domenica 17 luglio 2011

Afghanistan - update

Un aggiornamento sul fallimento della Nato in Afghanistan...


Karzai, omicidio con tante piste
di Michele Paris - Altrenotizie - 13 Luglio 2011

L’uccisione avvenuta martedì di Ahmed Wali Karzai, fratellastro del presidente afgano, rischia di complicare i piani delle forze di occupazione americane in vista del parziale ritiro delle truppe da poco deciso dal presidente Obama.

Se le ragioni della morte di uno degli uomini più potenti di tutto l’Afghanistan rimangono tuttora oscure, chiarissime e minacciose appaiono invece le conseguenze della sua scomparsa, così come ben noti erano i suoi profondi legami con gli Stati Uniti, testimonianze entrambe del fallimento dell’avventura americana nel tormentato paese dell’Asia centrale.

Come ogni giorno, anche martedì scorso Ahmed Wali Karzai stava ricevendo i residenti della provincia di Kandahar - del cui consiglio provinciale è a capo - nella sua abitazione privata. Secondo le ricostruzioni della stampa, durante la mattinata uno degli uomini più fidati del suo servizio di sicurezza, Sardar Muhammad, avrebbe chiesto di parlare in privato con Ahmed Karzai.

Dopo che i due si sono ritirati in una stanza, Muhammad ha sparato al politico afgano, colpendolo due volte alla testa. Sentiti gli spari, le altre guardie della sicurezza hanno fatto irruzione nella stanza, uccidendo l’attentatore. Il corpo di quest’ultimo è stato poi esposto pubblicamente nel centro di Kandahar, secondo un macabro rituale tipico del regime talebano.

Il 40enne assassino era uno dei comandanti delle guardie del corpo di Ahmed Karzai, per il quale lavorava da circa otto anni. Entrambi gli uomini appartenevano allo stesso clan, Populzai, di cui fa parte la famiglia Karzai.

Muhammad godeva della stima del suo influente datore di lavoro, tanto da scortare frequentemente suo figlio per le strade di Kandahar e da ottenere un pezzo di terra in un elegante sobborgo della città afgana.

L’omicida era a capo di una squadra di un centinaio di uomini e comandava il posto di polizia nel quartiere di Kandahar dove vivono i membri della famiglia Karzai.

L’uccisione di Ahmed Karzai è stata rivendicata dai Talebani, i quali hanno affermato di aver assoldato da tempo Sardar Muhammad. La responsabilità dei Talebani appare però tutt’altro che certa.

Tanto per cominciare, le testimonianze di familiari e conoscenti rilasciate ai giornali americani sembrano escludere la possibilità che Muhammad fosse un agente talebano. Opinione diffusa è piuttosto quella che ci siano state divergenze con Ahmed Karzai negli ultimi tempi e il loro rapporto si fosse incrinato irreparabilmente.

Scorrendo il profilo e i precedenti del cosiddetto “Re di Kandahar”, tuttavia, si comprende come potessero essere in molti a desiderarne la morte. Trafficanti di droga, leader di clan rivali o addirittura personalità a lui vicine in competizione per il potere potrebbero essere dietro alla sua esecuzione.

Ahmed Karzai era a capo di un sistema di potere che andava ben al di là delle sue funzioni ufficiali al vertice della provincia di Kandahar. La sua influenza si estendeva praticamente in tutto l’Afghanistan meridionale.

Oltre al prestigio e all’autorità derivanti dal rapporto di sangue con il presidente afgano, Hamid Karzai, il suo indiscusso potere dipendeva in gran parte dalla ricchezza accumulata con affari e operazioni tutt’altro che trasparenti.

Grazie al pressoché totale monopolio delle operazioni di sicurezza nel sud del paese, Ahmed Karzai si era accaparrato milioni di dollari provenienti dai lucrosi appalti concessi dalle forze NATO. Da tempo inoltre il fratellastro del presidente veniva collegato al traffico di droga nella regione di Kandahar, dove aveva costruito rapporti ambigui con gli insorti talebani.

Un cablo molto esplicito dell’ambasciata americana a Kabul del giugno 2009, reso noto da Wikileaks, descrive come “il Re di Kandahar controlla l’accesso alle risorse economiche, al sistema clientelare e di protezione”.

