domenica 13 dicembre 2009

Bolivia: Forza Evo!!

Una serie di articoli sulla schiacciante vittoria elettorale di Evo Morales, riconfermato alla presidenza della Bolivia e contando anche su un'ampia maggioranza nei due rami del Parlamento.

Ora ha tutti i numeri per continuare a rivoluzionare il quadro socio-economico del Paese.

Forza Evo!!

Un uragano di nome Evo
di Pablo Stefanoni - www.ilmanifesto.it - 8 Dicembre 2009

Alla faccia di chi nel 2005 diceva che sarebbe durato sei mesi

«Questo trionfo è dedicato a tutti i popoli e i presidenti che lottano contro il capitalismo in ogni parte del mondo». Sono state le prime parole con cui Evo Morales ha commentato la schiacciante vittoria nelle elezioni di domenica, quando è risultato rieletto con un inedito 63% dei voti contro il 27% di Manfred Reyes Villa, il suo principale concorrente di destra. Evo ha vinto in 6 dei 9 dipartimenti e i voti rurali che arrivano per ultimi, potrebbero ampliare il margine.

Adesso sì che Morales ha in mano non solo il governo ma anche il potere.
Il presidente boliviano ha avuto i voti che i sondaggi indicavano... e anche qualcuno di più. Ha ottenuto i due terzi dei senatori (nella legislatura uscente non aveva la maggioranza in senato) ed è a 2 deputati dallo stesso risultato alla Camera. A La Paz, Oruro, Potosí ha spazzato via la destra e ha vinto tutti i seggi in palio del senato.

L'opposizione sta vincendo a Santa Cruz, Beni e Pando, anche se il Movimiento al socialismo di Evo è riuscito ad aumentare - e in certi casi a raddoppiare - i voti in queste regioni autonomiste della «mezzaluna orientale», ottenendo la metà dei seggi del senato in lizza. E ha vinto a Tarija, dipartimento meridionale alleato con Santa Cruz dove si concentra più dell'80% del gas del paese.

A La Paz il Mas sfiora l'80%. Nelle regioni aymara intorno al lago Titicaca, il voto per Evo è fra il 90 e il 100%. La spiegazione? Identificazione etnica con il «primo presidente indigeno» nella storia della Bolivia e politiche sociali che hanno portato «bonus» a bambini, vecchi e donne incinte. «Ora lo stato è in ogni casa», dice Evo.

La Paz, Cochabamba, Oruro, Potosí e Chuquisaca domenica hanno anche votato sì all'autonomia per rovesciare il no del referendum del 2006 e mettersi al passo della nuova costituzione che proclama uno stato plurinazionale e autonomico. Morales ha anticipato che ora si potrà «togliere il segreto bancario e vedere come sono state accumulate certe fortune»,
Morales ha vinto tutti gli appuntamenti elettorali da quando fu eletto per la prima volta nel dicembre 2005 con il 54%.

Nel giugno 2006 vinse le elezioni per la Costituente con il 51%, nell'agosto 2008 fu confermato alla presidenza dal referendum con il 67% e nel gennaio 2009 la nuova costituzione è passata con più del 60%.

Questa sequela di batoste elettorali ha scioccato l'opposizione, che ha anche sbagliato strategia puntando su violenza e destabilizzazione.
«Un Morales doveva prima o poi apparire, si chiamasse come si chiamasse: Quispe, Mamani, Condori o Choquehuanca. Per ovvie ragioni il posto di primo presidente indigeno in Bolivia era riservato a un aymara o un quechua», dice l'ex-presidente Carlos Mesa.

E Evo Morales - un animale politico a tempio pieno - ha occupato quel posto sull'onda delle rivolte sociali fra il 2000 e il 2005 che ha polverizzato il vecchio sistema politico nato nel 1985 e noto come la «democracia pactada». Le élite lo prendevano in giro, nel 2005, dicendo che Morales non sarebbe durato sei mesi... e ora accusano il leader cocalero di volersi perpetuare al potere. Il dibattito qui in Bolivia adesso si centra sull'interrogativo se, con una maggioranza così schiacciante, il governo si radicalizzerà o no nel suo secondo mandato 2010-2015.

«Faremo quello che abbiamo detto. Non c'è un'agenda occulta. Una grande vittoria elettorale significa più responsabilità rispetto alla gente. Il nostro obiettivo è il grande balzo industriale, lo stato sociale protettore e il decollo della de-colonizzazione e dell'autonomia: sarà più rapido, più efficace e più deciso», ha detto al manifesto il vice-presidente Alvaro Garcia Linera.

