giovedì 5 maggio 2011

Osama update

Non possiamo esimerci dal ritornare ancora sulla barzelletta del 2011, legata a doppio filo alla prossima bancarotta degli Usa.

Quest'ultima invece non è affatto una barzelletta, ma i coglioni a stelle e striscie continuano a festeggiare, ignari...


Fateci vedere chi ha sparato
di Pepe Escobar* - www.atimes.com - 5 Maggio 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Fateci vedere l’eroe delle forze speciali che ha sparato i due colpi su Osama bin Laden – l’uno-due nella testa per essere certi che l’obbiettivo nel mirino se n’é andato – dopo quella ‘sparatoia’ le cui tracce sono virtualmente assenti in quella turpe abitazione di Abbottabad.

Fateci vedere il più grande eroe della moderna storia americana, l’uomo che ha sparato al nemico pubblico numero 1, il più malvagio terrorista nella storia dell’Universo che ha architettato il più spettacolare attacco di tutti i tempi contro gli Stati Uniti.

Fategli fare una sfilata a Ground Zero, nel centro di Manhattan, dategli una sfilza di Purple Hearts virati all'arcobaleno, fatelo entrare a Goldman Sachs, datelo a Oprah (ndt: Winfrey, conduttrice televisiva), a Rush e a Anderson Cooper, fatelo entrare nella Rock'n Roll Hall of Fame.


Se sei un Repubblicano, candidalo alla presidenza; non come Donald "Rosso Malpelo” Trump o Sarah "Posso vedere il Pakistan da casa mia" Palin, lui potrebbe davvero trasformare il Presidente Barack Obama in un danno collaterale. O almeno incoronatelo Segretario della Difesa, supremo approvvigionatore di omicidi mirati, il più mirabile esercizio di diplomazia internazionale.

Parte seconda

Ritorniamo alla scena mozzafiato resa in tutta la sua gloria dall’Alta Definizione, trasmessa in diretta dalla stanza dei bottoni a Washington.

L’eroe, ben equipaggiato, si esalta, è faccia a faccia con il vero Osama bin Laden, disarmato, appena uscito dal letto, intrappolato in una stanza squallida. Non c’è via di fuga: tutto il complesso è stato ‘messo in sicurezza’. Eccoci, è il momento che l’America stava sognando dall’11 settembre del 2001.

Le prove sono già state fatte centinaia di volte prima dell’infinita "guerra al terrore ". La procedura prevede l’immobilizzazione del sospettato, una borsa attorno alla testa, il trasferimento su un elicottero (ce n’erano tre fuori e uno si era appena schiantato), poi verso una base militare e alla fine, in una tuta arancione da lancio, dritti a Guantanamo.

Ora l’eroe è faccia a faccia con l’uomo che ha fatto in modo che la "guerra al terrore" esista. E cosa fa? Non un colpo al braccio, alle gambe o alle ginocchia. Nemmeno una granata che lo stordisce casualmente. Nessun ‘trasbordo straordinario’: e a cosa serve, allora, se non è buono nemmeno per il nemico pubblico numero uno?

L’eroe spara due colpi al fuggiasco, nome in codice ‘Geronimo" (un nativo che ha tradito l’Impero; siamo sempre lì, a parlare dei nativi americani). Così termina la più grande, la più costosa caccia all’uomo mai esistita: non con una raffica, ma con due proiettili d’oro. Il Buono vince sul Cattivo. L’ispettore Callaghan ha eliminato il criminale.

E allora nessuno nel mondo saprà mai niente. Come ‘Geronimo’ è diventato un apparato della CIA e come l’’amicizia’ si è sviluppata durante gli anni ’80. Com’è fuggito da Tora Bora o come il Pentagono lo ha lasciato fuggire. Come ha fatto a trascorrere tutti questi anni in Pakistan, indisturbato. E perché lui ‘ci odiava’.

E, più di ogni altra cosa, come ha architettato l’11 settembre. Quale ramo - o quali rami o individui – della rete d’intelligence degli USA ne era al corrente in anticipo e ha lasciato che accadesse.
Come una marmaglia d’Arabi armati di trincetto e di patetiche abilità al volo ha trasformato i jet in missili e ha distrutto le Torri Gemelle (e anche il WTC 7) e un’ala del massiccio Pentagono.


Chi nel mondo intero non rimarrebbe incollato per mesi al processo più appassionante di tutti i tempi?

Ci sono delle ragioni per credere che le entità – il sistema – che ha realizzato il colpo non sarebbero molto contente di tutto questo.

E allora il verdetto sarà ‘Colpevole’ per (non) aver commesso il fatto e la sua fine, un colpo alla testa. Non è mai stato semplice creare un deserto e chiamarlo ‘giustizia’.

Per quanto riguarda noi altri, passeremo il resto delle nostra vita nelle tenebre.


*Pepe Escobar è l’autore di Globalistan: Come il Mondo Globalizzato Si Sta Dissolvendo In una Guerra Liquida, Nimble Books, 2007 e Red Zone Blues: un’istantanea di Baghdad durante il delirio. Il suo ultimo libro è Obama crea il Globalistan, Nimble Books, 2009.


