lunedì 17 ottobre 2011

Incappuciados vs. indignados e i banchieri se la ridono...


Una serie di articoli sulla manifestazione dell'altroieri a Roma.



Sfascisti bastardi codardi e perdenti

di Ennio Remondino - www.globalist.it - 16 Ottobre 2011

A dirla senza peli sulla lingua. Sarà un po' per l'età, un po' per uno sgradevole sapore di già visto ma l'espressione più diretta che mi viene, di fronte a quegli scalmanati in nero che hanno umiliato e nascosto le nostre legittime incazzature (anch'io sono un indignato), sarà forse rozza ma sincera.

Bastardi. Brutti bastardi. Codardi, aggiungo, col vostro mascherarvi alle spalle di chi, quell'enorme corteo pacifico lo stava vivendo come momento di grande democrazia.

Ma nella democrazia reale e partecipata, teste di cazzo come voi non rappresenterebbero nulla. Ed ecco allora la "politica" della spranga, dei sassi, della molotov. Bastardi e codardi. Caricature mal riuscite di un passato remoto. Gente come voi so già come finirà, l'ho già visto.

Sarete presto degli ottimi sostenitori, fiancheggiatori ed esponenti di quel mondo parassita che oggi affermate di combattere, colpendo di fatto chi veramente lotta per un futuro di maggiore equità e di speranze.

Ordine pubblico o investigazioni? Galera invocano oggi tutti. Anch'io, confesso, anche se un po' me ne vergogno. Galera per chi? Per quei dieci o cento beccati a caso nel bordello di cariche di ordine pubblico e di contro guerriglia vostra. Quanto poveri cristi innocenti ci sono finiti nel mezzo?

Per primi gli uomini delle diverse forze di polizia, certamente più figlio del proletariato di voi, come ripeterebbe Pasolini.

Non ho elementi e capacità per giudicare come è stata gestito "l'ordine pubblico" sulla piazza. Certamente non abbiamo visto un bis di Genova e conto non ci stato alcun seguito di Diaz né di Bolzaneto.

Ma che voi, 100, 200 teste di cazzo (mi riscuso) non abbiate ancora un nome e una foto segnaletica, illustri signori investigatori di tutte le polizie, anche questo mi indigna.

Sarà perché le prime piazza calde le ho vissute quando c'era ancora "L'Ufficio politico", che non erano dei tenerelli, ma signori Digos e Ros o che cavolo d'altro sia, come trascorrete il vostro tempo? Aisi, se ci sei batti un colpo.

"Infiltrati venuti da lontano". Peggio mi sento se ciò fosse vero. Siamo tornati a "Roma città aperta" o il controllo preventivo non ha funzionato per nulla?

Se uno si presenta col casco in testa all'interno di una banca, come minimo scatta l'allarme. Uno con casco o cappuccio e faccia bendata in un corteo è soltanto raffreddato? Filtrare prima.

Prima che i gruppi diventino massa, forse avrebbe aiutato. Poi la cariche a disperdere. Certamente tattica studiata a tavolino da esperti. Salvo "l'effetto collaterale" (tipo bomba che sbaglia bersaglio), che ottiene di allargare la zone delle violenza e dell'impunità di singoli gruppi, loro sì organizzati.

Avendo io quei giovani signori in evidente simpatia, l'idea di vederli tutti belli raggruppati, non volontariamente (sono bastardi ma non scemi), ma per accorta manovra di accerchiamento (imito male il linguaggio militare), non avrebbe alla fine dato qualche risultato in più sulla fine della violenza e sulla identificazione di quei fantasmi in nero?

E ora pure la beffa dei commenti. Pastone politico due volte indigesto, tra ovvietà e prese in giro. Intanto perché alcuni (pochi, molti?) tra chi ovviamente riprova quanto accaduto è causa diretta della indignazione buone dei più, delle migliaia di più.

Il ministro Maroni concede che si tratta di "infiltrati tra i manifestanti". "Violenze inammissibili", dice il Presidente Giorgio Napolitano, "contro la libera espressione di un democratico dissenso".

Fin qui non si può che condividere. Bersani solleva i primi dubbi. "Bisognerà capire come sia possibile che una banda di centinaia di delinquenti abbia potuto devastare, aggredire, incendiare e tenere in scacco per ore il centro di Roma".

Il ministro del lavoro Sacconi al suo solito sbraga e azzarda paragoni con gli anni '60 e '70. Alemanno sindaco fa il tifo romanesco: "Quei violenti venivano da fuori Roma".