E ha articolato il progetto del secondo mandato del Mas: «In una società in cui l'imprenditoria è molto debole, qualcuno deve farsi carico di avviare la costruzione della modernità, dell'integrazione e del benessere. I neo-liberisti hanno creduto che questo ruolo potessero svolgerlo gli investimenti stranieri. Oggi abbiamo uno stato produttivo in vari settori: petrolio, finanza, energia, industria mineraria, agro-industria. Uno stato che regola ed equilibra. In Bolivia c'è stata una rivoluzione vistosa sul piano politico, però un'altra più rapida, più contundente e meno rumorosa sul piano economico».

Per questo forse il futuro economico boliviano assomiglia di più al capitalismo di stato industrialista del nazionalismo rivoluzionario degli anni '50 che al socialismo o all'anti-capitalismo proclamato da Morales.

Le sfide di fronte l'«evismo» non sono da poco. Il paese continua a basarsi sull'industria estrattiva e vive del gas e prodotti minerari. Per questo Morales dice che la priorità del secondo mandato sarà lo sradicamento della povertà estrema che tocca ancora oltre il 30% della popolazione .


Quattro anni di Evo: è un'altra Bolivia
di Pablo Stefanoni - www.ilmanifesto.it - 6 Dicembre 2009

Oggi il voto sancirà non solo la scontata conferma elettorale di Morales ma anche la sua profonda sintonia con le masse popolari boliviane che si riconoscono in lui, nella sua «faccia india», nella sua onestà, nel suo progetto politico-sociale. Che per il prossimo quinquennio promette «un grande balzo desarrolista» Come il presidente indigeno ha cambiato il paese.

Identità, piani sociali, sviluppo, sovranità nazionale


Dopo 4 anni al governo, molto simili a una corsa a ostacoli, il presidente Evo Morales taglia oggi il nastro di partenza di un nuovo mandato: altri 5 anni alla guida del potere esecutivo. Tutti i sondaggi confermano che l'ex-cocalero sarà rieletto con più del 55% dei voti, contro il 20% dell'opposizione di destra. Morales ha scommesso il suo salario assicurando che otterrà anche i due terzi del nuovo Congresso plurinazionale.

Come si spiega la popolarità di Evo il cui potere appariva, solo uno o due anni fa, messo in questione dalla destra autonomista radicata nell'oriente boliviano con alla testa la poderosa Santa Cruz?

Come accade con Lula da Silva in Brasile, la confluenza dell'identificazione popolare con la sua figura di primo presidente indigeno/campesino in un paese a maggioranza quechua e aymara, sommata a un complesso di ampi progammi sociali, sfocia in un massiccio sostegno politico ed elettorale.

Mentre il suo principale rivale, Manfred Reyes Villa, denuncia «l'autoritarismo» regnante e l'imprenditore Samuel Doria Medina promette nuovi posti di lavoro, Evo Morales, nei suoi continui viaggi nei quattro angoli più sperduti della Bolivia profonda, sa toccare le corde nascoste delle masse. Lì non perde occasione di ripetere: «Adesso che siamo presidenti» e ogni indigeno e campesino che l'ascolta si sente parte del potere.

Ma non è solo questione di simboli: Evo si trova in una situazione economica che avrebbe fatto l'invidia di tutti i suoi predecessori neo-liberisti. La nuova legge petrolifera approvata nel 2005, più il decreto di nazionalizzazione del 2006 - che hanno aumentato le imposte per le transnazionali -, sommati agli altissimi prezzi internazionali delle materie prime fino allo scoppio della crisi globale, hanno consentito a Morales di nuotare nell'abbondanza di risorse grazie all'esportazione del gas e dei prodotti minerari.

Nell'ultimo quadriennio l'inflazione è stata tenuta sotto controllo, la crescita economica è stata del 4.5% l'anno, c'è stato un inedito superavit fiscale, le riserve internazionali sono passate da 1.7 a 8.7 miliardi di dollari e oggi, a livello pro-capite, sono le maggiori dell'America latina.

Si capisce perché, a parte la leadership carismatica, non è stato difficile convertire questi numeri in voti, soprattutto quando la popolazione percepisce che Evo è un presidente «onesto», che lavora non per se stesso ma per il paese.

