Backlash economy: il caso dell'Islanda ovvero una possibile risposta alla shock economy
di Pietro Cambi - http://crisis.blogosfere.it - 7 Agosto 2010
La Crisi vista dall'Islanda. Su una maglietta, a Reykjavik
Ebbene si. Confesso che, per la prima volta in dieci anni, ho fatto anche io il mio viaggettino all'estero, ho preso un aereo, ho dato il mio bastardo contributo all'aumento della CO2 etc etc. A titolo di discolpa posso solo dire che l'Islanda per un geologo è come la Mecca per un mussulmano ( no pun intended). Una volta nella vita tocca andarci.
Mettete poi la mamma di tutte le Crisi che ha fatto collassare il sistema bancario/finanziario locale e con esso la moneta, rendendo accessibile alle mie tasche sgarrupate quello che altrimenti sarebbe il paese più caro del mondo, tre amici con simili condizioni monetarie ed analoga curiosità et voilà. Siamo andati a zonzo in salsa decisamente pauperistica, tenda, fuoristrada vecchio di dieci anni e con 170.000 km sul groppone.
Niente di organizzato, tutto di auto(dis)organizzato.
Sul fascino del paese poco da dire: a parte vulcani, ghiacci, avifauna, è la mancanza di GENTE e la commovente permanenza di PERSONE, in paesaggi fieri ed implacabili, che colpisce. Gli islandesi, gente ovviamente fiera e tosta, sono rimasti parecchio male della scoppola che hanno rimediato.
Convinti dai media che le spericolate operazioni di finanzia creativa messe su dai principali istituti del paese fossero l'equivalente moderno delle incursioni vichinghe dell' IX secolo, di cui sono ancora alquanto fieri, al collasso della baracca, con tipica brutalità, hanno istituito una commissione di inchiesta DAVVERO indipendente, che in un anno e mezzo ha prodotto una relazione di un 700 pagine che inchodava, in pratica, gli interi vertici del paese alle proprie evidenti responsabilità, con contorno di lampanti connivenze, prestiti agevolatissimi allo 0% di interessi per dieci anni, mutui ipermilionari a ministri vari etc etc.
Tra quelli in vacanza permanente effettiva all'estero e quelli in soggiorno obbligato all'interno, la classe dirigente è stata spazzata via, il nepotismo, presente in modo quasi naturale in una comunità di 300.000 persone scarse, oltretutto per oltre metà concentrati nell'unica città/capitale ed il resto sparpagliato con una densità abitativa tra le più basse al mondo, è stato rapidamente esplicitato, nomi e cognomi, cosa facile in una nazione piccola e del resto facilmente verificabile da chicchessia.
Alle elezioni ha stravinto il "Beppe Grillo" locale, che è diventato il Sindaco di Reykjavik. Una sua "deputata anarchica" ( ossimoro davvero spettacolare) ha proposto una legge che avrebbe fatto diventare l'Islanda il paradiso della libera informazione. Nell'incredulità della stessa deputata il disegno di legge ">è stato approvato proprio mentre ero a Reykjavik, ALL'UNANIMITA'.Un segno del desiderio di voltare davvero pagina del paese.
Nel frattempo la comunità finanziaria internazionale chiedeva al Governo islandese di assumersi non solo la responsabilità politica, evidente, ma anche e sopratutto quella economica del crack multimiliardario delle istituzioni finanziarie del paese.
La cosa avrebbe comportato il collasso del sistema previdenziale del paese ed in pratica la totale distorsione del denaro dei cotribuenti nelle tasche degli istituti creditori.
Questa era, invero una novità: Questa volta, senza nemmeno provare ad indorare la pillola, si intendeva OBBLIGARE un governo, ovvero tutti i cittadini di un paese a pagare per gli errori e le nefandezze di pochi, oltretutto privati, speculatori.
La cosa non è semplice come la dipingo, ovviamente, il confine tra ciò che è pubblico e ciò che è privato è spesso sfumato, ad esempio nel caso di istituti con capitali di maggioranza pubblici, nomine politiche, etc etc, ma credo che capiate il punto.
Si è trattato, in realtà, del calo definitivo della maschera, delle forze reali del consesso internazionale, con la politica che nei paesi creditori si adattava a fare la parte del picciotto mandato a dare una sonora lezione al malcapitato comerciante non intenzionato a pagare il pizzo.
