domenica 20 dicembre 2009

Iraq: arrembaggio ai pozzi petroliferi, ma per le compagnie Usa solo le briciole

E' ormai cominciato ufficialmente l'arrembaggio ai pozzi petroliferi iracheni, con lo svolgimento dei due round di concessioni dei diritti di esplorazione. E le compagnie petrolifere Usa non hanno affatto recitato la parte da leone nell'aggiudicarsi le concessioni, anzi.

Ma mentre si assegnano le concessioni, due giorni fa il governo iracheno ha denunciato l'ingresso di truppe iraniane in Iraq, dove avrebbero trascorso alcune ore nel campo petrolifero di Fakka - nella provincia sciita di Maysan lungo una frontiera contesa tra i due Paesi.

I pozzi del campo di Fakka, a est della città di Amara, hanno riserve pari a un milione e mezzo di barili e a giugno erano stati messi all'asta ma non avevano trovato acquirenti tra le major petrolifere.

Secondo alcune tv locali i soldati iraniani avrebbero anche issato una bandiera dell'Iran su un pozzo, ma da Teheran è arrivata dapprima una secca smentita e poi una conferma. Oggi comunque sembra che i militari e i tecnici iraniani si siano già ritirati dal pozzo occupato.

Intanto sempre oggi un attentato ha colpito l'oleodotto dell'Iraq del nord che parte da Kirkuk e arriva fino al Ceyhan, città turca sul Mediterraneo, con conseguente blocco delle esportazioni di petrolio iracheno, secondo quanto ha dichiarato il portavoce del ministero del Petrolio di Baghdad, Assem Jihad.

Nel frattempo arriva una "curiosa" notizia dal fronte iracheno: ci sarà la corte marziale per le soldatesse americane che resteranno incinta e la stessa sorte toccherà ai commilitoni responsabili della gravidanza, anche se fossero i mariti.

Un evidente giro di vite sulle "diserzioni"....


Iraq, Iran e il pozzo di petrolio conteso
da www.osservatorioiraq.it - 19 Dicembre 2009

L’unica cosa certa è che non si capisce niente. Dopo l’occupazione di un pozzo petrolifero in territorio iracheno da parte di truppe iraniane avvenuta ieri, in una zona al confine fra i due Paesi, le informazioni continuano a rincorrersi, fra conferme e smentite.

Di nuovo c’è che Tehran, che fino a ieri negava che l’incidente fosse avvenuto, oggi ha ammesso che sì, i suoi soldati si sono impadroniti di un pozzo nel giacimento di Fakka, che si trova nella provincia di Maysan, nel sud-est dell’Iraq.

E che le autorità di Baghdad hanno reagito – già da ieri, chiedendo agli iraniani di ritirare le loro forze “immediatamente” dalla zona, come annunciato in diretta televisiva dal portavoce governativo Ali al Dabbagh, all’emittente satellitare panaraba al Arabiya.

E oggi hanno inviato loro truppe nella zona occupata.

Gli iraniani però non ci sentono. Sostengono di non avere violato la sovranità dell’Iraq, in quanto, secondo un accordo in materia di confini che risale al 1975, il pozzo occupato si troverebbe in territorio iraniano.

“Le nostre forze sono sul nostro territorio, e, sulla base dei confini internazionali noti, questo pozzo appartiene all’Iran”, dice un comunicato delle forze armate diffuso oggi da Tehran, attraverso al Alam – canale televisivo satellitare iraniano in lingua araba.

Secondo fonti irachene, Baghdad avrebbe inviato rinforzi di esercito e polizia in una zona che dista circa un chilometro dal pozzo petrolifero occupato. Fonti che hanno chiesto di restare anonime, in quanto non autorizzate a discutere la questione con la stampa.

I soldati di Tehran, hanno riferito, se ne sarebbero andati in serata, dopo un vai e vieni durato per l’intera giornata di oggi, lasciando la bandiera iraniana che avevano issato sul pozzo.

Di più non si riesce a sapere, dato che le forze di sicurezza irachene hanno impedito ai giornalisti di avvicinarsi alla zona dell’incidente.

A Baghdad ieri c’è stata una riunione di emergenza del Consiglio per la sicurezza nazionale, presieduta dal Primo Ministro Nuri al Maliki.

Mentre gli americani elogiavano la reazione misurata del governo iracheno, l’ambasciatore iraniano in Iraq, Hasan Kazemi Qomi, ha detto che utilizzerà “meccanismi tecnici e diplomatici” per smorzare le tensioni.

Da Tehran, un portavoce del ministero degli Esteri ha accusato la stampa straniera di cercare di “turbare i buoni rapporti” fra Iran e Iraq.


Iraq, la divisione dei beni
di Michele Paris - Altrenotizie - 20 Dicembre 2009

Le grandi assenti dall’asta che la settimana scorsa ha assegnato i diritti di esplorazione di numerosi pozzi petroliferi in Iraq sono state, inaspettatamente, le compagnie petrolifere americane.

