giovedì 17 dicembre 2009

Israele-Palestina: sempre a passo di gambero

Qualche articolo di aggiornamento sull'annosa questione israelo-palestinese.


La mano destra e la mano sinistra del compagno Netanyahu
di Simone Santini - www.clarissa.it - 14 Dicembre 2009

Un editoriale del quotidiano liberal israeliano Ha'aretz delle scorse settimane ha salutato Benjamin Netanyahu, primo ministro del paese e capo del partito di destra Likud, come il nuovo grande leader bi-partisan israeliano, paragonandolo non solo a Sharon ma avendo addirittura oltrepassato l'icona di Ytzhak Rabin.

Infatti, "[Netanyahu] quando ha decretato il congelamento delle costruzioni negli insediamenti... si è spostato a sinistra dell'Yitzhak Rabin del 1995. A differenza di Rabin, Netanyahu ora accetta la creazione di uno stato palestinese smilitarizzato. A differenza di Rabin, ordina il divieto di costruire in tutta la Cisgiordania ebraica. Netanyahu ha passato il Rubicone sia sul piano ideologico che su quello pratico".

L'editorialista di Ha'retz se ne felicita, ma riscontra che tale sfondamento a sinistra non sembra aver trovato interlocutori. Netanyahu "ha accettato il principio dei due stati, e non ha ricevuto nessuna risposta. Sospende le costruzioni negli insediamenti, e viene respinto. Corteggia Mahmoud Abbas (Abu Mazen), e viene denigrato [...] Offre al movimento nazionale palestinese negoziati sulla creazione di uno stato nazionale palestinese, e trova che non c'è nessuno con cui parlare e niente di cui discutere. Zero. Un muro di cemento" (1).

Un editoriale del conservatore Jerusalem Post sembra fare da contraltare a Ha'aretz. Si riscontra lo stesso spostamento a sinistra dell'asse politico israeliano ma al contempo il giornale si interroga se ne valga la pena e se tutto questo porterà un qualche vantaggio.

Facendo un "rapido calcolo" dei risultati ottenuti dopo il discorso dello scorso 14 giugno presso l'Università Bar-Ilan con l'accettazione della "creazione di una Palestina smilitarizzata come obiettivo finale dei negoziati", dopo la dichiarazione del 25 novembre sulla "moratoria per dieci mesi di tutte le nuove attività edilizie negli insediamenti", in rapida sequenza si è ottenuto che: "l'inviato speciale americano George Mitchell non si è certo abbandonato all'entusiasmo"; il presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen ha risposto "non penso proprio", sulla riapertura dei tavoli dei negoziati; la Svezia, presidente di turno dell'Unione Europea, ha premuto "con tanta forza perché venisse riconosciuta Gerusalemme est come capitale della "Palestina" [...] Qualcosa di profondamente sconfortante per quella grande maggioranza di israeliani che vorrebbe genuinamente perseguire una composizione del conflitto coi palestinesi" (2).

Tanto più che le grandi manovre di Netanyahu hanno determinato veementi reazioni nelle aree più oltranziste dell'estrema destra israeliana, in particolare nei coloni. Un rabbino nazionalista ha paragonato il primo ministro al "faraone che ordinò di gettare nel Nilo i neonati ebrei", mentre la radio militare israeliana ha annunciato un rafforzamento delle misure di sicurezza attorno a Netanyahu.

Il ministro Ben Eliezer ha dichiarato che "il clima creato dai coloni, che protestano per il congelamento dei loro insediamenti, ricorda quello dei mesi precedenti all'assassinio di Rabin" (3).

Il quadro, tuttavia, appare ben più complesso di quello disegnato sulla stampa israeliana e nell'opinione pubblica del paese, che plaude (con distinguo) o paventa una fuga a sinistra di Netanyahu.

Il corrispondente di Le Monde ha scritto: "Con la mano destra impongo un parziale congelamento delle colonie; con la mano sinistra prendo misure che le incoraggiano: è questa la politica apparentemente schizofrenica condotta da Benjamin Netanyahu" (4).

Nella giornata di ieri (13 dicembre) il governo israeliano ha infatti approvato a maggioranza (21 ministri a favore contro i 5 laburisti) la "mappa delle zone a priorità nazionale". Si tratta di oltre 90 località dislocate tra Giudea e Samaria (Cisgiordania) che si trovano ad est della "linea verde", il confine risalente al conflitto del 1967, e del muro, la cosiddetta "barriera di sicurezza" costruita dagli israeliani.

