sabato 14 maggio 2011

"Primavera araba" update

Una serie di articoli di aggiornamento sulla situazione nel Vicino e Medio Oriente.


Primavera araba, il punto della situazione
di Christian Elia - Peacereporter - 11 Maggio 2001

Yemen, Siria, Libia e Bahrein: la regione è in fermento

Sono passati quasi cinque mesi da quando, in uno sconosciuto villaggio della Tunisia, è iniziata la più grande mobilitazione popolare che il mondo arabo abbia conosciuto da cinquant'anni a questa parte.

In Egitto e Tunisia sono stati cacciati regimi che governavano da decine di anni. Al Cairo, per ora, resta al potere l'esercito, tra mille tensioni con la società civile che vuole un vero cambiamento.

In Tunisia, invece, il governo nuovo c'è, ma fa una fatica enorme a riprendere il controllo della vita del Paese. In tutti gli altri paesi che succede? Un punto della situazione, per non perdersi nella cronaca, dove tutto è subito superato.

Libia. La domanda del giorno è se il colonnello Gheddafi sia vivo o morto. Nessuno lo sa. Per i ribelli è in fuga, verso una zona del Paese più al riparo dai bombardamenti Nato, per altre fonti è morto come suo figlio.

Il regime libico e l'esercito dei lealisti, per ora, non sbandano, come i ribelli si prodigano a raccontare. Misurata resta stretta in una morsa soffocante, isolata e incastonata tra i due pezzi della Libia smembrata.

L'Alto rappresentante Ue per gli Esteri, Catherine Ashton, ha annunciato oggi la nascita di un ufficio umanitario di Bruxelles a Bengasi. Continua questo gioco del riconoscimento 'di fatto' dei ribelli, senza che si tramuti mai in un riconoscimento politico.

L'Onu chiede il cessate il fuoco, ma lo stallo militare persiste, nell'attesa che la Nato decida di portare fino in fondo il suo intervento militare o che il regime collassi.

Bahrein. Dopo la categoria dei medici (bastonati e arrestati per aver soccorso i dimostranti), è toccato agli insegnanti. In particolare a quelli delle scuole femminili. Secondo al-Jazeera, le forze di sicurezza di Manama hanno condotto diversi raid anche nelle scuole femminili per reprimere le proteste contro il governo.

Permane lo stato d'emergenza decretato, il 15 marzo scorso, dall'emiro al-Khalifa, il giorno dopo l'arrivo di truppe straniere nel Paese per soffocare le manifestazioni di piazza. La misura dovrebbe essere revocata il 1 giugno.

Intanto, dopo che è salita la tensione tra Arabia Saudita e Iran, paladini rispettivamente delle posizioni dei sunniti e degli sciiti nel Paese, l'Iran è stato invitato alle trattative sulla situazione in Bahrein.

Yemen. Secondo fonti dell'opposizione, cecchini hanno colpito a morte due contestatori a Taiz, dove le proteste sono ormai giunte al terzo giorno. Decine di persone sono state ferite da colpi d'arma da fuoco, gas lacrimogeni e dai colpi degli agenti in borghese, secondo fonti mediche della cittadina.

I manifestanti hanno reagito dando fuoco ad un edificio della polizia, hanno detto i residenti.
Le forze di sicurezza di Taiz stanno tentando di liberare il ministero dell'Educazione regionale, bloccato dai contestatori, che si trova a circa duecento chilometri a sud della capitale Sanaa.

Ma i contestatori, invece, hanno esteso il blocco per isolare i servizi pubblici di Taiz e la succursale del ministero del Petrolio. E i residenti, infatti, hanno detto che la città di 540mila abitanti è effettivamente paralizzata. Il presidente yemenita Abdullah Saleh ha respinto un paio di proposte internazionali per rassegnare le dimissioni.

Siria. Le forze di sicurezza siriane cingono d'assedio Homs. Secondo fonti dell'opposizione, sono almeno nove i dimostranti uccisi dall'esercito. Per il governo, due militari sono rimasti uccisi in scontri violenti con esponenti di bande armate che l'esecutivo definisce criminali.

Il presidente Bashar Assad, che rimane al suo posto e denuncia influenze esterne nell'insurrezione del Paese, ha annunciato oggi la formazione della commissione ad hoc che si occuperò di riformare la legge elettorale per aprire la Siria al multipartitismo.

Secondo al-Arabyia, sarebbero stati rilasciati almeno trecento manifestanti arrestati nei giorni scorsi a Banias. La comunità internazionale, secondo l'Alto Rappresentante dell'Ue, lady Ashton, ha annunciato che verranno riviste le sanzioni verso Damasco, ribadendo ancora che per Bruxelles - e Washington - Assad non sarà trattato come Gheddafi.



La guerra in Libia, il potere degli Stati Uniti e il declino del sistema dei petrodollari
di Peter Dale Scott - www.eurasia-rivista.org - 1 Maggio 2011
Traduzione a cura di Alessandro Parodi

L’attuale campagna NATO contro Gheddafi in Libia ha creato molta confusione, sia tra coloro che hanno avviato questa iniziativa inefficace che tra coloro che la osservano. Molte persone di cui solitamente apprezzo il parere vedono tutto ciò come una guerra necessaria contro un antagonista – anche se alcuni hanno scelto di vedere Gheddafi come l’antagonista, mentre altri fanno riferimento ad Obama.

La mia opinione su questa guerra, invece, è che sia mal concepita e pericolosa – una minaccia per gli interessi dei Libici, degli Americani, del Medio Oriente e, potenzialmente, del mondo intero. Dietro al dichiarato timore per l’incolumità dei civili libici vi è una preoccupazione più profonda difficilmente riconoscibile: la difesa occidentale dell’attuale economia globale dei petrodollari, ormai in declino..

La confusione a Washington, combinata con l’assenza di discussione su un motivo strategico di fondo che giustifichi il coinvolgimento degli Stati Uniti, è sintomatica del fatto che il secolo americano sta terminando, e lo sta facendo in un modo che è da un lato prevedibile a lungo termine, dall’altro, contemporaneamente, imprevedibile ed irregolare nei suoi dettagli.

Confusione a Washington e nella NATO

Per quanto riguarda il sollevamento della Libia, le opinioni a Washington spaziano da quella di John McCain, che ha, come sostiene, chiesto alla NATO di fornire “tutti i diretti mezzi di sostegno, ad eccezione di truppe di terra” per rovesciare Gheddafi[1], a quella del membro repubblicano del Congresso Mike Rogers, che ha espresso grande preoccupazione anche sul consegnare armi per un gruppo di combattenti che conosciamo poco[2].

Abbiamo visto la medesima confusione in tutto il Medio Oriente. In Egitto, una coalizione di organizzazioni non governative ha aiutato a preparare la rivoluzione non violenta nel paese, mentre l’ex ambasciatore statunitense Frank Wisner Jr. è andato in Egitto per convincere Mubarak a sedimentarsi al potere. Nel frattempo, in paesi che sono stati di grande interesse per gli Stati Uniti, come la Giordania e lo Yemen, è difficile individuare una coerente politica americana.

Anche nella NATO c’è una certa confusione che rischia a volte di sfociare in aperto conflitto. Dei 28 membri della NATO, solo 14 sono coinvolti nella campagna di Libia, e solo 6 nella guerra aerea. Di questi, solo tre paesi – Stati Uniti,Gran Bretagna e Francia – stanno fornendo supporto tattico aereo ai ribelli a terra.

Nel momento in cui molti paesi membri della NATO hanno congelato i conti bancari di Gheddafi e dei suoi più prossimi sostenitori, gli Stati Uniti, con una mossa poco pubblicizzata e assai dubbia, hanno congelato la totalità dei 30 miliardi di dollari dei fondi del Governo libico cui hanno avuto accesso (si veda sotto per ulteriori dettagli).

La Germania, la nazione più potente nella NATO dopo gli Stati Uniti, si è astenuta dal voto alla risoluzione di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; e il suo ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, da allora ha detto: “Noi non prospettiamo nessuna soluzione militare, bensì una soluzione politica.”[3]

Tale caos non sarebbe stato concepibile nel periodo d’oro del dominio statunitense. Obama sembra paralizzato dal distacco dall’obiettivo dichiarato – la rimozione di Gheddafi dal potere – dei mezzi a sua disposizione, dato il costoso impegno della nazione in due guerre e date le sue priorità di politica interna.

Per capire la confusione di USA e NATO in Libia è necessario tenere conto di altri fenomeni:

• L’allarme lanciato da Standard & Poor circa l’imminente perdita di valore finanziario degli Stati Uniti.

• L’aumento senza precedenti del prezzo dell’oro fino al superamento della soglia di 1.500 dollari l’oncia.

• La situazione di stallo nelle politiche degli Stati Uniti circa il deficit federale e statale, e nella ricerca di una soluzione.

Nel vivo della lotta libica contro quel che rimane dell’egemonia statunitense, e in parte come diretto risultato della confusa strategia degli Stati Uniti in Libia, il costo del petrolio ha raggiunto i 112 dollari al barile. Questo aumento dei prezzi rischia di rallentare o addirittura invertire la barcollante ripresa economica degli Stati Uniti, e mostra una delle molte ragioni per cui la guerra libica non sta favorendo gli interessi nazionali americani.

Fin dall’inizio vi è stata evidente confusione a Washington sulla questione libica, in particolare dal momento in cui il Segretario di Stato Clinton ha sostenuto una no-fly policy, il presidente Obama ha dichiarato di voler prendere in considerazione tale possibilità, mentre il Segretario della Difesa Gates vi si è opposto[4].

Il risultato è stata una serie di misure temporanee, durante la cui attuazione Obama ha giustificato una limitata risposta statunitense ricordando gli onerosi compiti degli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan.

Ciononostante, in una situazione di prevalente stallo nella stessa Libia, sono in vaglio una serie di graduali intensificazioni dell’intervento, dall’aiuto ai ribelli per mezzo di armi, fondi e consulenze all’introduzione di mercenari se non addirittura truppe straniere. Lo scenario degli Stati Uniti inizia ad assomigliare sempre più da vicino a quello del Vietnam, dove ugualmente la guerra è cominciata in scala ridotta con l’introduzione di corpi segreti seguiti da consiglieri militari.

Devo confessare che il 17 marzo io stesso non avevo le idee chiare sulla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che pare aver istituito una no-fly zone in Libia per la protezione dei civili. Ma da quel momento è diventato evidente che la minaccia di Gheddafi contro i ribelli e la sua retorica erano di portata molto minore di quanto si percepisse. Per citare il professor Alan J. Kuperman:

(..) Il Presidente Barack Obama ha grossolanamente sovrastimato il rischio umanitario per giustificare l’azione militare in Libia. Il Presidente ha sostenuto che l’intervento fosse necessario per prevenire un “bagno di sangue” a Bengasi, seconda più grande città della Libia e ultima roccaforte dei ribelli. Ma lo Human Rights Watch ha pubblicato documentazioni su Misurata, terza città della Libia e teatro di scontri prolungati, che rivelano come Muammar Gheddafi non stia cercando di uccidere deliberatamente i civili, ma stia piuttosto mirando attentamente ai ribelli armati che combattono contro il suo governo. La popolazione di Misurata è di circa 400.000 abitanti. In quasi due mesi di guerra, solo 257 persone – combattenti compresi –vi sono morte. Dei 949 feriti, solo 22 – meno del 3% – sono donne. [...] Allo stesso modo Gheddafi non ha mai minacciato un massacro di civili a Bengasi, come ha affermato Obama. L’avvertimento “senza pietà” del 17 Marzo, era indirizzato solo ai ribelli, come è stato riportato nel New York Times , che ha notato che il leader della Libia ha promesso l’amnistia a coloro “che avrebbe gettato le armi”. Gheddafi ha anche offerto ai ribelli una via di scampo aprendo il confine con l’Egitto, in modo da evitare una lotta “dal finale amaro”[5].

La storia degli interventi militari statunitensi in corso in Iraq e Afghanistan suggerisce che dovremmo aspettarci un pesante tributo umano se l’attuale situazione di stallo in Libia si prolungherà o darà luogo a un’ulteriore escalation.

Il ruolo del petrolio e degli interessi finanziari in questa guerra

In American War Machine ho scritto come

Attraverso una dialettica apparentemente inevitabile [...]in alcune delle nazioni di maggior peso una situazione di prosperità ha incoraggiato l’espansione, e l’espansione ha creato all’interno degli Stati dominanti delle disparità nel reddito in crescita[6]. In questo processo lo stesso Stato sovrano è stato modificato, poiché i suoi servizi pubblici sono stati progressivamente impoveriti per rafforzare i dispositivi di sicurezza che favoriscono i pochi ed opprimono i molti.[7]

Così, per molti anni la politica estera dell’Inghilterra in Asia è stata condotta in gran parte dalla Compagnia delle Indie Orientali [...] Allo stesso modo, la compagnia americana Aramco, che rappresenta un consorzio dei giganti del petrolio Esso, Mobil, Socal, e Texaco, ha sostenuto la propria politica di investimenti esteri in Arabia, tramite legami privati con la CIA e l’FBI. [...][8]

In questo modo la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno ereditato politiche che, una volta adottate dagli Stati metropolitani, sono diventate ostili all’ordine e alla sicurezza pubblici.[9]

Nelle ultime fasi della presenza egemonica, si notano interventi sempre più evidenti per il mero interesse personale, che fanno affondare gli sforzi compiuti in passato per creare istituzioni internazionali stabili.

Si consideri il ruolo della cospirazione, detta Jameson Raid, nella Repubblica Boera Sudafricana alla fine del 1895; una spedizione volta a promuovere gli interessi di Cecil Rhodes e che ha contribuito a scatenare la Seconda Guerra Boera inglese.[10] Oppure si pensi al complotto anglo-francese con Israele nel 1956, nell’intento assurdamente vano di mantenere il controllo del Canale di Suez.

Si veda ora la pressante influenza delle major del petrolio come fattore determinante della guarra americana in Vietnam (1961), Afghanistan (2001) e Iraq (2003).[11] Anche se il ruolo delle compagnie petrolifere nel coinvolgimento degli Stati Uniti in Libia resta oscuro, è una virtuale certezza che gli Energy Task Force Meetings di Cheney non riguardassero solo le riserve petrolifere poco conosciute dell’Iraq, ma anche quelle della Libia, che si stima siano di circa 41 miliardi di barili, cioè un terzo di quelle dell’Iraq.[12]

In seguito, alcuni a Washington immaginavano che a una rapida vittoria in Iraq sarebbero seguiti attacchi omologhi contro Libia e Iran. Quattro anni fa, il generale Wesley Clark ha dichiarato a Amy Goodman su Democracy Now che poco dopo l’11 settembre un generale del Pentagono lo ha informato che molti paesi sarebbero stati attaccati dall’esercito degli Stati Uniti.

