sabato 22 gennaio 2011

Update italiota...

Prima la Tunisia, ora l'Albania. Domani l'Italia?

Ma figuriamoci, non scherziamo...siamo maestri nel raccogliere, riscaldare e mangiare il nostro vomito.


Il padrone dello Stato
di Bruno Tinti - Il Fatto Quotidiano - 21 Gennaio 2011

Alla fine questa storia di B. e delle sue puttane mi fa rabbia. E mi dà anche da pensare.
Rabbia. B. ha commesso frodi fiscali, corruzioni e falsi in bilancio.

Non è finito in prigione perché, con leggi apposite, ha fatto prescrivere i reati, che alla fine si sono estinti. È un uomo pericoloso come tutti quelli che commettono reati contro l’economia.

Si appropria di risorse che non gli competono, sottraendole al Paese; altera le regole della concorrenza a suo vantaggio, impedendo ad altri di avere le stesse opportunità; corrompe pubblici ufficiali per evitare che i reati che ha commesso siano scoperti e anche per farsi riconoscere diritti che non ha.

Insomma è una sciagura per lo Stato non solo come uomo politico ma come persona che viola reiteratamente la legge nel settore più delicato per uno Stato: l’economia.

E tuttavia il consenso che lo portò al potere nel 1994 non è mai venuto meno; la costante illegalità in cui è vissuto non gli ha alienato le simpatie di quella parte di cittadini che lo votano. E adesso forse l’Italia riuscirà a liberarsi di lui per una storia di puttane.

Ma in che razza di paese viviamo? Che valori coltiviamo? Uno che ha calpestato la legge per decenni incontra finalmente il suo destino quando si scopa una puttana minorenne?

Il fatto è che siamo un paese furbastro e bigotto, in cui le assoluzioni si sprecano quando si tratta di soldi malguadagnati e (pare, stiamo a vedere) vengono sdegnosamente rifiutate quando si tratta di sesso, anche se, bisogna ammettere, praticato al vertice dello squallore.

Pensare. B. è vecchio ma non pare rincoglionito; credo che si renda conto di quello che fa. Ammettiamo che si sia convinto che può commettere tutti i reati che vuole (economici; se comincia ad ammazzare, forse potrebbe andargli male); e che quindi, se gli capita, continuerà a commetterli: i soldi son soldi. Ma è impossibile che non capisca che minorenni, puttane e orge, in un paese dove c’è il Vaticano, lo mettono in pericolo.

È impossibile che non si renda conto che concutere un funzionario di polizia per far uscire dalla questura una puttana minorenne, rivelando a tutto il paese, al di là dei reati commessi, i suoi rapporti con lei e quindi il genere di frequentazioni che predilige, è una cosa che lo danneggia oltre ogni possibile recupero. Come può fare cose del genere?

Io credo che la risposta sia nella convinzione di B. di essere il proprietario dello Stato. Lui non capisce che il leader di una collettività è il primo dei servitori di essa; che i poteri che gli sono attribuiti sono funzionali solo all’amministrazione del paese; che lui, come persona, non è nessuno.

Lui pensa che la Questura di Milano sia sua; che il paese coincida con la sua casa; e che, nella sua casa, può fare quello che gli pare. Lui pensa, alla fine, che la legge non lo riguarda perché, come i suoi avvocati (!) hanno spiegato alla Corte costituzionale, lui non è uguale agli altri.

Se mai si arrivasse al processo; e se il tribunale decidesse di sottoporre B. a perizia psichiatrica, un vizio parziale di mente (credo, in questo caso, delirio d’onnipotenza) magari salterebbe fuori.


Quella vita parallela costruita a tavolino
di Aldo Grasso - Il Corriere della Sera - 21 Gennaio 2011

Temo che Alfonso Signorini si sia imbarcato in un gioco più grande di lui. In questi anni ha dimostrato di essere un gossipparo intelligente, un pungente osservatore di costume, un campione della tv gay oriented.

Da un po' di tempo, ha deciso di lasciare la leggerezza per una pesantezza che è fuori dal suo registro: alla sventatezza ha preferito la militanza. Non rischia un clamoroso scivolone?