Questo significa che oltre 100mila coloni verranno ad usufruire di uno statuto particolare. Anche in seguito ad un accordo di pace coi palestinesi, le "zone a priorità nazionale", pur facendo parte integrante della Cisgiordania, non potranno mai tornare a ricadere sotto l'autorità palestinese, godendo di una sorta di stabilizzazione perpetua a favore di Israele. E non solo. Le "zone" beneficiano di stanziamenti economici per il loro sviluppo in settori nevralgici quali educazione, lavoro, urbanistica.

In questo modo Netanyahu ribalta un orientamento di Ehud Olmert, secondo cui risultava controproducente incoraggiare insediamenti nella prospettiva che in caso di accordo di pace dovessero essere smantellati. Al contrario l'attuale governo vuole "incoraggiare la dispersione della popolazione sul territorio di Israele al fine di accrescere la presenza verso le periferie e le zone prossime alle frontiere" come dichiarato dall'ufficio del primo ministro.

Come tale proposito strategico si conformi col congelamento degli insediamenti appare di difficile comprensione, se non che la durata di tale congelamento sarà di breve durata (10 mesi) dopo di che tutto potrà essere rimesso in discussione.

Il Consiglio dei Coloni (Yescha) si è felicitato per la decisione, ma non farà marcia indietro nella lotto contro il congelamento deciso dal governo. Tuttavia, l'associazione pacifista israeliana Peace Now ha sottolineato un altro aspetto che la mano sinistra di Netanyahu ignora della destra.

Il congelamento non riguarderà i circa 3.500 alloggiamenti di cui, sotto spinta di Yescha, le fondamenta sono state opportunamente gettate prima dell'annuncio del blocco, e che in questo modo ne sono risparmiati.

Note:

(1) Ari Shavit, Il Rubicone di Netanyahu, Ha'aretz, 3 dicembre 2009
(2) Ma cosa guadagna Israele dal congelamento degli insediamenti?, Jerusalem Post, 8 dicembre 2009
(3) Così riportato da Il Secolo XIX del 8 dicembre 2009
(4) Laurent Zecchini, Netanyahu moltiplica gli annunci contraddittori sulle colonie, Le Monde, 11 dicembre


Mandato di arresto per Tzipi Livni. Tensioni diplomatiche tra Tel Aviv e Londra
di Nicola Sessa - Peacereporter - 15 Dicembre 2009

Il governo israeliano sta, in queste ore, alzando la voce contro quello britannico. Il motivo: un tribunale di Sua Maestà avrebbe emesso un ordine di arresto nei confronti dell'ex ministro degli Esteri Tzipi Livni, ora a capo del partito di opposizione Kadima, in virtù del Criminal Justice Act del 1988 che attribuisce alla Gran Bretagna la giurisdizione universale per i crimini di guerra.

Il mandato di arresto, emanato in seguito a un'azione promossa da alcuni attivisti pro palestinesi, si riferisce all'operazione Piombo Fuso, condotta dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza.

Le tre settimane di guerra provocarono la morte di circa 1400 palestinesi, in gran parte civili. Tzipi Livni, allora ministro degli Esteri del governo Olmert, appoggiò senza riserve l'operazione dell'esercito per affermare il proprio diritto di autodifesa e sicurezza nazionale nonostante le critiche provenienti dalla comunità internazionale.

Tensioni diplomatiche. Il Ministero degli Esteri israeliano, in una nota, ha invitato il governo britannico a modificare la legge, il Criminal Justice Act, affinché questo non possa essere utilizzato dai 'nemici di Israele' per colpire i suoi cittadini. Successivamente il mandato è stato revocato.

Ma proprio sulla revoca si è aperto il mistero: non è chiaro se nel fine settimana scorso Livni si trovasse in Gran Bretagna oppure no. Secondo Shawqi Issa, un esperto di diritti umani e legislazione internazionale, il tribunale britannico non può emettere il mandato se non ha notizia che il destinatario non cittadino (come nel caso della Livni) si trovi su suolo britannico.

Le notizie su dove fosse Tzipi Livni al momento dell'emissione del mandato sono contrastanti: alcuni riportano che fosse a Londra, altri che si trovasse nella città israeliana di Herzliya per celebrare il terzo giorno di Hannukkah, una festa ebraica. Ciò aprirebbe la strada, ovviamente, a dei dubbi legittimi sul fatto che, se si fosse trovata su suolo britannico, qualcuno ne abbia favorito la ‘fuga'.

