lunedì 4 luglio 2011

No-Tav update

Alcuni articoli su quanto accaduto ieri in Val di Susa.


La Tav Torino-Lione "inutile e non competitiva"
di Cora Ranci - Peacereporter - 3 Luglio 2011

L'analisi dei costi-benefici dimostra che il progetto non è strategico né competitivo.

A contestare la costruzione dell'alta velocità Torino-Lione non sono solo i comitati locali della Val di Susa che domenica scorsa hanno manifestato contro l'apertura dei cantieri.

Un gruppo di esperti di economia dei trasporti, dopo aver valutato attentamente il progetto, ha concluso che la "grande opera" europea è non solo troppo costosa, ma anche inutile.

Il Prof. Andrea Boitani, cattedra di Economia politica dell'Università Cattolica di Milano, si occupa da anni di questo argomento. Insieme ai Proff. Marco Ponti e Francesco Ramella, ha pubblicato per l'Istituto Bruno Leoni di Torino uno studio dal titolo "Tav: le ragioni liberali del No" (2007). "Le conclusioni di quelle analisi valgono ancora oggi", spiega Boitani, illustrandoci un quadro fortemente critico. E sfatando molti dei luoghi comuni che caratterizzano il dibattito intorno al progetto.

Un progetto che non vale la spesa

I sostenitori del progetto Tav Torino-Lione lo collegano ad un'opportunità importante per lo sviluppo economico e produttivo del Piemonte e di tutto il Nord-Ovest del Paese. Il mondo politico all'unisono vede nell'infrastruttura un mezzo essenziale per la crescita economica.

Diversi studi hanno tuttavia dimostrato che l'impatto positivo della Torino-Lione sul sistema economico italiano sarebbe assai limitato.

Il noto economista francese Rémi Prud'Homme ha reso noto che l'analisi dei costi-benefici sociali del progetto, da lui effettuata nel 2007, fornisce risultati "molto negativi": "I benefici del progetto sono tali da non compensare neppure i costi di esercizio".

L'ingente spesa per la realizzazione dell'opera (22 miliardi di euro) non solo farà aumentare il debito aggregato di Italia e Francia di 16 miliardi, ma, quel che è peggio, accrescerà il loro deficit per i 40 anni successivi all'apertura della ferrovia.

Secondo Boitani, dietro ai tagli dei costi del progetto citati ieri da Il Sole 24 Ore non ci sarebbe "niente di concreto ed ufficiale".

Un progetto non competitivo

La Torino-Lione non comporterà alcun trasferimento del traffico merci dalla gomma al binario. L'argomentazione secondo cui gli attuali collegamenti stradali del versante alpino nord-occidentale sarebbero prossimi alla saturazione non sembra essere confermata dai dati.

I trafori stradali del Monte Bianco e del Frejus sono infatti utilizzati appena al 35% della loro capacità massima. Anche la tratta ferroviaria già esistente potrebbe teoricamente supportare un traffico due volte maggiore rispetto a quello attuale.

Secondo Boitani, l'intera direttrice nord-occidentale sta perdendo mercato, e per ragioni che solo in parte derivano dall'attuale crisi economica: "Già nel 2007, abbiamo potuto osservare un trend negativo del traffico sulla tratta Torino-Lione".

La Tav non riuscirebbe dunque a competere, per quanto riguarda il trasporto delle merci, con il trasporto su gomma, a meno che il passaggio dei camion attraverso il Frejus non venga vietato: "Ma in tal caso - commenta Boitani - sarebbe la concessionaria italiana del traforo a fallire".

Benefici trascurabili

Certamente, l'alta velocità Torino-Lione permetterà di accorciare i tempi di viaggio (di un'ora) per i passeggeri per e dalla Francia. Alla luce dei dati, anche questo vantaggio - che non varrebbe comunque la spesa - appare però poco confortante.

I passeggeri previsti sulla nuova linea sarebbero un numero tale da riempire solo 16 treni su una capacità totale di 250 al giorno.
Anche i benefici ambientali risultano irrisori rispetto all'enorme impatto che la costruzione dell'infrastruttura avrà sull'ambiente, spiega Boitani.