Il bonus «Juancito Pinto» per gli scolari, il «Reddito dignità» per gli anziani, il bonus «Juana Azurduy» per le donne incinte, centinaia di medici cubani sparsi per tutto il paese, la riduzione delle tariffe elettriche per i settori popolari, le opere pubbliche nelle regioni dimenticate con il piano «Evo cumple», l'alfabetizzazione, l'attribuzione a campesinos e indigeni dei titoli di proprietà su 15 milioni di ettari di terre... Cambiamenti che non sono riusciti a estirpare la povertà storica della Bolivia, neanche quella più estrema - ancora del 31% -, ma i settori popolari sentono gli effetti di questi piani sociali.

Poi la politica «antimperialista» e la rivendicazione della sovranità nazionale - come l'espulsione dell'ambasciatore Usa, Philip Goldberg, nel 2008 - hanno prodotto un'auto-stima collettiva e godono di un forte sostegno popolare.

Il programma di Evo è nettamente «desarrolista» e promette un imminente «grande balzo industriale». Sono state aperte imprese statali e altre sono annunciate nei prossimi 5 anni: aeroporti, dighe, strade, fonderie, ponti, un computer per ogni maestro, comunicazioni economiche per tutti, poli di sviluppo, industrializzazione del litio e del ferro, esportazione di energia elettrica, rafforzamento della nuova compagnia aerea...

Lungi da posizioni «ancestrali» o anti-moderne, la promessa di Evo è sviluppare e modernizzare il paese. Lo ha ripetuto nel suo lungo discorso di chiusura della campagna davanti agli indigeni e ai molti «turisti rivoluzionari» stranieri. «Uno stato produttivo, sociale e protettore» ha sintetizzato il vicepresidente Alvaro Garcia Linera questo nuovo modello di capitalismo di stato.

Un modello sperimentato con la rivoluzione del 1952 guidata da Victor Paz Estenssoro e ripreso oggi «con faccia indigena».


Evo per altri cinque anni
di Alessandro Grandi - Peacereporter - 9 Dicembre 2009

Con il 63 percento delle preferenze Evo Morales ha vinto le elezioni presidenziali che si sono svolte in Bolivia. Secondo i dati Morales avrebbe ottenuto anche la maggioranza politica all'Assemblea, cosa che gli consentirà di continuare a governare senza grandi intoppi per i prossimi cinque anni. Solo le briciole sono rimaste nelle mani dello sfidante Manfred Reyes, ex prefetto di Cochabamba, che non ha superato il 27 percento.

In pochi avrebbero scommesso sulla sconfitta di Morales, un presidente voluto fortemente dal popolo che ha riposto in lui speranze concrete di cambiamento. Oggi, grazie appunto alla maggioranza parlamentare, il lavoro di Morales verrà facilitato ancor di più.

Un altro aspetto nuovo da tenere ben presente quando si parla delle ultime elezioni è quello del ruolo della classe media boliviana che da sempre è stata lontana dalle questioni riguardanti la popolazione nativa boliviana ma che pare abbia apprezzato il lavoro degli ultimi anni del presidente e per questo l'avrebbe premiato.

In ogni caso Morales si trova politicamente coperto in ogni angolo istituzionale del Paese. E questo, c'è da giurarlo, darà un impulso ancora maggiore alle iniziative economiche, come la nazionalizzazione di gas e petrolio, in parte già intraprese da Morales.

E proprio in questo settore, quello degli idrocarburi, che da qualche settimana si sono iniziati a vedere i risultati della politica del primo presidente indio della storia boliviana. Dopo tre anni e otto mesi dalla nazionalizzazione del settore, il Paese ha iniziato a vedere i primi quattrini degli investimenti stranieri.

La Repsol, una compagnia petrolifera Ispanico-Argentina, già da tempo presente in Bolivia, si è impegnata a investire un miliardo e cinquecento milioni di dollari per i prossimi cinque anni su due impianti strategicamente importanti: Margarita e Huacaya.

L'investimento di Repsol garantirà un ampliamento degli impianti stessi che passeranno nel giro di qualche anno dalla produzione di 2 milioni di metri cubi di gas al giorno a otto milioni, la costruzione di una sede per il trattamento del gas naturale e in ogni caso saranno sufficienti anche per produrre energia per il consumo del mercato interno.

Soddisfazione è stata espressa dal presidente Morales e da Carlos Villegas, presidente di Ypfb. "Vorremmo che anche altre imprese si sommassero a questa iniziativa politica. Se però ci sono aziende che hanno fini politici o alcune che boicottano gli investimenti, sappiano che il governo boliviano non ha alcun timore. Abbiamo la dignità, abbiamo la sovranità nazionale per prendere le decisioni più giuste" ha detto lo stesso Evo Morales durante una conferenza tenuta nel palazzo del governo. Inoltre, il presidente ha anche fatto sapere che probabilmente alcune grandi aziende a capitale straniero sarebbero fra le principali finanziatrici dell'opposizione boliviana.