Quello che si sa dalla sua agenda politica è che domenica sarebbe dovuta intervenire alla conferenza del Jewish National Found a Londra e, successivamente, a un incontro con il premier Gordon Brown.

In un nota, il suo ufficio politico ha riferito che Livni avrebbe annullato la visita londinese già due settimane fa, che nulla avrebbe a che fare la cancellazione della visita con il mandato di arresto e che il capo di Kadima è fiera delle operazioni compiute dell'esercito durante l'operazione Piombo Fuso.

Israele intanto prende le contromisure e il ministero degli Esteri consiglia a tutti i ministri che devono recarsi in Gran Bretagna di fissare incontri con membri del governo britannico così da poter essere coperti da immunità diplomatica come garantito dallo State Immunuty Act del 1978.

Da Londra, intanto, un imbarazzato Foreign Office ha dichiarato che: "Il Regno Unito è determinato a fare tutto quanto nelle sue possibilità per promuovere la pace in Medioriente e di essere un partner strategico di Israele. A tal fine, è necessario che i leader politici israeliani siano messi nella condizione di venire in Gran Bretagna e dialogare con il governo. Stiamo esaminando con urgenza le conseguenze di questo caso".

La seconda volta. Tzipi Livni, in risposta al mandato di cattura, ha dichiarato che non accetterà nessun atto di accusa che compari i soldati dell'esercito israeliano ai terroristi. È la seconda volta che gli attivisti palestinesi fanno ricorso alla Corte inglese per chiedere l'arresto di un politico israeliano.

A settembre, fu richiesto un mandato per il ministro della Difesa Ehud Barak che si trovava a una convention del partito dei Labour a Brighton. La Corte non emise il mandato, perché a differenza della Livni, Barak gode dell'immunità diplomatica prevista per i ministri degli Stati esteri.


Palestina, esteso il mandato presidenziale di Abu Mazen
da www.osservatorioiraq.it - 16 Dicembre 2009

Il mandato del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmud Abbas (Abu Mazen) e quello del Parlamento palestinese sono stati estesi fino a quando non verranno convocate nuove elezioni presidenziali.

La decisione è stata presa oggi nel corso di un vertice dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) tenuto a Ramallah, in Cisgiordania.

Nuove elezioni presidenziali e politiche erano previste per il gennaio prossimo, ma sono state rinviate in virtù del mancato raggiungimento di un accordo tra i due principali partiti palestinesi, Fatah e Hamas.

Proprio Hamas, il movimento islamico che dal giugno 2007 controlla la striscia di Gaza, ha espresso la propria condanna per l’estensione del mandato di Abu Mazen, parlando di atto “incostituzionale”.

“Il mandato di Mahmoud Abbas è finito e nessuno ha il diritto di prolungarlo”, ha dichiarato il portavoce del movimento Fawzi Barhoum.

Da parte sua, l’Olp ha risposto affermando che il provvedimento è necessario al fine di evitare un vuoto di potere.

“Il comitato centrale dell’Olp ha preso la decisione di prolungare il mandato di Abbas fino alla convocazione delle prossime elezioni presidenziali”, ha dichiarato un alto funzionario dell’organizzazione, Qaid al-Ghoul.

Intanto, nelle scorse settimane Abu Mazen aveva fatto sapere che non si ricandiderà alla presidenza dell’Anp. Il suo mandato, che sarebbe dovuto scadere nel gennaio scorso, è già stato esteso di un anno.

A Gaza anche un Muro egiziano. La Striscia sarà chiusa su ogni lato

di Alberto Stabile - www.repubblica.it - 11 Dicembre 2009

Le hanno provate tutte per bloccare i tunnel della vita e della morte che alimentano il contrabbando dall'Egitto verso la Striscia di Gaza. Pattugliamenti continui lungo il confine, delicati sensori capaci di registrare anche il movimento di una piccola zolla, allagamento dei cunicoli, persino il gas.

Ma niente ha fatto indietreggiare l'esercito delle talpe. Adesso, su suggerimento e forse anche finanziamento degli americani, le autorità del Cairo ci proveranno con una barriera sotterranea di metallo impenetrabile, capace di resistere anche all'esplosivo, lunga 10-11 chilometri e profonda fino a 20-30 metri la cui posa è già iniziata in gran segreto. Durata prevista dei lavori, un anno e mezzo.

