venerdì 20 maggio 2011

Dalla primavera araba all'autunno italiota?

Domenica scorsa è partita in Spagna un'ondata di proteste e manifestazioni che si sono svolte in contemporanea in una sessantina di città e che ha preso il nome di Movimento 15 Maggio o Movimento 15-M.

Un movimento i cui aderenti rivendicano "totale autonomia rispetto a qualsiasi partito" e chiedono "più istruzione e meno polizia", rivendicando "il diritto ad indignarsi" davanti "ad una grave crisi economica e politica".

A convocare i ragazzi in piazza è stata la piattaforma Democracia Real Ya!, "Noi abbiamo solo dato il via, adesso sono i cittadini che si sono organizzati".

Gli "indignati" spagnoli sono fermamente intenzionati a continuare con le manifestazioni di protesta, finora del tutto pacifiche. Uno dei loro slogan è infatti: "Noi non ce ne andiamo. Non abbiamo casa e restiamo in piazza".

Succederà qualcosa di simile anche in Italia?

Beh...un inetto governo nazionale, un quadro politico desolante (per usare un eufemismo), il continuo aggravarsi della crisi economica e la galoppante disoccupazione giovanile (e non solo) fanno dire che è una mera questione di tempo.

Ma niente primavera (araba o spagnola che dir si voglia), in Italia di solito è l'autunno che fa primavera...

E d'altronde anche Paolo Mieli ed Enrico Mentana l'hanno chiaramente detto ieri sera ad Annozero senza che nessun altro in studio battesse ciglio.

Neanche Al Gore...


Spagna: migliaia in piazza senza tregua. Prove tecniche di piazza Tahrir anche in Europa?
da www.radiondadurto.org - 18 Maggio 2011

Prove tecniche di piazza Tahrir anche in Europa?

Il suggestivo paragone con il principale teatro egiziano delle lotte antiMubarak, per quanto ancora prematuro, non può non venire in mente osservando quanto accade in decine città della , devastata dalla crisi economica e con un tasso di disoccupazione giovanile che ha pochi eguali nel resto del pur malmesso mondo occidentale.

Denunciando le condizioni di vita sempre più dure create dalla crisi e dai successivi giri di vite decisi dal governo del premier socialista José Luis Zapatero, la disoccupazione oltre il 20%, la ‘collusione’ fra politici e banchieri, e chiedendo un sistema di democrazia partecipativa, a migliaia sono in piazza dallo scorso 15 di maggio. Sono in gran parte giovani lavoratori precari, spesso ora senza lavoro nè prospettive e autoribattezzatisi gli ‘indignados’.

Partita dal web e dalla piattaforma politica Democracia Real Ya, la mobilitazione ha portato per le strade disoccupati/e, precari/e, lavoratori e studenti, in un movimento intergenerazionale e trasversale dal punto di vista sociale e politico.

Cuore di Democracia Real Ya è la contestazione alle “riforme antisociali” con cui Zapatero ha risposto alla crisi, sordo ai bisogni reali della popolazione: casa, lavoro, cultura, salute, educazione.

Cuore della protesta, che chiede esplicitamente “un’uscita sociale al capitalismo”, è Madrid, che ha visto martedì sera una seconda occupazione della centralissima Puerta del Sol, da dove solo ieri mattina i manifestanti erano stati sgomberati con la forza dalla polizia.

I giovani, che si sono autoconvocati a migliaia attraverso le reti sociali del web e che si riconoscono nella piattaforma ‘Democracia Real Ya’, erano stati duramente caricati dalla polizia che tentava di sgomberare la piazza. 24 gli arrestati, di cui cinque minori. Dieci di loro sono attualmente ancora nelle mani della polizia, mentre i rilasciati hanno annunciato di voler denunciare la polizia per falsità e violenze.