L'Inghilterra, in primo luogo, si è incaricata di fare la voce grossa, minacciando le solite "sever conseguenze" in caso di non ottemperanza ai piani di rientro definti dal fondo internazionale..bla bla.
E' stato però un grave errore. Un classico errore da delirio di onnipotenza ( unito ad una interiore paura della debolezza di questa pretesa onnipotenza).
Gli islandesi infatti, posti finalmente di fronte alla brutale realtà delle conseguenze devastanti per l'economia reale del collasso finanziario, si sono resi conto di non volere ne POTERE pagare il conto presentato. Badate bene NON si è trattato ne si tratta di un classico default.
Si tratta, invece del rovescio della medaglia del liberismo: tirando troppo la corda il micidiale "t oo big to fail" che sta condannando il sistema americano non vale più. La mano pubblica NON interviene perchè non può ne vuole farlo e lascia creditori e debitori a mazziarsi tra di loro, nazionali o internazionali che siano. Le conseguenze di operazioni troppo azzardate ed affidi troppo inconsapevoli ed imprudenti ricadono, alla buon'ora sui diretti interessati.
Ecco, secondo il sottoscritto, il germe della possibile uscita dal paradigma "macroeconomico" attuale: di fronte a due scelte, una "assai sgradevole", l'altra esiziale, tra il collasso locale e, forse, mondiale, del sistema finanziario, ovvero in ultima analisi, per i comuni cittadini, dei risparmi e della previdenza, ed uno della economia reale, che si tirerebbe dietro ANCHE il sistema previdenziale ed i risparmi, sia pure in uno slow motion crashing, la risposta può essere solo quella di accettare le perdite, contabilizzare i caduti e cercare di salvare il salvabile, nel processo riformando società ed economia su basi sostenibili.
Il tutto si esplica, l'Islanda l'ha fatto, rinviando al mittente le richieste di risolvere PRIMA le esigenze finanziarie dei creditori interni e, sopratutto, esteri.
Non ho ancora un nome definitivo per questo genere di risposte "a muso duro" che, per essere davvero efficace, andrebbe sistematizzato con la stessa spietata freddezza con cui si è sistematizzato la Shock economy ( Loretta se ci sei batti un colpo).
Provvisoriamente possiamo chiamarla "backlash economy", l'economia "di reazione" o "del colpo di coda", come preferite.
Passato il primo momento di sconforto gli islandesi hanno recuperato in fretta.
Come mi ha detto uno di loro, libraio a Reykjavik, quando hai una buona casa, energia quasi gratis e terra a volontà, non dovresti preoccuparti TROPPO.
In ogni caso - ha concluso con un mezzo sorriso - alle crisi ci siamo abituati. Per noi una VERA crisi è quando un vulcano si risveglia e minaccia di ricoprire un terzo del paese sotto una coltre di ceneri fumanti....
Crisi economica: l'Ungheria sfida il Fondo Monetario Internazionale
di Jerome Duval - www.mondialisation.ca - 3 Agosto 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Raffaella Selmi
L'Ungheria, che dal 1 ° gennaio 2011 assumerà per sei mesi la presidenza dell'UE , subisce pesantemente le conseguenze di una crisi finanziaria che sembra non finire. Pur non essendo così distante dai parametri di Maastricht in materia di deficit pubblico (3,8% nel 2008), l'Ungheria è il primo paese dell'Unione europea ad aver ottenuto il sostegno finanziario della Troika costituita da: Fondo Monetario Internazionale, Unione Monetaria e Bce (Banca Mondiale)
Nel mese di ottobre 2008 è stato concordato un piano di finanziamento di 20 miliardi di euro: 12,3 miliardi messi a disposizione dal FMI, 6,5 dall’Unione europea e uno dalla Banca Mondiale.
Lo stock del debito è cresciuto in maniera automatica: oltre alla perdita secca dovuta al pagamento degli interessi, che aggrava il deficit, alla popolazione sono state imposte pesanti condizioni, l'aumento di 5 punti percentuali di IVA, attualmente al 25%, l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni, il congelamento per due anni dello stipendio dei funzionari, la soppressione della tredicesima per i pensionati, la riduzione degli aiuti pubblici all'agricoltura e al trasporto ...