Per fortuna c'è il superbanchiere Draghi (uno dei bersagli indiretti della contestazione) che prima riconosce: "Se la prendono con la finanza come capro espiatorio e li capisco", poi definisce "un gran peccato" quanto accaduto.

Poi le solite polemiche Rai. Comincia Alessio Butti, capogruppo Pdl nella Commissione parlamentare di vigilanza Rai, con l'attacco a Rainews24, colpevole, di minimizzare scontri e danneggiamenti nella sua copertura giornalistica.

Giorgio Merlo, Pd, vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai gli contesta di avere detta un mucchio di scemenze. Butti ammorbidisce. Fuffa politichese. Non ascoltano purtroppo le notizie degli scontri in corso neppure i telespettatori della Rete Uno.

Il sindacato del Tg1 avrebbe voluto allestire una diretta e degli speciali sulla manifestazione di Roma ma la richiesta è stata respinta dalla Rai. "Abbiamo chiesto all'azienda spazi per edizioni straordinarie o almeno finestre informative, ma i responsabili aziendali hanno respinto la richiesta del Tg1 e stanno continuando a mandare in onda programmi registrati".

Replica ufficiale della Rai: "Tutte le richieste per le dirette e le edizioni speciali avanzate dai direttori delle maggiori testate" sono state "immediatamente autorizzate".

Sta a vedere che ad essere distratti oltre che Maroni era anche il direttorissimo Augusto Minzolini.


Violenza nichilista

di Alessio Mannino - http://alessiomannino.blogspot.com - 16 Ottobre 2011

Considerazioni a caldo sui fatti di ieri a Roma.

1. Mille manifestazioni in 82 stati del mondo, e solo nella nostra capitale sono avvenuti gravi episodi di guerriglia urbana. C’è una specificità tutta italiana. Dopo dieci anni di riflessioni e autocritiche interne al movimento dal G8 di Genova, nel nostro paese il problema persiste irrisolto.

2. I pochi vandali che la semplificazione giornalistica denomina come “black block” possono essere due categorie di individui: o appartenenti a quel lumpenproletariat di giovani e meno giovani sbandati e sotto-occupati che formicolano in alcuni centri sociali, la fazione più cieca e anarcoide dell’antagonismo; o agenti infiltrati, secondo il “teorema Cossiga” per cui più le dimostrazioni degenerano in barbarie distruttiva, meglio è per lo Stato e la politica istituzionale che hanno buon gioco a criminalizzare l’intera protesta e le sue ragioni.

3. Possibile che le associazioni, i movimenti, i partiti e i sindacati non riescano, per insipienza e mancanza di disciplina, a munirsi di un’auto-difesa da elementi estranei che si immettono nei serpentoni per poi staccarsene all’improvviso e darsi alla furia incontrollata?

4. Il coro di regime condanna la violenza in quanto tale. Da parte mia, la trovo idiota, controproducente, inutile, dannosa. E’ uno sfogo puramente nichilista, che non si pone altro obbiettivo che non sia sfasciare tutto. I cretini incappucciati confondono una vetrina spaccata con la rivoluzione. Il risentimento anti-sistema è allo stato magmatico, di brodo primordiale. E si esprime in due modi: o con fiumane belanti e politicamente sterili, o con il teppismo puro e semplice.

5. L’abituale pantomima della marcia di una maggioranza di indignati “buoni” rovinata da una micro-minoranza irresponsabile e senza volto è funzionale al mantenimento dell’ordine costituito.

Prova ne sia il commento di Mario Draghi, prossimo presidente Bce, l’uomo che incarna la macchina mondialista della finanza padrona: i giovani hanno ragione ad arrabbiarsi – ha detto il criminale di Goldman Sachs – ma la violenza è inaccettabile.

La violenza diventerebbe accettabile, come sempre lo è stata nei momenti culminanti delle rivoluzioni, se fossimo in una fase storica realmente rivoluzionaria. Non è così.


Di vari modi per togliere la voce

di Piotr - Megachip - 17 Ottobre 2011

Sabato 15 ottobre centinaia di migliaia di persone a Roma sono state tenute in ostaggio da qualche centinaio di guerrieri che sono riusciti a trascinare con sé un migliaio di ragazzi, spesso molto giovani, esasperati e purtroppo incapaci di ogni pensiero politico.

