giovedì 10 dicembre 2009

L'indipendenza del Kosovo al vaglio inutile della Corte Internazionale di Giustizia

Tra pochi mesi si conoscerà il parere non vincolante della Corte Internazionale di Giustizia in merito alla legittimità della dichiarazione d'indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente nel Febbraio 2008.

Alcuni Paese UE come Spagna, Romania e Cipro ritengono illegale la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo e, nonostante le pressioni dell'Unione Europea, continuano a rifiutarsi di riconoscere il Kosovo.

Il governo di Belgrado continua d'altra parte a considerare il Kosovo come parte integrante del proprio territorio - grazie all'appoggio di Russia e Cina - e qualche mese fa ha appunto ottenuto l'approvazione dell'Assemblea generale dell'ONU per chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia di esprimersi sulla dichiarazione d'indipendenza kosovara.

Il deferimento alla Corte da parte dell'Assemblea generale è una procedura molto rara, che è stata applicata anche nel 2003-2004 per documentare l'illegittimità del muro di sicurezza costruito da Israele nei confronti dei palestinesi.

Ma ormai per il Kosovo la strada dell'indipendenza è già stata decisa e spianata da molti anni e sarà difficile tornare indietro.


Kosovo, scontro tra titani alla Corte di Giustizia Internazionale
di Nicola Sessa - Peacereporter - 10 Dicembre 2009

Si avvia alla conclusione il dibattito sulla legittimità dell'indipendenza del Kosovo. Scontro dialettico tra Usa, Russia, Cina e Spagna

Venerdì si concluderanno le audizioni davanti alla Corte di Giustizia Internazionale (Icj) che dovrà prendere una posizione, non vincolante, sulla legittimità o meno della dichiarazione unilaterale di indipendenza pronunciata dal Kosovo il 17 febbraio del 2008. Ormai, tra i 28 paesi iscritti a parlare (più il Kosovo), i big hanno già presentato le loro osservazioni. Davanti ai 15 giudici della Corte si sono alternati Stati Uniti, Russia, Cina, Spagna , Francia.

Questo procedimento fa registrare, a margine, alcuni dati storici importanti: per la prima volta dopo 50 anni Russia e Stati Uniti si trovano avversari davanti a un tribunale internazionale; per la prima volta la Cina "compare" nelle aule dell'Icj; per la prima volta tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu prendono parte nello stesso procedimento; per la prima volta la Corte Internazionale si trova a esaminare una questione di natura territoriale.

Quelli che... il Kosovo non si tocca. Il governo degli Usa, rappresentato da Harold Hongju Koh, ha fatto da capofila alla schiera dei paesi che chiedono alla Corte di "benedire" l'indipendenza del Kosovo: tutti allineati e coperti, Germania, Francia, Bulgaria, Ungheria, Croazia.

Gli Stati Uniti hanno invitato, pertanto, la Corte a rispettare la volontà del popolo del Kosovo e addirittura ad astenersi dal dare una propria opinione sulla legalità alla base della dichiarazione stessa. Secondo il rappresentate Usa, non bisogna guardare alla questione del Kosovo nell'ambito dell'autodeterminazione in accordo con le leggi di diritto internazionale, bensì trattarla come un caso unico.

Il processo di indipendenza del Kosovo sarebbe maturato, stando alle parole di Koh, in relazione a tre eventi determinanti: la dissoluzione della Federazione Jugoslava, le ripetute violazioni dei diritti umani nei confronti degli albanesi del Kosovo, la Risoluzione 1244 del 1999 che pose fine alla guerra. Se "unico" è il caso del Kosovo, "uniche" sono anche le argomentazioni proposte dal delegato Usa. Secondo questi, infatti, non ci sarebbe nessuna violazione del diritto internazionale in quanto "le leggi internazionali non favoriscono né proibiscono il diritto all'autodeterminazione".

E poi, da abile funambolo Koh ha aggiunto: "La Risoluzione 1244 non è garante dell'integrità territoriale della Serbia, ma della Repubblica Federale della Jugoslavia, che non esiste più", alludendo alla uscita del Montenegro dalla Federazione (dal 2003 Unione di Stati) e sorvolando sul fatto che il Kosovo fosse una provincia autonoma della Serbia.