La lista comprendeva l’Iraq, la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e l’Iran.[13] Nel maggio del 2003 John Gibson, direttore generale dell’Energy Services Group della Halliburton, ha dichiarato in un’intervista all’International Oil Daily: “Ci auguriamo che l’Iraq sarà la prima tessera a cadere, e che la Libia e l’Iran lo seguiranno. Non amiamo essere lasciati fuori dai mercati, perché ciò dà ai nostri concorrenti un vantaggio sleale.”[14]

E ‘anche risaputo che la risoluzione ONU 1973 del 17 marzo, cosiddetta “no-fly”, ha seguito in brevi tempi la minaccia pubblica di Gheddafi del 2 marzo di escludere le compagnie petrolifere occidentali dal mercato della Libia, e il suo invito del 14 marzo alle imprese cinesi, russe e indiane perché usufruissero al loro posto del petrolio libico.[15] Significativamente, la Cina, la Russia e l’India (uniti al loro alleato del BRICS, il Brasile) si sono astenuti riguardo alla Risoluzione ONU 1973.

La questione del petrolio è strettamente collegata con l’andamento del dollaro, perché lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale dipende in gran parte dalla decisione dell’OPEC di utilizzare il dollaro come moneta per gli acquisti di petrolio dall’OPEC. L’economia attuale dei petrodollari si basa su due accordi segreti stipulati con i sauditi negli anni settanta per riciclare petrodollari nell’economia degli Stati Uniti.

Il primo di questi patti assicurava una partecipazione speciale e attiva dell’Arabia Saudita nel benessere del dollaro USA; il secondo garantiva un continuo supporto saudita per la determinazione del prezzo di tutto il petrolio dell’OPEC in dollari. Questi due accordi hanno assicurato che l’economia statunitense non sarebbe stata impoverita all’aumento dei prezzi del petrolio da parte dell’OPEC.

Da quel momento il fardello più pesante ha iniziato quindi a gravare sulle spalle dalle economie dei paesi meno sviluppati, che necessitano di acquistare dollari per rifornirsi di petrolio.[16]

Come ha sottolineato Ellen Brown, prima l’Iraq e poi la Libia hanno deciso di sfidare il sistema dei petrodollari smettendo di vendere il loro petrolio per dollari, poco prima di venire attaccati:

Kenneth Schortgen Jr., scrivendo su Examiner.com , ha osservato che “[s]ei mesi prima che gli Stati Uniti entrassero in Iraq per far cadere Saddam Hussein, la nazione petrolifera aveva compiuto la scelta di accettare euro anziché dollari per il suo petrolio, e questa era divenuta una minaccia per l’egemonia mondiale del dollaro come valuta di riserva e per il predominio dei petrodollari.”

Secondo un articolo russo intitolato “Bombing of Lybia – Punishment for Qaddafi for His Attempt to Refuse US Dollar”, Gheddafi ha fatto, similmente, un passo molto coraggioso: ha avviato un movimento per rifiutare il dollaro e l’euro, e ha invitato i paesi arabi e africani a usare invece un nuova moneta, il dinaro d’oro.

Gheddafi ha suggerito la costituzione di un continente africano unito, i cui 200 milioni di abitanti utilizzino quest’unica moneta comune [...] L’iniziativa è stata percepita negativamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, e il presidente francese Nicolas Sarkozy ha definito la Libia una minaccia per la sicurezza finanziaria del genere umano; ma Gheddafi ha continuato la sua spinta per la creazione di un’Africa unita.

E questo ci riporta all’enigma della banca centrale libica. In un articolo pubblicato sul Market Oracle, Eric Encina ha osservato:

Un fatto raramente menzionato dai politici e dagli esperti della comunicazione occidentali: la Banca Centrale della Libia è al 100% di proprietà dello Stato [...] Al momento, il governo libico produce la propria valuta, il dinaro libico, attraverso i servizi della sua stessa banca centrale. Pochi possono mettere in dubbio che la Libia sia un paese sovrano, date le sue grandi risorse, in grado di sostenere il suo andamento economico. Un problema cruciale per i cartelli bancari globalisti è che per fare affari con la Libia devono passare per la Banca Centrale libica con la sua moneta nazionale, un ambito in cui non hanno assolutamente alcun potere o influenza. Quindi, l’abbattimento della Banca centrale di Libia (BCL) può non apparire nei discorsi di Obama, Cameron e Sarkozy, ma questo obiettivo è certamente al primo posto nell’ordine del giorno globalista di assorbire la Libia nel proprio alveare di nazioni sottomesse. [17]

La Libia non ha solo il petrolio. Stando ai dati IMF, la sua banca centrale possiede nelle proprie camere blindate quasi 144 tonnellate di oro. Con una capitale di tale portata, chi ha bisogno del BIS (Bank of International Settlements), dell’IMF e delle loro regole?[18]

La recente proposta di Gheddafi di introdurre il dinaro d’oro per l’Africa ripropone l’idea di un dinaro d’oro islamico ventilata nel 2003 dal Primo Ministro malesiano Mahatir Mohamad, oltre che da alcuni movimenti islamisti.[19]

Tale intenzione, che contraddice le regole dell’IMF ed è concepita per bypassarle, ha avuto problemi nella sua introduzione. Ma oggi le nazioni che stanno accumulando sempre più oro invece che dollari non sono solo Libia e Iran, ma anche Cina, Russia e India.[20]

La scommessa della Francia per porre fine alle iniziative africane di Gheddafi

L’iniziativa di un attacco aereo è stata presa in primo luogo dalla Francia, che ha ottenuto supporto immediato dalla Gran Bretagna. Se Gheddafi avesse avuto successo nella creazione di un’Unione Africana, sostenuta dalla moneta e dalle riserve d’oro della Libia, la Francia, attualmente il potere economico predominante nella maggior parte delle sue ex colonie in centrafrica, sarebbe la prima a rimetterci.

Per l’appunto un rapporto di Dennis Kucinich in America ha corroborato ciò che ha sostenuto Franco Bechis in Italia, trasmesso da VoltaireNet in Francia, che cioè “i piani per innescare la rivolta di Bengasi sono stati avviati dai servizi di intelligence francesi nel novembre 2010.”[21]

Se l’idea di attaccare la Libia ha origine in Francia, Obama ha sostenuto rapidamente i piani francesi per frustrare l’iniziativa africana di Gheddafi con la sua dichiarazione unilaterale di un’emergenza nazionale, per far sì che venisse congelata l’intera somma di 30 miliardi di dollari della Banca di Libia a cui gli Stati Uniti avevano accesso.

(Questo è stato riportato in maniera fuorviante dalla stampa statunitense come un congelamento dei fondi “del Colonnello Gheddafi, dei suoi figli e della sua famiglia, e dei membri chiave del governo libico.”[22] Ma in realtà la seconda sezione del decreto Obama si riferiva esplicitamente a “tutti i beni e gli interessi [...] del governo della Libia, le sue agenzie, i suoi mezzi, e le entità sotto il suo controllo, oltre alla Banca Centrale di Libia”[23]).

Siccome gli Stati Uniti hanno usato attivamente armi finanziarie negli ultimi anni, il blocco dei 30 miliardi di dollari, “la più grande quantità di sempre ad essere congelata da un ordine di sanzione degli Stati Uniti”, ha un precedente, il blocco, dalla contestabile legalità e dalla certa natura cospiratoria, dei beni iraniani nel 1979 per conto della Chase Manhattan Bank, minacciata dalle iniziative iraniane.[24]

Le conseguenze per l’Africa, come per la Libia, del congelamento dei 30 milioni di dollarI, sono state messe in luce da un’osservatrice Africana:

I 30 milioni di dollari americani congelati da Obama appartengono alla Banca Centrale di Libia ed erano stati contrassegnati come un contributo libico a tre progetti chiave che avrebbero dato il tocco finale alla federazione africana – l’African Investment Bank a Sirte, in Libia, l’istituzione nel 2011 dell’African Monetary Fund, che avrebbe dovuto avere sede a Yaounde con un fondo di 42 milioni di dollari americani, e la Africa Central Bank, con base ad Abuja, in Nigeria, la quale, qualora avesse iniziato a stampare la valuta africana, avrebbe inferto il colpo mortale al franco CFA, con il quale Parigi è stata in grado di mantenere la sua presa su alcuni Stati africani negli ultimi cinquant’anni. È facile intuire il motivo della collera francese contro Gheddafi.[25]

La stessa osservatrice esprime le sue motivazioni per credere che i piani di Gheddafi fossero più positivi di quelli occidentali:

Tutto è cominciato nel 1992, quando 45 nazioni africane hanno fondato il RASCOM (Regional African Satellite Communication Organization) in modo che l’Africa avesse un proprio satellite riuscendo ad abbattere i costi della comunicazione nel continente. Questo nel momento in cui le chiamate telefoniche dirette in Africa o provenienti dal continente erano le più costose al mondo per via della tassa di 500 milioni di dollari americani imposta dall’Europa per l’uso dei suoi satelliti come Intelsat per le conversazioni telefoniche, comprese quelle nazionali.

Un satellite africano avrebbe un costo di soli 400 milioni di dollari americani da spendere una sola volta, e in questo modo il continente non dovrebbe più pagare i 500 milioni di dollari annui di affitto.

Quale banchiere non finanzierebbe un progetto del genere? Ma il problema rimase – come possono degli schiavi, alla ricerca di libertà dallo sfruttamento del proprio padrone, chiedere l’aiuto del padrone stesso per raggiungere tale libertà? Non sorprende quindi che la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, gli USA, l’Europa si siano limitati a fare vaghe promesse per quattordici anni.

Gheddafi ha posto fine ai futili pretesti dei “benefattori” occidentali per i loro esorbitanti tassi d’interesse. La guida libica ha messo sul tavolo 300 milioni di dollari; l’African Development Bank ha aggiunto altri 50 milioni e la west African Development Bank ulteriori 27 milioni – ed è così che l’Africa ha ottenuto il suo primo satellite per le comunicazioni il 26 dicembre 2007.[26]

Non sono nella posizione di corroborare tutto ciò che l’autrice sostiene. Ma, per queste ed altre ragioni, sono convinto che l’azione occidentale in Libia sia stata progettata per smorzare i piani di Gheddafi per un’Africa autenticamente post-coloniale, e non solo le azioni minacciate contro i ribelli a Bengasi.

Conclusioni

Da tutta questa confusione e da tutto questo travisamento concludo che gli Stati Uniti stanno perdendo la loro capacità di rafforzare e mantenere la pace, sia da sé che tramite i loro alleati dichiarati.

Vorrei far notare che, anche se solo per stabilizzare e ridurre i prezzi del greggio, è nell’interesse degli USA unirsi a Ban Ki-Moon e al Papa nel fare pressione per un immediato cessate il fuoco in Libia.

Negoziare una tregua presenterebbe sicuramente dei problemi, ma la probabile alternativa alla conclusione del conflitto è l’incubo di vederlo inesorabilmente crescere. L’America è passata per la medesima situazione con tragiche conseguenze. Non vogliamo vedere simili tragedie, occorse per l’interesse di un ingiusto sistema di petrodollari , i cui giorni sarebbero comunque contati.

A rischio non è soltanto la relazione dell’America con la Libia, ma anche con la China. L’intera Africa è un’area in cui sia le nazioni occidentali che quelle del BRIC si ritroveranno ad investire. Si stima che già solo una Cina affamata di risorse investirà qualcosa come 50 milioni di dollari all’anno dal 2015, un ruolo (fondato sul deficit commerciale degli USA con la Cina) che l’Occidente non può assumere.[27]

Se l’Occidente e l’Oriente sapranno coesistere pacificamente in Africa in futuro, questo dipenderà dalla capacità dell’Occidente di accettare una graduale diminuzione della sua influenza sull’area, senza ricorrere a stratagemmi disonesti (siamo memori dello stratagemma anglofrancese a Suez nel 1956) per mantenerla.

Precedenti transizioni della supremazia globale sono state segnate da guerre, rivoluzioni, o da entrambe contemporaneamente. Il prevalere, in conclusione a due Guerre Mondiali, dell’egemonia americana sul potere imperiale inglese è stata una transizione tra due potenze che erano essenzialmente alleate e culturalmente prossime.

Il mondo intero ha l’importantissima missione di assicurare che la difficile transizione ad un ordine successivo all’egemonia degli USA venga raggiunta in maniera più pacifica possibile.

Articolo originale: The Libyan War, American Power and the Decline of the Petrodollar System, pubblicato il 29 aprile, 2011.

*Peter Dale Scott è dottore in scienze politiche, professore emerito di Letteratura inglese presso l’Università della California (Berkeley) ed ex diplomatico canadese. The Road to 9 / 11 è stato oggetto di una recensione elogiativa da parte del generale dell’aria (5 stelle) Bernard Norlain nella prestigiosa rivista National Defense Magazine, nel numero del marzo 2011.


Note:

[1] “McCain calls for stronger NATO campaign,” monstersandcritics.com, April 22, 2011.

[2] Ed Hornick, “Arming Libyan Rebels: Should U.S. Do It?” CNN, 31 marzo 2011.

[3] “Countries Agree to Try to Transfer Some of Qaddafi’s Assets to Libyan Rebels,” New York Times, 13 aprile 2011.

[4] “President Obama Wants Options as Pentagon Issues Warnings About Libyan No-Fly Zone,” ABC News, 3 marzo 2011. In precedenza, il 25 Febbraio, Gates ha sostenuto che gli USA avrebbero evitato guerre di terra, come quelle combattute in Iraq e Afghanistan, in futuro, ma non avrebbero potuto dimenticare la dura lezione che hanno appreso da queste difficoltà.

“A mio parere, qualunque future segretario alla Difesa che nuovamente suggerisse al president di organizzare un’altra imponente spedizione di terra in Asia o in Medio Oriente dovrebbe essere ‘esaminato da uno psichiatra’ come ha osservato delicatamente il generale MacArthur”, ha detto Gates in una conferenza ai cadetti a West Point” (Los Angeles Times, 25 Febbraio 2011).

[5] Alan J. Kuperman, “False Pretense for War in Libya?” Boston Globe, 14 aprile 2011.

[6] La differenza del reddito in America, come misurato dal coefficiente Gini, è attualmente tra le più alte al mondo, allo stesso livello di Brasile, Messico e Cina. Si veda Phillips, Wealth and Democracy, 38, 103; Greg Palast, Armed Madhouse (New York: Dutton, 2006), 159.

[7] Questo è l’argomento del mio saggio The Road to 9/11, 4–9.

[8] Anthony Cave Brown, Oil, God, and Gold (Boston: Houghton Mifflin, 1999), 213.

[9] Peter Dale Scott, American War Machine: Deep Politics, the CIA Global Drug Connection, and the Road to Afghanistan (Berkeley: University of California Press, 2010), 32. Si potrebbe anche citare l’esperienza della terza repubblica francese e della banca dell’Indocina, o della Compagnia delle Indie Orientali indocinese o olandese..

[10] Elizabeth Longford, Jameson’s Raid: The Prelude to the Boer War (London: Weidenfeld and Nicolson, 1982); The Jameson Raid: a centennial retrospective (Houghton, South Africa: Brenthurst Press, 1996).

[11] I documenti di Wikileaks dell’ottobre e novembre 2002 rivelano che Washington stava instaurando rapporti con alcune compagniepetrolifere prima dell’invasione dell’Iraq, e che il governo inglese ha fatto pressioni perchè la BP fosse inclusa in queste trattative (Paul Bignell, “Secret memos expose link between oil firms and invasion of Iraq,” Independent (London), 19 aprile 2011).

