mercoledì 27 luglio 2011

Il puzzle di Oslo

Una serie di articoli utili a mettere insieme altri pezzi di un puzzle piuttosto intricato, ma che forse non lo è neanche più di tanto...


Chi erano i giovani laburisti di Utøya?
di Pino Cabras - Megachip - 26 Luglio 2011

Quali erano i valori dei ragazzi e delle ragazze norvegesi dell’isola di Utøya, teatro della strage del 22 luglio 2011? I nostri media non ne hanno fatto cenno.

Nel pieno del seminario estivo del movimento giovanile laburista Arbeidernes Ungdomsfylking (AUF), il suo leader Eskil Pedersen, il 19 luglio, aveva rilasciato un’intervista all’importante quotidiano «Dagbladet».

E cosa leggiamo di così clamoroso in questa intervista? Proprio alla vigilia dell’incontro con il ministro degli esteri di Oslo, il laburista Jonas Gahr Store, quali temi di politica internazionale va a proporre Pedersen?

Il giovanissimo politico della sinistra di governo norvegese, in modo inequivocabile, punta tutto su un solo tema: no al dialogo con Israele, sì all’embargo. Vi proponiamo qui di seguito la traduzione dell’intervista.

I lettori potranno così vedere sotto un’ulteriore luce il massacro perpetrato da Anders Behring Breivik, alias ABB, con i suoi complici. Si potranno porre domande fin qui sopite soprattutto se si accenderà poi un’altra luce, quella sul lungo documento di Breivik, che proclama in molti punti una viscerale fedeltà alla causa sionista, e quando si riveleranno i contatti organici di ABB con l'estrema destra sionista europea.

L’«anti-islamico» ABB non ha consumato il suo piombo in una moschea. Ha invece sterminato le giovani leve di un'intera nuova classe dirigente sgradita. Lui sarà pazzo.

Ma i pazzi come lui spesso sono in mano a manovratori e agenti d’influenza con una visione precisa. Qualunque cosa per adesso si possa pensare, intanto buona lettura.

«Il Dialogo non serve, Jonas!»

Il leader dell’AUF, Eskil Pedersen, ritiene che sia l’ora di misure più forti contro Israele.


Intervista a cura di Alexander Stenerud - www.dagbladet.no - 20 Luglio 2011

Questa settimana circa un migliaio di membri dell’organizzazione dei Giovani Laburisti (AUF) si sono radunati all’isola di Utøya per discutere di temi politici. Giovedì a Utøya verrà Jonas Gahr Store per dibattere di Medio Oriente.

Il ministro degli esteri crede nel dialogo in merito al conflitto tra Israele e Palestina, ma il leader dell’AUF Eskil Pedersen ha un chiaro messaggio per il ministro.

«Ci piace che si parli ma, da come abbiamo visto, Israele non è interessata, e non ha ascoltato nessuna delle rimostranze che le sono state fatte. Il processo di pace è un vicolo cieco, e sebbene il mondo intero strepiti affinché gli israeliani vi si conformino, loro non lo fanno. Noi della Gioventù Laburista vogliamo un embargo economico unilaterale contro Israele da parte norvegese», dichiara Pedersen.

Il leader dei giovani laburisti sostiene che il dialogo non ha più nulla da offrire di fronte a Israele, e ritiene che sia l’ora che si adottino nuovi tipi di misure. Pedersen considera che le autorità israeliane si sono spostate così tanto a destra che risulta impossibile avere alcun colloquio con loro.

«La Norvegia ha poche opportunità di esercitare in qualche modo un’influenza, e non siamo vicini ad alcuna pace in questo conflitto. Semmai il contrario. Israele si è spostata estremamente a destra, il che fa sì che scarseggino i partner dialoganti. Oserei dire che perfino i responsabili della politica estera del Partito del progresso (la formazione conservatrice liberale norvegese, NdT) faticheranno assai per trovare interlocutori in Israele. Non c’è più alcun filo diretto. Quel che intendo dire è che dovremmo parlare con chiunque, ma non possiamo sacrificare i nostri principi e le nostre politiche tanto per parlare».

La Gioventù Laburista è stata a lungo in favore del boicottaggio di Israele, ma la decisione all’ultimo congresso, che richiedeva che la Norvegia imponesse un embargo economico unilaterale del paese, era più netta che in precedenza.

«Riconosco che questa sia una misura drastica, ma ritengo che essa dia una chiara indicazione del fatto che siamo stanchi del comportamento di Israele. Larghe parti del mondo reagiscono in ogni momento, ma Israele non ascolta. Penso che la decisione sia un segno che noi dell’AUF diffidiamo di Israele, semplicemente».

Traduzione dal norvegese a cura di Padore Eltili.


Massacro in Norvegia: la connessione con le destre ebraiche

di Gilad Atzmon - www.gilad.co.uk - 25 Luglio 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Grazie allo stimato antisionista Jeff Blankfort (che mi ha fornito un link fondamentale) ho ora appreso che, solo un giorno prima del massacro di venerdì in Norvegia, l’ex trozkista ora neo-con David Horowitz ha pubblicato un articolo di Joseph Klein sulla sua rivista Front Page intitolato "I collaborazionisti in Norvegia", che potrebbe aver fornito all’omicida seriale Anders Behring Breivik tutte le motivazioni per commettere il suo crimine.

Vi consiglio di leggere l’intero articolo qui.

Potete trovare alcune delle “perle” prodotte da questa rivista della destra ebraica bellicista solo poche ore prima che Behring Breivik avesse preso i suoi fucili e iniziato il suo viaggio letale:

“L’infame collaborazionista norvegese Vidkun Quisling, che ha aiutato i nazisti tedeschi a invadere il suo paese, dovrebbe essere riverito sulla tomba […] Nell’ultimo esempio di collaborazione norvegese col nemico degli ebrei, il Ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Stoere ha dichiarato la scorsa settimana in una conferenza stampa, a fianco del presidente palestinese Mahmoud Abbas, che “la Norvegia ritiene perfettamente legittimo che il presidente palestinese si rivolga alle Nazioni Unite” per ottenere il riconoscimento della Palestina come stato indipendente.”

“Durante l’occupazione nazista della Norvegia, quasi tutti gli ebrei furono deportati nei campi della morte o spediti in Svezia o altrove. Oggi la Norvegia è in effetti occupata dalla sinistra antisemita e dai radicali musulmani e sembra voler rendere effettiva la distruzione dello stato ebraico di Israele.”

“Il parlamentare norvegese del Partito Laburista Anders Mathisen è andato oltre e ha pubblicamente negato l’Olocausto. Ha detto che gli ebrei “hanno esagerato i loro racconti” e che “non ci sono prove che le camere a gas e le fosse comuni siano mai esistite.” Anche se l’establishment politico e gli opinionisti potrebbero non aver raggiunto questo livello di follia, hanno comunque la tendenza a considerare i musulmani vittime dell’oppressione israeliana, come se i musulmani fossero nelle stesse condizioni delle vittime ebree e i nazisti di oggi fossero gli israeliani.”

