giovedì 20 ottobre 2011

Libia - update

Qualche giorno fa i cosiddetti ribelli del Cnt hanno preso Bali Walid, mentre oggi hanno dichiarato ufficialmente di aver espugnato anche la città di Sirte.

Ma di Gheddafi e di suo figlio Saif al Islam si sono perse le tracce.

Si può quindi dirsi veramente conclusa la guerra in Libia o le milizie di Gheddafi continueranno in futuro a combattere con altri metodi, tattiche e strategie?

Time will tell...


Libia, l'assalto a Sirte
di Michele Paris - Altrenotizie - 18 Ottobre 2011

Con l’annuncio della caduta definitiva di Bani Walid diffuso lunedì, i “rivoluzionari” libici sembrano avere annientato una delle due rimanenti roccaforti principali della resistenza pro-Gheddafi a due mesi dalla conquista di Tripoli.

Le forze guidate dal Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), appoggiate dalla NATO, si apprestano ora a dare l’assalto finale a Sirte, dove la situazione umanitaria è precipitata in seguito ai massicci bombardamenti aerei e alle operazioni di terra condotte dagli ex ribelli.

I giornalisti al seguito delle forze del CNT l’altro giorno hanno documentato l’ingresso di queste ultime nei quartieri centrali della cittadina situata nel deserto a 140 km in direzione sud-est da Tripoli.

I comandanti militari hanno affermato di avere liberato completamente Bani Walid, dove sarebbero ormai cessate del tutto le operazioni dei fedeli di Gheddafi.

Dopo i falliti negoziati con i capi tribali per una resa pacifica, la città è stata al centro di un durissimo assedio nelle ultime settimane, che ha causato ingenti danni agli edifici e ha inflitto gravi sofferenze alla popolazione civile.

In una dichiarazione rilasciata al quotidiano britannico Daily Telegraph, uno dei leader militari del CNT, Mohammed Shakonah, ha confermato che “Bani Walid è stata definitivamente liberata nella notte tra domenica e lunedì. Le brigate fedeli a Gheddafi sono state costrette al ritiro e abbiamo conquistato le nostre posizioni” nella città.

Dopo la caduta di Tripoli e la fuga del Colonnello lo scorso mese di agosto, i vertici del CNT avevano dichiarato che la liberazione del paese sarebbe stata dichiarata una volta prese Bani Walid e Sirte.

Proprio quest’ultima località - città natale di Gheddafi sulla costa del Mediterraneo - rimane ora l’ultimo avamposto di una qualche resistenza alle forze sostenute dal fuoco e dalle armi della NATO.

Anche Sirte, in realtà, risulta ormai quasi completamente conquistata, dal momento che rimangono solo alcune sezioni della città in mano ai fedeli del rais e tutto fa pensare che le ultime sacche di resistenza saranno piegate a breve.

Nella giornata di martedì, infatti, il CNT ha lanciato quello che dovrebbe essere l’assalto decisivo alla città, con una forza di circa mille uomini e l’appoggio aereo della NATO.

L’offensiva dei “rivoluzionari” anti-Gheddafi ha peraltro già causato la pressoché totale devastazione di Sirte e la fuga di buona parte dei suoi centomila abitanti. Quelli ancora rimasti all’interno della città si trovano invece in condizioni a dir poco precarie, spesso senza un’abitazione né accesso a cibo, acqua e assistenza medica.

Nonostante gli eventi in corso a Sirte e a Bani Walid siano scomparsi da settimane dalle prime pagine dei giornali occidentali, sono svariati i resoconti che testimoniano la distruzione operata dai combattenti del CNT e dalla NATO.

Secondo un inviato del Washington Post entrato a Sirte nel fine settimana, “dopo settimane di battaglia intensa, la città natale di Gheddafi è apparsa sabato in gran parte distrutta e la popolazione fuggita”.

Allo stesso modo, per il Telegraph, Sirte è ormai ridotta a un cumulo di “squallide rovine” e lo scenario che si presenta agli occhi del corrispondente britannico ricorda “le orribili scene viste a Grozny alla fine della sanguinosa guerra condotta dall’esercito russo in Cecenia”.

Come ha denunciato Medici Senza Frontiere, circa dieci mila civili rimasti ancora a Sirte - tra cui donne, bambini e feriti - si trovano bloccati in aree dove continuano ad infuriare i combattimenti ed è impossibile portare assistenza medica.

Vendette e saccheggi da parte dei “rivoluzionari” sono ampiamente documentati e particolarmente spietato appare il comportamento dei reparti provenienti da Misurata, città che ha subito uno dei più intensi assedi del regime di Gheddafi nelle fasi iniziali del conflitto in Libia.