Come se non bastasse, Koh ha aggiunto che "l'integrità territoriale deve essere rispettata dalle altre nazioni e non da entità interne". A ulteriore riprova che la Risoluzione 1244 non rappresenti un ostacolo alla indipendenza del Kosovo, il delegato Usa ha presentato il dato per il quale 9 dei 15 paesi del Consiglio di Sicurezza (Cs) che nel '99 votarono il documento hanno poi proceduto al riconoscimento delle autorità albanesi di Pristina.

Quelli che... il Kosovo è Serbia. Ben altro peso e dignità ha assunto, invece, la Risoluzione nelle argomentazioni di chi chiede alla Corte di dichiarare illegittima l'indipendenza del Kosovo. Russia, Cina e Spagna si sono attenute a una più rigida interpretazione delle leggi.

Tutte e tre seguono con particolare coinvolgimento la discussione in atto all'Aja perché, come la Serbia, si trovano ad affrontare simili pretese nazionalistiche entro i propri confini: Madrid è impegnata con i baschi, Pechino con gli uiguri e i tibetani, Mosca con i ceceni (sebbene, per onore di cronaca, i russi abbiano riconosciuto le due repubbliche secessioniste georgiane di Abkhazia e Ossezia del Sud). Tutte e tre sono convinte, con leggere sfumature, che fin quando il Consiglio di Sicurezza non revochi la Risoluzione 1244, le trattative tra Belgrado e Pristina dovrebbero continuare.

Rimanendo in piedi quel documento, nessuna della parti in causa poteva prendere delle iniziative unilateralmente, cosa che ha invece fatto Pristina. In nessun caso, diversamente da quanto ha sostenuto Washington, la Risoluzione poteva essere interpretata nel senso di "anticipatrice" dell'indipendenza del Kosovo come risultato finale.

Il rappresentate russo Kirill Gevorgian non ha risparmiato di criticare l'operato di Martti Ahtisaari, l'inviato del Segretario Generale Onu, che sovvertendo i contenuti della Risoluzione ha deciso di porre fine alle negoziazioni e raccomandare l'indipendenza del Kosovo come unica soluzione sostenibile, mentre il Consiglio di Sicurezza decideva di estendere le trattative e la Serbia offriva larghe autonomie, incluse le rappresentane nelle organizzazioni internazionali.

"Con l'adozione della 1244/1999, il Cs non votava per l'indipendenza del Kosovo, né ché l'allora Repubblica Federale di Jugoslavia perdesse la sovranità su quella provincia", ha detto il rappresentate spagnolo Concepcion Escobar Herandez, "ma si cercò di bilanciare gli interessi delle due parti", ha continuato, ribadendo che gli albanesi del Kosovo non sono titolari dell'autodeterminazione, diritto questo riservato dalla Carta delle Nazioni Unite ai Paesi cui è riconosciuto lo status di colonia.

La decisione della Corte è attesa entro l'estate prossima. Secondo Belgrado il verdetto non può che essere favorevole alla Serbia, se i giudici si atterranno alle norme di indirizzo internazionali. Anche Pristina è convinta che la ragione sarà dalla parte delle "vittime". Gli scettici, e forse i benpensanti, si aspettano un provvedimento alla Ponzio Pilato, una decisione-non-decisione che non dica sì e non dica no. Un pareggio che per il Kosovo vorrebbe dire vittoria.


Serbia, al via dibattito sull'indipendenza di Pristina
di Nicola Sessa - Peacereporter - 1 Dicembre 2009

Per dieci giorni si avvicenderanno le delegazioni di 28 paesi. Atteso per l'estate il parere della Corte

Se per la Serbia non è una vittoria, la giornata di oggi ha almeno il sapore di una finale. È cominciata infatti martedì, davanti alla Corte di giustizia internazionale (Icj), la discussione sulla legittimità della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. A prescindere da come andrà a finire (il parere della Corte non avrà effetto vincolante alcuno) si tratterà di un "processo" di importanza storica che produrrà comunque degli effetti collaterali sul proscenio internazionale. È la prima volta che l'Onu demanda alla Corte una decisione su una disputa territoriale.