“La leader socialista Kristin Halvorsen sta guidando il boicottaggio nei confronti di Israele. Quando era ministro delle Finanze della Norvegia, era tra i dimostranti di una protesta anti-israeliana, nella quale fu esposto un cartello (tradotto): “Il più grande asse del male: USA e Israele”. Tra gli slogan gridati più volte alla manifestazione c’era (tradotto) “Morte agli ebrei!”

“Lo scorso anno il governo norvegese ha deciso di interrompere gli investimenti con due organizzazioni israeliane che lavorano nella West Bank. Il fondo sovrano norvegese ha tolto il finanziamento all’impresa israeliana Elbit perché stava lavorando sul muro di sicurezza israeliano che tiene a distanza gli attentatori suicidi. A Israele è stata anche impedito di fare offerte sui contratti per la difesa norvegese.”

[…] Parte della motivazione per questo antisemitismo è l’afflusso in Norvegia negli ultimi decenni di masse di musulmani dal Pakistan, Iraq e Somalia tra gli altri. Il multiculturalismo ha insegnato all’élite norvegese ad avere un approccio acritico, talvolta ossequioso, verso ogni aspetto della cultura e delle credenze musulmane. Quando i leader musulmani si scagliano contro Israele e gli ebrei, la risposta incondizionata dell’élite multiculturalista è quella di unirsi alle loro farneticazioni. Questa viene chiamata solidarietà.”

La verità che sta alla base di tutto questo è ben chiara: sono i palcoscenici della destra bellicista israeliana come FrontPage Magazine, Daniel Pipes, Harry’s Place e altri che seguono il loro esempio, che coscientemente, apertamente e in modo ambiguo coltivano una cultura di odio e di islamofobia.

Behring Breivik era un seguace di FrontPage Magazine o dell'ugualmente odioso e adescante Harry’s MAS Place? Non ne siamo sicuri, ma speriamo di scoprirlo al più presto.

Comunque, il messaggio dovrebbe essere urgente e chiaro a tutti noi: la polizia, i servizi di intelligence e le forze dell’ordine di tutto il mondo dovrebbero certamente investigare e reprimere immediatamente questi fomentatori d’odio. Le loro motivazioni, intenzioni e attività devono essere scrutinate e poste sotto osservazione.

Per il bene della pace e della sicurezza di tutti, i legislatori in Europa e in America farebbero bene a istituire velocemente le misure necessarie per restringere le attività di questi guerrafondai sionisti che sono in mezzo a noi.


Il massacro in Norvegia è una reazione per il boicottaggio a Israele?

di Gilad Atzmon - www.gilad.co.uk - 24 Luglio 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Ho appreso la scorsa notte da un quotidiano israeliano online, che due giorni prima del massacro dell’isola di Utoya, il leader dell’AUF (il movimento giovanile del Partito Laburista) Eskil Pedersen ha rilasciato un’intervista a Dagbladet, il secondo tabloid più diffuso in Norvegia, dove rivela quello che pensa di Israele.

Nel corso dell’intervista, Pedersen ha affermato che “crede sia venuto il tempo per misure più drastiche contro Israele […] e vorrei che il Ministro degli Esteri imponesse un boicottaggio economico contro quel paese.”

Pederson ha proseguito, dicendo: “Il processo di pace non va da nessuna parte e, anche se il mondo intero si aspetta che Israele si adegui, non lo farà. Noi nel Partito Laburista istituiremo un embargo economico unilaterale di Israele dal lato norvegese.”

Il movimento giovanile del Partito Laburista AUF è stato tra i più accesi promotori della campagna di boicottaggio a Israele, e il giornale The Dagbladet riporta che “l’AUF è da tempo un sostenitore del boicottaggio internazionale nei confronti di Israele, e al suo ultimo congresso è stato deciso di richiedere che la Norvegia imponga un embargo economico unilaterale e che debba essere più rigido di quanto avvenuto sinora.”

“Riconosco che si tratta di misure drastiche”, ha affermato Pedersen, “ma credo che dia una chiara indicazione del fatto che siamo stanchi del comportamento di Israele, molto semplicemente”.

Ieri abbiamo anche appreso che l’omicida seriale Anders Behring Breivik era apertamente entusiasta di Israele. In base a una serie di pubblicazioni su Internet, Behring Breivik postava regolarmente su alcuni siti web norvegesi, principalmente sul blog document.no, che era gestito da Hans Rustad, un giornalista prima schierato a sinistra. Hans Rustad è ebreo, estremamente pro-sionista e mette in guardia su “islamizzazione”, violenza e altri problemi sociali che ritiene siano collegati all’immigrazione musulmana.

Allo stesso modo dell’infame islamofobo Harry’s Place e di altri blog sionisti a favore delle guerre, gli osservatori che sono tra noi stanno diventando sempre più preoccupati di una tendenza sempre più pervasiva presenti nei quotidiani Internet di Gerusalemme che, apparentemente, sembrano dare l’impressione di “riunirsi per la preservazione della cultura occidentale” e per la “difesa dei valori democratici”.

Per la più ovvia delle ragioni, queste pagine dei blog sono quasi esclusivamente concentrate sul “problema dell’Islam” e sulle comunità di migranti musulmani “agitate e reazionarie” quando per tutto il tempo, simultaneamente, inesorabilmente e decisamente sostengono la propaganda per il sionismo.

Da notare che altri immigranti vengono ciclicamente tratteggiati sulle pagine di questi blog come “indifesi” o come “fattivi collaboratori della società”; non troverai Hans Rustad o Harry Place criticare le lobby ebraiche, quelle di Lord Levy o l’impatto disastroso degli oligarchi russi sulla “cultura occidentale” e sui “valori democratici”.

Gordon Duff ha scritto ieri su “Veterans Today” che “l’ordigno piazzato in un’auto porta la firma di un’agenzia di intelligence. Nessun altro si occupa di queste cose.”

È dopo tutto è abbastanza chiaro che un attentato di queste dimensioni, e un’operazione così sofisticata non è esattamente quello che un profano può riuscire a realizzare con apparente semplicità: ci vuole sicuramente qualche conoscenza specifica, e la questione è chi possa fornire conoscenze di questo tipo, e una tale quantità di esplosivo letale?

Non sono al momento nella posizione di poter puntare il dito contro Israele, i suoi agenti e i suoi sayanim, ma radunando le informazioni e considerando tutte le possibilità potrei suggerire che Anders Behring Breivik potrebbe in effetti essere un Sabbath Goy.

Nel contesto della società mondana giudaica, il Sabbath Goy è presente per eseguire compiti di minore importanza che gli ebrei non possono realizzare durante il Sabbath.

Ma, all’interno della realtà sionizzata in cui tragicamente dobbiamo in gran parte vivere, il Sabbath Goy uccide per lo stato ebraico. Lo potrebbe fare anche volontariamente.

Da ammiratore di Israele, Behring Breivik sembra aver trattato i suoi conterranei allo stesso modo in cui l’IDF si comporta con i palestinesi.