Tutti pronti per l'Osamaleaks?
di Simone Santini - www.clarissa.it - 4 Maggio 2011

Ciò che mi incuriosisce maggiormente della morte di Bin Laden, in queste ore, non sono gli enormi "asini che volano", come li definisce giustamente Giulietto Chiesa, della ricostruzione ufficiale - stavolta gli sceneggiatori della CIA hanno davvero esagerato con le loro fantasiose teorie della cospirazione - ma piuttosto l'enfasi con cui il mainstream parla della "miniera d'oro" ritrovata in casa Osama.

Ebbene sì, perché l'inafferrabile primula rossa del terrorismo islamico non solo abitava da anni stabilmente nello stesso luogo, così pare, in barba alle più elementari regole di qualunque fuggiasco che non dovrebbe dormire due notti di seguito nello stesso letto, non solo la sua villa-residenza aveva come unico sistema difensivo dei muri di cinta alti alti fino al soffitto (chissà se in cima ci aveva messo pure i cocci di bottiglia anti-intrusione, altro mistero da chiarire), ma addirittura deteneva tranquillamente con sé, a disposizione, i computer con le memorie e centinaia di dischetti contenenti tutti i segreti, ma proprio tutti tutti, della sua fantomatica organizzazione. Ops, sono caduti in mano al nemico, che sfortuna!

Siete pronti, dunque, per gli Osamaleaks? Ne vedremo delle belle, ci si può scommettere. Altro che quel pivello di Julian Assange capace di rivelare solo ciò che qualunque giornaletto nazionale aveva già pubblicato qualche mese o anno prima, magari in un trafiletto, magari a pagina 22 o 23.

Come è stato detto da differenti analisti, la morte di Bin Laden è un cambiamento di fase. E come insegnano alle scuole di drammaturgia hollywoodiane, un cambio di fase (loro lo chiamano turnig point, ovvero punto di svolta) è una chiarificazione e una accelerazione delle dinamiche che si sono fino a quel punto disseminate nel plot. Un punto di svolta non è provocato da una sola linea narrativa, ma ne deve investire il più possibile, meglio se tutte.

Allora ecco che le dinamiche politiche interne statunitensi hanno avuto il loro bel turning point. Obama appannato, sempre apparentemente in ritardo ed indeciso sulla politica internazionale, mezzo mussulmano (e siamo sicuri che sia davvero autenticamente americano?), improvvisamente si trasforma in Capitan America, l'angelo della vendetta, il goleador della squadra vincente: Obama 1 - Osama 0, sarà su tutte le T-Shirt di primavera. "Osama muore e Obama risorge", è uno dei tanti calambour che stanno riempiendo la rete. Un bel viatico per la futura rielezione, senza dubbio.

Ma c'è molto di più. Perché proprio ora, si domanda Thierry Meyssan dalle pagine del suo Voltairenet (1), visto che Osama, presumibilmente, era già morto da dieci anni?

La sua risposta è la seguente: i guerriglieri della rete di Al Qaeda sono già usati, proprio in queste ore, e ormai da settimane, in Libia e Siria quale sostegno delle cosiddette rivoluzioni popolari contro regimi dispotici. Piuttosto imbarazzante.

Ecco però che, anche in questo caso, la morte del capo-brand Osama si rivela un ottimo turning point. Scrive Meyssan: "L'annuncio ufficiale, con circa dieci anni di ritardo, della morte di Osama Bin Laden conclude un ciclo e ne apre uno nuovo.

Il suo personaggio era stato la punta di lancia dell'azione segreta contro l'influenza sovietica e poi russa, il propagatore dello scontro di civiltà dell'11 settembre, aveva finito per essere utilizzato per eliminare la resistenza patriottica in Iraq. Così logorato, il suo nome non era più riciclabile. Ma i suoi combattenti lo sono".

Gli uomini chiave di questo progetto di riconversione sono due: lo sceicco egiziano Youssef Al-Qardawi, propugnatore di un accordo a Il Cairo tra i Fratelli Musulmani e l'esercito, e che dalle tribune di Al-Jazeera chiama le onde arabe, un giorno sì e l'altro pure, a sbarazzarsi di Muhammar Gheddafi e Bashar Assad; e una vecchia conoscenza dell'Occidente, il principe saudita Bandar, uomo di collegamento di qualsivoglia possibile traffico e strategia tra Riyad, Washington e Londra, nonché compagno di merende di Gates, Panetta, Petraeus e soci.

Nel mirino ci sono solo Libia e Siria (e insieme il Libano, il cui destino è intrecciato con Damasco)? Possiamo avanzare altre due o tre ipotesi su cui gli sgocciolamenti degli Osamaleaks potrebbero far gioco e determinare altrettanti turning points.

Il Pakistan. Settori delle Forze armate del paese paiono essere sempre più insofferenti rispetto la presenza militare e di intelligence americana. Bisognerà liquidarli o metterli a tacere in qualche modo. Quali scandalose protezioni in quegli ambienti riveleranno i dischetti dell'ex terrorista numero 1?

Palestina. È proprio di queste ore la notizia della sottoscrizione dell'accordo tra Hamas e al Fatah in vista della possibile proclamazione dello stato di Palestina il prossimo settembre all'Onu e di elezioni per un nuovo governo unificato dei Territori entro un anno.