Di fatto, prosegue il documento riservato, “gran parte della gestione di Kandahar avviene al di fuori del controllo pubblico, dove AWK (Ahmed Wali Karzai) opera, parallelamente alle strutture formali di governo, tramite una rete di alleanze che utilizza le istituzioni dello stato per proteggere e facilitare attività lecite e illecite”.

Un’altra accusa mossa contro Ahmed Karzai era quella di aver favorito la rielezione del fratellastro manipolando i risultati del voto per le presidenziali dell’estate del 2009. Ahmed Karzai comandava inoltre un reparto speciale clandestino (“Kandahar Strike Force”) che partecipava alle operazioni segrete condotte dalla CIA e dalle Forze Speciali americane.

Proprio dell’agenzia d’intelligence di Langley Ahmed Karzai era sul libro paga fin dal 2001, almeno secondo quanto scrisse il New York Times due anni fa citando fonti governative degli Stati Uniti.

I legami con la CIA sembrano avergli permesso di sopravvivere e di accumulare potere per anni nonostante i suoi traffici e l’opposizione di certi ambienti militari americani. Le attività illegali di Ahmed Karzai, secondo molti comandanti statunitensi in Afghanistan, rischiavano infatti di alimentare l’odio popolare contro l’occupazione NATO e il governo fantoccio di Kabul.

Nell’aprile del 2009 il generale David McKiernan, allora a capo delle forze armate americane in Afghanistan, aveva perciò chiesto ai suoi subordinati di raccogliere ogni possibile prova che legasse Ahmed Karzai al traffico di oppio.

Da molti ambienti USA vennero fatte pressioni, peraltro senza successo, sullo stesso presidente afgano per rimuovere il fratellastro, anche offrendogli un incarico diplomatico all’estero.

La rassegnazione dei militari americani a collaborare con Ahmed Karzai nel sud del paese è testimoniata da una rivelazione del Washington Post del giugno 2010.

Nell’articolo viene descritto come nel marzo precedente il nuovo comandante delle forze di occupazione, generale Stanley McChrystal, dopo aver valutato alcuni rapporti sulle attività illegali di Ahmed Karzai, ordinò ai comandanti ai suoi ordini di astenersi da qualsiasi critica verso il potente uomo politico afgano e di avviare piuttosto una collaborazione attiva.

Questo approccio sarebbe stato successivamente fatto proprio anche dal successore di McChrystal, il generale David Petraeus da poco nominato nuovo direttore della CIA.

Il cambiamento di rotta da parte americana nei confronti di una figura così discutibile è dimostrata anche da una serie di commenti apparsi sui media d’oltreoceano a partire da martedì e nei quali si sottolinea in continuazione come Ahmed Karzai avesse cambiato registro negli ultimi mesi, mostrandosi più collaborativo con i comandanti NATO e ben deciso ad occuparsi del bene della cruciale provincia di Kandahar.

Nonostante le perplessità, gli americani hanno preferito così conservare un alleato influente e una preziosa fonte di informazioni, chiudendo un occhio sugli affari poco puliti in cui Ahmed Karzai era coinvolto.

In definitiva, come ha chiesto retoricamente un anonimo funzionario americano ad un giornalista del New York Times, per Washington “sono più importanti la sicurezza e la guerra contro i Talebani o il traffico di droga e la corruzione ?”.

Questo atteggiamento opportunistico, tutt’altro che insolito per la politica estera americana, è in un certo senso la testimonianza della sostanziale sconfitta della missione afgana dopo quasi dieci anni di combattimenti.

I timori espressi da più parti per il vuoto di potere causato dalla morte di Ahmed Karzai e possibili nuovi attacchi talebani a Kandahar - dove, secondo i vertici NATO, erano stati fatti significativi progressi - sono infatti la prova della fragilità di un’occupazione fondata su politici locali impopolari e corrotti.

Una strategia quella americana che ha progressivamente abbandonato i propositi di conquistare le popolazioni locali con la promessa di instaurare la democrazia e un governo privo di elementi corrotti.

Di fronte all’irriducibile opposizione di gran parte dei civili afgani si è scelta alla fine la strada di un impegno relativamente più limitato, basato principalmente su sanguinose operazioni militari contro i cosiddetti insorti, senza troppi scrupoli nel collaborare con personaggi controversi come Ahmed Wali Karzai.


Ma quale pace
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 17 Luglio 2011

Con Roberto Marchini i caduti italiani in Afghanistan sono saliti a 40. Cifra che impressiona ma che, in dieci anni di guerra, non è particolarmente rilevante.