La retorica dell'Europa

Secondo i sostenitori del progetto, rinunciarvi significherebbe ignorare le richieste dell'Unione europea. Ma ciò che Bruxelles ci chiede non è di realizzare la Tav Torino-Lione, bensì di velocizzare il trasporto delle merci e dei passeggeri sul corridoio 5.

Obiettivo raggiungibile in modo soddisfacente anche potenziando la rete ferroviaria già esistente, spiega Boitani, con costi notevolmente inferiori. I 14 miliardi di euro che l'Italia dovrebbe investire nella Tav potrebbero essere così destinati ad opere molto più urgenti necessarie su tutto il territorio nazionale.


No Tav: ostaggi di Stato
di Vania Lucia Gaito - Il Fatto Quotidiano - 4 Luglio 2011
Ora che è caduta anche l’ultima ipocrisia, possiamo fare il punto, senza menzogne e senza la necessità di fingere. Non che a certe imposture gli italiani ci abbiano mai creduto, per carità. Semplicemente si fingeva, come si finge in certi matrimoni, per mantenere almeno le apparenze quando la sostanza s’è sgretolata via da un pezzo. Ma adesso neanche più.

E alla luce dei veli caduti, dell’ipocrisia caduta, degli scenari squarciati, guardiamo in faccia la realtà. E’ una guerra questa.

Una guerra. Quotidiana. Lenta. Dolorosa. Una guerra che lascia sul campo morti che non possiamo neppure permetterci di piangere, perché ormai siamo consapevoli che i martiri sono necessari, i caduti sono necessari, anche solo per tentare di riprendersi una normalità a cui abbiamo abdicato da tempo, senza neppure saperlo.

Gli uomini e le donne che ho visto nelle immagini scattate in Val Susa, potrebbero appartenere indifferentemente a qualunque etnia, a qualunque nazionalità, a qualunque popolo. Sono i volti di chi non si è arreso, di chi non si arrenderà.

Sono i volti di chi resiste alla sopraffazione, di chi, metro dopo metro, riconquista la terra che è sua e che, contro la sua volontà, un usurpatore vuole scippargli per sventrarla, squartarla, violentarla.

Stuprando un territorio con il passaggio di una linea ferroviaria ad alta velocità pagata con i soldi pubblici, sebbene troppi studi sostengano l’inutilità del progetto e l’impossibilità di rientrare dei capitali investiti. Insomma, senza soldi pubblici nessuno investirebbe due lire: è un progetto a perdere.

Quegli uomini e quelle donne, dunque, sono lì per difendere un diritto. E’ l’ultimo baluardo. Via via sono stati esclusi da tutti i tavoli dove si discuteva sulle divisioni delle torte, perché loro la torta non volevano mangiarla. Senza dare nell’occhio, alla chetichella, senza che i media dessero loro un po’ di spazio e un po’ di fiato.

Lasciati soli per vent’anni, l’attenzione mediatica si ridesta ora, quando l’odore del sangue richiama gli sciacalli. Perché ora, secondo gli esimi signori, “c’è la notizia”. Due parole su questa faccenda della notizia, poi, ve lo giuro su una pila di bibbie, non vi assillo più. Io credo nel mestiere che faccio.

E il mestiere che faccio non è quello di raccontare briciole di fatti, avanzi di circostanze, epifenomeni di realtà. E’ molto più nobile di questo, il mestiere che faccio. E non corre dietro la scia di sangue quotidiana: racconta la realtà, spiega le ragioni, inquadra in panoramica.

Quello che accade è dunque questo: un rigurgito di dignità. Un sussulto insperato di orgoglio. Quell’orgoglio che tentano in ogni modo di soffocare, di sconfiggere, di piegare. La carica sui manifestanti contro la Tav può essere letta solo in quest’ottica. E’ una intimidazione, una rappresaglia, una ritorsione, una vendetta. E’ il tentativo estremo di prevaricazione.

Quando, con un improbabile colpo di mano, ci si vede sottrarre di colpo un paniere d’affari come quelli legati al nucleare e all’acqua, la rabbia piglia il sopravvento. E allora, si torna al “colpirne uno per educarne cento”.

Colpire magari quello che si era pensato più debole. Più facile da abbattere. Sottomettere. Piegare. Tentare di salvare l’ultimo affare, non importa se al prezzo di un costo sociale, umano e ambientale senza misura.

