mercoledì 11 maggio 2011

News Shake

News Shake....notizie a caso ma non per caso...


Sulla parola

di Enrico Piovesana - Peacereporter - 10 Maggio 2011

Le contraddizioni e le omissioni della versione ufficiale sull'uccisione di bin Laden inducono al dubbio. Dal black-out di venti minuti durante la diretta del blitz ai nuovi video trovati nel computer dello sceicco identici a quelli del 2007

Il presidente Obama sembra avere fretta di calare il sipario sull'uccisione di bin Laden: una vicenda che con il passare dei giorni, invece di chiarirsi, si va sempre più confondendo sotto il peso di omissioni, contraddizioni, dubbi e sospetti.

Non possiamo mostrare le prove, ma fidatevi della nostra parola
, dice in sostanza l'amministrazione Usa.

La stessa amministrazione che aveva detto che durante il blitz bin Laden aveva sparato ai Navy Seals facendosi scudo della moglie. Poi invece è venuto fuori che lo sceicco era disarmato.

La stessa amministrazione che aveva affermato di aver sepolto in mare il suo cadavere nel rispetto della tradizione islamica. Poi è emerso che questa pratica è contraria alla religione musulmana.

La stessa amministrazione che aveva dichiarato di aver seguito in diretta da Washington ''minuto per minuto'' il blitz di Abbottabad.

Poi si è scoperto, per ammissione dello stesso capo della Cia, che né lui né il presidente né i suoi collaboratori immortalati nella famosa foto della Situation room della Casa Bianca hanno ''visto'' l'uccisione di bin Laden per un imprevisto black-out della diretta avvenuto proprio al momento dell'irruzione e durato oltre venti minuti.

La stessa amministrazione che, nei giorni scorsi, ha reso pubblici cinque nuovi video ''trovati'' nel computer di bin Laden, presentandoli come prova definitiva della versione ufficiale dei fatti di Abbottabad. Ma anche questi video hanno suscitato perplessità.

Se le immagini di un vecchio bin Laden 'privato' che si riguarda compiaciuto alla tv convincono poco per l'inquadratura di spalle che non mostra il volto (ma solo un mezzo profilo che qualcuno giudica un falso), dubbi ancor maggiori sorgono sugli altri quattro filmati in cui un Osama 'pubblico', truccato e con la barba tinta, prova diversi set per un videomessaggio mai pubblicato.

Lo sceicco immortalato in questi ultimi video, che secondo il Pentagono sarebbero stati girati ''tra il 9 ottobre e il 5 novembre 2010'', risulta infatti inspiegabilmente identico a quello apparso in un vecchio video del 7 settembre 2007: cambia solo il colore dello sfondo e il mantello dorato slacciato. Per il resto, sembrano girati nello stesso periodo, non a più di tre anni l'uno dall'altro.

Un filmato, quello diffuso alla vigilia del sesto anniversario dell'11 settembre, che già all'epoca aveva suscitato forti dubbi sulla sua autenticità, come del resto tutti i video di bin Laden successivi a quelli di fine 2001 resi pubblici dal Site Institute o dall'Intel Center: agenzie private al servizio del governo Usa, ufficialmente dedite al monitoraggio professionale dei siti jihadisti.

Il video del 2007, infatti, oltre a a presentare sospetti tagli di montaggio e a mostrare per la prima volta un bin Laden incredibilmente ringiovanito rispetto ai video del 2001 grazie a tinte e trucchi (lasciando stupito chi immaginava che la sindrome di Peter Pan colpisse solo dittatori turkmeni e premier italiani) era stato ''scoperto'' dal Site Institute prima che venisse postato sui siti qaedisti.

I video di bin Laden, i nuovi come i vecchi, sarebbero dunque dei falsi fabbricati dallo stesso governo Usa? Per quanto bizzarra sembri questa ipotesi, un anno fa ex agenti della Cia hanno raccontato al Washington Post che in passato l'Ufficio servizi tecnici dell'agenzia ha fatto proprio questo.

Dunque, fidarsi o no del governo degli Stati Uniti?

Le bufale propagandistiche del salvataggio della soldatessa Jessica Lynch o dell'eroica morte della star del football Pat Tillmam – per non parlare di falsi storici accertati come l'operazione Northwoods o l'incidente del Golfo del Tonchino – dimostrano che la mistificazione della realtà non è sconosciuta ai governanti americani.


Ora si tratta con il Mullah Omar?
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 10 Maggio 2011

Il Washington Post avanza l’ipotesi che la morte di Osama bin Laden possa favorire le trattative con i talebani afghani guidati dal Mullah Omar. Sarebbe finalmente una cosa di buon senso dopo dieci anni di inutile guerra all’Afghanistan che ha causato 60 mila morti fra i civili, 35 mila fra i guerriglieri talebani e 2441 caduti fra i soldati della Coalizione.

È un’ipotesi plausibile e fattibile, anche se per motivi diversi da quelli avanzati dal giornale americano secondo il quale la morte del Califfo saudita potrebbe indurre i talebani afghani a rompere definitivamente con al Qaeda e il terrorismo internazionale.

Omar e Osama erano ai ferri corti già nel 1998 dopo gli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania, attribuiti a Bin Laden, che provocarono 223 morti e 4000 feriti. Poco dopo 75 missili Cruise si abbatterono sulle montagne di Khost, dove gli americani ritenevano che si trovasse Bin Laden con i suoi campi di addestramento.

Non centrarono il bersaglio, ma fecero un bel po’ di morti. I bombardamenti proseguirono per qualche mese. Bin Laden era quindi diventato un problema per il governo talebano.

Così quando il presidente Clinton propose al Mullah Omar di eliminare fisicamente Bin Laden, il leader dei talebani, attraverso il suo ministro degli Esteri, Wakil Muttawakil, inviato a Washington alla fine di quell’anno, si dichiarò d’accordo. Ma quando la cosa sembrava ormai fatta, Clinton si tirò inspiegabilmente indietro.

E venne l’11 settembre. Mentre le folle di tutti i Paesi del mondo arabo scendevano in piazza per manifestare la loro gioia, fra i tanti attestati di solidarietà e di cordoglio che arrivarono agli Stati Uniti ce n’era anche uno del governo talebano.

Un comunicato ufficiale che diceva: “Bismullah ar-Rabman ar Rabim (nel nome di Allah, della grazia e della compassione). Noi condanniamo fortemente i fatti che sono avvenuti negli Stati Uniti al World Trade Center e al Pentagono. Condividiamo il dolore di tutti coloro che hanno perso i loro familiari e i loro cari in questi incidenti. Tutti i responsabili devono essere assicurati alla giustizia. Noi vogliamo che siano puniti e ci auguriamo che l’America sia paziente e prudente nelle sue azioni”.

E allora perché il Mullah Omar si rifiutò di estradare Bin Laden come volevano gli Stati Uniti? Perché Omar, che a suo modo, anche se ciò può suonar strano ad orecchie occidentali, è un legalista, chiedeva che ci fosse una seria inchiesta sugli attentati dell’11 settembre e delle prove che alle spalle ci fosse davvero Osama bin Laden. Gli americani, che avevano già ammassato bombardieri e truppe in Pakistan, risposero arrogantemente: “Le prove le abbiamo date ai nostri alleati”.

A questa risposta il governo dei talebani replicò come avrebbe fatto qualsiasi altro governo del mondo: che a quelle condizioni, senza un’inchiesta, senza prove non poteva consegnare una persona, che non aveva la nazionalità americane né quella afghana, che era comunque un ospite del loro Paese e sotto la loro tutela, così, al buio, alla giustizia degli Stati Uniti.

Il Mullah Omar si è giocato un Paese e la sua vita stessa non per difendere Bin Laden, di cui poco o nulla gli importava, che anzi si sarebbe tolto volentieri dai piedi, ma per una questione di principio e dignità.

Comunque sia, sono anni che al Qaeda non è più in Afghanistan. La Cia ha calcolato che su circa 50 mila guerriglieri che combattono gli occupanti occidentali solo 359 sono stranieri. Ma sono ceceni, uzbechi, turchi, non arabi wahabiti che hanno in testa il jihad universale contro l’Occidente.

Gli insurgents, gli insorti come li definiscono la stessa Cia e il Pentagono (solo La Russa e Frattini li chiamano ancora “terroristi”), sono solo gente che, con l’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione, vogliono che le truppe straniere se ne vadano dall’Afghanistan.

La morte di Bin Laden non serve a rompere i legami fra i talebani e i terroristi internazionali che non ci sono più da tempo, serve all’America per quella exit strategy dignitosa che sta cercando da almeno un paio d’anni.

La situazione sul campo della Nato è divenuta insostenibile. Secondo le stime più recenti, i talebani occupano l’80% del Paese e con una strategia avvolgente stanno bloccando, a est, a sud, a ovest, tutte le vie di rifornimento alle truppe occidentali (l’unica sicura rimane quella da nord, dalla Russia via Turkmenistan e dipende dalla benevolenza di Putin).

D’altro canto i talebani non sono in grado di dare la spallata decisiva nelle grandi città – Kabul, Mazar i-Sharif, Herat – perché troppa è la sproporzione con gli armamenti della Nato.

La situazione è di stallo. Più volte gli americani hanno cercato di avviare trattative, nemmeno tanto segrete, con i talebani così detti moderati per uscirne. Nell’ottobre del 2010 hanno istituito un Alto consiglio di pace in cui sostenevano di aver coinvolto anche alcuni importanti esponenti talebani.

In realtà erano solo delle scartine raccattate per le strade di Kabul. Si sono sempre rifiutati di trattare con il Mullah Omar ritenendolo inadeguato per una pacificazione nazionale. Omar è invece l’unico interlocutore possibile perché è lui che guida, con mano di ferro, la guerriglia.