La diga sotto terra che dovrebbe arginare il flusso dei traffici per e dalla Striscia di Gaza attraverso quella sorta di enorme gruviera che è il confine di Rafah, sorgerà a perpendicolo del vecchio muro di ferro che i guastatori di Hamas fecero saltare in una notte nel gennaio del 2008, dando ad un milione e mezzo di palestinesi imprigionati dal blocco messo in atto da Israele l'illusione della libertà. Insieme, assicurano gli esperti americani, muro esterno e barriera sotterranea dovrebbero costituire un ostacolo insormontabile.

In un luogo come la Striscia di Gaza, che storicamente è sempre stato un crocevia di traffici, di eserciti e di viaggiatori, combattere il contrabbando è praticamente impossibile. Ma è con la chiusura dei valichi, decisa da Israele dopo l'ascesa al potere delle milizie di Hamas, che i tunnel lungo il confine con l'Egitto hanno acquisito importanza strategica.

E non soltanto perché gli unici beni, a parte quelli strettamente umanitari, capaci di alleviare la penuria e l'isolamento che hanno colpito la popolazione della Striscia, vengono di lì.

L'inventario di ciò che passa attraverso le vie sommerse del contrabbando è praticamente infinito: dagli animali alle motociclette, dai computer ai vestiti, dalla benzina alla sigarette.

I tunnel sono essi stessi un'attività economica lucrativa, e non solo per i clan che li gestiscono, versando, a quanto pare, una "tassa" alle casse di Hamas, ma anche per le centinaia di disperati che vi lavorano e spesso ci lasciano la pelle.

Ma non è tutto. Attraverso i tunnel, anche se pare si tratti di una rete diversa, passano le armi destinate all'arsenale di Hamas. Armi non soltanto leggere: anche componenti essenziali per assemblare i missili Kassam e Grad con cui le milizie palestinesi della Striscia hanno colpito le città israeliane del Negev.

I tunnel, diciamo così, militari, avrebbero anche permesso a gruppi di guerriglieri islamici legati ad Al Qaeda di approdare e mettere radici nella Striscia.
Ora, nonostante l'esercito israeliano abbia cantato vittoria alla fine delle tre settimane di guerra combattuta contro Hamas tra dicembre 2008 e gennaio 2009, la battaglia dei tunnel non si è conclusa con un esito certo.

Al contrario, all'indomani dell'operazione Piombo Fuso, Israele ha sollevato il problema del contrabbando in direzione della Striscia di Gaza come una questione di primaria importanza di cui la comunità internazionale avrebbe dovuto farsi carico.

Gli Stati Uniti si sono offerti di partecipare ai pattugliamenti. La Germania ha offerto all'Egitto macchinari e tecnologia. Dopo che è stata valutata anche la possibilità di costruire un enorme fossato, è passata l'idea del muro di ferro.

Non sarà l'unico Muro destinato ad incidere nei rapporti tra Israele e i suoi vicini arabi. A parte la "barriera" che separa gli israeliani dai palestinesi, qualche giorno fa s'è saputo che Netanyahu penserebbe ad un altro muro lungo il confine tra Israele ed Egitto per impedire l'arrivo d'immigrati clandestini dall'Africa.

Bil’in, arrestato a Ramallah membro del Comitato popolare

da www.osservatorioiraq.it - 10 Dicembre 2009

Abdullah Abu Rahmah, membro del Comitato popolare contro il Muro di Bil’in, l’organizzazione non-violenta che si batte contro la “barriera di sicurezza” israeliana in Cisgiordania, è stato arrestato ieri notte dalle forze di sicurezza di Tel Aviv.

La notizia, data dalla polizia dell’Autorità palestinese (Anp), è stata confermata dal presidente del Comitato, Iyad Burnat, secondo cui con ogni probabilità l’uomo è stato trasferito nella prigione militare della colonia di Ofer, non lontano da Ramallah.

L’episodio viene ritenuto tanto più grave in quanto non è avvenuto nel villaggio di Bil’in, ma nel quartiere di at-Tira, a Ramallah, dove le forze di sicurezza israeliane non potrebbero operare.

Lo stesso Abu Rahmah si era trasferito con la famiglia a Ramallah proprio per timore di essere arrestato in uno dei tanti raid compiuti dallo Stato ebraico contro gli abitanti di Bil’in.