Credo che la sua intervista a Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori, sarà a lungo studiata da chi è interessato al funzionamento dei media. Intanto perché era un corpo totalmente estraneo ai canoni di «Kalispéra» (viene annunciata nel corso del programma, con Teo Teocoli che si abbandona allo stupore, e dopo si vede che è una registrazione) e poi perché appartiene ai quei generi neotelevisivi - i people show, i talk, i reality - dove verità e finzione si mescolano statutariamente (Canale 5, mercoledì, ore 23).

Senza entrare nel merito della vicenda processuale, l'intervista ha una sua struttura narrativa che dà la sensazione di un lavoro a tavolino per creare alla ragazza una nuova personalità, a cominciare dal cambio del nome: non più Ruby Rubacuori ma Karima, con la piena approvazione dell'intervistatore.

E poi il dialogo si snoda secondo un tracciato narrativo, da sceneggiatura: l'idea della costruzione di una vita parallela (concetto molto moderno, forse al di sopra del bagaglio culturale di Ruby), l'infanzia tragica con la violenza degli zii («per sfuggire al tuo dolore hai cominciato a costruirti una vita parallela», ribadisce Signorini), il padre che la considera una «porta iella», il catechismo studiato di nascosto, la fuga da casa a soli 12 anni («Eri vecchia dentro», chiosa Signorini), i furti per necessità, l'insegnamento della madre, quella che aveva coperto la violenza familiare («puttane si nasce, non si diventa») e, come da copione, il nuovo amore, tal Luca Risso. Insomma, Signorini passa da Elena Santarelli a Karima Santarellina.


E se le chiamassimo puttane?
di Claudio Messora - Il Fatto Quotidiano - 21 Gennaio 2011

Dalla ragazza che la dà al professore in cambio di un voto sul libretto, alle segretarie che intrattengono i loro capi ben oltre l’orario d’ufficio per fare carriera: a pagina 42 del Corriere di ieri, Piero Ostellino fa tana libera tutti e sdogana qualsiasi cosa.

Non sono prostitute, tuona Ostellino – che se solo fosse nato con le unghie di diamante, arrampicarsi sui vetri non sarebbe così faticoso – ma donne che, resesi conto di essere sedute sulla propria fortuna, hanno l’unica colpa di avere fatto uso del proprio corpo:

Una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia — diciamo così — partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l’indulgenza all’esame o al capo ufficio per fare carriera. Avere trasformato in prostitute — dopo averne intercettato le telefonate e fatto perquisire le abitazioni — le ragazze che frequentavano casa Berlusconi, non è stata (solo) un’operazione giudiziaria, bensì (anche) una violazione della dignità di donne la cui sola colpa era quella di aver fatto, eventualmente, uso del proprio corpo.

Se Piero leggesse almeno il giornale dove scrive, potrebbe consultarne il pingue dizionario, che alla voce prostituta recita giustamente: “Donna che esercita la prostituzione“, e alla voce prostituzione: “Commercio di prestazioni sessuali. Per estensione, svilimento di valori, di attività intellettuali ecc., che vengono subordinati a interessi materiali”.

Non solo, dunque, sotto il profilo valoriale le signorine di Arcore si adattano benissimo alla definizione di cui sopra, ma anche sotto quello meramente letterale. Degli stralci di intercettazioni ormai ne abbiamo le tasche piene, lo so, ma evidentemente Ostellino non le ha ancora lette: così gliene vorrei ricordare qualcuna.

Le prenderemo a caso. Basta aprire il faldone di 400 pagine, puntare l’indice e lasciarsi condurre dalla sorte: c’è solo l’imbarazzo della scelta. Le seguenti non sono neppure le più significative:

Iris: va bè, però insomma, le cene possono diminuire, però mi devi dare una certa stabilità economica

Nicole Minetti a Emilio Fede: Pompini a trecento euro. La notte a trecento euro. Maristella l’ha dovuta allontanare. Lavorava con uomini che vomitavano in macchina. L’hanno trovata in macchina con droga e un coltello

De Vivo: L’ho visto un po’ out. Ingrassato. Imbruttito. L’anno scorso stava più in forma. Adesso sta più di là che di qua. È diventato pure brutto: deve solo sganciare. Speriamo che sia più generoso. Io non gli regalo un c….