Il presidente boliviano non si è fermato a quello. Dopo la nazionalizzazione del settore degli idrocarburi, infatti, molte aziende hanno manifestato il loro dissenso per la presunta insicurezza giuridica e per l'aumento delle imposte a loro carico. Altre se ne sono andate via dal Paese e alcune non si sono sottomesse alla volontà politica boliviana e non avrebbero accettato di investire.

E il nuovo progetto di legge studiato a tavolino dal presidente Morales, dal ministro per gli idrocarburi Oscar Coca e dal numero uno di Ypfb prende in considerazione le compagnie straniere in qualità di soci e mai come gerenti o titolari delle riserve boliviane.


Evo Morales: una vittoria antimperialista
di Alessia Lai - www.rinascita.info - 9 Dicembre 2009

Tutto come previsto. Evo Morales è nuovamente presidente della Bolivia. La popolazione del piccolo Paese andino ha voluto riconfermare il suo mandatario-indio fino al 2015 premiandolo con una percentuale che gli ha permesso la vittoria al primo turno e che, soprattutto, sembra regalare al suo Mas (il Movimiento al socialismo) la maggioranza al Senato.

Un risultato fondamentale, perché permetterà a Morales di governare senza più gli ostacoli posti da una situazione parlamentare che nella precedente legislatura ha visto il suo partito in minoranza e che impediva passi importanti, come ad esempio la ratifica della nuova Costituzione.

I dati parlano di un Morales al 63 per cento, con circa trentacinque punti percentuali in più rispetto al suo principale rivale, Manfred Reyes Villa, che avrebbe a malapena raggiunto il 28 per cento. L’imprenditore Samuel Dorio Medina, del partito di opposizione Unidad Nacional ha ottenuto solo il 6%. La Costituzione boliviana afferma che un candidato accede direttamente alla presidenza se ottiene il 50% più uno o il 40% di voti con un distacco di almeno il 10% sul secondo arrivato.

Secondo i sondaggi, il mandatario ha trionfato in sei dipartimenti: La Paz, Oruro, Potosí, Cochabamba, Chuquisaca e Tarija, quest’ultimo tradizionalmente schierato contro Morales e parte della Media Luna, la zona orientale del Paese in cui più dominano i movimenti autonomisti di destra ostili al presidente riconfermato.

Non a caso, il principale candidato dell’opposizione, Reyes Villa, è stato il più votato negli altri dipartimenti della Media Luna: Santa Cruz, Beni e Pando. “Sebbene, tuttavia non abbiamo potuto vincere in tutti i dipartimenti, lo abbiamo fatto in uno in cui mai avevamo vinto, il che dimostra che continuano ad aggiungersi (…) compagni”, ha commentato Morales sottolineando che “i risultati di queste elezioni marcheranno una nuova pietra miliare nel Paese, perché smetterà di esistere la cosiddetta Media Luna, che si trasformerà in Luna Piena di unità tra tutti i boliviani”.

Al Senato sembra che il Mas sia riuscito ad ottenere circa i due terzi dei seggi con 24-25 di 36 possibili senatori contro il 10- 11 che dovrebbe avere ottenuto la formazione dell’opposizione.

Il presidente eletto si è congratulato con la popolazione, poco più di 5 milioni di aventi diritto al voto, per la massiccia partecipazione e ha ribadito la sua promessa di arrivare alla rifondazione del Paese e al riscatto della sovranità popolare. “Oggi la Bolivia ha nuovamente dimostrato una vocazione democratica e una rivoluzione democratica culturale al servizio del popolo (...) con la partecipazione a queste elezioni hanno dimostrato che è possibile cambiare la Bolivia con il voto popolare”, ha detto.

Fratelli e sorelle, ora abbiamo un cammino aperto (...) un cammino di dialogo con tutti i settori per applicare la prima Costituzione che sarà approvata dal popolo” ha aggiunto Morales ora che il Senato garantirà l’appoggio ai cambiamenti promessi. Morales ha quindi “dedicato” la sua vittoria al più grande popolo antimperialista: “Il trionfo in Bolivia non è solo per i boliviani (...) questo trionfo dei boliviani è fondamentalmente un giusto riconoscimento per i presidenti, i governi e i popoli antimperialisti”.