È abbastanza allucinante far notare che Behring Breivik, in Israele, ha trovato una serie di seguaci entusiasti che hanno lodato la sua iniziativa contro la gioventù norvegese. In un articolo in ebraico che parlava di come il campeggio dell’AUF fosse pro-palestinese e a sostegno della Israel Boycott Campaign, ho trovato i seguenti commenti tra i tanti che sono a favore del massacro:

24. “I criminali di Oslo hanno pagato”

26. “È stupido e malvagio non desiderare la morte per quelli che vogliono boicottare Israele.”’

41. “I Giovani Hitleriana uccisi nei bombardamenti in Germania erano anche loro innocenti. Dobbiamo tutti piangere per i terribili e perfidi bombardamenti degli Alleati […] C’era mucchio di gente che si era riunita per odiare Israele in paese che odia Israele in una conferenza per appoggiare il boicottaggio. Non è una cosa bella, non è carina, davvero una tragedie per le famiglie, e noi condanniamo l’atto in sé, ma piangere per una cosa del genere? Forza. Siamo ebrei, non siamo cristiani. Nella religione ebraica non c’è l’obbligo di amare o di mettere il lutto per il nemico.”

Tutti gli aspetti della tragedia norvegese sono ancora sconosciuti, ma il messaggio dovrebbe essere sufficientemente chiaro e trasparente per tutti noi: le agenzie di intelligence occidentali devono immediatamente reprimere gli agenti israeliani e sionisti che sono intorno a noi e, riguardo i terribili eventi di questa fine settimana, deve essere assolutamente evidente chi è che ha fatto diffondere l’odio e chi ha sostenuto questo terrore, e per quali precise ragioni.


Il massacro del 22 Luglio: Norvegia e Israele
di María José Lera e Ricardo García Pérez* - http://europeanphoenix.com - 26 Luglio 2011

Il massacro commesso il 22 Luglio in Norvegia si è sviluppato in un contesto verso il quale merita la pena prestare attenzione. Ci sono stati due attentati, uno contro la sede del governo e un altro nell’isola di Utoya, con una differenza di due ore tra i due.

Nell’isola di Utoya si celebrava un campo-riunione della Lega Giovanile dei Lavoratori del Partito Laburista (Arbeidaranes Ungdomsfylking, AUF secondo le sue sigle norvegesi) il cui rappresentante, Eskil Pedersen, è uno dei difensori più importanti del boicottaggio di Israele in Europa, e con posizioni di grande importanza.

Boicottare Israele

L’implicazione della Norvegia nel boicottaggio di Israele è fondamentale. Il boicottaggio universitario venne guidato da una delle istituzioni accademiche più importanti della Norvegia, l’Università di Bergen, che ha l’intenzione di imporre un boicottaggio accademico contro Israele per un comportamento che qualifica simile a quello dell’apartheid (YNET, 24 gennaio 2010); la accompagnò il rettorato dell’Università di Trondheim, dove venne si discusse e votò se unirsi o meno al boicottaggio accademico contro Israele.

Soltanto alcuni mesi fa, in aprile, questo boicottaggio universitario diede i suoi frutti e lo stesso Alan M. Dershowitz si trovava in Norvegia e si offrì di impartire conferenze su Israele nelle tre università più importanti, sebbene tutte rifiutarono la sua offerta, nonostante fossero stati invece invitati lì Ilan Pappé o Stephen Walt.

Il reclamo di Desrhowitz contro il «boicottaggio della Norvegia degli oratori pro-israeliani» si può trovare nel seguente collegamento: http://soysionista.blogspot. com/2011/04/el-boicot-de- noruega-los-oradores-pro.html.

Il Ministro degli Affari Esteri del Norvegia, Jonas Gahr Støre, disse quanto segue il giorno precedente il massacro: “L’occupazione deve terminare, il muro deve essere demolito e bisogna pretenderlo ora»… e lo fece nello stesso campo dove è avvenuta la strage (fonte: http://tinyurl.com/3zhsj4w).

Nella foto: La AUF chiede di boicottare Israele. Jonas Gahr Store, Ministro degli Affari Esteri della Norvegia, è stato ricevuto giovedì nel campo estivo della AUF che si teneva a Utoya, dove ha affermato che la Norvegia vuole riconoscere lo Stato palestinese.

Mercoledì scorso Eskil Pedersen ha affermato che la Lega Giovanile dei Lavoratori (AUF) vuole che la Norvegia imponga un embargo economico unilaterale a Israele.

La Lega Giovanile dei Lavoratori avrà una politica più attiva nel Vicino Oriente e dobbiamo riconoscere la Palestina. ‘Il denaro solo è denaro”, ora dobbiamo spingere il processo di pace verso un’altra strada”, ha dichiarato Pedersen.

Le azioni di BDS (boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni) sono state appoggiate nel gennaio del 2006 dal Ministro dell’Economia (http://www.elreloj.com/ article.php?id=16385) e sono state rese effettive nel ritiro di investimenti. Concretamente, il 23 di agosto del 2010 la Norvegia comunicò che il Fondo Petrolifero Norvegese (Norway Oil Fund) ritirava i suoi investimenti dalla compagnia costruttrice internazionale Danya Cebus, che appartiene al fondo di investimenti Africa-Israele.

Nelle parole del Ministro dell’Economia: “Il Consiglio di Etica enfatizza che la costruzione di colonie nei territori occupati costituisce una violazione della Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione di Civili in Tempo di Guerra”.

Varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e pareri del Tribunale Internazionale di Giustizia hanno concluso che la costruzione di insediamenti israeliani nei territori occupati palestinesi è proibita da questa Convenzione”, affermò il Ministro dell’Economia Sigbjoern Johnsen in una dichiarazione». (http://www.nocturnar.com/ forum/economia/427216-fondo- noruego-retira-inversiones-de- companias-israelies.html)

Il ritiro di investimenti è inoltre stato esteso al commercio di armi, e nel settembre del 2009 venne cancellato l’investimento nell’Elbit, impresa di armamenti israeliana (http://www.haaretz.com/news/israel-summons-norway-envoy-to-protest-divestment-from-arms-firm-1.8535).

E non solo è stata vietata la vendita di armi a Israele, ma nel giugno del 2010 il Ministro dell’Educazione norvegese fece un invito internazionale affinché questa posizione di boicottaggio delle imprese di armamenti israeliane fosse condivisa dal resto della comunità internazionale (http://www.swedishwire.com/ nordic/4809-norway-calls-for- boycott-on-arms-to-israel), di fronte all’assassinio da parte di Israele di nove attivisti turchi nell’attacco alla Flottiglia.

Il boicottaggio norvegese è appoggiato massicciamente dalla popolazione e, secondo fonti israeliane, nell’anno 2010 il 40% dei norvegesi dichiarava di non acquistare prodotti israeliani (http://www.ynetnews.com/ articles/0.7340.L-3898052.00. html).

Appoggio al popolo palestinese

Se la Norvegia si è messa in evidenza nel boicottaggio di Israele, lo ha fatto anche nel dichiarare e riconoscere lo Stato palestinese. Il 19 Luglio scorso il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas ha visitato la Norvegia e il Ministro degli Affari Esteri norvegese, Jonas Gahr Støre, ha dichiarato al notiziario di TV2 che la Norvegia è disposta a riconoscere lo Stato palestinese.