[12] Reuters, 23 marzo 2011.

[13] Saman Mohammadi, “The Humanitarian Empire May Strike Syria Next, Followed By Lebanon And Iran,” OpEdNews.com, 31 marzo 2011.

[14] “Halliburton Eager for Work Across the Mideast,” International Oil Daily, 7 maggio 2003.

[15] “Gaddafi offers Libyan oil production to India, Russia, China,” Agence France-Presse, 14 marzo 2011.

[16] Peter Dale Scott, “Bush’s Deep Reasons for War on Iraq: Oil, Petrodollars, and the OPEC Euro Question”; Peter Dale Scott, Drugs, Oil, and War (Lanham, MD: Rowman & Littlefield, 2003), 41-42: “Da questi sviluppi sono emersi due fenomeni gemelli, inpliciti nell’11 settembre: il trionfale uniteralismo degli USA da un lato, e dall’altro l’indebitamento globale del terzo mondo. I patti segreti hanno aumentato l’interdipendenza tra USA e Arabia Saudita a spese del comitato internazionale che è stato la base della prosperità statunitense fin dalla Seconda Guerra Mondiale.” Cfr. Peter Dale Scott, The Road to 9/11 (Berkeley: University of California Press, 2007), 37.

[17] “Globalists Target 100% State Owned Central Bank of Libya”.

[18] Ellen Brown, “Libya: All About Oil, or All About Banking,” Reader Supported News, 15 aprile 2011.

[19] Peter Dale Scott, “Bush’s Deep Reasons for War on Iraq: Oil, Petrodollars, and the OPEC Euro Question”; cit. “Islamic Gold Dinar Will Minimize Dependency on US Dollar,” Malaysian Times, 19 aprile 2003.

[20] “Gold key to financing Gaddafi struggle,” Financial Times, 21 marzo 2011.

[21] Franco Bechis, “French plans to topple Gaddafi on track since last November,” VoltaireNet, 25 marzo 2011. Cfr. Rep. Dennis J. Kucinich, “November 2010 War Games: ‘Southern Mistral’ Air Attack against Dictatorship in a Fictitious Country called ‘Southland,’” Global Research, 15 aprile 2011; Frankfurter Allgemeine Zeitung, 19 marzo 2011.

[22] New York Times, 27 febbraio 2011.

[23] L’Ordine Esecutivo del 25 febbraio 2011, citando l’International Emergency Economic Powers Act (50 U.S.C. 1701 et seq.) (IEEPA), il National Emergencies Act (50 U.S.C. 1701 et seq.) (NEA), e la sezione 301 del titolo 3 dello United States Code, blocca tutti gli assetti governativi libici, 25 febbraio 2011. L’autorità conferita al Presidente dall’International Emergency Economic Powers Act “può essere esercitata solamente nei riguardi di minacce inusuali e straordinarie, in rispetto al quale è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale secondo i propositi di questo capitolo, e non può essere esercitata per nessun altro proposito” (50 U.S.C. 1701).

[24] “Billions Of Libyan Assets Frozen”, Tropic Post, 8 marzo 2011, (“largest amount”); Peter Dale Scott, The Road to 9/11: Wealth, Empire, and the Future of America (Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 2007), 80-89 (Iranian assets).

[25] “Letter from an African Woman, Not Libyan, On Qaddafi Contribution to Continent-wide African Progress , Oggetto: ASSOCIAZIONE CASA AFRICA LA LIBIA DI GHEDDAFI HA OFFERTO A TUTTA L’AFRICA LA PRIMA RIVOLUZIONE DEI TEMPI MODERNI,” Vermont Commons, 21 aprile 2011. Cfr. Manlio Dinucci, “Financial Heist of the Century: Confiscating Libya’s Sovereign Wealth Funds (SWF),” Global Research, 24 aprile 2011.

[26] Ibid. Cfr. “The Inauguration of the African Satellite Control Center,” Libya Times, 28 settembre 2009; Jean-Paul Pougala, “The lies behind the West’s war on Libya,” Pambazuka.org, 14 aprile 2011.

[27] Leslie Hook, “China’s future in Africa, after Libya,” blogs.ft.com, 4 marzo 2011 ($50 billion). Il deficit commercial degli USA con la Cina nel 2010 ha toccato I 273 miliardi di dollari.

Fonte: Mondialisation.ca , 1 maggio 2011


La guerra dei media in Libia. Giustificare la guerra con le bugie e le macchinazioni
di Mahdi Darius Nazemroaya - http://globalresearch.ca/ - 2 Maggio 2011
Tradotto per
www.comedonchisciotte.org da Supervice

Il presente articolo esaminerà gli eventi che hanno portato alla guerra della NATO in Libia. Il travisamento da parte dei media e la disinformazione hanno giocato un ruolo fondamentale nell'aprire le porte della guerra nel Nord Africa. I mezzi di comunicazione non hanno fatto altro che creare una giustificazione per il conflitto con una lunga serie di menzogne. La violenza di Bengasi

L’epicentro iniziale della violenza in Libia è stato Bengasi, che si trova nell’interno della regione costiera della Cirenaica o Barqa.[1] Secondo le fonti del Governo USA:

La sera dell’11 febbraio [2011] le […] dimostrazioni sono iniziate quando alcune centinaia di persone si sono riunite davanti al quartier generale della polizia a Bengasi per protestare l’arresto dell’avvocato e attivista per i diritti umani Fethi Tarbel. All’avvicinarsi del 17 febbraio [2011], il “giorno della rabbia”, le proteste sono aumentate a Bengasi e in altre città nonostante i tentativi di dispersione dei dimostranti da parte delle forze di polizia con cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e manganelli. Ci sono stati diversi resoconti sui dimostranti che hanno appiccato il fuoco nelle caserme della polizia e in altri edifici governativi.[2]
La bufera è scoppiata a Bengasi dopo che un gruppo di manifestanti è entrato in una caserma per prelevarne le armi. In quest’occasione, le forze libiche della guarnigione del posto hanno reagito, sparando sui dimostranti. Da quel momento, la situazione a Bengasi si è fatta più pesante e le cose sono andate fuori controllo.

È questo il momento giusto per prendere una pausa. È proprio su questo punto che abbiamo bisogno di un’analisi critica. Ci sono due modi di analizzare gli eventi di Bengasi. Uno viene dalla prospettiva di un rivoluzionario e l’altro dalla prospettiva dello Stato e dei suoi soldati. Se ci togliamo di dosso tutti i pregiudizi, entrambi i punti di vista hanno le loro ragioni.

Deve esser fatto presente che le autorità libiche per anni hanno oppresso le opposizioni politiche e che la gente ha il diritto di resistere alla tirannia [3]. Dall’altro lato, deve essere compreso che in ogni paese, compresi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, i soldati e le forze di sicurezza sparano alla folla se un edificio militare o della polizia viene attaccato con l’intenzione di prelevarne le armi [4]. In questo senso gli eventi in Libia sono fondamentalmente diversi da quelli dell’Egitto.

Il punto non è legittimare il fatto che i soldati e le forze di sicurezza abbiano aperto il fuoco, ma piuttosto che i governi che hanno accusato Tripoli sono ipocriti. Questi stessi governi avrebbero risposto nella stessa maniera.

Non c’è alcun monopolio della violenza al livello dello stato. Il massacro alla Kent State University del 4 maggio del 1970, quando i pacifici manifestanti contro la guerra in Ohio furono uccisi dalla Guardia Nazionale, è una prova di questo.

Basta vedere le reazioni della Casa Bianca, di Londra e dell’Unione Europea nei confronti delle atrocità del Bahrein contro una popolazione civile disarmata che stava lottando per il rispetto di diritti elementari per vedere quanto siano falsi i loro atteggiamenti e le loro lacrime di coccodrillo. Sono gli Stati Uniti che hanno suggerito agli Al-Sauds di intervenire militarmente in Bahrein e di sopprimere militarmente il popolo del Bahrein.

Il Doppio Standard su Libia e Bahrein e sulle altre dittature arabe

In Egitto, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno richiesto una moderazione ai dimostranti e al regime di Mubarak e hanno suggerito a entrambe le parti di negoziare con l’altra.

Le richieste di moderazione erano un’ipocrisia totale. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno chiesto di abbassare i toni a entrambe le parti anche se i manifestati in Egitto erano disarmati e pacifici e il regime di Mubarak era la parte che stava usando la violenza oltre ad essere l’unica armata.

Le richieste di moderazione dovevano essere rivolte solo al regime egiziano e non ai dimostranti disarmati. I casi di Bahrein e Tunisia sono in quest’aspetto simili.

Un’attitudine totalmente differente è stata applicata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea in Libia rispetto a quella usata con Tunisia, Egitto, Bahrein, Oman, Yemen, Giordania, Marocco, Arabia Saudita e con la corrotta Autorità Palestinese.

Non sono state applicate sanzioni contro le autorità in Bahrein da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea quando le forze armate del Bahrein senza alcun avvertimento hanno attaccato in modo sfrontato i manifestanti in Manama’s Pearl Square.

I manifestanti del Bahrein erano completamente pacifici, ma questo non ha fermato gli Al-Khalifa al potere dall’ordinare di sparare a altezza uomo nel mezzo dei dimostranti.

In Bahrein un clima di terrore è stato scatenato dagli Al-Khalifa e dagli Al-Saud sulla gente comune che viene praticamente ignorata dall’Unione Europea e da Washington. Un’intera popolazione è stata sistematicamente terrorizzata da una famiglia al potere odiata, non voluta e imposta dall’estero.

Gli ospedali e i bambini sono stati brutalmente attaccati. I medici e i capi del sindacato sono stati uccisi. Le moschee sono state rase al suolo e un’intera popolazione è stata arrestata. Il Bahrein è una seconda Palestina.

Ironicamente, gli Al-Khalifa sono stati ringraziati da Washington, dalla NATO e dai leader dell’Unione Europea per essersi uniti alla coalizione contro i Libici. Il regime degli Al-Khalifa è stato portato ad esempio da Stati Uniti e Unione Europea come un modello di governo arabo.

In uno spudorato atto di ipocrisia, i regimi dei petrosceiccati arabi, che hanno avanzato una richiesta alla Lega Araba per una no-fly zone sulla Libia, sono stati presentati come sovrintendenti e rappresentanti delle masse arabe da Hillary Clinton e dai leader dell’Unione Europea [5].

Come possono essere rappresentativi delle popolazioni arabe, delle scelte arabe o anche dell’opinione pubblica araba? Gli emiri arabi del Golfo (Khaliji) sono agli antipodi di una rappresentazione popolare.

In realtà questi sceiccati arabi sono composti da individui che fanno quello che vogliono e non sono rappresentativi della propria cittadinanza sotto nessun punto di vista.

È quindi completamente disonesto e bifronte da parte di Hillary Clinton, Monsieur Sarkozy e David Cameron il presentare questi sceiccati arabi come rappresentativi della gente e delle posizioni arabe. Questi despoti non sono rappresentativi dei sentimenti dell’essere arabi, rappresentano solamente sé stessi e reprimono i veri sentimenti arabi.

In contrasto alle condanne verbali e alle sanzioni contro la Libia, non sono stati presi provvedimenti alcuni contro gli Al-Khalifa in Bahrein. Mentre venivano fabbricate le false dichiarazioni degli attacchi portati dai jet contro i civili libici, la prova di raffiche indiscriminate contro i manifestanti – anche dalle camionette – sono state verificate da una ripresa video dall’interno del Bahrein e da gruppi per i diritti umani. Le reazioni verso il Bahrein e la Libia e i resoconti del media verso questi due paesi arabi sono stati diametralmente opposti.

Doppio Standard verso i Mercenari

La gran parte delle forze usate da Al-Khalifa in Bahrein sono stranieri e mercenari e includono personale dalla Giordana e dall’Arabia Saudita. Come menzionato prima, gli Al-Sauds hanno persino inviato rinforzi militari in Bahrein per soffocare le proteste civili. C’è un’enfasi sistematica e esagerata sugli stranieri mercenari di Gheddafi.

L’uso dei mercenari stranieri è stato evidenziato in qualche modo dai media? La risposta è no.

Per di più, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e i loro alleati non hanno una base morale da cui poter criticare Tripoli per l’uso dei mercenari. Tutte queste potenze usano e impiegano apertamente mercenari, molto più della Libia, con il nome di private contractors o security firms.

La Gran Bretagna ha persino un’enorme brigata di mercenari, la Brigata di Gurkhas, che addirittura si addestra con le forze armate degli Stati Uniti.

La Legione Straniera francese è anche lei un gruppo di soldati stranieri assoldati da Parigi. Washington stessa è la più grande utilizzatrice di mercenari e di cacciatori di taglie di tutto il pianeta.

Questa è anche la ragione per cui la sesta sezione della risoluzione 1970 delle sanzioni delle Nazioni Unite (Pace e Sicurezza in Africa) emessa contro Tripoli dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite previene in modo specifico che i mercenari da paesi che non sono firmatari dell’International Criminal Court (I.C.C.) possano essere perseguiti penalmente [6].

Inoltre, tutto ciò è collegato all’intenzione di Gran Bretagna e Stati Uniti che hanno progettato di inviare in Libia un’armata di mercenari per prendere parte alle future operazioni di terra. L’Articolo 6 della Risoluzione 1970 afferma:

Stabilisce che ufficiali nazionali, in servizio o non, o il personale di uno Stato al di fuori dei soldati della Jamahiriya Araba Libica che non è firmatario dello Statuto di Roma della Corte Criminale Internazionale sia soggetto all’esclusiva giurisdizione di quello Stato per i presunti atti o omissioni verificatesi in seguito alle operazioni nella Jamahiriya Araba Libica stabilite o autorizzate dal Consiglio, senza che questa esclusiva giurisdizione sia stata espressamente richiesta dallo Stato[…]. [7]

Il Daily Telegraph in Gran Bretagna è anche evidenziato in una notizia a commento che riporta come il doppio standard sia applicato sotto il nome di giustizia internazionale e umanitarismo:

Il paragrafo chiave dice che chiunque di un paese non ICC si suppone abbia commesso un delitto in Libia sarà “soggetto all’esclusiva giurisdizione” del proprio paese. È stato aggiunto malgrado Susan Rice, l’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, stesse dicendo che tutti quelli “che massacreranno i civili” ne saranno “considerati responsabili personalmente”.

Parlando ai reporter fuori della camera del Consiglio, Gerard Araud, l’ambasciatore di Francia alle Nazioni Unite, ha descritto il paragrafo come “una linea rossa per gli Stati Uniti”, volendo dire che i diplomatici statunitensi sono stati obbligati dai loro capi di Washington a agire in quel modo. “È una cosa che ha fatto saltare gli accordi, e questa è la ragione per che abbiamo accettato che quel testo avesse l’unanimità del consiglio”, sono le parole di [Gerard] Araud. [8]

La risoluzione 1970 stabilisce anche un embargo alle armi per la Libia e pone tutta una serie di richieste mai poste a nessuno degli altri stati arabi che stanno opprimendo la loro popolazione.

Anche dopo la pubblicazione delle notizie che riportavano l’uccisione da parte delle forze di governo, niente del genere è stato applicato in Egitto, Tunisia, Yemen, Giordania o Bahrein.