L'estrema destra entra in Parlamento
In passato l’Ungheria, governata dai socialdemocratici, era riuscita a tenere in piedi un sistema di relative garanzie sociali, ma l'attuazione delle misure di austerità imposte dal FMI, ha scontentato la popolazione e giovato alla destra conservatrice, che nell’aprile 2010 ha vinto le elezioni legislative.
La vittoria del nuovo primo ministro conservatore, Viktor Orban, è stata accolta con favore dall’agenzia Fitch Ratings secondo la quale il partito di Orban, Fidesz, che ha ottenuto la maggioranza necessaria per modificare la Costituzione "rappresenta un'opportunità per introdurre riforme strutturali”. (1)
I socialdemocratici hanno riportato una sconfitta storica aprendo la strada all’estrema destra (Jobbik) che per la prima volta è entrata in parlamento con la percentuale del 16,6%.
Non appena insediatosi, il governo ha diffuso dichiarazioni allarmistiche sulla situazione finanziaria del paese, chiamando in causa una sottostima dei conti da parte del precedente esecutivo che, in realtà, avrebbe portato al 7,5 % il rapporto tra il deficit e il PIL, ben al di sopra quindi del 3,8% previsto dal Fondo monetario internazionale. Bluff o falsificazione dei conti?
In seguito a queste dichiarazioni, il 5 giugno 2010, il panico fa crollare le Borse di Londra, Parigi, Budapest ... e l'euro si deprezza nel timore di una crisi simile a quella della Grecia. Il governo sotto pressione, nel tentativo di recuperare, diffonde comunicati per tentare di calmare gli speculatori.
Tassazione del capitale o del lavoro?
Per contenere il deficit al 3,8% del PIL nel 2010, come concordato con il Fondo monetario internazionale e l'UE, il governo sta lavorando all’approvazione di una tassa straordinaria sull’intero settore finanziario, che permetterebbe di prelevare lo 0,45% dell’attivo dichiarato dalle banche (calcolato non sul profitto, ma sul fatturato), di tassare fino al 5,2% le entrate delle compagnie assicurative e fino al 5,6% quelle degli altri istituti finanziari (borse, agenti finanziari, gestori di fondi d’investimento ...).
L’Ungheria supera così Obama che ha annunciato una tassa sulle banche dello 0,15% solamente. Ma questo provvedimento, che dovrebbe garantire un gettito di 650 milioni di euro l'anno per due anni (2010 e 2011), circa lo 0,8% del PIL secondo le stime del governo, non piace alle banche che fanno pressione minacciando di ritirare gli investimenti in Ungheria.
Il Fondo monetario ha dal canto suo sospeso i negoziati avvertendo che chiuderà il rubinetto del credito concesso nel 2008, e questo nonostante che il piano di finanziamento, con scadenza inizialmente prevista a marzo 2010, fosse stato prorogato a ottobre dello stesso anno.
E’ evidente che il piano di tassazione delle banche, vero pomo della discordia tra l'Ungheria e Fmi, costituisce l’ostacolo al proseguimento del prestito. Il Fondo ritiene che il paese dovrebbe adottare misure in linea con il dogma corrente neoliberista: col che s’intende tassare i poveri prima delle banche. Certamente i poveri hanno pochi soldi…ma ce ne sono tanti!... A qualcuno sfugge il cinismo?
Inoltre, la previsione di un tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici, compreso il governatore della banca centrale, è in netto contrasto con le raccomandazioni del Fondo che preferisce un livellamento “dal basso” attraverso la riduzione o il congelamento dei salari, com’è avvenuto in Grecia o in Romania. Attenzione a non farsi illusioni su un partito di governo che già nel 1990 aveva favorito l’ingresso del neoliberismo...
«O la tassa sulle banche, o l’austerità»
Christoph Rosenberg, capo della delegazione del Fmi in Ungheria, riporta la richiesta di maggiori dettagli sul bilancio del prossimo anno da parte dell'organizzazione internazionale: "Quando torneremo, sempre che non sia la settimana prossima, il governo avrà proseguito nella definizione del bilancio 2011 e sarà un bilancio molto importante". (2).