Le concessioni rilasciate dal ministero del Petrolio di Baghdad hanno premiato in particolare aziende europee e asiatiche, spesso riunite in joint ventures, molte delle quali hanno accettato condizioni imposte dal governo iracheno - e per loro relativamente poco vantaggiose - che avevano rifiutato solo pochi mesi fa.

Così che dei dieci giacimenti aggiudicati nel 2009, appena due vedranno compagnie americane impegnate nelle operazioni di sfruttamento ed una sola svolgerà un ruolo di primo piano.

A farla da padrone è stata la compagnia pubblica malese Petronas, la quale ha conquistato i diritti per tre giacimenti, seguita dall’angolana Sonangol con due. Tra le altre, hanno ottenuto concessioni anche China National Petroleum Company (CNPC), le russe Lukoil e Gazprom, e le europee Shell (Olanda), Total (Francia), Statoil (Norvegia), British Petroleum e l’italiana ENI.

Su dieci contratti siglati, ben sette sono stati conclusi da consorzi di più aziende, mentre per cinque pozzi situati nel centro e nel nord del paese, dove le condizioni di sicurezza rimangono precarie, non si è registrato alcun offerente.

Le sette compagnie statunitensi presenti alla più recente asta per il petrolio iracheno sono tutte uscite a mani vuote, mentre le sole ExxonMobil e la californiana Occidental Petroleum avevano lanciato offerte andate a buon fine in un’asta tenuta in precedenza. Vani sono stati anche i tentativi di Chevron e della texana ConocoPhilips, nonostante entrambe avessero coltivato rapporti molto stretti con il ministero del Petrolio iracheno negli ultimi anni.

Sintomatico, secondo alcuni, dell’influenza di Washington in declino su scala internazionale, il fallimento delle compagnie americane è dovuto ad una combinazione di fattori. Non da ultima la necessità di dover sostenere costi legati alla sicurezza in misura maggiore rispetto ai concorrenti di diversa provenienza, a causa della profonda ostilità diffusa in Iraq nei confronti della potenza occupante.

Impianti americani in territorio iracheno rappresenterebbero, infatti, un bersaglio facilmente attaccabile da parte delle forze ribelli ancora operanti nel paese. Le offerte americane, inoltre, sono risultate meno competitive rispetto a quelle presentate dalle alleanze euro-asiatiche, in grado di combinare le necessarie competenze tecnologiche a costi di manodopera più contenuti.

Per ironia della sorte, dunque, la promessa di sfruttamento delle enormi riserve di petrolio dell’Iraq, che ha rappresentato uno dei motivi principali della stessa invasione del 2003, è sembrata svanire per le compagnie americane. Le quali, innegabilmente, attendevano con ansia di poter tornare ad operare nel paese dopo che nel 1972, assieme alle altre multinazionali straniere, erano state cacciate in seguito alla nazionalizzazione delle riserve petrolifere voluta dal regime baathista.

Nel tentativo disperato di incrementare le entrate provenienti dall’estrazione del petrolio, l’Iraq si trova ora di fronte alla necessità di modernizzare un sistema di infrastrutture reso obsoleto da decenni di guerre e sanzioni economiche. Secondo il ministro del Petrolio, Hussein Shahristani, il governo iracheno avrebbe già sborsato più di 8 miliardi di dollari per aumentare una capacità estrattiva che a tutt’oggi rimane però attestata attorno ai due milioni di barili al giorno.

Una quantità inferiore anche rispetto agli anni precedenti l’invasione americana. Per raccogliere i 50 miliardi necessari a diventare uno dei principali paesi produttori di petrolio e a portare la produzione a 12 milioni di barili entro il 2016, è stato allora necessario fare affidamento sulle compagnie straniere.

Le concessioni finora offerte dal ministero del Petrolio di Baghdad sono relative a riserve di quasi 40 miliardi di barili, vale a dire poco meno di un terzo di quelle stimate complessivamente nel paese (115 miliardi). Tali cifre collocano l’Iraq al terzo posto nel mondo per quantità di petrolio ancora da estrarre, dopo Iran e Arabia Saudita.

I giacimenti petroliferi iracheni sono stati in realtà individuati almeno venticinque anni fa, ma da allora le sanzioni internazionali ne hanno, di fatto, impedito lo sfruttamento, congelando l’afflusso dei capitali necessari.

Resistendo alle pressioni americane, nell’assegnazione dei diritti di estrazione, le autorità irachene sono riuscite ad evitare la stipula di contratti troppo favorevoli alle compagnie petrolifere. La condivisione dei profitti derivanti dalla produzione del petrolio, infatti, è stata scartata a beneficio di un compenso fisso da corrispondere alle stesse compagnie per ogni barile estratto.

Secondo i contratti ventennali siglati a Baghdad, le aziende appaltatrici hanno accettato somme che variano tra 1,35 e 1,50 dollari per ogni barile di petrolio, così che qualsiasi eventuale aumento del prezzo del greggio nel prossimo futuro andrà a beneficio delle casse del governo iracheno.