Da giugno a oggi, sono state 31 le persone arrestate a Bil’in, di cui 16 restano in carcere. La scorsa settimana le forze di sicurezza di Tel Aviv avevano prelevato nella sua abitazione il 23enne Rani Najar.

Queste continue operazioni – affermano gli abitanti del villaggio - mirano a indebolire la resistenza non-violenta della popolazione palestinese, che ogni venerdì organizza una manifestazione contro il Muro cui prendono parte attivisti palestinesi e internazionali.

Secondo l’avvocato Gaby Lasky, che rappresenta molti dei detenuti provenienti da Bil’in, i raid sono “un altro esempio lampante di applicazione da parte delle autorità israeliane di procedure legali per la persecuzione politica dei residenti” del villaggio.

"I manifestanti Bil'in – ha dichiarato ancora Lasky - vengono presi di mira in maniera sistematica, mentre è lo Stato [di Israele] che viola una sentenza della Corte suprema di giustizia. Una sentenza che due anni fa ha sancito che il tracciato del Muro nella zona deve essere cambiato, e fino a oggi non è stata attuata”.


Gerusalemme Est, nel 2008 record di palestinesi “cacciati” da Israele
di Carlo M. Miele - www.osservatorioiraq.it - 3 Dicembre 2009

Non ha precedenti il numero di palestinesi che, durante lo scorso anno, è stato privato dalle autorità israeliane del proprio diritto di vivere a Gerusalemme Est.

Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani HaMoked, che cita dati del ministero degli Interni di Tel Aviv, nel 2008 sono stati 4.570 i palestinesi spossessati del proprio titolo di residenza nella parte araba della città santa, ossia oltre un terzo del totale da quando lo Stato ebraico l’ha occupata, nel corso della guerra del ‘67.

Il tutto – a detta dei palestinesi – nell’ambito di una precisa politica che mira a rafforzare la presenza ebraica nella zona e a tagliarla fuori dal resto dei Territori palestinesi occupati.

Israele si difende dalle accuse, affermando che la maggior parte dei palestinesi privati del titolo di residenza vive all’estero, così come appurato nell’ambito di una "verifica ampia" fatta nelle liste dei residenti nello Stato ebraico.

L’ong HaMoked, tuttavia, contesta questa procedura, affermando che di fatto ai palestinesi per perdere la cittadinanza israeliana (attribuita in occasione dell’occupazione di oltre 40 anni fa) è sufficiente restare all’estero per sette anni oppure ottenere la cittadinanza o la residenza di un altro Paese.

Il fenomeno – ha dichiarato il direttore dell’organizzazione Dalia Kerstein – ha "raggiunto dimensioni spaventose".

Secondo i palestinesi, quello che sta avvenendo a Gerusalemme Est fa parte di una strategia che mira a cacciare i palestinesi dalla città.

In questa politica rientrerebbe anche la realizzazione della “barriera di sicurezza” e di nuovi quartieri ebraici. L’ultimo insediamento a Gerusalemme Est, nel quartiere di Gilo, è stato autorizzato il mese scorso dal primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, e prevede la costruzione di quasi un migliaio di nuove unità abitative.

Più volte l’attuale governo di Tel Aviv ha definito Gerusalemme “capitale eterna e indivisibile” dello Stato di Israele.

Gerusalemme Est tuttavia – così come riconosciuto dalle Nazioni Unite – dovrà diventare la capitale del futuro Stato palestinese.

Anche l’Unione Europea sarebbe intenzionata a riaffermare nei prossimi giorni il diritto dei palestinesi sulla parte orientale della città santa. Secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa israeliana, la Ue avrebbe preparato una bozza che al primo punto prevede “uno Stato di Palestina contiguo, indipendente, democratico e autosufficiente, che comprenda Cisgiordania e Gaza e con Gerusalemme Est come sua capitale, che viva fianco a fianco con lo stato di Israele in pace e sicurezza”.


La guida completa all'uccisione dei non ebrei
di Gilad Atmon - www.informationclearinghouse.info - 18 Novembre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Viola Caon

È abbastanza impossibile intuire l’enormità dei delitti compiuti contro l’umanità dallo stato ebraico in nome del popolo ebraico se non si approfondisce la conoscenza della cultura ebraica alla luce dell’insegnamento giudaico.