Ma questo matrimonio non s'ha da fare, ha già detto Netanyahu, perché Hamas "vuole la distruzione di Israele e loda perfino l'arciterrorista Bin Laden" nonostante la sua morte (2). Ma guarda un po'. Non è che scavando bene nelle memorie di qualche Pc non troveremo un bel file intitolato: rapporti Al Qaeda-Hamas?

Per ultimo ma non ultimo, l'Iran. Proprio ieri (3 maggio) il quotidiano Europa (mezzo organo informativo del PD), spettegolando sulle reazioni iraniane alla morte di Bin Laden, scriveva: "Una quantità notevole di membri dell'estesa famiglia Bin Laden si sarebbero però rifugiati in Iran, secondo diverse fonti arabe e occidentali, all'indomani della caduta dei Talebani nel 2001.

Una delle figlie del superterrorista arabo si è presentata all'ambasciata saudita a Teheran sei mesi fa per poi ricongiungersi con i familiari a Damasco. La sorte di diversi altri congiunti di Osama rimane avvolta nel mistero della loro ormai decennale presunta residenza in Iran".

Ucci ucci, non è che Teheran proteggeva i familiari di Osama e magari gli teneva anche in caldo una bomba atomica da affidargli al momento opportuno?

Ma cosa ci sarà in quel dischetto con quel criptico adesivo con su scritto: iranian bomb? Toccherà darci un'occhiata prima o poi.

Venghino siòri, si accomodino. Questa non era che l'anteprima, Guerra 2.0 può cominciare.


Note:


(1) http://www.voltairenet.org/article169714.html
(2) La Stampa, 4 maggio 2011.




La truffa di Bin Laden per espandere il conflitto. I think-tank globalisti stanno costruendo un caso contro il Pakistan
di Tony Cartalucci - http://landdestroyer.blogspot.com - 3 Maggio 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Lo scriba e totalmente disonesto propagandista per la “Fondazione per la Difesa della Democrazia” (FDD) Bill Roggio, che scrive sul "Long War Journal", ha dedicato la sua vita a pubblicizzare la falsissima "Guerra al Terrore”, abbandonando ogni parvenza di obbiettività persino nel nome del suo blog, affiliato all’establishment neoconservatore, che ora sappiamo ufficialmente essere sovvenzionato dal governo.

Il termine "Guerra Lunga" naturalmente
è un parto dell’era Bush e una rassicurazione costante del presidente che avrebbe garantito una “Guerra al Terrore" senza fine.



"La casa di Osama": sembra quasi una casa in rovina di Los Angeles, ma è più probabile che fosse un edificio della CIA che ha ospitato un’esercitazione, causa della morte di una certa quantità di persone ignare. Naturalmente, tutto ciò ha la stessa credibilità dei proclami del governo che si basano su prove photoshoppate, bruciate sul terreno o affondate nel mare.

FDD e il suo doppione, Foreign Policy Initiative – essenzialmente la reincarnazione del Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC) – sono state tra le prime, poco dopo l’annuncio di Obama, a ipotizzare un’implicazione del Pakistan nell’aver ospitato Bin Laden fino alla sua morte. Ma questi annunci si sono solo ultimamente intensificati.

Un recente articolo di Roggio, "
La complicità del Pakistan nell’ospitare Osama bin Laden è evidente", ci propina quello che sembra essere un argomento convincente, ossia che non solo il Pakistan sapesse della presenza di Bin Laden nella città di Abbotabad, il centro della comunità militare e d’intelligence pakistana, ma che è stato anche suo complice per avergli fornito un rifugio. Roggio si prodiga nel ricordare ai lettori le "vaste connessioni con i gruppi terroristi".

Invece di argomentare i motivi per cui era certo che il Pakistan stesse ospitando il ricercato più famoso nella storia del pianeta, Roggio suggerisce che gli Stati Uniti hanno mantenuto l’operazione completamente segreta all’intelligence pakistana fino al suo avvio, e persino allora gli Stati Uniti non avrebbero rilevato il luogo dell’operazione a causa di un’ipotetica mancanza di fiducia.

Senza freni, Roggio glissa su questa carenza logica per mancanza d’immaginazione o per un totale disprezzo verso i propri lettori.

Naturalmente, se Osama Bin Laden era effettivamente a Abbotabad e il Pakistan gli stava fornendo un rifugio, quel complesso non sarebbe stato costantemente sotto sorveglianza? E poi, dopo l’annuncio dell’operazione agli ufficiali pakistani, questi non ne avrebbero dovuto già conoscere l’esatta ubicazione?

La narrativa caracollante di Roggio, come tutta la
stessa truffa di Bin Laden insieme all’intera esistenza dell’FDD e dell’FPI, non ha lo scopo di far progredire la nostra comprensione del mondo, ma piuttosto quella di favorire l’agenda degli interessi guidati dalla finanza che pilotano queste nefaste organizzazioni.

In questo caso, il Pakistan rimane un ostacolo sul cammino di guerra che inizia nel Medio Oriente
con la progettata e finanziata dagli USA "Primavera Araba" e si scaglia contro l’Europa dell’Est, l’Asia Centrale e fino a Mosca e a Pechino.