Nonostante i numerosi giovani, il movimento “15 – M” ha annunciato di voler restare 24 ore al giorno nella celebre piazza madrilena fino alle elezioni amministrative e regionali di domenica prossima, dove i socialisti sono dati in disarmo. La rabbia della piazza contro le politiche socialiste fa il pari con la paura di un ritorno al potere della destra liberista e reazionaria, incarnata dal Partido Popular.

Per uscire da quest’impasse e da quello che definiscono negli slogan”il finto bipartitismo che non ci rappresenta”, la Puerta del Sol è stata invasa da migliaia di giovani, riuniti in ‘assemblea’, che hanno deciso per un presidio permanente 24 ore al giorno cantando fra l’altro “Non abbiamo casa, restiamo in piazza” e “Se non ci lasciano sognare, non li faremo dormire”. Da Puerta del Sol Mariangela Casalucci

Manifestazioni analoghe si tengono in altre decine di città spagnole, tra cui Valencia, Malaga, Cordoba, Siviglia, A Coruna, Granada (dove tre giovani sono stati arrestati per resistenza) e Barcellona, dove ai giovani si è aggiunta la Federazione degli Inquilini. Proprio da Plaza Catalunya, a Barcellona, sentiamo Flavio Guidi, nostro corrispondente. A lui abbiamo chiesto chi sono le persone in piazza.

(in foto, tratta dal sito di controinformazione kaosenlared.net), da dove solo in mattinata i manifestanti erano stati sgomberati con la forza dalla polizia. I giovani, che si sono nuovamente autoconvocati a migliaia attraverso le reti sociali del web e che si riconoscono nella piattaforma ‘Democracia Real Ya’, sono stati duramente caricati dalla polizia che tentava di sgomberare la piazza.

24 gli arrestati, di cui cinque minori. Dieci di loro sono attualmente ancora nelle mani della polizia, mentre i rilasciati hanno annunciato di voler denunciare la polizia per falsità e violenze.

Nonostante i numerosi giovani feriti, il movimento “15 – M” (da 15 maggio) ha annunciato di voler restare 24 ore al giorno nella celebre piazza madrilena fino alle elezioni amministrative e regionali di domenica prossima. A Puerta del Sol i giovani, riuniti in ‘assemblea’, hanno deciso infatti per un presidio permanente cantando fra l’altro “Non abbiamo casa, restiamo in piazza” e “Se non ci lasciano sognare, non li faremo dormire”.

Nella zona è ancora presente un forte dispositivo di polizia. Manifestazioni in appoggio alla protesta di Madrid sono state convocate in circa 40 città spagnole, tra cui Barcellona.

Da Puerta del Sol, a Madrid, Mariangela Casalucci, insegnante italiana in Spagna.

Da Barcellona invece sentiamo Flavio Guidi, nostro corrispondente dalla Catalogna, per capire chi sono le persone in piazza.

L’aggiornamento dalla capitale con Mayo, dottoranda precaria in scienza della politica all’università di Madrid. Ascolta



Il manifesto della rivolta in Spagna
di Democrácia Real Ja - 19 Maggio 2011
Traduzione per Megachip di Pino Cabras

Manifesto (Cast)

Noi siamo gente comune. Siamo come te: gente che si alza ogni mattina per studiare, per lavorare o per trovare lavoro, gente che ha famiglia e amici. Gente che lavora duramente ogni giorno per vivere e dare un futuro migliore a chi ci circonda.

Alcuni di noi si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Alcuni di noi hanno un'ideologia ben definita, alcuni si definiscono apolitici... Ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale che vediamo intorno a noi. Per la corruzione di politici, imprenditori, banchieri ... Per il senso di impotenza del cittadino comune.

