mercoledì 9 dicembre 2009

Crisi economica in Grecia e le vecchie fallimentari ricette

In Grecia la crisi economica sta svelando il suo vero volto con tutte le annesse esplosive conseguenze a livello sociale.

Ieri poi la Commissione Europea, in una nota diramata dal commissario UE agli affari economici e monetari Joaquin Almunia, ha reso noto che "sta monitorando la situazione della Grecia da molto vicino, in stretto contatto con il presidente dell'Eurogruppo, ed è pronta ad assistere il governo greco nel mettere a punto un programma di risanamento e di riforme complessivo, nel quadro delle misure previste dal trattato per gli Stati membri della zona euro [...] Prendiamo atto del fatto che la sostenibilità delle finanze pubbliche in Grecia attira l'attenzione dei mercati finanziari e delle agenzie di rating [...] La situazione difficile in uno Stato membro della zona euro è una questione che riguarda tutta l'area dell'euro".

L'agenzia Fitch ha infatti ieri rivisto al ribasso il rating a lungo termine (da A- a BBB+, ma se si scende oltre BBB le obbligazioni di stato vengono considerate spazzatura) per l'aumento del debito pubblico e "la bassa credibilità delle istituzioni finanziarie e il clima politico", anche se il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha ribadito che il Paese non corre rischi di bancarotta.

Bontà sua...ma "il programma di risanamento e riforme" che l'UE chiederà alla Grecia di mettere in atto avrà sicuramente pesanti risvolti per le tasche e il futuro della stragrande maggioranza dei cittadini greci.

Tanto per cambiare, la Grecia sarà costretta a varare un'altra riforma delle pensioni, a tagliare la spesa pubblica e ad aumentare le tasse. Insomma, le vecchie fallimentari ricette con i soliti effetti collaterali...

Ma anche l'Italia non è in una situazione molto diversa, così come il resto del globo...


Conti pubblici: come prima di Tangentopoli
di Superbonus - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 5 Dicembre 2009

La Grecia non salterà, né arriverà vicina a un default almeno nel breve periodo.

Tuttavia al ministero delle Finanze la mattina si svegliano e guardano con preoccupazione al debito del vicino.

La Grecia ha un rapporto debito/Pil del 110 per cento quest’anno e 120 per cento il prossimo, l’Italia ha un rapporto del 115 per cento e 117,3 per cento il prossimo anno.

E’ vero che la Grecia spende di più dell’Italia ma quando gli investitori hanno iniziato a vendere i titoli greci contemporaneamente hanno venduto anche quelli italiani.

Così negli ultimi giorni l’allarme sul BTP che perdeva terreno in relazione ai titoli di Stato tedeschi ha destato molte preoccupazioni. Tutto rientrato a seguito delle misure fiscali straordinarie annunciate dal governo greco ? Non del tutto.

Gli investitori iniziano a preoccuparsi della dimensione del debito dei singoli Stati e chiedono rendimenti maggiori ai più indebitati.

Approfittando dei tassi tenuti bassi dalla Banca centrale europea Giulio Tremonti ha avuto buon gioco a collocare i titoli del debito italiano che rendevano poco sopra il tasso di riferimento, ma nel 2010 tutti sanno che la musica cambierà e i suonatori non saranno più le Banche centrali e i governi ma gli investitori.

Il governo greco è stato costretto dai mercati a correre ai ripari annunciando misure fiscali e tagli alle spese senza precedenti, il governo italiano corre sul filo di un rasoio di cui solo il ministero delle Finanze sembra avere idea di quanto possa essere tagliente.

Il patto politico vero stipulato fra Berlusconi-Tremonti-Bossi e gli italiani si basa su tre principi fondamentali per gli imprenditori: fate quello che volete in termini fiscali (o evadete pure); per le famiglie a reddito fisso: non aumenteremo le tasse; per un grosso ceto dipendente da spesa pubblica e appalti: non taglieremo le spese improduttive e aumenteremo i grandi lavori pubblici.

In cambio la società italiana lascia libero il presidente del Consiglio e i suoi alleati di perseguire i propri fini. Ma nello scenario greco tutto si inceppa.

O salta lo Stato o salta il patto. Le misure impopolari colpirebbero tutti e farebbero venire alla luce una finanza pubblica fatta di rinvii e condita da un incosciente tiriamo a campare.

Sono in molti in questi giorni a dire che l’Italia di oggi è molto simile a quella che precedette Tangentopoli.