L’interesse maggiore nelle aste per la concessione dei diritti di sfruttamento era rivolto ai giacimenti presenti nel sud del paese, attorno alla città di Bassora. Qui si trova il giacimento di Az Zubayr, che dispone di riserve stimate tra i 4 e i 6 miliardi di barili e verrà sondato da una joint venture formata da ENI, Occidental Petroleum e Korea Gas.

Ugualmente nel sud del paese, nei pressi del confine con l’Iran, è situato anche il più consistente giacimento iracheno, quello di Majnoon. Ad ottenere i diritti sui 12,58 miliardi di barili stimati sono state Shell e Petronas. Il secondo pozzo potenzialmente più produttivo del paese, West Qurna (12 miliardi di barili), è andato invece ad un consorzio guidato dalla russa Lukoil.

I contratti chiusi dalle multinazionali di mezzo mondo con il governo iracheno poggiano in ogni caso su fondamenta legali piuttosto incerte. Il Parlamento di Baghdad, infatti, non è ancora stato in grado di approvare regole trasparenti per l’industria petrolifera sul proprio territorio, né di fornire adeguate protezioni legali agli investitori esteri.

Ad aprire la strada alle multinazionali in Iraq era stato il governo regionale curdo nel nord del paese. A due anni distanza, nonostante le carenze legislative, il governo centrale ha intrapreso ora la stessa strada, spinto dalla necessità di dare un impulso ad un settore che genera da solo il 90% delle entrate del paese.


Inizia l'iter per i contratti petroliferi del secondo round

da www.osservatorioiraq.it - 19 Dicembre 2009

Saranno firmati a partire da domani gli accordi preliminari relativi al secondo round di gare petrolifere che si è concluso da poco in Iraq.

L’informazione arriva dal portavoce del ministero del Petrolio, Asim Jihad, che oggi ha comunicato il calendario, aggiungendo che i contratti con le compagnie internazionali – sette in tutto - saranno sottoposti al Consiglio dei ministri per l’approvazione finale.

Si parte domani, domenica 20 dicembre, con il consorzio che vede come capofila la Royal Dutch-Shell (con il 60 %) assieme alla malese Petronas (40 %): il giacimento è quello di Majnun – uno dei cosiddetti “super giganti”, con riserve stimate in 12,6 miliardi di barili.

Lunedì 21 dicembre sarà di nuovo la Petronas, in partnership con la giapponese Japex, a firmare un pre-contratto per Gharraf (riserve stimate in 863 milioni di barili): le quote delle due compagnie sono rispettivamente il 60% e il 40 per cento.

Martedì 22 dicembre è la volta del consorzio guidato dai cinesi di CNPC (con una quota del 50 %), di cui fanno parte anche la francese Total (25 %) e ancora la Petronas (25 %). Il pre-contratto riguarda il giacimento di Halfaya, le cui riserve sono stimate in circa 4 miliardi di barili.

Giovedì 24 dicembre arrivano i russi di Gazprom, che con una quota del 40 % sono capofila di un consorzio con la turca TPAO (al 10 %), la sudcoreana Kogas (30 %), e di nuovo la Petronas (20 %) – consorzio che si è aggiudicato Badra, le cui riserve, secondo le stime, ammontano a circa 100 milioni di barili. A detta di Gazprom, sarebbero molti di più .

Qualche giorno di pausa e siamo al 29 dicembre – quando la russa LUKOIL, a capo di un consorzio in cui detiene l’85%, firmerà l’accordo preliminare per West Qurna 2: il maggiore dei giacimenti offerti nel secondo round di gare, con riserve stimate in quasi 13 miliardi di barili. I partner sono i norvegesi di StatoilHydro, che hanno una quota del 15 per cento.

Si chiude il 30 dicembre, con l’Angola. La Sonangol di contratti ne firmerà due: per Najma e Qayarah – due giacimenti le cui riserve sono stimate rispettivamente in 858 e 807 milioni di barili.


Le compagnie Usa restano indietro nella corsa al petrolio iracheno

di Ernesto Londoño - The Washington Post - 13 Dicembre 2009

Nell’asta che in questo fine settimana ha aggiudicato i più importanti contratti petroliferi degli ultimi anni in Iraq le compagnie americane hanno avuto un ruolo inaspettatamente marginale – riferisce il corrispondente Ernesto Londoño

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Le compagnie cinesi, russe, ed europee si sono aggiudicate il diritto, in questo fine settimana, a sviluppare importanti giacimenti petroliferi in Iraq, mentre le società statunitensi hanno fatto una magra figura alle aste irachene che hanno rappresentato la prima grande incursione delle compagnie petrolifere straniere nel paese negli ultimi quattro decenni.