Questa situazione fa male a tutti noi ogni giorno. Ma se tutti ci uniamo, possiamo cambiarla. È tempo di muoversi, è ora costruire insieme una società migliore. Perciò sosteniamo fermamente quanto segue:
  • Le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l’uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone.
  • Ci sono diritti fondamentali che dovrebbero essere al sicuro in queste società: il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all’istruzione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale, e il diritto di consumare i beni necessari a una vita sana e felice.
  • L'attuale funzionamento del nostro sistema economico e di governo non riesce ad affrontare queste priorità e costituisce un ostacolo al progresso dell’umanità.
  • La democrazia parte dal popolo (demos = popolo, cràtos = potere) in modo che il potere debba essere del popolo. Tuttavia in questo paese la maggior parte della classe politica nemmeno ci ascolta. Le sue funzioni dovrebbero consistere nel portare la nostra voce alle istituzioni, facilitando la partecipazione politica dei cittadini attraverso canali diretti e procurando i maggiori benefici alla società in generale, non per arricchirsi e prosperare a nostre spese, mentre si dà cura solo dei dettami dei grandi poteri economici e si aggrappa al potere attraverso una dittatura partitocratica capeggiata dalle inamovibili sigle del partito unico bipartitico del PPSOE.
  • L’ansia e l'accumulazione di potere in poche mani crea disuguaglianza, tensione e ingiustizia, il che porta alla violenza, che noi respingiamo. L’obsoleto e innaturale modello economico vigente blocca la macchina sociale in una spirale che si consuma in se stessa arricchendo i pochi e precipitando nella povertà e nella scarsità il resto. Fino al crollo.
  • La volontà e lo scopo del sistema è l'accumulazione del denaro, che ha la precedenza sull’efficienza e il benessere della società. Sprecando intanto le risorse, distruggendo il pianeta, creando disoccupazione e consumatori infelici.
  • I cittadini fanno parte dell’ingranaggio di una macchina destinata ad arricchire una minoranza che non sa nulla dei nostri bisogni. Siamo anonimi, ma senza di noi tutto questo non esisterebbe, perché noi muoviamo il mondo.
  • Se come società impariamo a non affidare il nostro futuro a un’astratta redditività economica che non si converte mai in un vantaggio della maggioranza, saremo in grado di eliminare gli abusi e le carenze di cui tutti soffriamo.
  • È necessaria una Rivoluzione Etica. Abbiamo messo il denaro al di sopra dell’Essere umano mentre dovremo metterlo al nostro servizio. Siamo persone, non prodotti sul mercato. Io non sono solo quel che compro, perché lo compro e a chi lo compro.

Per tutto quanto sopra, io sono indignato.

Credo di poterlo cambiare.

Credo di poter aiutare.

So che insieme possiamo.

Esci con noi. È un tuo diritto.



Disoccupazione giovanile, protesta sociale e austerità fiscale neoliberista in Spagna. Intervista con Antoni Doménech*
da www.sinpermiso.info - 15 Maggio 2011
Tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Un anno dopo la radicale svolta neoliberista della politica economica del governo di Zapatero, e nel contesto dei dati scioccanti sulla disoccupazione giovanile in Spagna (43%) e delle risposte della società come l'invito a partecipare alle manifestazioni che si terranno in tutte le città spagnole il 15 maggio, il giornalista dell'Agenzia Colpisa, Anderson Carazo, ha intervistato Antoni Domènech per un resoconto sull'economia spagnola e sul fenomeno della disoccupazione giovanile.

Come mai il tasso di disoccupazione giovanile in Spagna è il più alto di tutta l'OCSE? Che cosa è andato storto durante gli anni del 'boom' per avere un tasso di disoccupazione che è attualmente del 40%?

Le cause di questo enorme elevato tasso di disoccupazione giovanile sono molteplici e sono profondamente radicate nel tipo di economia che ha plasmato, in Spagna, il periodo della "transizione democratica".
Quando, per contrastare la situazione attuale, si parla di "anni buoni", si deve ricordare subito che in quegli anni sono stati registrati tassi di crescita del PIL superiori alla media europea, che era fondata in gran parte sulla crescita della bolla immobiliare e dalla crescita non meno sorprendente del debito privato (delle famiglie e delle imprese).
Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, ma che erano già manifeste e a cui nessuno ha mai prestato attenzione.