In Pakistan le tensioni si sono alzate in modo drammatico negli ultimi tempi. I think-tank sovvenzionati dalla finanza delle multinazionali hanno richiesto a alta voce che
il Pakistan venisse letteralmente smembrato in una serie di stati più piccoli per mezzo di un’insurrezione sorretta dagli Stati Uniti nella provincia del Belucistan.

Questa è una risposta diretta alle relazioni sempre più assidue tra Pakistan e Cina e al crescente rifiuto di questi paesi di obbedire agli ordini che servono per la tutela degli interessi americani nella regione.

Lo scriba globalista
Selig Harrison, del Center for International Policy finanziato da Soros, ha pubblicato due articoli sulla cruciale importanza del Pakistan in un contesto geopolitico allargato, suggerendo la strada che potrebbe portare a un "cambio" vantaggioso.

Il pezzo di Harrison del febbraio, "
Belucistan Libero", già nel titolo auspica un altro "movimento per le libertà" studiato e finanziato in modo da fornire un esito favorevole ai padroni della finanza. In modo esplicito, egli chiede di "aiutare i sei milioni d'insorti beluci nel combattere per l’indipendenza dal Pakistan a causa della crescente repressione dell’ISI."

Prosegue nello spiegare gli aspetti positivi di una tale intromissione, affermando che "il Pakistan ha offerto alla Cina la base di Gwadar nel cuore del territorio beluco e, per questo motivo, un Belucistan indipendente servirà agli interessi strategici degli Stati Uniti in aggiunta all’obbiettivo immediato del contenimento delle forze islamiste."

Harrison ha proseguito nel suo richiamo a un rimodellamento del Pakistan parlando delle relazioni tra Cina e Pakistan in un articolo del marzo 2011 dal titolo, "
I Cinesi cercano di fare i simpatici con i pakistani."

Esordisce con l’affermare che "l’influenza in espansione della Cina è una conseguenza naturale e anche accettabile della sua crescente importanza, ma deve avere dei limiti."

E così reitera la sua proposta di un’intromissione extraterritoriale in Pakistan: "Considerando quello che la Cina sta facendo in Pakistan, gli Stati Uniti dovrebbero interpretare un ruolo aggressivo nel sostenere il movimento per l’indipendenza del Belucistan verso il Mare Arabico e lavorare con gli insorti beluci per far allontanare i cinesi dalla loro nascente base navale di Gwadar.

Pechino vuole fare delle incursioni verso Gilgit e il Baltistan in modo da compiere il primo passo nel percorso verso uno sbocco sul Mare Arabico a Gwadar."

Considerando che i ribelli beluci
sono già stati armati e finanziati per innalzare il livello dello scontro in Iran, è più che probabile che simili aiuti siano stati forniti per mettere alle strette il governo pakistano e l’ISI (ndt: sono i servizi segreti pakistani).

Dopo la recente manifestazione di scontento del Pakistan
che ha richiesto agli Stati Uniti di fermare tutte le operazioni dei drone all’interno dei suoi confini, la CIA ha risposto con una serie di attacchi, l’ultimo dei quali ha ucciso almeno 22 persone, tra cui donne e forse bambini, solamente per vessare e esasperare la richiesta del rispetto della sovranità nazionale.

Ora, l’aver trovato 'Osama Bin Laden' nel cuore della comunità militare e d’intelligence pakistana ha la funzione di una chiara minaccia nei confronti del Pakistan, con i cheerleader come Roggio che stanno puntando il dito contro l’ISI per poi lasciarcelo, per far comprendere a noi e agli ufficiali pakistani quale sarà il logico corso degli eventi futuri.

Il Pakistan ha davanti a sé due possibilità: rimanere complice degli Occidentali mentre si avviano a dominare il pianeta a detrimento degli interessi dello stesso Pakistan oppure rendere noto il bluff degli Stati Uniti, un bluff che non hanno modo di tenere a lungo.

Le condizioni di vita nel Pakistan passeranno momenti difficili nel futuro prossimo, indipendentemente da quale decisione verrà presa, dato che la sua posizione è proprio sul punto di convergenza dei disegni dell’Occidente su Iran, Cina e Russia.

Nel frattempo, mentre Washington si mostra alleata dell’India, l’unico proposito di questa relazione è quella di gestire la competizione crescente con la Cina e con tutta l’area centrale e meridionale dell’Asia, India inclusa.

Forse, mentre all’India gli si sta ghiacciando il sangue, non volendo interpretare un ruolo che si opponga a Pakistan e Cina, sarebbe necessaria
un’altra opportuna fuga di notizie da Wikileaks che etichetti il governo indiano come un covo di corrotti per poter generare un bel "movimento anti-corruzione".

Mentre l’India sembra sperare che l’annuncio della morte di Bin Laden
dia finalmente l’opportunità agli Stati Uniti di uscirsene dalla regione, i guerrafondai che hanno iniziato e proseguito il conflitto, tra cui l’FDD, l’FPI e i propagandisti come Bill Roggio, suggeriscono invece che tutto questo servirà solo come stimolo per rimanerci ancora più a lungo e per espandere il raggio delle operazioni.

Forse sarebbe una buona iniziativa che l’India, il Pakistan e la Cina abbandonino tutte insieme questa strategia della tensione che non è utile a nessuno dei loro interessi e espellere l’Occidente una volta per tutte dai propri confini e dalla regione.