Questi sono i numeri. I guerrieri sono andati all’attacco di una città presidiata da forze di Polizia che avevano evidentemente ricevuto l’ordine di mantenere un basso profilo e non massacrare il corteo. Quell’ordine veniva dall’alto.

L’ambiente preciso è stato probabilmente rivelato dalle dichiarazioni di Mario Draghi all’incontro del G20 finanziario a Parigi, molto “comprensive” nei nostri confronti.

Il Cavaliere Berlusconi ormai boccheggiante sarebbe stata l’ultima persona a trarre vantaggio da una nuova Genova con carrozzine per disabili rovesciate, boyscout con la testa sfasciata e famiglie prese a botte dalle forze di polizia. Tuttavia penso che l’ordine di mantenere un basso profilo non sia venuto da lui, ma da chi sta facendo maturare le condizioni per la sua successione.

Al G20 di Parigi avranno dovuto tener conto delle “rigidità verso il basso” (per usare un termine del loro slang) che le loro politiche di spoliazione delle classi subalterne hanno incominciato ad incontrare e che stanno dilagando in tutti i continenti.

Da qui la prudenza e il tentativo di non radicalizzare in piazza proteste che con buona probabilità possono radicalizzarsi per altri motivi già spontaneamente.

D’altra parte non era nell’interesse di un movimento politico responsabile e neonato scontrarsi alla cieca, ovvero contro un governo nazionale tenuto in vita artificialmente da centri di potere con cordoni ombelicali al di fuori della portata di singoli movimenti nazionali.

Ci occorre collegamento, coordinamento, crescita, radicamento e voce. Molta voce.

Quale era allora la voce della minoranza di ultrà dello scorso Sabato 15 ottobre? Intendo quella che non si riduce al grido rauco di rabbia? Eccola: «Se non si fa casino non si riesce ad essere sentiti».

Sentiti da chi?

In realtà, per far sentire la propria voce serve la forza politica, non quella militare.

Quella militare serve ad altro, serve a sovvertire l’ordine proprio di chi non ascolta.

Questa sovversione non ha assolutamente niente a che vedere con il rito a scadenza prestabilita della devastazione dei centri cittadini. Che non è lotta di classe e meno che meno rivoluzione, ma una jacquerie.

Queste persone dimostrano così di essere prigioniere senza scampo della logica della società dello spettacolo che è parte integrante del sistema che esse vogliono combattere: esisti solo se di te parlano i media, solo se ti mostrano seppur senza volto o fanno una bella panoramica sul risultato delle tue imprese. Costi quel che costi, non è vero?

Anche l’incolumità di madri e padri presenti alla manifestazione coi loro bambini, delle persone più anziane, o dei disabili lì presenti in piazza.

E costi anche l’afonia del movimento in cui vi siete intrufolati. Un movimento che ora è costretto a discutere cosa dire di voi, e non delle banche, delle multinazionali, delle oligarchie finanziarie, delle guerre imperiali.

Il movimento del 15 ottobre, o meglio solo alcune delle sue varie anime, aveva con difficoltà ottenuto qualche spazio mediatico in questa società da cambiare. Molte altre voci, come le componenti del Comitato 1° ottobre, sono state emarginate preventivamente, ben prima della giornata di Sabato.

Oggi la nostra voce è stata totalmente sovrastata da persone la cui irresponsabilità non può essere giustificata dalla loro disperazione.

Siamo tutti disperati. E anche esasperati. Ma il 15 ottobre noi non lo abbiamo potuto dire, perché siamo stati azzittiti. Tutti. E senza voce non si vive, perché la voce è collegamento, coordinamento, crescita e radicamento.

Non dovrà più succedere.


500 contro 500 mila

di Giulietto Chiesa - Il Fatto Quotidiano - 17 Ottobre 2011

Chi fossero non ha molta importanza, quei 500, o poco più, che hanno impedito al corteo dei 500 mila di giungere fino a piazza San Giovanni.

Di estrema destra, di estrema sinistra, skinhead di ogni colore, giovani semplicemente arrabbiati, pasticcioni borderline con inclinazioni verso la “sindrome di Londra” (sfascio tutto e mi porto a casa l’ iPad), sfondatori di bancomat e di distributori di benzina, incendiari di auto con l’idea che è così che si combattono le multinazionali, provocatori che giocano le loro partite su “suggerimenti” di non sappiamo chi. Insomma tutti abitanti di quella gabbia di matti in cui si sta trasformando questa società malata.