Per citarne alcune, forse le più importanti:

(1) I salari reali non sono aumentati nel corso del XXI secolo: invece la domanda è stata alimentata dall'indebitamento delle famiglie spagnole grazie al credito a basso costo, che veniva offerto dalle banche spagnole, che a loro volta si indebitavano con le banche straniere (in particolar modo con le tedesche).

(2) Non solo i salari reali non sono aumentati, ma anche la quota della ricchezza percepita dai salariati in rapporto alla ricchezza nazionale non fa fatto altro che precipitare negli ultimi decenni, mentre è aumentata quella destinata ai profitti aziendali e, soprattutto, quella dei guadagni delle rendite e degli speculatori (immobiliaristi, finanzieri, assicurazioni, ecc.)

(3) Mentre l“illusione della ricchezza” generata dall'inflazione dei valori (soprattutto quelli immobiliari) ha stimolato artificialmente la domanda e ha impoverito la lotta sindacale (per quale motivo sostenere delle lotte sindacali se si poteva ottenere credito a basso costo per finanziare l'acquisto di attivi – come la casa – che non facevano altro che salire di quotazione, offrendo così nuove opportunità per ottenere altro credito?), ha anche minato la competitività internazionale dell'economia produttiva spagnola in conseguenza dell'aumento del costo della vita per i lavoratori (il costo spopositato raggiunto dalle abitazioni in Spagna è un componente fondamentale del costo della vita e questo costo, per la competitività, è molto piu importante e decisivo del “costo del fattore lavoro” del quale sono tanto interessati gli economisti neoliberali).

E per farla breve e arrivare alla questione più importante della tua domanda:

(4) L'enorme debito privato in questi ultimi decenni ha permesso il “risanamento” dei conti pubblici su cui si sono basate le politiche più o meno sociali (piu meno che più, va detto) sociali. È una questione puramente contabile: a parità di condizioni nella bilancia commerciale, il debito privato va di pari passo con l'avanzo di bilancio, e al contrario, solo il deficit fa diminuire il debito privato: così funzionano gli stabilizzatori automatici dell'economia.

Quando scoppiò la bolla immobiliare e fu messo a nudo l'enorme volume del debito privato, gli stabilizzatori automatici hanno portato all'aumento del debito pubblico. Le idee di austerità fiscale imposte alla Spagna e altri paesi alla periferia dell'Unione Europea vanno in senso contrario, e non si parla di una verità della teoria economica, ma di una verità semplice contabilità.

Abbiamo passato un anno di queste politiche procicliche suicide, che sono incapaci di riconoscere la causa principale del problema.

E il risultato è già chiaro: il calo della domanda, gli attacchi speculativi sul debito sovrano spagnolo non si sono interrotti (anche perché il continuo calo dell'attività economica e le minori entrate fiscali aggravano i problemi del debito pubblico), le famiglie e le aziende produttive spagnole devono diminuire la propria esposizione debitoria, aumentano i ritardi di pagamento, le procedure di fallimento e gli sfratti, la precarietà del lavoro e la disoccupazione sempre in crescita, con sempre meno sostegni al reddito.

In modo particolare la disoccupazione giovanile: si può vedere come che la tanto decantata "generazione meglio preparata della storia della Spagna" deve guadagnarsi da vivere in Germania, come dovettero fare i loro nonni che hanno sofferto sotto Franco.

Tutti parlano di mobilitazione e di protesta, ma la cittadinanza spagnola rimane immobile. Credi sia possibile una sorta di ribellione sociale?
L'illusione di ricchezza derivata dal "boom" è in gran parte responsabile di tutto questo. Come già osservato nella precedente domanda, la risposta tradizionale alla stagnazione dei salari reali è stata data dai lavoratori e dalle lotte sindacali.

Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, non solo in Spagna, è l'aver imboccato un'altra strada, quella che si può chiamare "neoliberista": la strada dell'indebitamento privato ottenendo credito a basso costo creato dal nulla dalle istituzioni finanziarie private e sostenuto dalle politiche economiche del governo e dall'inflazione dei valori (quello che la stampa specializzata definisce la "bubble economy"): tutto questo ha sostituito gli aumenti dei salari reali come volano per l'aumento della domanda e, allo stesso tempo, ha sbaragliato la lotta sindacale e demolito l'autocooscienza e la solidarietà della popolazione attiva.

È un peccato che i sindacati europei e americani non abbiano capito a pieno questo processo e siano caduti - e continuano a farlo – in una tattica, regressiva e suicida, scegliendo il male minore. Ma il risultato è sotto i nostri occhi: in venti anni il tasso di sindacalizzazione è sceso del 50% nei paesi OCSE, particolarmente nel settore privato.

E ora siamo alla fine di questo processo: anche a costo di affondare l'economia con politiche di austerità fiscali disperatamente procicliche, sembra che le classi dominanti cerchino di approfittare della terribile crisi del tardocapitalismo finanziario - basta vedere il numero di inside job - per dare il colpo finale a quello che rimane delle grandi vittoria dell'antifascismo, che furono Stato Democratico, lo Stato Sociale e lo Stato di Diritto.

La gente comune, come dimostrano tutti i sondaggi, è ben consapevole di tutto questo, sa che la democrazia è stata presa in ostaggio da un'aristocrazia finanziaria internazionale in grado di imporre senza tanti problemi la sua politica ai governi democraticamente eletti, di qualsiasi posizione politica.

Per ragioni che non possiamo approfondire qui (ad esempio, i vasi comunicanti che si sono aperti negli ultimi decenni tra il mondo della politica e dell'economia: si pensi a Aznar, a Felipe Gonzalez, a Pedro Solbes, a Joschka Fischer, ecc.), quella che viene chiamata la "classe politica" si è conformata all'andazzo e ora ha un discredito che non si registrava in Europa dagli anni '20 e '30 del secolo scorso.

Una reazione sociale, prima o poi, ci sarà: non c'è alcun dubbio. Il dubbio da porsi è di capire in cosa consisterà: se in una ferma risposta della maggioranza popolare e democratica con un taglio anticapitalistico, oppure in uno scoppio di odio e di rabbia degli anti-razionalisti e, quindi, da una manipolazione dell'estrema destra xenofoba e delle minoranze nazionaliste.

In quest'ultimo caso, almeno mi auguro che avvengano delle trasformazioni eccezionali nella vita intellettuale, e già si iniziano a vederne i sintomi: torneremmo a a verificare quello che Walter Benjamin scrisse per l'Europa degli anni '30, e cioè che il fascista non è nient'altro che un liberale disposto ad andare fino alle ultime conseguenze del liberalismo (nel senso europeo del termine).

Molti autori parlano di una crisi di civiltà che causerà un cambiamento epocale, crede che sia possibile?
Non solo possibile, è altamente probabile e in un certo modo ineluttabile. Vediamo la differenza con la Grande Depressione degli anni '30: si trattò di una delle più grandi crisi mai viste sofferte dal capitalismo, una crisi economica.

Ora abbiamo una crisi economica capitalistica (una delle tre più grandi della sua storia), ma abbiamo anche una crisi energetica (siamo in una transizione verso una vita economica non basata sui combustibili fossili in via d'esaurimento) e una crisi ambientale senza precedenti, la cui punta più appariscente, ma non l'unica) visibile, ma certamente è il cambiamento climatico in corso.

I prossimi venti o trent'anni saranno cruciali sia per la crisi energetica (saremo costretti a scelte radicali), per la crisi ambientale (in pochi anni, se si continuerà su questa strada, le implicazioni del cambiamento climatico diventeranno irreversibili). Facendo un'analisi di tutto quello che è stato generato dalle forze del tardocapitalismo, l'attuale crisi economica è solo una sciocchezza.