Iris: dai amo’… anch’io la stessa cosa, se sto str**** di m****… mi risponde, guarda, è proprio un pezzente… ma la prossima volta… ma se vengo a Roma, guarda, mi deve sganciare più di due sto figlio di m****

Emilio Fede: (chiama il cellulare di Lele Mora e chiede di fare il biglietto aereo a due ragazze) Eh oddio se ci fosse la sostituzione buona chi se ne frega far tutto sto casino.. però.. facciamolo, poi loro ieri sera hanno preso duemila, duemila, hanno preso quattromila: possono pure pagare il biglietto!

Emilio Fede: senti… beh… devo dire che ieri sera aveva più il sapore di una comica… che lui ha preso a ridere
Lele Mora: (ride) bene, quello è l’importante
Emilio Fede: sì beh, mica tanto però eh?!
Lele Mora: che si sia diver… che sia stato bene, insomma
Emilio Fede: e… non lo so insomma, m’ha chiesto: “ma dove, dove… dove avevo preso quei “programmi… ?” dico “beh insomma”, vabbeh poi alla fine c’ha riso…
Lele Mora: certo
Emilio Fede: ha comprato i due volumetti… pare che., insomma queste due sottoscrizioni duemila a ciascuno… e insomma…

Emilio Fede: Roberta no, ha preso già troppo possesso, pretende di tutto!
Lele Mora: Ho capito, cambiamo eh…
Emilio Fede: Eh!
Lele Mora: Cambiamo.
Emilio Fede: Eh… Ma non gliela togli, non la togli, lui è preso.

Emilio Fede: …ma sapete dire grazie!
Lele Mora: Quando pigliano le minchie e…, se ne accorgono della timidezza o no?
Emilio Fede: Eh, eh… appunto!
Lele Mora: Ah ah!
Emilio Fede: Quando pigliano le minchie e poi in cambio i soldi… va bene?? E ca***!
Lele Mora: Ma robe da pazzi!

Iris: Però papi qua… è la nostra fonte di lucro…

Si continua con il pellegrinaggio a Giuseppe Spinelli nella quotidiana questua per avere le buste con i “regalini” (botte da migliaia di euro): una sequela infinita di telefonate, che un estorsore professionista non avrebbe saputo fare di meglio; si passa per le continue lamentele tra “innamorate” sul cachet tutto sommato basso rispetto alla media e soprattutto rispetto al patrimonio dell’uomo; ci si lamenta con la Minetti che, se lei ha avuto una sistemazione in Regione con uno stipendio da favola, qui nel caso in cui le festicciole finiscano si resta con una laurea in mano che vale meno di niente, e dunque si vuole essere ricompensate in mattoni; si comprano 25 paia di scarpe all’indomani di ogni festino; si amministrano immobili, si pagano bollette e contratti di affitto per le decine e decine di ragazze che “fanno uso del loro corpo”; si minaccia di rubare in casa dell’uomo per avere una giusta compensazione; si auspica una maggiore generosità riguardo al contenuto delle buste, che altrimenti la statua in faccia gliela tirano loro…

Cosa vuole, Ostellino, perché si possa finalmente usare il termine “prostituzione”? Vuole modificare la voce del dizionario ed aggiungere tra i significati: “l’atto del partecipare ai festini di Papi Silvio Berluscone (come il bunga-bunghiere era memorizzato nella rubrica della Conceicao, in mezzo a troie, magnaccia e clienti)”?

E se le chiamassimo, semplicemente, puttane? Andrebbe meglio, così?


Puttanopoli
di Francesco Lamendola - Arianna Editrice - 20 Gennaio 2011

Le cronache del Basso Impero che, malinconicamente, stiamo vivendo, si sono arricchite, si fa per dire, di una nuova, avvilente pagina: dopo Tangentopoli, Parentopoli e Vallettopoli, eccoci arrivati all’ultimo gradino - più in basso è quasi impossibile scendere: Puttanopoli.

E lo diciamo senza alcun compiacimento scandalistico, senza alcun intento polemico: ma solo fotografando esattamente, impietosamente, la cruda realtà dei fatti.