Certo che sono, per fortuna nostra, solo qualche centinaio. Per ora. Gli altri, i cinquecentomila che sono arrivati a Roma per dire che non vogliono pagare il debito, sono i rappresentanti di un’Italia che matta non è affatto e che sta velocemente prendendo coscienza del fatto che occorre organizzarsi per togliere il potere alla casta politica che ha tenuto bordone ai padroni della finanza internazionale e nazionale da cui è stata pagata.

Tutta l’Italia ha così visto solo i disordini provocati dai facinorosi e non ha visto i 500 mila che la rappresentavano assai meglio. Non è una novità. Vuol dire che il mainstream si conferma per quello che è: cieco di fronte alla realtà, e interessato solo allo spettacolo.

Ma i 500 mila restano. E, stando ai sondaggi, rappresentano l’80 % degli italiani. A occhio e croce anche degli europei e degli americani.

Vuol dire che le manifestazioni non cesseranno e, anzi, si estenderanno. E vorrà dire che dovremo tornare ai tempi gloriosi in cui i cortei si dotavano di un servizio d’ordine per proteggersi dagl’imbecilli e dai provocatori.

Penso che sarà necessario perché la prevalenza del cretino (come scriveva il compianto professor Cipolla) è marcata, specie nei tempi di crisi.

E questo lo si è visto bene sabato 15, quando la polizia ha mantenuto i patti con il corteo, e gli unici nemici che i 500 mila si sono trovati davanti avevano solo la divisa del cretino e portavano maschere e caschi per non farsi riconoscere.



Per Libero e Il Giornale indignati = violenti
di Stefano Corradino - Il Fatto Quotidiano - 17 Ottobre 2011

La violenza di piazza San Giovanni è partita dal web. Questa l’opinione di una delle principali emittenti private (avete tre possibilità per indovinare quale…) e di alcuni quotidiani, declamata sabato notte a poche ore dalla fine della giornata di manifestazione e di scontri.

Secondo questa tesi “illuminante”, è sui siti internet (Indymedia in particolare), sui blog e sui social network che da giorni covava, si organizzava e si ramificava quella che poi è diventata l’azione da guerriglia armata che ha messo a ferro e fuoco piazza San Giovanni e dintorni.

“I siti internet e i forum tradizionali dell’insurrezione italiana ed europea -
scrive ieri il quotidiano il Tempodettano l’agenda che poi viene replicata e alimentata nei mille rivoli del microblogging”.

Probabilmente oggi e nei prossimi giorni gli accusatori della rete non potranno omettere la notizia che proprio dal web è partita la mobilitazione per smascherare i violenti. Ma intanto il sasso è stato lanciato. Non contro le vetrine delle banche ma contro la rete.

E facevamo bene a non esultare all’indomani della notizia che i blog e i siti internet venivano stralciati dal ddl sulle intercettazioni perchè in molti temevamo che il bavaglio sarebbe stato riproposto in altre forme.

E non servono capacità divinatorie per immaginare che alla prossima buona occasione qualcuno rilancierà il bavaglio alla rete partendo proprio dagli scontri di sabato.

Il bavaglio agli indignati e ai manifestanti intanto è stato già messo: la gran parte dei telegiornali, salvo le solite rare eccezioni (Rainews vero esempio di servizio pubblico), ha infatti letteralmente cancellato la manifestazione e le istanze dei giovani, le rivendicazioni indignate ma pacifiche di chi ha viaggiato tutta la notte per raggiungere la capitale e dire no ad un modello di sviluppo e di società che premia i ricchi e i furbi e umilia i poveri e gli onesti, che mortifica i sogni e le speranze di un mondo migliore.

C’è poi chi è andato oltre equiparando di fatto i disarmati manifestanti con i black bloc: “Nel grande corteo di ieri a Roma - scrive Giampaolo Pansa su Libero - gli Indignati del 2011 hanno provocato un disastro. Erano anche loro vecchie conoscenze. Non a causa dell’età, abbastanza giovane, bensì per la connotazione politica. Centri sociali, militanti no global, Cobas, no Tav, no Ponte di Messina, avanguardie della Fiom, antagonisti, anarchici, squatter, collettivi universitari senza bussola. Tutti raccolti sotto una sigla copiata dal movimento spagnolo. Ma ancora una volta la loro furia è servita soltanto a devastare il centro della capitale, a fare molti feriti, a bruciare automobili, a distruggere agenzie bancarie e negozi, a invadere edifici pubblici…”.