In un ulteriore caso di doppio standard e di presa di giro, la Lega Araba ha sospeso la Libia dall’organizzazione pan-araba per l’uso della violenza. La maggioranza dei membri della Lega Araba, dall’Autorità Palestinese all’Arabia Saudita e all’Egitto, hanno usato brutalmente violenza contro i manifestanti pacifici anche mentre stavano criticando la Libia.

E anche se altri leader arabi stavano usando la forza per sopprimere i propri cittadini, stavano al contempo offrendo una base agli Stati Uniti e all’Unione Europea per disprezzare la Libia.

Usando un frasario usato dai Palestinesi, dai Libanesi e dagli Iracheni per descrivere il comportamento degli sceiccati arabi e delle dittature presidenziali contro i propri paesi, si può dire che un’altra “cospirazione araba” sta avendo luogo. La Libia è stata tradita, così come le teste corrotte che fanno parte della Lega Araba hanno tradito la Palestina, il Libano e l’Iraq.

Benzina sul fuoco: armare entrambi i fronti

In Libia, gli Stati Uniti e i suoi partner dell’ Unione Europea stanno alimentando le fiamme della sedizione. Una guerra civile prolungata nel tempo è da parte dei loro interessi. Permetterebbe di indebolire lo stato libico e gli consentirebbe di manipolare l’opinione pubblica mondiale con un discorso elaborato che favorisca l’intervento militare.

Sia le calunnie che la tattica del ‘divide et impera’ vengono messe in opera. Anche solo con le parole, gli Stati Uniti e l’Unione Europea stanno facendo il doppio gioco. Hanno fornito materiale di supporto a entrambe le parti.

All’inizio hanno sostenuto Gheddafi con le forniture di armi e di addestramento che sono durati fino all’inizio del 2011, mentre adesso stanno fornendo supporto alle forze che si oppongo a Gheddafi. Quando si riferiscono alla Libia come a un “campo di battaglia”, dovrebbe essere sottolineato che sono loro ad averlo creato e reso possibile.

Washington ha ricoperto un ruolo attivo per la violenza in Libia. E nemmeno l’amministrazione Bush Jr., né quella di Obama si sono tirate indietro dall’addestrare le forze armate libiche:

Per l’anno 2010, l’amministrazione Obama ha richiesto un finanziamento di 350.000 dollari per un “Addestramento e Educazione Militare Internazionale” (IMET) da usare in Libia per “sostenere la formazione e l’addestramento delle forze di sicurezza libiche e per creare contatti fondamentali con gli ufficiali libici dopo una perdita di contatto durata 35 anni.” La partecipazione nel programma IMET rende inoltre possibile al governo libico l’acquisto di un ulteriore addestramento militare da tenersi negli Stati Uniti a un prezzo ridotto. La richiesta dell’Amministrazione per l’anno fiscale 2009 per il finanziamento dell’IMET indicava che “il Governo della Libia avrebbe pagato per l’addestramento e la formazione addizionali con i fondi nazionali.” Comunque, nessun finanziamento per l’IMET è stato fornito nell’anno fiscale 2009, in base ai documenti di bilancio del Dipartimento di Stato.

L’Amministrazione Obama ha inoltre richiesto un’assistenza da parte del FMF (Foreign Military Founding) per la prima volta nell’anno fiscale 2010, con l’obbiettivo di fornire supporto alle forze aeree libiche per sviluppare le loro potenzialità di trasporto e alla Guardia Costiera libica per migliorare il pattugliamento costiero e le operazioni di ricerca e di salvataggio. Per l’anno fiscale 2011 l’assistenza del FMF è stata richiesta per sostenere la partecipazione della Libia in un programma che segua le nazioni che vogliano mantenere e aggiornare la propria flotta di aerei C-130 prodotti negli Stati Uniti. [9]

Anche la vendita di armi di Londra al governo di Gheddafi è stata significativa: “In base ai dati del Dipartimento per l’Innovazione per le Business Skills (BIS), sono stati concesse dalla Gran Bretagna alla Libia licenze per l’esportazione di armi pari a un valore di 181,7 milioni di sterline nel terzo quadrimestre del 2010, con un aumento di 22 milioni di sterline dal secondo quadrimestre.” [10].

Sulla base degli accordi tra Tony Blair e il Colonnello Gheddafi, la Gran Bretagna stava addirittura addestrando membri delle forze di polizia libiche, tra cui un maggiore e un brigadiere, presso la Huddersfield University nel West Yorkshire durante l’inizio del conflitto in Libia. [11]

Il doppio standard applicato da queste potenze è visibile in ogni aspetto delle loro azioni. L’Associated Press (AP) involontariamente ha evidenziato tutto ciò in un articolo che faceva il riassunto delle iniziative prese nei confronti della Libia dalla Conferenza di Londra:

Il Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha detto che le trattative per assicurare l’uscita di Gheddafi erano state condotte con “assoluta discrezione” e che sul tavolo c’erano alcune opzioni che non sono state ancora formalizzate.

“Quello che è indispensabile è che ci siano paesi che vogliano dare il benvenuto a Gheddafi e alla sua famiglia, con l’intenzione di dare un termine a questa situazione che altrimenti potrebbe proseguire a lungo”, sono le sue parole.

Frattini aveva già detto in precedenza di sperare che qualche nazione potesse offrire una proposta.

Ma il diplomatico italiano ha insistito nel dire che non c’era possibilità di un’immunità per Gheddafi. “Non possiamo promettergli un salvacondotto”, ha evidenziato. [12]

Mentre condannavano Gheddafi, dicendo che non poteva avere nessun’immunità, stavano anche parlando di un “porto sicuro” dove sarebbe stato immune. Inoltre, mentre i britannici hanno detto di sapere ben poco del Consiglio di Transizione di Bengasi, l’ammiraglio James Stavridis ha riferito all’Armed Service Committee degli Stati Uniti che egli è, in veste di capo dell’European Command degli Stati Uniti (EUCOM) o della NATO, molto preoccupato dal comportamento dell’opposizione. [13].

Tutto questo è contraddittorio; in questo caso Londra dice una cosa, ma il capo delle operazioni militari della NATO ne dice un’altra.

Allo stesso tempo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati hanno lasciato aperta una possibilità per arrivare a tradire il Consiglio di Transizione. Questo è un tipico comportamento in politica estera di Londra, Washington e dei loro alleati. William Hague ha fatto delle allusioni a riguardo: “Noi [intendendo la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e i loro alleati] non dovremmo essere troppo soddisfatti per la piega che potrebbe prendere gli eventi. Se le cose nella regione andranno male per un periodo prolungato, ci saranno nuove opportunità per il terrorismo e per l’estremismo.” [14]

Quindi, lo spettro di Al Qaeda e i suoi legami al Consiglio di Transizione stanno iniziando a emergere in questo quadro.

La guerra di propaganda: la distorsione del racconto dei media riguardo la Libia

La gestione dell’opinione pubblica è stata ben utilizzata per iniziare la guerra contro la Libia e per imbellettare il sostegno alla sua aggressione. Questo fa parte di una tradizione che il Pentagono e la NATO hanno da sempre seguito. Tutte le principali guerre che gli Stati Uniti hanno combattuto hanno visto in azione le bugie dei media.

In Vietnam c’è stato l’incidente del Golfo di Tonchino, in Yugoslavia il presunto genocidio etnico, in Afghanistan i tragici eventi dell’11 settembre sono stati attribuiti ai Talebani e in Iraq le bugie sulle armi di distruzione di massa e la cooperazione tra Baghdad e Osama bin Laden. I media di regime sono sempre stati in prima linea d’attacco in queste guerre d’aggressione.

Riguardo l’Iraq, il governo degli Stati Uniti portò una falsa testimone al Congresso degli Stati Uniti che, affermando di essere un’infermiera kuwaitiana, testimoniò che i soldati iracheni avevano gettato fuori dalle incubatrici 312 bambini kuwaitiani per farli morire [15].

Tutto ciò fu utilizzato per galvanizzare l’opinione pubblica negli Stati Uniti allo scopo di invadere l’Iraq nel 1991. La tristemente famosa testimonianza dell’infermiera Nayirah fu fornita da Nijrah (Nayirah) Al-Sabah, la figlia dell’inviato del Kuwait a Washington. Le erano state date lezioni di recitazione da una ditta di pubbliche relazioni prima della sua testimonianza, a cui George H. Bush Sr. si riferì per giustificare la guerra contro l’Iraq [16].



A sinistra: N. Al-Sabah come alias dell’infermiera Nayirah mentre dichiara al Congresso degli Stati Uniti che gli iracheni hanno uccisi i bambini quwaitiani.

A destra: La distruzione della statua di Saddam Hussein a Baghdad, un classico esempio di distorsione informativa coordinata dal Pentagono.


L’invenzione degli attacchi inventati dei jet sui civili

Alla fine della Guerra del Golfo, Saddam Hussein fu demonizzato dopo aver sconfitto i ribelli istigati dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Ora Gheddafi ci viene presentato proprio come Saddam Hussein, un mostro che uccide la sua gente.

La giustificazione per la demarcazione delle no-fly zone sulla Libia, in sostanza uno specchietto per le allodole utilizzato per l’avvio di una guerra non dichiarata, è stata data dalle dichiarazioni riportate dei media sul fatto che i jet delle forze aeree libiche stavano attaccando i manifestanti civili. Vale la pena citare il Financial Times per illustrare come sono state informazioni false per poter discutere dell’intervento militare:

“Non possiamo tollerare che questo regime usi la forza militare [riferita agli attacchi dei jet] contro la sua gente”, sono le parole di David Cameron, il Premier britannico. “In questo contesto ho chiesto al Ministro della Difesa e al Capo dello Staff della Difesa di collaborare con i nostri alleati per una no-fly zone militare.” [17]

Gli ufficiali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea avevano pronunciato condanne verbali contro il Colonnello Gheddafi quando sono uscite queste informative che parlavano di jet. Non c’è niente che li supporti.

I report sono stati smascherati come falsi, allo stesso modo delle dichiarazioni sulle armi di distruzione di massa in Iraq. Non dovrebbe essere permesso che queste fabbricazioni criminali non vengano punite.

Le forze armate russe stavano monitorando la Libia dallo spazio e non avevano visto segni di attacchi da parte di jet sui civili [18]. Nemmeno i risultati del satellite evidenziavano danni causati dai jet. E nemmeno c’era un solo pezzo di filmato che potesse dargli credito, quando riprese di tutte le forme stavano uscendo dalla Libia.

Il Pentagono, l’Unione Europea e la NATO avevano tutte accesso alla stessa tecnologia satellitare e d’intelligence per verificare se questi attacchi erano davvero stati sferrati, e ciò significa che loro erano a conoscenza del fatto che questi report erano falsi.

Gli aerei militari libici sono stati utilizzati solo più tardi nel conflitto durante le missioni per bombardare i depositi di munizioni per prevenire che i ribelli potesse prelevare le armi. Tutto ciò è avvenuto a un punto molto più avanzato del conflitto e dopo che i media avevano dichiarato che i jet stavano sparando sulla folla. La forza aerea libica era in pratica inesistente prima e dopo l’intervento straniero.

L’ammiraglio Locklear, il comandante della marina degli Stati Uniti che ha condotto gli attacchi all’avvio della guerra, ha addirittura riferito ai giornalisti che “la forza aerea [della Libia prima dell’avvio delle operazioni da parte della coalizione ‘non era in buono stato’ e che il potenziale tattico consisteva in qualche decina di elicotteri” [19]. Malgrado questo fatto, la forza aerea della Libia è sempre stata descritta come una grande minaccia per i civili.

Chi c’è dietro i massacri e gli atti di brutalità in Libia?

Sono stati anche riportati dei racconti in cui le forze armate libiche stavano uccidendo dei soldati che si rifiutavano di combattere. Le evidenze dei video che vengono dalla Libia provano che le riprese presentate con questi report era una farsa.

Non sono state le forze libiche a uccidere questi uomini, ma elementi dell’opposizione libica. Sono apparsi anche filmati che mostrano torture e trattamenti umilianti sui civili, tra cui un ragazzino, da parte di persone che erano tra i ribelli.



I media mainstream hanno affermato che queste persone sono state uccise dagli uomini di Gheddafi, ma la testimonianza del video prova che questo è falso.


L’opzione Salvador è stata utilizzata in Libia. Congetturando, si può dire che questi elementi ribelli stavano probabilmente lavorando come agenti segreti. La ripresa ha fatto vedere un ragazzino in un ospedale libico che viene aiutato dai medici dopo che è stato torturato. I medici stanno osservando il ragazzino che ha una staffa conficcata nel corpo, che va dalla zona del pene fino alla sua spalla sinistra.

Il video ci fa vedere qualcosa di molto importante. Quello che è stato fatto al bambino non è cosa da inesperti. Queste sono persone che sono state addestrate alla tortura, per il modo in cui la staffa è stata infilata nel corpo del ragazzino che non è stato ucciso dalla ferita.

Questo ci porta verso qualcuno che viene da fuori della Libia. Questi casi di tortura ci ricordano i casi brutali e fatali che furono realizzati in Salvador e più tardi nell’Iraq occupato dagli Anglo-Americani.

Va anche enfatizzato che la Gran Bretagna ha inviato in Iraq soldati travestiti da arabi per poi mettere delle bombe nelle moschee e nei posti frequentati dai civili allo scopo di fomentare disordini settari tra gli iracheni [20].

Non è irragionevole pensare che tutto ciò è stato replicato in Libia e in altre nazioni arabe per dividerle e per infiammare una guerra civile. E non saranno dimenticate nemmeno le foto falsificate da Gran Bretagna e Stati Uniti degli iracheni che salutavano le forze Anglo-Americane come fossero stati i liberatori.


Membri delle SAS britanniche, vestiti da locali, che sono stati arrestati dalla polizia di Bassora in Iraq per aver progettato una detonazione di esplosivi in un posto pubblico.


La demonizzazione razzista dei libici neri fatta dai media mainstream.

Malgrado Gheddafi abbia usato mercenari dall’Europa e dall’Africa, sono stati diffuse delle informazioni esagerate e razziste sui cosiddetti ‘mercenari africani’. Molti membri delle forze armate libiche e della popolazione libica sono stati presentati come se fossero stranieri provenienti da altri paesi africani. In realtà, molti libici hanno la pelle di colore.

Essere arabo non corrisponde a un particolare fenotipo o a un aspetto particolare, perché è l’uso della lingua araba che ne definisce l’identità. Gli Arabi possono essere di colore o avere un aspetto mediterraneo o la pelle e gli occhi chiari. Lo stesso vale anche per i Berberi. È vero per tutti i libici e per tutti i nordafricani.

In Libia molte persone hanno la pelle scura. Non sono stranieri né mercenari. Tra i libici negroidi ci sono gli Haratini e i Tuareg (Kel Tamajaq o Kel Tamashq) nel sud. Sono libici come qualsiasi altro abitante della nazione.

Anche se ci sono mercenari stranieri in Libia, quello che i media hanno cercato di fare è stato di presentare filmati di alcuni di questi libici dalla pelle scura che prestavano servizio nella polizia e nelle forze armate libiche facendoli passare per mercenari che venivano dall’estero.