Siamo ostaggi. Ostaggi in mano ad un gruppetto di affaristi e politicanti per i quali restiamo carne da cannone. Siamo ostaggi con l’illusione di essere uomini. E nell’illusione di essere uomini si combatte sui monti, novelli partigiani, affinché quell’illusione diventi reale.

E non importa quante condanne, quante menzogne, possano piovere su questa battaglia. La verità è una sola, e non può essere nascosta. E dunque diciamola, questa verità.

Jacopo, studente veneziano di 19 anni, è tuttora in ospedale con traumi gravissimi ed in condizioni molto serie. Il poliziotto che gli ha sparato una granata lacrimogena da guerra lanciata ad alzo zero lo ha fatto volontariamente e sapendo di poter uccidere.

Fabiano è stato picchiato per ore, anche con un tubo di metallo, e sottoposto a torture dopo il suo fermo, fino a rendere necessario il suo trasporto d’urgenza con elicottero in ospedale. E’ stato ferito gravemente riportando traumi lacero-contusi al capo, il setto nasale fratturato ed ha una mano spaccata.

Gianluca, un altro attivista, è stato fermato e trasportato in ospedale per le botte ricevute. Agli arrestati è stato riservato un trattamento violento e privazione delle cure mediche, tant’è che posti di blocco hanno più volte tentato di impedire il passaggio dell’ambulanza per soccorrere i feriti.

Oggi gli uomini delle istituzioni condannano le violenze non delle forze dell’ordine (che beffa, l’uso di certe parole!) ma le presunte violenze di chi, disarmato, senza protezione, vestito solo del proprio coraggio, tentava di tenere testa ad una fiumana in assetto da guerra che, a dieci anni da Bolzaneto, non ha abdicato a nessuno dei metodi che è solita usare.


La voce della Val di Susa
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 3 Luglio 2011

Per chi suonano oggi le campane in Val di Susa? Suonano anche per voi. Voi che per indifferenza, per partito preso o che, a causa delle televisioni e dei giornali, siete disinformati.

Prima vennero a prendere i ragazzi del G8, li pestarono e li infamarono, poi ogni manifestazione contraria al Potere fu trattata allo stesso modo, botte agli operai (ricordate Pomigliano?), ai pastori sardi, agli studenti (ricordate le proteste per la Legge Gelmini?).

Mancavano ancora gli anziani, i vecchi. A questo si è provveduto domenica scorsa con signore che potrebbero essere le nonne dei baldi poliziotti, attaccate con gas lacrimogeni alla Maddalena. Boccheggiavano per terra. Vomitavano. La polizia passava oltre, senza aiutarle, e avanzava indomita per manganellare chi scappava nei boschi.

Chi ha ordinato ai nostri dipendenti in divisa (li paghiamo noi, devono difendere noi) di tagliare le tende lasciate al presidio, di pisciarci e cagarci dentro, come l'ultimo dei teppisti? I fumogeni contenevano lacrimogeni al CS” (orto-clorobenziliden-malononitrile) che rientrano tra le cosiddette “armi chimiche”.

Chi li ha autorizzati? Il secessionista e condannato in via definitiva Maroni, che sembra la caricatura di Bagonghi? Maroni ha l'autorità di fare questo agli italiani che difendono il loro territorio? Maroni di "padroni a casa nostra"?

Le campane in Val di Susa suonano a distesa, è giorno di messa. Oggi ci possono essere le prove generali della dittatura, ultima ancora di salvezza dei politici per salvare le penne di fronte al cataclisma economico prossimo venturo, o la nascita della democrazia in Italia. I referendum e le elezioni amministrative hanno dimostrato due cose.

La prima è che tra società e partiti non esiste più alcun collegamento, i partiti del nucleare e della gestione privata dell'acqua sono stati spazzati via. La seconda è che i media non rappresentano più lo scudo degli inciuci e delle decisioni prese dall'alto.

L'informazione in Rete è libera. I partiti, a iniziare dall'osceno duopolio Pdl-Pdmenoelle sono stati superati (fanculati?) dai cittadini, ma fanno finta di nulla.

Continuano imperterriti nello scontro frontale. I media sono un ferrovecchio assistito dai finanziamenti pubblici. Non servono più a nulla, ormai sono allineati tra loro e senza alcuna credibilità.