Le compagnie, che si sono assicurate 10 contratti nelle aste tenutesi questo fine settimana e nel mese di giugno, si preparano a ricavare profumati guadagni, ma la loro è una scommessa rischiosa.

L’Iraq possiede la terza riserva accertata di greggio al mondo, ma il Paese resta pericolosamente instabile, soffre di una cronica corruzione, e di una politica litigiosa che ha impedito l’approvazione di nuove leggi per regolamentare il settore.

Delle sette compagnie statunitensi che si erano registrate alle aste, solo una è emersa come il principale partner in un consorzio che ha vinto un contratto. Un’altra impresa statunitense ha una quota di minoranza in un altro contratto.

La compagnia petrolifera cinese di proprietà statale ha un’importante quota in due contratti. Le imprese russe sono parti contraenti in altri due.

Le imprese europee hanno dato una dimostrazione di forza. La Royal Dutch Shell, l’italiana ENI, la British Petroleum, e la Statoil norvegese hanno tutte ottenuto dei contratti.

Compagnie della Malaysia e dell’Angola hanno fatto parte di cinque offerte vincenti.

Gli analisti petroliferi dicono che il risultato è stato sorprendente, considerando che le compagnie petrolifere statunitensi da lungo tempo desideravano lavorare in Iraq.

Gli analisti dicono che è paradossale che le imprese statunitensi non sembrino preparate a trarre profitto dalle conseguenze di una guerra che molti, negli Stati Uniti e in Medio Oriente, ritenevano fosse motivata dal desiderio di sfruttare le riserve petrolifere irachene.

Dopo l’invasione, gli Stati Uniti hanno pagato alcuni dirigenti del settore petrolifero come consulenti del ministero del Petrolio iracheno, e hanno creato una grande task force militare e civile per promuovere il settore energetico iracheno in difficoltà.

“I dirigenti petroliferi americani fornivano formazione gratuita al ministero”, ha affermato Ben Lando, direttore degli uffici di Iraq Oil Report, un servizio di notizie economiche. “E’ abbastanza strano che, dopo aver desiderato un accesso al petrolio iracheno per così tanto tempo, le imprese statunitensi siano rimaste in disparte”.

Le preoccupazioni per la sicurezza, come sottolineato dagli attentati coordinati di martedì scorso, e la minaccia dell’instabilità politica a seguito del ritiro militare statunitense, probabilmente hanno fatto riflettere i dirigenti petroliferi americani – dicono gli analisti.

In alcuni casi, le compagnie statunitensi si sono trovate in una posizione svantaggiosa, perché le loro rivali, in particolare cinesi e russe, hanno costi di manodopera più bassi e non devono rispondere ai loro azionisti, cosa che potrebbe permettere loro di prendere più rischi.

“Le compagnie degli Stati Uniti riferiscono ai loro azionisti, non all’opinione pubblica”, ha replicato Ruba Husari, responsabile di Iraq Oil Forum, un altro sito di notizie economiche. Tuttavia, ha detto, “il loro basso profilo desta interesse”, tenuto conto che le aste sono ampiamente viste come l’ultima occasione importante per le compagnie petrolifere internazionali che vogliono fare affari in Iraq nei prossimi anni.

L’ambasciatore americano Christopher R. Hill ha definito l’apertura del settore petrolifero iracheno agli investimenti stranieri un risultato che ha un “significato storico”, e ha detto di essere incoraggiato dal modo trasparente in cui è stato gestito il processo.

Hill ha detto che l’ambasciata aveva fornito una consulenza alle società statunitensi mentre soppesavano i pro e i contro di fare affari in Iraq, come fanno i diplomatici di tutto il mondo.

“Non mi trovo nella posizione di poter esprimere delusione”, ha detto a proposito della performance delle compagnie americane alle aste. “Hanno dovuto prendere una decisione sulla base di quello che erano disposte a pagare”.

La Exxon Mobil è stata l’unica società americana che ha guidato un consorzio vincente. La Occidental Petroleum Inc., con sede a Los Angeles, ha ottenuto una quota di circa il 25% in un altro contratto.

La Chinese National Petroleum Corp., di proprietà statale, ha gareggiato per un numero di contratti maggiore di qualsiasi altra società.

In netto contrasto con gli americani, i diplomatici cinesi a Baghdad hanno mantenuto un basso profilo in questi ultimi anni, lavorando in un albergo e attirando poca attenzione. Ma i funzionari iracheni dicono di essere rimasti colpiti dalla qualità dei diplomatici cinesi, molti dei quali parlano l’arabo in maniera impeccabile e hanno sviluppato una raffinata comprensione della politica irachena.

“Sappiamo tutti che la Cina è sulla buona strada per diventare una grande potenza economica e tecnologica”, ha detto Asim Jihad, un portavoce del ministero del Petrolio.

In base a contratti ventennali, il governo iracheno pagherà una determinata quota alle compagnie per ogni barile prodotto al di sopra dell’attuale livello di produzione in ciascun campo di estrazione.