Sono in pochi a ricordare che prima di questa ci fu la crisi del debito pubblico italiano e la svalutazione della lira. A buon intenditor…


GEAB 39 - Crisi sistemica globale - Parte I
da
informazione scorretta - 5 Dicembre 2009

Gli Stati di fronte alle tre scelte brutali del 2010: Inflazione, Forte pressione fiscale o Cessazione dei pagamenti.

Come già anticipato dal LEAP/2020 nel Febbraio scorso, in mancanza di un importante riassetto del sistema monetario internazionale, il mondo sta entrando attualmente nella fase della dislocazione geopolitica mondiale della crisi sistemica globale.

Per l’anno 2010, sul fondo della depressione economica e sociale e dell’accresciuto protezionismo, questa evoluzione sta così condannando la maggioranza degli Stati a scegliere fra tre scelte “brutali” e cioè: l’inflazione, la forte crescita dell’imposizione fiscale o la cessazione dei pagamenti.

Un numero crescente di paesi (USA, Regno Unito, Eurolandia [1], Giappone, Cina [2], avendo già sparato tutte le cartucce in materia di politiche di bilancio e di politiche monetarie nella crisi finanziaria del 2008/2009, non può più in effetti darsi altre alternative.

Tuttavia, per un riflesso ideologico, e per tentare di evitare con tutti i mezzi a loro disposizione delle scelte dolorose, essi nondimeno tentano di lanciare dei nuovi piani di stimolazione economica (spesso sotto altre denominazioni) perfino quando è diventato evidente che i formidabili sforzi pubblici di questi ultimi mesi miranti a rilanciare la crescita economica non saranno affatto recepiti dal settore privato.

In effetti il consumatore, come lo si è conosciuto ed inteso da parecchi decenni a questa parte è praticamente morto, e non esiste alcuna speranza di poterlo resuscitare [3].

Dato che oggi quasi il 30% delle economie dei paesi occidentali è costituito da “zombie economici” – istituzioni finanziarie, imprese, e perfino Stati, la cui sopravvivenza è dovuta soltanto alle massicce e quotidiane iniezioni di liquidità nel sistema effettuate dalle banche centrali, l’ineluttabilità della “ripresa impossibile” [4] è dunque confermata.

Il “si salvi chi può” internazionale e sociale (in seno a ciascun paese) è così programmato, così come l’impoverimento generale dell’Ex Occidente, Stati Uniti in testa. In effetti stiamo assistendo in diretta al fallimento dell’Occidente, con dei dirigenti incapaci d’affrontare la realtà del mondo successiva alla crisi, e che si ostinano a ripetere le ricette del passato per cui tutti possono constatarne l’inefficacia.

In questo GEAB N° 39, il nostro gruppo ha deciso di sviluppare le proprie anticipazioni sull’evoluzione generale dell’anno 2010, il quale sarà caratterizzato da queste scelte da parte degli Stati principali, limitate alle tre scelte brutali che sono l’inflazione, la forte pressione fiscale o la cessazione dei pagamenti, e di tutti i loro vani tentativi per evitare queste scelte dolorose.

Essendo la morte del consumatore, così come l’abbiamo conosciuto per una trentina di anni, una delle cause di questo impasse dei piani di rilancio, analizziamo il fenomeno in questo numero del GEAB così come le conseguenze per le imprese, il marketing e la pubblicità.

In materia geopolitica sviluppiamo altresì in questo GEAB N° 39 le anticipazioni di LEAP/2020 riguardo la Turchia in previsione del 2015, sia nei confronti della NATO che della UE. Resta inteso che presenteremo le nostre raccomandazioni mensili così come i risultati dell’ultimo Global/Eurometre.

Le ricette del passato senza effetto sulla crisi sistemica globale

Le possibilità per gli Stati di sfuggire alle tre scelte brutali si riassumono in due speranze molto semplici: che riprendano o i consumi oppure che gli investimenti privati.

Senza una o l’altra di queste dinamiche positive, gli Stati non avranno altra scelta nel 2010 che quella d’aumentare in maniera significativa le imposte per fronteggiare gli enormi deficit pubblici, lasciare che l’inflazione corra affinché si riduca il peso del loro indebitamento oppure dichiararsi insolventi.

Alcuni fra loro, come gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Irlanda, l’Argentina, la Lettonia e forse anche la Spagna, la Turchia, il Dubai o il Giappone potrebbero dover scegliere di usare le tre opzioni contemporaneamente.

