparmiatori mondiali, potrebbero non produrre abbastanza risparmio da tappare tutti i buchi che si stanno aprendo nei bilanci occidentali.

Facendo la conta:

Per tappare il buco di bilancio degli Stati Uniti del 2010 ci vorranno 1500 miliardi di dollari (almeno la metà da parte di investitori stranieri).

La Cina ha a disposizione circa 2000 miliardi di dollari/anno da investire all'estero e quindi gli Stati Uniti da soli se ne prendono la metà.

L'insieme dei deficit dei vari paesi Europei probabilmente se ne prenderanno altri 500-600 miliardi.

Ecco che il conto è presto fatto: Se l'Europa cercasse di rifinanziare il suo fondo di solidarietà per 600 o 800 miliardi di dollari, necessari per gli "aiuti d'emergenza" in caso di rischio default Italia o Spagna, potrebbe non riuscire a trovare sul mercato liquidità fresca sufficiente.

Dovrebbe quindi trovare queste risorse sottraendole agli altri cagnetti e cagnoni affamati, USA e Regno Unito in primis. Ringhi e morsi garantiti.

Comincerebbe una guerra a colpi di rialzo dei tassi di interesse, di notizie destabilizzanti incrociate, di declassamenti furiosi di cui abbiamo già visto qualche avvisaglia di cui hanno fatto le spese i PIGS.

Alla fine, anche in caso di tenuta del sistema, di fronte ad un inesorabile dirottamento di quote crescenti di risorse finanziarie verso il tamponamento delle falle, si assisterebbe ad un progressivo crollo delle aspettative di crescita mondiale, ad un continuo ridimensionamento dei risultati reali, al netto dell'inflazione.

Ora, se ci riflettete un attimo, per noi primitivi urbani, il denaro è una specie di "pagherò" ed il denaro che mettiamo da parte non è altro che una specie di pagherò che facciamo a noi stessi.

Il passaggio verso un mondo una società ed una economia sostenibile DEVE avvenire, necessariamente, con un drastico ridimensionamento delle promesse che non possono essere mantenute senza una crescita continua.

Il modo adottato, un complesso ed imprevedibile mix di default e svalutazioni, è certo doloroso ma ha il pregio, se ci pensate, di colpire anche la parte ricca della società, tramite il feroce ridimensionamento dei suoi risparmi, solitamente investiti sopratutto in termini monetari, al contrario di quel che succederebbe cercando di risanare i bilanci statali a suon di tagli feroci a servizi essenziali.

Alla fine, fatti i debiti conti, siamo probabilmente vicini ad un ridimensionamento del denaro, almeno in termini reali: meno sogni e "pagherò" in giro e più realtà.

Meno finanza creativa, meno schemi Ponzi e meno investimenti, in genere.

Meno liquidità, meno risparmi, meno bonds ( in termini reali).

A veder bene, il superamento del picco del denaro.

Resta da vedere se riusciremo ad evitare il collasso sociale.

Forse dovremmo lavorare su questo, non secondario, aspetto.


Qualcosa puzza in Wikileaks…
di William Engdahl - http://www.engdahl.oilgeopolitics.net - 3 Agosto 2010
Traduzione di Alessandro Lattanzio

Dal rilascio drammatico di un video militare USA di un attacco aerea statunitense contro dei giornalisti inermi in Iraq, la notoriteà di Wikileak ha guadagnato credibilità a livello mondiale come sito web audace, che rilascia al pubblico materiale sensibile fornito da informatori all’interno dei vari governi.

Il loro ultimo “colpo” coinvolge la presunta fuga di migliaia di pagine di documenti sensibili riguardanti, presumibilmente, informatori degli Stati Uniti tra i talebani in Afghanistan, e il loro legame con personale collegato all’intelligence militare pakistana.

L’evidenza suggerisce però che, lungi dall’essere una fuga genuina, sia una disinformazione calcolata a vantaggio degli Stati Uniti e forse dell’intelligence indiana e di Israele, e un cover-up del ruolo degli Stati Uniti e dell’occidentali nel traffico di droga in Afghanistan.