Tutto sommato, le forze dinamiche capitaliste, e la cultura materiale e intellettuale da esse plasmate, sono state un'aberrazione della civiltà. Un'aberrazione che è divenuta socialmente obsoleta, come dimostra il fatto che buona parte dei politici più avveduti nei governi che sono a favore del capitalismo vogliono costringere i capitalisti a fare i capitalisti e a investire nei processi produttivi. Marx, che si accusa molto spesso di “materialismo storico” ha parlato di una possibile fine infausta come conseguenza della sparizione della lotta di classe.

Nessuno può sapere come andrà a finire, ma questa fine infausta potrebbe essere anche peggiore di quello che si era immaginato il vecchio filosofo. La scelta da fare è chiara e perentoria: più capitalismo e barbarie oppure più democrazia, socialismo e civiltà.

*Antoni Domènech è l'editore di Sinpermiso.


Paolo Mieli, la "violenza giusta" e la rivolta italica
di Debora Billi - http://crisis.blogosfere.it - 20 Maggio 2011

Ieri sera, ad Anno Zero, si è sentita la seguente affermazione (vado a memoria):

Quando i cittadini non vengono ascoltati, prima o poi ricorrono alla violenza. E se i pastori sardi o chiunque altro finiscono col ricorrere alla violenza, non si può dar loro la colpa: la colpa è di chi non li ha ascoltati.

Chi ha così discettato sulla "violenza giusta" e sul diritto dei cittadini a rivoltarsi?

Paolo Mieli.

Il personaggio più soporifero e inquadrato e mainstream che abbia mai calcato i patrii studi televisivi. Il giornalista più barboso e predicante e aderente alla vulgata economica che siamo mai stati costretti a sorbirci. Paolo Mieli. Faccio male ad appisolarmi ogni volta che appare, devo ripromettermi di ascoltarlo attentamente d'ora in poi.

Ciò significa comunque che governo, istituzioni e media si aspettano da un momento all'altro una rivolta popolare nel nostro Paese. Anzi, dirò di più: sono in un certo senso stupiti che ancora non sia accaduta, diciamo che siamo abbondantemente oltre la deadline.

Sanno che quel che ci vuole è una piccola miccia, che siano i pastori sardi, le partite IVA, i lattai del Nord o i disoccupati del Sud. Ci andammo vicini con la rivolta dei ricercatori sui tetti e la battaglia di Piazza del Popolo, ma forse era troppo in anticipo sulla tabella prevista.

Perché parlo di tabella? Il solito complottismo? Non saprei.

Ma che i rivoltosi greci siano descritti, com'è accaduto ieri nell'assenso generale (inclusi Feltri e Belpietro!) come fautori una legittima protesta popolare, quando fino a ierlaltro erano dipinti urbi et orbi come black block eversivi e sfasciavetrine, un po' fa pensare.

Stessa cosa per l'annuncio delle rivolte in Spagna, che oggi imperversano in tutta la Rete e fino a ieri erano completamente ignorate.

Figuriamoci se io non sono contenta di un po' di sana ribellione in un Paese che subisce da decenni. Ma non vorrei che finisse con l'essere teleguidata anch'essa, magari da chi spera che il governo Berlusconi venga cacciato a pedate a furor di popolo, e nell'emergenza del casino si debba sostituirlo... con cosa?


Durissimo domani
di Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 18 Maggio 2011

Il futuro di medio termine sarà, con ragionevole certezza, durissimo, e per quasi tutti orribile. E’ tempo di iniziare a pensare alla morte in termini positivi e a come vivere al meglio quanto può restare da vivere decentemente.