Bin Laden è morto, gli Stati Uniti potrebbero dire: ora che la caccia è finita, il sangue delle Twin Towers vendicato, si può trattare anche con il Mullah Omar ponendo come condizione, tanto per salvare la faccia, che il leader dei talebani dichiari di rinunciare ai legami con al Qaeda. Omar accetterebbe?

Se la condizione è questa, certamente, così come accetterebbe, credo, ispezioni Onu che accertino che su suolo afghano non ci sono campi di addestramento per qaedisti. Se costoro dovessero rifarsi vivi, sarebbe lui il primo a cacciarli visto che è a causa loro che ha perso il Paese che governava.

Se invece le condizioni di Obama o di chi per lui fossero: dopo Karzai un altro Quisling in salsa americana, come Naiisbullah lo era stato per i sovietici, basi Nato nel Paese e truppe Yankee, sia pur ridotte, su suolo afghano, direbbe di no.

Non ha combattuto 30 dei suoi 49 anni di vita per la libertà del suo Paese, sacrificandogli l’intera esistenza, per vedersi imporre alla fine una “pax americana”.



La Grecia esce dall'euro. Ecco la vera agenda
di Debora Billi - http://crisis.blogosfere.it - 10 Maggio 2011

Yanis Varoufakis è un professore di economia politica all'Università di Atene, ex docente a Cambridge e a Sidney, e ha molta voglia di dire la sua su questo gossip riguardante la Grecia che vorrebbe uscire dall'euro e che tanto ha fatto parlare nei giorni scorsi. Lo fa sul suo blog, e titola:

Ecco la vera agenda dietro la storia di Der Spiegel, secondo cui la Grecia starebbe pensando di uscire dall'euro.

Varoufakis racconta che, nei mesi scorsi, il governo greco ha commissionato lo studio riservato di una serie di scenari riguardanti la ristrutturazione del debito. Tra questi, uno scenario catastrofico che prevedeva l'uscita dall'euro.

Come mai, si chiede il professore, Der Spiegel ha scelto di isolare proprio questo, proponendolo come una ipotesi al vaglio del governo ateniese?

E' mia opinione che Der Spiegel, in accordo con determinati circoli all'interno del governo tedesco (in particolare il Ministro delle Finanze) stesse cercando di mandare un messaggio al Cancelliere ma anche al Primo Ministro greco. Quale messaggio? Che ci sono cose molto peggiori che una ristrutturazione del debito, la peggiore delle quali uno smantellamento dell'euro passo dopo passo che comincerà non appena un Paese come la Grecia sarà forzato in una situazione impossibile da sostenere. E che continuare a negare l'evidenza, e proporre bugie su bugie riguardo la sostenibilità della situazione in corso, non sarà più tollerato.

Secondo il professore e le sue fonti, l'origine di questo messaggio trasversale sarebbe il Ministro delle Finanze tedesco appunto, in accordo con alcune grandi banche. E non è la prima volta che Der Spiegel lancia di questi avvertimenti, essendo questa solo l'ultima e più potente bordata.

Il panico causato dall'articolo dovrebbe finalmente riuscire a mettere sul tavolo il problema che va discusso, ossia che dare liquidità agli Stati insolventi non fa che peggiorare le cose e che è ora di smetterla con le bugie.

Malgrado il modo codardo con cui hanno comunicato le loro nuove convinzioni, conclude Varoufakis, un nuovo capitolo sta per cominciare. Non sarà necessariamente ben scritto o piacevole da leggere. Ma almeno offrirà la prospettiva di una via di fuga dalla triste bugia che ha finora portato solo miseria.


La crisi debitoria della Grecia s'aggrava. La Grecia sta minacciando l'uscita dall'euro?
di Micheal Snyder - www.theeconomiccollapseblog.com - 7 Maggio 2011
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Supervice

La crisi del debito greco è sul punto di andare fuori controllo? Secondo Der Spiegel, il governo della Grecia sta considerando di lasciare l’Euro e ripristinare la propria moneta. Se accadesse, i mercati finanziari mondiali precipiterebbero nel caos e questo potrebbe significare la fine dell’euro come divisa paneuropea.

Ma il governo greco deve comunque fare qualcosa per risolvere il problema del debito. A questo punto, la Grecia ci sta letteralmente affondando dentro. Le emissioni di obbligazioni a 10 anni hanno raggiunto uno strepitoso rendimento del 15,51%. Non c’è modo che tutto questo possa essere sostenibile, anche nel breve termine.

La Grecia sta andando velocemente in bancarotta. Anche se adottasse delle misure brutali di austerity, il debito continuerebbe a esplodere. Ci sono proteste contro il governo quasi ogni giorno e la Grecia è nel caos.

Sfortunatamente, siccome la Grecia fa parte dell’euro, non può stampare moneta per cercare di uscire dallo stato di crisi. Ci sono delle indiscrezioni secondo cui la Grecia sta pensando di lasciare l’euro e tutto ciò sarebbe un grosso problema per l’intero sistema finanziario.

Un recente articolo uscito su Der Spiegel ha ancora una volta portato questi rumors in superficie. Der Spiegel riferisce di avere alcuni documenti segreti del governo greco che discutono il progetto di lasciare l’euro. Der Spiegel dichiara inoltre che una riunione segreta sulla crisi si è tenuta venerdì in Lussemburgo.

Ciò che segue è un breve estratto dall’articolo di Der Spiegel che oggi ha molto scosso la comunità finanziaria europea:


“La crisi del debito in Grecia ha preso una piega drammatica. Fonti informative vicine alle iniziative del governo hanno rivelato a SPIEGEL ONLINE che Atene sta considerando il ritiro dall’Eurozona. Venerdì notte i ministri delle finanze e i rappresentanti dell’Unione Europea si sono segretamente riuniti in Lussemburgo."

E allora c’è stata veramente questa riunione venerdì sera?

Bene, è assodato che c’è stato un incontro tenuto da un piccolo gruppo di ministri delle finanze europei. Ma secondo il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert, questa riunione era stata pianificata già tempo addietro e non ha niente a che fare con l’intenzione della Grecia di lasciare l’euro:


"C’è stato un meeting di alcuni ministri delle finanze già pianificato da tempo. La Grecia in uscita dall’Eurozona non era all’ordine del giorno della riunione, e non lo è mai stata."

Ma la Grecia sta veramente pensando di lasciare l’euro? In tutt’Europa il fatto è stato decisamente negato.

E forse il più forte diniego è stato espresso dal Ministro delle Finanze greco:


"L’informazione di un’uscita imminente della Grecia dall’Eurozona, oltre a essere falsa, è stata riportata con incredibile leggerezza, malgrado ciò sia stato ripetutamente negato dal governo greco e dai governi degli altri stati dell’Unione Europea."

Quello che probabilmente è stato discusso nella riunione dei ministri delle finanze europei è la ristrutturazione del debito della Grecia. È un qualcosa che la Germania ha mostrato di gradire da un po’ di tempo, secondo un recente articolo postato su Business Insider:


Per settimane i funzionari tedeschi hanno accennato al fatto che loro auspicano che avvenga una ristrutturazione del debito greco. Il consigliere economico tedesco Lars Feld ha da poco riferito che la ristrutturazione avverrà ”‘prima o poi”. Ha detto anche in precedenti occasioni che "ristrutturare il debito è l’unica strada da prendere."

Cosa sarebbe una ristrutturazione del debito? Un recente articolo apparso su CNBC ci dà qualche dritta:


In modo ancor più significativo, il meeting di stanotte dei ministri delle finanze potrebbe preparare il terreno per “un posticipo delle scadenze” di questi prestiti, dando a Atene un po’ di ossigeno fino a che alla fine non ristrutturi i suoi 470 miliardi di dollari di debito, allungandone la durata o scambiando le obbligazioni greche, a condizioni di sconto, con obbligazioni garantite dell’UE, come i Brady Bond negli anni ’80.

Quella che la Germania non vuole è la Grecia possa prendere in considerazione l’eventualità di un’uscita dall’Euro. Secondo l’articolo di Der Spiegel, il Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, è pronto a giocare duro con i Greci. Der Spiegel riporta che è stato stilato un resoconto che spiegherebbe ai greci le gravi conseguenze di un abbandono dell’euro:


"Porterebbe a una consistente svalutazione della nuova divisa nazionale nei confronti dell’euro", secondo i dati dell’articolo. In base alle stime del Ministro delle Finanze tedesco, la divisa perderebbe fino al 50 per cento del proprio valore, provocando un drastico incremento del debito nazionale greco. Lo staff di Schäuble ha calcolato che il debito nazionale della Grecia salirebbe al 200% del PIL dopo una simile svalutazione. "Una ristrutturazione del debito sarebbe a quel punto inevitabile", è l’avvertimento dei suoi uomini. In altre parole: la Grecia andrebbe in bancarotta.

La Grecia è davvero in una posizione critica; andranno in bancarotta se rimarranno nell’euro e ci andranno comunque se lo lasceranno.

Nel frattempo, le proteste antigovernative continuano. Il popolo greco non è contento. L’economia greca sta andando a pezzi come un vestito da 20 dollari. La Grecia potrebbe essere la scintilla che farà scoppiare il panico finanziario che si estenderebbe in tutt’Europa.

Come ho già scritto in passato, la crisi europea del debito è sul punto di essere fuori controllo. Non è solamente la Grecia che sta affrontando una terribile crisi debitoria. I problemi finanziari in Europa sono diffusi in tutto il continente.

Molti Americani sono ossessionati dalla morte del dollaro USA, ma la verità è che c’è una forte possibilità che l’euro collassi ancor prima.

Teniamo un occhio sull'Europa. La crisi europea del debito potrebbe far sprofondare l’intero sistema finanziario nel caos in qualsiasi momento. Le cose non sono assolutamente stabili come sembrano.