Le posizioni del Gruppo l'Espresso e di Mediaset sulla Tav in Val di Susa sono identiche. De Beneduttoni. Al Potere rimane l'ultima difesa: lo Stato di Polizia. La strategia infame di mettere gli italiani gli uni contro gli altri. Carne da macello.

Le campane in Val di Susa, delle sue chiese, questa domenica suonano per tutti gli italiani. Ascoltatele, sono anche la vostra voce. E' la voce della democrazia.


Vent'anni di lacrimogeni?
di Pino Cabras - Megachip - 4 Luglio 2011

Vent’anni di lacrimogeni e di arresti, vent’anni di popolazione perennemente ostile. Questo è uno dei prezzi che ormai sembra disposto a pagare chi si ostina a fare la linea TAV in Val Susa.

Gli altri prezzi gli osservatori onesti li hanno già squadernati davanti a noi: sono le devastazioni ambientali, sono le decine di miliardi dirottati dalle infrastrutture necessarie e dalla scuola per essere inceneriti nell’affarismo politico delle classi dirigenti italiane. Vent’anni di lacrimogeni sono un prezzo da esercito coloniale, sono cifre da Cisgiordania occupata.

In un clima di conflitto così forte giocano la loro parte infiltrati e provocatori, ma il centro del discorso politico non potrà essere quello, sebbene i violenti pesino e svolgano perfettamente il loro ruolo, quando suscitano moniti, “riflessi d’ordine” e tutte le prevedibili risposte stereotipate che il ceto politico italiano sa sfoderare ancora oggi, dopo decenni di strategie della tensione che non gli hanno insegnato nulla (ma a qualcuno fin troppo).

La casta è aggrappata a una certa idea della legalità, una legalità chimica permanente, uno Stato che odora di orto-cloro-benzal-malonitrile.

Moltiplichiamo i candelotti lacrimogeni di queste settimane in Val Susa per tutti i casi italiani in cui c’è un conflitto latente fra lo Stato e una comunità locale, e avremo una guerra civile chimica che modifica il concetto di legalità su una scala più vasta.

Siamo di fronte a un passaggio preoccupante, che non incontra vere opposizioni all’interno del sistema dei partiti, anzi.

Il centrodestra non ha fatto certo autocritica sulla gestione del G8 di Genova di dieci anni fa, e sappiamo dunque cosa aspettarci. Ma non c’è da attendersi nulla nemmeno dall’altro fronte della casta politica. Il PD ha auspicato e coperto politicamente l’intervento paramilitare che ha espugnato i presidii anti-scavi dei No-TAV.

Prendete l’inquietante articolo dell’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, pubblicato il 1° luglio 2011 su «La Stampa». A chi si fa ancora fregare da una delle parole ormai più spoglie ed esauste del lessico politico, “riformismo”, Chiamparino offre perfino il richiamo del titolo: “Tav, il riformismo passa dalla Val di Susa”. Solo che non dobbiamo aspettarci i ragionamenti di un Napoleoni o di un Ruffolo.

La cifra dell’articolo è tutta nella soddisfazione sogghignante che l’esponente PD esprime in faccia ai No-TAV, per averli visti «ripiegare con le pive nel sacco».

Un linguaggio che suona poco riformista e suona invece molto come il risolino di un ufficiale sabaudo che si bea di uno scempio soldatesco in una provincia ribelle.

Chiamparino, l’uomo che il PD vorrebbe mettere in carico dei problemi del Nord per “parlare al territorio” portando i valori degli anni duemila, quando il territorio parla chiaro, come in Val Susa, si dimostra in tutto e per tutto un uomo fermo al 1861.

Per lui, come per tutto il PD, occorre «affermare con nettezza che non esiste un interesse generale ed una legalità autoproclamate da una minoranza come se, parafrasando una ben nota affermazione, interesse generale e legalità si pesassero e non si contassero.» Le autonomie locali sono carta straccia.

Il modello è il caro vecchio centralismo che passa come uno schiacciasassi sopra le differenze. Pazienza se l’interesse generale di una maggioranza sia in questo caso indimostrato.