Ancora una volta il Fondo monetario internazionale si appresta a riesaminare la copia del governo e interviene direttamente nella definizione del bilancio ungherese a dispetto dalla sua sovranità. Nell’attesa, il FMI stima che il paese dovrà prendere "misure supplementari" di austerità per raggiungere gli obiettivi di disavanzo che si è dato.
Dal canto suo il ministro dell'Economia, Gyorgy Matolcsy ha dichiarato in un’intervista che: "Abbiamo detto (ai nostri partner N.d.T.) che non c’è modo di aggiungere ulteriori misure di rigore a quelle già prese [...].: da cinque anni stiamo applicando un piano di austerità , e quindi è fuori questione”. "Applicheremo la tassa sulle banche, sappiamo che si tratta di un fardello pesante, ma sappiamo anche che possiamo raggiungere (l'obiettivo), del 3,8% di disavanzo ". “O la tassa sulle banche, o l'austerità" Ha anche aggiunto (3).
Per contenere un’estrema destra in continua ascesa, la destra conservatrice al potere vuole evitare misure impopolari in vista delle prossime elezioni comunali previste per ottobre e respinge qualsiasi ulteriore negoziato con il Fondo.
Rottura delle trattative tra Ungheria e FMI?
Il 17 luglio il FMI ha sospeso le trattative e, di conseguenza, l’utilizzo della parte residua del credito. La reazione dei mercati non si è fatta attendere, e il fiorino, la moneta nazionale, ha perso circa il circa il 2,4% in apertura, mentre la Borsa ha subito una perdita di oltre il 4%.
Il primo ministro, Viktor Orban, ringraziando il FMI per il suo "aiuto durante i tre anni" ha indicato che "l’accordo sul prestito è scaduto nel mese di ottobre, e quindi non c'era niente da sospendere.” "Le banche sono all’origine della crisi mondiale, è normale che contribuiscano a ripristinare la stabilità", ha sottolineato (4).
Il 22 luglio la nuova legge della tassa sulle banche, che prevede inoltre la riduzione del prelievo fiscale sulle piccole e medie imprese (PMI) dal 16 al 10 %, è stata approvata con una larga maggioranza (301 voti a favore e 12 contrari) dal Parlamento guidato dal Fidesz di Orban. Non sorprende che il giorno dopo, le agenzie di rating Moody's e Standard and Poor's abbiano messo sotto osservazione l’Ungheria per un possibile declassamento del rating.
Il ruolo di queste agenzie, giudici e parti di un sistema speculativo strangolatore, è presto detto: si alza il rating del governo conservatore salito al potere che aderisce al programma di austerità capitalista, si abbassa quando ci si rende conto che le misure non sono in linea con il dogma neoliberista.
Il quotidiano “Le Monde” sostiene i creditori
Diversamente da quanto sostiene il quotidiano francese Le Monde (5) nella sua edizione del 20 luglio, occorre appoggiare l’insubordinazione manifesta del governo ungherese al FMI,e sostenere l'idea che anzi deve fare lo stesso con l’altro suo creditore, l'Unione europea.
Prendere le distanze da tali creditori non è un torto al popolo ungherese, per il quale pagare un debito alle condizioni imposte dal FMI e dalla UE è già un pesante fardello.
Naturalmente occorre andare oltre una semplice rottura diplomatica, proponendo, ad esempio, un fronte dei paesi a favore della cancellazione del debito, perché, come ha detto giustamente San Kara , ex presidente del Burkina Faso, pochi mesi prima di essere assassinato: "Il debito non può essere rimborsato innanzitutto perché ,se non paghiamo , i nostri creditori non moriranno, stiamone pur certi. Mentre, se paghiamo, siamo noi che moriremo .E anche di questo possiamo essere certi…(... ) Se solo il Burkina Faso si rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza. Ma, con il sostegno di tutti, di cui ho bisogno (applausi), con il sostegno di tutti possiamo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo impiegare le nostre scarse risorse per il nostro sviluppo." (6)
Solo una mobilitazione popolare che pretenda la verità sulla destinazione del denaro preso in prestito così come anche la soddisfazione delle richieste in termini di salari, occupazione o garanzie sociali, potrà ottenere che i veri responsabili della crisi ne paghino il costo.