Bentornata dracma
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 10 Maggio 2011

Un signore, chiamato Pig, sta per fallire. Ha una grande idea. Per sopravvivere vende i suoi debiti. Li chiama titoli di Stato. Molti li comprano, pretendono solo un piccolo interesse e la restituzione del capitale a termine del prestito.

Il Pig ha trovato il sistema per vivere sopra i suoi mezzi. Continua a fare debiti e a venderli. Il suo bilancio familiare però peggiora e chi compra i suoi titoli, per cautelarsi, chiede maggiori interessi. Il Pig è costretto ad aumentare gli interessi.

Con il tempo la situazione diventa critica. I compratori del debito diminuiscono per paura del rischio. Il debito non è più tripla A menomeno, ma tripla B piùpiù. Arriva il momento in cui il Pig non è più in grado di pagare gli interessi.

I vicini del Pig, che gli hanno prestato la maggior parte dei soldi, non hanno alcun interesse a farlo fallire. Se fallisce perderanno ogni credito. Gli propongono perciò un prestito oneroso, lo chiamano bail out. Il Pig è costretto ad accettare per non fallire.

Quando i soldi del prestito finiscono il Pig si ritrova a pagare più interessi di prima. Chi gli ha prestato i soldi ha solo guadagnato tempo ed è ora doppiamente a rischio, può perdere sia i titoli di Stato che il prestito del bail out.

Il Pig, tecnicamente un fallito, è quindi in grado di fare la voce grossa come se fosse lui ad aver prestato i soldi agli altri. Minaccia la ristrutturazione del debito. In altri termini, chi ha comprato i suoi titoli a 100 vedrà il loro valore dimezzato a 50 e il Pig si libererà della metà del debito senza che nessuno possa proibirlo.

I creditori, sempre più preoccupati, non sanno che pesci pigliare. I titoli di Stato infatti, come quelli azionari di una qualunque società quotata in Borsa, possono perdere il loro valore.

I creditori hanno in comune con il Pig la moneta. Un tempo il Pig usava la Dracma, ora l'Euro. Il suo comportamento mette a rischio il buon nome della moneta dei signori virtuosi che non hanno debiti o ne hanno pochi. L'euro non può essere compromesso.

I vicini possono sbattere fuori dall'euro il Pig fallito e vedere sfumare per sempre parte dei loro crediti o continuare a finanziarlo con un bail out dopo l'altro. Germania, Francia hanno circa 250 miliardi di dollari di titoli greci e l'euro, a causa del Pig, sta perdendo valore rispetto al dollaro e allo yuan.

Il Pig esce dall'euro e i suoi titoli di Stato diventano carta straccia. Vorrei trovare una logica o una morale, ma non ci riesco.


La moneta d'oro di Gheddafi che avrebbe sconvolto gli equilibri economici mondiali

da Russia Today - 5 Maggio 2011

Traduzione di Pino Cabras

Qualcuno ritiene che sia per proteggere i civili, altri dicono sia per il petrolio, ma alcuni sono convinti che l’intervento in Libia sia tutto per via del progetto di Gheddafi di introdurre il dinaro d’oro, un’unica valuta africana fatta d’oro, un’autentica condivisione della prosperità.

«È una di quelle cose che devi progettare alquanto in segreto perché, non appena annuncerai che stai per passare dal dollaro a qualcos’altro, ti starai per trasformare in un obbiettivo dentro un mirino», afferma il dottor James Thring, fondatore del Ministry of Peace. «Ci sono state due conferenze sull’argomento, nel 1986 e nel 2000, organizzate da Gheddafi. Tutti erano interessati, la maggior parte degli stati africani ne era entusiasta.»

Gheddafi non si era arreso. Nei mesi che hanno portato all’intervento militare, ha fatto appello alle nazioni africane e musulmane affinché si unissero per creare questa nuova moneta che avrebbe rivaleggiato con l’euro e il dollaro. Avrebbero venduto petrolio e altre risorse in tutto il mondo soltanto in cambio di dinari d’oro.

È un’idea che avrebbe spostato l’equilibrio economico del mondo.

La ricchezza di una nazione sarebbe così dipesa da quanto oro avrebbe avuto e non da quanti dollari avrebbe scambiato. E la Libia ha 144 tonnellate d’oro. Il Regno Unito, ad esempio, ne ha il doppio, ma ha anche una popolazione di dieci volte più numerosa.

«Qualora Gheddafi avesse l’intenzione di rifare il prezzo del suo petrolio o di qualsiasi altra cosa il paese stia vendendo sul mercato globale e di accettare qualunque altra moneta o perfino lanciare come moneta un dinaro d’oro, una qualunque mossa del genere non riceverebbe certo il benvenuto dall'élite oggi al potere, che è responsabile del controllo delle banche centrali del mondo», sostiene Anthony Wile, fondatore e caporedattore del «Daily Bell».

«Perciò sì, sarebbe certamente qualcosa che porterebbe immediatamente a scaricarlo e al bisogno di escogitare altre ragioni da portare avanti per rimuoverlo dal potere.»

Ed è già successo in precedenza.

Nel 2000 Saddam Hussein annunciò che il petrolio iracheno sarebbe stato scambiato in euro, non in dollari. C’è chi sostiene che le sanzioni e l’invasione seguirono perché gli Americani avrebbero fatto di tutto per impedire all’OPEC di trasferire all’euro il commercio petrolifero in tutti i suoi paesi membri.

La presenza di un dinaro d’oro avrebbe serie conseguenze per il mondo finanziario internazionale, ma rafforzerebbe anche il potere dei popoli d’Africa, qualcosa che – stando a quanto dicono certi attivisti di colore - gli Stati Uniti vogliono evitare a ogni costo.

«Gli Stati Uniti hanno negato l’autodeterminazione degli africani all’interno degli USA, per cui non siamo sorpresi da qualsiasi cosa gli Stati Uniti facciano al fine di ostacolare l’autodeterminazione degli africani nel loro continente» dichiara Cynthia Ann McKinney, un’ex parlamentare USA.

L’oro del Regno Unito è custodito in un deposito sicuro nelle profondità della Banca d’Inghilterra. Ma come nella maggior parte dei paesi sviluppati, non ce n’è abbastanza per tutti.

Ma questo non è il caso di paesi quali la Libia e molti degli stati del Golfo.

Un dinaro d’oro avrebbe dato ai paesi africani e mediorientali ricchi di petrolio il potere di girarsi a muso duro verso i propri clienti affamati di energia per dir loro: «Spiacenti, il prezzo è aumentato, e noi vogliamo l’oro.»

Alcuni ritengono che gli Stati Uniti e i loro alleati nella NATO letteralmente non si potrebbero permettere che ciò accada.


Siria: chi c'è dietro il movimento di protesta? Fabbricazione d’un pretesto umanitario?
di Michel Chossudovsky* - http://globalresearch.ca - 3 Maggio 2011
Traduzione di Alessandro Lattanzio

Vi sono prove di gravi manipolazioni e falsificazioni dei media, fin dall’inizio del movimento di protesta nel sud della Siria, il 17 marzo. I media occidentali hanno presentato gli avvenimenti in Siria come parte del più ampio movimento di protesta pro-democrazia araba, che si diffonde spontaneamente dalla Tunisia all’Egitto, dalla Libia alla Siria.

La copertura mediatica è concentrata sulla polizia e le forze armate siriana, che sono accusate di sparare e uccidere indiscriminatamente manifestanti disarmati “pro-democrazia“.

Mentre queste sparatorie della polizia si sono effettivamente verificate, ciò che i media non hanno menzionato è che tra i manifestanti c’erano uomini armati e cecchini che sparavano sia alle forze di sicurezza che ai manifestanti.

Le cifre dei morti presentate nelle cronache, sono spesso prive di fondamento. Molte delle relazioni sono “secondo i testimoni“. Le immagini e i filmati video mandati in onda su Al Jazeera e Cnn, non sempre corrispondono agli eventi che vengono coperti dai notiziari.

Vi è certamente motivo di tensioni sociali e di protesta di massa in Siria: la disoccupazione è aumentata negli anni recenti, le condizioni sociali si sono deteriorate, soprattutto dopo l’approvazione nel 2006 di ampie riforme economiche, sotto la guida del FMI.

La “medicina economica” del FMI comprende misure di austerità, congelamento dei salari, deregolamentazione del sistema finanziario, riforma del commercio e privatizzazioni. (Vedasi IMF Syrian Arab Republic — IMF Article IV Consultation Mission’s Concluding Statement, http://www.imf.org/external/np/ms/2006/051406.htm, 2006)

Con un governo dominato dalla minoranza alawita (un ramo dello sciismo), la Siria non è una “società modello” per quanto riguarda i diritti civili e la libertà di espressione. Ma costituisce comunque l’unico (ancora) stato laico indipendente nel mondo arabo. La sua base anti-imperialista, populista e laica è ereditata dal partito dominante Baath, che integra musulmani, cristiani e drusi.

Inoltre, a differenza di Egitto e Tunisia, in Siria vi è un notevole sostegno popolare al presidente Bashar Al Assad. La grande manifestazione a Damasco del 29 marzo, “con decine di migliaia di sostenitori” (Reuters) del presidente Al Assad è stata appena accennata nei media.

Eppure, con una torsione insolita, le immagini e le riprese video di alcuni eventi pro-governativi sono stati usati dai media occidentali per convincere l’opinione pubblica internazionale che il presidente veniva sfidato da manifestazioni di massa contro il governo.

L’epicentro” del movimento di protesta. Daraa: una piccola città di confine, nel sud della Siria

Qual è la natura del movimento di protesta? Di quali settori della società siriana è emanazione? Cosa ha provocato le violenze? Qual è la causa delle morti?