Pazienza se le preoccupazioni di legalità di questo anacronistico ufficiale dei Savoia non si spingono fino a fare il nome di Paolo Comastri, il direttore della Lyon Turin Ferroviaire recentemente condannato per turbativa d’asta proprio in relazione alla TAV.

C’è nel pensiero (si fa per dire) di Chiamparino la stessa pervicace e distruttiva ostinazione alla base di tutti gli interventi di questi anni a carico di un suolo fragile come quello italiano. C’è la stessa ideologia della “crescita” che deve avvenire anche a costo di consumare il territorio.

Per Chiamparino i nemici sono fra «chi ritiene che l’unica strada sia, nei fatti, la decrescita», che lui ribattezza però, truccando le carte, «gestione del declino».

Per prendersi il sicuro, anziché combattere il declino italiano con una sacrosanta battaglia per investire nella scuola, Chiamparino si affida alle trivelle, alle quali non vede alternative. Perché? Perché per il riformismo dei maggiordomi dei comitati d’affari non c’è mai alternativa.

Lo dice bene il sociologo Marco Revelli in un’intervista al «Fatto Quotidiano» del 3 luglio 2011: «Per opporti devi essere anti-sistema. Per farlo è necessaria una forte consapevolezza di quello che sei. Ma se abbiamo smarrito la coscienza di noi stessi, allora vale la logica dell’utile».

Dovrebbero meditare su questa riflessione tutti gli illusi che si attendono un cambiamento della prossima era post-Berlusconi. La classe dirigente del centrosinistra è altrettanto irriformabile. Ha valori e obiettivi politici che non si spostano di un centimetro dai programmi del capitalismo assoluto, dalle cricche affaristiche, e dalle loro costosissime pianificazioni.

Nel sindacato della FIOM – per via delle sue antenne molto sensibili – il segno di questa contraddizione arriva in pieno, e perciò non deve sorprendere poter leggere quanto scrive dal treno il dirigente sindacale Giorgio Airaudo sul suo blog, mentre si reca alla manifestazione No-TAV: «la politica che vuole l’alternativa dovrebbe nutrirsi di questa partecipazione e di proposte che vadano oltre le “grandi opere” finanziate con soldi pubblici che non abbiamo e non avremo, per merci che non avranno bisogno di velocità ma di innovazione di prodotto che tenga conto della riduzione energetica, dei limiti ambientali del pianeta e di garantire il diritto al lavoro per tutte e tutti nella libertà. Vedranno tutto ciò? O è un problema di ordine pubblico anche per il centrosinistra?».

Airaudo ha toccato davvero lucidamente il punctum dolens. Il punto è che il centrosinistra non è «la politica che vuole l’alternativa»; non certo a livello dei suoi dirigenti.

E perciò la questione TAV sarà un banco di prova, un laboratorio politico generale per tempo ancora, in cui si disegneranno il profilo del sistema politico italiano, la tutela della libertà, e le priorità dell’economia.

Per l'intanto il PD ha scelto bulldozer e lacrimogeni. Chiamparino, Bersani, Fassino nonché il responsabile sicurezza del PD, Fiano, hanno fatto una scelta di campo.


Nebbia in Val di Susa
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 4 Luglio 2011

Ieri in Val di Susa c'era la nebbia. Non era solo quella dei fumogeni. Era la nebbia della disinformazione. Oggi sono additato dai media di Stato (se un giornale è pagato con finanziamenti pubblici diretti o indiretti è, per definizione, un giornale di Stato) come fomentatore di violenti.

Questo non è assolutamente vero. Ieri ho chiamato eroi i valsusini che manifestavano pacificamente, come fanno da anni, per il loro territorio. Sono il primo a condannare e a voler sapere chi sono i black bloc annunciati dai media da giorni. Li trovino, li arrestino.

La nebbia dei media è calata sulle ragioni della protesta.

Sempre ignorate. Non ha speso una parola sui motivi per i quali un'intera valle è contraria alla Tav. Non ha spiegato le ragioni dei valsusini. La Tav, l'ho scritto decine di volte in 7 anni, non serve.

Non è un treno ad alta velocità, ma un treno merci che dovrebbe trasportare in un lontano futuro carichi inesistenti e in diminuzione da un decennio sull'attuale tratta ferroviaria della Val di Susa.