Inoltre, i contratti pongono le compagnie in una buona posizione per svolgere ruoli importanti in Iraq se il governo dovesse allentare le restrizioni agli investimenti stranieri. I contratti assegnati alle aste sono contratti di servizio, che non danno alle compagnie una quota sugli utili.

L’asta di questo fine settimana ha avuto molto più successo di quella di giugno, quando il ministero assegnò un solo contratto dei 10 che componevano l’asta. Due altre offerte di tale asta erano state assegnate in seguito.

Sui 10 campi di estrazione messi all’asta al secondo turno, il ministero ha assegnato sette contratti.

Le entrate petrolifere dell’Iraq, che costituiscono la spina dorsale della sua economia, si sono mantenute al di sotto degli obiettivi, quest’anno, a causa dei prezzi più bassi e del minore volume delle esportazioni. I funzionari iracheni sperano che i campi ripristinati possano arrivare a pompare ben 11 milioni di barili al giorno in otto anni. Il Paese attualmente produce 2,4 milioni di barili al giorno.

La controversia sul federalismo tra i politici di Baghdad e i loro omologhi del governo della regione autonoma kurda, nel nord dell’Iraq, è una delle maggiori sfide che le compagnie petrolifere che si apprestano a entrare in Iraq probabilmente dovranno affrontare.

Il presidente della Commissione del petrolio e del gas nel parlamento iracheno – un kurdo – ha messo in guardia i dirigenti delle compagnie, affermando che i contratti sono illegali. Ali Hussein Balu (questo è il nome del presidente della commissione) ha chiesto le dimissioni del ministro del Petrolio Hussain Shahristani.

“Queste società dovrebbero pensarci due volte prima di firmare i contratti”, ha detto il parlamentare.

Nel frattempo, gli accordi che i kurdi hanno firmato con le società straniere per i campi di estrazione nel nord dell’Iraq sono stati presi di mira dal governo di Baghdad, che ha vietato a queste compagnie di partecipare alle aste.

Questa disputa potrebbe trascinare le compagnie petrolifere in una delle più prolungate battaglie per il potere in Iraq. “Abbiamo fiducia nel governo”, ha detto Munir Buaziz, un vicepresidente della Shell, dopo che la sua società si era aggiudicata un ambito campo petrolifero. “Il governo sostiene questi contratti”.


Gazprom: Badra ha petrolio per due miliardi di barili

di Ornella Sangiovanni - www.osservatorioiraq.it - 15 Dicembre 2009

Sembravano noccioline, e invece .... Secondo la OAO Gazprom Neft, il giacimento iracheno di Badra avrebbe riserve per 2 miliardi di barili.

L’informazione è contenuta in una e-mail diffusa oggi, in cui la compagnia russa, che si è aggiudicata il contratto nel secondo round di gare d’appalto bandito da Baghdad, che si è appena concluso, comunica che inizierà a lavorare il prossimo anno, con una quota del 30% nella joint venture che verrà costituita.

Il consorzio di cui Gazprom è capofila era stato l’unico a presentare un’offerta per Badra, un giacimento situato nel sud-est dell’Iraq, sul confine con l’Iran (parte del giacimento è in territorio iraniano), finora ritenuto di dimensioni modeste – circa 100 milioni di barili di greggio, stando alle stime del Dipartimento Usa all’Energia.

Il contratto prevede di portare la produzione a 170.000 barili al giorno entro 7 anni, per una remunerazione di 5 dollari e mezzo al barile – la cifra offerta dal ministero del Petrolio di Baghdad, a fronte di una richiesta iniziale di 6 dollari da parte della compagnia russa e dei suoi partner. Che hanno accettato di buon grado di abbassarla.

“Questo risultato è un passo significativo nell’attuazione della nostra strategia di rafforzare le nostre posizioni sui mercati esteri”, dice la Gazprom nel comunicato, aggiungendo che, nonostante quello di Badra sia un “contratto di servizio” (e non un Production Sharing Agreement), prevede, “con determinate condizioni”, di poter iscrivere la produzione futura del giacimento nei propri bilanci.

Del consorzio che ha come capofila la compagnia russa fanno parte anche la turca TPAO (Turkish Petroleum Corp.), la sudcoreana Kogas, e la malese Petronas – emersa come un operatore di peso da questo secondo round di gare petrolifere irachene.

Infatti, oltre al contratto per Badra, è riuscita a ottenere quelli per Majnun, uno dei due maggiori giacimenti in offerta (riserve stimate in oltre 12 milioni e mezzo di barili), come partner della Shell, Halfaya, all’interno del consorzio guidato dai cinesi della CNPC, e Gharraf, assieme alla giapponese Japex.

Nella joint venture che verrà creata per sviluppare Badra, la Kogas avrà il 22,5 %, la Petronas il 15 %, e la TPAO il 7,5 per cento. Il 25 % resterà agli iracheni.