Le grandi tendenze evolutive globali, ben al di sopra della capacità di intervento della politica, sono ormai complessivamente chiarissime:

Spostamento di crescenti quote di reddito a) dai produttori di ricchezza (economia reale, imprenditori, tecnici, operai, agricoltori) ai finanzieri-banchieri (economia speculativa); b) dagli operatori in regime di libero mercato ai cartelli monopolisti e monopsonisti che condizionano il mercato da sopra di esso; c) dai piccoli operatori (lavoratori, imprese locali) agli operatori globali (multinazionali, grande distribuzione), che impongono il prezzo sia ai fornitori che ai clienti finali; d) in generale, dal complesso della popolazione a una ristretta élite non tassabile (grazie a: regole contabili Iasp, che consentono di non dichiarare gli utili da creazione di liquidità; canali Euroclear, Clearstream, BIS, BCE, Cayman Islands, Panama, per la movimentazione e l’uso degli utili non dichiarati), e sulla quale non si può quindi agire per una redistribuzione del reddito;

Rafforzamento globale dei monopoli e dei monopsoni (produzione di moneta e credito, energia, materie prime, tecnologia, informazione);

Progressivo annullamento delle classi medie, anche mediante interventi fiscali degli stati in crisi finanziaria (che colpiscono dove possono, cioè il risparmiatore e il lavoratore che ha patrimonio e reddito ma non è abbastanza grosso e forte da sottrarsi al fisco coi mezzi indicati sopra);

Drastico taglio dei servizi sociali e dei pubblici investimenti;

Proletarizzazione e precarizzazione generalizzata delle categorie lavoratrici anche autonome e imprenditoriali;

Delegittimazione della protesta sociale nella nuova visione tipo Marchionne, in cui tutti siamo imprenditori e capitalisti, avendo ciascuno perlomeno le proprie capacità come capitale, sicché è assurdo (folle, antisociale, illegittimo) pensare la politica in termini di conflitto sociale tra lavoratori e capitalisti, e chi soccombe non soccombe alla prevaricazione ma ha un problema da curare, mentre l’unica policy legittima è quella della concorrenza-collaborazione di ognuno nel libero mercato (che però libero non è, essendo manipolato dall’esterno dai monopoli-monopsoni, che, disponendo anche degli strumenti legislativi e governativi, alterano a loro vantaggio i rapporti valore; quindi quella logica è ingannevole);

Tendenziale riduzione del cittadino a puro price-taker senza capacità di contrattazione sia come consumatore che come lavoratore che come fruitore di pubblici servizi;

Capitalismo assoluto, radicale assimilazione del lavoratore alla macchina, con tendenziale abolizione delle tutele sindacali e riduzione dei redditi dei lavoratori al minimo vitale perché, con la globalizzazione (dell’economia, della finanza, del potere), non vi sono più, a differenza che nella II Rivoluzione Industriale, strutture sovrane di potere politico legate a popoli e territori, che, perlomeno per loro bisogno di mantenere il consenso sociale ed elettorale, possano imporre salari più alti; e anche perché il business a cui fare tale imposizione non è più manufatturiero e territorialmente legato (alla fabbrica, alla miniera), ma è finanziario e globalizzato, extraterritoriale (footloose capital), e detta dall’esterno alla politica e al sindacato le sue condizioni (Fiat-Chrysler), potendo liberamente sia trasferirsi nel mondo, che colpire finanziariamente i governi non compiacenti;

Tendenziale divisione rigida della società in una classe oligarchica ristrettissima (power élite, global class) e in un popolino progressivamente omogeneizzato, con ridotte categorie intermedie ed estesa informatizzazione del sistema d monitoraggio e gestione del corpo sociale (tecnologie di controllo sociale sempre più penetranti e incontrastabili);

Sostanziale chiusura di questa struttura alla mobilità verticale ascendente;