A turno, 28 paesi più il Kosovo compariranno davanti ai 15 giudici per rilasciare una propria dichiarazione e argomentare la posizione favorevole o contraria all'indipendenza autoproclamata da Pristina il 17 febbraio del 2008. "E' conforme alle leggi di diritto internazionale l'indipendenza dichiarata dal governo provvisorio del Kosovo?", questa la domanda a cui la Corte presieduta dal giapponese Hisashi Owada è chiamata a rispondere.

I serbi, minoranza in patria. La prima delegazione a prendere la parola è stata quella guidata dall'ambasciatore serbo in Francia Dusan Batakovic. Tre ore di tempo per spiegare perché la dichiarazione del 17 febbraio contrasta con le norme di diritto internazionale di sovranità e integrità territoriale.

Nella dichiarazione di apertura, Batakovic ha espresso il "sincero rammarico per le atrocità commesse in nome della Serbia durante il conflitto del Kosovo e per le ripetute violazioni dei diritti umani nei confronti degli albanesi tra il 1998 e il 1999", sottolineando che molti paramilitari e poliziotti serbi sono stati condannati dal tribunale serbo per i crimini di guerra.

Ripercorrendo i fatti storici, il capo delegazione serbo ha richiamato anche le responsabilità dei guerriglieri dell'Uck rei di crimini ai danni dei serbi, degli albanesi rimasti leali a Belgrado e di altre minoranze etniche. Batakovic ha lamentato il fatto che da quando i kosovari albanesi hanno preso il comando tutte le maggiori città, eccetto Mitrovica, hanno subito un processo di pulizia etnica riducendo i serbi allo status di minoranza all'interno della propria nazione.

Reazione a catena. Il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremic ha presenziato alla seduta come uditore. È convinto che la Corte, se si atterrà al mero profilo del merito, non potrà che emettere un parere favorevole a Belgrado perché una "secessione su base etnica in tempo pace lede tutte le norme di diritto internazionale", che potrebbe determinare delle rivoluzioni geografiche in tutto il pianeta.

Anche il Kosovo, benché non abbia un seggio alle Nazioni Unite, ha avuto il permesso di partecipare alle audizioni come parte in causa. Il ministro degli Esteri di Pristna Skender Hyseni, coadiuvato dall'avvocato inglese Michael Wood, baserà le sue argomentazioni "sulle ripetute violazioni dei diritti umani ai danni degli albanesi", sul sangue delle 12 mila vittime della guerra, sulla memoria delle migliaia di deportati fuori dai confini del Kosovo. Sul pulpito si avvicenderanno gli altri 27 paesi fino all'11 dicembre, dopo di che la corte avrà un tempo indeterminato per arrivare a una soluzione (secondo alcuni non prima dell'estate prossima).

Sebbene il parere dell'Icj non sarà vincolante, il dibattito ha attirato l'attenzione dei media e di molti paesi che non hanno riconosciuto la sovranità del Kosovo perché direttamente toccati da problematiche simili: la Spagna con la regione basca, la Cina con lo Xinjiang, Cipro con i turchi nel lord dell'isola e così via.

Il Kosovo ad oggi è stato riconosciuto da 63 paesi, tra cui gli Stati Uniti e 22 dei 27 membri dell'Unione Europea.


Kosovo, esami di democrazia

di Nicola Sessa - Peacereporter - 17 Novembre 2009

Arrivano i risultati e le congratulazioni della comunità internazionale. Ma davvero tutto si è svolto secondo le regole di democrazia e civiltà?

I kosovari hanno votato. Si trattava della prima tornata elettorale a livello locale da quando Pristina, nel febbraio del 2008, ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza da Belgrado. Era un esame importante non solo per le parti politiche in corsa, ma anche per l'Unione Europea considerato quanto sta investendo in Kosovo.