Questo è stato fatto per demonizzare Gheddafi e per creare un’atmosfera favorevole all’intervento, perché Gheddafi veniva presentato come un assassino del suo popolo grazie a una grande armata di mercenari africani.

Invece le condizioni disperate e anche l’uccisione delle decine di “libici neri” e di lavoratori stranieri dell’Africa sub-sahariana, in molti casi barbaramente decapitati e mutilati, sono stati ignorati e nemmeno menzionati nel corpo delle stesse notizie che riportavano l’uso dei mercenari da parte di Gheddafi.



Uno che faceva parte del gruppo degli uomini
il cui assassinio è stato falsamente attribuito al Colonnello Gheddafi.
È solo un libico dalla pelle scura e sembra essere il più elevato in grado.


La disinformazione sull’avvio delle proteste anti-Gheddafi

Per portare la guerra in Libia, sono state fabbricate tutta una serie di informazioni non accurate da parte della BBC, di Sky News, dalla CNN e altri grandi network. Ad esempio Al Jazeera aveva riportato che Shokri Ghanem, un dirigente energetico libico di alto livello, se n’è era andato in aereo dalla Libia, ma poi la Reuter aveva confermato non essere vero [21].

Ghamen ha protestato con Al Jazeera per le informazioni sbagliate in un’intervista con la Reuter: “‘Non è vero, sono nel mio ufficio e sarò in televisione fra pochi minuti’, ci ha detto Ghamen al telefono.” [22]

Proprio all’avvio dell’invasione anglo-americana dell’Iraq i media occidentali riportavano quasi ogni giorno che i carri armati statunitensi erano vicini alle porte di Baghdad.

Cose simili sono state riportate sulla Libia riguardo le proteste anti-Gheddafi. Sono stati date informazioni sbagliate su città che erano cadute, quando, in realtà, erano solo vecchi video o riprese girate in altre città della Libia messe in onda dalle televisioni.

Altre notizie suggerivano l’esistenza di grandi scontri a Tripoli e che alcune parti della città erano cadute in mano ai ribelli, quando invece Tripoli era ancora in uno stato di quiete.

Successivamente, le parole “dichiarazione” e “dichiarato” sono state usate sistematicamente quando questi report venivano stilati nel tentativo di vendicare le informazioni distorte o scorrette. Il 26 febbraio 2011 le informative riportavano la dichiarazione che tutte le principali città libiche non era più sotto il controllo del governo libico.

Questo era falso. Città quali Sabha (nella Libia centrale), Sirte/Surt (nel punto mediano della costa libica), Ghat (al confine meridionale con l’ Algeria), Al-Jufra, Al-Azizya (vicino a Tripoli) e Tripoli stessa erano tutte sotto il controllo del governo di Gheddafi [23].

In generale la copertura originale degli eventi in Libia ha grossolanamente riportato una violenza fuori dalle reali proporzioni per giustificare l’agenda dell’intervento straniero.

Come nel caso dell’Iraq, e col tempo in tutto il mondo lo comprenderà, ma quelli che hanno collaborato nel fabbricare questi report saranno considerati responsabili per aver fatto iniziare e per aver sostenuto una guerra?

La guerra di propaganda in Libia

Dovrebbe essere riconosciuto che la guerra della propaganda è stata combattuta su molti versanti. Gli Stati Uniti e i suoi alleati non hanno il monopolio della propaganda. Ci sono quattro fronti in questa guerra dei media.

Il governo libico a Tripoli e il Consiglio di Transizione a Bengasi sono stati coinvolti nella “gestione dell’opinione pubblica”. A parte i media di regime dall’estero, ci sono due fronti separati nella guerra della comunicazione in Libia

All’inizio dell’intervento NATO in Nord Africa, il governo libico a Tripoli aveva riportato di aver abbattuto fighter francesi e del Qatar. Il governo libico ha messo in onda su Jamahiriya News un servizio dove venivano mostrati tre piloti francesi e due del Qatar che erano stati abbattuti.

La notizia è giunta in contemporanea allo scoppio della guerra, è stata breve e non è mai stata commentata in un secondo momento [24]. In aggiunta a ciò, il governo libico e la Libian Jamahiriya Broadcasting Corporation stavano cercando di presentare la cattura di una nave civile italiana come una vittoria militare della Libia contro l’Italia e la NATO.

Anche il Consiglio di Transizione ha combattuto un’intensa guerra di propaganda. Con l’aiuto del Qatar ha fondato una propria emittente televisiva e un proprio canale informativo [25]. Questa è la descrizione, da parte del Los Angeles Times, della trasmissione delle notizie mandate in onda dal Consiglio di Transizione:

Non si tratta di notizie esattamente corrette e equilibrate. In effetti, come [Mohammed G.] Fannoush [l’ex bibliotecario che gestisce i media per il Consiglio di Transizione] ha correttamente evidenziato [con le sue parole], ci sono quattro regole inviolabili nella copertura delle due stazioni radio ribelli, delle stazioni TV e del giornale:

- Nessun reportage o commento pro-Gheddafi (almeno fino a che il tiranno di Tripoli venga deposto).

- Nessuna menzione della guerra civile (la popolazione libica, a oriente e a occidente, è unita in una guerra contro un regime totalitario).

- Nessuna discussione su tribù o tribalismi (c’è solo una tribù: la Libia).

- Nessun riferimento all’estremismo islamico o a Al Qaeda (quella è la propaganda di Gheddafi) [26].

Inoltre, lo stesso Fannoush, direttore dei media dell’opposizione, ha riconosciuto al Los Angeles Times che i media a Bengasi servono da grancassa del Consiglio di Transizione [27].

Il New York Times, che è stato per gran parte sostenitore del Consiglio di Transizione, è stato ancora più esplicito sulla credibilità del Consiglio di Transizione: “Come i capi dei media di stato libici, i ribelli non hanno nessun rispetto per la verità nel sostenere la propaganda, reclamando inesistenti vittorie sul campo, asserendo che stanno ancora combattendo in città importanti giorni dopo che sono cadute nelle mani delle forze di Gheddafi e riportando denunce vibranti dei loro atti barbarici.” [28]

Le forze del Consiglio di Transizione hanno persino sequestrato e interrogato alcuni giornalisti russi. Questo a causa della copertura generalmente non favorevole alla guerra della NATO fatta dai giornalisti russi.

Due reporter della Komsomolskaya Pravda e tre giornalisti televisivi di NTV, che è posseduta da Gazprom, sono rapiti e poi liberati all’inizio di aprile dal Consiglio di Transizione [29].

La leadership del Consiglio di Transizione ha sempre sostenuto l’intervento militare

La contraddizione nelle proprie affermazioni non è stata fatta solo da Washington e dai suoi alleati. Le figure che si sono autonominati a capo del Consiglio di Transizione di Bengasi che si oppone a Gheddafi stanno anche loro facendo affermazioni contraddittorie.

Il Consiglio di Transizione è stato dipinto in modo simile al regime di Gheddafi, perché “le operazioni al consiglio dei ribelli sono intrecciate dai legami familiari” [30]. Per di più, le dichiarazioni del Consiglio di Transizione contro Gheddafi sono anche simili a quelle fatte da Ahmed Chalabi e dal Congresso Nazionale Iracheno contro Saddam Hussein.

Prendiamo ad esempio la posizione del generale Abdul Fatah Al-Yunis (Al-Younis), il ministro degli Interni di Gheddafi che si è dimesso. In un articolo del Telegraph, viene riportato che il generale Al-Yunis “ha chiesto all’Occidente di effettuare bombardamenti contro il palazzo del Colonnello Gheddafi a Tripoli per prevenire un attacco contro la popolazione con le armi chimiche o per impedire che egli possa provocare un alto numero di vittime in altro modo. Egli [ha anche riferito che] era favorevole alla demarcazione di una no-fly zone internazionale prima possibile.” [31]

Ancora più rilevante è il fatto che c’è un grande fossato che divide il Consiglio di Transizione dai libici che loro sostengono di rappresentare. A Bengasi e nei suoi paraggi c’erano cartelli scritti appositamente in inglese per le videocamere dei media stranieri, che recitavano “No all’Intervento Straniero”, “Il Popolo Libico Ce La Può Fare Da Solo” e “No all’Intervento Militare Straniero” come i messaggi che rappresentavano i sentimenti popolari tra la gente libica nello schieramento anti-Gheddafi. Sentimenti diffusi contro gli Stati Uniti e il Regno Unito in particolare c’erano anche a Bengasi e nella regione di Barqa.


I cartelli anti-Gheddafi a Bengasi e nei dintorni che chiedono
che non ci sia un intervento militare straniero in Libia.


Il Buono, il Brutto e il Cattivo in Libia

Al contrario di quello che i media stranieri dichiaravano all’inizio delle rivolte, il governo di Gheddafi aveva il controllo della maggior parte del paese grazie al sostegno della maggioranza della popolazione, specificamente nell’occidente e nella parte meridionale della Libia.

Inoltre, Gheddafi ha ancora un forte sostegno delle forze di sicurezza e dell’apparato militare del suo paese, per non menzionare la sua tribù, le sue milizie e la gente comune di Tripoli.

Quello che la guerra contro la Libia è riuscita a fare è allargare la base di sostegno per Gheddafi. Il patriottismo è stato un fattore importante. Molte brave persone che si erano opposte a Gheddafi si sono unite, in un modo o nell’altro, ai ranghi di Gheddafi per sostenere il suo regime.

Hanno fatto questo perché credono che bisogna rimanere uniti per evitare alla Libia di cadere preda degli Stati Uniti e dalla sua coalizione, diventando così una nuova colonia spezzettata. Per loro Gheddafi non è il vero obbiettivo, ma lo sono la Libia e l’Africa.

Con un modo di dire, il buono, il brutto e il cattivo si sono uniti nelle fila del regime libico. Questa è un’altra delle ragioni per cui il Pentagono e la NATO stanno lavorando per assicurarsi che le divisioni interne in Libia continuino a essere fomentate. Useranno le lotte interne per dividere la Libia.

La popolazione libica è stata portata in una trappola e è stata abbindolata. Deve anche essere evidenziato che il buono, il brutto e il cattivo si sono uniti insieme anche nel campo dell’opposizione, il Consiglio di Transizione con base a Bengasi.

Il nemico della genuina libertà e della gente libica si è approfittato della situazione.

Ci sono tantissime colpe da attribuire in Libia, ma la gente non si deve combattersi tra loro. La Libia come corpo unico ha perso la sua forza quando è iniziata la violenza. E i libici non possono permettere agli stranieri di appianare le loro differenze. Ogni soluzione dovrà venire dall’interno senza che ci sia un’ingerenza straniera.

* Mahdi Darius Nazemroaya è specializzato sul Medio Oriente e sull’Asia Centrale. È un Ricercatore Associato al Centro di Ricerca sulla Globalizzazione (CRG).

Note:

1
La Cirenaica è il nome che viene usato più frequentemente dalla stampa e dai governi del Nord America e dell’Unione Europea, incluso quello degli Stati Uniti. È un nome usato per la Libia Orientale –fin dall’antichità. Il suo ultimo utilizzo ufficiale in Libia avvenne sotto la monarchia.

2 Christopher M. Blanchard e James Zanotti, “Libia: lo sfondo e le relazioni con gli Stati Uniti”, Congressional Research Service (CRS), 18 Febbraio 2016, p. 6.

3 In questo modo, i cittadini hanno il diritto di prendere le armi contro ogni autorità illegittima che usa violenza per mantenere il controllo su di essi, se questa è una forza occupante o un regime oppressivo. È sotto l’ombrello di questo principio che i movimenti di resistenza portano con sé le armi e che fu creato il Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. I manifestanti di Bengasi si possono considerare come persone che esercitano un loro naturale diritto all’emancipazione. Per giustificare questo, comunque, le loro motivazioni e i loro scopi devono essere conosciuti. Bisogna domandarci se è stato il caos il vero obbiettivo invece della loro emancipazione e deve essere preso in considerazione se le rivolte sono iniziate grazie a un impulso esterno.

4 Questo non giustifica l’azione di qualsiasi governo o autorità, ma è riconosciuto essere una pratica standard.

5 Nicole Gaouette, “Clinton ha detto che il voto della Lega Araba sulla No-Fly Zone ha cambiato il quadro”, Bloomberg, 16 marzo 2011.

6 Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, Risoluzione 1970 (Pace e Sicurezza in Africa), 6491esimo incontro, 26 febbraio 2011, S/RES/1970 (2011): http://www.un.org/Docs/sc/unsc_resolutions11.htm. La scelta del nome per la Risoluzione 1970 è un modo per eludere la violazione della sovranità libica.

7 Ibid., pp. 2-3.

8 Jonathan Swaine, “Libia: i mercenari africani ‘immuni’ dai procedimenti per crimini di guerra”, The Daily Telegraph (U.K.), 27 febbraio 2011.

9 Blachard e Zanotti, Op. cit, p.14.

10 Alice Johnson, “La Fox difende la vendita delle armi alla Libia da parte degli Occidentali”, Gulf News, 3 aprile 2011.

11 David Barrett e Rebecca Lefort, “La Gran Bretagna addestra 100 membri della temuta polizia di Gheddafi”, The Daily Telegraph (U.K.), 6 marzo 2011.

12 David Stringer, “Diplomatici di primo piano sono d’accordo con la deposizione di Gheddafi ma non vogliono armare i ribelli”, Associated Press (AP), 29 marzo 2011.

13 Ibid.; United States Senate Armed Services Committee, U.S. European Command and U.S. Strategic Command in review of the Defense Authorization Request for Fiscal Year 2012 and the Future Years Defense Program, 112° Congresso, 2011, 1.a Sessione, 29 marzo 2011.

14 Stringer, Op. cit.

15 Per Vendere Una Guerra, Martyn Gregory (Thames Television, 1992).

16 Ibid.

17 Daniel Bombay, James Blitz e Roula Khalaf, “L’Occidente sta tendendo una rete militare attorno alla Libia”, Financial Times, 1 marzo 2011.

18 “‘I bombardamenti in Libia non sono avvenuti – Le Forze Armate Russe”, News, Russia Today (RT) (Mosca: 1 marzo 2011); l’articolo di Russia Today è stato scritto dalla giornalista Irina Galushko.

19 Karen Parrish, “Il comandante della Task force ci fornisce aggiornamenti sulla Libia”, American Forces Press Service, 22 marzo 2011.

20 British Broadcasting Corporation (BBC) News, “Iraq indaga sull’incidente dei soldati”, 20 settembre 2005.

21 Alexander Lawler, “Un dirigente petrolifero libico dice di essere ancora al lavoro”, Reuter, 31 marzo 2011.

22 Ibid.

23 Tutto ciò è stato appurato essere falso dai miei contatti interni in Libia.

24 Su mia richiesta personale, alcuni contatti interni in Libia hanno cercato di ottenere le foto dei piloti, che la televisione di stato libica aveva mandato in onda, e le loro informazioni, ma l’emittente libica ha deciso di non rilasciarle. Le ragioni della sicurezza sono state usate per giustificare questa decisione. La televisione di stato libica ha anche tenuto i contatti personali con il Ministro dell’Intelligence, che ha detto che non avrebbe rilasciato alcuna informazione o alcuna immagine. Tutto ciò era chiaramente inutile, perché le foto erano già state diffuse e presentate al pubblico libico.