A conferma della natura punitiva di molte operazioni delle truppe del CNT ci sono poi le testimonianze degli abitanti di Sirte raccolte dai reporter sul campo. Un residente di questa città costiera, ad esempio, ha riferito alla Reuters che “le forze del CNT demoliscono e saccheggiano case, negozi e edifici pubblici”. Secondo un altro civile, invece, “quello che sta accadendo a Sirte è una vendetta, non una liberazione”.

Durante il conflitto, d’altra parte, l’avanzata degli ex ribelli è stata accompagnata da vendette violente e detenzioni arbitrarie di presunti sostenitori del vecchio regime, per non parlare degli attacchi razzisti indiscriminati contro libici di colore e immigrati sub-sahariani, accusati quasi sempre senza ragione di essere mercenari al servizio di Gheddafi.

Ancora una volta, e in maniera ancora più evidente, il trattamento riservato alle città di Bani Walid e Sirte, e ai loro abitanti, rivela dunque il vero carattere della presunta operazione umanitaria promossa dall’Occidente contro il regime di Gheddafi.

L’avventura neo-coloniale, intrapresa ufficialmente per fermare la repressione e le violenze da parte del governo di Tripoli contro la popolazione civile di città come Bengasi, si è trasformata in un incubo di distruzione e vendette di massa ai danni dei civili residenti nelle località che hanno ospitato l’estrema resistenza delle forze fedeli al Colonnello.

In questo scenario, i leader delle potenze occidentali che hanno scatenato il conflitto per rovesciare il regime di Gheddafi e instaurare un nuovo governo più docile e disponibile a “condividere” le enormi ricchezze minerarie della Libia continuano a sfilare a Tripoli per manifestare la loro solidarietà al governo di transizione.

Lunedì è giunto nella capitale il ministro degli Esteri britannico, William Hague, per festeggiare la riapertura dell’ambasciata di Londra dopo i danneggiamenti seguiti allo scoppio della guerra. Hague ha promesso un nuovo pacchetto di aiuti al governo provvisorio di Tripoli. Ulteriori aiuti sono stati annunciati anche da Hillary Clinton, approdata in Libia martedì per incontrare il presidente del CNT, Mustafa Abdul Jalil.

Quella della ex first lady è la visita del più autorevole esponente del governo americano nel paese nordafricano dopo la caduta del regime e la prima di un Segretario di Stato americano dal 2008, quando Condoleezza Rice ebbe un incontro molto cordiale con un Gheddafi da poco sdoganato dall’amministrazione Bush. Erano altri tempi…



Bani Walid, nella roccaforte espugnata. Caccia al figlio del Raìs: "E' scappato"
di Lorenzo Cremonesi - Il Corriere della Sera - 20 Ottobre 2011

«Ho perso 800 uomini, ci servono più mezzi». Il racconto dell’ingegnere 32enne al comando dei rivoluzionari che hanno debellato la resistenza dei lealisti


BANI WALID (Libia) - Saif al Islam, il figlio più noto di Moammar Ghaddafi, dovrebbe trovarsi con i circa 1.500 combattenti fedelissimi all’ex regime che negli ultimi giorni hanno abbandonato la battaglia di Bani Walid e si sono sparsi nel deserto verso sud.

«Li stiamo cercando. Ma non è un lavoro semplice. Ci servono mezzi, le regioni qui attorno sono tortuose», sostiene Mohammad Al Fassi, l’ingegnere 32enne che dalla primavera è al comando della “28 maggio”, l’unità delle forze rivoluzionarie libiche che durante il fine settimana ha debellato gli ultimi nidi di resistenza dei lealisti a Bani Walid, la capitale della tribù Warfalla 170 chilometri a sud di Tripoli.

IL CAPO FERITO - I Warfallah, circa un milione di persone, la tribù più grande della Libia, sono noti per essere tra i sostenitori storici di Gheddafi. «Ma non tutti siamo con lui», ci tiene a sottolineare Al Fassi. «Io stesso sono un Warfallah originario di Bani Walid».

Ci riceve seduto su di una seggiola nel cortile di un edificio della municipalità nel centro della città. Pochi giorni fa è stato ferito da un colpo di mitra ad un ginocchio. Ha la gamba bendata, si muove con le stampelle. Attorno è il caos.

I soldati vincitori stanno ancora setacciando le strade a caccia di cecchini e fuggiaschi. La città è quasi del tutto vuota. E i primi abitanti che stanno tornando a ispezionare i danni alle loro case accusano già le truppe ribelli di appiccare inutilmente gli incendi e soprattutto di saccheggi.