Quello che in qualunque altro Paese serio avrebbe comportato le dimissioni immediate del premier e il suo ritiro a vita privata (privata per modo di dire, visto l’immenso impero mediatico e finanziario di cui dispone e di cui continuerà a disporre, tale da consentirgli le più ampie pressioni sull’economia, sulla politica e sulla società italiana), da noi è già stato metabolizzato, peggio, è stato rimosso e cancellato da quella metà del Paese che non pensa più con la propria testa, ma si lascia suggestionare dalla pancia e, qualunque cosa accada, non si basa più sui fatti oggettivi della politica, ma unicamente sul richiamo viscerale del più demagogico populismo.

Il resto del mondo non sa più se ridere o piangere di noi; solo noi, imperterriti, continuiamo come se nulla fosse, non ci scandalizziamo più, non siamo più capaci di provare indignazione: a dispetto del fatto che destra e sinistra non esistano nel resto del Pianeta, eccezion fatta per Cuba e la Corea del Nord, da noi ci si continua a schierare visceralmente, irrazionalmente, in nome della dialettica destra-sinistra, pro o contro un avventuriero che, in qualunque Paese serio, non sarebbe arrivato nemmeno a fare il sindaco di una cittadina di provincia.

E lo scandalo vero del premier - quest’ultimo scandalo, si badi, tralasciando tutto il resto: il conflitto d’interessi, le leggi «ad personam», la sistematica delegittimazione di quei poteri dello Stato che gli danno fastidio - non è tanto quello di natura sessuale, anche se esso dovrebbe offendere profondamente tutti gli Italiani per almeno due ragioni: primo, perché lo stile di vita del premier è un autentico insulto alle difficoltà economiche sempre più gravi in cui si dibattono milioni di famiglie italiane; secondo, perché esso, venendo da parte di chi si è sempre presentato come il paladino dei valori tradizionali, e particolarmente cattolici, a cominciare dalla famiglia, denota un cinismo e una mancanza di coerenza pressoché totali.

Tuttavia lo scandalo vero, dicevamo, non è quello sessuale; non è in nome del moralismo che il comportamento del nostro presidente del Consiglio dovrebbe suscitare la condanna senza appello di tutti gli Italiani- di sinistra, di centro e di destra, indipendentemente dalle loro convinzioni politiche, purché gelosi del buon nome e della rispettabilità del proprio Paese; anche se sarebbe perfettamente legittima una reazione sul piano della morale sessuale, visto che, se è vero che la vita privata delle persone riguarda loro soltanto, è altrettanto vero che quel signore ha costruito le proprie fortune politiche sbattendoci in faccia, anche attraverso album fotografici spediti in tutte le nostre case, precisamente la dimensione del suo privato: della sua famigliola unita e felice, dei figli sorridenti, della moglie bella ed elegante, della villa sfarzosa, con tanto di parco e di piscina.

Lo scandalo vero è la menzogna: reiterata, testarda, recidiva e assolutamente impenitente, sfrontata al di là di ogni limite tollerabile.

Già solo l’aver telefonato alla Questura di Milano per far rilasciare una minorenne, in stato di fermo con l’accusa di furto, inventandosi che era la nipote di un capo di Stato, dovrebbe bastare e avanzare per incrinare irreparabilmente il rapporto di fiducia che deve esistere, necessariamente, tra i cittadini ed i loro massimi rappresentanti istituzionali.

Fra parentesi, l’affermazione del Ministro dell’Interno che nulla di irregolare è avvenuto, quella sera, a Milano, è un capitolo a parte della tristissima vicenda: e mostra «ad abundantiam», qualora ve ne fosse bisogno, fino a che punto la Lega, che si era presentata, fin dalla “rivoluzione” del 1992, come il partito della moralizzazione più intransigente, si sia ridotta a fare da ancella alle peggiori irregolarità del governo, assecondando il più assoluto disprezzo delle norme di cui si pretende il rigoroso rispetto, invece, da parte del comune cittadino.

Sia detto per inciso: se anche quella certa signorina fosse stata davvero la nipote di Mubarak, le sarebbe spettato un simile trattamento di favore?

Avrebbe avuto il diritto di lasciare tranquillamente la Questura; di essere riaccompagnata, nel giro di un’ora, non presso qualche adulto responsabile e che si facesse garante per lei, ma in casa di una prostituta?