Perciò è di vitale importanza per i popoli d'Europa e altrove, contestare questi debiti macchiati d’illegalità e rifiutarne il pagamento. E’ un primo passo verso la sovranità che permetterebbe di dirottare gli enormi fondi dedicati al rimborso del debito verso i bisogni reali della popolazione, la salute, l'istruzione, le pensioni, e (permetterebbe) di tutelare il servizio pubblico e non delegarlo ad aziende private.
Note
[1] « Hongrie : Fitch salue le résultat électoral », Le Figaro, 26 avril 2010
[2] « L’UE et le FMI suspendent les consultations avec la Hongrie », par Krisztina Than et Marton Dunai, Reuters, 18 juillet 2010.
[3] « La Hongrie exclut de nouvelles mesures d’austérité », par Gergely Szakacs et Krisztina Than, Reuters, 19 juillet 2010.
[4] « Hongrie : la taxe sur les banques est "juste et nécessaire" selon le Premier ministre », AFP, 22 juillet 2010.
[5] « En Hongrie, les curieuses manières de M. Orban », éditorial du Monde, 19 juillet 2010.
[6] Discours de Thomas Sankara à Addis-Abeba, le 29 Juillet 1987, quelques mois avant sa mort.
La rivolta d'Ungheria
di Gianluca Freda - http://blogghete.blog.dada.net - 24 Luglio 2010
“Le istituzioni finanziarie devono fare la loro parte nella distribuzione più equa degli oneri fiscali, almeno temporaneamente, per il periodo necessario a far riprendere quota all’economia e a stabilizzare la situazione finanziaria. La tassa imposta alle banche è necessaria, giusta ed efficace ed è utile agli interessi del paese e delle persone in condizioni particolarmente difficili”.
A pronunciare queste eretiche parole è il Primo Ministro ungherese Viktor Orban, leader del partito Fidesz , il “rinnegato” che giovedì scorso ha osato far approvare dal Parlamento magiaro una legge che impone alle banche ungheresi, alle compagnie assicurative e ad altri istituti finanziari una folle tassa sugli attivi (dello 0,45% per le banche e del 5,2% per le compagnie assicurative), destinata a durare per almeno tre anni a partire dalla fine del 2009. Il provvedimento, stando alle dichiarazioni di Orban, dovrebbe servire a contenere il deficit ungherese entro il 3,8% del PIL.
Tristemente, la legislazione è stata pure approvata con una maggioranza che, se non stessimo parlando dell’Ungheria, potremmo definire bulgara: 301 voti favorevoli contro 12 contrari. Pressoché unanime, com’è comprensibile, lo sdegno che l’iniziativa ha suscitato presso i creditori internazionali dell’Ungheria, le istituzioni europee e il Fondo Monetario Internazionale.
“Questo è populismo!”, si sono lagnati all’unisono i tapini defraudati. “Così si blocca la crescita del paese! Si mina la fiducia degli investitori! E poi, sul lungo periodo, è una misura che si rivelerà poco utile al contenimento del deficit”. Sante parole.
Un paese, come è noto, non è composto dai suoi cittadini, dalle loro esigenze, dalle loro iniziative commerciali e culturali, ma solo ed esclusivamente dai suoi operatori finanziari, astro sfolgorante intorno al quale deve ruotare e di fronte al quale deve essere pronta ad annullarsi ogni residua velleità nazionale.
Quando uno Stato ha problemi di budget, come è di lapalissiana evidenza, l’unica misura possibile è quella di smantellare scuole e ospedali, tagliare i finanziamenti alle forze di sicurezza, ridurre gli stipendi dei dipendenti pubblici, fare il deserto delle strutture di assistenza, in modo che gli operatori finanziari e le società da essi controllate possano sostituirsi alle attività pubbliche così rase al suolo o acquistare ciò che ne resta per un boccon di pane, ricavandone enormi profitti con poca spesa.
Ad assicurarsi che tutto si svolga secondo queste regole è il FMI, esattore e cane da guardia delle istituzioni finanziarie, che minaccia ritorsioni economiche e sospensioni di prestiti ogni volta che un paese prova a smarcarsi da questo meccanismo suicida.
E’ il metodo sperimentato con successo in Italia dopo la stagione di Mani Pulite, che spazzò via la vecchia classe politica legata alla concezione pubblica della fornitura dei servizi per sostituirla con un branco di avvoltoi ammaestrati che diroccarono e svendettero a prezzi di liquidazione quasi ogni struttura che garantisse sicurezza e autonomia alla nazione.