Ora, sul fronte dei consumi come su quello degli investimenti, le tendenze sono molto negative. Il consumatore riceve da tutte le parti pressioni ad economizzare in maniera duratura, a rimborsare i suoi debiti e, più generalmente, a rifiutare (volontariamente o meno) il modello di consumo occidentale di questi ultimi trenta anni [5] che porta la crescita, segnatamente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, a dipendere quasi interamente da lui [6].

Quanto alle imprese, la loro mancanza di visibilità (per essere positive) o le loro previsioni negative provocano una caduta degli investimenti che le restrizioni al credito, organizzate dalle banche, non fanno altro che accentuare [7].

L’investimento pubblico cozza dal suo lato con i propri limiti di bilancio perché i piani di rilancio non potranno essere prolungati o rinnovati in maniera significativa salvo far crescere ancora di più i deficit pubblici e condannarsi, da qui alla fine del 2010, a dovere assumere simultaneamente due delle tre scelte brutali [8].

In effetti gli Stati devono affrontare pressioni crescenti (opinione pubblica, organismi di controllo, operatori privati) [9] per riequilibrare le loro situazioni di bilancio che sono come minimo inquietanti e spesso pericolose. Tanto vale dire subito che gli investimenti pubblici per il periodo 2010/2011 sono condannati a ridursi come una pelle di zigrino (“Zigrino, pelle di grossi pesci, di superficie granulosa e scabra che, conciata, serve a fabbricare scarpe, coperture di borse e di libri…” Qui il riferimento è al fatto che i bilanci 2010/2011 avranno una dimensione molto limitata, per analogia con la pelle di zigrino che, solo dopo la conciatura, aumenta considerevolmente di superficie – NDT).

Per quel che riguarda la domanda esterna, si assiste ad una saturazione completa: tutti vogliono ormai esportare, per trovare il consumatore avido o l’impresa che vuole investire, al loro vicino, e questo a causa della mancanza di domanda interna. Il mito dominante è che l’Asia, e la Cina in particolare, fornirà questo “nuovo consumatore all’occidentale”.

Oltre al fatto che ci saranno molti chiamati e pochi esclusi non cinesi o non asiatici per approfittare del mercato della regione, immaginare che il consumatore (cinese, asiatico) sarà così avido così come quello occidentale, oramai moribondo, vuol dire non fare caso alla natura sistemica della crisi attuale. Eppure L’industria del lusso ed i suoi insuccessi attuali in Asia ne forniscono una buona illustrazione.

E allora che cosa resta?

L’ “economia “zombie” rappresenta oramai una parte considerevole dell’economia mondiale.

Banche centrali che continuano ad approvvigionare i mercati finanziari di liquidità sperando che, ad un dato momento, questo immenso sforzo quantitativo provocherà un salto qualitativo verso l’economia reale. Pretendendo sempre che la crisi non rifletta un problema d’insolvenza generalizzata delle banche, dei consumatori, degli organismi pubblici e di parecchie imprese, in particolar modo negli Stati Uniti, nel Regno Unito, le banche aspettano Godot creando le condizioni per una forte inflazione e per un crollo delle loro rispettive monete nonché delle loro finanze pubbliche.

Stati, che assumendo senza batter ciglio tutte le colpe delle banche e seguendo nondimeno ancora e sempre i consigli dei banchieri, si sono indebitati al principio aldilà di ogni ragionevolezza, poi aldilà del sopportabile, e che oggi si apprestano a tagliare drasticamente le spese pubbliche [10] aumentando fortemente le imposte, in modo da tentare di evitare la bancarotta [11].

“Zombie economici” [12], privati o pubblici, che compongono oramai una parte considerevole delle economie occidentali e cinesi: Stati in corso di cessazione dei pagamenti effettivi (come il Regno Unito o gli Stati Uniti) ma che nessuno tecnicamente dichiara come tali, imprese in fallimento ma che continuano a lavorare come se niente fosse per evitare una disoccupazione ancora più massiccia [13], banche insolventi [14] per le quali si modificano le regole contabili e che si fanno ingrandire per meglio nascondere i loro attivi oramai senza valore, al fine di respingere il più tardi possibile la loro implosione [15].