L'esame non è ancora finito, dal momento che in molti comuni si voterà ancora il 13 dicembre per il ballottaggio. I giudizi della comunità internazionale sono tutti positivi. Anche se l'afflusso alle urne non è stato caratterizzato da una larga partecipazione (quella dei serbi è stata scarsissima: dei 123 mila serbi iscritti alle liste solo 8 mila avrebbero espresso una preferenza), le operazioni si sarebbero svolte correttamente, "nel pieno delle regole della democrazia". Questo è quanto sostiene anche il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini

L'eccezione dei brogli. In realtà le accuse di brogli non hanno tardato ad arrivare e l'Akr (Nuova alleanza per il Kosovo) ha denunciato alcuni rappresentati dell'Aak di Ramush Haradinaj (Alleanza per il futuro del Kosovo) di aver agito in maniera fraudolenta in diversi seggi nel distretto di Gjakova.

Mimoza Kusari Lila, candidata a sindaco della municipalità per la coalizione guidata dall'Akr, ha mostrato una clip ripresa con un telefono cellulare in un seggio di Demjan in cui si vedono un uomo e una donna aggiungere delle schede nelle urne. A Novoselo, i rappresentati di lista del suo partito sarebbero stati minacciati. In questo modo, sostiene Kusari Lila, il candidato dell'Aak ha conquistato la carica al primo turno evitando il ballottaggio.

Geografia politica. Secondo i risultati diffusi dalla Commissione centrale elettorale, l'Ldk (Lega democratica del Kosovo) ha conquistato la vittoria a Pristina e Podjuevo, mentre il Partito democratico di Hashim Thaci ha già chiuso la partita a Gllogovc, Skenderaj e Ferizaj. Ramush Haradinaj ha confermato di essere il favorito nel suo feudo del Kosovo occidentale: all'Aak vanno Decan, Gjakova, Leposavic e Zvecan mentre i suoi candidati se la giocheranno il 13 dicembre a Kline, Istog, Rahovec e Suhareke.

Anche le due importanti e strategiche città del sud e del nord, Prizren e Mitrovica conosceranno il nuovo sindaco solo a metà dicembre. I risultati, di fatto, confermano e rispettano quelle che sono le "divisioni territoriali" in cui agiscono i tre più influenti uomini politici del Kosovo: il presidente Fatmir Sejdiu, il premier Thaci e l'ex premier e Haradinaj.

Un'accesa campagna elettorale. Fin dai tempi della guerra del '99 Thaci e Haradinaj non si sono mai amati. E questo non è un segreto. Nel corso della campagna elettorale, si sono verificati due episodi che, invero, non fanno propriamente pensare a un democratico svolgimento delle elezioni.

Martedì 10, nel corso di un comizio a Decan, baluardo di Haradinaj, alcune persone hanno lanciato delle pietre contro il premier Thaci e la sua scorta. Il leader del Pdk ha accusato Haradinaj il suo Aak di essere dietro l'aggressione: "Ricordiamo a Ramush Haradinaj che il potere si conquista con il consenso e non con la violenza e le armi", ha fatto scrivere Thaci sul web site del Pdk. Due giorni dopo, il candidato a sindaco di Mitrovica per la lista dell'Aak è scampato a un agguato.

Mentre viaggiava verso la città del nord etnicamente divisa tra serbi e albanesi, la sua automobile è stata colpita da diversi colpi di pistola. Hysni Ahmeti, il candidato sindaco, è rimasto illeso. I vertici dell'Aak hanno condannato l'episodio. Pur senza far riferimento ad alcun mandante, il partito ha comunque fatto allusione a un attacco di matrice politica.

"Le elezioni? Un successo". L'ambasciata Usa da un lato e il Rappresentate speciale per l'Ue Pieter Feith dall'altro hanno richiamato gli esponenti dei partiti politici a un comportamento corretto e a evitare "atti violenza e provocazioni".

Nonostante tutto il Segretario generale della Nato, A.F. Rasmussen, ha accolto le elezioni amministrative in Kosovo come un successo congratulandosi con le autorità e con la popolazione per come esse si sono svolte. Inoltre, Rasmussen ha espresso soddisfazione per la partecipazione dei kosovari serbi alle elezioni dimenticando la scarsa affluenza in città come Gracanica (dove i serbi sono la maggioranza) e il fatto che a nord del fiume Ibar non è stato istallato un solo seggio elettorale a causa di "difficoltà tecniche".