25 David Zucchino, “La voce della ribellione libica è forte e diffusa”, The Los Angeles Times, 7 aprile 2011.

26 Ibid.

27 Ibid.

28 David D. Kirkpatrick, “Le speranze per un’uscita di scena di Gheddafi e la preoccupazione per il dopo”, The New York Times, 21 marzo 2011.

29 Russian News and Information Agency (RIA Novosti), “Tutti e cinque i giornalisti russi liberati dai ribelli libici”, 8 aprile 2011; ITAR-TASS, “FM insiste che i giornalisti russi osservino le regole di sicurezza in Libia”, 9 aprile 2011.

30 Kirkpatrick, Op. cit.

31 http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/libya/8363601/Libyas-rebel-army-struggles-to-create-order-from-chaos.html


La controrivoluzione nel vicino oriente
di Thierry Meyssan - www.voltairenet.org - 11 Maggio 2011

Un clan saudita dei Sudairi è al centro dell'ondata controrivoluzionaria lanciata nel Vicino Oriente per conto degli Stati Uniti. In una lunga analisi, suddivisa in episodi pubblicati sul più importante quotidiano di lingua russa, Thierry Meyssan inizia partendo da Damasco nel descrivere il quadro generale delle contraddizioni che agitano questa regione.

In pochi mesi, tre governi filo-occidentali sono caduti nel mondo arabo: il parlamento ha rovesciato il governo di Saad Hariri in Libano, dopo di che i movimenti popolari avevano deposto Zine el-Abbidine di Ben Ali in Tunisia e arrestato Hosni Mubarak in Egitto.

Questi cambiamenti di regime regimi sono stai accompagnati da manifestazioni contro il dominio statunitense e il sionismo. Hanno favorito politicamente l’Asse della Resistenza, costituito da Iran e Siria mentre sul piano interno agli stati da Hezbollah e Hamas.

Per guidare la contro-rivoluzione in questa regione, Washington e Tel Aviv hanno fatto appello al loro sostegno più fidato: il clan dei Sudairi che interpreta più di ogni altro il dispotismo al servizio dell'imperialismo.

I Sudairi

Probabilmente non ne avete mai sentito parlare, ma i Sudairi sono l'organizzazione politica più ricca al mondo da decenni. I Sudairi sono formati dai cinquantatré figli del re Ibn Saud, fondatore dell'Arabia Saudita, sette dei quali sono stati generati dalla principessa Sudairi.

Il loro capo era il re Fahd, che governò dal 1982-2005. Non sono passati ancora sei anni dalla sua morte. Il più anziano è il principe Sultan, ministro della Difesa dal 1962, di 85 anni. Il più giovane è il Principe Ahmed, vice ministro degli interni dal 1975, anni 71.

Dagli anni '60, il loro clan ha organIizzato, strutturato e finanziato i regimi fantoccio filo-occidentali del "Grande Medio Oriente". Ora è necessario dare uno sguardo al passato.

L'Arabia Saudita è una figura giuridica creata dagli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale per indebolire l'Impero Ottomano. Anche se Lawrence d'Arabia aveva ideato il concetto di "nazione araba", in realtà non era mai riuscito a fare di questi paesi delle nazioni, tanto meno un’unica Nazione. È stata ed è tuttora una proprietà privata dei Saud.

Come è stato mostrato dall’inchiesta britannica sullo scandalo Al-Yamamah, all’inizio del XXI secolo non esistono conti bancari o bilanci del regno; ci sono solo i conti della famiglia reale che sono utilizzati per amministrare quello che è il loro dominio privato.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dato che il Regno Unito non aveva più mezzi per sostenere il proprio imperialismo, questo territorio è passato sotto la sovranità degli Stati Uniti.

Il presidente Franklin D. Roosevelt fece un accordo con re Ibn Saud: la sua famiglia avrebbe garantito la fornitura di petrolio agli Stati Uniti che, in cambio, avrebbero assicurato il sostegno militare necessario per mantenere i Saud al potere.

Questa alleanza è conosciuta con il nome di Accordo di Quincy, per essere stata negoziata sulla nave che aveva lo stesso nome. Si tratta di un accordo, non un trattato, perché non si lega due stati, ma uno stato e una famiglia.




L’Accordo di Quincy che lega gli Stati Uniti alla famiglia dei Saud

Ma visto che il re fondatore, Ibn Saud, aveva 32 mogli e 53 figli, non tardano ad emergere le rivalità tra i potenziali successori gravi. E allora è stato così deciso che la corona non si sarebbe trasmessa di padre in figlio, ma di fratellastro in fratellastro.

Cinque figli di Ibn Saud sono già saliti al trono. L'attuale re, Abdullah I, 87 anni, è un uomo di larghe vedute, anche se del tutto scollegato dalla realtà contemporanea. Consapevole del fatto che l'attuale sistema dinastico andrà a perdersi, egli vuole riformare le regole di successione.

Il sovrano sarà quindi nominato dal Consiglio del Regno, ossia dai rappresentanti dei vari rami della famiglia reale, e potrebbe anche essere una generazione più giovane.

Questa idea saggia non ha soddisfatto i Sudairi. Infatti, tenuto conto delle diverse rinunce al trono per motivi di salute o di sibaritismo, i tre prossimi candidati appartengono al clan: il principe Sultan già nominato ministro degli Interni di 85 anni, il principe Naif, ministro degli Interni di anni 78 e il principe Salman, governatore di Riyadh, anni 75. Se si dovesse applicare la nuova regola dinastica, tutto ciò andrebbe a loro svantaggio.

Resta quindi inteso che i Sudairi, a cui non è mai andato troppo a genio il loro fratellastro, sono ora giunti a odiare proprio il re Abdullah. Capiamo quindi il motivo che li ha spinti a mettere tutte le loro forze nella battaglia che si sta combattendo.



Il Principe Bandar e suo «fratello» George W. Bush

Il ritorno di Bandar Bush

Alla fine degli anni '70, il clan Sudairi era guidato dal principe Fahd. Lui aveva notato le notevoli qualità di un bambino di suo fratello Sultan: il Principe Bandar. Lo inviò a negoziare le forniture di armi a Washington e ne aveva apprezzato il modo in cui giunse all'accordo col presidente Carter.

Quando Fahd salì al trono nel 1982, designò il principe Bandar come suo uomo di fiducia. Lo ha poi nominato capo militare, in seguito ambasciatore a Washington, un incarico che ha mantenuto durante tutto il regno fino a che il re Abdullah lo ha licenziato improvvisamente nel 2005.

Figlio del principe Sultan e di una schiava libica, il principe Bandar è una personalità brillante e spietata che si è insediato all'interno della famiglia reale, nonostante lo stigma legato alla sua origine materna. Ora è il braccio destro del clan gerontocratico dei Sudairi.

Durante la sua lunga permanenza a Washington, il principe Bandar ha fatto amicizia con la famiglia Bush, in particolare con George H. Bush, con cui era inseparabile. A quest'ultimo piace ritrarlo come il figlio che avrebbe tanto desiderato, tanto da essere soprannominato nella capitale col nome di "Mr. Bandar Bush". Quello che George H. - ex direttore della CIA e ex presidente degli Stati Uniti – apprezzava di più era il suo talento per l'azione illegale.

"Mr. Bandar Bush" ha trovato posto nell’alta società degli Stati Uniti. È sia governatore a vita dell'Aspen Insitute che membro del Bohemian Grove. Il pubblico britannico ha scoperto la sua esistenza nello scandalo Al-Yamamah, il più grande contratto di vendita di armi della storia e il caso di corruzione più notevole.

Nel corso di due decenni (1985-2006), British Aerospace, presto ribattezzata BAE Systems, ha venduto armi per un valore di 80 miliardi dollari all'Arabia Saudita che, con discrezione, restituiva parte di questa manna sui conti bancari dei politici sauditi e, probabilmente, britannici, di cui 2 miliardi di dollari per il solo principe Bandar.

Il problema è che Sua Altezza aveva un sacco di spese. Il principe Bandar ha assunto a servizio un certo numero di combattenti arabi licenziati dai servizi segreti pakistani e sauditi durante la Guerra Fredda per combattere l'Armata Rossa in Afghanistan su richiesta della CIA e dell’MI6. Naturalmente la figura più conosciuta di questo gruppo altri non era che il miliardario diventato guru della jihad anti-comunista, Osama bin Laden.

È impossibile dire con precisione quanti uomini aveva il principe Bandar. Nel corso del tempo, si può vedere la sua mano in molti conflitti e negli atti terroristici commessi in tutto il mondo musulmano, dal Marocco allo Xinkiang cinese.

Ad esempio, si può menzionare il piccolo esercito che aveva piantato un campo palestinese in Libano a Nahr el-Bared col nome di Fatah al-Islam.

La missione di questi combattenti era quella di aiutare i rifugiati palestinesi, per gran parte sunniti, nel proclamare un emirato indipendente e per combattere Hezbollah. L’affare è andato male, gli stipendi di mercenari non sono stati pagati in tempo.

Alla fine del 2007, gli uomini del principe Bandar si sono trincerati nel campo e 30.000 palestinesi sono stati costretti a fuggire, mentre l'esercito libanese ha combattuto per due mesi una battaglia per tornare in possesso del campo. Quest’operazione è costata la vita a 50 mercenari, 32 civili palestinesi e 68 soldati libanesi.

Nei primi mesi del 2010, Bandar ha messo in scena un colpo di stato per rovesciare il re Abdullah e mettere suo padre, Sultan, sul trono. Il complotto è stato scoperto e Bandar è finito in disgrazia, senza però perdere i suoi titoli ufficiali.

Ma alla fine del 2010, il peggioramento della salute dei re e l’infittirsi deii suoi interventi chirurgici hanno dato modo ai Sudairi di riprendere fiato per imporre un loro ritorno con il supporto dell'amministrazione Obama.


Saad Hariri, dalla doppia nazionalità saudita e libanese, si è unito ai Sudairi.
Primo ministro libanese dimissionario, da tre mesi sta bloccando
la formazione di un nuovo governo e nell’attesa sta sbrigando gli affari correnti.

È stato dopo aver fatto visita al re, ricoverato a Washington, e aver concluso troppo in fretta che stava morendo, il Primo Ministro libanese Hariri si è unito ai Sudairi. Saad Hariri è un saudita, nato a Riyadh, ma con una doppia nazionalità. Ha rilevato la fortuna di suo padre, che doveva tutto a Saud.

È dunque un obbligato del re e è diventato Primo Ministro del Libano sotto la sua spinta, anche se il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti era preoccupato per la sua capacità di ricoprire questa posizione.

Durante il periodo in cui ha obbedito al re Abdullah, Saad Hariri ha cominciato a riconciliarsi con il presidente Bashar al-Assad. Ha ritirato le accuse che aveva rivolto a lui sull’assassinio di suo padre, el-Rafik Hariri, e si è rammaricato di essere stato manipolato per creare tensione tra Libano e Siria. Avallando i Sudairi, Saad ha fatto un voltafaccia politico.

Durante la notte, ha rinunciato alla politica di accondiscendenza di re Abdullah nei confronti di Siria e di Hezbollah e ha lanciato un'offensiva contro il regime di Bashar el-Assad per ottenere il disarmo di Hezbollah e un compromesso con Israele.
Tuttavia il re Abdullah si è svegliato dal suo stato semi-comatoso e ha tardato a chiedere conto di tutto questo.

Privato di questo sostegno essenziale, Saad Hariri e il suo governo sono stati rovesciati dal Parlamento libanese a favore di un altro miliardario dalla doppia nazionalità, Najib Mikati, un po’ meno avventuroso. Per punizione, il re Abdullah ha avviato un'indagine sulla principali società saudita degli Hariri e ha arrestato alcuni dei loro collaboratori per truffa.

Le legioni dei Sudairi

I Sudairi hanno deciso di lanciare una controrivoluzione in tutte le direzioni.
In Egitto, dove hanno finanziato con una mano Mubarak e con l'altra i Fratelli Musulmani, hanno poi imposto un'alleanza tra la confraternita e gli ufficiali filo-americani.

Nel complesso, questa nuova coalizione ha condiviso il potere, escludendone i dirigenti della rivoluzione di piazza Tahrir. Ha rifiutato la convocazione di un’Assemblea Costituente, limitandosi a modificare marginalmente la costituzione.

In primo luogo, ha dichiarato l'Islam religione di Stato, a danno della minoranza cristiana copta (circa il 10%) che era stata oppressa da Hosni Mubarak e che si era mobilitata in massa contro di lui. Inoltre, il dottor Mahmoud Izzat, numero due dei Fratelli Musulmani, si è appellato per una rapida introduzione della sharia e per il ripristino delle punizioni islamiche.

Portavoce dei Fratelli Musulmani in Egitto, Essam Elarian non ha focalizzato la sua campagna sull’abrogazione degli accordi di Camp David, ma sulla criminalizzazione dell'omosessualità. Secondo lui, anche se la maggioranza della popolazione concorda sul fatto che sia un ‘vizio’, uno stato musulmano ha l’obbligo di punirla in base alla Sharia

Il giovane Wael Ghoneim, che aveva svolto un ruolo di primo piano nel rovesciamento del tiranno, è stato escluso il 18 febbraio dal podio dei festeggiamenti per la vittoria davanti a quasi 2 milioni di persone.

Al contrario, il predicatore più in vista dei Fratelli Musulmani, Youssef al-Qardawi, di ritorno dopo 30 anni di esilio in Qatar, ha potuto parlare a lungo. Lui, che era stato privato della cittadinanza da Gamal Abdel Nasser, si è elevato a essere l’incarnazione della nuova era: quella della sharia e della coesistenza pacifica con il regime sionista di Tel Aviv.
Il Nobel per la Pace, Muhammad el-Baradei, che i Fratelli Musulmani hanno scelto come portavoce durante la rivoluzione per dare un'immagine più aperta, è stato aggredito fisicamente dai Fratelli stessi in vista del referendum costituzionale e è stato spinto al di fuori dalla scena politica.

I Fratelli Musulmani hanno annunciato l’ingresso in politica, formalizzando la creazione di un nuovo partito, Libertà e Giustizia, sostenuto dal National Endowment for Democracy (NED) imitandone l'immagine dal turco AKP (hanno scelto la stessa strategia in Tunisia con il Partito del Rinascimento).

In questo contesto, la violenza è stata perpetrata contro le minoranze religiose. Così due chiese copte sono stati incendiate. Invece di punire gli aggressori, il Primo Ministro ha adempiuto a una promessa: ha licenziato il governatore che aveva nominato nella provincia di Qenna, lo stimato generale Imad Mikhael, solo perché non era sunnita, ma cristiano copto.



Il Consiglio di Cooperazione nel Golfo (GCC) ha richiesto a alta voce l'intervento
della NATO in Libia e ha inviato l'esercito saudita e la polizia dell’emirato
per schiacciare le proteste in Bahrein.