Mercati finanziari che nutrono i loro rialzi con liquidità graziosamente offerte dalla banche centrali [16] preoccupate di restituire al consumatore/operatore di borsa il sentimento della ricchezza, affinché ricominci a essere se stesso ed a consumare in modo massiccio mentre tutte le categorie di attivi [17], come l’oro per esempio, sono egualmente in rialzo (e spesso in modo molto forte), segno d’una inflazione già ben vigorosa.

Disoccupati che s’accumulano a decine di milioni dentro e fuori le statistiche ufficiali, garanzia di un 2010 socialmente brutale e commercialmente ubicato sotto il segno del protezionismo per la salvaguardia dell’impiego (attraverso le barriere tariffarie, ambientali o sanitarie, o attraverso delle semplici svalutazioni competitive), mentre i governanti si domandano per quanto tempo ancora potranno sostenere il costo globale del risarcimento di questa disoccupazione massiccia, senza alcuna ripresa all’orizzonte [18].


Evoluzione del tasso di disoccupazione in Eurolandia e negli USA (1991 - 2009) – Fonte: Eurostat, Ufficio Statistico del Lavoro, Morgan Stanley







LEAP/2020 aveva già scritto in Febbraio e Marzo 2009 che senza una rielaborazione completa del sistema monetario internazionale prima dell’estate 2009, il mondo si sarebbe orientato ineluttabilmente verso questa situazione di dislocazione geopolitica globale, tipo “una grandissima depressione” a livello planetario, basata sul crollo del pilastro americano del passato.

Ci siamo [19].

Dietro le cifre che, perfino adulterate [20], non riescono più nascondere il deterioramento della situazione economica e sociale mondiale, e la continuazione della discesa agli inferni dell’economia e della società americana, è questa realtà che si profila chiaramente adesso e che diventerà una evidenza per tutti da qui all’inizio del secondo trimestre del 2010.

In questo GEAB N° 39 il nostro gruppo tenta, come ogni mese, d’anticipare queste principali evoluzioni affinché ciascuno, personalmente o nelle sue mansioni, possa prepararsi al meglio al contesto molto difficile del 2010: l’anno dove le ricette del passato mostreranno definitivamente la loro inefficacia per contenere la crisi sistemica globale.


NOTE:

[1] Tra tutte le grandi nazioni solo la Germania di Angela Merkel può ancora farlo e lo farà poiché il cancelliere tedesco ha deciso di mettere in funzione un nuovo piano di rilancio basato su … delle diminuzioni di imposte. Si può difficilmente fare una cosa più ideologica e disconnessa dalla realtà di questa! La Germania si deve dunque attendere da qui alla fine del 2010 un forte peggioramento della sua situazione di bilancio e … a dei forti rialzi delle imposte per tentare di rimediare in qualche modo al tracollo fiscale. Per il nostro gruppo l’accecamento ideologico dei dirigenti occidentali in materia fiscale in questa fine del 2009 non ha paragoni se non con quello dei dirigenti comunisti nei primi mesi del 1989: nessuna comprensione del fatto che le vecchie ricette non funzionano più. E come il “buon comunista” non era più disposto ad obbedire passivamente, oramai il “buon consumatore occidentale” non è più disposto a consumare attivamente. Ma, è vero che nessuno ha mai detto che Angela Merkel, Nikolas Sarkozy o Barack Obama capiscono qualcosa di Economia.

[2] La Cina può ancora dotarsi di un piano di stimolazione economica ma il problema cinese , come gi è stato analizzato da LEAP/2020, sconta la lentezza dell’emergenza di una domanda interna sufficiente per rimediare in qualche modo al crollo delle esportazioni. E, all’occorrenza, nessuno stimolo può “comprare” questo tempo mancante , questo decennio necessario affinché la Cina sviluppi una forte domanda interna. Il 2010 mostrerà questo fatto, una volta che la cortina fumogena, generata dal rialzo stimolato della produzione, si sarà dissipata tutti constateranno che questa produzione non è stata smerciata … per mancanza di acquirenti.

[3] questo video illustra perfettamente e con umorismo il cambiamento radicale del modo di consumo che sta prendendo campo negli Stati Uniti.

[4] vedere GEAB N° 37

[5] sviluppiamo quest’analisi in un altro capitolo di questo GEAB N° °39

[6] Nel 2008 il consumo familiare rappresentava il 70% del PIL americano ed il 64% del Regno Unito contro il 56% in Germania ed il 36% in Cina.