Il sionismo fu fondato come movimento secolare. Nacque per dare al popolo ebraico, ormai disperso in una diaspora avanzata, una “terra madre nazionale” tutta per sé. Ciononostante, esso contribuì particolarmente nel trasformare il Vecchio Testamento da un libro sacro a un registro secolare e terreno. Via via che si disvelano le barbarie commesse dallo Stato d'Israele, un continuum schiacciante viene stabilito tra le sue politiche assassine e l'odio giudaico per i goy- non ebrei.

Sarebbe giusto obiettare che l'insegnamento giudaico non è un qualcosa di monolitico. Come è noto, uno dei pochi collettivi ebrei che prendono le parti della Palestina si chiama “Torah Jews”, una setta di ebrei ortodossi. In altre parole, la Torah deve contenere al proprio interno un lato umanista e secolare.

Quanto segue è una recensione di Torat-ha Melekh, un “tipo di guida per tutti quelli che si chiedono se e e in quali casi è possibile togliere la vita a un non-ebreo”. È stata pubblicata da Ma'ariv, secondo giornale nazionale di Israele. È una lettura obbligata.

Direi addirittura che tutti quei politici corrotti americani e inglesi che sono felici di prendere fondi da magnati israeliani e da altri “amici di Israele” farebbero meglio ad iniziare a capire con quale tipo di ideologia si stanno schierando. Ecco una traduzione completa di un articolo pubblicato al riguardo sul Ma'ariv di Israele:

Ma'ariv 09-11-09, p.2, di Roy Sharon

Quando è permesso uccidere non-ebrei? Il libro Torat-ha Melekh (L'insegnamento del Re), pubblicato di recente, è stato scritto dal rabbino Ytzahk Shapira, il rettore della yashivà – centro di studi dei testi sacri ebraici – Od Yosef Hai nella comunità di Ytzahr vicino Nablus, insieme ad un altro rabbino della yashivà, Yossi Elitzur.

Il libro contiene non meno di 230 pagine sulle leggi riguardo l'uccisione dei non-ebrei, per tutti coloro che si chiedono se e in quali casi è possibile togliere la vita a un non-ebreo. Anche se le principali case editrici hanno deciso di non pubblicarlo, il libro è stato già caldamente raccomandato da alcuni esponenti di destra nonché da diversi rabbini quali Yitzhak Ginsburg, Dov Lior e Yaakov Yosef, raccomandazioni inserite all'inizio del libro stesso.

Inoltre, viene distribuito via Internet e attraverso la yeshivà e ad oggi il prezzo iniziale è di 30 NIS- moneta israeliana – per copia. Alcune copie sono state vendute anche durante la cerimonia di commemorazione la scorsa settimana per il rabbino Meir Kahane, ucciso 19 anni fa. Nel libro, gli autori trattano approfonditamente di questioni teoretico-filosofico riguardo le leggi che regolano l'uccisione dei non-ebrei.

Le parole “arabi” e “palestinesi” non sono riportate neanche indirettamente e gli autori evitano accuratamente di fare affermazioni in favore dell'utilizzo individuale della legge da parte dei lettori. Il libro include centinaia di fonti riprese dalla Bibbia e dalla legge religiosa e contiene numerose citazioni del rabbino I Abraham Isaac Kook, uno dei padri del sionismo religioso, e del rabbino Shaul Yisraeli, uno dei rettori della yeshivà Mercaz Harav, roccaforte del sionismo religioso nazionale, situata a Gerualemme.

Il libro si apre con un divieto ad uccidere non-ebrei per prevenire, fra le altre cose, le ostilità e una qualsiasi dissacrazione del nome di Dio. Ma molto velocemente gli autori si spostano dal sostenere una posizione di vero e proprio divieto ad una di permesso, fino ad arrivare ad una serie di indulgenze per chi colpisce non-ebrei, secondo la principale argomentazione di sostenere le 7 leggi della Noahide, che tutti gli esseri umani devono seguire. Tra queste leggi ci sono il divieto di rubare, di commettere spargimenti di sangue e di praticare l'idolatria.

[Le 7 leggi della Noahide proibiscono l'idolatria, l'omicidio, il furto, rapporti sessuali illeciti, la blasfemia e mangiare la carne di animali vivi, e obbliga tutte le società di istituire leggi e tribunali.] “Quando incontriamo un non-ebreo che ha violato una delle 7 leggi della Noahide e lo uccidiamo per la loro difesa, non abbiamo violato nessun veto”, afferma il libro, che sottolinea che uccidere è proibito soltanto se non viene fatto in nome di una norma vigente. Ma più avanti gli autori limitano il divieto, notando che è riferito soltanto a “un sistema specifico che ha a che fare con non-ebrei che violano le 7 leggi della Noahide.”