In ultima analisi, è giunta l'ora per chiunque di chiedere il rispetto della propria sovranità personale e nazionale all’élite al potere che ha completamente perso la testa.



Altro che Bin Laden, ora Obama pensa al debito
di Vladimiro Giacché - Il Fatto Quotidiano - 5 Maggio 2011

Non appena si è diffusa la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden, i prezzi dei titoli di Stato Usa a 10 anni sono crollati, spingendo molto in alto i rendimenti (cioè gli interessi che il governo degli Stati Uniti paga a chi compra i suoi titoli di Stato).

Venuta meno la minaccia terroristica (ma sarà vero?), anche la domanda di prodotti finanziari “sicuri” diminuisce. Ma quello che è avvenuto è in realtà la spia di problemi strutturali.

Il recente giudizio negativo emesso da Standard & Poor’s sulle prospettive del debito Usa ha reso evidente l’insostenibilità delle politiche di bilancio statunitensi. Con un deficit al 10% del Pil non si va da nessuna parte.

Soprattutto in presenza di un debito pubblico molto superiore al 62 per cento della cifra ufficiale del debito federale.

In quella cifra, infatti, non si tiene conto né delle potenziali perdite sulle società immobiliari garantite dallo Stato, Fannie Mae e Freddie Mac (tra 160 e 600 miliardi), né dei diritti acquisiti su prestazioni sociali future: considerando questi fattori, il debito già oggi sarebbe al 94 per cento del Pil.

Se poi si aggiungesse il debito dei governi locali (come si fa in Europa), la percentuale aumenterebbe di un altro 21%. In termini percentuali siamo poco al di sotto del debito italiano (120%).

Ma quali sono i principali capitoli di spesa del bilancio Usa? Nell’anno fiscale 2010, dei 3.500 miliardi di dollari di uscite, il 20% è andato alle spese militari (694 miliardi di dollari): un record mondiale.

In termini assoluti si tratta della spesa più elevata dalla fine della seconda guerra mondiale: superiore anche ai tempi delle guerre di Corea e del Vietnam. In termini percentuali, si attesta al 5% del Pil, in crescita anche rispetto alla presidenza Bush.

L’altra voce di spesa di maggior rilievo riguarda il welfare. Si tratta di quelli che negli Usa sono definiti entitlement programs, ossia programmi legati a diritti acquisiti: le spese per l’assistenza medica (22% del budget), per la sicurezza sociale (20%) e le indennità di disoccupazione (16%).

Le voci di spesa più controverse sono quelle per l’assistenza sanitaria, estremamente elevate (8.000 dollari per abitante, il triplo della media Ocse) a fronte di risultati deludenti: durata media della vita e quasi tutti gli indicatori di salute al di sotto della media dei paesi Ocse.

Il motivo consiste nel fatto che la sanità negli Usa è privata, anche se per pagare le prestazioni interviene (in parte) lo Stato.

Meno grave, la situazione della sicurezza sociale (pensioni e assistenza sociale), che però dal 2015 sarà in passivo. È difficile capire come queste spese possano essere compresse, soprattutto in presenza di un calo dei redditi medi e di una disoccupazione intorno al 10 per cento.

Ma un fronte d’attacco è già chiaro: i dipendenti pubblici, il 70 per cento dei quali gode di piani pensione a prestazione definita (mentre i dipendenti privati che tuttora ne beneficiano sono appena il 32 per cento).

Nei prossimi anni sarà esercitata una fortissima pressione sulle spese per il welfare: è il concetto stesso di “diritti acquisiti”, qui come in Europa, che ormai è messo apertamente in discussione. Al contrario, anche a giudicare dalla composizione dei tagli alle spese proposti da Obama, le spese militari non sono destinate a ridursi.

Negli Stati Uniti la battaglia contro il welfare è portata avanti dalla destra repubblicana, camuffata da lotta contro l’invadenza dello Stato. Si tratta di un concetto piuttosto curioso in un Paese in cui lo Stato negli ultimi anni è intervenuto nell’economia quasi soltanto come donatore di sangue nei confronti di imprese private in difficoltà: 464 miliardi di dollari per il solo programma Tarp (lanciato dopo il fallimento di Lehman Brothers), 214 dei quali devono ancora rientrare (le banche in genere hanno restituito i soldi ricevuti, non così l’assicurazione Aig, Gm e Chrysler).

Poi c’è il programma di stimoli varato da Obama nel febbraio 2009: altri 177 miliardi di dollari tra incentivi e agevolazioni fiscali, oltre agli acquisti di titoli tossici da parte della Federal Reserve per oltre 1.000 miliardi. Una quota ingente di debito privato è stata quindi accollata al bilancio pubblico.

Il cavallo di battaglia della destra è la lotta contro le tasse. Ma proprio le tasse basse per le imprese e per i cittadini più ricchi sono una componente non trascurabile degli attuali problemi di bilancio degli Stati Uniti.

Le tasse sulle imprese, ad esempio, sono scese dal 22% del totale nel 1965 al 13% del 2005, e sono oggi pari a circa un quarto delle tasse pagate dai cittadini (durante la Grande Depressione il rapporto era di 1 a 1, e durante la seconda guerra mondiale le imprese pagavano il 50% di più).