Le celebrazioni della schiacciante vittoria non hanno impedito al presidente di aprire al dialogo con le opposizioni, nonostante i colpi bassi ricevuti da queste in passato: “vengano a lavorare con me per servire il popolo boliviano – ha affermato - prima di tutto la Bolivia, ai margini di qualunque rivendicazione di carattere settoriale”.


La speranza Obama? «Una vera delusione»
di Pablo Stefanoni - www.ilmanifesto.it - 6 Dicembre 2009

Cinque domande a Alvaro Garcia Linera, vice-presidente della repubblica.

La larga vittoria elettorale, oggi, della sinistra in Bolivia potrebbe essere vista come qualcosa di eccezionale rispetto alle difficoltà di altri governi progressisti dell'America latina. Qual è lo scenario dopo il golpe in Honduras, la crisi per le basi Usa in Colombia e il ritorno di governi di destra?
Questo processo di risveglio sociale del continente e di ricerca di alternative post-neoliberiste, come ogni processo storico, non è lineare. Ha sempre le sue pause, le sue radicalizzazioni, i suoi piccoli ritorni all'indietro e in qualche caso le sue paralisi. Però nel fondo è un movimento storico del continente e in generale del mondo.

Ormai nessuno, neanche la Banca mondiale e l'Fmi, si azzarda ad alzare le bandiere di un neo-liberismo ibattibile e redentore della società. Tutti hanno dei dubbi, solo che in alcune parti del mondo sanno che le cose vanno male però non sanno che fare.
Nel nostro continente cerchiamo opzioni. E' un movimento storico post-neoliberista, non è un fuoco di paglia che poi lascia strada al ritorno dell'ondata neo-liberista. Non è così, nessuno ci crede più, neanche gli stessi neo-liberisti.

Qual è la lezione che si può trarre da questo processo?
La lezione che stiamo apprendendo è che in questo risveglio continentale va meglio a quei movimenti sociali e a quei governi progressisti che accelerano il transito e, al contrario, non va tanto bene ai governi che assumono posizioni ambigue perché questo ridà fiato alle opzioni della destra.

La lezione è accelerare i processi di post-neoliberismo della società. La gente risponde rapidamente. Li assume, si coinvolge. E dove i governi non prendono le decisioni corrette, si trovano in difficoltà. In certi paesi non si è imboccata questa strada, come nel caso di Colombia e Perú. In Uruguay invece abbiamo visto il consolidamento del processo in corso.

E in questo contesto, come si deve leggere il caso dell'Honduras?
E' più complicato perché ha a che vedere con la tensione fra questo risveglio sociale continentale e le pulsioni militariste, di contenimento di questo risveglio. Non bisogna dimenticare che l'Honduras è stata la base militare Usa per fermare la rivoluzione centramericana.

C'è un tentativo di tornare a farne una base militare. Lì si stanno giocando interessi di carattere geo-strategico a livello quasi mondiale e questo ha reso ancor più complicata la situazione. Idem in Colombia. Sono di fronte due visioni: l'irradiazione di governi progressisti e una risposta di contra-insurgencia militarizada da parte Usa.
Se l'Honduras va avanti così, non ho dubbi che di qui a sei mesi o a un anno si parlerà di mettere altre basi militari sul suo territorio. Questo è il grande rischio del continente.

Di fronte al fallimento dell'Organizzazione degli stati americani di frenare il golpe honduregno, che si può fare ora a livello continentale?
Mantenere la politica di isolamento dei golpisti honduregni. E prendere coscienza come continente, forse attraverso l'Unasur, dei rischi del ritorno di politiche di contra-insurgencia militarizada da parte degli Stati uniti, che vogliono riprendere la loro strategia degli anni '80. Questa è la risposta al movimento social-politico-democratico del continente. Gli Usa vanno contro il senso della storia.

C'è delusione rispetto all'apparente cambio che prometteva Barak Obama rispetto ai rapporti Usa con l'America latina?
Assolutamente. Ormai non si può più dire che Obama è prigioniero dell'establishment ma che si sta adattato per garantire la sua governabilità interna. Si è adattato al complesso e agli schemi del potere industriale e militare nord-americano per mantenere una struttura costruita negli ultimi decenni e che si è militarizzata per cercare di frenare il suo declino a livello mondiale.

E Obama non sta facendo alcuno sforzo e credo che non abbia alcuna intenzione di cambiare questa posizione di difesa dura e militarizzata della decadenza degli Stati Uniti.