Progressivo indebitamento pubblico e privato delle nazioni; conclamata impossibilità di rimborsare il debito pubblico; privatizzazione-monopolizzazione dei beni pubblici e delle funzioni pubbliche, incluse quelle di polizia e militari (contractors) come condizione per ricevere aiuti finanziari (dal FMI, dalla BM, dalla BCE, etc.); le crisi finanziarie degli stati sono usate, e forse anche indotte, per costringere gli stati a vendere assets strategici (es.: Pireo ceduto dalla Grecia a capitale cinese);

Costruzione, mediante legislazione in deroga, di ordinamenti giuridici polizieschi e autocratici (sospensione di garanzie processuali, diritti civili e politici), sottotraccia e paralleli a quelli costituzionali, democratici, garantisti (Patriot Acts), pronti per l’uso quando scoppieranno proteste popolari;

Stati, parlamenti e governi ridotti a ruolo di uomo di paglia, di esecutore poliziesco, e di insolvenza-impotenza finanziaria, data la mancanza di sovranità economica, che è passata a organismi non solidali al territorio e al popolo, autocratici e non democratici, non responsabili, non trasparenti, quali BIS, BCE, FED, BM, FMI, WTO;

Irresistibile forza monetaria della Cina, che, emettendo moneta senza indebitarsi grazie all’esercizio della sovranità monetaria, sta comperando i principali debiti sovrani, miniere, latifondi, assets pregiati, fonti di materie prime, e che da ciò appare come la nuova piattaforma che rimpiazza gli USA come a strumento per governare il mondo in una delicatissima fase in cui c’è da gestire, oltre all’instabilità finanziaria globale, l’esaurimento di risorse fondamentali e la crisi ecologico-demografica (rispetto agli Americani, i Cinesi hanno assai più disciplina e meno inibizioni ad usare la violenza, soprattutto sui non Cinesi).

Non pochi studiosi di macroeconomia, oramai, ravvisano la radice di questi mali nel fatto che il mondo dipende da un cartello di banchieri monopolisti della produzione di quel bene indispensabile che è la liquidità (credito, valuta), i quali lo producono a costo zero (perché senza copertura in valori reali) e lo prestano a interesse composto al resto della società; l’interesse, crescendo nel tempo, sottrae quote crescenti di reddito al resto della società, trasferendole ai predetti monopolisti e producendo una cronica carenza di liquidità, con conseguente stagnazione o recessione economica e crescente indebitamento pubblico e privato, aumento delle tasse, inevitabili defaults, etc..

Nonché necessità di ricorrenti scoppi di bolle finanziarie per distruggere l’eccesso di credito e così ridurre il debito e il peso degli interessi passivi a dimensioni sostenibili (la distruzione del credito in eccesso è organizzata dal sistema bancario in modo che il credito da azzerare venga prima coriandolizzato e cartolarizzato in forme appetibili (alti tassi) e rassicuranti (garanzie collaterali, rassicurazioni bancarie), poi rivenduto a risparmiatori e fondi di investimento e previdenziali, nelle cui tasche viene fatto scoppiare).

Se, però, i popoli, attraverso stati democratici e realmente sovrani, potessero esercitare la sovranità monetaria, dotandosi del denaro necessario a realizzare il pieno impiego dei mezzi di produzione, lo sviluppo sarebbe assicurato e la povertà vinta.

Ma questa è una visione parziale e ingenua, che non tiene conto del fatto che la Terra è un sistema con risorse limitate e limitate capacità di assorbire inquinamento, e che già da tempo la specie umana ha superato il limite di sostenibilità dei consumi e delle emissioni, mentre gli umani si riproducono sempre più velocemente; sicché raccontare che lo sviluppo generalizzato (attraverso un’adeguata alimentazione monetaria, o in qualsiasi altro modo) sia la soluzione, o semplicemente che sia desiderabile, e che si dovrebbe aiutare i popoli poveri a svilupparsi a casa loro, è raccontare una favola.

Forse la più grossa che sia mai stata sognata. Ma si sa: quanto più grosso è il Male, tanto più grossa e folle ha da essere la Favola.