Vittorio Feltri
sul Giornale è ancora più esplicito: “Ringraziate il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che non vi ha preso a calci in bocca… E non venite a raccontarci che non siete responsabili dei disastri, che è tutta colpa degli infiltrati provocatori. I provocatori siete voi. E anche farabutti”. Come commentare?


Una nuova epoca
di Valentino Parlato - www.ilmanifesto.it - 16 Ottobre 2011

Quella di ieri a Roma è stata una manifestazione storica, il segno di un possibile cambiamento d'epoca. Una manifestazione enorme, rappresentativa di tutto il paese (camminando nel corteo e in piazza si sentivano gli accenti di tutte le regioni italiane).

E ancora, una manifestazione che si realizzava in contemporanea con tante altre nel mondo, in Europa e anche negli Usa, tutte concentrate sul cambiamento del modello di sviluppo, a sancire la crisi del liberalcapitalismo.

Per dire che così non si può andare avanti, che la politica di oggi è arrivata a un punto morto e che ci vuole un'inversione di rotta, anche dei partiti politici, oggi ridotti alla sopravvivenza di sé stessi.

A Roma ci sono stati anche scontri con la polizia e manifestazioni di violenza. Meglio se non ci fossero state, ma nell'attuale contesto, con gli indici di disoccupazione giovanile ai vertici storici, era inevitabile che ci fossero.

Aggiungerei: è bene, istruttivo che ci siano stati. Sono segni dell'urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile.

La manifestazione e le pressioni che essa esprime chiedono un rinnovamento della politica.

È una sfida positiva agli attuali partiti di sinistra a uscire dal passato e prendere atto di quel che nel mondo è cambiato. La crisi attuale - più pesante, dicono in molti, di quella del 1929 - non può essere superata con i soliti strumenti.

Negli Usa fu affrontata con il New Deal e in Italia e Germania, dove lo sbocco fu a destra, non con le privatizzazioni, ma con le nazionalizzazioni di banche e industrie. Ci ricordiamo dell'Iri, fondamentale nell'economia anche dopo la caduta del fascismo?

Quello che è accaduto ieri deve aprirci gli occhi e la mente. Non si può continuare a fare politica con le vecchie ricette.

Ci dovranno essere cambiamenti anche nelle lotte sul lavoro e nel sindacato, e nella politica economica. Per concludere, vorrei ricordare che dopo il discorso di Sarteano anche un banchiere come Mario Draghi ha detto di capire le ragioni degli indignati. Forse siamo all'inizio di una nuova epoca.


I Draghi e la crisi
di Franco Berardi "Bifo" - www.facebook.com - 16 Ottobre 2011

La dichiarazione rilasciata da Mario Draghi la mattina del 15 Ottobre è segno di sarcastica arroganza della classe finanziaria.

Mario Draghi, prossimo Presidente della Banca Centrale Europea, che ha dichiarato di essere dalla parte degli “indignati”. “Anche noi siamo arrabbiati contro la crisi figuriamoci i ventenni che non trovano lavoro.”

Ciò significa che non appena prenderà il suo posto di presidente della Banca, Mario Draghi tasserà le transazioni finanziarie nella stessa misura in cui tassa il mio stipendio? Che la BCE erogherà finalmente un reddito di cittadinanza per tutti i disoccupati europei?

Chiederà ai governi europei di investire nuovamente i soldi tagliati alla scuola, e di riassumere i dipendenti pubblici e privati licenziati per effetto delle misure deflazioniste e privatistiche della passata gestione della BCE? Ne dubito.

Chi è Draghi? Allievo del compianto Federico Caffè ed ex direttore esecutivo della Banca Mondiale, Draghi è stato dal 2002 al 2005 vicepresidente e membro del Management Committee Worldwide della Goldman Sachs, la banca d’affari che si può considerare responsabile principale della speculazione globale che sta portando al collasso le democrazie e alla miseria le popolazioni.

Per quanto presentato come persona di specchiata moralità, Mario Draghi non è un gentiluomo. Non è al soldo della mafia come la maggior parte dei ministri del governo Berlusconi, ma è portatore di quegli interessi finanziari che sono un pericolo mortale per la vita quotidiana della popolazione europea.

Draghi viene avanti per far fuori le mafie secondarie, come quella di Berlusconi, e imporre gli interessi della mafia dominante, quella della Banca Centrale europea, cuore nero dell’imposizione dogmatica di criteri economici che confliggono con il benessere, la pace, e la civiltà sociale.