Queste parole sono le stesse che ha poi ripetuto durante il discorso di Utoya: “Siamo disposti a riconoscere lo Stato palestinese. Sono in attesa del testo concreto della risoluzione che i palestinesi presenteranno davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel mese di Settembre” (fonte: http://english.ruvr.ru/2011/ 07/19/53408557.html).

In autunno si attende che il presidente palestinese Mahmud Abbas esponga la questione davanti alle Nazioni Unite, dove chiederà l’ingresso nell’organizzazione ed il riconoscimento dello Stato palestinese secondo le frontiere precedenti la guerra del 1967 e con capitale a Gerusalemme Est. Né gli Stati Uniti né l’Europa hanno appoggiato la creazione di uno Stato palestinese indipendente.

L’ex Ministro degli Affari Esteri, Kare Willoch, ha inoltre ricevuto recentemente un passaporto palestinese ed ha espresso il suo appoggio ai palestinesi ed alla loro situazione: “Mi sono reso conto dell’ingiustizia particolarmente grave alla quale è sottoposto il popolo palestinese e che realmente tutto il mondo occidentale ha responsabilità in ciò” (fonte: http://theforeigner.no/pages/ news/abbas-to-meet-norwegian- foreign-minister/).

Reazioni di Israele

Israele non ignora queste azioni. Di fatto, il 15 di Novembre del 2010 la stampa israeliana pubblicò che la “Norvegia incita all’odio contro di noi” (fonte: ynetnews.com), dando luogo ad un grave conflitto diplomatico. Israele accusò il governo norvegese di finanziare e fomentare l’istigazione spudorata contro Israele.

In questo caso la protesta era per il finanziamento e la partecipazione della Norvegia nella diffusione di opere che informavano sulla sofferenza infantile a Gaza. Questo era il testo completo della notizia:

Secondo le informazioni ricevute dal Ministero degli Affari Esteri a Gerusalemme, il municipio di Trondheim finanzia un viaggio a New York per gli studenti che partecipano nell’opera “Monologhi di Gaza” ‘che tratta della sofferenza dei bambini di Gaza come conseguenza dell’occupazione israeliana’”.

L’opera, scritta da un palestinese di Gaza, sarà presentata nella sede delle Nazioni Unite. L’iniziativa si aggiunge ad una esposizione di un artista norvegese esibita a Damasco, Beirut e Amman con la collaborazione delle ambasciate della Norvegia in Siria, Libano e Giordania.

L’esposizione mostra bambini palestinesi morti insieme a caschi dell’Esercito di Israele che ricordano i caschi dei soldati nazisti e una bandiera israeliana intrisa di sangue.

I norvegesi inoltre hanno contribuito a distribuire nei festival del cinema di tutto il mondo un documento intitolato “Tears of Gaza” («Lacrime di Gaza»). Secondo il Ministero degli Affari Esteri [israeliano], la pellicola tratta della sofferenza dei bambini di Gaza senza menzionare Hamas, i razzi sparati su Israele e il diritto di quest’ultimo a difendersi.

Nella pellicola appaiono abitanti di Gaza cantando Itbah al-Yahud, ma la traduzione norvegese dice “uccidere agli israeliani” invece di “uccidere i giudei”.

E’ inoltre stato pubblicato recentemente un libro scritto da due medici norvegesi che furono gli unici stranieri a Gaza a concedere interviste durante l’Operazione Piombo Fuso. Il libro, che accusa i soldati dell’Esercito di Israele di uccidere deliberatamente a donne e bambini, è un successo di vendite in Norvegia ed è stato calorosamente raccomandato niente di meno che dal ministro norvegese degli Affari Esteri Jonas Gahr Støre.

L’ambasciata israeliana in Norvegia ha protestato energicamente contro l’implicazione delle autorità nella demonizzazione di Israele. “La politica ufficiale e manifesta della Norvegia parla di comprensione e riconciliazione – ha detto domenica notte un’autorità israeliana – ma dalla guerra di Gaza, la Norvegia è diventata una superpotenza per quel che concerne l’esportare materiale multimediale orientate a delegittimare Israele mentre utilizza il denaro dei contribuenti norvegesi a produrre e diffondere questo materiale”.

Daniel Avalon, vice-ministro degli Affari Esteri, ha dichiarato in una riunione con membri del parlamento norvegese che “questo tipo di attività allontana le possibilità di riconciliazione e favorisce una radicalizzazione della posizione palestinese che gli impedisce di negoziare”.

I norvegesi hanno risposto alle critiche israeliane dicendo che il governo appoggia la libertà di espressione e che non interverrà per alterare il contenuto di opere d’arte. (Fonte: http://www.ynetnews.com/ articles/0,7340,L-3984621,00. html ).

La stampa israeliana ha pubblicato più articoli evidenziando che le relazioni tra i due Stati non vivono il loro migliore momento. C’è da aggiungere che la Norvegia ha sempre mantenuto colloqui con Hamas dalla fondazione di un governo di unità nel 2007, distanziandosi così dalla posizione statunitense ed europea (http://www.norway.org.ps/ News_and_events/Press_Release/ Facts_about_Norway%E2%80%99s_ position_with_regard_to_Hamas/ ) e molestando profondamente Israele, come c’era da attendersi (http://news.bbc.co.uk/2/hi/ 6470669.stm).

Le cattive relazioni hanno raggiunto un apice con le dichiarazioni dello stesso Presidente di Israele, Shimon Peres, che nel maggio del 2011 ha affermato che dialogare con Hamas equivale ad appoggiare questa “organizzazione terrorista”, al quale Jonas Gahr Støre -Ministro degli Affari Esteri norvegese- rispose: “condanniamo le organizzazioni che sono implicate nel terrorismo, ma la Norvegia considera l’avere alcune liste nelle quali includere ad un’organizzazione per qualificarla come terrorista non serve ai nostri obiettivi” (http://www.newsinenglish.no/ 2011/05/06/peres-criticizes- norway-on-hamas/).

Curiosamente, il “terrorista” norvegese accusato di questo massacro, Anders Behring Breivik, è stato segnalato come titolare di un blog chiamato «Fjordman» ed i suoi messaggi appaiono da tempo con collegamenti in “Jihad Watch” e “Gates of Vienna” (http://www. wakeupfromyourslumber.com/ blog/joeblow/zionists-admit- breivik-fjordman-breivik- rightist-mass-murderer-atlas- shrugged-contribut).

Se fosse così, il blog di Fjordman mostra che Breivic è un estremista neocon che odia gli immigrati e specialmente i musulmani e, oltre ad essere pro-israeliano; cfr. il blog “perché la lotta di Israele è anche la nostra lotta” (http://vladtepesblog.com/?p= 21434).

Potrebbe essere che, alla fine, i tentacoli dello Stato di Israele non siano tanto lontani da questa strage; alla fine non sarebbe stata la prima che commette né, purtroppo, sarà l’ultima. La Lega Giovanile dei Lavoratori Norvegese (AUF), il Ministro degli Affari Esteri norvegese e il suo governo al completo hanno ricevuto un tremendo colpo.