In Libia, i Sudairi hanno trasferito i combattenti armati in Cirenaica fino a quando i franco-britannici non hanno dato il segnale per l’insurrezione contro il governo di Tripoli. Sono stati loro a distribuire le armi e le bandiere rosso-nero-verde con la stella e la mezzaluna, simboli della monarchia Senoussi, storica protettrice dei Fratelli Musulmani.

Il loro obiettivo è quello di deporre il sobillatore Gheddafi e di ripristinare il principe Mohammed sul trono di quello che fu il Regno Unito di Libia.

Il Consiglio di Cooperazione del Golfo è stato il primo che ha richiesto un intervento armato contro il governo di Tripoli. E, in sede di Consiglio, la delegazione saudita ha guidato le manovre diplomatiche della Lega Araba per sostenere l'attacco da parte degli eserciti occidentali.

Da parte sua, il colonnello Gheddafi ha assicurato in numerosi discorsi che non era in atto alcuna rivoluzione in Cirenaica, ma che la sua nazione era vittima di un’operazione di destabilizzazione di Al Qaeda; queste cose hanno fatto sorridere, a torto dato che sono state confermate dal comandante USA di Africa Command in persona: ricordiamo il malessere del generale Carter F. Ham, comandante delle prime operazioni militari degli Stati Uniti prima di essere assunto dalla NATO.

Rimase sorpreso dal dover scegliere i propri obiettivi sulla base delle rivelazione di spie conosciute per aver combattuto contro le forze alleate in Afghanistan: erano gli uomini di bin Laden.

Il Bahrein è invece un regno indipendente dal 1971. In realtà, è ancora un territorio governato dai britannici che avevano designato a tempo debito come primo ministro il principe Khalifa, che ha mantenuto quest’incarico ininterrottamente per 40 anni, dalla finta dichiarazione d’indipendenza fino a oggi. Una continuità che non è affatto dispiaciuta ai Sudairi.

Il re Hamad ha rilasciato una concessione agli Stati Uniti che hanno così installato nel porto di Juffair il quartier generale del Comando Centrale della Marina e della Quinta Flotta.

In queste circostanze, la richiesta popolare di una monarchia costituzionale ha il significato di una richiesta di una vera indipendenza, della fine del dominio britannico e della partenza delle truppe americane. Una rivendicazione del genere sarebbe in grado di spandersi a macchia d’olio in Arabia Saudita e di minacciare le fondamenta del sistema.

I Sudairi hanno così convinto il re del Bahrein a reprimere nel sangue qualsiasi speranza popolare.



Garante dell’ordine costituito, il principe Nayef è l’irremovibile ministro saudita degli Interni e dell’Informazione da 41 anni.

Il 13 marzo, il Segretario della Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, è arrivato per installare il coordinamento delle operazioni a Manama, iniziate il giorno seguente con l'ingresso delle forze speciali saudite sotto il comando del principe Nayef, conosciute come le "Aquile di Nayef”.

In pochi giorni, tutti i simboli della protesta sono stati distrutti, tra cui il monumento pubblico eretto nella piazza una volta chiamata la Perla. Centinaia di persone sono state uccise o fatte sparire.

La tortura, che era stato abbandonata da quasi un decennio, è di nuovo diffusa. I medici e infermieri che hanno curato le feriti dei manifestanti sono stati arrestati all’interno degli ospedali, tenuti in isolamento e portati di fronte ai tribunali militari.

Tuttavia, l’aspetto più importante in questa terribile repressione è la volontà di trasformare una classica lotta di classe tra un intero popolo e una classe di privilegiati venduti all'imperialismo straniero, in un conflitto settario.

La maggior parte dei cittadini del Bahrein sono sciiti, mentre la famiglia regnante è sunnita; lo sciismo è il veicolo dell’ideale rivoluzionario di Ruhollah Khomeini, che è stato designato come bersaglio. In un mese le ‘Aquile di Nayef’ hanno raso al suolo 25 moschee e ne hanno danneggiate altre 253.

Ventuno tra i principali capi della protesta politica saranno presto processati da un tribunale speciale. Rischiano la pena di morte. Più che contro gli sciiti, la monarchia si è incattivita con Ibrahim Sharif, il presidente del partito Waed (della sinistra laica), che accusa di non stare al gioco, visto che è un sunnita.

Non potendo destabilizzare l'Iran, i Sudairi hanno concentrato i loro attacchi contro la Siria.

La destabilizzazione della Siria

Ai primi di febbraio, quando nel paese non c’era ancora alcun movimento di protesta, è stata creata su Facebook una pagina intitolata “La rivoluzione siriana 2011” col proposito di convocare una ‘Giornata della Collera’ per venerdì 4.

L’appello è stato rilanciato da Al-Jazeera, ma visto lo scarso seguito non ha portato a niente. Il network qatariano ha deplorato la mancanza di reazione e ha stigmatizzato la Siria come il "regno del silenzio".



Le rivoluzioni messe in scena per i media hanno ora un logo.
Ecco quello della "Rivoluzione Siriana 2011" presente su Facebook.

Il nome “La Rivoluzione Siriana 2011” è inquietante: in inglese, sulla falsa riga di uno slogan pubblicitario. Ma quel rivoluzionario che non riuscirà a realizzare il suo ideale nel 2011, potrà tornare a dormire a casa?

Cosa ancora più strana, questa pagina di Facebook ha registrato oltre 80.000 amici nel giorno della sua creazione. Tanto entusiasmo in poche ore, seguito poi dal nulla più assoluto, evoca una manipolazione effettuata con dei software per creare gli account. Soprattutto perché i siriani usano poco Internet e scarsa possibilità di accesso alle reti ADSL dal 1° gennaio.

I guai sono cominciati un mese dopo a Deraa, una cittadina rurale situata al confine giordano a pochi chilometri da Israele. Degli sconosciuti hanno pagato alcuni ragazzi per disegnare dei graffiti antigovernativi sui muri della città. La polizia locale ha arrestato gli studenti e li trattati come dei criminali con sommo dispiacere delle loro famiglie.

Alcune persone di spicco del posto che avevano l'intenzione di risolvere la controversia sono stati allontanati in malo modo. I giovani sono stati picchiati. Le famiglie hanno furiosamente attaccato la stazione di polizia per liberarli. La polizia ha risposto con ancora maggiore brutalità, uccidendo i manifestanti.

Il presidente Bashar al-Assad è poi intervenuto per punire la polizia e il governatore - che non è altro che uno dei suoi cugini a cui ha dato un incarico a Deraa, lontano dalla capitale, per lasciarlo nell’oblio.

Un'inchiesta è stata aperta per far luce sull'uccisione da parte delle forze di polizia, i funzionari responsabili della violenza sono stati incriminati e posti in deposito a garanzia. I ministri sono andati a portare le loro scuse e le condoglianze per conto del governo alle famiglie delle vittime, scuse e condoglianze che sono state pubblicamente accettate.

Tutto dovrebbe essere tornato alla normalità. Ma improvvisamente alcuni cecchini mascherati dai tetti di un edificio hanno sparato sulla folla e sulla polizia, gettando la città nel caos.

Approfittando della confusione, gli uomini armati sono usciti dalla città per attaccare un edificio governativo che ospita l'intelligence responsabile del controllo del territorio delle alture del Golan siriane, occupate da Israele. I servizi di sicurezza hanno aperto il fuoco per difendere l'edificio e il loro archivio. Ci sono stati morti da entrambe le parti.

Questo tipo scontro si è poi moltiplicato. I notabili hanno chiesto la protezione dell’esercito da coloro che avevano preso d'assalto la città. Tremila uomini e carri armati sono stati dispiegati per proteggere gli abitanti. In ultima analisi, una battaglia ha opposto i combattenti infiltrati dell'esercito siriano in una sorta di remake di assedio di Nahr el-Bared da parte dell'esercito libanese. Solo che questa volta i media internazionali hanno distorto i fatti e hanno accusato l'esercito siriano di attaccare il popolo di Deraa.

Nel frattempo, gli scontri sono scoppiati anche a Lattakia. Questo porto è da tempo la patria delle mafie specializzate nel contrabbando marittimo. Questi individui hanno ricevuto armi e denaro dal Libano.

Hanno distrutto il centro della città. La polizia è intervenuta. Su ordine del presidente la polizia era armata solo dai manganelli. I malviventi sono invece arrivati con le loro armi da guerra e hanno ucciso decine di poliziotti disarmati.

Lo stesso scenario si è ripetuto nella vicina città di Banias, meno importante, ma molto più strategica, ospitando la principale raffineria di petrolio del paese. Questa volta la polizia ha usato le armi e il confronto si è trasformato in una battaglia campale.

Infine, Homs, una città importante del centro del paese, alcune persone si erano riunite per una preghiera in una moschea e hanno invitato i seguaci fondamentalisti a manifestare contro "il regime che sta uccidendo i nostri fratelli in Latakia”.

Reagendo ai disordini, la popolazione siriana è accorsa in massa per testimoniare il proprio sostegno alla Repubblica. Enormi manifestazioni, che il paese non aveva mai conosciuto la sua storia, hanno radunato centinaia di migliaia di persone a Damasco, Aleppo e Latakia al grido di "Dio, della Siria, Bashar!”

Mentre gli scontri si stavano intensificando nelle località interessate, la polizia è riuscita a fermare i combattenti. Come hanno riferito alla televisione, sono stati reclutati, armati e pagati da un deputato libanese Hariri, Jamal Jarrah, che ha poi negato tutto.

Jamal Jarrah è un amico del principe Bandar. Il suo nome era stato citato in caso di Fatah al-Islam a Nahr el-Bared. È cugino di Ziad Jarrah, un jihadista accusato dall'FBI di essere responsabile del dirottamento del volo 93 che si schiantò in Pennsylvania l’11 settembre 2001. È anche cugino dei fratelli Ali e Yousef Jarrah, arrestati dall'esercito libanese nel novembre 2008 con l’accusa di spionaggio nei confronti di Israele.



Da Londra e Parigi, Ali Saad al-Din Bayanouni (segretario generale della Fratellanza musulmana siriana) e Abdel-Halim Khaddam (ex vice-presidente della Siria) si sono appellati per rovesciare il presidente Bashar el-Assad.

Jamal Jarrah è un membro segreto dei Fratelli Musulmani, fatto anche questo negato. Nel 1982 i Fratelli hanno cercato di prendere il potere in Siria. Hanno fallito e sono state vittima di una repressione terribile.

Si è creduto che questi ricordi dolorosi potessero essere dimenticati dall’amnistia proclamata dal presidente Bashar al-Assad. Ma così non è stato, questo ramo dei fratelli, prima finanziati dai Sudairi, è stato scomunicato. Il ruolo della Confraternita negli scontri di Banias oggi è riconosciuto da tutti.

Jamal Jarrah avrebbe anche usato i militanti libanesi di Hizb ut-Tahrir, un'organizzazione islamista con sede a Londra e particolarmente attiva in Asia centrale. Hizb ut-Tahrir, che si dichiarata non violenta, è accusata di aver architettato molti attacchi nella valle di Ferghana.

Ed è anche per combatterli che la Cina ha iniziato un percorso di riavvicinamento alla Russia con la Shanghai Cooperation Organization. Malgrado numerosi dibattiti alla Camera dei Comuni, i responsabili londinesi del gruppo non sono mai stati indagati occupano posizioni di alti livello nelle multinazionali anglo-americane.

Hizb ut-Tahrir ha aperto una succursale in Libano lo scorso anno. In quest'occasione ha organizzato una conferenza in cui sono state invitate personalità straniere, tra cui un intellettuale russo di fama internazionale.

Durante le discussioni, gli organizzatori hanno chiesto l'istituzione di uno stato islamico, affermando che per loro, sciiti e drusi libanesi e anche alcuni sunniti, non sono veri musulmani e dovrebbero essere quindi espulsi come i cristiani. Meravigliato da questi eccessi, l'ospite russo si è affrettato a concedere interviste televisive per differenziarsi da questi fanatici.

Le forze di sicurezza siriane sono state travolte dagli eventi. Formatosi in URSS, alcuni alti ufficiali hanno usato la forza senza preoccuparsi delle conseguenze sulla popolazione. Tuttavia, la situazione è progressivamente invertita. Il presidente Bashar al-Assad ha assunto il comando.

Ha cambiato la compagine governativa. Ha abrogato lo stato di emergenza e ha sciolto la Corte di Sicurezza dello Stato, che aveva concesso la cittadinanza a migliaia di curdi siriani che era stata storicamente negata a causa di un censimento contestato. Inoltre, ha adottato varie misure restrittive quali l'abrogazione delle sanzioni per i ritardi nel pagamento alle imprese pubbliche (elettricità, ecc).

In tal modo, ha soddisfatto le richieste principali popolari e l'opposizione si è affievolita. Venerdì 6 maggio, il ‘Giorno della Sfida’, i manifestanti giunti da tutto il paese non hanno raggiunto le 50.000 persone su una popolazione di 22 milioni.

Fatto importante, il nuovo ministro degli Interni Mohammad al-Sha'ar, si è rivolto alle persone che hanno partecipato ai disordini consigliando loro di recarsi volontariamente alla polizia per ricevere un’amnistia che sarebbe stata concessa in cambio di informazioni dettagliate.

Più di 1100 persone hanno risposto all’appello. In pochi giorni, le nuclei principali sono state smembrati e molti armi nascoste sono state sequestrate. Dopo cinque settimane di violenze, la calma è lentamente rientrata in quasi tutte le città.

Tra i leader identificati e arrestati, molti erano ufficiali israeliani o libanese, e uno un politico libanese vicino a Saad Hariri. Questo tentativo di destabilizzazione avrà un seguito.



In seno al governo saudita, i Sudairi hanno beneficiato della malattia di re Abdullah per emarginarlo. Con l'aiuto degli Stati Uniti e d’Israele, hanno posto fine al ravvicinamento con Abdallah al-Assad e hanno supervisionato la controrivoluzione.

Un complotto scoperto

Ciò che era originariamente un complotto per rovesciare le autorità siriane si è trasformato in un appello al pubblico per una destabilizzazione. Avendo visto che la ribellione non era accaduta, il quotidiano siriano anti-arabo ha evocato senza timore le macchinazioni in corso.

Ha descritto i viaggi dei negoziatori giunti a Damasco per presentare le richieste dei Sudairi. Se dobbiamo credere ai giornali, la violenza si fermerà solo quando Bashar el-Assad obbedirà a due ordini:
- rompere con l'Iran;
- interrompere il sostegno alla resistenza in Palestina, Libano e Iraq.

La propaganda internazionale


I Sudairi vogliono un intervento militare degli occidentale per porre fine alla resistenza siriana, di modo che l'aggressione avvenga contro la Libia. Per fare questo, hanno mobilitato gli specialisti di propaganda.

Con sorpresa di tutti, la stazione satellitare TV Al-Jazeera ha improvvisamente cambiato la sua linea editoriale. È un segreto di Pulcinella il fatto che la stazione è stata creata dalla volontà dei fratelli David e Jean Frydman, miliardari francesi che sono stati consiglieri di Ytzakh Rabin e Ehud Barak. Volevano creare un mezzo che consentisse un dibattito tra israeliani e arabi, quando questo dibattito era vietato per legge in entrambi i paesi.