Se le stime di Gazprom sono corrette, allora si tratta davvero di un colpo grosso. E a farlo, come per West Qurna 2, sono stati ancora una volta i russi.


Petrolio secondo round - il giorno dei russi

di Ornella Sangiovanni - www.osservatorioiraq.it - 12 Dicembre 2009

Alla fine ce l’hanno fatta anche i russi. Nel giorno in cui si conclude il secondo round di gare d’appalto indetto dal ministero iracheno del Petrolio, è la LUKOIL ad aggiudicarsi il contratto per West Qurna Fase 2, mega giacimento con riserve stimate in quasi 13 miliardi di barili – il maggiore in palio in questa tornata, il più conteso.

La compagnia russa è riuscita a sbaragliare ben tre concorrenti, alla guida di un consorzio di cui fa parte anche la norvegese StatoilHydro.

"Oggi siamo molto felici", commenta il suo rappresentante Andrey Kuzyaev.
Felici anche perché per West Qurna LUKOIL già aveva firmato un contratto ai tempi di Saddam Hussein, nel 1997 – contratto successivamente annullato dagli iracheni nel dicembre 2002, che i nuovi governi di Baghdad si erano rifiutati di riconfermare, ma al quale la compagnia non aveva mai rinunciato.

Evidentemente la diplomazia del Cremlino ha dato i suoi frutti.

LUKOIL e i suoi partner norvegesi riceveranno 1,15 dollari per ogni barile di greggio prodotto al di sopra di un plateau stabilito: remuneration fee, così la chiamano nel gergo dell’industria petrolifera. In cambio, si impegnano a produrre 1 milione 800mila barili in 13 anni.

La loro offerta ha battuto quelle della francese Total e di due consorzi guidati rispettivamente dalla Petronas, la compagnia di Stato malese, e dalla BP – un colosso del settore dell’energia.

Attualmente da West Qurna Fase 2 non esce un solo barile di greggio.

“Contratti di servizio” – per 20 anni

Quelli assegnati in questo secondo round di gare d’appalto, come del resto quelli del primo, tenutosi il 30 giugno, si chiamano “contratti di servizio” – nei quali cioè la compagnia straniera viene pagata per il lavoro fatto, senza partecipare agli utili della produzione, come nel caso dei cosiddetti Production Sharing Agreements, i preferiti dalle multinazionali.

I contratti offerti dall’Iraq hanno tuttavia una durata di 20 anni – che può essere estesa. Inoltre, per le major rappresentano una delle ultime opportunità, se non l’ultima, di entrare in un Paese che è il terzo al mondo per riserve petrolifere, e che in gran parte è ancora inesplorato. Da cui l’interesse – nonché la disponibilità ad abbassare di molto le richieste economiche, a differenza di quanto era avvenuto in giugno.

Oltre a West Qurna Fase 2, che si trova nel sud, nelle gare di oggi sono stati assegnati altri tre giacimenti.

Gharraf, anch’esso nel sud, riserve stimate in quasi 900 milioni di barili, è andato a un consorzio guidato dalla Petronas (che emerge come uno degli operatori di punta da questa tornata irachena) in partnership con la giapponese Japex. La loro offerta è stata preferita a quelle di due consorzi che avevano come capofila rispettivamente la turca TPAO e la Kaz Munai, del Kazakhstan, e a quella presentata dall’indonesiana Pertamina.

Petronas e Japex riceveranno 1,49 dollari al barile a fronte di un impegno a produrre 230.000 barili nell’arco di 13 anni dal giacimento, che si trova a un’ottantina di km da Nassiriya.

Per Badra, ancora russi. Il giacimento, di dimensioni modeste (riserve stimate in 100 milioni di barili), che si trova nel sud-est, e si estende in territorio iraniano, è andato a un consorzio che vede la Gazprom come capofila, nel quale ci sono anche i turchi di TPAO, la sudcoreana KOGAS, e – ancora – la Petronas. L’unica offerta arrivata.

Qui però l’affare è stato concluso solo dopo che Gazprom e i suoi partner hanno accettato di abbassare la loro richiesta, 6 dollari al barile, ai 5 dollari e mezzo che Baghdad era disposta a pagare. Per questa cifra dovranno arrivare a produrre 170.000 barili al giorno in 7 anni.

Nessuna offerta invece per i tre giacimenti cosiddetti del “Medio Eufrate” - Kifl, West Kifl e Mirjan – che si trovano nelle province di Karbala e Najaf: il ministro del Petrolio Hussein al-Shahristani ha detto che sarà l’Iraq a svilupparli con le proprie risorse.

Un contratto, l’ultimo, anche per Najma, nel nord, provincia di Ninive: anche qui c’era una sola offerta – quella della Sonangol (Angola), che ha accettato di scendere con la sua richiesta, da 8 dollari e mezzo a barile ai 6 dollari di Baghdad. Non solo – la compagnia ha fatto marcia indietro rispetto a ieri, accettando i 5 dollari a barile degli iracheni, contro i 12 dollari e mezzo chiesti inizialmente, anche per Qayara, giacimento non lontano da Najma.