Esiste già, infatti, una linea merci che collega Torino a Modane completamente sottoutilizzata. Un tunnel di 57 chilometri. L'opera sarà finita tra venti anni, un periodo infinito, in cui si prevede un'ulteriore diminuzione dei trasporti europei.

A che serve la Tav? Ma soprattutto a CHI serve? Chi ci guadagna? Il costo previsto è di 22 miliardi a carico della collettività. La UE ci darà solo 672 milioni (soldi nostri comunque, dato che diamo ogni anno circa 13 miliardi alla UE e ne riceviamo 9). Perché nessuno confuta questi dati?

Tremonti ha appena annunciato una manovra di 47 miliardi di tagli e di tasse per evitare il default, ma la ennesima Grande Opera s'ha da fare, come sempre a spese degli italiani.
Vedo in questo accanimento dei partiti per la Tav, che per primi sanno essere inutile, la disperazione di chi ha fallito, ma non può tornare indietro.

Se non ci fossero stati Fukushima e il referendum quante decine di migliaia di uomini avrebbero dovuto mobilitare per costruire le centrali nucleari che nessun italiano voleva, ma la politica assolutamente si?

Questa è l'Italia della nebbia dei media che copre ogni cosa. Ich bin valsusiner!


Tav, reati prescritti: cancellate 27 condanne. Ma saltano anche i maxi risarcimenti
di Enrico Bandini - Il Fatto Quotidiano - 4 Luglio 2011

La Corte ha cancellato pene di cinque anni ai rappresentanti del Cavet, consorzio alta velocità arrivate dopo 100 udienze. Ma soprattutto non ha riconosciuto nemmeno un euro agli enti di Emilia e Toscana e alle persone che abitano in quelle valli: "Verdetto ingiusto, nel Mugello le falde acquifere sono precipitate di 200 metri e la zona è rimasta a secco"

La Corte d’appello del tribunale di Firenze ha cancellato a causa della prescrizione le 27 condanne in primo grado nel processo per danni ambientali ai dirigenti del consorzio Cavet per le opere di alta velocità nel tratto della cosiddetta variante di valico tra Bologna e Firenze.

La sentenza, che arriva in giorni in cui si parla di Tav soprattutto per la Val di Susa, ha anche cancellato il maxi-risarcimento da 150 milioni di euro stabilito nel marzo 2009.

La vicenda giudiziaria è iniziata nel 2004 e ha visto diverse parti in causa schierarsi contro Cavet, accusando il consorzio di aver commesso reati concernenti il trattamento degli inerti inquinanti, lo smaltimento dei rifiuti speciali e il drenaggio delle acque.

La sentenza dei giudici d’appello capovolge quella di primo grado: allora erano stati condannati 27 dei 39 imputati a 5 anni di reclusione e al risarcimento milionario. “Attenzione però, la corte ha considerato molti reati prescritti, non assolti”. A ricordarlo è Piera Ballabio della comunità montana del Mugello.

Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e Legambiente si erano costituiti parte civile e ora intendono presentare ricorso in Cassazione. Intanto il verdetto ha il sapore di una débâcle per l’intera comunità del Mugello, alla quale è stata sottratta l’acqua. L’assetto idrogeologico del Mugello risulta irrimediabilmente devastato.

Sorgenti essiccate, torrenti senza più acqua, dichiarati biologicamente morti. È il caso del Diaterna, nel Comune di Firenzuola, dove sono andati a finire i fanghi contaminati, presenti nelle acque drenate dalle gallerie.

Il bilancio dell’impatto sul sistema idrico è catastrofico: le falde acquifere sono precipitate di oltre duecento metri, con conseguente disseccamento della vegetazione di superficie.

Tragica ironia della sorte: il giudizio di ultimo grado arriva a breve distanza dalla vittoria referendaria dei sì, sui quesiti inerenti l’oro blu. Nel Mugello ancora prima di porsi il problema di mantenere pubblica la gestione dell’acqua si sono dovuti preoccupare di proteggere questo loro bene primario. Invano.

“Oltre il danno la beffa” commenta Ballabio: “Ci sono ancora parecchi aspetti contorti nella sentenza soprattutto sul fronte dei risarcimenti, dove si è arrivati al paradosso che i veri danneggiati, come gli agricoltori del consorzio di Monte Morello rimasto senza acqua, dovranno risarcire le spese processuali”.