L’esistenza di una insurrezione organizzata composta da bande armate, coinvolte in atti di omicidio e di incendi dolosi, è stato respinto dai media occidentali, nonostante le prove. Le manifestazioni non sono iniziate a Damasco, capitale della nazione. All’inizio, le proteste non sono state integrate da un movimento di massa dei cittadini della capitale della Siria.

Le manifestazioni sono iniziate a Daraa, una piccola città di confine di 75.000 abitanti, al confine siriano-giordano, piuttosto che a Damasco o ad Aleppo, dove si trova il fondamento della opposizione politica organizzata e dei movimenti sociali. (Daraa è una piccola città di confine paragonabile a Plattsburgh, NY, sul confine USA-Canada).

La Associated Press (citando anonimi “testimoni” e “attivisti“) descrive le proteste nei primi mesi del Daraa come segue:

Le violenze a Daraa, una città di circa 300.000 abitanti vicino al confine con la Giordania, stanno rapidamente diventando una grande sfida al presidente Bashar Assad, … La polizia siriana ha lanciato un attacco implacabile, Mercoledì, in un quartiere che alberga i manifestanti antigovernativi [Daraa], sparando fatalmente su almeno 15 persone, in un’operazione iniziato prima dell’alba, hanno detto dei testimoni. Almeno sei sono stati uccisi durante l’attacco di prima mattina, alla moschea al-Omari, nel settore agricolo della città meridionale di Daraa, dove i manifestanti sono scesi in piazza per chiedere riforme e libertà politiche, hanno detto testimoni. Un attivista in contatto con persone di Daraa, ha detto che la polizia ha sparato ad altre tre persone che stavano protestando nel centro della città, di epoca romana, dopo il crepuscolo. Sei corpi sono stati trovati più tardi nella giornata, diceva l’attivista. Mentre le vittime aumentano, la gente dai villaggi vicini di Inkhil, Jasim, Khirbet Ghazaleh e al-Harrah hanno tentato di marciare Mercoledì notte verso Daraa, ma le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco mentre si avvicinavano, diceva sempre l’attivista. Non è stato immediatamente chiaro se ci fossero altri morti o feriti.” (AP, 23 marzo 2011)

La relazione di AP gonfia i numeri: Daraa viene presentata come una città di 300.000 abitanti, mentre in realtà la sua popolazione è di 75.000 abitanti, i “manifestanti si sono riuniti a migliaia”, “le vittime aumentano“. La relazione tace sulla morte di poliziotti, che in Occidente va sempre in prima pagina dei tabloid.

La morte dei poliziotti è importante nel valutare ciò che è realmente accaduto. Quando ci sono vittime della polizia, questo significa che c’è uno scontro a fuoco tra le opposte parti, tra poliziotti e “manifestanti“. Chi sono questi “manifestanti”, tra cui i cecchini sui tetti che prendevano di mira la polizia?

Dei reportage libanesi e israeliani (che riconoscono la morte di poliziotti) forniscono un quadro più chiaro di quello che è successo il 17-18 marzo a Daraa. La Israel National News Report (che non può essere accusata di parzialità a favore di Damasco), riferisce di questi stessi eventi così:

Sette agenti di polizia e almeno quattro manifestanti in Siria sono stati uccisi in violenti scontri che sono scoppiati in modo continuato nella città meridionale di Daraa, lo scorso Giovedi. …. Il Venerdì la polizia ha aperto il fuoco su manifestanti armati, uccidendo quattro persone e ferendone altre 100. Secondo un testimone, che ha parlato alla stampa in condizioni di anonimato, “hanno usato munizioni vere immediatamente – nessun gas lacrimogeno o qualsiasi altra cosa.” …. In un insolito gesto destinato ad alleviare le tensioni, il governo ha offerto di rilasciare gli studenti detenuti, ma sette agenti di polizia sono stati uccisi, e la sede del partito Baath e il palazzo di giustizia sono stati bruciate, in nuove violenze, Domenica.” (Gavriel Queenann, Syria: Seven Police Killed, Buildings Torched in Protests, Israel National News, Arutz Sheva, 21 marzo 2011)

Il notiziario libanese, citando varie fonti, riconosce anche l’uccisione di sette poliziotti a Daraa: sono stati uccisi “durante gli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti … sono stati uccisi mentre cercavano di allontanare i manifestanti, durante la manifestazione a Dara’a.”

Il libanese Ya Libnan riferisce citanre che anche Al Jazeera ha riconosciuto che i manifestanti avevano “bruciato il quartier generale del partito Baath e la corte di Dara’a“.

Queste notizie degli eventi a Daraa confermane quanto segue:

1. Questa non era una “protesta pacifica”, come sostenuto dai media occidentali. Molti dei “manifestanti” avevano armi da fuoco e le stavano utilizzando contro la polizia: “La polizia ha aperto il fuoco su manifestanti armati, uccidendone quattro“.

2. Nel numero delle vittime iniziali (Israel News), vi erano più poliziotti che manifestanti uccisi: 7 poliziotti uccisi contro quattro manifestanti. Questo è importante perché suggerisce che le forze di polizia potrebbero essere state inizialmente in inferiorità numerica, di fronte ad una banda armata ben organizzata. Secondo fonti dei media siriani, vi erano anche cecchini sui tetti che sparavano sia alla polizia che ai manifestanti.

Ciò che è chiaro, da questi rapporti iniziali, è che molti dei manifestanti non erano manifestanti, ma dei terroristi coinvolti in atti di assassinio premeditati e di incendio doloso. Il titolo del notiziario israeliani riassume quello che è successo in Siria: sette poliziotti uccisi, Edifici incendiati nelle proteste.

Il “movimento di protesta” di Daraa del 18 marzo, aveva tutte le apparenze di un evento organizzato che comprende, con ogni probabilità, il sostegno segreto ai terroristi islamici dal Mossad e/o dalle intelligence occidentali. Fonti governative indicano il ruolo dei gruppi radicali salafiti (sostenuti da Israele). Altre relazioni hanno sottolineato il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento del movimento di protesta.

Ciò che si è svolto a Daraa, nelle settimane successive agli scontri violenti iniziali del 17-18 marzo, è uno scontro tra la polizia e le forze armate, da un lato, e le unità armate di terroristi e cecchini, dall’altro, che hanno infiltrato il movimento di protesta.

Rapporti indicano che questi terroristi sono integrati dagli islamisti. Non ci sono prove concrete che le organizzazioni islamiste siano dietro i terroristi, e il governo non ha rilasciato informazioni chi siano questi gruppi.

Sia la Fratellanza musulmana siriana (la cui leadership è in esilio in Gran Bretagna) e che il bandito Hizb ut-Tahrir (Partito della Liberazione), tra gli altri, hanno elogiato a parole il movimento di protesta. Hizb ut Tahir (guidato dagli anni ’80 dal siriano Omar Bakri Muhammad) tende a “dominare la scena islamista inglese“, secondo gli affari esteri.

Hizb ut Tahir è anche considerata d’importanza strategica per il servizio segreto della Gran Bretagna MI6. Nel perseguimento degli interessi anglo-statunitensi in Medio Oriente e nell’Asia centrale (Is Hizb-ut-Tahrir another project of British MI6? – State of Pakistan).

Hizb ut-Tahrir è vietato in Siria

La Siria è un paese arabo laico, una società di tolleranza religiosa, in cui musulmani e cristiani hanno vissuto per diversi secoli in pace. Hizb ut-Tahrir (Partito della Liberazione) è un movimento politico radicale impegnato nella creazione di un califfato islamico. In Siria, il suo obiettivo dichiarato è quello di destabilizzare lo Stato laico.

Dalla fine della guerra sovietico-afgana, le agenzie di intelligence occidentali e il Mossad d’Israele hanno costantemente utilizzato varie organizzazioni terroristiche islamiste come “attività di intelligence“.

Sia Washington che il suo indefettibile alleato britannico hanno fornito sostegno segreto ai “terroristi islamici” in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Libia, ecc. come mezzo per innescare conflitti etnici, violenze settarie e instabilità politica.

Il movimento di protesta organizzato in Siria è modellato su quello della Libia. L’insurrezione in Libia orientale è integrata dal Gruppo combattente islamico in Libia (LIFG) che è supportato dall’MI6 e dalla CIA.

L’obiettivo finale del movimento di protesta della Siria, attraverso la menzogna e le manipolazioni dei media, è quello di creare divisioni all’interno della società siriana e giustificare un eventuale “intervento umanitario”.

Insurrezione armata in Siria

Una insurrezione armata integrata dagli islamisti e sostenuto segretamente dall’intelligence occidentale, è centrale per la comprensione di quanto sta avvenendo sul terreno.

L’esistenza dell’insurrezione armata non è menzionata dai media occidentali. Se dovesse essere riconosciuta e analizzata, la nostra comprensione dello svolgimento degli eventi sarebbe completamente diversa.

Ciò che è citato abbondantemente è che le forze armate e la polizia sono coinvolte nell’uccisione indiscriminata di manifestanti. Il dispiegamento delle forze armate, compresi i tank, a Daraa, è diretta contro una insurrezione armata organizzata, che opera nella città di confine a partire dal 17-18 marzo. Le vittime che sono state segnalate comprendono anche poliziotti e soldati uccisi.

Con amara ironia, i media occidentali riconoscono che poliziotti e soldati sono morti, pur negando l’esistenza di una insurrezione armata. La questione chiave è come fanno i media a spiegare questi soldati e poliziotti morti?

Senza prove, le relazioni suggeriscono autorevolmente che la polizia sta sparando contro i soldati e viceversa, i soldati sparano sulla polizia. In un rapporto del 29 aprile, Al Jazeera descriveva Daraa come “una città sotto assedio“.