Chi si è schierato nel rifiuto della politica genocida di Israele verso il popolo palestinese è ovviamente chi più soffre, precedentemente avvertiti da Israele del loro “grande coraggio”…qualcosa che nel linguaggio israeliano significa che ne pagheranno le conseguenze.

*María José Lera è professoressa presso l’Università di Siviglia e Ricardo García Pérez è traduttore.


Davanti al dramma di Oslo non abbiamo certo bisogno di editoriali violenti

di Massimo Ragnedda - http://notizie.tiscali.it - 26 Luglio 2011

Ancora non era certo il numero delle vittime, il sangue ancora caldo versava a terra, ancora molti ragazzi per sfuggire alla furia omicida erano nascosti e molti corpi dovevano ancora essere recuperati.

Dicevo, ancora niente era chiaro, erano passate solo poche ore e nessuna rivendicazione era arrivata, eppure Il Giornale titolava in prima pagina “Sono sempre loro. Ci attaccano”.

Loro sono gli islamici. Il “Ci” sta per noi, vittime inermi di una guerra che i fanatici islamici stanno portando avanti contro l’occidente e il mondo libero. Ci stanno attaccando.

Implicitamente diceva: dobbiamo difenderci da questa aggressione, dobbiamo far qualcosa. Una prima pagina sbagliata per almeno tre ragioni: sbagliata tecnicamente perché riporta una notizia falsa; una prima pagina sbagliata deontologicamente perché non assolve al compito del giornalista di spiegare e verificare le fonti; una prima pagina sbagliata perché incita all’odio e riproduce lo stereotipo dell’Islam come una religione dell’odio.

In quella prima pagina (in parte ritirata quando dopo solo poche ore si è capito cosa effettivamente era successo e dunque, a seconda delle zone di distribuzione, il Giornale si presentava con due prime pagine diverse) vi è un editoriale dell’onorevole Fiamma Nirenstein, colmo d’odio e disprezzo verso l’Islam.

Un editoriale (in parte anch’esso corretto nella nuova copertina, quando si era capito che non era stata la furia ceca del fondamentalismo islamico, ma di quello cristiano a compiere gli attentati) che esordisce dando per scontato che siano stati i fondamentalisti islamici a scatenare l’inferno nella pacifica Norvegia: “Non ha nessuna importanza se sia stato a causa delle vignette su Maometto riprese anche in Norvegia nel 2006 dal giornale danese che primo le pubblicò o a causa della presenza di un piccolo contingente in Afghanistan e uno ancora minore in Libia….”.

Non importano le ragioni, sostiene indignata l’onorevole Nirenstein, ciò che importa è che la guerra dell’Islamismo contro la nostra civiltà è feroce e aggressiva ed è diretta contro noi tutti. Poco più avanti aggiunge ancora: “Mentre da parte nostra diventa sempre più grande la difficoltà ad accettare che una vasta fetta della popolazione mondiale possa non volerci bene, e non per ragioni sociali o economiche ma per ragioni di ideologia, non per reazione a un nostro eventuale comportamento riprovevole ma per rifiuto del nostro stesso modo di esistere...”.

Parlare, in riferimento a quegli attentati, di guerra dell’Islamismo è da irresponsabili e significa gettare benzina sul fuoco; significa contribuire a creare quel clima d’odio che, nelle mente più feroci, può “culturalmente” giustificare azioni simili.

Breivik non ha agito in preda ad un raptus omicida, ma in base ad un pensiero razionale che ha portato avanti per anni e che ha messo nero su bianco su 1500 pagine (in buona parte frutto di citazioni).

Era lucidissimo mentre in maniera spietata giustiziava i ragazzini inermi. Portava avanti un chiaro progetto ideologico/politico: non si sente in colpa per ciò che ha fatto ma lo ritiene necessario, per quanto atroce.

Ripeto: era una lucida follia la sua. Breivik vuole essere un templare, un cavaliere e riconduce alla Bibbia il fondamento della sua azione criminale e parla del cristianesimo come identità culturale obbligatoria per tutti i paesi d’Europa.

A nessuno, però, nel mondo occidentale, leggendo le sue deliranti ragioni, verrebbe in mente di credere che Breivik sia un buon cristiano. Il cristianesimo è una religione dell’amore, ci ripetiamo continuamente.

Allo stesso modo e seguendo lo stesso ragionamento, a nessuno dovrebbe venire in mente di parlare di bin Laden come di un buon islamico, eppure i nostri giornali quasi ogni giorno lo fanno. Breivik sta al cristianesimo quanto bin Laden sta all’Islam.

Ovvero nulla. Oppure tutto, dipende dal punto di vista e da come lo si presenta. Se l'attentatore fosse stato islamico la religione sarebbe stato tutto, ma l'attentantore è cristiano e allora la religione non conta nulla.

Eppure la prima pagina del Giornale e le parole gonfie d’odio dell’onorevole Fiamma Nirenstein non sono né un bell’esempio di giornalismo, né di analisi o voglia di capire, ma un triste esempio di editoriale violento atto ad aizzare gli animi.

Il compito del giornalismo è quello di raccontare, provare a capire o magari fare qualche domanda e azzardare qualche previsione, ma non attaccare qualcuno pregiudizialmente identificato come il nemico.

È questo odio che genera mostri. È questo odio che fa da substrato culturale alla lucida follia di un esaltato che crede di combattere per una giusta causa.

Perché in fondo, questi editoriali violenti ci dicono, contro l’Islam il buonismo non paga. Così titolava Libero l’indomani della strage. E così avrà pensato Breivik.


Lezioni d'odio

di Nicola Sessa - Peacereporter - 25 Luglio 2011

È ora di badare molto bene a ciò che si dice, a ciò che si scrive, a ciò che si insegna

Anders Behring Breivik ha ricordato a tutto l'occidente evoluto e civile che si può fare una strage anche in nome del Dio dei cristiani, che il terrorismo non è ad appannaggio esclusivo dei seguaci di Allah.

Ecco, c'è una differenza: dato che Breivik è, in fondo, uno dei nostri si parla di strage (derubricando il fatto in "cronaca nera") e non di attentato, di pazzo squilibrato e non di terrorista. Bisogna essere chiari e tutti dovrebbero sapere che come nessun cristiano spirituale si riconosce nel terrorista fondamentalista Breivik, così nessun musulmano ha nulla a che vedere con i militanti dell'estremismo islamico.

È qualcosa da cui esula la religione, tramite di congiunzione tra differenti culture. Per scopi politici o trasversali, questa separazione concettuale viene sempre rinnegata dai seminatori di disprezzo cosicché anche sul terreno del terrorismo islam e occidentali pari non sono (ma c'è quasi da tirare un sospiro di sollievo perché, altrimenti, la logica vorrebbe che si invada il Vaticano!).

L'errore più grande che si possa commettere adesso, in queste ore, è quello di catalogare Breivik come "mostro", come "incidente". Il norvegese alto, biondo e cristiano fondamentalista fa parte della nostra società, è un prodotto di una crociata culturale guidata da cattivi maestri.