[7] Fonte: MarketWatch, 09/11/2009; IrishTimes, 27/10/2009

[8] Secondo LEAP/2020 l’amara ironia della situazione è che in effetti gli Stati che rifiutano, in questa fine del 2009, d’affrontare frontalmente la prospettiva delle tre scelte brutali, si danno così i mezzi per barcamenarsi al meglio entro le tre, si condannano a dovere affrontare simultaneamente due delle tre da qui alla fine del 2010. È come indietreggiare per saltare peggio.

[9] E così, a causa della sua impopolarità, il “secondo stimolo USA” (che sarà infatti il terzo se ci si ricordasse del piano di riduzione delle imposte di G.W. Bush nel 2008) è in preparazione in forma “non riscontrabile”. Si tratterà di una serie di misure le più disparate che l’amministrazione Obama eviterà di presentare dentro un piano unico in modo da nasconderne la sua vera natura. Nella stessa categoria, si trova anche il “grande prestito” del governo francese che Nikolas Sarkozy tenta di far passare per un investimento di lungo termine ma che Bruxelles reintegrerà nel debito francese come un semplice piano di stimolazione economica a breve termine. Delle politiche inefficaci prese le si passano così a delle politiche inefficaci nascoste … che grande vittoria sulla crisi! Fonte: TheKatyCapsule, 22/10/2009

[10] L’OCSE è chiara su questo punto: per uscirne, i paesi occidentali devono tagliare vigorosamente tutte le spese per l’istruzione, la sanità, i programmi sociali, … l’Irlanda, modello tra i modelli di questi stessi OCSE, UE o FMI appena due anni fa, s’appresta a dare l’esempio: prima nella frenesia consumatrice ultra-liberale, prima nell’austerità ultra-liberale. Non c’è da meravigliarsi che delle massicce manifestazioni abbiano invaso le strade delle grandi città del paese. Fonte: FinancialTimes, 22/09/2009; RTENews, 06/11/2009

[11] Fonte: EUObserver, 10/11/2009

[12] È interessante leggere la definizione molto dettagliata dell’”economia zombie” proposta da PA Consulting Group il 10/11/2009.

[13] Occorre in effetti andare oggi a passeggiare per le strade delle grandi città del Nord America o dell’Europa per constatare che molte insegne continuano a brillare per attirare l’acquirente, ma che esse non sono altro che apparenza ingannatrice d’imprese in fallimento mantenute artificialmente in vita a colpi di denaro pubblico o di ristrutturazioni dall’avvenire incerto come per CIT, GM, Chrysler, Saab, Opel, Karstad, Quelle, Iberia, Alitalia, … In apparenza tutto si muove come fosse normale, ma in materia di salute economica, è una malattia che colpisce sempre più profondamente tutto il tessuto delle imprese, popolate di veri zombies. In Cina, gli zombies sono le fabbriche che girano senza clienti grazie alle sovvenzioni di Stato. Tutti questi “morti economici che vivono” rappresentano il passaggio progressivo nell’economia reale da 20.000 a 30.000 miliardi di Dollari d’attivi fantasma analizzati nei GEAB precedenti.

[14] Fonte: Bloomberg, 02/11/2009

[15] il termine “Banca Zombie” ha oramai la sua definizione in Wikipedia.

[16] Fonte Financial Times , 22/10/2009

[17] Escluso l’immobiliare

[18] Poco più di 324.000 Dollari per ogni impiego creato (secondo le cifre della Casa Bianca), ci si può domandare in effetti per quanto tempo ancora queste politiche inefficaci potranno essere perseguite. Fonte: Global Economic Trend Analysis , 31/10/2009


GEAB 39 - Crisi sistemica globale - II parte
da informazione scorretta - 7 Dicembre 2009

La fine del consumatore come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni

Il consumatore americano, incarnazione del Sogno Americano dai tempi di Ford, è deceduto.

Ma anche il consumatore occidentale (fuori dagli USA) come lo conosciamo negli ultimi 30 anni si sta consumando.

Oltre a questo, LEAP / E2020 ritiene che sarebbe sbagliato pensare che gli asiatici e i latinoamericani rimpiazzeranno queste "macchine da consumo".

La nuova povertà del consumatore americano

Riguardo gli USA, per più di 2 anni, il nostro team ha anticipato i cambiamenti in corso considerati come il problema della insolvenza generalizzata del consumatore americano. Già alla fine del 2006, avevamo detto che il potere d'acquisto delle famiglie americane sarebbe stato dimezzato dal processo della crisi sistemica globale.