Carri armati e truppe controllano tutte le strade. Dentro la città, i negozi sono chiusi e nessuno osa camminare per le strade una volta affollate dal mercato, oggi trasformate in zona di tiro dei cecchini sui tetti. Incapace di schiacciare il popolo che per primo ha osato sollevarsi contro di lui – né con la polizia segreta, i teppisti pagati o le forze speciali dei militari della divisione di suo fratello – il presidente Bashar al-Assad ha inviato migliaia di soldati siriani e con le loro armi pesanti a Deraa, per un’operazione che il regime vuole che nessuno al mondo veda. Anche se quasi tutti i canali di comunicazione con Deraa sono stati tagliati, tra cui il servizio mobile giordano che raggiunge la città appena oltre il confine, Al Jazeera ha raccolto testimonianze di prima mano della vita all’interno della città, dai residenti che l’hanno appena lasciato, o da testimoni oculari che, all’interno, sono stati in grado di sforare l’area del blackout. Il quadro che emerge è di una mortale e tetra zona di sicurezza, diretta dalle azioni della polizia segreta e dei loro cecchini sui tetti, in cui soldati e manifestanti allo stesso modo vengono uccisi o feriti, in cui delle crepe emergono nel campo militare stesso, e in cui si crea il grande caos che il regime utilizza per giustificare la sua escalation della repressione.” (Daraa, a City under Siege, IPS/Al Jazeera, 29 aprile 2011)

Il servizio di Al Jazeera sfiora l’assurdo. Leggete attentamente. “Carri armati e truppe controllano tutte le strade per e da Daraa”, “migliaia di soldati siriani con le loro armi pesanti, sono a Daraa”.

Questa situazione ha prevalso per diverse settimane. Questo significa che i manifestanti in buona fede che non sono già dentro, non possono entrare a Daraa. Le persone che vivono in città sono nelle loro case: “nessuno osa passeggiare per le strade…“.

Se nessuno osa passeggiare per le strade dove sono i manifestanti? Chi c’è per le strade? Secondo Al Jazeera, i manifestanti sono in strada insieme ai soldati, ed entrambi, i manifestanti ed i soldati, sono stati colpiti da “da poliziotti dei serivizi segreti in borghese“, da “teppisti pagati” e cecchini sponsorizzato dal governo.

L’impressione lasciata nel rapporto è che queste vittime sono attribuite alla lotta intestina tra la polizia e l’esercito. Ma il rapporto dice anche che i soldati (“migliaia”) controllano tutte le strade dentro e fuori la città, ma essi vengono presi di mira dai tetti da poliziotti in borghese dei servizi segreti.

Lo scopo di questa rete di inganni mediatici, delle chiare invenzioni totali – in cui i soldati sono uccisi dalla polizia e dai “cecchini governo” – è quello di negare l’esistenza di gruppi armati terroristici.

Questi ultimi sono integrati da cecchini e “terroristi in borghese” che sparano contro la polizia, le forze armate siriane e i residenti locali. Questi non sono atti spontanei di terrore, sono attacchi accuratamente pianificati e coordinati.

Nei recenti sviluppi, secondo un rapporto Xinhua (30 aprile 2011), “gruppi terroristici armati” “hanno attaccato le aree destinata ai militari” nella provincia di Daraa, “uccidendo un sergente e ferendone due“.

Mentre il governo ha la responsabilità pesante per la sua cattiva gestione delle operazioni militari di polizia, compresa la morte di civili, le relazioni confermano che i gruppi armati terroristici avevano anche aperto il fuoco sui manifestanti e i residenti locali.

Le vittime vengono poi attribuite alle forze armate e alla polizia, e il governo di Bashar Al Assad viene interpretato dalla “comunità internazionale” come il responsabile che ha ordinato le innumerevoli atrocità.

Il fatto della questione è che i giornalisti stranieri sono banditi dall’interno della Siria, al punto che molte delle informazioni, tra cui il numero delle vittime, è ottenuto dai resoconti non verificati dei “testimoni“. E’ nell’interesse dell’alleanza USA-NATO ritrarre gli avvenimenti in Siria come un movimento di protesta pacifico che è stato brutalmente represso da un “regime dittatoriale“.

Il governo siriano può essere autocratico. Non è certo un modello di democrazia, ma non lo è neanche l’amministrazione statunitense, che è caratterizzato da corruzione dilagante, deroga alle libertà civili ai sensi della legislazione Patriot, dalla legalizzazione della tortura, per non parlare delle sue “sanguinose guerre umanitarie“: “Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO hanno, oltre alla Sesta Flotta USA e alle attività militari dell’Active Endeavor della NATO dispiegati in modo permanente nel Mediterraneo, aerei da guerra, navi da guerra e sottomarini impegnati nell’aggressione contro la Libia, che possono essere utilizzati contro la Siria con un momento di preavviso.”

Il 27 aprile la Russia e la Cina hanno chiaramente impedito agli USA e i loro alleati della NATO, di sostenere un equivalente della risoluzione 1973 contro la Siria, nel Consiglio di Sicurezza, con il vice ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Aleksandr Pankin, che affermava che la situazione attuale in Siria “non presenta alcuna minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale“.

La Siria è l’ultima vera partner della Russia nel Mediterraneo e nel mondo arabo e ospita uno delle due basi navali russe all’estero, a Tartus. (L’altra è in Crimea, in Ucraina.)” (Rick Rozoff, Libyan Scenario For Syria: Towards A US-NATO “Humanitarian Intervention” directed against Syria? Global Research, 30 aprile 2011)

Lo scopo finale è quello di innescare la violenza settaria e il caos politico all’interno della Siria, sostenendo velatamente organizzazioni terroristiche islamiche.

Che cosa ci attende?

A più lungo termine, la prospettiva della politica estera degli Stati Uniti è un “cambiamento di regime” e la destabilizzazione della Siria come Stato-nazione indipendente, attraverso o un processo segreto di “democratizzazione” o con mezzi militari.

La Siria è sulla lista degli “stati canaglia“, che sono presi nel mirino di un intervento militare degli Stati Uniti. Come confermato dall’ex comandante generale della NATO, Wesley Clark, “[La] campagna quinquennale [include] … un totale di sette paesi, a partire dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan” (rilevazioni ufficiali del Pentagono dal generale Wesley Clark).

L’obiettivo è quello di indebolire le strutture dello Stato laico, mentre si giustifica un eventuale “intervento umanitario” sponsorizzato dall’ONU. Quest’ultimo, in prima istanza, potrebbe assumere la forma di un embargo rafforzato sul paese (comprese le sanzioni), nonché il congelamento dei beni siriani in banche ed istituzioni finanziarie estere.

Mentre un intervento militare USA-NATO nel futuro immediato sembra altamente improbabile, la Siria è comunque sulla tabella di marcia militare del Pentagono, vale a dire, una eventuale guerra contro la Siria è prevista, sia da Washington che da Tel Aviv.

Se dovesse accadere, in futuro, essa porterebbe ad una escalation. Israele sarebbe inevitabilmente coinvolta. Tutto il Medio Oriente e la regione dell’Asia centrale, dal Mediterraneo orientale al confine cinese-afghano, s’incendierebbe.

*Michel Chossudovsky è vincitore di premi letterari, professore di economia (emerito) presso l’Università di Ottawa, direttore del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione (CRG) e redattore di globalresearch.ca. E’ autore de La globalizzazione della povertà e il Nuovo Ordine Mondiale (2003) e di “War on Terrorism” (2005). E’ anche partner dell’Enciclopedia Britannica. I suoi scritti sono stati pubblicati in più di venti lingue. Ha trascorso un mese in Siria, ai primi del 2011.


Stregoni ed ayatollah. Tira una brutta aria a Teheran
di Simone Santini - www.clarissa.it - 8 Maggio 2011

E’ scontro al calor bianco ai vertici della Repubblica islamica dell’Iran. Non più tra riformisti e conservatori, come in seguito alle contestatissime elezioni presidenziali del 2009, ora è una battaglia tutta interna al campo conservatore tra la fazione laica e “rivoluzionaria” del presidente Ahmadinejad e quella clericale tradizionalista della Guida spirituale Ali Khamenei e del presidente del Parlamento Ali Larijani.

Lo scontro istituzionale procede in realtà già da alcuni anni, talvolta sotto traccia, ma ora è uscito definitivamente allo scoperto. Sono due concezioni dello stato che vanno a deflagrare.

Ahmadinejad sta cercando di condurre la Repubblica verso un sistema presidenziale islamico, sganciandolo sempre più dalla tutela dei religiosi e dal precetto del velayat e faqih, reintrodotto da Khomeini con la rivoluzione, secondo cui spetta al giureconsulto islamico, incarnato dalla Guida spirituale, dirigere gli affari politici della nazione.

L’uomo al centro di questa contesa ideologica e politica si chiama Esfandiar Rahim Mashai. È il più stretto collaboratore del presidente, per taluni il “Rasputin” dell’esecutivo, un’amicizia fraterna con Ahmadinejad cementata quando erano compagni d’armi sul fronte della sanguinosa guerra Iran/Iraq negli anni ’80, poi sfociata in parentela (la figlia di Ahmadinejad ha sposato il figlio di Mashai).

Mashai è probabilmente il personaggio più controverso dell’establishment iraniano. Criticato più volte, soprattutto dai vertici religiosi, per il suo stile di vita non adeguato, per le dichiarazioni controverse, per le visioni politiche.

Fondamentalmente Mashai vorrebbe fondare la Repubblica islamica sul recupero della civiltà tradizionale persiana, di cui l’Islam è una componente, ma non l’unica fonte di ispirazione delle cariche pubbliche. Il concetto appare dirompente perché va direttamente ad intaccare le posizioni di potere dei “turbanti”, della casta degli ayatollah, Guida suprema in testa.

Dopo la rielezione del 2009, Ahmadinejad aveva presentato una compagine ministeriale in cui Mashai compariva come suo primo vice. Ci fu una levata di scudi e il consuocero del presidente fu costretto a rinunciare alla carica. Ma Ahmadinejad lo nominò allora Capo dello staff, ovvero il suo più stretto collaboratore, benché privo di una carica istituzionale.