E ancora, ma questo lascia il tempo che trova, una tale "Peggy", commentando una notizia sulle elezioni pubblicata sul sito specialistico Balkaninsight, scrive: "Mi meraviglia quanti nomi presi dal cimitero siano stati spuntati come votanti nei registri ai seggi. A quanto pare hanno votato molti serbi morti, mentre quelli vivi si sono astenuti".


I sicari di stato del libero Kosovo
di Zlatko Vujovic - www.clarissa.it - 9 Dicembre 2009

Nessuno conosceva pubblicamente il nome di Nazim Bllaca, ora questo uomo è sotto la luce dei riflettori su tutti i media kosovari. Durante una conferenza stampa shock, Bllaca ha rivelato i retroscena di 17 omicidi politici commessi tra il 1999 ed il 2003 in Kosovo, per uno dei quali si è anche auto-accusato.

Nazim Bllaca, attualmente sotto sorveglianza dei poliziotti di Eulex, la missione europea dislocata nel paese, è stato un membro dell'UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) e poi agente, alla fine della guerra contro il regime di Milosevic, dello SHIK, il Servizio di Informazione del Kosovo, ovvero l'agenzia di intelligence legata al Partito Democratico dell'attuale primo ministro Hashim Thaci, uno dei principali leader di quello che fu l'UCK.

Bllaca ha raccontato di essere stato un membro della struttura responsabile degli assassinii dei dirigenti del partito rivale, la Lega democratica del Kosovo di Ibrahim Rugova, presentati dai mandanti come collaboratori dei servizi serbi. Le altre vittime sarebbero state testimoni che dovevano comparire davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia a L'Aia che doveva giudicare i comandanti dell'UCK.

Impressionante la massa dei dettagli nel racconto di Bllaca e la loro pianificazione che derivava direttamente, per via gerarchica, dai dirigenti dello SHIK, poi smantellato nel 2008. "Credevo di lavorare nell'interesse nazionale, che doveva essere il nostro riferimento, e il Kosovo intero" ha spiegato Nazim Bllaca, "ma era il contrario".

Tuttavia non sono solo i rimorsi che hanno condotto l'ex agente a queste drammatiche rivelazioni. Lui stesso spiega che dopo il mancato pagamento di un compenso di 220mila euro, si è allontanato dal servizio rifugiandosi con la famiglia in Croazia. Rientrato a Pristina, temendo per la sua vita, ha contattato la Eulex ponendosi sotto la sua protezione e rivelando i crimini di cui era a conoscenza.

La Eulex, da parte sua, incaricata di intervenire in appoggio alla polizia e magistratura kosovara, ha ritenuto di occuparsi in esclusiva del caso, apparendo chiaro che le accuse di Nazim Bllaca tirano in ballo direttamente tutta l'attuale leadership politica del Kosovo.

Il presidente Fatmir Sejdiu e il primo ministro Hashim Thaci hanno pubblicato un comunicato comune per esprimere la loro fiducia nelle istituzioni kosovare e nella Eulex. Tuttavia hanno voluto specificare che gli "atti criminali nel periodo del dopo-guerra" non devono essere sottomessi a un "influsso politico", in particolare essere tenuti distinti dalla campagna elettorale in vista delle elezioni amministrative del 13 dicembre, il primo scrutinio che si tiene dalla proclamazione dell'indipendenza.

Il vecchio primo ministro Ramush Haradinaj, presidente dell'Alleanza per l'avvenire del Kosovo (AAK), principale partito dell'opposizione ma anche lui, a sua volta, ex comandante dell'UCK, condivide questa posizione. "Non vogliamo trasformare questo caso giudiziario in un affare politico. Avremmo voluto, certo, che anche la magistratura kosovara fosse interpellata ma i giudici internazionali hanno l'expertise e l'esperienza. Hanno la nostra fiducia".

La questione degli omicidi politici nel Kosovo del dopo guerra, a lungo passati sotto silenzio pur nella conoscenza e consapevolezza di molti, si trova per la prima volta sulla pubblica piazza. Le rivelazioni rischiano di succedersi con conseguenze imprevedibili.

Il momento è delicato per il Kosovo. Oltre l'imminente voto, pende davanti alla Corte Internazionale di Giustizia una domanda dei Serbi per la dichiarazione di illegalità della proclamazione dell'indipendenza del Kosovo avvenuta il 17 febbraio 2008.