Secondo i trend economici in corso negli USA, e visto il disperato e vano tentativo di far ripartire il consumo delle famiglie, questo è esattamente quanto sta accadendo al di là dell'atlantico: il consumatore americano è defunto perchè non ha più soldi e non avrà più quelli che ha avuto negli ultimi decenni.

Punto, fine.

Nel frattempo, l'irresistibile ascesa della disoccupazione (presto al 20% della popolazione attiva, senza riduzioni significative nei prossimi 10 anni) fornisce le condizioni per un impoverimento generalizzato della maggior parte delle famiglie americane.

Nuova multipolarità del consumatore occidentale

In Giappone, molte nazioni di Eurolandia e Canda, il prossimo decennio potrebbe essere marcato da un relativo impoverimento se comparate all'Asia in particolare (ma anche paragonate all'america latina), comunque non ci sarà un totale crollo del potere d'acquisto della famiglia media.

In queste nazioni, due eventi alternativi giocheranno un ruolo principale: la generazione dei baby boomers sarà rimpiazzata dalle prossime generazioni, e le generazioni non occidentali inizieranno ad influenzare il processo di consumo e le interazioni economiche:

  • le generazioni europee, giapponesi, canadesi , ... nate dopo gli anni 60 e 70 inieranno ora a battere il ritmo, sapendo che sono molto più eterogenei della relativamente monolitica generazione dei baby boomer. Di conseguenza, i consumatorI, anziche' IL consumatore, incarneranno queste generazioni. Naturalmente questi trend sono già in corso e la crisi è un catalizzatore, un acceleratore.
  • le generazioni non occidentali, tipicamente asiatiche e latinoamericane, sono ora all'origine dei nuovi trend di consumo e delle nuove interazioni tra consumo, risparmio e investimento, molto diverse da quando praticamente un solo tipo di comportamente, quello americano, determinava tutti gli altri.
Il consumatore tornerà ad essere un pagatore di tasse

La crisi avrà un altro effetto, particolarmente destabilizzante, sul consumatore occidentale.

Al di là dell'impoverimento reale, più o meno rilevante a seconda della nazioni, diventerà (di nuovo) un pagatore di tasse, sapendo che la situazione si ridurrà nella stessa proporzione la sua natura di "consumatore".

Secondo il nostro team, entro la fine del 2010 la maggior parte delle nazioni occidentali dovranno aumentare le tasse in modo significativo per evitare il falimento delle finanze pubbliche.

Tutti i discorsi attuali ed i progetti di stabilizzare o abbassare le tasse dureranno tanto quanto possono durare le promesse che non si possono mantenere, suggerite dalla codardaggine politica e/o cieca ideologia: molto poco.

Nonostante questo, gli stati torneranno a mettere le mani nelle tasche dei cittadini.

In un contesto di recessione o stagnazione economica, le conseguenze saranno immediate e brutali: il consumo delle famiglie si ridurrà nella stessa proporzione.

Uscire dalla crisi: in collisione con la realtà, stato reale delle cose alla fine del 2009

Gli USA, UK, o anche il Giappone, che tentano di evitare il default, o la Francia e la Germania lasciate senza altra scelta che alzare le tasse entro la fine del 2010, in ogni caso, nel 2010, quando l'inflazione colpirà i beni di prima necessità e gli asset speculativi, le politiche anti crisi e la realtà della crisi sistemica globale entreranno in collisione.

Negli USA la situazione econmica e sociale contrinua a deteriorarsi

La disoccupazione ha raggiunto il 10% [...] ma è in realtà sopra al 17%.
Nel frattempo, i salari hanno visto il peggior declino negli ultimi 18 anni.

Il mercato immobiliare puo' sopravvivere solo grazie all'enorme supporto pubblico (85% dei nuovi prestiti sono assicurati dallo stato, il governo federale offre 8000 USD per ogni nuovo acquirente, la Fed contribuisce con ogni mezzo, incluso il tasso zero).

In ogni caso, le foreclosure continuano a crescere al ritmo di più di 300.000 ogni mese per l'ottavo mese a fila, mentre le banche accumulano grandi quantità di proprietà che non osano mettere sul mercato per paura di far crollare il mercato immobiliare.

I default aziendali stanno crescendo, colpendo soprattutto la piccola e media impresa, e molte banche regionali falliscono ogni settimana . Anche le famiglie sono colpite da questo trend.