Il caso della General Electric, che nel 2010 grazie a sgravi e ad attività all’estero non ha pagato un dollaro di tasse negli Stati Uniti, è tutt’altro che un’eccezione.

Quanto agli sgravi di tasse ai ricchi voluti da Bush, Obama per ora ha soltanto dichiarato che non li rinnoverà dopo la fine del 2012. Siamo quindi lontani da un’inversione di tendenza.

E poi c’è la situazione economica. La crescita statunitense negli ultimi due anni è dovuta in gran parte proprio agli stimoli all’economia pagati con l’aumento del debito pubblico, e probabilmente verrà meno con il loro interrompersi. Le imprese sono sedute su 2.000 miliardi di dollari di cassa, ma non investono.

La bilancia commerciale è sempre in deficit. Il mercato immobiliare non si riprende. Poveri e classe media assistono ad un calo dei salari reali. Messo in questi termini, il problema del debito pubblico Usa è irrisolvibile: sia dal lato delle uscite che da quello delle entrate.

Sono quindi probabili minori acquisti del debito Usa da parte di investitori e governi stranieri, che ne detengono attualmente il 46%. Già nelle ultime aste la Federal Reserve ha dovuto comprare fino al 70% dei titoli emessi, ma la cosa – ci ha detto ieri Bernanke – finirà a giugno.

Sarà inevitabile, prima o poi, un aumento degli interessi sui titoli di Stato a lungo termine, con la conseguenza di un aggravamento della situazione debitoria. A quel punto, una crisi del debito statunitense non sarà più fantascienza.



Gli Stati Uniti toccano il minimo con la loro carta di credito

di Eric Margolis* - www.informationclearinghouse.info - 23 Aprile 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Elfons

La settimana scorsa il dollaro è andato ancora più a fondo e l'oro ha toccato i 1.500 dollari l'oncia, spaventando gli investitori e destabilizzando i mercati finanziari. Un'importante agenzia di valutazione ha avvertito che il rating AAA degli Stati Uniti potrebbe essere declassato.

Mentre Roma bruciava, il presidente Obama e il Congresso degli Stati Uniti controllato dai Repubblicani si scambiavano insulti infantili e aria calda. Entrambe le parti si rifiutano di dire agli americani la dolorosa verità: il governo, che sbadigliando ha portato il deficit di bilancio a 1.400 miliardi dollari, ora deve ridurlo per evitare un crollo finanziario. Ciò significherebbe dolore per tutti.

Ma i due partiti politici sono ad un punto morto: i democratici di Obama vogliono aumentare le tasse. I Repubblicani domandano tagli fiscali. Vogliono tagliare sanità, istruzione e welfare, tutte e tre le vacche sacre dei democratici, mentre aumenta la spesa militare e 40 milioni di americani utilizzano gli aiuti alimentari governativi.

Questo dibattito disonesto ignora in gran parte il gorilla di 400 chili che c'è nella stanza: l'esplosione delle spese militari annuali fino a 750-900 milioni di dollari. Alcuni esperti stimano il totale annuo delle spese militari degli Stati Uniti, incluse quelle per l'intelligence, a 1.200 miliardi dollari.

Pochi politici americani osano suggerire un serio taglio sulle spese del Pentagono.

Il 'US National Priorities Project' ('Progetto sulle priorità di bilancio' ndt) stima che nel 2011, su di un dollaro della spesa federale degli Stati Uniti, il 27,4% è destinato al comparto militare, il 21,5% per la salute, il 13,8% per gli interessi sul debito, il 10,9% sulle prestazioni di sicurezza sociale, il 3,5% per l'istruzione e il 23% su tutto il resto.

Nel 2010, la spesa militare degli Stati Uniti ha superato del 50% la media tenuta negli anni della Guerra Fredda, quando l'America ebbe un serio rivale come l'Unione Sovietica. Dal 2000, la spesa militare degli Stati Uniti è cresciuta del 67% (dati al netto dell'inflazione). Ma oggi l'America non ha alcun vero rivale militare.

Gli Stati Uniti raggiungono da soli quasi il 50% delle spese militari mondiali. Aggiungendo gli alleati ricchi in Europa e in Asia, il totale sale all'80%. Eppure gli americani sono incessantemente bombardati da informazioni selvagge che dicono che la loro nazione è in terribile pericolo, l'ultima e la più assurda è che la poverissima Myanmar (ex Birmania) stia costruendo un'arma nucleare. La Cina, con un bilancio militare di solo un decimo di quello statunitense, costituisce l'unica minaccia a cui possono riferirsi in futuro i Repubblicani.

Molti degli americani pensano alla spesa per la 'difesa', anziché chiamarla spesa 'militare'. Questo dà un'impressione del tutto sbagliata che le coste dell'America siano in qualche modo minacciate da un'invasione nemica.

In realtà, il corposo bilancio del Pentagono sorregge il ​​dominio militare degli Stati Uniti sul mondo, con oltre 100 basi oltreoceano, aerei e flotte navali, due guerre, più piccole numerose 'azioni di polizia' in Africa e in Asia, numerosi alleati in affitto e un arsenale nucleare strategico che è almeno il 75% più grande del necessario.