Il testo che il killer di Utoya ha scritto per preparare l'ultima crociata contro l'islam e gli spalleggiatori "marxisti propugnatori di una società multiculturale" è intriso di riferimenti a scrittori, politici e giornalisti che spargono odio.

Ciò che preoccupa è che alcune teorie trovino sponda in partiti politici di estrema destra che affondano le radici nel populismo e nella xenofobia raccogliendo maggiori consensi non solo nel nord Europa, ma anche in Francia, Germania, Austria, Ungheria, Polonia e Italia.

È questo emisfero politico a concorrere con i moderati, che - vedi David Cameron nel Regno Unito e Angela Merkel in Germania - devono competere sullo stesso terreno per tenersi stretti il proprio bacino elettorale e quindi dichiarano morta, respingendola, la società multiculturale.

Non si possono dimenticare le parole usate da Oriana Fallaci nei suoi ultimi scritti in cui si additavano i musulmani, l'altra metà del mondo, come un branco di barbari incivili che hanno nel mirino l'occidente, "casa nostra".

Dovremmo ricordarci però, per quante volte siamo andati e da quanto tempo abbiamo messo radici a casa dei barbari incivili, a uccidere, saccheggiare le loro risorse, a violentarne la cultura.

Oggi, a usare le parole pericolosissime della Fallaci c'è una moltitudine di presunti eredi italiani che in nome di Dio o di Jahvè dispensano lezioni d'odio.

Fiamma Nirenstein, deve essersi fregata le mani quando ha scritto il suo editoriale "Oslo in guerra?": "la guerra dell'islamismo contro la nostra civiltà, se verrà confermata l'ipotesi che nel corso della giornata è divenuta sempre più robusta, è feroce ed aggressiva", scriveva poche ore dopo l'attentato. Ci sarà rimasta male quando si è scoperto che l'autore dell'attentato non era un barbaro.

E ci sarà rimasto male, anche di più, il direttore de Il Giornale (per il quale le Nirenstein aveva preparato l'editoriale) che, stando alle rivelazioni del sito web Linkiesta, ha dovuto cambiare il titolo d'apertura all'ultimo momento, passando da un liberatorio "SONO SEMPRE LORO, CI ATTACCANO", a un meno accattivante "Strage in Norvegia".

Ci saranno rimasti male anche gli altri cattivi maestri: Maurizio Belpietro, Giuliano Ferrara e il columnist Magdi Cristiano Allam che - alla pari di Breivik nel suo documento - dalle colonne de Il Giornale, ha più volte attaccato il Vaticano e il cardinale di Milano Tettamanzi per essere troppo aperti nei confronti dell'Islam.

Lo stesso Allam, il giorno di Pasqua (e in piena campagna elettorale per il comune di Milano) lanciava l'allarme dell'invasione musulmana a Milano (che avrebbero sfondato ogni resistenza con il candidato Pisapia a Palazzo Marino): "La voce del muez­zin, in lingua araba, rimbomba da un altoparlante collocato su una torre di metallo eretto a minareto nella moschea di Cascina Gobba al civico 366 di via Padova alle ore 13.09 di venerdì scorso 22 aprile 2011".

Molti dettagli precisi, al minuto, ma peccato che il minareto in via Padova, 366 non esiste; che la torre cerchiata nella foto di corredo all'articolo sul cartaceo non è altro che un ripetitore della compagnia telefonica Wind; che nonostante il pubblico invito dell'avvocato Luca Bauccio - che tutela gli interessi e l'immagine della comunità islamica di Cascina Gobba - Allam non abbia dato spiegazioni.

Il prodotto di certe parole spericolate è rinvenibile nei commenti inviati dai lettori che incitano alla guerra santa e all'abbattimento di tutti i luoghi di culto musulmani.

Ad aprile (il reportage quartieri d'Europa è sul numero di luglio), E-il mensile ha viaggiato in Europa per verificare lo stato di salute della società multiculturale. Se c'è qualcuno che vuole distruggere la difficile arte della convivenza, quel qualcuno è il nostro sistema politico che ha deciso di costruire cento barriere.

È ora di badare molto bene a ciò che si dice, a ciò che si scrive, a ciò che si insegna. Anders Behring Breivik non è un pazzo, né un caso isolato. È solo un ottimo allievo di tanti cattivi maestri. Inserisci link


Breivik, l'attentatore di Oslo. Un'ideologia identitaria ma non fondamentalista

di Massimo Introvigne - www.cesnur.org - 24 Luglio 2011

L’orribile tragedia di Oslo chiede anzitutto rispetto e preghiera per le vittime, quindi una riflessione sulle misure di vigilanza che anche società, come quelle scandinave, che tengono al loro carattere «aperto», oggi non possono mancare di adottare a fronte delle numerose e molteplici forme di terrorismo.

Tra queste misure, però, non ci può e non ci dev’essere una stigmatizzazione dei «fondamentalisti cristiani», dipinti come criminali e potenziali terroristi.

È veramente sfortunato che la polizia norvegese, subito ripresa dai media di tutto il mondo, abbia inizialmente presentato l’attentatore, Anders Behring Breivik, come un cristiano fondamentalista, e che in Italia alcuni media lo abbiano definito perfino – falsamente – un cattolico.

L’incidente mostra semplicemente come oggi «fondamentalista» sia una parola usata in modo generico e impreciso per indicare chiunque abbia idee estremiste o genericamente «di destra», e un riferimento, anche se vago, al cristianesimo.

Ne nasce facilmente il fenomeno sociale della «colpevolezza per associazione», per cui qualunque cristiano che sia, per esempio, contro l’aborto o il riconoscimento delle unioni omosessuali diventa un fondamentalista e, dal momento che l’attentato di Oslo è stato attribuito a un adepto del fondamentalismo, anche un potenziale terrorista.

Proprio pochi giorni prima dell’attentato di Oslo l’Osservatorio sull’Intolleranza e la Discriminazione contro i Cristiani di Vienna aveva inviato ai responsabili del progetto RELIGARE, un’indagine sull’Europa multireligiosa finanziata dalla Commissione Europea, un corposo memorandum sui pericoli di un uso del termine «fondamentalismo» che diventa strumento di discriminazione anticristiana.

L’espressione «cristiano fondamentalista», beninteso, ha un significato preciso. Risale alla pubblicazione negli Stati Uniti tra il 1910 e il 1915degli opuscoli The Fundamentals, una critica militante delle teologie protestanti liberali, del metodo storico-critico nell’interpretazione della Bibbia e dell’evoluzionismo biologico.

Un fondamentalista è un protestante – di solito, tra l’altro, molto anti-cattolico – che insiste sull’interpretazione letterale e tradizionale della Bibbia, rifiutando qualunque approccio ermeneutico che tenga conto delle scienze umane moderne, e da questa interpretazione deduce principi teologici e morali ultra-conservatori.