I servizi pubblici si stanno contraendo, gli stati e le amminiztrazioni municipali devono lasciare a casa persone o semplicemente fermare servizi sociali e di amministrazione.

La caduta senza fine del dollaro, che secondo il nostro team non si fermerà molto presto, hoh è riuscita a ottenere una equivalente riduzione del deficit commerciale; inoltre, ora contribuisce alla spinta inflattiva (prezzi dell'energia in particolare).

La rivalutazione dello Yuan sarà impossibile da portare avanti al ritmo blando inizialmente pianificato da Pechino, ora costrettta a rivalutare nel 2010/2011, il che contribuisce ad alimentare l'inflazione negli USA.

Inoltre, l'effetto combinato della caduta della moneta americana e della contrazione economica nel 2009 provoca meccanicamente una forte riduzione del peso economico degli USA nel mondo.

Calcolato in Euro o in Yen, il PIL americano è già sceso dal 15% al 20% rispetto al 2008. In un mondo dove la supremazia del dollaro è ora pubblicamente sfidata, questo tipo di calcoli iniziano a diventare molto rilevanti.

Per concludere, in un momento in cui gli esperti dichiarano che il picco dei piani di stimolo all'economia dovrebbe rivelare il massimo impatto, il nostro team stima che in realtà ha solo marginalmente fermato il crollo dell'economia americana.

Negli USA, l'anno 2010 sarà sotto il segno dell'inflazione crescente dei beni di prima necessità (cibo ed energia in particolare) ed il bruciante dilemma di aumentare le tasse o fare praticamente deafult.

Eurolandia, aumento delle tasse nel 2010

In Europa, ci focalizziamo su Eurolandia. In realtà abbiamo già estensivamente descritto la situazione inglese nelle edizioni precedente e, a questo punto, puo' essere riassunta con il fatto che è una situazione ancora peggiore degli USA e che Londra sarà la destinazione ideale per lo shopping di Natale grazie ad una Sterlina al collasso.

Nell'Eurozona, la situazione è ancora diversa tra nazioni come Irlanda e Spagna da una parte, e Germania e Francia (naturalmente....! il think tank europe2020 dimostra come sempre la sua natura mitteleuropea, NDFC) dall'altra.

Comunque, LEAP/E2020 stima che l'Eurozona sperimenterà una forte "febbre da tasse" durante la seconda metà del 2010. Spagna e Irlanda hanno già iniziato.

Francia e Germania stanno posponendo il momento più possibile, ma il rapido deterioramento della loro situazione fiscale non lascia loro alcuna scelta.


«È stato di polizia», e scoppia la rivolta
di Stefano Liberti - Il Manifesto - 8 Dicembre 2009

Il Pasok mostra il suo volto duro: decine di feriti e fermi preventivi per arginare la rabbia delle nuove generazioni che ritengono non sia cambiato nulla dalla fine della dittatura

Il ragazzo raccatta una pietra, la solleva e la lancia contro i poliziotti schierati a una ventina di metri. «Porci sbirri, andatevene! - grida con rabbia - Questa è per Alexis». Andreas ha sedici anni appena compiuti, l'età che avrebbe oggi Alexandrous Grigoropoulos se non fosse stato ucciso da un poliziotto esattamente un anno fa. Intorno, con i volti coperti, decine di suoi coetanei scaricano improperi e sassaiole contro «la polizia assassina» e lo «stato fascista».

La generazione dei quindicenni, anima della rivolta che l'anno scorso aveva messo a ferro e fuoco la capitale greca per tre settimane in seguito alla morte di Alexis, è tornata in piazza ieri e domenica, per commemorare l'anniversario di quel giorno maledetto. Insieme a loro, migliaia di giovani e meno giovani, movimenti anarchici, membri dei partiti di sinistra (soprattutto della coalizione Syriza), insegnanti e lavoratori della scuola.

Due manifestazioni tesissime, segnate da tafferugli, lanci di lacrimogeni come se piovesse, qualche vetrina rotta, cassonetti bruciati, decine di feriti (almeno venti, fra cui sedici poliziotti) e centinaia di arresti. Un bilancio tutto sommato neanche troppo alto, soprattutto se si considerano le premesse iniziali.

È infatti una città letteralmente militarizzata quella che accoglie i manifestanti: fin da giovedì, 10mila poliziotti sono minacciosamente schierati in tenuta anti-sommossa a presidiare le strade, collocati strategicamente nella zona dell'università e poco più in alto a Exarchia, il quartiere «caldo» dove è stato ucciso Alexis.