I danesi, con un contingente che è un quarto del nostro, ne hanno avuti altrettanti. Gli inglesi 364 su 9500 (stime ad aprile) cioè, proporzionalmente, il quintuplo degli italiani.

È la logica e oserei dire anche l’etica, della guerra dove lo speciale diritto di uccidere ha come contraltare la possibilità di essere, altrettanto legittimamente, uccisi.

Per questo danno fastidio le consuete e ipocrite geremiadi istituzionali quando un soldato italiano muore in Afghanistan come se si trattasse di qualcosa di inaccettabile, di inesplicabile. Le Tv zoommano sul dolore dei genitori, delle mogli, dei fratelli, dei figli.

Ma anche i Talebani e gli insorti hanno genitori, mogli, fratelli e figli e ne sono morti più di 30 mila. Poi ci sono circa 60 mila vittime civili afgane provocate in gran parte dai bombardamenti della Nato (almeno fino al 2009, secondo un rapporto Onu) o indirettamente dalla reazione degli insorti.

Per l’Occidente è come se gli afghani non fossero propriamente degli esseri umani come noi, come se i loro bambini fossero diversi dai nostri bambini. L’altra retorica che non sopporto è quella dei ‘bravi ragazzi’, vogliosi solo di portare pace. Può darsi.

Ma non so se fosse proprio un ‘bravo ragazzo’ il tenente colonnello Cristiano Congiu, protagonista e poi vittima di un incidente avvenuto il 4 giugno nella valle del Panshir dove si era recato con un’amica americana.

Su uno stretto sentiero passava un carretto trainato da un asinello e condotto da un ragazzo, Mohtuadin. Dietro seguivano a piedi quattro o cinque uomini, tutti disarmati, cosa rara in Afghanistan.

Erano contadini che si recavano al lavoro. Il carretto ha urtato inavvertitamente la donna facendola ruzzolare a terra. Ne è nato un diverbio. Congiu ha estratto la pistola e ha sparato ferendo gravemente il ragazzo all’addome (gli verrà asportato un rene all’ospedale di Anabah).

Gli altri sono fuggiti verso il loro villaggio, ma sono tornati poco dopo, armati, e hanno freddato il Congiu con un colpo alla testa. I nostri giornali hanno titolato: “Militare italiano ucciso da criminali comuni“.

È questa arroganza, è questo disprezzo per la vita altrui che ha minato la fiducia degli afghani. Noi italiani, credendo alla nostra retorica, pensiamo di essere benvoluti dalla popolazione.

Il 26 settembre del 2006 tre Puma che stavano transitando per il villaggio di Chahar furono colpiti da un ordigno nascosto in un canale di scolo. Uno dei Puma cappotta facendo schizzar fuori gli occupanti.

Il Caporal Maggiore Giorgio Langella muore sul colpo, gli altri si dibattono a terra, sanguinanti. Dalle case del villaggio escono decine di persone. La folla canta, balla, urla di gioia, fa oggetto di scherno i feriti.

Una scena orribile. Che dice però che gli italiani sono odiati esattamente come tutti gli altri invasori, solo un gradino sotto gli americani che sono i più odiati di tutti.

Ogni volta che cade un soldato italiano in Afghanistan i ministri Frattini e La Russa si affrettano a ripetere, come un disco rotto, che “la missione continua” e il presidente Napolitano che “non possiamo venir meno ai nostri impegni internazionali“. A quali impegni?

Sono dieci anni che la Nato è lì. Gli olandesi se ne sono andati nell’agosto del 2010, i canadesi, i francesi e i polacchi se la fileranno entro la fine del 2012. Gli stessi americani stanno trattando col Mullah Omar improvvisamente elevato al rango di ‘talebano buono’.

E noi restiamo lì, come allocchi, ad ammazzare e a farci ammazzare senza un vero perché. Ed è questo – e non il numero – che rende atroce la morte dei nostri soldati.
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I talebani danno una mazzata alla Nato
di Pepe Escobar - Asia Times - 14 Luglio 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Molti degli affabulatori, da quelli che sono a Washington, a Bruxelles fino a Kabul, saranno costretti a passare una notte insonne. L’opinione pubblica mondiale è stata ininterrottamente “colpita e terrorizzata” dalla chimera secondo cui gli Stati Uniti e la North Atlantic Treaty Organization (NATO) stessero "vincendo" la guerra del combo AfPak.