Un'altra conclusione spiega perché un non-ebreo può essere ucciso anche se non è un nemico dichiarato degli ebrei: “In ogni situazione in cui la presenza di un non-ebreo mette in pericolo un ebreo, il non- ebreo può essere ucciso anche se è un buon Gentile (non-ebreo) niente affatto colpevole per la situazione che si è creata”, affermano gli autori. “Quando un non-ebreo assiste all'omicidio di un ebreo o ne causa la morte, egli può essere ucciso, e in ogni caso quando la presenza di un non-ebreo mette in pericolo gli ebrei, il non-ebreo può essere ucciso.”

Una delle deroghe per l’uccisione di non-ebrei, secondo la legge religiosa, rientra nel caso del “din rodef” [la legge dell’ “inseguitore”, secondo la quale colui che sta inseguendo un altro con l’intento di ucciderlo può essere ucciso al di fuori della legge giuridica], anche quando l’inseguitore è un civile. “La deroga vige anche quando l’inseguitore non manifesta esplicitamente l’intento di uccidere, ma lo mostra anche solo implicitamente”, afferma il libro “Anche un civile che assiste a un combattimento tra altri può essere considerato un inseguitore e può essere ucciso. Chiunque faccia parte dell’esercito dei malvagi sta incoraggiando omicidi ed è considerabile un inseguitore. Un civile che appoggia la guerra dà al re e ai soldati la forza di continuarla. Perciò, ogni cittadino dello stato che si oppone a noi e incoraggia i soldati o esprime soddisfazione riguardo le loro azioni è da considerarsi un inseguitore e può essere ucciso. Inoltre, chiunque indebolisca il nostro stato con le parole o con azioni di qualsiasi tipo è da considerarsi un inseguitore.”

I rabbini Shapira e Elitzur stabiliscono che anche i bambini possono essere colpiti perché sono “d’intralcio”. I rabbini scrivono quanto segue: “Intralci- e i bambini si trovano spesso in questa condizione. Bloccano la strada per la salvezza con la loro presenza e lo fanno assolutamente al di là della loro volontà. Ciononostante, possono essere uccisi perché la loro presenza agevola gli omicidi. C’è piena giustificazione per uccidere bambini quando è chiaro che essi cresceranno per farci del male, e questa è una condizione tale da richiedere che essi siano uccisi deliberatamente, anche al di fuori di scontri tra adulti.”

Inoltre, i figli di un capo possono essere uccisi per mettergli pressione. Se colpire i figli di un componente dell’esercito dei malvagi può servire a non farlo agire più malvagiamente, allora essi possono essere uccisi. “è meglio uccidere un inseguitore che uccidere chiunque altro”, affermano gli autori.

In un capitolo intitolato “Colpire deliberatamente gli innocenti” si afferma che la battaglia è diretta principalmente verso gli inseguitori, ma coloro che appartengono a una nazione nemica sono da considerarsi nemici perché giustificano omicidi.

In una delle note a piè pagina gli autori sembrano affermare che i singoli individui possono agire di loro spontanea volontà, senza la legittimazione né dello stato né dell’esercito. “Una decisione da parte della nazione non è necessaria per giustificare lo spargimento di sangue dei sostenitori del regno del male”, scrivono i rabbini, “persino i singoli individui della nazione che viene attaccata possono far loro del male.”

A differenza dei libri che vengono normalmente pubblicati dalle yeshivà, in questo libro i rabbini aggiungono una conclusione. Ognuno dei 6 capitoli è riassunto in punti principali in alcune righe, le quali affermano, fra le altre cose: “Dalla legge religiosa abbiamo appreso che i non-ebrei sono generalmente sospettati di spargere il sangue degli ebrei, e in guerra questo sospetto si rafforza ulteriormente. Si deve considerare la possibilità di uccidere i bambini, anche se non hanno violato le 7 leggi della Noahide, in nome del pericolo futuro che essi potrebbero costituire se li si lascia liberi di crescere malvagi come i loro genitori.”