Per essere più certe che il marchingegno funzioni, sono le stesse banche centrali a creare i problemi di budget che metteranno in moto lo smantellamento e la svendita, vendendo agli stati il denaro di cui hanno bisogno in cambio dell’emissione di titoli del debito pubblico gravati da interesse, che produrranno di anno in anno un indebitamento esponenziale.
Si tratta di una strategia di comprovata efficienza, i cui capisaldi nessun governo sano di mente si sognerebbe di mettere in discussione.
Ogni tanto, però, salta fuori dal cappello un primo ministro un po’ folle come Orban che ha l’ardire di chiedere alle banche la restituzione di una piccola frazione del maltolto e di rispondere in malo modo al FMI, invitandolo a cavarsi fuori dai maro dalle questioni di politica nazionale.
All’Ungheria era stato imposto dal FMI l’obiettivo del 3,8% del rapporto deficit/PIL entro la fine di quest’anno. Detto fatto, il governo ha deciso di tassare le banche per raggiungere tale obiettivo senza affamare e straziare ulteriormente i cittadini, già provati da cinque lunghi anni di austerity.
“Il nostro accordo non diceva nulla sui metodi che avremmo dovuto adottare per raggiungere questo obiettivo”, ha detto Orban in un incontro con una schiumante Angela Merkel. “La scelta degli strumenti e dei tempi della loro applicazione attiene alla nostra esclusiva responsabilità nazionale. […] Con queste misure, l’Ungheria avrà entro la fine dell’anno un deficit non superiore al 3,8%. E con questo il nostro rapporto con il FMI è concluso. Da quel momento in poi, non dovremo più confrontarci con il FMI, ma con l’Unione Europea”.
Ah ah ah!
Deridetelo tutti, schiavi!
Scelta degli strumenti? Responsabilità nazionale? Chiudere i rapporti con il FMI? Ma cosa dice questo pazzo?
Il poveretto è convinto di poter agire nell’interesse della nazione senza pagare dazio agli organi di controllo internazionali, che utilizzano le attività finanziarie e i ricatti economici come un randello per tenere in riga i paesi europei sotto l’occhio vigile delle strategie geopolitiche statunitensi.
Il governo ungherese ha perfino osato approvare un provvedimento che pone un tetto all’entità dei salari dei dipendenti pubblici, compreso quello dei dirigenti della Banca Nazionale d’Ungheria e del Consiglio per le Politiche Monetarie, facendo inviperire il governatore della banca centrale, Andras Simor, che si è visto tagliare del 75% la principesca retribuzione di 8 milioni di fiorini mensili (circa 27.000 euro, 40 volte il salario medio di un lavoratore ungherese) ed ha iniziato per questo ad urlare alla lesa indipendenza dell’istituzione bancaria.
Anziché infierire su chi produce ricchezza materiale per il paese, come fanno tutti i governi perbene, il governo ungherese ha ridotto di 9 punti (dal 19 al 10%) la tassazione per le aziende con un fatturato annuo inferiore ai 500 milioni di fiorini (1,7 milioni di euro), per di più con effetto retroattivo al 1° luglio.
Si è spinto fino al punto di vietare i mutui in valuta straniera (euro e franchi svizzeri) che facevano concorrenza ai mutui in valuta nazionale, creavano un’impennata del debito verso l’estero e incrementavano l’esposizione del mercato immobiliare interno all’alea dei rapporti di cambio valutario.
Tutto questo ha l’aspetto inquietante di qualcosa di cui in Europa non si sentiva più da tempo né l’odore né il sapore: sovranità nazionale! Politiche elaborate nell’interesse della crescita del paese anziché per compiacere i potentati bancari internazionali! Deficit ripianati sottraendo risorse alle improduttive e velenose attività finanziarie anziché ai servizi e alla ricchezza reale della nazione.
Di questo passo il governo ungherese potrebbe prima o poi mettersi in testa, che so, di progettare una propria politica del lavoro, adottare programmi pensionistici potenziati, perfino stampare esso stesso moneta anziché prenderla a prestito dalla banca centrale!
E facendo questo, potrebbe fungere da esempio per altri paesi della prigione monetaria europea, che pretenderebbero di adottare gli stessi sistemi! Dove andremo a finire, signora mia?