Ora quello che succede sul campo. Immediatamente dopo che il governo USA ha deciso di "sospendere" 800 milioni di dollari in aiuti per l’esercito pakistano, il ministro della Difesa del Pakistan, Ahmed Mukhtar, ha riferito all’emittente locale Express TV, "Se alla fine le cose si faranno difficili, dovremo solo ritirare tutte le nostre forze", suggerendo che non ci saranno altre truppe da Islamabad per combattere la guerriglia della maggioranza Pashtun nelle aree tribali.

Mukhtar non potrebbe essere stato più esplicito: "Se gli Americani si rifiutano di darci il denaro, bene allora… Non ci potremo permettere di tenere le forze armate nelle montagne per un periodo così lungo."

Tutto ciò dimostra vividamente, ancora una volta, che l’esercito pakistano sta, con riluttanza, giocando alla partita di Washington del contro-terrorismo e della contro-insurrezione nelle aree tribali.

Per quanto Islamabad possa temere il nazionalismo Pashtun, l’esercito sa che deve muoversi con estrema cautela, altrimenti dovrà aver a che fare con una ribellione di massa delle tribù Pashtun che metterebbe sul tavolo il tabù supremo: il consolidamento del Pashtunistan, facendo diventare il Pakistan diverso da come lo conosciamo.

Abbasso i signori della guerra

E poi c’era il Presidente Hamid Karzai, il pupazzo che riesce a malapena a controllare il suo trono a Kabul, che, seguendo le tradizioni locali, ha parlato in una conferenza stampa congiunta con il liberatore della Libia in visita, il presidente francese neo-napoleonico, Nicolas Sarkozy.

Karzai ha detto che "nelle case afghane, abbiamo tutti sofferto lo stesso tipo di dolore. E la nostra speranza è che, Dio lo voglia, ci sarà la fine del dolore e della sofferenza per il popolo afgano, e la pace e la sicurezza verranno realizzate."

A occhio, non molti afghani sentiranno "lo stesso tipo di dolore" quando devono valutare l’assassinio di Ahmad Wali Karzai, il fratellastro del presidente, un grosso mercante di stupefacenti, un agente a libro paga della Central Intelligence Agency (CIA) e il più grosso intrallazzatore di Kandahar per essere a capo del consiglio provinciale.

Considerando che i talebani controllano al momento circa il 70% del paese, l’assassinio è stato un bel colpo, la cui responsabilità si sono rapidamente attribuiti attraverso il portavoce Usuf Ahmadi: "Questo è uno dei maggiori risultati dall’inizio delle operazioni in primavera. Abbiamo recentemente incaricato Sardar Mohammad di ucciderlo e Sardar Mohammad è adesso un martire."

A Kandahar una guardia del corpo, un fidato comandante scelto da Karzai nella sua stessa tribù dei Popolzai, ha ucciso Ahmed Wali con due colpi alla testa, "sotto l’effetto degli stupefacenti" e per motivazioni personali.

I talebani stanno comunque vincendo la guerra delle pubbliche relazioni. Dalla primavera del 2010 i talebani sono riusciti a uccidere il capo della polizia della provincia di Kandahar, il governatore aggiunto, il capo distretto di Arghandab e il sostituto del sindaco della città di Kandahar.

Ora si sono liberati della maggiore figura pro-Washington, non solo a Kandahar ma nell’intero sud dell’Afghanistan, dove la NATO è intervenuta in massa per schiacciare i talebani nella loro casa spirituale e sul loro terreno preferito. L’omicidio fa a pezzi la narrativa egemone della "NATO che sta vincendo".

Il re di Kandahar

Ho trascorso un pomeriggio davvero lungo con Ahmad Wali a Quetta, la capitale della provincia del Belucistan in Pakistan, mentre gli Stati Uniti stavano bombardando i talebani nell’autunno del 2001, poche settimane prima che lui e il suo fratellastro passassero da essere "venditori di kebab" (un’espressione gergale) a pesi massimi della politica.

Era già un agente della CIA – in quel periodo gli USA si erano occupati di paracadutare Hamid Karzai all’interno dell’Afghanistan – e un grosso trafficante di stupefacenti, per non menzionare il fatto che fosse un leader tribale e una personalità molto più autorevole di suo fratellastro.