Lo scorso 9 aprile sono cominciati gli scricchiolii. A sorpresa Mashai lasciava la sua carica, sostituito da un uomo a lui vicino, Hamid Baqaei. Era il preludio dello scontro. Una decina di giorni dopo Ahmadinejad licenziava infatti il ministro dell’Intelligence, Heidar Moslehi, uomo vicinissimo a Khamenei, il quale immediatamente ne rifiutava le dimissioni ripristinandolo nel suo ruolo. Per quasi due settimane il presidente disertava il Consiglio dei Ministri, quasi una sfida diretta a Khamenei. Finché era costretto a cedere.

Il primo maggio, dopo aver presieduto il Consiglio, dichiarava: “Dico a coloro che in questi ultimi giorni hanno cercato di insinuare divergenze tra le massime autorità dell’Iran: nessuno può negare le diversità di opinioni, ma quando si tratta di salvaguardare i traguardi della Rivoluzione islamica e gli interessi nazionali siamo tutti uniti”. E dopo aver ringraziato Khamenei per il suo sostegno, gli ribadiva che il “governo è completamente sottomesso” alla Guida (così riportato dalla Radiotelevisione iraniana IRIB) .

Il giorno precedente il Parlamento aveva invitato Ahmadinejad a ripristinare la sua normale attività per “porre fine a una situazione che fa il gioco dei nemici” mentre lo stesso Khamenei aveva chiesto di evitare scontri istituzionali.

Ma l’atto di sottomissione di Ahmadinejad non è bastato a scongiurare il successivo regolamento di conti. Il 5 maggio il quotidiano britannico The Guardian rilanciava alcune voci provenienti da Teheran.

Alcuni collaboratori del presidente sarebbero stati arrestati con l’accusa davvero sorprendente di horafat, niente meno che stregoneria, ovvero incitamento alla superstizione. Sarebbero infatti dei “maghi” che pretendono di invocare spiriti.

Tra gli arrestati ci sarebbero Abbas Ghaffari, considerato “un uomo con poteri speciali nel campo della matafisica e di avere legami con l’ignoto”, Abbas Amirifar, un religioso responsabile della preghiera e delle attività culturali dell’entourage presidenziale, nonché alcuni giornalisti di un nuovo quotidiano appena lanciato da Esfandiar Mashai. In un primo momento sembrava che lo stesso Mashai fosse stato arrestato, ma la notizia non ha in seguito avuto conferma.

L’accusa di stregoneria ha in realtà profondissime implicazioni teologiche ed ideologiche. Il gruppo preso di mira è stato infatti l’ispiratore di un film documentario che sta avendo molto successo in Iran e che preconizza il prossimo vicino avvento del dodicesimo Imam, l’Imam nascosto della tradizione sciita.

Secondo le credenze, il dodicesimo Imam entrò nel IX secolo, per volere divino, in uno stato di occultamento per sfuggire alle persecuzioni dei califfi omayadi fedeli alla dottrina sunnita.

Il dodicesimo Imam, il Mahdi, tornerà alla fine dei tempi per impartire il giudizio universale, in una visione messianica non dissimile dalla tradizione ebraica e cristiana.

Ahmadinejad si è sempre distinto per la venerazione della figura del Mahdi e per essersi più volte detto convinto del suo imminente avvento. Anzi, Ahmadinejad e Mashai sarebbero una sorta di apostoli del Mahdi, la cui opera mira a favorirne e celebrarne il ritorno.

Dal punto di vista politico, di nuovo, una vicinanza diretta col dodicesimo Imam svincola dalla tutela dei religiosi tradizionali, la cui opera di interpretazione della dottrina e conseguente supervisione negli affari pubblici risulta così minata.

Non a caso gli ayatollah tradizionalisti negano si possa prevedere la venuta del Mahdi e considerano superstizione (stregoneria) qualunque manifestazione atta a provocarne, accelerarne, pronosticarne l’avvento.

Ma sulle contese spirituali potrebbe aver avuto un peso anche una decisione politica molto più prosaica. Ahmadinejad ha annunciato l’intenzione di presentare alle prossime elezioni legislative della primavera 2012 propri candidati in tutti i collegi, in contrapposizione ai canditati dello schieramento conservatore tradizionalista, che ha attualmente la maggioranza in Parlamento.

Sarebbe la prova generale per lanciare il suo delfino, Rahim Esfandiar Mashai, alla corsa presidenziale del 2013. Ciò che il clero tradizionale vuole evitare ad ogni costo.



Il destino dei bambini di Fukushima
di Joe Giambrone - www.counterpunch.org - 3 Maggio 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCO CAVALLONE

Una donna al quarto mese di gravidanza è stata contaminata con il cesio radioattivo; la concentrazione di cesio nella madre (0.91kBq/kg bw) era simile a quello del neonato (0.97kBq/kg bw). (1)

I bambini della Bielorussia, dell’Ucraina e di alcune regioni della Russia ci mostrano cosa bisogna aspettarsi da una grave contaminazione da radiazioni come quella che sta avvenendo in Giappone.

Le radiazioni colpiscono i giovani in maniera più violenta degli adulti, che vengono comunque menomati dalla contaminazione.

La radioattività causa numerose malattie tra cui tumori terminali e non solo dalle grandi quantità iniziali, ma nel tempo dalle particelle assorbite all’interno del corpo.

Un importante consulente nucleare del Primo Ministro giapponese, il professore Toshiso Kosako, ha dato le sue dimissioni in segno di protesta contro il governo che ha alzato di venti volte (da 1 mSv/all’anno a 20mSv) il livello di esposizione tollerato per i bambini. Può essere dimostrato che l’industria dell’energia atomica è stata una catastrofe senza precedenti per l’umanità.

Il bielorusso Yury Bandashevsky è uno dei maggiori esperti di contaminazione da radionuclidi. Dalla zona di Chernobyl Bandashevsky ha pubblicato centinaia di studi scientifici e ha studiato la contaminazione radioattiva assorbita dai bambini per decenni.

I genitori del nord del Giappone dovrebbero studiare le raccomandazioni alimentari di Bandashevsky che ha scoperto che la pectina che si trova nelle mele aiuta a rimuovere il cesio radioattivo dal corpo.

Comunque, il cibo e gli animali cresciuti nelle regioni contaminate trasmettono radiazioni alla popolazione per secoli a venire. La dipendenza dei giapponesi dal pesce creerà ben presto un altro shock alla nazione perché i pesci più grandi sono quelli che assorbono la maggior quantità di radiazioni nella catena alimentare.

Gli studi di Bandashevsky hanno evidenziato delle cifre impressionanti sui pericoli di contaminazione interna dalle radiazioni:

“Un livello cronico di cesio che va oltre i 30Bq/kg rispetto al peso del corpo è spesso associato con malattie cardiovascolari gravi.” (2)

Per i bambini con una quantità di cesio oltre i 50 Becquerel/kg rispetto al peso del corpo, “ci saranno malattie patologiche degli organi o dei sistemi vitali” (3). Questi livelli possono produrre malformazioni nei neonati e aumentano il rischio di aborto spontaneo.

Il Center for Disease Control (Centro di controllo delle malattie) americano sostiene che sia il cesio 134 e il cesio 137 emettono raggi beta e gamma, che possono ionizzare le molecole all’interno delle cellule penetrate da queste emissioni e provocano danni ai tessuti e un disturbo della funzione cellulare (4).

Le donne giapponesi in stato di gravidanza devono abbandonare il nord del paese prima possibile per la sicurezza dei loro bambini. I feti sono in pericolo imminente e sono molto più vulnerabili alle radiazioni rispetto agli adulti.

Quanto è vasta la contaminazione al momento in Giappone?

La rivista Nature ha scritto sul suo sito Internet che il suolo a 40 chilometri a nord-ovest dalla centrale contiene ”livelli di cesio 137 pari a 163.000 Bq/kg e iodio 131 pari a 1.170.000 Bq/kg, secondo il Ministro della Scienza giapponese” (5).

Il limite della nuova zona rossa ufficiale è solamente ad un raggio di 30 km dalla centrale. Questo significa che chi vive al di fuori di questa distanza non sarà evacuato al momento e molti non lo saranno mai e torneranno così alla loro vita normale.

Saranno avvelenati per il resto della loro vita solamente dagli isotopi radioattivi che sono incolori, insapori e inodori, mentre il cesio, lo stronzio, lo iodio e altri radionuclidi continueranno a contaminare le forme di vita in quell’ambiente nonostante tutte le false garanzie.

Tracce di plutonio, considerata la sostanza più tossica al mondo, sono state trovate in otto diverse stazioni di controllo in Corea.

La radioattività è un argomento fortemente contestato e controverso. Le numerose prove mediche vengono continuamente ignorate dai maggiori mezzi d’informazione. Al centro della controversia c’è l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.

Molti non sanno che la AIEA ha l’autorità su tutti i problemi di salute che riguardano le radiazioni, sia quelle militari che quelle civili.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità può quindi essere bloccata dall’AIEA nella pubblicazione dei suoi studi sugli incidenti nucleari, come quello di Chernobyl. Questo è quello che è avvenuto nel 1995 sotto il mandato del direttore dell’OMS, Hiroshi Nakajima (6).

Alcuni documentaristi svizzeri hanno scoperto che la conferenza internazionale del 1995 di Nakajima, composta da 700 esperti e medici, ha ricevuto il divieto di pubblicare i suoi studi su Chernobyl dall’AIEA. Il film svizzero “Nuclear Controversies” del 2004 descrive questa battaglia tra i dottori e gli scienziati contro l’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica.