Lui ne è ben consapevole. «Dovrei avere un contingente della polizia militare ai miei ordini. Ma per ora devo limitarmi a gestire l’emergenza. Stiamo cercando di garantire il ripristino dell’elettricità, della rete idrica e della telefonia. Non ho uomini a sufficienza per controllare i saccheggi», spiega.

FINITE LE MUNIZIONI - Così racconta la presa di Bani Walid, mentre a Sirte i miliziani pro-Gheddafi ancora resistono.

«Ai miei ordini ho quasi 4.000 uomini, che erano divisi in tre colonne. La più forte ne contava oltre 2.000 ed è arrivata da sud. In tutto, tra morti e feriti, ne ho persi circa 800. I nostri nemici invece erano circa 2.500. Valutiamo che metà siano scappati. Ne abbiamo arrestati 700. Abbiamo contato 300 loro morti. Vanno censiti i feriti. La città è puntellata di tombe improvvisate».

Cosa ha facilitato la vostra vittoria? «La mancanza di munizioni. A un certo punto una decina di giorni fa i soldati di Gheddafi hanno capito che non potevano più resistere e hanno iniziato ad evacuare».

E cosa può dire di Saif al Islam o altri membri della famiglia Gheddafi? «Di lui abbiamo la certezza che era nel centro di Bani Walid ancora il 18 settembre. Poi ci è stato raccontato fosse nascosto all’ospedale. Abbiamo catturato tre suoi generali che forniscono parecchi dettagli. Porrebbero rivelarsi utili per cercare di dargli la caccia». Non possiamo dilungare la conversazione.

Una lunga coda di militari e qualche civile attende di parlare con l’ufficiale. Fuori dalla palazzina incontriamo quattro giovani che per stanno tornando per la prima volta a ispezionare la loro abitazione dopo che l’avevano abbandonata sotto le bombe una settimana fa. Le porte sono sfondate, in cortile i resti carbonizzati dei mobili, vestiti, stoviglie. La casa è stata saccheggiata e incendiata.

I giovani sono furiosi. «Questa è un’offesa. Che senso hanno questi danni gratuiti? Perché rubano?», esclamano, senza voler dire i loro nomi. E promettono: «Ci vendicheremo. I Warfallah non perdonano, non dimenticano. Chi ha rubato la pagherà cara».


La Nato: i civili di Sirte? «Non è compito nostro»
di Marinella Correggia - Il Manifesto - 19 Ottobre 2011

«I combattenti gheddafiani stanno sulle difensive, non controllano più alcuna area popolata e non sono più una minaccia credibile se non in certe sacche. La maggior parte della popolazione di Sirte e Bani Walid non corre più pericoli»: così ieri il colonnello Roland Lavoie, della Nato, in conferenza stampa.

Gli unici a minacciare i civili erano Gheddafi e i suoi «mercenari»? Dunque la Unified Protector (Nato più petro-monarchie del Golfo) farà le valigie? Non ancora: «Il Cnt riveste un ruolo sempre più importante nella sicurezza in Libia, ma rimaniamo vigili, pronti a colpire qualunque mezzo militare sia una minaccia significativa».

Stando alla lettera e allo spirito del mandato Onu, ora la Nato dovrebbe neutralizzare le truppe del Cnt. Sirte distrutta, saccheggi delle case di chi è fuggito, uso di armi pesanti contro aree popolate da civili, intralci all'ingresso della Croce rossa, violenze e omicidi di migranti sub-sahariani e autoctoni di pelle nera, arresti e torture...

Ma la Nato non vede. Lavoie lancia il ritornello: «Non abbiamo prove di civili che vengano minacciati», «quanto ai saccheggi auspichiamo che il Cnt assumerà un ruolo di polizia. Non è compito Nato, non possiamo fare nulla».

E su Sirte, «adesso l'area degli scontri è molto limitata... Se ci sono ancora civili là non so che ci stanno a fare»; del resto «il Cnt si è mostrato disponibile a far uscire le persone».

Per settimane la Nato ha bombardato, colpendo anche vicino all'ospedale («sì, ma sa chi c'era lì vicino?»), e il Cnt con armi pesanti e missili Grad, che la Nato chiama «arma indiscriminata» perché non di precisione, e dunque «minaccia ai civili»: «Dipende da dove sono diretti i missili...».

Ma quando tiravate sui lealisti accusati di usare Grad, non facevate questi distinguo... Il colonnello sorride. Gli scontri di venerdì a Tripoli dove hanno fatto la loro ricomparsa alcuni nuclei di gheddafiani? «Schermaglie che il Cnt ha risolto, senza danno per i civili».