Anders Behring Breivik non è un fondamentalista. Possiamo sapere parecchie cose delle sue idee dal suo profilo su Facebook – cancellato, ma non prima che qualcuno lo avesse salvato e messo online –, da oltre sessanta pagine d’interventi sul sito anti-islamico norvegese document.no, disponibili anche in lingua inglese e soprattutto dal suo libro di 1.500 pagine 2083 – Una dichiarazione d’indipendenza europea, firmato «Andrew Berwick», mandato a una serie di amici e di giornali il 22 luglio, a poche ore dalla strage, e postato su Internet il 23 luglio da Kevin Slaughter, un ministro ordinato nella Chiesa di Satana fondata in California da Anton Szandor LaVey (1930-1997), che ha oggi nel mondo il numero maggiore di adepti in Scandinavia.

Già dalla sua pagina di Facebook, emerge come un interesse principale di Breivik sia costituito dalla massoneria. Chi visitava il profilo di Breivik su Facebook era colpito da una fotografia che lo rappresenta con tanto di grembiulino massonico come un membro di una loggia di San Giovanni, cioè di una delle logge che amministrano i primi tre gradi nell’Ordine Norvegese dei Massoni, la massoneria regolare della Norvegia. Breivik fa parte della Søilene, una delle logge di San Giovanni di Oslo di questo Ordine, che naturalmente non ha di per sé niente a che fare con l’attentato.

Queste logge praticano il cosiddetto rito svedese, che richiede ai membri la fede cristiana. Ma nessun fondamentalista protestante diffonderebbe sue fotografie in tenuta massonica: il fondamentalismo, al contrario, è fortemente ostile alla massoneria.

Né si tratta di un interesse del passato: la fotografia è stata postata nel 2011 e ancora nel 2009 su document.no Breivik proponeva una raccolta di fondi «nella mia loggia».

Aggiungiamo che anche la passione di Breivik per il gioco di ruolo online World of Warcraft e per una serie televisiva di vampiri piuttosto scollacciata, Blood Ties, nonché la dichiarata amicizia per il gestore del principale sito pornografico norvegese, «nonostante la sua morale sfilacciata» – per non parlare del fatto che uno dei destinatari del suo memoriale è un satanista –, sono tutti tratti che sarebbero assurdi per un cristiano fondamentalista.

I toni ricordano semmai Pim Fortuyn (1948-2002), l’uomo politico omosessuale olandese fondatore di un movimento populista anti-islamico.

Se una parte del libro apprezza la famiglia tradizionale, altrove Breivik dichiara di considerare ammissibile l’aborto – sia pure in un numero limitato di casi – e rivela anche di «avere messo da parte duemila euro che intendo spendere per una escort di alta qualità, una vera modella, una settimana prima dell’esecuzione della mia missione [terroristica]».

I testi – che rivelano ampie anche se disordinate letture – non appaiono quelli di un semplice folle, anche se ci sono tratti di megalomania e contraddizioni evidenti. L’interesse principale di Breivik non è la religione, ma la lotta all’islam che rischia, a suo dire, di sommergere l’Europa – e tanto più un Paese piccolo come la Norvegia – con l’immigrazione.

Queste idee non sono, naturalmente, particolarmente originali – e alcuni degli autori che Breivik cita, e di cui propone nel libro 2083 una sorta di lunga antologia, sono del tutto rispettabili –, ma la tesi è declinata con toni che talora diventano razzisti e paranoici.

Lo scopo primo di Breivik è fermare l’islam – di qui la sua avversione per il governo norvegese, percepito come favorevole a un’indiscriminata immigrazione islamica –, e per questo cerca alleati dovunque.

Racconta di avere scelto volontariamente di essere battezzato e cresimato nella Chiesa Luterana norvegese a quindici anni – la famiglia, ricca e agnostica, gli aveva lasciato libera scelta – ma di essersi convinto che le comunità protestanti sono ormai morte e hanno ceduto alle ideologie multiculturaliste e filo-islamiche.

In un primo momento, scrive, i protestanti dovrebbero confluire nella Chiesa Cattolica. Ma anche la Chiesa Cattolica si è ormai venduta all’islam quando l’attuale Pontefice ha deciso di continuare il dialogo interreligioso con i musulmani.

Breivik minaccia Benedetto XVI, scrivendo che «ha abbandonato il cristianesimo e i cristiani europei e dev’essere considerato un Papa codardo, incompetente, corrotto e illegittimo».

Una volta eliminati i protestanti e il Papa, potrà essere organizzato un «Grande Congresso Cristiano Europeo» da cui nascerà una «Chiesa Europea» completamente nuova, identitaria e anti-islamica.

Se Breivik ha un nemico, l’islam, ha anche un amico – immaginario, perché non sembra ci siano stati grandi contatti diretti –: il mondo ebraico, che considera il più sicuro baluardo anti-musulmano.

Il terrorista mostra un vero culto per lo Stato d’Israele e per le sue forze militari, cui corrisponde una viva avversione per il nazismo.

«Se c’è una figura che odio – scrive – è Adolf Hitler [1889-1945»: e fantastica di viaggi nel tempo per andare nel passato e ucciderlo. È vero che s’iscrive a un forum Internet di neo-nazisti, ma lo fa per cercare di convincerli che, se alcune idee del führer sul primato etnico degli occidentali erano giuste, l’errore clamoroso è stato non capire che gli occidentali più puri e nobili sono gli ebrei, e che se avesse voluto sterminare qualcuno il nazismo avrebbe dovuto piuttosto andare a prendere i musulmani nel Medio Oriente.

Un riferimento frequente è del resto all’inglese English Defence League – con cui sembra ci siano stati anche contatti diretti –, un movimento anti-islamico «di strada» che è regolarmente accusato di essere razzista e altrettanto regolarmente contesta questa accusa e critica il neo-nazismo.

Breivik scrive che il multiculturalismo è una forma di razzismo e che «non si può combattere il razzismo con il razzismo».

Il nazismo, il comunismo e l’islam sono per Breivik tre volti della stessa dottrina anti-occidentale, e tutti e tre andrebbero messi fuorilegge. Ma l’enfasi è sempre sulla lotta all’islam.

Chiunque sia nemico, attuale o potenziale, dei musulmani diventa un possibile alleato: così gli atei militanti, piuttosto diffusi in Norvegia, che Breivik invita a combattere l’islam e non solo il cristianesimo; così gli omosessuali, cui fa presente che in un mondo dominato dai musulmani saranno perseguitati.

Non è sorprendente neppure il contatto con la Chiesa di Satana, che predica una forma di satanismo «razionalista» che inneggia al predominio dei forti sui deboli e alle virtù del capitalismo selvaggio secondo le teorie della scrittrice americana Ayn Rand (1905-1982), citata spesso anche dal terrorista, e che in Scandinavia se la prende volentieri con gli immigrati.

Perfino i rom, secondo Breivik, sarebbero stati resi schiavi in India e ridotti alla loro attuale misera condizione non da popolazioni indù – come insegna la storiografia maggioritaria – ma da musulmani.

Pertanto – un altro tratto che lo distingue da molta estrema destra europea – Breivik si mostra piuttosto favorevole ai rom, li incita a combattere l’islam e promette loro nella sua nuova Europa perfino uno Stato libero e indipendente.