Dal momento della pubblicazione dei documenti afgani, qualche giorno fa, la Casa Bianca di Obama ha fornito credibilità alle fughe, sostenendo che ulteriori fuoriuscite rappresenteranno una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Eppure, i dettagli dei documenti rivelano uno scarso valore sensibile.

La figura più preminente di cui si accenna, il generale (a riposo) Hamid Gul, ex capo dei servizi segreti militari pakistani, ISI, è l’uomo che durante gli anni ’80 ha coordinato la guerriglia finanziata dalla Cia dei mujaheddin in Afghanistan, contro il regime sovietico.

Negli ultimi documenti di Wikileaks, Gul è accusato di aver regolarmente contattato Al Qaeda e i taliban, guidando personale e orchestrando attacchi suicidi contro le forze NATO in Afghanistan.

I documenti trapelati, sostengono anche che Usama bin Ladin, dato per morto tre anni fa dalla compianta candidata del Pakistan, Benazir Bhutto, alla BBC, sia ancora vivo, a tenere comodamente in vita il mito dell’amministrazione Obama della Guerra al Terrore, in un momento in cui la maggior parte degli statuntensi avevano dimenticato il motivo originale per cui l’amministrazione Bush aveva invaso l’Afghanistan, perseguire il saudita Bin Ladin per gli attacchi del 9/11.

Demonizzare il Pakistan?

Nominare oggi Gul quale collegamento fondamentale con i taliban afghani, “fa parte” di uno schema più ampio dei recenti sforzi di Stati Uniti e Gran Bretagna per demonizzare il regime attuale del Pakistan, quale parte fondamentale dei problemi in Afghanistan. Tale demonizzazione aumenta notevolmente la posizione del recente alleato militare degli Stati Uniti, l’India.

Inoltre, il Pakistan è l’unico paese musulmano in possesso di armi atomiche. Le Forze di Difesa Israeliane e l’agenzia di intelligence israeliana Mossad, avrebbero molto da guadagnare nel cambiare tale situazione. Una campagna di falsi contro il politicamente schietto Gul, via Wikileaks, potrebbe essere parte di questo sforzo geopolitico.

Il Financial Times di Londra ha detto che il nome di Gul compare in circa 10 dei 180 documenti USA classificatori, che sostengono che i servizi d’intelligence del Pakistan supportato i militanti afghani che combattono le forze Nato. Gul ha detto al giornale, che gli Stati Uniti hanno perso la guerra in Afghanistan, e che la fuga di documenti potrebbe aiutare l’amministrazione Obama a deviarne la colpa, suggerendo che il Pakistan ne sia responsabile.

Gul ha detto “Sono un capro espiatorio molto desiderato dall’America. Non possono immaginare che gli afghani possano vincere le guerre per conto proprio. Sarebbe un peccato vergognoso persistere sul fatto che vecchio generale di 74 anni viva una vita ritirata manipolando i mujaheddin in Afghanistan, col risultato di sconfiggere gli USA”.

Notevole che, alla luce dei più recenti documenti afghani di Wikileaks, sia sotto i riflettori il 74enne Gul. Come ho scritto in un pezzo precedente sull’Afghanistan e il Kirghizistan, Gul è stato esplicito circa il ruolo dei militari USA nel contrabbando di eroina al di fuori dall’Afghanistan, attraverso la base aerea di massima sicurezza di Manas, in Kirghizistan.

Come pure, in una intervista all’UPI del 26 settembre 2001, due settimane dopo gli attacchi del 9/11, Gul abbia dichiarato, in risposta alla domanda chi ci fosse dietro l’11 settembre? ‘Il Mossad e dei suoi complici’. Gli Stati Uniti spendono 40 miliardi di dollari all’anno le loro 11 agenzie di intelligence. Questo fa 400 miliardi di dollari in 10 anni.

Eppure l’amministrazione Bush (Obama) dice che è stata colta di sorpresa. Io non ci credo. A 10 minuti che la seconda torre gemella fosse colpita nel World Trade Center, la CNN aveva detto che Usama bin Ladin era il responsabile. Ciò era disinformazione pianificata dai veri colpevoli…” (1)

Gul chiaramente non è ben voluto a Washington. Sostiene che la sua richiesta di visto di viaggio per il Regno Unito e negli Stati Uniti sua stata ripetutamente negata. Fare di Gul un acerrimo nemico sarebbe molto comodo per Washington.