L'enorme quantità d'armi «sparite» dagli arsenali di Gheddafi o regalate ai ribelli (nonostante sulla carta l'embargo valesse per entrambi i contendenti) da Qatar, Francia, Italia... ? «Non è compito della missione. Siamo qui solo per i civili».

Purché non siano «gheddafiani»: Sirte, città martire, non esiste. Né per la Nato né per Hillary Clinton, segretario di stato Usa, piombata ieri in visita-lampo a Tripoli per incontrare il «presidente» Abdul Jalil, il «premier» Jibril e il «ministro di finanze e petrolio» Alì Thourani. Già, finanze, petrolio...


Qualche domanda sulla Libia
di Amedeo Ricucci - www.amedeoricucci.it - 19 Ottobre 201

La settimana prossima il Governo italiano riferirà in Parlamento sulla nostra partecipazione alla missione della Nato in Libia. Una missione che dal 30 settembre non ha alcuna copertura, nè finanziaria nè costituzionale, ma che ci vede ancora impegnati, come ribadiscono gli ultimi comunicati dello Stato Maggiore della Difesa.

In vista di tale discussione – da cui immagino dipenda il rifinanziamento della missione – e alla luce dei più recenti e drammatici sviluppi della situazione militare, non mi dispiacerebbe che Governo e Parlamento rispondessero ad alcune domande:

1) Nelle battaglie per la presa di Sirte e Bani Walid la popolazione civile, stando a tutte le testimonianze raccolte dalla stampa internazionale, stava dalla parte dei lealisti e non dei ribelli. A Sirte ha lasciato entrare i ribelli in città per poi attaccarli. A Bani Walid ha aiutato i combattenti, per settimane.

Inoltre, in entrambe le città i civili sono fuggiti, proprio per evitare di finire nelle mani dei ribelli. Eppure, la Nato non ha lesinato il proprio appoggio alle truppe del CNT, supportandole tutti i giorni sia con il sorvolo aereo che con il lavoro di intelligence, in alcuni casi anche con bombardamenti mirati. Il risultato è che le due città sono ridotte a un cumulo di macerie.

E allora mi chiedo: COME SI CONCILIA QUESTO SUPPORTO CON LE RISOLUZIONI DELL’ONU (n. 1970 e n. 1970), CHE IN REALTA’ HANNO AUTORIZZATO LA MISSIONE DELLA NATO SOLO A PROTEZIONE DEI CIVILI MINACCIATI DALLE RAPPRESAGLIE DI GHEDDAFI E DEI SUOI SOLDATI? ERA ED E’ LECITO AIUTARE UNA DELLE DUE PARTI BELLIGERANTI, ANCHE QUANDO IL SUO SCOPO E’ LA DISTRUZIONE DI UNA CITTA’?

2) L’appoggio al CNT di Bengasi è stato motivato in nome della libertà e della giustizia, valori ai quali i “ribelli” di Bengasi hanno sempre detto di ispirarsi, fin dall’inizio della sollevazione contro Gheddafi, il 17 febbraio scorso.

In realtà, sono ormai diversi mesi che le principali organizzazioni umanitarie denunciano sistematiche e non episodiche violazioni dei diritti umani, regolamenti di conti, torture e pratiche incompatibili con tali valori. L’ultimo allarme l’ha lanciato Amnesty International, il 13 ottobre, a conclusione di una lunga inchiesta sul terreno, che non lascia spazio a dubbi.

E allora chiedo, ai rappresentanti del Governo ma anche dell’opposizione, che la missione in Libia l’hanno votata: COME SI GIUSTIFICA L’ APPOGGIO INCONDIZIONATO CHE DIAMO AL CNT? E COME MAI IN NESSUNA OCCASIONE SI E’ LEVATA UNA VOCE UFFICIALE PER DIRE BASTA A TALI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI?

3) La campagna militare in Libia è ormai entrata nella sua fase finale ma la pacificazione del Paese è ancora lontana. La guerra, anzi, ha esacerbato le differenze, non solo tribali, aggiungendovi una scia di odio e di risentimenti che non sarà facile riassorbire.

Lo stesso fronte dei ribelli pare lacerato da profonde divisioni, che si approfondiscono anzichè sanarsi. All’orizzonte si profila perciò una situazione all’irachena, molto instabile e dalla quale sarà difficile che nasca – se non dopo molti anni – una vera democrazia.

Chiedo perciò a chi sarà deputato a gestire la nostra politica estera: QUALI SARANNO LE NOSTRE PRIORITA’ IN LIBIA? CI INTERESSA SOLO IL PETROLIO OPPURE CREDIAMO IN UNA NUOVA POLITICA DI COOPERAZIONE NEL MEDITERRANEO? E SU QUALI BASI?