Per aprire il network, hanno chiesto aiuto all'emiro del Qatar, che inizialmente ha svolto un lavoro di copertura. La redazione è stata reclutata dai servizi arabi della BBC, così che molto dei giornalisti in arrivo erano agenti britannici dell’MI6.
Tuttavia l'Emiro ha preso il controllo politico della catena che è diventata il braccio destro nel suo principato.

Per anni, Al-Jazeera ha infatti giocato un ruolo di pacificazione, promuovendo il dialogo e la comprensione nella regione. Ma la catena ha anche contribuito a banalizzare il sistema di apartheid israeliano, come se le violenze di Tsahal fossero sbavature marginali di un regime accettabile, quando sono invece l’essenza del sistema.



In fuga, l'ex presidente Ben Ali ha trovato rifugio in Arabia Saudita
dal principe Nayef

Al-Jazeera, che ha filmato in modo eccezionale le rivolte in Tunisia e in Egitto, ha improvvisamente cambiato la sua linea editoriale nel caso della Libia, diventando il portavoce dei Sudairi.

Questo voltafaccia merita una spiegazione. L'attacco alla Libia era in origine un piano franco-britannico concepito nel novembre 2010, vale a dire ben prima della "Primavera Araba" che ha coinvolto anche gli Stati Uniti. Parigi e Londra volevano regolare i conti in sospeso con Tripoli per difendere i loro interessi coloniali.

Infatti, nel 2005-06 la NOC, Libia National Oil Company, aveva lanciato tre gare d'appalto internazionali per l'esplorazione e lo sfruttamento delle sue riserve, le più grandi dell’Africa.

Il colonnello Gheddafi aveva imposto le proprie regole in vari accordi stipulati con le imprese occidentali, sicuramente vantaggiosi, ma troppo poco dal loro punto di vista. Sono stati rinegoziati contratti meno favorevoli con le multinazionali di tutto il mondo. Ci sono state anche diverse liti relative alla cancellazione di lucrosi contratti per l’acquisto di attrezzature e armamenti.

Fin dai primi giorni della presunte rivolte di Bengasi, Parigi e Londra hanno istituito un Consiglio Nazionale di Transizione che la Francia ha ufficialmente riconosciuto come il legittimo rappresentante del popolo libico.

Questo Consiglio ha creato una nuova società del petrolio, la LOC, che è stata riconosciuta dalla comunità internazionale al vertice di Londra come detentrice dei diritto sugli idrocarburi del paese.

Dopo quest’aggressione è stato deciso che la commercializzazione del petrolio sottratto dal LOC sarebbe stato fatto dal... Qatar e il gruppo di contatto delle nazioni alleati si sarebbe incontrato a Doha.



Youssef al-Qardawi ritiene che la liberazione della Palestina sia importante,
ma meno rispetto all'introduzione della sharia

Immediatamente, il consulente religioso del network, Youssef al-Qardawi, ha rotto ogni indugio per chiedere il rovesciamento del presidente Bashar el-Assad. Sheikh al-Qardawi è Presidente dell’Unione Internazionale degli Ulema e anche del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca.

È il volto dei Fratelli Musulmani, fautore di un Islam ‘originale’ che consiste in un mix di "democrazia di mercato" statunintense e di oscurantismo saudita: si riconosce nel principio che i funzionari debbano essere eletti a condizione che si impegnino nell’imporre la Sharia nelle sue interpretazioni più restrittive.

Youssef al-Qardawi è stato raggiunto da un ulema saudita, Saleh Al-Haidan, che ha evocato "l’uccisione di un terzo dei siriani per permettere agli altri due terzi di poter vivere". Uccidere un terzo dei siriani? Questo significa uccidere i cristiani, gli ebrei, gli sciiti, i drusi e gli alawiti. Per far vivere gli altri due terzi? Vale a dire stabilire uno Stato sunnita prima che questi epuri la propria comunità.

Finora solo il ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, Hamas, sembra refrattario alla forza di seduzione dei petrodollari dei Sudairi. Il suo leader, Khaled Meshaal, non senza un attimo di esitazione, ha confermato che sarebbe rimasto in esilio a Damasco e che avrebbe sostenuto il presidente al-Assad. Con l'aiuto di quest'ultimo, ha cercato di prendere di mira i programmi imperialisti e sionista negoziando un accordo con Al Fatah di Mahmoud Abbas.

Dal mese di marzo, Al-Jazeera, la BBC e France24 di lingua araba si sono trasformate in organi di propaganda di massa. A colpi di menzogne e immagini manipolate, hanno descritto gli eventi per appiattire la Repubblica siriana sugli stereotipi del regime tunisino di Ben Ali.

Hanno cercato di far credere che l'esercito siriano sia una forza di repressione simile a quella della polizia tunisina e che non esiti a sparare contro i manifestanti inermi lottano per la loro libertà.

Questi media hanno anche annunciato la morte di un giovane soldato, che si era rifiutato di sparare sui suoi concittadini, alla fine torturato a morte dai suoi superiori. In effetti l'esercito siriano è un esercito di leva e il giovane soldato, secondo il suo stato civile, era era in congedo. Questo è stato spiegato dalla televisione siriana che ha dichiarato di voler difendere il paese dai mercenari stranieri.

Questi canali satellitari hanno anche cercato di presentare diverse personalità siriane come dei profittatori, come a esempio la famiglia di Ben Ali. Hanno concentrato le loro critiche su Rami Makhlouf, l'uomo più ricco del paese, che è cugino del presidente al-Assad. Hanno preteso che, tenendo a mente il modello tunisino, tutte le società che vogliano stabilirsi nel paese.

Tutto questo è assolutamente infondato e inimmaginabile nel contesto della Siria. In realtà, Rami Makhlouf ha goduto della fiducia del presidente al-Assad per le concessioni relative ai telefoni cellulari. E come tutti coloro che nel mondo hanno ottenuto concessioni simili è diventato miliardario.

La vera questione è se ha usato la sua posizione per arricchirsi a spese dei consumatori. La risposta è no: Syriatel offre tariffe per telefono cellulare più economico del mondo!

Comunque la palma della menzogna va di nuovo attribuita a Al-Jazeera, che si è spinta fino al punto di presentare le immagini di una manifestazione di 40.000 moscoviti che richiedevano la fine del sostegno russo alla Siria. In realtà quel filmato era stato girato durante la festa del 1° maggio, durante la quale la catena aveva infiltrato degli attori per simulare degli interventi dalla strada.

La riorganizzazione delle reti del principe Bandar e l'amministrazione Obama

Il dispositivo controrivoluzionario dei Sudairi si è trovato in difficoltà, visto che fino a quel momento i mercenari del principe Bandar avevano combattuto sotto la bandiera di Osama bin Laden in Afghanistan, Bosnia, in Cecenia o altrove. Inizialmente considerato un anticomunista, Bin Laden era progressivamente diventato un antioccidentale.

Il suo movimento è stato segnato dall’ideologia dello scontro di civiltà, proposto da Bernard Lewis e reso popolare dal suo allievo Samuel Huntington. Ha avuto il suo periodo di gloria con gli attentati dell'11 settembre e la guerra al terrorismo: gli uomini di Bandar erano presenti ovunque gli Stati Uniti chiedessero di intervenire.

Ma, visto il momento attuale, è necessario cambiare l'immagine degli jihadisti. Ora si chiede loro di combattere a fianco della NATO come una volta hanno combattuto al fianco della CIA in Afghanistan contro l'Armata Rossa. Conviene ritornare al discorso filo-occidentale di un tempo e trovargli un'altra anima in sostituzione dell’anti-comunismo. Questo sarà il lavoro ideologico dello sceicco Youssef al-Qardawi.

Per facilitare questa trasformazione, Washington ha annunciato la morte ufficiale di Osama bin Laden. Una volta sparita la figura tutelare, i mercenari del principe Bandar possono essere mobilitati sotto una nuova bandiera.

Questa ridistribuzione dei ruoli è stata accompagnata a Washington da un balletto di sedie.

Il generale David Petraeus, che da comandante di CENTCOM ha trattato con gli uomini di Bandar in Medio Oriente, è diventato direttore della CIA. Dobbiamo quindi aspettarci un ritiro accelerato delle truppe della NATO in Afghanistan e un maggiore coinvolgimento degli uomini di Bandar nelle operazioni segrete dell'Agenzia.

Leon Panetta, il direttore uscente della CIA, è diventato Segretario della Difesa.

Secondo l'accordo interno della classe dirigente degli Stati Uniti, questo posto dovrebbe essere riservato a un membro della Commissione Baker-Hamilton. Ma il democratico Panetta, come il repubblicano Gates, ne ha fatto parte. Nel caso di nuove guerre, dovrebbe limitare gli spiegamenti di forze sul terreno, limitandole alla Forze speciali.

A Riad e Washington è già stato redatto il certificato di morte della "Primavera Araba". I Sudairi possono dire del Medio Oriente quello che il Gattopardo ha detto dell’Italia: ". Tutto deve cambiare perché non cambi niente".

*Thierry Meyssan, intellettuale francese, fondatore e presidente di Réseau Voltaire e della conferenza “L’Asso per la Pace”. Pubblica analisi di politica estera nel mondo arabo, in America Latina e in Russia. L’ultimo suo libro in francese è “La Grande Bugia: Parte 2, la disinformazione e la manipolazione” (a cura di JP Bertrand, 2007).


La situazione in Siria mette in crisi i grandi network panarabi
da Contropiano - 12 Maggio 2011

Prima le dimissioni di un famoso editorialista e di un corrispondente da Al Jazeera, adesso le dimissioni di una conduttrice di punta da Al Arabya. Il modo con cui le televisioni satellitari di proprietà delle petromonarchie del Golfo “informano” sulla Siria stanno provocando una reazione tra i giornalisti “no embedded”. Un segnale interessante.

L'emittente satellitare araba Al Arabiya ha comunicato ufficalmente la notizia delle dimissioni presentate da una sua conduttrice tra le più note. Si tratta di Zeina al Yaziji, giornalista di origine siriana entrata in polemica da circa un mese con la direzione della televisione per come vengono seguite le proteste in corso nel suo paese.

Da settimane, alcuni media arabi avevano preannunciato le sue dimissioni, anche se la Zaziji in questi giorni era comparsa regolarmente sugli schermi dell'emittente satellitare per condurre il telegiornale.

Le dimissioni sono state presentate solo ieri sera dopo che, come ha spiegato la stessa Zaziji “ho tentato più volte di cambiare la linea editoriale della tv sugli eventi in corso in Siria senza riuscirci”.

La televisione satellitare Al Arabiya, di proprietà delle petromonarchie del Golfo, è infatti in prima linea nel sostenere gli oppositori di Assad e nel divulgare notizie, spesso non confermate, su quanto sta accadendo in Siria.

Per lo stesso motivo nei giorni scorsi aveva rassegnato le dimissioni anche il direttore della redazione siriana della televisione concorrente – Al Jazeera - il giornalista Abdel Hamid Tawfiq.

Mentre a metà aprile dalla stessa Al Jazeera si era dimesso uno dei più famosi editorialisti, Ghassan Ben Jiddo, direttore dell'ufficio di corrispondenza da Beirut. Le accuse di Giddo verso Al Jazeera erano state esplicite: “E’ diventata una centrale operativa per l’incitamento”. Sulla televisione satellitare pesano le scelte politiche del suo proprietario, il monarca del Qatar”.


Libia, l'accusa del vescovo di Tripoli:"La Nato sta uccidendo i civili"
di Alberto Tundo - Peacereporter - 14 Maggio 2011

Monsignor Martinelli accusa l'Alleanza di bombardamenti indiscriminati: "Sono una cosa immorale". L'invito ai politici: "Venite a vedere cosa state facendo"

Informazioni distorte per coprire i crimini della Nato, morti innocenti, donne, vecchi e bambini e un Paese in cui è stata distrutta la vita sociale. A Tripoli non si può più nemmeno dormire, i bombardamenti sono costanti e indiscriminati: ordigni esplodono neile vicinanze di case e ospedali. Monsignor Martinelli, vescovo della capitale libica, racconta a Peacereporter la disperata resistenza di una popolazione stretta tra le bombe dell'Alleanza e la morsa di un regime che è ancora in piedi e non sembra in procinto di cadere.

Cosa sta accadendo in Libia?
Quello che succede è quello che la Nato fa succedere. Sono le bombe che cadono senza tregua. Lei può immaginare quello che dicono giornali e televisioni: la tv libica non fa che mostrare vittime civili a Brega, Tripoli, in ogni parte della Libia. L'Europa sta compiendo un diastro, distruggendo la vita sociale di un Paese.

Le vittime mostrate dalla televisione di regime sono vere? Non sono una messinscena?
Sono vere! Le bombe cadono sulle case e io che devo pensare, che sono vittime false? Le bombe cadono sugli ospedali. Venga a vedere! Dica ai responsabili che vengano a vedere quello che stanno facendo le loro bombe che cadono vicino alle case. Muoiono bambini, muoiono anziani. Adesso a Marsa el Brega ieri sono morti sessanta imam, uomini di religione. Non sono storie, basta venire a vedere e constatatre. La televisione sta documentando costantemente quello che accade, le morti di innocenti. La notte, poi, è una cosa impossibile: tutta la notte sembra che ci sia un terremoto. Io non capisco che cosa vogliono colpire ancora, perché colpiscono siti civili. Dicono che sono siti militari ma non è vero. Forse non conoscono la Libia. Forse hanno una topografia sbagliata, informazioni sbagliate. Chiedo quindi di venire a vedere cosa sta facendo l'Europa, solo questo.

Quali cifre fornisce la tv libica per quanto riguarda i morti civili?
Non lo so con certezza. So dei 60 imam morti nei bombardamenti Nato nella zona di Brega e di alcuni bambini morti vicino all'ospedale degli ustionati a Tripoli.
Noi siamo stati invitati in una moschea della capitale per partecipare alla commemorazione degli imam morti giovedì.

Dalla Libia giungono informazioni contraddittorie ed è difficile farsi un'idea su come si stia evolvendo il conflitto. A Tripoli qual è la situazione?
Al di fuori delle bombe della Nato, la situazione è tutto sommato tranquilla. Certo, ci sono molti problemi. La gente ha paura di uscire. La paura è il problema principale, perché impedisce una vita sociale normale.

Quindi le notizie che compaiono periodicamente su alcune testate occidentali, circa defezioni, ammutinamenti e rivolte nella capitale libica non corrispondono al vero?
No, no, sono tutte bugie, per reggere il gioco della Nato e coprire quello che sta facendo con le sue bombe. L'Alleanza ha persino rifiutato una tregua per dare respiro alla popolazione, nonostante le richieste dell'Onu e del Santo Padre. Di notte e di giorno si bombarda, non si può più nemmeno dormire. Continuare a bombardare è una cosa immorale.

A lei che ha un punto d'osservazione privilegiato chiedo quale sia, a suo giudizio, la capacità di tenuta del regime: è ancora in piedi, è sul punto di crollare?
Non credo crollerà, per lo meno non a Tripoli. Va avanti come sempre, anche se ha ridotto la sua attività e mantiene la sua autorità sulla capitale e su parte della Tripolitania. Certo, c'é un certo irrigidimento ma mi sento abbastanza sicuro. Le autorità ci proteggono, se ci sono problemi ci avvisano.