Nakajima descrive l’AIEA in questa maniera: “Hanno l’autorità sulle questioni atomiche sia per uso militare o civile o pacifico. Sono loro che comandano.” (7)

Ciò di cui nessuno vuole discutere è la parola ‘militare’ e il desiderio delle forze armate dell’Occidente di attaccare altri territori con le munizioni all’uranio impoverito. Al momento la NATO sta bombardando la Libia con bombe all’uranio e quindi deve negare che la contaminazione da questo materiale possa nuocere alle popolazioni. Quest’ammissione potrebbe da sola costituire la confessione di aver commesso crimini di guerra e per questo le menzogne continuano ad accavallarsi indisturbate.

Le radiazioni attaccano il DNA e causano malformazioni innaturali, mortalità improvvisa e malattie che persistono per il resto della vita di una persona.

Diversi documentari hanno mostrato gli effetti delle radiazioni sui bambini di Cernobyl tra cui il premio Oscar “Chernobyl Heart” del 2003. Il film mostra immagini strazianti di bambini deformi e di molti ragazzi che hanno tumori alla tiroide o altre malattie alla tiroide. Solo poco più del 20% dei bambini della Bielorussia possono essere considerati sani, secondo studi governativi.

Uno studio ucraino ha rilevato che “per ogni caso di cancro alla tiroide ci sono altre 29 patologie alla stessa ghiandola” (8).

Bandashevsky ha trovato altri effetti sulla salute anche a livelli più bassi di contaminazione da cesio: “L’80% dei bambini con una concentrazione di 5Bq/kg sono sani, mentre lo è solamente il 35% di quelli con una concentrazione di 11Bq/kg.” (9)

“Chernobyl Heart”, “La battaglia di Chernobyl” e “Nuclear Controversies” sono disponibili online per lo streaming. Le prove che le radiazioni distruggono la vita di popolazioni intere sono inconfutabili.

Gli studi ufficiali dell’ONU non sono riusciti a dimostrarlo. L’evidenza del comportamento dell’ONU viene resa manifesta da quello che ha scritto nel rapporto del 2008 dell’UNSCEAR (Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti su Chernobyl):

    Come discusso precedentemente nella sezione sull’attribuzione degli effetti dell’esposizione alle radiazioni, non è possibile dichiarare in maniera scientifica che le radiazioni causano un cancro particolare in un individuo, poiché al momento non esistono biomarcatori per le radiazioni. (10)

Seguendo la loro stessa logica non sarebbe neanche possibile scientificamente escludere che le radiazioni causano i numerosi cancri trovati in regioni altamente contaminate. Invece è esattamente quello che l’ONU ha fatto senza alcuna vergogna in una serie di rapporti che deliberatamente sottostimavano le morti dovute alla catastrofe di Chernobyl.

Mentre l’AIEA rifiuta di accettare le conseguenze mediche della radioattività, riconosce che le radiazioni si sono diffuse dal luogo dell’esplosione nella centrale di Fukushima.

Sono stati rilevate quantità pari a 25 Megabecquerel per metro quadrate di iodio 131 e 3.7 Megabecquerel per metro quadrato di cesio 137 ad una distanza tra i 25 e i 58 chilometri dalla centrale (11).

Questi numeri dovrebbero fare in modo di allestire evacuazioni a distanze molto più grandi rispetto alla zona rossa (da leggersi come zona inabitabile) ufficiale di 30 chilometri.

Essere di fronte a questa realtà potrebbe rendere una gran parte del Giappone una terra deserta con costi economici oltre le aspettative. Il numero di rifugiati potrebbe superare quello che il governo può gestire. L’assoluta insensatezza dell’energia atomica potrebbe diventare un fatto inevitabile per il mondo intero.

Tutte le esposizioni alle radiazioni aumentano i rischi di cancro e non esiste una dose sicura. Questo è ciò che viene scritto dalla National Academy of Sciences (12), dall’EPA (Environmetal Protection Agency) (13), dall’NRC (Nuclear Regulatory Commission) (14), dal CDC (Centers for Disease Control) (15) e da altri.

Quindi, quando una popolazione è esposta a un aumento di particelle radioattive, una certa percentuale di persone e animali sarà colpita in maniera negativa, è difficile determinare il numero esatto e le stime vengono fatte per estrapolazione.

Chris Busby , usando gli studi europei dopo Chernobyl, ha predetto 400 mila casi di cancro per la popolazione che vive entro 200 chilometri da Fukushima (16), includendo la periferia di Tokyo. I cancri includono quello alla tiroide, al pancreas, alla prostata, ai polmoni, alla pelle, alle ossa e la leucemia e qualsiasi altro tipo di cancro che esiste. Questo è quello che causano le radiazioni agli organismi viventi.

Le prove sono chiare. I bambini che vivono nelle ”regioni contaminate in un raggio di 250 -300 chilometri da Chernobyl mostrano un aumento nelle mutazioni.” (17) Dal 1987 al 2004 “l’incidenza di tumori al cervello nei bambini sotto i tre anni è raddoppiata e negli infanti del 7.5." (18).

Migliaia di studi svolti in Russia, Ucraina, Bielorussia e nelle nazioni circostanti sono stati analizzati nel 2009 da Alexey Yablokov e da Vassily e Alexey Nesterenko. Il risultato di queste ricerche, Chernobyl, le conseguenze della catastrofe per le persone e per l’ambiente (19), è stato pubblicato dalla New York Academy of Sciences e cita cinquemila diverse ricerche.

Il 40 per cento dell’Europa ha ricevuto radiazioni significative. La radioattività si è diffusa in tutto l’emisfero settentrionale dove continua tutt’oggi a colpire la salute umana.

Le regioni più contaminate mostrano grandi devastazioni direttamente collegate ai livelli di radiazione. La provincia di Gomel in Bielorussia aveva il 90% di bambini sani nel 1985, l’anno prima del disastro. Nel 2005 “poco più del 10% dei bambini potevano essere considerati in salute.” (20) Gli effetti sono direttamente collegati ai livelli di contaminazione, eliminando altri possibili fattori.

Sono cresciuti in maniera esponenziale i casi di rare deformità nei neonati. Diverse malformazioni congenite ”quali la polidattilia, organi interni deformati, arti assenti o deformi e ritardi nella crescita sono aumentati in maniera significativa nelle regioni contaminate. […] Le malformazioni congenite ufficialmente registrate sono cresciute di 5,7 volte durante i primi 12 anni dopo la catastrofe.” (21)

Questo è quello che i genitori del nord del Giappone devono aspettarsi se decidono di rimanere in quella zona. Questo è quello che la spinta verso l’energia atomica ha lasciato in eredità alle prossime generazioni che vivranno vicino le zone contaminate.

La metodologia AIEA ha mostrato dei difetti evidenti nel conteggio delle vittime post-Chernobyl. Le nascite di bambini morti non sono assolutamente state conteggiate. La realtà è che fino al 2004 “il numero totale stimato di aborti e parti di bambini morti in Ucraina come risultato di Chernobyl era di circa 50 mila.” (22).

Questi sono cinquantamila morti nella sola Ucraina che non meritano neanche una menzione nel “calcolo delle morti” dell’ONU.

Quanti sono realmente morti a causa del disastro di Chernobyl?

Il libro di Yablokov/Nesterenko stima la cifra delle morti intorno al milione:

“Quindi la mortalità generale per il periodo da Aprile 1986 alla fine del 2004 a causa della catastrofe di Chernobyl era stimata intorno i 985 mila morti. Questa stima del numero di morti è simile a quella di Gofman (1994) e Bertell (2006).” (23)

Tre studi indipendenti sono arrivati alle stesse conclusioni.

L’industria dell’energia atomica oggi in molte nazioni mostra una gran disattenzione per la vita umana arrivando a poterla considerare come un crimine contro l’umanità. Lo Statuto di Roma, seguito dalla Corte Criminale Internazionale, ha aggiunto la seguente categoria ai crimini contro l’umanità:

(k) Altre azioni disumane di simile carattere che causano intenzionalmente grande sofferenza o infortuni seri al corpo o alla mente o alla salute fisica.

Poiché tutte le centrali nucleari regolarmente scaricano particelle pericolose radioattive, che tutti i governi ammettono essere pericolose, il caso è molto chiaro. L’energia nucleare deve essere abolita fintanto che ci rimane abbastanza terra coltivabile per poter vivere.

In un senso strettamente morale, queste centrali mettono in pericolo milioni di altri bambini, forse 12 mila generazioni che devono ancora nascere (24). La produzione d’energia nucleare ci mette a rischio di malattie invalidanti. Questa è una violazione deliberata dei diritti di milioni di esseri umani.

Il plutonio rimane un pericolo per le future generazioni. Questa imprudenza, il rilascio incontrollato di isotopi radioattivi, ha inquinato la Terra. I giapponesi devono ricordare le persone in Bielorussia; le nascite anomale di bambini “le cui madri vivono in zone contaminate è due volte più alto che quello delle madri che vivono in zone non contaminate.” (25).


NOTE:

1. Organizzazione mondiale della salute, International Agency for Research on Cancer, Monographs on the Evaluatiion of Carcinogenic Risks to Humans, Vol. 78 Ionizing Radiation Part 2: Some Internally Depostited Radionuclides, 2001, IARCPress, Lyon France, p. 343.

2. Yuri Bandazhevsky, Chronic Cs-137 incorporation in children 's organs, 488 SWISS MED WKLY, 2003; 133:488–490 · www.smw.ch (peer reviewed), Official journal of, the Swiss Society of Infectious disease the Swiss Society of Internal Medicine, Swiss Respiratory Society

3., 17., 24. The Chernobyl Catastrophe and Health Care, By Dr. Michel Fernex, Professor emeritus, Medical Faculty of Basel, F-68480 Biederthal, France. 4. Center for Disease Control Publication p157-c2, CESIUM, 2. RELEVANCE TO PUBLIC HEALTH, CDC website.