Per questo motivo, i secondini del carcere comunitario sono corsi immediatamente ai ripari. Dapprima hanno scatenato le opportune campagne di stampa antiungheresi sugli appositi organi d’informazione economica del regime, facendo strepitare ad insigni editorialisti apocalittiche previsioni su crolli degli investimenti e blocco della crescita (crescita di che??).
La BCE si è mostrata fortemente risentita per la temerarietà con cui le decisioni sul tetto ai salari dei banchieri sono state prese senza prima attendere il suo ponderato parere, che sarebbe stato ovviamente del tutto spassionato e scevro da qualsivoglia sospetto di connivenza con gli omologhi della BNU.
Andras Simor, disponendosi eroicamente al martirio, ha minacciato le proprie dimissioni da governatore della BNU, prospettiva dinanzi alla quale il governo di Orban non ha palesato eccessiva disperazione.
Il capo dell’austriaca Raiffeisenzentralbank (RZB), Walter Rothensteiner (chissà perché tutti i banchieri hanno cognomi così?), ha avvertito a denti stretti che “l’Ungheria sta giocando col fuoco”, sottolineando il proprio disappunto nei confronti di un paese così folle da tassare i propri istituti bancari anziché tappare le loro falle con il denaro dei cittadini. Come si può fare una cosa così brutta?
Perché gli ungheresi non prendono esempio dall’Austria, che nel solo 2009 ha regalato alle sue banche 6 miliardi di euro per colmare i loro crateri di bilancio e naturalmente non ha intenzione di fermarsi qui?
Rothensteiner ha “consigliato” alle banche ungheresi di recuperare il denaro della tassazione imponendo ai loro clienti costi di gestione più alti e altri oneri vari ed eventuali. Gli ha fatto eco Wilibald Cernko, amministratore delegato di Bank Austria, minacciando tra i 5.000 e i 10.000 licenziamenti nel settore della finanza austriaca.
Il FMI, per bocca del suo direttore Strass Khan, ha minacciato di congelare il prestito di oltre 20 miliardi di euro con cui si proponeva di “aiutare” la nazione magiara a ripianare i propri debiti, in cambio della prona accettazione dei regolamenti comunitari – che equivalgono, come noi tutti dovremmo ormai aver capito, ad una completa e definitiva rinuncia ad ogni forma di sovranità nazionale.
Alla fine, non riuscendo ad ottenere alcuna marcia indietro, il FMI e l’UE hanno diramato un comunicato stampa in cui notificavano all’universo mondo di aver rotto ogni trattativa col governo di Budapest poiché quest’ultimo avrebbe rinunciato a rispettare i programmi d’austerità promessi negli accordi.
Cosa non vera, come si è visto, dato che le misure adottate dal governo Orban potrebbero risanare i deficit di bilancio molto più efficacemente di qualunque forma di prestito a strozzo offerta dal FMI.
Chissà se questo accerchiamento riuscirà a far desistere il governo ungherese dai propri più che auspicabili propositi? Va tenuto presente che l’Ungheria è fra i paesi dell’ex oltrecortina quello che tradizionalmente destina le più ampie risorse all’investimento nel settore pubblico e nei servizi, e questo non solo per il suo passato socialista, ma perché i governi, dovendo tenere a freno la disoccupazione e la destabilizzazione economica esplose dopo l’apertura al capitalismo, hanno ritenuto opportuno potenziare la domanda interna con appropriati interventi dello stato e sopperire con il lavoro nelle amministrazioni pubbliche all’assenza di livelli occupazionali accettabili nel privato.
Le misure “lacrime e sangue” che i governi hanno dovuto imporre negli ultimi cinque anni per entrare di diritto nell’esclusivo club europeo sono dunque non solo malviste dagli elettori, ma anche estranee ad una tradizione di forte presenza dello Stato nella vita quotidiana che gli ungheresi non sono preparati ad abbandonare; soprattutto se la rinuncia non comporta altro che un trasferimento di risorse dal parassitismo burocratico di stato al vampirismo finanziario delle istituzioni bancarie, mille volte più voraci e prepotenti delle antiche istituzioni socialiste, mille volte più inefficienti e incapaci di garantire ai cittadini, in cambio dei sacrifici senza fine a cui lo costringono, altro che sacrifici ed indebitamento ulteriore.