Quello della tratta tosco emiliana della Tav è un problema che parte da lontano. Nel 1995 i primi cittadini dei Comuni del Mugello parteciparono alla conferenza dei servizi di Roma e siglarono diversi accordi che permettevano a Cavet di sfruttare il proprio territorio in cambio di contropartite onerose. L’errore più grave fu forse quello di accettare una valutazione di impatto ambientale che non teneva nel giusto conto il rispetto del territorio.

Ballabio ha idee chiare in merito: “È arcinoto che la valutazione d’impatto ambientale fosse carente. Chi l’ha prodotta probabilmente ha scelto di occultare il parere di coloro che si erano espressi negativamente sul passaggio dell’opera nel territorio del Mugello, come quello di un geologo dell’università di Bologna che aveva suggerito di passare da Arezzo.

La valutazione è stata approvata dall’allora ministro dell’ambiente Edo Ronchi e dalla regione Toscana, entrambi hanno espresso parere favorevole. I sindaci del Pd si sono allineati e hanno cercato di portare a casa il più possibile, tant’è che non manca chi ha efficacemente soprannominato ‘mercato delle vacche’ il meccanismo delle contropartite”.

Tra i 27 assolti di Cavet c’è l’ingegnere Pietro Paolo Marcheselli. Raggiunto telefonicamente da ilfattoquotidiano.it ha commentato il giudizio d’appello dichiarando: “Finalmente è arrivata una sentenza corretta”.

La sua linea difensiva fa leva sul fatto che si sarebbe saputo fin dall’inizio quali danni avrebbe apportato l’esecuzione del progetto nella tratta appenninica: “Il progetto –afferma Marcheselli- prevedeva di drenare l’acqua perché non c’era alternativa ed è stato accettato. È chiaro che tutte le grandi opere hanno un impatto sul territorio e prevedono un bilancio tra i costi e i benefici. Chi ha fatto la valutazione dell’opera evidentemente avrà valutato che i benefici sarebbero stati superiori ai costi. Io poi –prosegue l’ingegnere – tutto questo impatto di cui si è parlato devo ancora vederlo. Sì, si sarà seccata qualche sorgente ma questo si sapeva, era chiaro dal progetto. A ciò s’aggiunga che è stato ingenerato un sistema virtuoso per compensare alle perdite idriche avutesi con opere di ripristino ambientale come acquedotti, invasi di montagna e di pianura”.

A queste parole Ballabio replica indignata: “Marcheselli minimizza i danni. Ci dica lui se è di poco conto un’area dai 70 ai 100 km quadrati rimasta senz’acqua: si tratta del 75 per cento del territorio del Mugello”.

“Il problema –prosegue- è che un reato di sottrazione dell’acqua non c’è ancora, infatti Alessandro Nencini, il giudice del processo di primo grado, sollevò il problema. Occorrerà chiedere a un governo futuro di istituirlo”.

Marcheselli sostiene anche che il materiale inerte risultatane dagli scavi in galleria non fosse inquinante: “Due o tre gocce di idrocarburi” –afferma. Al contrario Ballabio sostiene che dalle gallerie venissero prelevati anche materiali pericolosi, fatto che vedrebbe il consorzio Cavet coinvolto nel traffico illecito di rifiuti e, a prova di ciò, avverte: “Ci sono i campionamenti di Arpa, le norme non sono optional”.

La gente del Mugello, mesta, prende questa sentenza come una battaglia persa. Non c’è tempo però per rammaricarsi. È necessario guardare avanti, pensare alla Cassazione e soprattutto fare in modo di preservare quell’acqua che ancora non è sparita o non è stata contaminata.

“Ora –insiste Ballabio- siamo preoccupati sui risvolti che potrà avere questa sentenza nel territorio del Mugello. Cavet infatti sta eseguendo i lavori autostradali per la variante di valico, relativa alla costruzione della terza corsia dell’A1. Il rischio reale è che s’inquinino le acque dei torrenti che confluiscono nel lago di Bilancino. La sentenza d’appello purtroppo rende le aziende impunite, le mette in condizioni di fare il bello e il cattivo tempo”.