Ma forse Draghi non ha capito bene: il movimento non è arrabbiato contro la crisi come crede lui e come suggerisce uno slogan sbagliato che circola nel movimento.

Senza polemizzare con i compagni di Global Project, e della FIOM per i quali nutro affetto solidarietà e rispetto, vorrei suggerirgli di cambiare nome alla loro iniziativa unitaria.

Il movimento non è contro la crisi (che non significa niente). E’ contro il capitalismo, contro lo sfruttamento, la competizione, il dogma del profitto e della crescita.

La crisi non è che uno degli effetti della follia del capitalismo finanziario, e può essere l’occasione per consegnare il capitalismo alla storia.

Non è l’emergenza della crisi a distruggere la nostra vita, ma la normalità del capitalismo che sfrutta, uccide, inquina.

La crisi non è che il momento più violento della normalità capitalista, ed è anche il momento nel quale la società può rompere la catena politica, sociale e culturale che la incatena.


Gli indignati scendono in strada?
di Massimo Mazzucco - Luogocomune - 16 Ottobre 2011

Trovo i cortei e le manifestazioni come quella di ieri qualcosa di assolutamente inutile e ridicolo insieme.

Inutili, perchè se non c’è una richiesta precisa da portare avanti non si ottiene comunque niente in ogni caso. Nella migliore delle ipotesi si sfila pacificamente, si urlano quattro slogan, ci si dice “volemose bbene”, e si torna a casa belli contenti di essersi sfogati in piazza.

Nella peggiore delle ipotesi ti becchi qualche manganellata, ti sloghi una caviglia scappando, oppure se hai sfiga qualcuno ti brucia la macchina mentre tu sfilavi nella strada accanto. Ma comunque non avrai ottenuto niente, e lunedì torni al lavoro esattamente come prima.

Ridicoli, perchè è semplicemente metafisico che la gente vada in strada a protestare contro le stesse persone che ha mandato al governo, con il proprio voto, qualche mese prima.

Davvero non lo sapevi, che nemmeno questa volta le riforme non le avrebbero fatte, che i posti di lavoro non sarebbero aumentati, e che avresti dovuto tirare la cinghia come prima? E allora, se lo sapevi e li hai votati lo stesso, ora di cosa ti lamenti?

Ben diverso invece è quando si tratta di scendere in piazza per un motivo preciso. Sta per passare una legge inaccettabile, il governo manda i nostri soldati ad invadere altre nazioni, oppure vogliono raddoppiare di colpo il prezzo della benzina – allora in quel caso scendi in strada, fai sentire la tua voce, e se i numeri sono abbastanza forti il governo si ritrova obbligato a fare marcia indietro.

Ma questi sono casi speciali, ed è in questi casi che una manifestazione può ancora rivelarsi utile.

Mentre andare così, a marciare per dire “cazzo uniamoci, è ora di dire basta”, è roba che si faceva 40 anni fa. Io stesso ho partecipato alle manifestazioni del ’68, e ricordo bene la grande emozione nell’urlare a squarciagola “compagni cordone, arriva la pula!”

Ma quello era il 1968, non c’era Internet, la TV aveva due canali soltanto, la radio libera non esisteva ancora, e l’idea di potersi ritrovare tutti in piazza, di potersi contare, di rendersi improvvisamente conto di quanti fossimo, era qualcosa di assolutamente emozionante e travolgente.

In quel periodo il gesto stesso di scendere in piazza significò la nascita di un movimento che prima non c’era, perchè non avevamo modo di comunicare fra di noi.

Pensate, per organizzare una manifestazione bisognava mettere mano al ciclostile, per poi andare a volantinare di scuola in scuola, di porta in porta, di fabbrica in fabbrica.

Oggi fra facebook, telefonini, twitter e messaggini, il “movimento” esiste già, perchè ci conosciamo già tutti prima ancora di arrivare in piazza.

Quindi, invece di ricreare la barriera umana fatta di corpi fisici – nostalgica magari, ma ormai inutile - cerchiamo oggi di creare una barriera delle menti, ferocemente unite sulle idee in comune. Oggi le informazioni le abbiamo, e non abbiamo più bisogno di scendere in piazza per sentire le nostre spalle accanto a quelle di qualcun altro.

Oggi sono le tempie che vanno messe una accanto all’altra, se davvero vogliamo riuscire a riprenderci la vita che ci viene negata.