Il ministro Shahristani, soddisfatto, parla di "una grande vittoria per l’Iraq".

“E’ un grosso risultato ottenere contratti di questo tipo ai prezzi attuali”, commenta con i giornalisti dopo la conclusione delle gare.


Alla Shell il petrolio di Majnun

di Ornella Sangiovanni - www.osservatorioiraq.it - 11 Dicembre 2009

La Shell ha fatto il colpo grosso. E’ questo il dato saliente che emerge dalla prima giornata del secondo round di gare di appalto petrolifere, che si è tenuta oggi a Baghdad.

A capo di un consorzio assieme alla malese Petronas, la major anglo-olandese porta a casa un bel risultato: il contratto per Majnun, uno dei tre giacimenti cosiddetti “super giganti” offerti in questa seconda tornata di gare. Riserve stimate: 12,6 miliardi di barili.

Per il resto, dei giacimenti inclusi in questa prima giornata (domani si prosegue, e si conclude) ne è stato aggiudicato solo un altro: Halfaya, che si trova anch’esso nel sud (come Majnun), ma ha dimensioni decisamente più modeste, ancorché sostanziose: le sue riserve sono stimate in 4,1 miliardi di barili.

Il contratto è andato ai cinesi di CNPC, capofila di un consorzio in cui ci sono anche la Petronas (di nuovo), e la francese Total.

Per il resto, un nulla di fatto: nessuna offerta per i cosiddetti “giacimenti orientali”, che si trovano nella provincia di Diyala. E’ chiaro che nessuno se l’è sentita di rischiare. Inoltre, non ne valeva granché la pena: 300 milioni di barili in riserve non fanno molta gola – soprattutto se sono in una delle zone più violente dell’Iraq.

Più strano invece il fatto che non ci siano state offerte per East Baghdad – un altro giacimento “super-gigante”, che di petrolio invece ne ha tanto: 8,1 miliardi di barili. Eppure è andata così.

Una sola offerta per l’ultimo giacimento della gara di oggi, Qayara, nel nord, provincia di Ninive: quella della Sonangol, compagnia dell’Angola, che ha chiesto una cifra molto più alta di quella che il ministero del Petrolio era disposto a offrire – 12,50 dollari a barile contro i 5 dollari di Baghdad.

E non ne ha voluto sapere di scendere. Offerta respinta.

Vincono Shell e cinesi - giocando al ribasso. ENI ultima

La Shell e i suoi partner malesi sono riusciti ad aggiudicarsi Majnun (“un bel boccone”, come direbbe Paolo Scaroni, l’amministratore delegato dell’ENI), chiedendo una cifra assai bassa, solo 1,39 dollari a barile, per la cosiddetta “remuneration fee” – il compenso per ogni barile di greggio prodotto al di sopra di un plateau stabilito.

In cambio, si sono impegnati a portare la produzione del giacimento (da cui oggi escono a malapena 46,000 barili al giorno) a un milione 800mila barili, nell’arco di 10 anni – quasi il doppio di quello che si aspettavano gli iracheni

Grazie a questa combinazione, hanno stracciato i concorrenti: un consorzio con la francese Total come capofila, assieme gli ormai onnipresenti cinesi di CNPC. Che avevano chiesto di più e promesso di meno.

Ma i cinesi possono consolarsi. Sono alla guida, infatti, del consorzio a cui è andato il secondo dei contratti assegnati oggi – quello per Halfaya.

Anche qui la CNPC, con i partner di Petronas e Total, ha presentato la sua offerta chiedendo una cifra bassa: 1,40 dollari al barile, impegnandosi ad aumentare la produzione dagli attuali 3.100 barili al giorno a 535.000 barili, su un arco di 13 anni.

Così è riuscita a battere ben tre concorrenti: fra questi c’era anche l’ENI, capofila di un consorzio di cui facevano parte anche Sonangol, la cinese CNOOC, la sudcoreana Kogas, e la statunitense Occidental.

Ma l’offerta della compagnia italiana stavolta si è piazzata ultima: ENI & soci avevano chiesto infatti una fee di ben 12,90 dollari a barile, a fronte della promessa di portare la produzione del giacimento a 400.000 barili al giorno.

Davanti a loro, un consorzio guidato dall’indiana ONGC, in partnership con la Turkish Petroleum e Oil India. Al secondo posto, un altro con capofila la norvegese StatoilHydro, assieme ai russi di LUKOIL.

Misure di sicurezza eccezionali

Il tutto si è svolto all’interno del ministero del Petrolio, protetto da misure di sicurezza eccezionali, in una Baghdad dove la tensione è alle stelle, dopo gli attentati di pochi giorni fa.

In questo secondo round di gare (che fa seguito a quello del 30 giugno scorso), i giacimenti offerti erano quindici: dieci i contratti, per complessivi 41, 3 miliardi di barili in riserve – un terzo di quelle totali dell’Iraq, e pari a tutto il petrolio attualmente posseduto dalla Libia.