Questo, invero, è uno degli aspetti intollerabili dell’intera, squallida vicenda: perché noi tutti ci siamo ormai quasi abituati, chi più e chi meno, ad accettare come “naturali” dei comportamenti, da parte dei nostri uomini politici, che normali non sono affatto; a riconoscere loro il diritto di calpestare quelle leggi che noi comuni mortali, invece, dobbiamo sempre osservare, se non vogliamo vederci trascinare in un’aula di giustizia.

Ma chiudiamo l’inciso e torniamo al punto: la menzogna.

Ricordiamo che per aver mentito ai propri concittadini, l’allora presidente statunitense Bill Clinton giunse ad un passo dell’«impeachement»: non per la sua relazione sessuale con una giovane stagista del suo entourage, ma per aver giurato solennemente, in televisione: «Io non conosco quella donna», ed essere poi stato smentito dai fatti.

Ricordiamo anche che in Gran Bretagna un parlamentare è stato obbligato alle dimissioni per aver segnato sul conto del rimborso spese una cifra semplicemente ridicola, qualche decina di euro in tutto, quella che era stata una spesa di carattere privato.

Eccesso di rigorismo, di becero moralismo puritano?
Nossignori: piuttosto, sentimento di offesa, da parte dei cittadini, nei confronti del patto di fiducia esistente con i propri rappresentanti.

Chi mente sulle piccole cose, sarà pronto a mentre anche sulle grandi; chi imbroglia sulle piccole o anche piccolissime cifre, è capacissimo di falsificare i conti anche sulle grandi; di perseguire il suo interesse personale a discapito del bene pubblico.

Soprattutto, chi non mostra di possedere il senso dell’onore nelle cose di poco conto, certamente non lo possiede nemmeno per quelle di grande significato.

Questo è il senso della vicenda Clinton; questo è il senso delle dimissioni forzate di svariati politici e amministratori inglesi, francesi, tedeschi.

In tutti i Paesi seri, esiste una sacrosanta intransigenza da parte dell’opinione pubblica: non si tollera e non si perdona che quanti hanno ricevuto la pubblica investitura agiscano, poi, nel disprezzo delle regole della più elementare correttezza, cui è tenuto fin l’ultimo dei cittadini.

Nei Paesi seri, non solo non si ammette che Cesare sia sospettato o anche solo sospettabile di aver infranto il rapporto fiduciario con i propri cittadini - sia quelli che l’hanno votato, sia gli altri: perché, una volta al potere, egli deve fare gli interessi della nazione e non di una parte sola; non si ammette neppure che la moglie di Cesare sia sospettata o sospettabile.

Da noi, neppure le parole della giovane prostituta - perché di questo si tratta, altro che escort, chiamiamo le cose con il loro vero nome - che si vanta al telefono di aver chiesto al premier una grossa cifra in cambio del proprio silenzio, riescono a fare scanalo; un cifra, sia detto fra parentesi, che suona come una insopportabile offesa nei confronti di tutti quegli onesti cittadini - lavoratori, pensionati, disoccupati per forza e non per amore del dolce far niente - i quali non ce la fanno più, letteralmente, ad arrivare alla fine del mese.

Il dramma autentico del berlusconismo, tutto il male che esso è riuscito a fare in questi ultimi diciassette anni, sta proprio in questo: che esso ha contribuito potentemente a pervertire la morale comune dell’Italiano medio; che lo ha familiarizzato e reso tollerante, arrendevole, se non addirittura distratto e noncurante, di fronte alla sistematica volgarità, alla prepotenza e al disprezzo della legge da parte dei propri rappresentanti istituzionali.

È una malattia che è penetrata ormai in profondità e che ci vorranno generazioni per contrastare e per vincere, con un’opera - se mai verrà intrapresa - di vera e propria bonifica morale, intellettuale, culturale.

Visto come si comportano i signori della Casta, ormai tutti si sentono sciolti da ogni vincolo di correttezza, di buon gusto, di decenza.

Gridare ed insultare come fa in televisione il “grande” critico d’arte - che è giunto ad augurare la morte in diretta al proprio interlocutore - è diventata una virtù, non qualcosa di moralmente reprensibile.

Calunniare sistematicamente qualcuno, come fanno da tempo i signori di certi giornali mercenari, non è un comportamento che susciti disgusto e ribrezzo, ma, anzi, che fa aumentare la tiratura di quei giornali stessi.