L'ordine è imperativo: «Non lasceremo che i vandali mettano a sacco Atene», ha dichiarato pubblicamente Michalis Chrisochoidis, il ministro per la «sicurezza del cittadino» (come è stato ribattezzato dal nuovo governo socialista del Pasok l'ex «ministero dell'ordine pubblico»).

E così è stato: il nuovo governo ha deciso di mostrare il volto duro. Ha dato ordine alla polizia di rispondere alle provocazioni e, soprattutto, ha disposto l'arresto di centinaia di presunti manifestanti facinorosi come misura preventiva. Più di quattrocento persone sono state fermate non solo nella capitale, ma anche a Salonicco, Patrasso, Ioannina e Creta. Fra questi i cinque italiani - quattro uomini e una donna - bloccati sabato sera a Exarchia con cappucci e bastoni.

Negozi chiusi, strade bloccate, distribuzione di sciarpe e maschere anti-gas, la zona centrale di Atene sembra fin dall'inizio il terreno di combattimento di un'imminente battaglia campale. Da una parte i manifestanti, dotati delle arance amare che punteggiano gli alberi lungo i viali, di sassi e di qualche bottiglia molotov.

Dall'altra i poliziotti, armati di scudi, manganelli e grandi quantità di lacrimogeni. La lotta si annuncia da subito senza esclusione di colpi. Perché la manifestazione di fatto è «contro la polizia», contro quei «porci sbirri» che solo un anno fa hanno assassinato Alexis. I poliziotti non sono il bersaglio più vicino per colpire altri obiettivi più lontani, come il governo. Sono il nemico principale. La loro presenza vistosa ed evidente è vista come una provocazione.

L'ostentazione delle loro armi irrita la gente in piazza, la loro vicinanza è motivo di continui insulti. Il «porci sbirri andatevene» riecheggia senza sosta. Partono le sassaiole. I lacrimogeni cominciano a volare ancora prima che i manifestanti si mettano in marcia e punteggiano tutti e due i cortei, che vengono spezzati a più riprese, per poi velocemente ricompattarsi.

I giovani in piazza non si lasciano intimidire e fa davvero impressione vedere ragazzi di quindici-sedici anni destreggiarsi così bene con le tecniche della guerriglia urbana, armati di sassi, molotov, mascherine e boccette di malox contro i lacrimogeni.

La rabbia è palpabile, sia nei cortei che in alto a Exarchia, l'area diventata di fatto il fulcro della protesta. L'ingresso dei poliziotti in massa nel quartiere negli ultimi giorni è considerato l'ultima provocazione del ministro Chrisochoidis. «La Grecia è uno stato di polizia. Non è cambiato niente dalla fine della dittatura», tuona Panos, un manifestante cinquantenne che dice di scendere in piazza «per il mio diritto a bere una birra senza che mi sparino addosso».
Ma fuori da Exarchia e dal Politecnico occupato, la musica è diversa.

Quasi tutti i media plaudono al governo che è riuscito a controllare la protesta e ha evitato che la situazione degenerasse come l'anno passato. Le televisioni e i giornali si concentrano sul ferimento del rettore dell'università, colpito mentre cercava di fronteggiare un gruppo di giovani che voleva occupare la facoltà di lettere. Gli organi di stampa lo danno colpito da un infarto e definiscono le sue condizioni gravi.

I manifestanti postano su indymedia una foto in cui si vede il rettore lasciare l'università sulle proprie gambe e accusano i giornalisti di non menzionare nemmeno il caso di una donna investita da un poliziotto in moto.

Al di là di questi episodi, l'impressione è che la solidarietà che aveva segnato i moti del dicembre del 2008 sia evaporata. Sembra che la maggioranza della popolazione greca assista, impassibile se non con un po' di fastidio, alle manifestazioni che commemorano l'anniversario della morte del giovane Grigoropoulos.

La crisi economica che morde, la disoccupazione a due cifre, i salari da fame, le prevaricazioni della polizia non sono motivo di mobilitazione popolare. Al contrario, spingono la gente a guardare avanti e a sperare nelle politiche del nuovo governo socialista.

Il Pasok può incassare anche questa vittoria, dopo quella elettorale del 4 ottobre, e affrontare ora il principale problema del paese: il deficit e la minaccia di default. Andreas e i suoi compagni possono continuare a lanciare le loro pietre, ma il timore è che cadranno nel vuoto.