Un tono «religioso» si può ritrovare semmai nelle sue ferventi difese degli ebrei e dello Stato d’Israele. Questo è un tema che emerge anche in qualche gruppo protestante fondamentalista – sulla base dell’idea che Israele sia uno Stato voluto da Dio in vista della fine del mondo – ma gli accenti di Breivik sono diversi.

Anche se mancano riferimenti diretti, ricordano irresistibilmente l’ideologia anglo-israelita, nata nel secolo XIX in Gran Bretagna e molto diffusa in Scandinavia, specie negli ambienti massonici, secondo cui gli abitanti del Nord Europa sono anche loro «ebrei», discendenti delle tribù perdute d’Israle: il nome «danesi», per esempio, indicherebbe la tribù di Dan.

Il movimento anglo-israelita si è scisso nel secolo XX in due tronconi. Quello maggioritario, talora violento e responsabile di attentati negli Stati Uniti, sostiene che gli europei del Nord sono oggi i soli «ebrei» autentici.

Quelli che si fanno chiamare ebrei, in Israele e altrove, non sono tali etnicamente, giacché sarebbero in maggioranza khazari, membri di una tribù centro-asiatica convertita all’ebraismo nei secoli VIII e IX. Di qui un’avversione del «movimento dell’identità» di origini anglo-israelite contro Israele e i suoi legami con gruppi antisemiti e neo-nazisti.

Ma – se questo filone dell’anglo-israelismo domina negli Stati Uniti – nel Nord Europa è ancora presente un filone più antico, per cui gli ebrei così come oggi li conosciamo sono veri eredi della tribù di Giuda, in attesa di ricongiungersi con i fratelli anglosassoni e scandinavi delle tribù perdute.

Chi mantiene questa visione considera dunque i nord-europei fratelli degli ebrei e, ben lungi dall’essere antisemita, difende in modo molto acceso l’ebraismo e lo Stato d’Israele.

Secondo il suo libro, il terrorista nel 2002 avrebbe fondato con altri a Londra un ordine neo-templare che si affianca ai tanti che già esistono, i Poveri Commilitoni di Cristo del Tempio di Salomone (PCCTS), ispirato non solo ai templari cattolici del Medioevo ma soprattutto ai gradi templari della massoneria – un’organizzazione di cui Breivik cui loda il «ruolo essenziale nella società», pur considerandola incapace di passare alla necessaria azione militare – e aperto a «cristiani, cristiani agnostici e atei cristiani», cioè a tutti coloro che riconoscono l’importanza delle radici culturali cristiane, «ma anche di quelle ebraiche e illuministe» nonché «nordiche e pagane», per opporsi ai veri nemici che sono l’islam e l’immigrazione.

Tra questi riferimenti eclettici, il cristianesimo non è dominante. Cita moltissimi autori, ma il suo padre spirituale è l’anonimo blogger norvegese anti-islamico «Fjordman», che nel 2005 aveva un milione di lettori ma che chiuse il suo blog senza essere mai identificato.

Breivik ripubblica un suo scritto secondo cui dopo il Medioevo il cristianesimo – i cui unici aspetti positivi erano di origine pagana – è diventato per l’Europa «una minaccia peggiore del marxismo».

I «giustizieri templari» di Breivik dovrebbero operare in tre fasi di «guerra civile europea». Nella prima (1999-2030) dovrebbero risvegliare la coscienza addormentata degli europei mediante «attacchi shock di cellule clandestine», scatenando «gruppi di individui che usano il terrore»: gruppi piccoli, anche di una o due persone.

Nella seconda (2030-2070) si dovrebbe passare alla guerriglia armata e ai colpi di Stato.

Nella terza (2070-2083), alla vera guerra contro gli immigrati musulmani. Breivik è consapevole che gli attacchi della prima fase trasformeranno coloro che li compiranno in terroristi odiati da tutti: ma questa è la forma di «martirio templare» cui si dice disposto.

Obiettivi degli «attacchi shock» sono i partiti politici: i laburisti norvegesi anzitutto, ma sono segnalati anche quattro partiti italiani (PDL, PD, IDV, UDC) che boicotterebbero in modo diverso la guerra all’islam e all’immigrazione.

In Italia ci sarebbero sessantamila «traditori» da colpire, anche attraverso attacchi alle raffinerie per sconvolgere l’assetto energetico italiano. Sedici raffinerie italiane, da Trecate (Novara) a Milazzo, sono indicate come obiettivi strategici. Anche su Papa Benedetto XVI ci sono frasi minacciose.

Sempre secondo il libro 2083, il numero di potenziali simpatizzanti italiani sarebbe pure di sessantamila: ma questi non si troverebbero né nella Lega né ne La Destra, che Breivik ha esaminato ritenendo le loro critiche anti-immigrazione troppo timide e dunque alla fine «controproducenti».

Poiché ne sono uno dei Rappresentanti, mi inquieta anche la riproduzione di un articolo che indica l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) come un organismo internazionale particolarmente filo-islamico e pericoloso.

La domanda forse più importante è se quando Breivik riferisce che il suo ordine di giustizieri templari conta membri in vari Paesi europei ed è in contatto con quelli che il mondo chiama «criminali di guerra» serbi seguaci di Radovan Karadzic, che per lui invece sono eroi che hanno cercato di liberare i Balcani dall’islam, sta scrivendo un romanzo nello stile dello svedese Stieg Larsson (1954-2004) o descrivendo una realtà.

Altri particolari autobiografici del libro che sembravano improbabili – la presenza nella sua famiglia di diplomatici, la frequentazione da ragazzo di scuole di élite – sono stati confermati dalla polizia norvegese.

La stessa polizia dovrà verificare se la nascita dell’ordine neo-templare, i contatti con i criminali di guerra serbi e un viaggio in Liberia per farsi addestrare da uno di loro, «uno dei più grandi eroi europei», prima di fondare l’ordine con otto compagni a Londra nel 2002 sono frammenti dell’immaginazione di Breivik o episodi realmente accaduti.

Quello che è certo è che un buon terzo del suo libro – un vero e proprio manuale del terrorista, corredato da un diario sulla preparazione dell’attentato – rivela dettagliate conoscenze in materia di armi, esplosivi, la nuova tecnica terroristica chiamata «open source warfare», che può essere messa in opera anche da gruppi piccolissimi, e l’abbigliamento antiproiettile – calzini compresi, dettaglio spesso trascurato e cui Breivik dedica parecchie pagine – difficili da ottenere, anche se Internet fa miracoli, da parte di qualcuno che non ha fatto neppure il servizio militare.

Breivik scrive sempre in tono paranoico. Ma – se vogliamo, come si dice, trovare un metodo nella sua follia – dobbiamo cercarne il filo conduttore principale in un populismo anti-islamico che finora aveva conosciuto raramente forme violente, e uno secondario in una solidarietà pressoché mistica fra l’identità nordica e quella ebraica e israeliana, che ha le sue radici in antiche teorie esoteriche e massoniche di cui Breivik è un cultore.

L’unica cosa certa è che il cristianesimo – «fondamentalista» o no – c’entra ben poco, se non come uno fra i tanti improbabili alleati che il terrorista immaginava di reclutare per la sua battaglia violenta contro l’immigrazione islamica.