Chi è Julian Assange?

Il fondatore Wikileaks e auto-definitosi “redattore capo”, Julian Assange, è un misterioso 29enne australiano del quale poco si sa. È improvvisamente diventato una figura pubblica di spicco, offrendosi di mediare con la Casa Bianca nel corso delle fughe di notizie. …

Ma un esame più approfondito della posizione pubblica di Assange su una delle questioni più controverse degli ultimi decenni, le forze che stanno dietro gli attacchi dell’11 settembre 2001 al Pentagono e al World Trade Center, mostra di essere curiosamente convenzionale.

Quando il Belfast Telegraph lo ha intervistato il 19 luglio, ha affermato, “C’è sempre gente che alimenta il segreto, che conducono una cospirazione. Quindi ci sono cospirazioni ovunque. Ci sono anche le teorie cospirative pazzsche. E’ importante non confondersi su queste due”.

E quelle sul 9/11?
“Sono costantemente infastidito dal fatto che le persone siano distratta da cospirazioni false come quelle sul 9/11, quando tutto intorno a noi ci dimostra congiure reali per la guerra o pra la frode finanziaria di massa.”

E il Bilderberg?:
“Questo è vagamente cospirativo, nel senso di una rete. Abbiamo pubblicato i resoconti delle loro riunioni.” (2)

Questa affermazione da una persona che si è costruito la reputazione di essere contro l’establishment è più che notevole. In primo luogo, come migliaia di fisici, ingegneri, militari e piloti di linee aeree hanno testimoniato, l’idea che 19 arabi addestrati a malapena e armati di taglierini, potessero dirottare quattro aerei di linea degli Stati Uniti ed eseguire il quasi impossibile attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, su un arco di tempo di 93 minuti, senza nessuna intercettazione del NORAD dell’aviazione militare, è incredibile. Proprio chi ha eseguito l’attacco da professionisti, è un problema per una vera inchiesta internazionale imparziale.

Degno di nota per la blanda negazione che Assange avanza su un qualsiasi sinistro complotto sul 9/11, è la dichiarazione in un’intervista alla BBC dell’ex senatore statunitense Bob Graham, che ha presieduto la United States Senate Select Committee on Intelligence, quando ha effettuato l’inchiesta congiunta sul 9/11.

Graham aveva detto alla BBC: “Posso solo affermare che sul 9/11 ci sono anche molti segreti, informazioni che non sono state messe a disposizione del pubblico secondo cui esistono specifiche e credibili risposte concrete, e che il mantenimento di quei segreti avrebbe eroso la fiducia del pubblico sul suo governo, per quanto riguarda la propria sicurezza.”
BBC: “Il senatore Graham ha rilevato che un cover-up è stato attuato nel cuore dell’amministrazione.”

Bob Graham: “Avevo chiamato la Casa Bianca e parlato con la Rice, che aveva detto: ‘Guarda, ci è stato detto che otterremo una cooperazione in questa indagine, e lei disse che doveva considerare la cosa più attentamente, e non è successo niente’”.

Naturalmente, l’amministrazione Bush è stata in grado di utilizzare gli attacchi del 9/11 per lanciare la sua guerra al terrorismo in Afghanistan e poi in Iraq, un punto che Assange convenientemente omette.

Da parte sua, il generale Gul sostiene che l’intelligence statunitense ha orchestrato Wikileaks sull’Afghanistan, per trovare un capro espiatorio, Gul, da incolpare. Convenientemente, come a un segnale, il primo ministro conservatore britannico David Cameron, in visita di stato in India, si è scagliato contro il presunto ruolo del Pakistan nel sostegno dei taliban in Afghanistan, conferendo adeguata credibilità alla storia di Wikileaks. La vera storia di Wikileaks, chiaramente non è stata ancora raccontata.


Note:

1) Generale Hamid Gul, intervista del 2001 di Arnaud de Borchgrave a Hamid Gul, ex capo dell’ISI, UPI, ristampato nel luglio 2010

2) Julian Assange, Intervista al Belfast Telegraph, 19 luglio 2010.