5. Nature Journal Online, Radioactivity Spreads in Japan, March 29 2011, http://www.nature.com/news/2011/110329/full/471555a.html

6. Nuclear Controversies, 2004, Swiss TV, Film by Wladimir Tchertkoff, Feldat Film Switzerland.

7. id.

8. Consequences of the Catastrophe for People and the Environment, Alexey V. Yablokov, Vassily B. Nesterenko, Alexey V. Nesterenko, 2009, Annals of the New York Academy of Sciences, Vol.1181.

9. V.B. Nesterenko's report at the International conference "Medical Consequences of the Chernobyl Catastrophe: results of 15-year researches", June 4-8, 2001, Kiev, Ukraine.

10. SOURCES AND EFFECTS OF IONIZING RADIATION, United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation UNSCEAR 2008 Report to the General Assembly with Scientific Annexes, VOLUME II Annex D Health effects due to radiation from the Chernobyl accident

11. IAEA website, Fukushima Nuclear Accident Update Log, March 30, 2011, http://www.iaea.org/newscenter/news/2011/fukushima300311.html 12. National Academy of Sciences, 2006, Health Risks from Exposure to Low Levels of Ionizing Radiation: BEIR VII Phase 2. http://www.nap.edu/openbook.php?record_id=11340&page=1#

13. EPA website, Radiation Risks and Realities, "The more radiation dose a person receives, the greater the chance of developing cancer… Current evidence suggests that any exposure to radiation poses some risk, however, risks at very low exposure levels have not been definitively demonstrated." ["very low" not defined –JG] www.epa.gov/radiation/docs/402-k-07-006.pdf

14. NRC website, Fact Sheet on Biological Effects of Radiation, "This dose-response hypothesis suggests that any increase in dose, no matter how small, results in an incremental increase in risk." http://www.nrc.gov/reading-rm/doc-collections/fact-sheets/bio-effects-radiation.html

15. Center for Disease Control website, Prenatal Radiation Exposure: A Fact Sheet for Physicians, "However, the human embryo and fetus are particularly sensitive to ionizing radiation, and the health consequences of exposure can be severe, even at radiation doses too low to immediately affect the mother. Such consequences can include growth retardation, malformations, impaired brain function, and cancer."

16. Dr. Chris Busby, Reuters, http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=S0H-mtsdsgg.

17. The Chernobyl Catastrophe and Health Care, By Dr. Michel Fernex, Professor emeritus, Medical Faculty of Basel, F-68480 Biederthal, France.

18. Consequences of the Catastrophe for People and the Environment, Alexey V. Yablokov, Vassily B. Nesterenko, Alexey V. Nesterenko, 2009, Annals of the New York Academy of Sciences, Vol.1181. 19. id.

20. id.

21. id.

22. id.

23. id.

24. Al Jazeera, April 4, 2011, No safe levels' of radiation in Japan by Dahr Jamail, quoting Dr. Kathleen Sullivan.

25. The Chernobyl Catastrophe and Health Care, By Dr. Michel Fernex, Professor emeritus, Medical Faculty of Basel, F-68480 Biederthal, France.


Una Confindustria di assassini e stragisti
di Eugenio Orso - http://pauperclass.myblog.it - 9 Maggio 2011

E’ inutile girare intorno alle questioni, con espressioni ipocrite, eleganti perifrasi o distinguo pelosi, quando sono chiare ed inequivocabili.

Ci sono situazioni in cui è inutilizzabile, come schermo, anche il “politicamente corretto”, e questo è esattamente il caso degli applausi tributati da una platea di confindustria [che da questo momento in poi scriverò, per disprezzo, con l’iniziale minuscola] all’amministratore delegato di Thyssenkrupp, Espenhahn, un assassino condannato a 16 anni e 6 mesi per omicidio volontario, in seguito alla morte di sette operai nello stabilimento di Torino il 7 dicembre del 2007.

Qualsiasi giustificazione si può addurre, davanti alle ovazioni tributate dal consesso di industriali ad un assassino e stragista, nato dalla putrefazione del peggior capitalismo mutante, non è sufficiente, non basta per non farci dire: ecco cos’è veramente confindustria, un covo di sfruttatori e parassiti disposti alla strage, abituati da troppo tempo al caviale dei contributi erogati con i soldi pubblici ed allo champagne del profitto estorto ai lavoratori.

Dietro l’aspetto austero, moderatamente piacente ed elegante di Emma Marcegaglia, si malcela un nido di serpenti, assassini e sfruttatori che si fanno apertamente beffe della sicurezza sul lavoro, degli stessi operai caduti sulle linee di produzione, perché tanto il lavoro è interamente a carico degli altri, e la cosa non li riguarda, se non nel momento di intascare gli utili e di consolidare la loro posizione di privilegio.

La vecchia immagine dell’imprenditore-puttaniere privato usata dai soliti “comunisti” otto-novecenteschi, il quale sfruttava cinicamente i lavoratori, costringendoli ad oltre dieci ore di lavoro giornaliere per la mera sopravvivenza, mentre lui se ne andava tranquillamente a puttane [ieri cocotte ed oggi escort] e si baloccava nel vizio con i frutti del lavoro coatto altrui, oggi ci sembra tornata prepotentemente di moda, quanto mai veritiera ed attuale.

Gli applausi di una platea di assassini e sfruttatori ad un loro complice, condannato ma naturalmente a piede libero – perché i veri assassini in questo sistema non pagano mai, confermano una volta di più che non esiste “il lavoro libero” capitalistico, ma agiscono forme di costrizione che in questa epoca tendono a diventare più stringenti, tanto è vero che un ministro della repubblica, nella persona di Giulio Tremonti, ha dichiarato tempo fa in merito alla sicurezza sul posto di lavoro, dalla legge 626 del 1994 al Testo Unico Sicurezza Lavoro [Decreto legislativo n. 81 del 2008] che avrebbero dovuto garantirla per tutti: “robe come la 626 sono un lusso che non possiamo più permetterci”, perché troppo costosa, una mera zavorra nella competizione globale.

Ma forse è meglio dire, con chiarezza, non ci si può più permettere la sicurezza sul posto di lavoro – accettando come se nulla fosse le morti bianche, quali incidenti collaterali dello “sviluppo economico” – esclusivamente perché limita il profitto intascato dalla stessa platea di assassini e schiavisti che ha applaudito Espenhahn.

Altri ministri in carica [Romani, Calderoli] hanno debolmente condannato, ma senza esagerare nel biasimo, l’atteggiamento benevolo, anzi, apertamente favorevole, di confindustria nei confronti dell’AD pluriomicida di Thyssenkrupp, parlando di “applauso improprio” [Romani] o “fuoriluogo” [Calderoli].

Pur apprezzando la moderata e cauta umanità di questi ministri [Romani e Calderoli] davanti alla sfacciatezza degli assassini che si riconoscono e si applaudono pubblicamente, devo rilevare che l’applauso non è improprio né fuoriluogo, ma rappresenta il più palese riconoscimento che Harald Espenhahn è in tutto e per tutto uno di loro, figlio della stessa logica sistemica e membro della stessa classe, e fa quello che anche loro cercano di fare, per perseguire obbiettivi di puro arricchimento personale, di carriera e di potere vendendo la pelle degli altri, se necessario.

Il rischio d’incendio c’era, alla Thyssenkrupp di Torino, e la cosa era nota alla dirigenza che aveva deciso di continuare la produzione, senza però provvedere alla manutenzione degli impianti, in uno stabilimento in dismissione, tanto che in quel tragico 7 di dicembre del 2007 si poteva dire che le morti erano annunciate, e che potevano essere evitate manutenendo gli impianti ancora in attività.

Anche le condizioni di pulizia dell’ambiente di lavoro, tali da incidere sulla sicurezza, erano in quel caso discutibili, tanto che il giorno dopo l’incidente [8 dicembre 2007] la ditta incaricata delle pulizie che da tempo interveniva “a chiamata”, dovette pulire tutte le linee di produzione, meno l’ultima, quella in cui si era verificata la tragedia, perché posta sotto sequestro giudiziale.

Il risparmio sulla sicurezza e quello sulle stesse pulizie dell’ambiente di lavoro, la rinuncia alla manutenzione degli impianti, che possono costituire un pericolo per l’incolumità fisica dei lavoratori, hanno un solo scopo: alimentare il profitto, la creazione del valore ad esclusivo beneficio dell’”azionista” [l’Investitore], davanti al quale in questo liberalcapitalismo sovrano non c’è etica né legislazione che tenga.

In altre parole, c’è chi si sente al di sopra della legge civile e penale degli stati, riconoscendo soltanto “la legge del mercato” che per lui significa ricchezza e potere e per moltissimi altri sfruttamento, povertà e morte.

Anzi, ai gradi ed ai livelli più alti della scala sociale, i grandi Investitori sono “esenti” anche dalla spietata legge del mercato, che colpisce sempre e soltanto i subordinati, quale strumento di dominazione e sistema di razionamento ed esclusione imposto.

Altro che il vecchio ordigno islamico Bin Laden che si sognava nuovo califfo, ma ormai quasi arrugginito, morto da poco oppure, secondo altre fonti, dieci anni fa … sappiamo bene, qui, in occidente chi e cosa rappresentano il vero pericolo per il nostro futuro!

E’ ora di finirla di parlare di “imprenditori buoni” in contrapposto a quelli “cattivi”, di bere menzogne come quelle della “coesione sociale”, di cercare “concertazioni” che penalizzano sempre e comunque lavoratori e subordinati.

Il nemico sociale va riconosciuto e combattuto senza esclusione di colpi, altrimenti si moltiplicheranno le platee che applaudiranno con esultanza gli stragisti e gli assassini di questo capitalismo, mentre noi saremo condannati in massa ad una nuova, più pesante e più invasiva servitù, a quel punto senza scampo.