Il presidente George W. Bush ha condotto due guerre, tagliando le tasse e spendendo miliardi in sussidi agricoli e medici senza che il loro finanziamento avvenisse attraverso aumenti delle tasse o tagli alla spesa.

Tali costi sono stati semplicemente caricati sull'enorme debito nazionale degli Stati Uniti. Se i contribuenti americani avessero effettivamente dovuto pagare 1.600 miliardi di dollari per le guerre in Afghanistan e in Iraq, questi conflitti sarebbero finiti rapidamente.

Anche il presidente Lyndon Johnson finanziò la guerra del Vietnam attraverso il debito. Il risultato fu un'ondata di inflazione in tutto il mondo che ebbe bisogno di un decennio per essere superata.

La stessa cosa sta accadendo oggi grazie al dissoluto George Bush che ha raddoppiato la spesa pubblica degli Stati Uniti che, esportando l'inflazione in tutto il mondo, vedono ridursi il valore del dollaro e sono ora costretti a un massiccio ricorso al prestito per finanziare il passivo di bilancio.

Il 'non-pagare per le guerre' di Bush e ora di Obama, i tassi di interesse pericolosamente bassi, la speculazione sulle materie prime e l'economia cinese sempre in fibrillazione stanno alimentando la crescente ondata di inflazione mondiale.

Il tema dei modesti tagli alla 'vacca sacra' della spesa militare è stato timidamente sollevato da politici di entrambe le parti, ma questi hanno il terrore di essere accusati del peccato massimo nell'iperpatriottica politica americana, essendo assolutamente non patriottico il "non sostenere i nostri ragazzi".

Eppure, a meno che il bilancio del Pentagono venga tagliato - forse almeno della metà o più - gli Stati Uniti, pericolosamente sbilanciati con il debito, potrebbero collassare. La storia ha dimostrato varie volte che gli imperi sono più spesso crollati per i problemi finanziari e per il debito che a causa di invasioni.

Ma il sistema di governo americano, dominato da interessi così potenti come il complesso militare-industriale, Wall Street e l'agricoltura, sembra non riuscire a fuggire alla dipendenza nazionale dalla guerra e dal debito.

Come scrive il mio amico Arnaud de Borchgrave, mentre gli USA hanno speso 1.500 miliardi dollari nelle sue guerre in Afghanistan e Iraq, la Cina sta usando i pagamenti degli interessi degli Stati Uniti per farsi degli amici e dei clienti in tutto il mondo.

*Eric S. Margolis è un premiato editorialista internazionale associato. I suoi articoli appaiono sul New York Times, l'International Herald Tribune, il Los Angeles Times, Times di Londra, il Gulfs Times, il Khaleej Times e altri siti di notizie in Asia. www.ericmargolis.com


Una carta giocata al momento giusto
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 4 Maggio 2011

Il generale Fabio Mini: "Giocandosi la carta bin Laden, forse pronta da anni ma 'in scadenza' dopo le rivolte arabe, Obama riguadagna la popolarità perduta, può uscire dall'Afghanistan come vincitore e chiudere la fase storica della guerra al terrorismo"

L'eliminazione di bin Laden offre al presidente Obama la possibilità di uscire dal pantano afgano senza che ciò appaia come una ritirata, una sconfitta, presentandosi anzi come vincitore che può dire 'missione compiuta, ora ce ne possiamo andare'. Generale Fabio Mini*, qual'è la sua valutazione?

Con questa mossa il presidente Obama, che fino a pochi giorni fa era in caduta libera in tutti i sondaggi e apparentemente condannato a una prossima sconfitta elettorale, ha improvvisamente riguadagnato una popolarità e una credibilità immense.

Questo grande successo consente a Obama di rivendicare il conseguimento di un obiettivo che lui stesso aveva posto con grande enfasi nel 2009 enunciando la sua nuova strategia per l'Afghanistan, tutta incentrata su al Qaeda e bin Laden. All'epoca parve a tutti un azzardo incomprensibile.

Ma a posteriori risulta chiaro che il presidente aveva già all'epoca la sicurezza che quell'obiettivo, apparentemente irraggiungibile, era invece acquisibile, o addirittura già acquisito nel senso che Osama forse era già morto. Ora che l'obiettivo fissato è stato raggiunto, Obama può avviare l'uscita dall'Afghanistan dichiarando di aver vinto.

Dal punto di vista della politica estera la tempistica del blitz risulta ideale, giusto a ridosso della scadenza di luglio sull'avvio del ritiro dell'Afghanistan. Ma per una ricaduta massima in politica interna non gli conveniva aspettare la vigila delle prossime elezioni?

Obama ha dovuto eliminare bin Laden adesso perché le rivoluzioni arabe, in cui al Qaeda non gioca alcun ruolo, stanno rendendo il simbolo politico di Osama ininfluente, stavano velocemente mettendo fuori gioco l'asso nella manica che il presidente voleva giocarsi.

Quindi ha scelto di agire prima che la figura di bin Laden perdesse ogni valore politico, finché era ancora politicamente spendibile. Se avesse aspettato, avrebbe eliminato un simbolo ormai scaduto.

L'eliminazione dello 'sceicco del terrore' avviene pochi giorni dopo l'annuncio del cambio ai vertici della sicurezza nazionale americana, con il generale Petraeus alla Cia e Panetta al Pentagono al posto del 'bushiano' Gates. Secondo lei c'è qualche relazione tra le due cose?