Negli anni ’00, ha ricoperto più ruoli, proprietario di alberghi, venditore di immobili e persino di auto Toyota, ma soprattutto lottava per "contenere" Kandahar, ancora pesantemente talibanizzata, in qualità di comandante della Kandahar Strike Force, un gruppo privato paramilitare irriducibile che collabora con le forze speciali USA e la CIA per gli assassini mirati dei comandanti supremi talebani.

Era di fatto il governatore, noto tra la gente come "il Re di Kandahar", molto più potente del governatore e dello sdentato consiglio provinciale.

La lezione che i tagichi, gli uzbechi, gli hazari e i pashtun secolarizzati stanno apprendendo dal suo assassinio è quella che il governo Karzai è una vergogna (bene, ma molti afghani già lo sapevano), incapace di proteggere persino il più potente tra i Karzai.

Per quanto riguarda la fiction per cui la NATO è sul punto di conquistare i cuori e le menti degli afghani e di farli innamorare del governo centrale di Kabul, potresti cercare di ripeterlo a una parete di roccia nell’Hindu Kush.

Questo per la NATO "che sta vincendo " in Afghanistan. Per gli Stati Uniti "che stanno vincendo" nelle aree tribali pakistane, basta soffermarsi su quello che pensano il potente capo dell’esercito, il generale Ashfaq Parvez Kiani – un beniamino del Pentagono - and il direttore dell’Inter-Services Intelligence, il Lieutenant General Ahmed Shuja Pasha.

Per bocca dei loro adulatori, stanno dicendo che se la caveranno senza gli 800 milioni che Washington “ha sospeso”, oppure chiederanno all’amico di tutte le stagioni, la Cina, per quello di cui avranno bisogno.

Secondo il portavoce del Pentagono, il colonnello David Lapan, Islamabad potrebbe avere gli 800 milioni di dollari se concedesse ancora più visti, in special mondo per le spie USA, e facesse ripartire l’addestramento a tutto campo dei pakistani nel contro-terrorismo e nelle contro-insurrezioni. Islamabad, che già a che fare con i droni statunitensi nelle aree tribali, non è interessata.

Il "vincitore" in questo caso sarebbe in effetti al-Qaeda, che ha usato i talebani pakistani in uno scontro con l’esercito del Pakistan nelle aree tribali come tattica diversiva, mentre stava complottando per espandere la sua agenda che ha in mente il califfato verso l’Asia Centrale.

Ma aspettate, ma gli Stati Uniti non stavano "vincendo" contro al-Qaeda? Questo è quello che il generale General David Petraeus, ora passato da comandante in capo di Afghanistan a direttore della CIA – ha continuato a ripetere: "Al-Qaeda ha causato un’enormità di danni nelle aree tribali amministrate dalla federazione[…] e porterà come conseguenza una grande sconfitta strategica" per al-Qaeda.

Beh, non è proprio vero, se non droni le aree tribali a morte.



Perchè siamo in Afghanistan - Massimo Fini
da www.beppegrillo.it - 13 Luglio 2011

I militari italiani vengono mandati al macello in Afghanistan mentre gli americani trattano l'uscita con gli emissari del mullah Omar. Ieri è morto il quarantesimo soldato, Roberto Marchini, di 28 anni, geniere-paracadutista della Folgore, ucciso da un ordigno. Frattini, l'happy hour fatta ministro, ha detto "È una nuova tragedia che ovviamente non diminuisce l'impegno dell'Italia".

Quale impegno? Contro chi combattiamo? Contro il popolo afgano? I talebani hanno il controllo dell'80% del Paese e il favore della popolazione.

Gli afgani, come spiega Massimo Fini nel suo libro "Il mullah Omar", vogliono una cosa sola, che gli Stati Uniti e i suoi alleati Nato se ne vadano. I bombardamenti degli Alleati hanno causato 60.000 morti civili.

La guerra iniziò quando Omar si rifiutò di consegnare agli americani Bin Laden in mancanza di prove, questa fu la scusa, in realtà, come spiega Fini, l'attacco era previsto da prima delle Torri Gemelle.

I talebani avevano cancellato il traffico di droga che è rifiorito dopo l'occupazione militare. Dobbiamo tornare a casa, non c'è una sola ragione per rimanere. Ogni nuovo morto è un morto di Stato.