Far carriera politica (sì, politica: non nel mondo dello spettacolo), passando dal letto di qualche potente, non è più una vergogna, ma quasi una virtù: la virtù dei furbi.

Nemmeno Machiavelli, con tutto il suo cinismo e la sua indifferenza nei confronti dei valori morali, era arrivato a delineare un tale disprezzo delle regole da parte del Principe; anzi, egli aveva bene messo in chiaro che, se quest’ultimo indulge ai vizi privati, può farlo, ma a condizione di non compromettere, con ciò, la propria azione di governo: perché egli non deve essere irreprensibile, ma certo deve fare in modo di sembrarlo.

Per il segretario fiorentino, il Principe non può sbandierare i propri comportamenti trasgressivi; non può vantarsene e gloriarsene, rivendicandone la piena facoltà, senza andare incontro ad un autentico suicidio politico.

E ciò per la buona ragione che Machiavelli non ha mai sostenuto che, in politica, il male sia suscettibile di diventare, all’occorrenza, bene, né che il bene sia suscettibile di diventare male; ma solo che, in casi ben definiti, il Principe può essere «necessitato» ad entrare (suo malgrado) ANCHE nel male.

Ma, se ciò accade, bisogna che avvenga per delle buone ragioni: ossia per delle ragioni politiche, quanto dire nell’interesse dello Stato: non per inseguire i suoi capricci privati; non per soddisfare le sue voglie proibite.

Chi agisce in quest’ultima maniera non è, semplicemente, un uomo politico; anche se continuamente si richiama al mandato degli elettori e si fa forte dell’investitura ricevuta “dal basso”; e anche se spinge la sua impudenza fino a sostenere che chiunque voglia mettere in discussione i suoi comportamenti, agisce in modo eversivo nei confronti di quel mandato, ossia (niente di meno) della “democrazia”.

Strana idea della democrazia, da parte di chi si serve del potere a proprio uso e consumo e continuamente mostra di non sopportare che l’opposizione faccia il suo mestiere, ossia critichi il governo, né che la stampa faccia il suo: giungendo ad invitare i cittadini a non leggere più i giornali italiani (quei pochi che egli non controlla, direttamente o indirettamente), perché, secondo lui, «dicono soltanto fandonie».

Qualcuno riesce ad immaginarsi un Sarkozy, una Merkel, un Cameron oppure un Obama, e sia pure nel momento più acceso della lotta politica nei rispettivi Paesi, che rilasciamo simili dichiarazioni circa l’opposizione di casa propria e circa la libera stampa di casa propria, e ciò con la massima convinzione e con la massima perseveranza?

No: per riuscire ad immaginare una cosa del genere, bisogna pensare a qualche disgraziatissimo Stato africano o latinoamericano; sì e no.

Come poi riesca a non arrossire, questo ineffabile presidente del Consiglio, quando afferma che è “il Palazzo” a volerlo far cadere: proprio lui, che nel Palazzo ci sta come un imperatore del Basso Impero, facendo e disfacendo le leggi nel proprio interesse privato - questo è qualcosa che gli osservatori stranieri fanno molta fatica a capire e ad accettare.

Solo noi, per nostra vergogna, ci siamo ormai quasi abituati; solo noi tolleriamo ciò che, altrove, avrebbe avuto fine da un pezzo.

Ma è tempo di risvegliarsi, di ritrovare fierezza e dignità.
Qui non si tratta, lo ripetiamo, di opinioni politiche, ma del più elementare sentimento della legalità e del rispetto del vivere civile.

Lo diciamo specialmente agli elettori di destra: si sentono davvero soddisfatti e a proprio agio, nel vedersi rappresentati da un simile personaggio?


L’Italia di Silvio non è la nostra Italia
di Alessio Mannino - www.ilribelle.com - 21 Gennaio 2011

Accantoniamo per un attimo la politica e persino la morale. Chiediamoci solo se abbiamo qualcosa a che spartire con la Combriccola di Arcore. Sforziamoci di non vomitare


Intercettazioni e fatti alla mano, Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, sarebbe un vecchio puttaniere che paga minorenni per fare sesso, ricattabile da legioni di favorite di corte a cui stacca assegni e elargisce appartamenti, e mentitore con funzionari di Polizia a cui rifila balle da comicità vanziniana.