Il premier Nuri al Maliki ha accolto i rappresentanti delle compagnie internazionali arrivati nella capitale irachena sostenendo che “in Iraq non c’è un deterioramento della sicurezza, anche se qui [a Baghdad] c’è stata una violazione della sicurezza”.

Hussein al Shahristani, ministro del Petrolio che fra qualche mese potrebbe non esserlo più (dipende da quale governo uscirà dalle elezioni fissate per il 7 marzo), ha definito questo primo giorno di gare “un grande successo”.

Appuntamento a domani, con un altro “bel boccone” - West Qurna Fase 2, riserve stimate che sfiorano i 13 miliardi di barili. La competizione si prevede agguerrita.


Al via il secondo round

da www.osservatorioiraq.it - 10 Dicembre 2009

Si apre domani a Baghdad, alle 9 di mattina ora locale, presso il ministero del Petrolio, il secondo round di gare d’appalto petrolifere.

In palio ci sono 15 giacimenti, tutti di petrolio, in 10 contratti, che andranno alle compagnie e/o consorzi che presenteranno le migliori offerte. La gara prevede una due giorni (11-12 dicembre), in ognuno dei quali verranno offerti cinque contratti.

Questa seconda tornata fa seguito a quella che si è svolta il 30 giugno scorso, che ha visto inizialmente aggiudicare un solo contratto – quello per Rumaila, il maggiore degli otto giacimenti inclusi nella gara (nonché il maggiore giacimento iracheno), assegnato a un consorzio guidato dalla BP, in partnership con i cinesi di CNPC.

Successivamente, sono stati conclusi accordi per altri due giacimenti – Zubair e West Qurna Fase 1 – rispettivamente con un consorzio guidato dall’italiana ENI e con uno del quale fanno parte la Exxon Mobil e la Royal Dutch-Shell.

I giacimenti

Fra i giacimenti offerti in questo secondo round di gare, tre sono definiti “super-giganti” – hanno cioè riserve per oltre 5 miliardi di barili. A differenza del primo round, dove tutti i giacimenti inclusi erano già in produzione, questa volta ce ne sono diversi che sono solo parzialmente sfruttati o non ancora sfruttati.

Complessivamente, le loro riserve – 41, 3 miliardi di barili – sono pari a un terzo delle riserve totali dell’Iraq, e ammontano a tutto il petrolio attualmente posseduto dalla Libia.

Questa la lista:

Giacimento            Riserve*  Produzione attuale
Centro Iraq
 East Baghdad         8,1           10.300
 Badra                0,1         
 Medio Eufrate        0,6         
Sud Iraq
 Majnun                   12,6         45.900
 West Qurna 2             12,9        
 Gharaf                    0,9         
 Halfaya                   4,1           3.100
Nord Iraq
 Giac.Est                 0,3         
 Najma                    0,9         
 Qayara                   0,8         
TOTALE                  41,3         59.300
* miliardi di barili

Nota: I dati sulle riserve sono stime della U.S.Energy Information Administration; quelli sulla produzione attuale stime del ministero iracheno del Petrolio.

Le compagnie prequalificate
Queste le 45 compagnie prequalificate dal ministero del Petrolio
(elenco fornito dal direttorato che si occupa dei contratti e delle licenze):


Anadarko (Usa)
 BG Group (Gran Bretagna)
 BHP Billiton (Australia)
 BP (Gran Bretagna)
 Cairn Energy (Gran Bretagna)
 Chevron (Usa)
 CNOOC (Cina)
 CNPC (Cina)
 ConocoPhillips (Usa)
 Edison (Italia)
 ENI (Italia)
 Exxon Mobil (Usa)
 Gazprom (Russia)
 Hess (Usa)
 Inpex (Giappone)
 Japex (Giappone)
 JOGMEC (Giappone)
 JSC KazMunaiGas (Kazakhstan)
 Kogas (Corea del sud)
 Lukoil (Russia)
 Maersk (Danimarca)
 Marathon (Usa)
 Mitsubishi (Giappone)
 Mitsui Oil Exploration Co. (Giappone)
 Nexen Inc (Canada)
 Nippon Oil Corp. (Giappone)
 Tatneft (Russia)
 Occidental (Usa)
 Oil India (India)
 ONGC (India)
 Pakistan Petroleum (Pakistan)
 Pertamina (Indonesia)
 Petrovietnam (Vietnam)
 Petronas (Malaysia)
 Repsol (Spagna)
 Rosneft (Russia)
 Royal Dutch Shell (Gran Bretagna-Olanda)
 Sinochem (Cina)
 Sinopec* (Cina)
 Sonangol (Angola)
 StatoilHydro (Norvegia)
 Total (Francia)
 Turkish Petroleum (Turchia)
 Wintershall BASF Group (Germania)
 Woodside (Australia)