L'uscita di scena di bin Laden consente al presidente Obama non solo di chiudere trionfalmente la difficile partita afgana ereditata da Bush, ma anche di concludere la fase storica e politica della guerra al terrorismo.

L'eliminazione del capo di al Qaeda gli offre l'opportunità di voltare pagina e di avviare una nuova fase di politica internazionale meno bellicista, caratterizzata da una maggiore tranquillità internazionale e incentrata proprio sulla gestione di quelle rivoluzioni ed evoluzioni in corso nel mondo arabo nordafricano e mediorientale.

Ma questo richiede anche la chiusura di un ciclo strategico, un mutamento di registro espresso appunto dal cambio ai vertici della sicurezza nazionale: un apparato militare dotato di minor potere e autonomia rispetto all'era Bush, più legato all'intelligence e quindi alla politica.

Il presidente Obama ha dichiarato che con la morte di bin Laden il mondo è più sicuro, ma molti ribattono che al Qaeda non è morta con il suo capo e che il terrorismo internazionale costituisce ancora una minaccia, ragion per cui giudicano inopportuno il disimpegno militare Usa dall'Afghanistan.

Sia sul ritiro dall'Afghanistan che sul cambio di strategia internazionale Obama è destinato a scontrarsi con le resistenze di chi vuole che la guerra al terrorismo continui, di quegli ambienti politici, non solo repubblicani, che vogliono perpetuare il regime del terrore e della paura, di quelle lobby che grazie allo spauracchio di Osama bin Laden e del terrorismo internazionale hanno fatto grandi affari e vogliono continuare a farli.

Sono loro, in America ma anche in Europa, che in queste ore paventano nuovi attacchi terroristici.


* Il generale Fabio Mini ha comandato la missione Nato in Kosovo (Kfor), è stato tra l'altro ufficiale negli Stati Uniti presso la 4º Divisione di Fanteria a Fort Carson (Colorado) e addetto militare a Pechino; ha diretto l'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (Issmi) ed è autore di diversi libri, oltre venti saggi e innumerevoli analisi su questioni militari, strategiche e geopolitiche.


La saga di Obama-Osama
di Giulietto Chiesa - Megachip - 4 Maggio 2011

Cari amici,

rispondo a tutti insieme, appena emerso da una vera e propria aggressione squadristico-radiofonica organizzata contro di me da Radio 24-Il sole 24 ore. Siamo sul filo della caccia alle streghe contro tutti coloro che non credono agli asini che volano.

In realtà questa vicenda mostra molto bene lo stato delle coscienze in occidente. Sono tutti pronti, i giornalisti, a organizzare la guerra, le guerre future. La cecità è davvero impressionante, segno che la lobotomizzazione dei cervelli è già arrivata oltre il livello di guardia.

E i cani da guardia del potere diventano ringhiosi e aggressivi.

Feste per la morte del nemico. Feste tribali. Orwell che domina.

Nessuno che prova imbarazzo a dire cose che non stanno né in cielo né in terra.

Non sappiamo quando è avvenuto, come è avvenuto un evento, ma tutti lo raccontano come chi l'ha inventato ha deciso che debbano farlo.

Giornali raccontano episodi (come quello della donna usata come scudo umano) di cui non hanno alcuna prova, come fossero verità rivelate. Il cadavere scompare e tutti si arrampicano sugli specchi cercando di trovare una spiegazione che non c'è.

Una foto falsificata fa il giro del mondo, intanto che la più grande potenza, mentre uccide, non è capace di dare una foto vera. S'inventa il rifiuto di paesi arabi di accogliere la salma senza che vi sia una sola prova che il governo USA ha fatto questa proposta a qualcuno. Non c'è uno straccio di dichiarazione.

Si dicono cose che vengono smentite dopo qualche ora, ma giornali e tv, che avevano già preso per oro colato la prima versione, accettano subito la seconda versione, giustapponendola alla precedente, anche se sono in contrasto tra loro.

L'hanno ucciso "perchè si era difeso"? L'hanno ucciso per un incidente? Non volevano ucciderlo? Evviva l'hanno ucciso perchè si doveva fare giustizia sommaria (come inneggiano le folle degli iloti nelle piazze d'America e negli studi televisivi di tutto il mondo?

E il cadavere dov'è? L'hanno buttato in mare per rispetto alle norme islamiche? Ma quali norme islamiche? E hanno dovuto fargli fare 1600 chilometri prima di raggiungere il mare?

E i pakistani hanno partecipato? Ma no, non hanno partecipato. Vera la prima, vera la seconda. Tutti applaudono alla prima e alla seconda verità.

Sì, cari amici, tutti questi sono già pronti a fare la guerra.

Nelle strade le cose sono un pò diverse, per ora, ma quando la paura comincerà a salire e il nemico sarà stato preparato per benino, ecco che tutti correranno davanti ai teleschermi per applaudire l'esecrazione del nemico che verrà scelto al momento opportuno.

Prepariamoci a difenderci. E' il miliardo d'oro che scende in guerra contro gli altri cinque miliardi. Noi facciamo parte dei cinque miliardi.