Al di là del piano giudiziario, che per il Rubygate dovrà accertare i reati di concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile, quest’uomo “malato”, come lo ebbe a definire l’ex moglie Veronica Lario, non ci scandalizza per la volgarità che rigurgita da Arcore, per lo squallore dei servi che lo circondano, per le scenette da commedia sexy che lo ecciterebbero, né per il fatto che le notti voglia passarle con belle figliole (disposte a tutto pur di arraffare quattrini e sistemarsi in televisione o in politica, regni di Sua Emittenza il Cavaliere).

Siamo sicuri che, sotto sotto, tutti, ripetiamo tutti i maschi italiani medi, mediocri, mediamente assuefatti a tette e culi da macelleria provano invidia per festini, orge e dopocene a luci rosse. Il potere persuasivo e assolutorio della fica è il più irrazionale, il più umano, troppo umano strumento di consenso che esista: meglio un giorno da lenoni che cento da pecore.

E anche se in questo caso ha come effetto giustificare un anziano puer aeternus che non si rassegna all’età, la debolezza della carne non è una colpa. Insomma, al netto di ragazzine sotto i diciott’anni e di regali da cui potrebbe essere condizionato, si faccia fare pure tutti i bunga bunga che vuole, quell’ometto patetico.

Ma per cortesia non ci tratti tutti, l’intero popolo italiano, per una massa di coglioni. Lui, assieme ai suoi scherani senza un briciolo di onestà e rispetto per sé stessi nel fargli da scudo contro ogni evidenza e ogni dato di realtà.

La loro mancanza di integrità non deve farci passare per fessi negando spudoratamente tutto, inviando videomessaggi con annunci ufficiali di avere la fidanzata (chi se ne frega!), imbastendo una campagna di difesa il cui regista è quel viscido manipolatore di Alfonso Signorini, e, cosa più grave di tutte, arrivando a minacciare punizioni ai magistrati che indagano su di lui.

Non ci sta risparmiando nulla, questo Berlusconi da basso impero. Il cerone mediatico che ammorba l’aria: questo è quello che non sopportiamo perché soffoca ogni residuo senso della serietà, della credibilità, della dignità nel nostro paese.

Si è fatto talmente osceno, lo spettacolo del berlusconismo in decadenza, che perfino il Vaticano ha dovuto rompere il corrivo silenzio durato fino a ieri. Il Segretario di Stato della Santa Sede, cardinal Tarcisio Bertone, ha colto la palla al balzo del “turbamento” del presidente Napolitano per lanciare una condanna ammonendo ad una maggiore moralità, legalità e giustizia. Era ora, che la Chiesa avesse un sussulto di memoria per la sua missione.

Se c’è qualcuno che può e deve fare la predica, quello è proprio il Papa. Anche perché gli conviene, visto lo stretto rapporto, politico ed economico, che lega le due sponde del Tevere. E visto che, pur senza eccessi partigiani alla Ruini, la Cei di Bagnasco, un po’ come ogni Cei che alla stessa stregua della Fiat è sempre filo-governativa, finora ha appoggiato il governo di centrodestra.

Difatti, fino a ieri, salvo i severi giudizi di Avvenire e Famiglia Cristiana, l’atteggiamento era stato cauto, attendista, secondo la consolidata tendenza all’indulgenza interessata, all’ipocrisia istituzionalizzata, secondo la quale – lo ha egregiamente sintetizzato l’intellettuale cattolico Vittorio Messori - «è certamente meglio un politico puttaniere ma che faccia buone leggi di un notabile cattolicissimo che poi fa leggi contrarie alla Chiesa» (Il Giornale, 19 gennaio 2010).

Ma ora si è oltrepassato il limite della decenza, e la Chiesa ha dovuto ricordarsi di essere cristiana, oltre che cattolica eromana.

Da parte nostra, non ci curiamo dei peccati ma del fatto di essere rappresentati, nostro malgrado, da un bugiardo recidivo affetto da laidezza senile.

È l’Italia dei Berlusconi, dei Fede e dei Mora. L’Italia della menzogna, della ruffianeria e della miseria umana. Non è la nostra Italia.