Anche se, come si è detto, gli autori fanno bene attenzione ad usare termini poco specifici come “non-ebrei”, si può intuire quale sia la nazionalità dei “non-ebrei” che potrebbe essere arrecare danno agli ebrei.

Questo concetto è ben sottolineato dal volantino “La voce giudaica”, pubblicata su Internet da Yitzahr, il quale commenta sul libro: “è superfluo notare che da nessuna parte nel libro è dichiarato che ci si sta riferendo soltanto agli antichi non-ebrei”.

Gli editori del volantino non hanno tralasciato una nota pungente diretta al GSS [General Security Service, anche noto come “Shabak” o “Shin Bet”: il controspionaggio israeliano N.d.r.], che sicuramente si prenderà il disturbo di procurarsi una copia: “Gli editori suggeriscono al GSS di procurare agli autori del libro un premio per la sicurezza nazionale di Israele”, afferma il volantino, “perché hanno dato ai detective la possibilità di consultare il riassunto dei punti essenziali del libro nella conclusione, senza che sia necessario leggere tutto il libro.”

Uno degli studenti della yeshivà Od Yosef Hai ha spiegato, secondo il proprio punto di vista, da dove i rabbini Shapira e Elitzur hanno preso il coraggio di parlare così liberamente su un argomento come l’uccisione di non-ebrei: “I rabbini non temono persecuzioni perché in tal caso, Maimonides [Rabbi Moses ben Maimon, 1135–1204] e Nahmanides [Rabbi Moses ben Nahman, 1194–1270], dovrebbero essere processati essi stessi, e in ogni caso si tratta di ricerca sulla legge sacra”, afferma lo studente, “e in uno stato ebraico nessuno viene processato perché studia la Torah.”

Rabbino iraniano sottolinea la necessità che gli ebrei brucino il libro controverso

tratto da Press TV

Martedì 17 novembre 2009

Uno dei più importanti rabbini della comunità iraniano-ebraica ha esortato la sua congregazione a bruciare La Torah del Re, un libro controverso che supporta l’omicidio dei non-ebrei. Nel suo libro pubblicato di recente, il rabbino Yitzhak Shapiro, rettore della yeshivà Od Yosef Chai (scuola religiosa) negli edifici occupati della West Bank, sostiene l’assassinio di non-ebrei, anche neonati e bambini, se essi costituiscono una minaccia, reale o potenziale, per Israele.

Il libro, scritto in collaborazione con Yossi Elitzur, afferma che gli ebrei sono autorizzati ad uccidere “coloro che, anche solo con le parole, indeboliscono la nostra sovranità”, aggiungendo che è permesso “uccidere i Giusti tra le Nazioni, anche se non sono responsabili per la situazione di minaccia.”

Tale decreto è appoggiato da molti rabbini israeliani, inclusi Yitzhak Ginsburg e Yaakov Yosef.

Shapiro dichiara che la Torah e il Talmud giustificano in pieno questo editto.

Il rabbino iraniano, d’altro canto, ha dichiarato lo scorso lunedì che il messaggio del libro contraddice chiaramente gli insegnamenti di Mosè. Il rabbino Golestaninejad ha dichiarato che il libro non è basato sui principi della fede ebraica.

Uno dei dieci comandamenti afferma nell’Esodo: “Tu non commetterai omicidio”. Anche nel libro della Genesi l’omicidio è vietato ed è concordato che chiunque versi del sangue, deve pagare per il proprio atto attraverso lo spargimento del suo stesso sangue, ha dichiarato il rabbino, che ha definito l’editto una sfacciata distorsione degli insegnamenti religiosi.

Golestaninejad ha ricordato che la parola “rabbino” significa “saggio”, ed è molto improbabile che una persona saggia, che è responsabile per l’insegnamento della religione, avalli l’assassinio di persone di altre credenze.

Chiunque affermi cose in netta opposizione alla religione, e proceda alla loro attribuzione a Torah, Mishnah, Talmud o Halakha, merita punizione e castigo, ha detto, aggiungendo che l’idea dietro il verdetto è assolutamente falsa.

Gli ebrei sono seguaci di Mosè. Qundi, non aderiscono al sionismo e alle idee di Theodore Herzl, padre del sionismo moderno politico, ha detto il rabbino.

Il rabbino Golestaninejad ha condannato la pubblicazione di La Torah del Re, e ha invitato tutti gli ebrei a bruciare il libro che, ha detto, propaganda idee non religiose.